3. LA GUERRA DELLE MALVINAS
In calle Florida non si è mai visto nulla di simile, ma è possibile che ci sia qualcosa che non si è mai visto a Florida? Un uomo travestito da esploratore o da naufrago, con la bardatura copiata da un'illustrazione ottocentesca del Robinson Crusoe. Dietro di lui cammina un nero con una bardatura non meno stravagante, un Venerdì da progetto nostalgico. Il nero porta addirittura un pappagallo sulla spalla e Robinson un lama come animale da compagnia. Robinson e Venerdì, due esemplari imponenti, con le chiome ben curate che scendono fino alle spalle. Il bianco ha la barba lunga di anni, cammina arrogante, e Venerdì recita da buon selvaggio diffidente della grande città e delle sue genti tanto vestite. I passanti credono di assistere a una situazione da teatro di strada o alla sequenza di un programma televisivo, studiato per provocare le reazioni del pubblico, forse per un concorso milionario. Robinson prende un altoparlante rudimentale, un semplice imbuto, nello stile dei cantanti di strada o dei venditori di canzonieri precedenti la guerra di Corea, e Venerdì batte ritmicamente il tamburo sottolineando le frasi di Robinson.
"Cittadini della Repubblica Argentina! In questi tempi di corruzione e di collasso dei valori etici, sociali e della patria, in cui l'uomo è un lupo per il suo prossimo e la donna la peggiore delle lupe per le altre donne, bisogna rigenerare l'uomo e la patria con lo spirito di Robinson. Vi esorto a diventare isolani. A recuperare la solitudine allo stato puro, la grandezza isolata di Robinson nella sua isola per riconquistare un continente, il mondo. A partire da quali isole? Dobbiamo immaginarle come fece Daniel Defoe? No. Noi le nostre isole le abbiamo, sono le Malvinas. Bisogna riconquistare le Malvinas per salvare la nostra Patria."
Applausi, fischi, qualche raglio, il sarcasmo di un uomo monco.
"Io alle Malvinas ci devo tornare perché ci ho lasciato un braccio. Per controllare se i gurkhas me l'hanno tenuto da parte, se se lo sono mangiato o ficcato in culo."
La tristezza di una donna invecchiata male:
"Io ci ho lasciato un figlio. Chissà se me l'hanno tenuto da parte".
Ma Robinson ha finito con il suo messaggio e s'infila seguito da Venerdì, dal lama, dal pappagallo, nei magazzini Harrod's. Procede sempre fino ad arrivare al negozio del barbiere, dove i pochi clienti escono dal loro dormiveglia per sorprendersi davanti all'apparizione. Robinson su una sedia dal barbiere. Il lama. Venerdì e il pappagallo. I barbieri sono rimasti con i rasoi a tagliare l'aria. Le guardie giurate non sanno se intervenire. Robinson parla e i clienti ascoltano con le barbe mezze rasate o i capelli mezzi lavati o tagliati. Le mani delle manicure si sono fermate su quelle dei manicurati. Robinson annuncia:
"E quando parlo delle Malvinas parlo di isole che sono insieme reali e simboliche. Dobbiamo occupare le nostre isole, ma senza pensare che siano soltanto nostre. Sono un primo passo verso la riconquista della ragione universale, dei valori dell'etica, della solidarietà, dell'uguaglianza e della libertà".
È lo stesso quartetto, padrone, schiavo, lama e pappagallo, a passeggiare davanti all'ingresso della Facoltà di Lettere fin quando riescono ad attirare un gruppo di ascoltatori. Robinson sembra continuare il suo unico discorso, indifferente alla composizione dei presenti, si direbbe addirittura del tutto indifferente nei loro confronti.
"Conquistare le Malvinas per riconquistare noi stessi, l'innocenza che ci venne strappata dai torturatori e dai loro complici, ma conquistarle come?"
È Alma ad alzare la voce in mezzo a un pubblico diviso tra lo sdegno e la curiosità.
"Innanzi tutto bisogna arrivarci. A nuoto. Come l'altra volta, quando i militari ci hanno mandato i nostri ragazzi a nuoto."
Non solo risate, ma anche il commento costruttivo di uno studente.
"Facciamo delle zattere."
Robinson incrocia le braccia e li guarda come se compatisse la leggerezza del loro punto di vista.
"Perché non a nuoto? Perché non su una zattera? Il mio piano intende salvare l'ecosistema, e possiamo convocare i nuovi rivoluzionari della Terra, gli ecologisti e i 'teologi della liberazione' per un'invasione pacifica e universale delle Malvinas. Che cosa farebbero i britannici se migliaia, milioni di pacifisti occupassero le Malvinas?"
Di nuovo la voce di Alma che cerca di mettere la Storia al suo posto.
"Mitragliarli."
Questa volta risate e fischi e rinnovata indignazione di Alma.
"Ma da dove è uscito questo profeta? Sei un pazzo o un miserabile? Credi di poter eccitare di nuovo le masse come se si trattasse di una partita tra Argentina e Cile?"
"Donna, chi ti ha tolto la fede?"
"Tu dov'eri, mentre Videla e compagnia bella mi toglievano la fede?"
Tanto gli applausi quanto i fischi spingono Alma ad abbandonare la situazione, a esprimere il disgusto per essersi lasciata trasportare. Entra adirata in aula, lascia libri e appunti sulla cattedra. Si siede e vuole rasserenarsi. Alza lo sguardo. Cominciano a entrare alcuni studenti. Tra loro, Muriel, che prende posto vicino alla cattedra, e di ciò Alma le è grata, spera che occupi quel posto, perché le piace avere vicino a sé lo sguardo incantato della ragazza. Lentamente entrano tutti gli allievi. Discutono tra di loro le parole di Robinson e a un tratto due cominciano a picchiarsi a suon di pugni. Alma grida:
"Basta! Che sta succedendo?".
Ma sono più efficaci le braccia dei compagni che li separano che le grida isteriche della professoressa. Uno studente fa il bilancio della situazione.
"Questo qui dice che lui per le Malvinas darebbe la vita e quest'altro dice che lui per le Malvinas non darebbe manco…"
"Manco che cosa?"
"Manco…"
È il rossore a tinteggiare il viso dello studente e quello che ha pronunciato la frase prende la parola.
"Sono stato io. Ho detto che per le Malvinas io non avrei dato manco il pezzo di carta con cui mi sono pulito il culo."
Questa volta, più fischi che applausi, e Alma ha ripreso il suo posto, ritrovato la sua voce, la sua ragione di stare un metro al disopra dei ragazzi.
"Tra la letteratura 'tremendista' e quella scatologica c'è ancora una distanza. Le Malvinas esistono. Sono un referente nazionale, un referente nazionalista per la coscienza di molte persone. Antimperialista, forse. Non so più se questo sia un bene o un male. Le isole sono lì. Ma quel pagliaccio davanti alla porta parlava in modo simbolico, irresponsabile. Senza tener conto dei morti che costano le avventure."
È Muriel a interrompere.
"Perdoni, professoressa, ma perché lo chiama pagliaccio?"
"A lei che cosa pare?"
Muriel inghiotte saliva, ma si lancia nel vuoto.
"Un poeta. Inoltre, a me piacciono i pagliacci."
Alma contempla Muriel con curiosità. Trattiene sulla punta della lingua la frase brillante con cui potrebbe metterla a tacere. Mette dolcezza nello sguardo.
"Ci sono poesie pericolose, addirittura musiche pericolose. I pagliacci sono innocenti, ma ci sono pagliacciate criminali, come quelle del generale Galtieri nel provocare la guerra delle Malvinas."
Poi ripeterà meccanicamente la frase: ci sono poesie pericolose, addirittura musiche pericolose, pagliacciate criminali, mentre viaggia in bus, quando percorre i passi che separano la fermata dalla porta di casa e tarda a capire lo spettacolo che l'attende nell'atrio d'ingresso: Robinson, Venerdì, il lama, il pappagallo. La donna passa in mezzo al quartetto lasciando cadere il suo commento domanda.
"Siamo già a Carnevale?"
È Robinson a chinarsi per porgerle la sua volontà di cortesia.
"Vorremmo parlarle."
Alma contempla il quartetto.
"Voi formate il più pittoresco quartetto che si sia mai stato visto a Buenos Aires. E a quanto pare volete me per formare un quintetto."
"Vogliamo soltanto parlarle."
"Se volete parlarmi dovete farlo tutti insieme, lama compreso."
Il quintetto occupa l'ascensore ed è stupore quel che suscita quando passa davanti agli inquilini in attesa che non riescono a credere all'ascesa verso i cieli di Alma, Robinson, Venerdì, il lama e il pappagallo. Ormai nell'appartamento, Alma posa i libri, gli appunti, li invita ad accomodarsi.
"Come se foste nella vostra capanna. Mi rincresce che questa casa non abbia una palizzata per farvi sentire più sicuri."
Robinson si mette seduto sul divano, Venerdì accanto a lui con il pappagallo sulla spalla, il lama annusa le piante da appartamento. Alma si accinge a impersonare il suo ruolo di padrona di casa.
"Vi mancavano queste comodità? Volete prendere qualcosa: una galletta salata, un po' di carne secca? Signor Robinson? Si è sempre chiamato Robinson Crusoe?"
"Io mi chiamavo diversamente e ho scelto di essere Robinson. Lei si chiamava diversamente e ha scelto di chiamarsi Alma."
Alma si mette in guardia. Robinson non è più il personaggio lunatico che va a spasso per strada. Parla con una calma strana.
"Io sono ingegnere d'idrocarburi. Questo è il mio mestiere e lo avevo esercitato in Medio Oriente e in Argentina. Poi ho lavorato nel traffico d'armi, con le tangenti, con le valute. Ho riciclato i soldi sporchi di molti assassini planetari. Il mio autista e maggiordomo preferito può dirle se mento."
Ha indicato Venerdì e lo sguardo di Alma va dal padrone allo schiavo per tornare al padrone e finalmente affrontare lo schiavo.
"Parla con l'accento dello schiavo pieno di gratitudine?"
Venerdì risponde come una donna effeminata.
"Mi piacciono le pazze come te perché accanto a loro io sembro sana di mente."
Robinson è molto soddisfatto del commento di Venerdì. Anche il pappagallo, tant'è che ripete:
"Mi piacciono le pazze, mi piacciono le pazze, mi piacciono le pazze".
Il lama fiuta il ficus preferito di Alma e lei si preoccupa temendo che se lo possa mangiare. Ma Robinson la distrae dalla sua preoccupazione.
"Le apparenze ingannano, ma è la sola cosa su cui possiamo contare. Io potrei girare travestito da sacerdote di una setta qualsiasi, e perché non da Robinson? Ho contribuito alla guerra delle Malvinas, a qualsiasi guerra, vendendo armi, prendendomi i soldi delle commissioni. Alle Malvinas hanno ucciso mio figlio, il mio ragazzo più piccolo. Era un idealista che credeva in Videla, in Galtieri, e in suo padre, soprattutto in suo padre. Credeva in me."
Venerdì gli si avvicina e lo bacia sulla guancia, gli mette un braccio sulle spalle, sembra volerlo proteggere dai suoi stessi fantasmi. Alma cerca di mettere del ghiaccio nella voce.
"E io che cosa ho a che vedere con tutto questo?"
Robinson dice senza sforzo e apparentemente senza seconde intenzioni:
"Mi hanno molto parlato di lei".
"Chi?"
"Raúl. Raúl Tourón."
Buio ordinato nella sala. Un grande schermo televisivo riproduce un video che delle mani grassottelle, piene di anelli, hanno fatto partire. Nella penombra si distingue il profilo rapace del Capitano che contempla le immagini, il ciccione che le controlla, e altri personaggi come confuse comparse. Il ciccione preme i comandi e stringe gli occhi come un cacciatore di immagini. La registrazione mostra le apparizioni stradali di Robinson e Venerdì. La voce del Capitano salta in aria come una pietra.
"Confermata l'identificazione?"
È il ciccione a rispondere:
"Confermata. Joaquín Gálvez, uno degli ex presidenti congiunti dell'Associazione Industriali, non molti anni fa, del gruppo di Ostiz, Brucker e tutta quella gente. Credo che lo sia stato fino ai primi mesi di Galtieri. Il nero allora gli faceva da autista e guidava sempre una Rolls–Royce bianca. Il suo figlio più piccolo è stato ucciso alle Malvinas".
Il Capitano sputa:
"Lo conoscevo. Un istrione".
Il ciccione conosce il rapporto a memoria.
"Traffico d'armi, di valuta, i buoni rapporti con gli yankee, si dice che fosse intimo amico del presidente Reagan, prima che diventasse presidente."
"E adesso dove ha costruito la capanna di Robinson?"
"Ha conservato una vecchia casona vicino al fiume. Prima di arrivare al Tigre."
"In rovina?"
"Non pare. Gran parte dei suoi affari va bene ed è suo figlio Richard Gálvez ad averli in mano."
"Perché Richard?"
"In omaggio all'ex presidente Nixon. Un omaggio quando non era ancora né presidente né ex presidente, ma vicepresidente di Eisenhower. A quei tempi Gálvez era legato a una lobby californiana, la stessa che appoggiava il giovane Nixon."
È il momento in cui Robinson arringa gli universitari e il Capitano ordina al ciccione di tacere e ridare voce a Robinson.
"Il mio piano intende salvare l'ecosistema, e possiamo convocare i nuovi rivoluzionari della Terra…"
"Vigliacco di merda, pagliaccio, irresponsabile."
Ma il Capitano interrompe la litania, perché su di lui si impone la presenza di Muriel nella prima fila degli studenti.
"È la bambina! Togli il suono, ferma l'immagine! È Muriel! Quel figlio di puttana mi sta rovinando la bambina. Si può ingrandire un particolare? Vedi anche tu quel che vedo io?"
"La signorina Muriel."
"Ingrandisci l'immagine di mia figlia."
La ragazza sembra conquistata da quello che sta dicendo Robinson. Il Capitano si strofina la faccia, come per cancellare quell'immagine.
"Ma che razza di sventurata! Chi ti ha chiesto di cacciarti in questa commedia? Vai avanti, ciccione, vai avanti!"
Robinson torna con la sua voce:
"Che cosa farebbero i britannici se migliaia, milioni di pacifisti occupassero le Malvinas?".
Prima la voce:
"Mitragliarli".
Poi la proprietaria della voce: Alma. Il Capitano fa un balzo nella poltrona.
"Quel che ci mancava. Hai visto? Quel che ci mancava!"
Segue la voce, l'espressione adirata di Alma:
"Ma da dove è uscito questo profeta? Sei un pazzo o un miserabile? Credi di poter eccitare di nuovo le masse come se si trattasse di una partita tra Argentina e Cile?".
Robinson risponde:
"Donna, chi ti ha tolto la fede?".
Alma:
"Tu dov'eri, mentre Videla e compagnia bella mi toglievano la fede?".
Dalla fronte del Capitano scendono sudori sottili quanto il suo viso. Ordina:
"Tagliate!".
E con la luce si instaura il silenzio. Il viso del Capitano è nascosto dai palmi delle mani, il ciccione esita, gli altri sono paralizzati. Il Capitano si accorge che la luce lo sta denunciando.
"Chi ha detto di accendere la luce? Ho solo detto di togliere l'immagine!"
Ha il viso sconvolto e tutti ricorrono al silenzio della prudenza, assecondando i suoi movimenti quando abbandona la sala di proiezione e va verso il parcheggio. Il Capitano più che sedersi si butta sul sedile posteriore. Alla guida, il ciccione a poco a poco si impadronisce della situazione. Medita a voce alta le proprie preoccupazioni.
"Gliel'avevo già detto che l'intera faccenda dell'università sarebbe diventata pericolosa. Questa è una zizzania che non muore mai. Trentamila desaparecidos? Ci sono di nuovo trentamila rossi. I rossi rispuntano come la zizzania, e la bambina sta in mezzo a loro."
"Non potevo non lasciarla studiare, condannarla a essere un vegetale ubriaco come mia moglie."
"Adesso non possiamo nemmeno più accompagnarla e andarla a prendere, per evitare quella sovversiva."
Per il cervello del Capitano passano flash del video. Alma che risponde a Robinson: "Ma da dove è uscito questo profeta? Sei un pazzo o un miserabile…?". Anche Muriel, affascinata dal discorso di Robinson. I visi di Alma e Muriel arrivano a confondersi. Il Capitano chiude gli occhi. Il ciccione studia nello specchietto retrovisore l'evolversi del suo stato d'animo.
"Capo, se vuole la tolgo di mezzo."
"Potrei farlo io, ma oggigiorno quella gente è intoccabile. Perdi più, questa situazione mi affascina: una madre che da lezioni di letteratura a una ragazza che è sua figlia senza neanche saperlo. Anche se Muriel è figlia mia, gliel'ho tolta per salvarla da una dinastia di sovversivi. È una scommessa. Un gioco."
"Non si può giocare alla roulette russa con i sentimenti. Mi permetta di liquidarla, capo. Un giorno la bambina potrebbe…"
"Per il momento non perdete di vista Robinson e la professoressa. Dobbiamo ancora trovare Raúl Tourón. E molta attenzione, potrebbero esserci conseguenze gravi, molto gravi. Un incontro tra Alma, Robinson e Tourón potrebbe essere molto pericoloso. A mia figlia ci penso io."
Silverstein, in lontananza, va avanti con il suo show dal quale si levano risate e la sua stessa voce, senza che né Alma né Pepe percepiscano quel che dice. Forse perché la conversazione è accesa, abbastanza perché Alma lasci Carvalho a metà la frase e scivoli lungo un corridoio laterale per ascoltare il monologo.
"Prima, se tua moglie se la filava con un altro mentre tu eri in gattabuia o in guerra, per esempio quella delle Malvinas, la cosa era molto, molto, molto malvista. Più le guerre erano patriottiche, e peggio si considerava l'adulterio. Oggi sei malvisto quando, di ritorno dal carcere o dalla guerra, c'è sempre quella cretina che ti aspetta, perché non c'è nessuno disposto a farsene carico. Adesso aspettano perché non riescono a trovare un amante che le liberi dalla loro condizione di casalinghe. La crisi, la crisi etica, la corruzione dei costumi. Ci sono le male femmine? Ci sono mai state delle buone femmine? Vive? Ascoltate il tango di Adriana Varela, la donna che non soltanto canta ma che è tutta, tutta un'orchestra. Il Polaco Goyeneche ha detto: non mi piace che le ragazze cantino il tango, soltanto Adriana Varela può farlo."
Il riflettore avvolge Adriana per condurla come una figura mitica sagomata nell'oscurità e quando silenzio, oscurità e figura sagomata coincidono, la misura del bandoneón sottolinea l'attacco della prima strofa:
Per una mala femmina perdi la vita,
ti diceva tua mamma, che era una santa;
per una mala femmina perdi i soldi,
ti diceva tuo papà, che era una nullità.
Silverstein si allontana dalla voce di Adriana cercando di riunirsi a Pepe e Alma. Imbronciati e silenziosi entrambi, Alma con i colori delle recenti febbri ancora sugli zigomi. L'indignazione di Pepe comincia a naufragare in un bicchiere di whisky.
"Di che cosa si discute?"
E davanti al solido silenzio:
"Di che cosa discutevate?".
Carvalho indica Alma con un semplice movimento della spalla.
"Alma è diventata amica di Robinson Crusoe e Venerdì."
Prima che Alma riesca a coordinare l'indignazione con le parole, Silverstein piega un ginocchio a terra, le prende una mano e recita:
"I naufraghi prima o poi finiscono per incontrarsi".
Carvalho, questa volta sì, guarda Alma con una certa ironia quando dice:
"Sa persino dove sta la loro isola".
Non è un faccia a faccia, ma quasi un naso a naso, l'aggressione che Alma compie contro Carvalho.
"Ascoltami, gagliego di merda: o taci o me ne vado. È tutto molto più semplice, Norman. Non hai visto quei due che vanno per calle Florida mascherati da Robinson e Venerdì?"
"È da tanto tempo che non vedo Buenos Aires. Di giorno dormo, nel pomeriggio provo opere teatrali che rare volte vengono rappresentate, nonostante le ottanta o novanta sale di Off Off che ci sono a Buenos Aires, e la sera lavoro."
"Sono due mistici o due impostori. Non importa. Predicano un nuovo ordine universale."
"Proprio come Menem."
"Vanno in giro mascherati da Robinson e Venerdì. Predicano un nuovo ordine universale ugualitario. Ma la cosa non mi importa un cacchio. Vivono in una vecchia casona, vicina al Tigre, tra San Isidro e il Tigre. Lì danno asilo a mendicanti, fuggiaschi. E lì, di tanto in tanto, ci va Raúl. Robinson mi ha detto che sta aiutando Raúl. Credi che seguire questa pista sia una cretinata? Non puoi convincere questo gagliego di merda, capoccione come pochi, che non sono una bugiarda imbecille?"
Carvalho insiste, rabbuiato:
"È una trappola".
"Chi ha ideato questa trappola? L'ispettore Pascuali, che ha meno immaginazione di un fuco? Il Capitano? Ma te li immagini tu, gli uomini del Capitano mascherati da Robinson Crusoe? Stadi fatto che ho un appuntamento in quella casona, e che ci andrò con voi due o da sola."
Silverstein si è impadronito di Carvalho con il sistema di passargli un braccio sulle spalle.
"Ti accompagneremo noi due."
Apre le braccia davanti a Carvalho, ammettendo la propria impotenza, e sopporta con un sorriso i tentativi di Norman di consolarlo:
"Le male femmine ottengono da noi quello che vogliono".
E li invita ad ascoltare le parole della canzone di Adriana.
Per una mala femmina perdi la vita,
ti diceva tua mamma, che era una santa;
per una mala femmina perdi i soldi,
ti diceva tuo papà, che era una nullità.
Prima, bionde sbiadite a pezzi,
ora, magre rosse con mille parrucche;
prima erano budini rigonfi,
ora sono scheletri scarni;
ma siano teppa o siano cacca,
appena arrivano ti sputano l'asado.
Margherita Gautier di mille poemi
hanno finito tisiche le loro tragedie,
o spennato un triste cornuto che le amava senza sentirsi scannato,
fregato come un cretino totale.
Adesso sono miss da hinterland,
del Cosmos, di Belgrano, di Misiones,
top model dai nudi disegnati
dal dito di un amante con pretese
che vende e compra, compra e vende Buenos Aires.
Per una mala femmina perdi la vita,
ti diceva tua mamma, che era una santa;
per una mala femmina perdi i soldi,
ti diceva tuo papà, che era una nullità.
Io, che sono la mala femmina di questa baldoria,
posso dirti che ho la fica stufa
di tanto cretino che mi cerca perché mala femmina,
ospite in fuga dal proprio letto.
Prima, bionde sbiadite a pezzi,
ora, magre rosse con mille parrucche;
prima erano budini rigonfi,
ora sono scheletri scarni;
ma siano teppa o siano cacca,
quando se ne vanno ti sputano l'asado.
Come se aprisse il vaso di Pandora dell'inevitabile, la chiave si è introdotta nella serratura con un'esitazione insolita per il Capitano. Sono stati necessari due tentativi prima di trovare la fessura e al terzo la porta si apre all'evidenza della moglie, seduta davanti al televisore ronzante, assorta, ubriaca, con gli occhi disperatamente romboidali a dimostrare che la bottiglia vuota posata sul tavolino non ha nulla a che vedere con lei, che non capisce perché il marito le dice:
"A volte penso che non ti sposti dalla poltrona manco per pisciare. La bambina, è tornata?".
La donna indica in alto e continua a parapettarsi dietro la finzione della propria dignità, della propria lucidità, ma quando il Capitano comincia a salire le scale dice prima a voce bassa e poi più udibile fino a raggiungere l'effetto del grido:
"Figlio di puttana. Figlio di puttana. Figlio di puttana!".
Muriel sente le nocche del padre che bussano alla porta e nasconde quel che sta scrivendo sotto un mucchio di libri, poi concede il permesso.
"Avanti."
E risponde con un sorriso all'espressione di affetto sul viso del Capitano. La ragazza si alza, lo abbraccia, lo bacia.
"Il mio piccolo orso delle caverne…"
"Muriel, Muriel, tu credi che si possa chiamare un padre orso delle caverne?"
"Se è un orso delle caverne, e per di più un piccolo orso delle caverne… allora sì…"
Il Capitano sembra convinto, abbraccia con lo sguardo i libri che riempiono la stanza.
"Libri, libri. La vita normalmente accade fuori dai libri."
"Ma finisce sempre nei libri. Non si può fare nulla, né di buono né di cattivo che non finisca in un libro."
Il Capitano cerca una sedia, pizzicando con gli occhi i poster degli eroi del rock che a lui nulla dicono, come Kurt Cobain, o di Nelson Mandela, di viaggi, quasi tutti di isole del Pacifico. Adesso esamina i poster uno dopo l'altro, come se li passasse in rivista.
"Viaggiare, sì, viaggiare è bello, Muriel. Devo parlarti."
"Della mamma."
Per un momento il Capitano è disorientato, ma è la stessa ragazza a restituirgli i punti cardinali.
"Lo so che non ti piace parlare di lei, ma le serve aiuto. Beve ogni giorno di più. È sempre più isolata. Ha bisogno di un aiuto medico, di uno psichiatra. Dice cose molto strane."
"Che cosa dice di strano?"
"Continua a ripetere che un giorno mi dirà qualcosa in grado di cambiare il senso delle nostre vite."
Il Capitano batte appena ciglio.
"Delira. Non vuole o non può aiutare se stessa, questo è tutto. No. Non è di tua madre che ti volevo parlare. Muriel, figlia mia, mi hanno detto che oggi alla Facoltà è andato un profeta, un impostore, che predicava la rivoluzione."
"Pacifica."
"Non ci sono rivoluzioni pacifiche. So che sei una ragazza sana, con le idee chiare in testa, ma adesso ti sei troppo inserita in un mondo libresco, astratto, impotente davanti alla realtà, affabulatore, falsificatore. Quanto tempo è che non vai al club, a giocare a tennis, a nuotare? Lo sport ci leva le ragnatele dal cervello. Io avevo conosciuto molti ragazzi sani, di buona famiglia, colti, che in seguito sono stati rovinati dalle idee e sono finiti male, lottando contro la stessa società da cui provenivano."
"I sovversivi?"
"La maggior parte di loro non erano cattivi ragazzi, ma le cattive letture, le cattive compagnie, la propaganda comunista… Arrivò un momento in cui fummo costretti a difenderci da loro perché stavano per trasformare l'Argentina in un campo di concentramento marxista."
"Ma sono spariti, no? In realtà costruirono un campo di concentramento per se stessi."
"Volevano cambiare le nostre vite e avevano come base soltanto venti pesos di ideologia. Non tutti sono spariti. Continuano ad agire, con maggiore cautela, ma continuano ad agire. Adesso vanno in giro con la storia dell'ecologia, della 'teologia della liberazione', delle Organizzazioni Non Governative, roba del genere. Il peggio sono i professori. Molti sono vecchi montoneros che ora uccidono con le parole. Come sono i tuoi professori?"
"Ce ne sono di buoni e di cattivi. Ma di eccellente c'è soprattutto una professoressa, Alma Modotti. Adoro quella donna, anche se mi pare di capire che non le vado molto a genio."
"Come fai a saperlo?"
"Vibrazioni. Non so. A volte mi pare tutto il contrario, che mi guardi in un modo speciale. A dire il vero da me esige più che dagli altri. Questo è bene, no? È da quando ero bambina che mi ripeti sempre che professori e genitori devono essere esigenti, non è vero, mio piccolo orso delle caverne?"
"Altofini e Carvalho. Investigatori Associati." Ormai esistono, o almeno così figura nella serigrafia sul vetro smerigliato della porta che, nell'aprirsi, lascia apparire la schiena di un uomo impegnato in un monologo. Un cinquantenne azzimato anche se con evidente angoscia sul viso, con i capelli accuratamente tinti e le basette inverosimilmente bianche.
"Vale a dire, riassumendo, che è stata colpa di una malafemmina."
Carvalho cerca di metabolizzare la conclusione senza di antichità in una delle strade che prolungano San Telmo fino all'eccesso.
"Per una malafemmina, sì. Voglio che lei, che voi la troviate. Mio figlio era la persona più indecisa di questo mondo, influenzabile, una brava persona, fin troppo. Mi rincresce molto di non essergli stato accanto. Io sono vedovo. Sono molto impegnato nella produzione di biancheria di lusso. Il ragazzo è cresciuto per conto suo e non sempre in buona compagnia. Una brava persona, il mio povero Octavio, fin troppo, ma quando conobbe quella tizia cambiò del tutto. Diventò impertinente, aggressivo, si sforzava di contrariarmi, il che era difficile perché ci incontravamo pochissimo. Cercava di fare in modo che non ci incontrassimo."
Carvalho annusa l'aria, sente odore di rose e lo può constatare quando si apre la porta ed entra don Vito Altofini. Infatti, profuma di rose. Porta un fazzoletto bianco nel taschino della giacca, gli luccicano i gemelli, la spilla della cravatta, il dente d'oro, pure lo sguardo.
"Il mio socio e titolare dell'agenzia: don Vito Altofini, diplomato in criminologia all'Università di Buenos Aires."
Don Vito sulle prime si sorprende del titolo appena acquisito, ma lo accetta e lo accresce.
"Diplomato? Questi gaglieghi minimizzano tutto. Laureato. Bisogna aggiungere un master in criminologia e altri eccessi al MIT."
"Mi scusi, don Vito, laureato in criminologia. Ecco qui un caso penoso. Il figlio del signore è scomparso per colpa di una mala femmina."
Don Vito incassa con gravita la notizia, ma canticchia:
"'Per una mala femmina persi la vita…' Quanta verità c'è nei tanghi! Prosegua, signore, prosegua. Soltanto un padre coi capelli bianchi che non sa dove siano i suoi figli può capire quello che dice".
L'uomo è commosso. Fa fatica a riprendere il filo della storia.
"Influenzato da quella mala femmina mio figlio era diventato mio nemico, e una mattina, me ne ricordo come se fosse ora, arrivo in ufficio e trovo i miei principali collaboratori con la faccia da funerale."
Carvalho si rivolge a don Vito.
"Don Leonardo è un importantissimo fabbricante di biancheria di lusso."
E don Vito si atteggia a sognatore ed erudito.
"La vera pelle delle donne! Disse un importante scrittore: la parte più profonda dell'uomo è la pelle. E io aggiungo: e della donna? La biancheria intima."
Carvalho invita Leonardo a proseguire.
"Ebbene. Un'appropriazione indebita. Mio figlio, in mia assenza, e servendosi della procura che gli avevo dato per casi del genere, aveva sottratto dai nostri conti un milione di pesos."
"Di quelli del 1984?"
Ora Don Leonardo sembra offeso dalla valutazione di Altofini.
"E lei si preoccuperebbe di una sottrazione di un milione di pesos del 1984! Suvvia. Un milione di pesos dell'84. Ma se ci stavano in un biglietto di banca!"
Don Leonardo ignora il fischio valutativo di don Vito, deciso a concludere la sua esposizione.
"Ora penso: che cos'è un milione di pesos paragonato alla vita di mio figlio? Non lo denunciai alla polizia e incaricai l'agenzia di investigatori privati Davidson di cercarlo."
Altofini si porta prima una mano alla testa e poi l'abbassa per tapparsi la bocca, ma la bocca si nega al silenzio.
"Che orrore! E la prego di scusarmi. Sono dei mediocri, i Davidson. Quando si sentivano smarriti, bloccati, si consultavano con me per telefono."
"Io volevo soltanto che trovassero mio figlio prima della polizia e lo trovarono. Era alle Bahamas con quella tizia, una succhia sangue. Io non volevo recuperare i soldi, volevo recuperare mio figlio. Lo giuro. Che io possa morire in questo momento, se non dico la verità. Ordinai di metterli sotto controllo, e non potei ordinare niente di peggio. Lei ebbe paura e lo abbandonò. Lui si sentì solo, forse pensò al mio disprezzo. Fuggì. Nessuno sa dove si trovi. Sento che non lo rivedrò mai più."
Il cliente scoppia in una crisi di pianto. Don Vito, a suo modo, piange e posa una mano consolatrice sulla spalla dell'uomo in pezzi, che presto si rasserena.
"Trovate quella donna."
Carvalho vaga nei suoi pensieri ed emette quello che più lo preoccupa:
"A quale scopo?".
"Voglio che me la presentino, sotto nome finto, certo. Voglio scoprire la sua anima schifosa e farle tutto il male possibile."
Il cliente se n'è già andato quando don Vito si domanda se la deontologia del mestiere gli consenta di cercare qualcuno perché il cliente lo uccida.
"Così l'ho capita io."
Carvalho gli allunga l'assegno dell'anticipo. Don Vito non rinuncia a uno sguardo svogliato, ma lo prende, si concentra sulla quantità espressa.
"E questo è soltanto l'anticipo? Bene. Analizziamo il caso dal punto di vista professionale."
"La mia deontologia applicata è molto semplice. Noi facciamo il nostro dovere trovando la donna, e presentandola in modo diretto o indiretto al cliente. Il resto sono affari suoi."
Don Vito pare meravigliato.
"Cacchio, mi hai tolto le parole di bocca."
"Inoltre, io quella donna la conosco."
"Adesso?"
"No. Da prima. A Barcellona mi si è presentato un caso che era il calco di questo. Fin troppo simile. Un padre in cerca della mala femmina che era stata la perdizione di suo figlio. Il caso era un po' diverso. Il ragazzo si era suicidato. La mala femmina si chiamava Beatriz, Beatriz Maluendas. Vuoi vedere che è la stessa?"19
Alma, Carvalho e Silverstein se ne stanno fermi, come ipnotizzati dalle acque. Silverstein tira dei sassi per farli rimbalzare sulla superficie, come un bambino affascinato dal mistero della lontananza in rapporto alla profondità. Carvalho si volta e contempla la vecchia casa dietro un muretto scavalcato dall'edera, dalle madreselve, dai glicini. Residenza in stile francese che ancora conserva parte del passato splendore, poderosa nel contesto delle residenze di San Isidro, nei pressi dello Yacht Club. Un alto cancello di ferro forgiato con il motto di Cesare Borgia: o Cesare o Nulla. Si avvicinano al cancello. Alma preme il campanello ma non suona. Carvalho spinge un battente aprendolo su un giardino che un tempo era stato curato e conserva ancora statue, sentieri e siepi che nessuno si è preso il disturbo di accomodare e domesticare. Ma non sono intrusi inattesi. Venerdì li aspetta sulla porta.
"Noi neri apriamo le porte meglio di chiunque altro."
"Come nero la trovo molto pallido."
Non risponde al sarcasmo di Carvalho. Esagera la sua effeminatezza. Seguono il suo sculettare lungo la residenza trascurata, svuotata dei mobili, alle pareti tracce di quadri scampati al naufragio. Alcune statue di alabastro non ce l'hanno fatta. Entrano in un gran salone simile a un deposito di cuscini che formano un tumulo perché da esso Robinson suoni il flauto, mentre intorno sono sparsi degli emarginati da campionario: adolescenti con l'Aids, vecchie piene di ematomi e con gli occhi ubriachi, pazzi "caccia mosche". Nel caminetto della stanza un tempo lussuosa cuoce qualcosa in un'immensa pentola di rame alla quale di tanto in tanto si avvicinano i mendicanti per riempire di cibo le scodelle. Robinson interrompe il concerto.
"Venerdì, procura dei cuscini grandi e puliti."
Venerdì getta successivamente i cuscini ai piedi degli ultimi arrivati. Alma e Norman si siedono, ma Carvalho resta in piedi.
"Non ha una sedia?"
"L'ultima che avevo sta bruciando nel caminetto. Bisogna potare gli alberi per avere della legna, ma chi è in grado di potarli?"
"Non mi piace sedermi sui cuscini. Preferisco rimanere in piedi."
"Se te ne stai in piedi ti si blocca il cervello."
"In piedi o seduto, ce l'ho bloccato dal giorno della nascita."
Robinson lo studia, ma nota come Alma più che contemplare controlli il catalogo umano e ne sembri delusa.
"Speravo, speravamo di trovare Raúl."
"Raúl sa che siete qui. Verrà se lo vuole. Altrimenti, io posso farvi avere il suo messaggio. È facile da riassumere. Ancora non sa che cosa vuole, ma spera che glielo chiarisca io. Se io mi dedico a scoprirgli l'anima, sceglierà la sua anima. Se io mi dedico a trovare sua figlia, troverà sua figlia. Gli è indifferente."
Con un gesto propone di seguirlo e salgono una scala nobile, di marmo rosa, Robinson in testa, Venerdì dietro di lui, Alma, Silverstein e Carvalho per ultimo. Al piano superiore mancano quasi tutte le porte.
"Abbiamo bruciato le porte. Le porte non dovrebbero esistere. Sono un'invenzione borghese. Nelle case del buon selvaggio le porte non c'erano."
Stanza adibita a biblioteca. Alma è impressionata dalla quantità e qualità dei libri. I suoi commenti di lode fanno sorridere Robinson.
"Li ho comprati a metraggio molti anni fa. Adesso li leggo. Poco a poco. Questo è il posto preferito di Raúl. Siete tranquilli? Osservate come la casa, seppur di stile francese, abbia gli interni in stile inglese. Io sono uno di quegli argentini anglofili che dovette fare di necessità virtù durante la guerra delle Malvinas. Giocavo a cricket all'Hurlo, prendevo tè e pane tostato con marmellata inclusa alle cinque del pomeriggio, e i miei bar erano il Dickens Pub, il John Bull, il Fox Hunt Café ed ero abbonato al 'The Buenos Aires Herald'. Beh, vi ho già spiegato il mio segreto e mostrato la mia tana, la capanna di Robinson. Può darsi che vi aiuti a trovare un senso nella parabola delle Malvinas. Parabola, metafora. Raúl dice che io in realtà sono un socialista utopico, e che se mi lasciassero fare, riempirei il mondo di falansteri."
"E non ha paura di una retata?"
Robinson scoppia a ridere.
"Alma, il mio passato mi protegge. Ero stato così ricco che le porte di questo tempio suscitano ancora rispetto nella polizia. La polizia rispetta la ricchezza. Posso essere d'aiuto. Sembra che noi abbiamo nemici comuni. Ma che cosa posso fare per voi?"
Silverstein non aspetta che siano gli altri a rispondere.
"Non le interessa investire nel teatro?"
"Non ci avevo pensato."
"Ci pensi e nel frattempo aiutiamo Raúl a salvarsi. È una vecchia storia. Gli da la caccia mezza Argentina di ieri e mezza Argentina di oggi."
"Per voi che cosa vuole dire salvarsi?"
Adesso è Carvalho a intervenire.
"Non faccia il metafisico, amico. Salvarsi vuole dire che non ti uccidano prima che muori."
"Leonardo. Biancheria di Lusso."
Se Carvalho avesse una ditta di biancheria di lusso, che insegna metterebbe? "Carvalho. Biancheria di Lusso." No. Biancheria di lusso senz'altro no. Qualche immagine indubbiamente in grado di rievocare la pelle femminile, con il fascino infantile che hanno conservato persino le sottovesti, proprio così si chiamavano, così le chiamava la gente del suo quartiere, le clienti di sua madre che intravedeva furtivo dalla fessura della porta del minuscolo laboratorio. La sera, con la strada ormai buia, una strada senza carattere tranne quello di essere una strada di magazzini e piccole industrie, con il ronzio non lontano delle auto che passano per la Panamericana. Carvalho aspetta l'uscita del personale, i suoi occhi continuano a scartare, si concentrano su una ragazza sulla trentina, molto magra, con le gambe ancora più magre che corrono comicamente cercando di raggiungere un autobus traditore. Carvalho contribuisce a frustrare il suo impegno.
"Doña Esperanza Goñi?"
La donna retrocede di un passo prima di ammettere di chiamarsi Esperanza Goñi e di non avere più nessuna opportunità di raggiungere il mezzo; per di più, Carvalho le esibisce delle credenziali che lei considera importanti.
"Detective Carvalho. Non si spaventi. Sto svolgendo un'inchiesta sulla scomparsa di don Octavio Protocolario. Compagnia di assicurazione, cosa vuole che le spieghi, proprio a lei che è una segretaria efficientissima."
Esperanza, rattristata, comincia a camminare a passettini permettendo a Carvalho di accompagnarla.
"Ero segretaria. Ora non più. Ero la segretaria di don Octavio, ma suo padre mi ha messa agli archivi, per certi versi mi ha abbassata di categoria, mi ritiene responsabile dell'altra vita di suo figlio, del fatto che non l'avevo tenuto informato."
"Un imprenditore è sempre un imprenditore. Sono sicuro che lei era leale al suo capo, don Octavio; in fin dei conti, il suo dovere era questo."
"È la mia etica."
"La sola possibile. Lei saprà chi era l'amica del suo capo. Lei mi capisce. La mia compagnia è sull'orlo del fallimento e non ci sono archivi da consultare. Devo risolvere questo caso, altrimenti…"
Carvalho con un dito fa il gesto di tagliarsi il collo e guarda penetrantemente una signorina Esperanza piena di solidarietà.
"Mi aiuti. Devo trovare quella mala femmina."
"Mala femmina? Ma se era incantevole!"
"Meglio. Molto meglio. Ma ho bisogno di parlare con quella donna. Forse lei sa come trovarla."
Esperanza custodisce un segreto eccessivo per tenerlo soltanto per sé, e Carvalho ha la certezza che quel segreto le sfuggirà dal cuore prima di arrivare alla fermata per attendere l'autobus successivo.
"A volte ci telefoniamo. Con Marta. Quella mala femmina si chiama Marta e adopera il cognome del marito."
"È sposata?"
"Lo era stata. Con un pilota delle Aerolíneas Argentinas. Mi scusi. Mi scappa l'autobus."
Corrono maldestre le lunghe zampette di Esperanza, mentre Carvalho ricorda che anche Beatriz Maluendas era sposata con un pilota delle Aerolíneas Argentinas. O si tratta della stessa donna o le statistiche ce l'hanno con i piloti di quella compagnia.
"Don Vito, di corsa a Ezeiza e una volta lì domandi di un pilota chiamato Fanchelli. Sarebbe il marito della mala femmina."
I viaggiatori più inesperti o più esibizionisti hanno abbandonato l'aereo con indolenza, con voglia di essere gli ultimi, di essere attesi dai viaggiatori più diligenti già a bordo della navetta dell'aeroporto; piloti e hostess salgono sul furgoncino per il personale di volo. Quando scendono davanti all'edificio centrale di Ezeiza un impiegato bisbiglia qualcosa all'orecchio del primo pilota. Assente. È un uomo robusto e atletico. Cammina con elasticità tenendo in mano una valigetta fino a raggiungere un piccolo ufficio dove don Vito lo accoglie con un ampio sorriso. L'investigatore gli stringe la mano prendendo l'iniziativa e gli allunga un biglietto da visita mentre gli spiega a voce alta:
"Altofini e Carvalho. Investigatori Associati".
Il pilota ha lasciato per terra la valigetta. Tiene con una mano il biglietto. Con la destra. Aspetta che don Vito gli dica qualcos'altro.
"Signor Fanchelli, è di vitale importanza per noi incontrare quanto prima la signora Fanchelli."
"Di chi sta parlando?"
"Di sua moglie, la signora…"
Non fa in tempo a ripetere il cognome. Il pilota gli molla un sinistro alla mascella che fa crollare don Vito. Poi lascia cadere sul corpo disteso il biglietto. Prende la valigetta ed esce dalla stanza tranquillo, si direbbe quasi felice.
Ormai nell'ufficio di "Altofini e Carvalho. Investigatori Associati", Carvalho e Alma cercano di restaurare la mascella di don Vito.
"Era mancino."
"Come ha fatto a notarlo?"
"Perché mi ha picchiato con il sinistro senza mollare il biglietto che teneva con la destra. Di che cosa ride, Alma? Non capisco perché alle donne diverta sempre vedere noi uomini che finiamo umiliati. Attenzione. Non me la tocchi, Carvalho, come se non fosse sua. Me la tocco da me. La mascella è a me che fa male. Quando è lei a toccarmela, Alma, il male lo sento meno."
Carvalho abbandona le sue intenzioni di guaritore e si scusa per non aver avvertito in tempo don Vito del fatto che Marta, la mala femmina, qualche volta si fa chiamare Fanchelli, ma che il suo matrimonio non è più tale da anni.
"Infatti, è spagnola d'origine e qui inizia la carriera con Fanchelli sposandoselo. Dopo Fanchelli, è vissuta con un importatore di scarpe di lusso. Ha becchettato in altre fortune. È tornata in Spagna. Ha cercato di fare del cinema, in Spagna e qui."
"E ci è riuscita?"
"No, ma ha ottenuto qualche mantella di ermellino, qualche stola di visone, mai una pelliccia intera."
"Nemmeno in Spagna ha mai avuto una pelliccia intera. È il suo destino. Una mala femmina con una mantella di ermellino, come nel tango. Soffochiamo nel tango. E sapendo tutto questo, perché non mi ha avvertito? Dove possiamo trovarla adesso?"
"Le Bahamas, Santo Domingo, Miami, Las Vegas, New Orleans, sempre i migliori alberghi, a Miami, per esempio, il Fontainebleau. Il suo ultimo finanziatore è Pacho Escámez. Si trova a Buenos Aires e stasera cenano Chez Patrón."
"Pacho Escámez? Quello della televisione?"
"Quello della televisione."
"Sembra impossibile. In Spagna aveva abbindolato un produttore televisivo, qui un presentatore. Questa donna è geniale. Fa il bis persino con i mestieri dei suoi amanti e con le situazioni."
Carvalho prende il telefono e fa un numero.
"Don Leonardo? Sarebbe il caso che stasera cenassimo insieme a Puerto Madero. Chez Patrón, d'accordo? No, non è un capriccio. Ma ci sono molte possibilità che si possa vedere di persona la signora Fanchelli. Organizzeremo un tavolo verosimile. Lei ci mette la carta di credito e io tutto il resto."
Alma domanda:
"Cos'è un tavolo verosimile?".
"Tu, don Vito, io, don Leonardo."
Alma si ritira senza voltare la faccia e dalla porta comunica:
"Non contate su di me. Ho le mie teorie sul verosimile".
"Chez Patrón. E vuole perdere l'occasione? Un tavolo senza una donna non è verosimile. E se mi portassi una cuginetta?"
Ormai sul portone, Alma guarda l'orologio. Cerca impaziente un taxi. Ne appare uno con rapidità misteriosa.
"All'università. Il più veloce possibile. Sono in ritardo."
Alma si distrae guardando gli spezzoni di macchine e persone. Il taxi cerca la via per la Città Universitaria, ma a un tratto Alma si sorprende, le pare di fare un giro eccessivo e più tardi constata di aver preso una strada che ignora, che la sua memoria rifiuta. Un vetro la separa dal tassista. Alma vi batte leggermente con le nocche."
"Non si sbaglia, signore? Le ho già detto che vado di fretta."
Il tassista non si scomoda nemmeno a voltarsi, e Alma decide di non inquietarsi, ma si inquieta. Prima verifica che le portiere non si aprono. Sono bloccate. Adesso decide di irritarsi, spaventarsi. Comincia a picchiare coi pugni sui vetri dei finestrini cercando di attirare l'attenzione dei rari passanti in quei luoghi solitari. Il taxi procede lungo strade che non conosce, ma che suppone vicine a Quilmes, e le diventa eterna l'uscita dalla città verso boschi sporchi e solitari, per infilarsi poi in un sentiero che si addentra nella penombra boschiva. Il terrore non le ha impedito di vedere come il dito del tassista abbia premuto un meccanismo che ha sbloccatole portiere. Alma reagisce rapidamente per aprire quella a destra e uscire, ma la conquista dell'esterno prevede che si imbatta in due motociclisti che la prendono per le braccia e la stordiscono con un pugno alla mascella.
Quando si sveglia vede le cime degli alberi, il cielo annuvolato, a anche quattro motociclisti e il ciccione che la circondano. L'hanno legata per terra, in croce e a gambe aperte, tra quattro pioli. Il ciccione comincia a colpirla con calci leggeri, con la punta della scarpa sul sesso. Alma urla di paura e di dolore. Il ciccione le si china addosso. La paura della donna ingigantisce davanti a quel primo piano.
"Lo sai cos'è questo?"
Le mostra un grosso rasoio.
"Cosa preferisci che ti tagli? I capezzoli? Il clitoride? O forse preferisci questo."
Una mano guantata le offre una sostanza vischiosa.
"Tieni, mangia merda. È una merda migliore di quella che ti esce dalla bocca. Questa merda è mia. L'ho cagata proprio stamattina."
Alma muove la testa, stringe i denti, ma non può evitare che l'impasto vischioso le cada sulle labbra, sul naso.
"È l'ultimo avvertimento. Attenta a quello che dici ai tuoi studenti. Attenta a fare lavaggi del cervello."
Il ciccione scompare. Le cime degli alberi. Il cielo di nuovo. Le lacrime di Alma sulla sporcizia del suo viso e i conati ad annunciare il vomito che lo stomaco e le lacrime le negano.
Gli occhi di Pascuali si rifiutano di accettare quel che vedono per terra. Alle sue spalle Vladimiro combatte contro la voglia di vomitare e altri due poliziotti aspettano ordini presi dalla compassione. Alma apre gli occhi perché esca il terrore. Nausea e compassione in quelli dei due poliziotti. Pascuali scappa dalla sua paralisi, si accovaccia, strappa i pioli, slega la donna con l'aiuto ormai sollecito di due colleghi. Uno di loro porta un bidone dalla macchina e Pascuali bagna il suo fazzoletto per pulire il viso di Alma, acqua e fazzoletto sono insufficienti, fino a quando lei stessa si impadronisce del bidone e si versa dell'acqua sulla faccia, sulla testa. Si solleva e piange sotto i rivoli d'acqua, cerca rifugio tra le braccia di Pascuali, gli viene concesso, il pomo d'Adamo dell'uomo sale e scende al ritmo di un'angoscia muta, mentre gli strazianti singhiozzi della donna gli colpiscono il petto. A un tratto Alma capisce dove si trova e si ritira bruscamente, come se abbracciasse qualcosa di sgradevole, uno di fronte all'altro i visi della donna e di Pascuali recuperano la distanza, la diffidenza.
"Chi è stato?"
"Lei non lo sa? Certo… passeggiava nel bosco e mi ha trovata per caso. È il suo bosco preferito?"
"Avvertimento telefonico. Ha riconosciuto qualcuno?"
"Adoperi l'immaginazione. È necessario che sia io a dirle chi può avere il coraggio di fare una cosa simile? Chi è quella persona o quella gente che continua a godere di impunità totale?"
"Nell'Argentina di oggi, nessuno."
Alma grida isterica:
"Nessuno? Ha proprio detto che nessuno gode di impunità? Intendo dirglielo, ho riconosciuto quel ciccione figlio di puttana, il luogotenente del Capitano. E quei tizi che vanno con le moto. Lo arresterà? Vuole che la accompagni?".
Pascuali sollecita Alma a entrare nella macchina. Le si siede accanto, è Vladimiro a guidare e nello specchietto retrovisore studia l'ostinato mutismo di Alma e Pascuali finché la donna propone:
"Mi lasci a casa mia".
"Mi perdoni ma non posso portarla direttamente a casa."
"Non sono in vena di deposizioni."
"La deposizione è inevitabile. Non si tratta soltanto di una deposizione. Prima ci sono altre cose da fare."
Alma vive una lunga, interminabile traversata di Buenos Aires, e il percorso si concreta nei paesaggi che portano alla residenza di Robinson. L'auto di Pascuali entra dalla porta aperta sul giardino, occupato da altre auto della polizia, da un'ambulanza. Il viso ferito, stanco, stupito di Alma si affaccia al finestrino. E riceve l'ordine di scendere, di seguire Pascuali, di buon passo, un passo improprio per la stanchezza dell'anima. La scala che conduce al piano superiore, il disimpegno che conduce a una camera da letto molto ampia, un letto doppiamente doppio e sulle lenzuola insanguinate il cadavere seminudo di Robinson. Un taglio alla gola che quasi gli stacca la testa. Il lama rumina in un angolo della stanza. Il pappagallo dall'altalena del suo trespolo dice di tanto in tanto: "Mi piacciono le pazze. Mi piacciono le pazze". Alma ha scostato lo sguardo dal quadro sanguinoso e controlla la voglia di ridere pervia del salmodiare del pappagallo.
"Era necessario portarmi qui, così come mi trovo?"
"Vi conoscevate. Pochi giorni fa siete stati qui, il suo gagliego, il pagliaccio ebreo e lei."
"Che cosa le secca di Norman: che sia un pagliaccio o che sia ebreo?"
Pascuali non risponde e Alma sceglie di passeggiare per la stanza.
"È l'unico morto?"
"Le viene in mente qualcun altro?"
"Venerdì."
"Venerdì? Ah, sì. Robinson e Venerdì. No. Non c'è. Che gliene pare se lo si spiega come un delitto passionale? Un domestico nero e culattone scanna il suo signore bianco e culattone che risulta essere Robinson Crusoe."
Il pappagallo sembra avallare la tesi di Pascuali.
"Mi piacciono le pazze. Mi piacciono le pazze…"
"Raúl era qui quando siete venuti voi?"
"No. Glielo giuro. Ma Robinson, beh, comunque si chiami…"
"Si chiamava Joaquín Gálvez Rocco e sono certo che questo nome le dice qualcosa. Era uno di quegli oligarchi che voi ricattavate, denunciavate, a volte sequestravate, rapinavate, assassinavate o giustiziavate o facevate fuori, che parola veniva adoperata?"
Alma guarda il morto come se l'avesse appena conosciuto.
"Gálvez Rocco."
"La sua morte, a chi conviene?" le domanda Pascuali.
"Al genere umano nel suo insieme. Gálvez Rocco era uno degli oligarchi che appoggiavano la Giunta Militare, come Ostiz o Pandungo o Mastrinardi. Non perda troppo tempo con questo tizio. Non farà niente per me? State cercando il ciccione?"
"Non riusciamo a trovarlo. Non sarà tanto ingenuo da aspettare a casa che spicchiamo un mandato nei suoi confronti. Non sappiamo nemmeno dove abiti."
"E in casa del Capitano?"
Pascuali esita.
"Non sapete neanche dove abita il Capitano?"
"È materia riservata, almeno per me. Nessuno sa dove viva il Capitano, né gli si conosce un cognome credibile, e il ciccione è difficile da trovare."
Il pugno di ferro che colpisce il volto del ciccione si ricrea nelle crepe e nelle tumefazioni che vi ha costruito via via. Gli sanguina la bocca, il ciccione vi porta la mano, si toglie un dente rotto, guarda con paura e sorpresa da cane bastonato il suo aggressore, ma riceve altri due pugni di seguito, alla milza, allo stomaco. Crolla tra i gemiti. Ormai in terra implora pietà con lo sguardo. Davanti a lui si alza il Capitano. Freddo. I suoi piedi prendono a calci il caduto. Poi lo afferra per il bavero, lo solleva nonostante il suo peso, lo sbatte contro la parete, gli assesta una ginocchiata ai testicoli.
"Capo, per pietà."
"Chi ti ha chiesto di ficcarci il naso? Chi ti ha chiesto di rapire la professoressa? Chi ti ha chiesto di uccidere quel disgraziato?"
"Io non ho ucciso nessuno, capo, glielo giuro."
Un relitto insanguinato contro la parete. Sembra persino dimagrito. Approfitta della tregua dei colpi.
"Confesso di aver esagerato con la professoressa perché sono dispiaciuto del male che può fare alla bambina. Ma non ho ucciso nessuno, lo chieda a questi qui."
Il coro di motociclisti rimane nella penombra e in silenzio.
"Di quale morto mi parla, capo?"
Il Capitano preme lo start del video. Sullo schermo, il cadavere scannato di Robinson steso sul letto.
"Il lavoro di chi l'ha scannato è buono, ciccione."
"Non è mio, capo, glielo giuro. Ma so a chi attribuirlo. È buono. Ma non è mio. Io volevo soltanto proteggere la bambina."
"Forse questo lavoro protegge più me che la bambina. O no. Proteggere me è proteggere Muriel."
Carvalho trattiene il volo delle sue mani sul bavero del poliziotto. Pascuali se l'aspettava e un suo pugno si era stretto fino a imbiancare le nocche.
"Lei è all'altezza del suo mestiere. Questa donna è stata sequestrata, colpita, e lei la trattiene da ore senza un'accusa."
"È già stata accudita. L'ha visitata la nostra équipe medica. Le hanno anche dato dei sedativi, e se continua a essere qui è per la stessa ragione per cui ci siete voi. Siete state le ultime persone che ci risulta abbiano visto Robinson Crusoe e Venerdì da vivi."
"Che aspettiamo? A quanto pare le piace proprio tanto tenerci in questo commissariato."
"Aspettiamo il figlio di Robinson. È un suo preciso desiderio."
"È noi che desidera vedere?"
Pascuali si rifiuta di rispondere e volta loro la schiena, condannandoli a un'attesa che Silverstein dedica ad accarezzare la faccia indolenzita di Alma e Carvalho a maledire le circostanze che lo hanno portato a Buenos Aires e quella sensazione di complicità con quei residui umani e storici, e ripete gli aggettivi con rancore e compassione mentre contempla la Pietà composta da Silverstein e Alma.
"Vi volete troppo bene. Vi compatite troppo."
"Che cosa dice il gagliego?"
Il gagliego non fa in tempo a rispondere. È evidente che è entrato qualcuno di importante. Un uomo sulla quarantina, in abiti sportivi, di uno sport raffinato, sport di gala, seguito da due uomini travestiti rigorosamente da avvocati. Cammina con la sicurezza di chi si porta in tasca dieci carte di credito Oro e si rivolge alla guardia all'ingresso come se fosse un bidello.
"L'ispettore Pascuali mi sta aspettando. Sono Gálvez Aristarain. Mi annunci."
Il poliziotto bidello gli indica la via di accesso all'ufficio di Pascuali e lo precede. Il nuovo arrivato passa davanti alla sconfitta truppa carvalhiana, assorta e abbattuta dall'inerzia. La porta dell'ufficio si è aperta a incorniciare un Pascuali imbronciato che attende l'annuncio del poliziotto ciambellano il quale legge il biglietto da visita consegnatogli.
"Gálvez Aristarain."
Gálvez Jr. prescinde dall'introduttore e propone la propria mano a Pascuali.
"Pascuali?"
Pascuali si attacca magneticamente alla mano.
"Mi scuso per il ritardo, ma il mio aereo privato non è stato progettato per combattere le tempeste serie. È già un miracolo se siamo qui. Sono passato dall'obitorio. Effettivamente, è mio padre. I nostri unici contatti fino a un paio d'anni fa, da quando era diventato Robinson Crusoe, sono stati notarili e telefonici."
Pascuali lo invita a entrare nel suo ufficio e da lì gli offre la contemplazione di quelli che sono rimasti fuori.
"Ecco lì tre personaggi singolari: una professoressa universitaria, un detective privato, un comico. No. No, non sono ammattito. Sono gli unici ad aver visto suo padre prima di morire. I mendicanti che ospitava sono scomparsi. Venerdì, il domestico…"
"Liberto. Mio padre lo costrinse a chiamarsi Liberto quando lo prese a servizio. Il suo vero nome mi sfugge."
"Beh, Liberto è sparito e io sto per farle una domanda che ledevo fare, anche se è possibile che domanda e. risposta restino soltanto tra me e lei. Suo padre e Liberto, avevano una relazione? Lei mi capisce…"
"Mio padre, al momento di consegnarmi la gestione di buona parte dei suoi beni, mi aveva confessato anche alcuni segreti di famiglia. Molti di essi a lei non servono. Altri, a quanto pare, sì. Mio padre mi aveva detto di essere stato sempre bisessuale e che dopo i cinquantacinque, cinquantasei anni, era diventato dichiaratamente omosessuale."
"Le analisi dimostrano che Venerdì, cioè Liberto, ha un Aids galoppante. Abbiamo avuto accesso alla cartella medica della terapia seguita dal nero. Gli rimane qualche mese di vita. Ha davanti a sé il curioso gruppo con cui suo padre era entrato in rapporti per motivi che suppongo…"
"Quali motivi?"
"Negli ultimi tempi, la vecchia residenza di San Isidro era diventata una specie di ricovero per il pattume umano. C'è in giro un desaparecido, un disgraziato, amico e parente di questa gente, e non mi sorprenderebbe che suo padre gli sia servito da contatto. Li ho tenuti qui perché parlino con lei, chissà se questa conversazione sarà in grado di chiarire qualcosa."
Gálvez Jr. valuta il terzetto in attesa e nega con la testa.
"Questo incontro non mi interessa."
"Ma lei mi ha detto…"
"So quello che le ho detto, ma l'incontro ha smesso di interessarmi."
Pascuali si stringe nelle spalle e le tiene ancora strette quando congeda Carvalho, Alma e Silverstein.
"Potete andare, ma dovete rendervi rintracciabili."
"Con grande gioia."
"Non mi faccia arrabbiare, Carvalho. Posso diventare la sua ombra e renderle il lavoro impossibile."
"Dalle nove e trenta in poi mi può trovare al ristorante Chez Patrón. Cucina d'autore."
Pascuali rinuncia a irritarsi. Gálvez sorride curioso, e Alma tiene per sé l'indignazione, che scoppia quando il terzetto giunge instrada.
"Vale a dire, che il gagliego se ne va a cena, tu ai tuoi tanghi, e io dopo la giornata che ho avuto… A casa? Ad aspettare che vengano ancora a prendermi? Ad aspettare che mi trovino di nuovo emi riempiano la faccia di merda?"
"È una cena di lavoro. Eri stata invitata e ti sei rifiutata di venire. Vuoi che lasci soli don Vito e quella racchia garantita di una sua cugina o nipote che si tirerà dietro?"
"Dimmi… tu credi che me la senta di uscire a cena?"
Silverstein la protegge mettendole un braccio sulle spalle.
"Vieni con me. Ti puoi sdraiare un po' nel mio camerino."
"Poi passerò a prenderti. Stanotte dormi in casa."
Alma si rassegna al fatto che i due uomini dispongano della sua vita. Quando il gruppo sta ormai per sciogliersi, uno degli avvocati di Gálvez allunga un biglietto da visita a Carvalho.
"Il signor Gálvez Aristarain avrebbe molto interesse a parlare con lei di questioni professionali."
Gálvez Aristarain gli passa accanto. Carvalho lo abborda.
"Questo biglietto è suo?"
"Sì."
"Non è capace di distribuire i suoi biglietti da solo? Ha bisogno di un avvocato per questo?"
Gli avvocati si stanno innervosendo e uno di loro accenna ad affrontare Carvalho. Gálvez Jr. lo trattiene. Riprende il biglietto dalla mano di Carvalho, lo straccia, ne prende un altro dal portafogli e glielo consegna.
"Contento?"
"Lei è un giovane molto bene educato."
Alma è molto fiera di Carvalho.
Sulla cinquantina e in technicolor, don Vito la sfoggia come la sua cugina migliore, dalla parlata fine, persino colta, come se pensasse in calligrafia, dice, una calligrafia ben profilata. Carvalho è solo e perde in parte il comportamento d'animale intrappolato dalla cordialità della dama e dai cortesi salamelecchi di don Vito solo quando vede comparire don Leonardo. È Carvalho a fare le presentazioni.
"Madame Lissieux, professoressa di ballet, e nipote del mio socio, che lei già conosce."
"È mia cugina, non mia nipote; ed è ballerina di danza moderna. Va precisato."
Don Leonardo le bacia la mano.
"Trattandosi di lei non poteva essere un altro genere di danza."
Dopo essersi seduto, don Leonardo resta in attesa di una spiegazione. Carvalho gli indica con il mento un tavolo vuoto e aggiunge:
"Se il mio intuito femminile non mi inganna, a quel tavolo si siederanno la mala femmina e il suo amante attuale, un presentatore televisivo che ormai non presenta quasi più niente, ma lei non lo sa".
"No. Non vengo preparato. Non so se la mia reazione sarà quella giusta."
"Si controlli e ricordi la massima di Confucio: aspetta alla porta di casa e vedrai passare il cadavere del tuo nemico."
Madame Lissieux corregge Carvalho a tu per tu, a voce bassa.
"È un proverbio arabo."
"Lo so. Ma di solito colpisce di più i clienti come massima di Confucio. Io attribuisco quasi tutto a Confucio. Persino i pensieri di Menem."
I piatti si succedono, il tavolo indicato da Carvalho continua a restare vuoto e don Leonardo filosofa su quel che sta mangiando.
"È questa la nouvelle cuisine? Non è il cibo che più mi piace, anche se me lo posso permettere. Per me, il meglio sono le osterie, La Cabana, se volete, la Costanera, e per fare buoni affari e mangiare bene, non c'è niente come il ristorante della Cámara de Sociedades Anónimas, dalle parti di Florida, dietro il Cabildo. E quella donna non arriva."
"Questa cucina la potremmo chiamare 'cucina d'autore'."
Madame Lissieux aggiunge:
"Come quella che faceva il Gato Dumas. Credono che Robuchon e Girardet stiano per ritirarsi. Cucina d'autore. Come il cinema di Bergman".
Don Vito è orgoglioso del livello della sua accompagnatrice.
"Claire, sei indispensabile nelle cene interessanti con gente interessante."
Don Vito e Claire allacciano le mani e gli occhi di Carvalho vanno dalle curate mani di Claire alla porta. Eccola lì, la mala femmina, accompagnata dal presentatore Pacho Escámez. Abbastanza alta, sufficientemente piena, bionda, con una pelle bianca, lattiginosa, come se fosse stata pennellata con lo stesso latte che potrebbe uscire dai suoi seni sufficienti che si affacciano alla scollatura. È Beatriz, Beatriz Maluendas, ma passa accanto a Carvalho senza riconoscerlo. Al suo fianco, il vecchio Escámez travestito da eroe postmoderno della televisione trascina don Vito a una considerazione escatologica.
"Quanto è invecchiato Pacho. Sembra una mummia appena uscita dal cimitero della Recoleta. Ma buca ancora lo schermo."
Tutto quello che in Escámez è sicurezza da vecchio seduttore telegenico, nella donna è gioia di vivere, che trabocca nel suo semplice camminare verso il tavolo, nell'entusiasmo con cui sceglie il menu, con cui accarezza la mano venosa e piena di efelidi del vecchio. Gesto dopo gesto sono seguiti dagli occhi incisivi di don Leonardo. Carvalho se lo studia. Gli raccomanda:
"Non li guardi troppo. Se ne accorgeranno".
"Pensare che questa figlia di puttana…"
Don Leonardo aspira l'aria per contenere le emozioni. Contenzione ed emozioni eccessivamente ovvie, pensa Carvalho. La mala femmina invece lancia il fumo della sigaretta in faccia a Escámez, che cerca di sgridarla senza voglia. Don Leonardo guarda con gratitudine chi lo circonda.
"Grazie di essere stati così efficienti. Eccola lì. Ecco lì la responsabile della perdizione di mio figlio."
Carvalho sospira e affronta don Leonardo.
"È pur sempre una metafora."
"Perché?"
"Se non sbaglio, suo figlio ha trent'anni, e la signora, coniugata Fanchelli, Marta Fanchelli, o Beatriz Maluendas, per la precisione, deve averne all'incirca trentacinque. Non si può parlare di infanticidio."
Leonardo sorride tristemente.
"Mio figlio potrebbe essere il numero uno in tutto, ma quanto alle donne è appena uscito dal guscio. Noi siamo di un'altra generazione. Abbiamo vissuto meno protetti. Io cominciai vendendo abbigliamento intimo per signore porta a porta e a rate e mi fottevo metà delle clienti, mi scusi, signora Lissieux. Lo sa dove era andato a sbattere mio figlio? Mi avevano detto che si era cacciato in una di quelle sette americane stabilitesi in America Centrale. Me l'hanno programmato. Cosa posso fare?"
L'insistenza dello sguardo di don Leonardo ha allertato Marta Fanchelli che gli invia un sorriso di risposta.
"Lo vede come mi guarda?"
Madame Lissieux sta al gioco.
"Sta di fatto che lei è un gran bel vedere."
Don Vito stringe un braccio della cugina ed è come un segnale. Madame Lissieux si alza e va al tavolo del presentatore e della sua accompagnatrice. Don Leonardo guarda Carvalho con sorpresa, ma segue i movimenti della ballerina di danza moderna che schiva tavoli, camerieri, tavolinetti in fiamme per via dei flambés.
Claire ha un notes in mano e una sottile penna a sfera d'oro. Supera la sorpresa con cui Pacho la riceve.
"Mi scusi, ma l'ho riconosciuta appena è entrato. Lei è stato e continua a essere il mio conduttore televisivo preferito. Ricordo anche i suoi tempi di protagonista di telenovelas. Nessuno è ancora riuscito a superare Nostalgia di organdis, né Soldi insanguinati, insieme a Mirta Legrand. No, no, era la Laplace."
Ampio sorriso sulle labbra color lillà di Escámez. Prende soddisfatto la penna e scrive una lunga dedica. Madame Lissieux si volta verso Marta.
"Al mio tavolo commentavamo che lei sta per diventare senza dubbio una grande stella del canale, del canale otto. La sua ultima scoperta, don Pacho?"
"Può darsi."
Il vecchio bacia la mano di madame Lissieux quando questa si congeda. Carvalho si è chinato verso don Leonardo e le istruzioni che gli da a voce bassa sembrano ordini inappellabili.
"Lei si chiama Álvaro de Retana, fabbrica imitazioni di antichità e ha diversi negozi di pelletteria nella zona, logicamente, di Santa Fe, in Paraguay, luoghi simili. Questi sono i suoi biglietti da visita."
Don Leonardo contempla con stupore i biglietti che Carvalho gli porge. Vi è scritto "Alvaro de Retana. Pelletterie Los Macabeos ".Un indirizzo che non gli dice niente.
"Mi sono permesso di affittare a suo nome un lussuoso appartamento accanto all'Hotel Alvear. Adesso farà il primo passo per entrare in contatto con la signora, dopo di che il nostro lavoro sarà terminato. Andrà con madame Lissieux, che intratterrà Escámez, e darà uno di questi biglietti, con molta discrezione, alla mala femmina. Tutto quello che può accadere a partire da adesso sono affari suoi. Incluso il pagamento della nostra parcella."
Leonardo non sa se indignarsi o fare quel che gli si ordina. Madame Lissieux non gli lascia scelta. Si alza e comincia a camminare, don Leonardo la segue, Carvalho e don Vito osservano e aspettano che gli eventi convalidino la loro strategia. Madame Lissieux e don Leonardo salutano la coppia. Pacho conversa con la Lissieux e don Leonardo dialoga con la donna. Qualcosa passa dalla sua mano a quella di Marta.
Con le dita a proteggergli la bocca, don Vito commenta:
"Saremo complici di un delitto."
"O dell'inizio di una grande amicizia."
"Con quella che gli ha portato il figlio alla perdizione?"
"Mi pare che ci sia una tragedia greca in cui succede qualcosa di simile".
Don Vito è meravigliato dell'abilità di madame Lissieux.
"Ma Claire, quanto ci sa fare! Avevo pensato di farle un regalino. Quando incasseremo, certo. Non una commissione, mi capisca. Un gesto gentile. Qualcosa di fine."
C'è entusiasmo nello sguardo di Carvalho, che contempla i preparativi degli aerei privati, come se ci volesse salire. Si volta quando nota la presenza di qualcuno alle sue spalle. Gálvez Jr. e i suoi avvocati. Si stringono quanto basta le mani e il finanziere cerca di parlargli in disparte.
"Perdoni la precipitazione dell'incontro, ma sto passando un periodo in cui mi sento come una foglia al vento, sbattuto di qua e di là. Voglio che lei svolga un'indagine parallela a quella della polizia e mi tenga aggiornato su come si muovono. La storia dell'Aids non mi è piaciuta per niente. Se Venerdì ha l'Aids, si tratta di qualcosa in grado di danneggiare tutti noi; per cominciare, la memoria di mio padre. Oggigiorno gli affari si basano sulle apparenze, sull'immagine. Se ci si butta sopra del petrolio diventano incendi giganteschi. Appena il petrolio ha finito di bruciare, l'incendio è bello che spento."
"Scusi, ma non capisco. Con le metafore sono duro di comprendonio."
"Capisca o non capisca la metafora, ha capito comunque che è stato ingaggiato. La lascio a uno dei miei avvocati perché vi mettiate d'accordo. I soldi non sono un problema."
Si incammina verso un bell'aereo privato accompagnato da due dei suoi addetti; accanto a Carvalho resta l'avvocato in soprannumero.
"Lei non viene portato a spasso sull'aereo?"
"È più che un aereo. Io e lei dobbiamo parlare di soldi."
"L'avverto che voglio fare la mia America."
L'avvocato non capisce la metafora.
"Io e lei siamo duri per le metafore. Soldi! Molti soldi! Molti!"
È Carvalho ad allungare l'assegno per farlo vedere a don Vito, che occupa la poltrona abituale di Carvalho.
"Soldi! Soldi! Molti soldi! Ma anche molto lavoro. Il caso della mala femmina. Adesso quello di Robinson Crusoe."
"Ci servirà un aiutante."
"Questa sarebbe ormai una multinazionale o uno studio di avvocati o architetti. Non mi piacciono le multinazionali."
"Distribuiamo il lavoro. Bisogna organizzarsi."
"Lei si specializzi in male femmine, e io vado in cerca di Venerdì."
"E di suo cugino. Non dimentichi suo cugino."
Appena Carvalho gli volta le spalle, un don Vito irritato per aver visto rifiutare la sua offerta fa al collega il gesto delle corna. Carvalho non ha voluto vederlo, ma non può fare a meno di vedere la presenza di Pascuali che gli salta addosso appena esce dal portone. Carvalho si mette a camminare aspettando che sia il poliziotto a prendere l'iniziativa. Per il momento cammina al suo fianco come se lo stesse accompagnando, seguito a due metri dai suoi scagnozzi preferiti.
"Non si può negare, lei è un gran lavoratore."
"Lei sembra un poliziotto a cottimo. È un buon esempio della produttività dei lavoratori pubblici. Menem gliel'ha già data la medaglia del lavoro? Le danno una commissione per ogni arresto effettuato?"
"Sta imparando a pilotare? Ieri l'hanno vista all'aeroporto, in compagnia di Richard Gálvez. Non voglio più trovarla tra i piedi."
"Mi muove la logica della situazione. Il caso Robinson conduce a Raúl. Appena avrò trovato Raúl e sarò riuscito a convincerlo a partire con me per la Spagna, addio. La libererò della mia presenza. Ma quel che non capisco è perché le do più fastidio del Capitano. A mandarla davvero in bestia è il Capitano. Chi ha il controllo in quest'ordine di merda? Lei davanti alle camere della tivù o il Capitano dalle sue fogne?"
"Non mi venga con problemi etici a quest'ora. Sono qui per proporle un patto che in realtà c'è sempre stato: Venerdì in cambio di Raúl. Se lei trova Raúl, io le tendo un ponte d'argento perché se lo porti via, se è questo che vuole, se lo porti via in Spagna e a quel paese; ma per quanto riguarda il caso Gálvez–Robinson, voglio che mi comunichi immediatamente tutto quello che le riuscirà di sapere."
"Troppo interesse per un Robinson. È un semplice caso di arteriosclerosi. L'ha potuto scannare Venerdì, un mendicante…"
"Come prova delle mie buone intenzioni, le do un'informazione che forse non ha. Robinson si è rivelato un ricattatore."
Carvalho non rallenta, ma Pascuali nota che quantomeno ha cambiato andatura.
"Ricattatore per amore dell'umanità, come no. Minacciava i grandi pescecani della finanza, dell'industria, del commercio, voleva un'imposta rivoluzionaria per recuperare le Malvinas, per i suoi falansteri, per redimere l'umanità. Conosceva tutta la spazzatura prodotta dall'oligarchia di questo paese negli ultimi trent'anni. Capisce perché gli hanno tagliato la gola?"
"Oligarchia. Che linguaggio, Pascuali. Lei sembra un poliziotto convinto dell'esistenza della lotta di classe."
"Non sono nemmeno un seguace dell'Aids, eppure l'Aids esiste."
Il detective accelera la marcia per vedere se Pascuali fa altrettanto, ma il poliziotto abbandona la sua scia mentre fa segno perché si metta in moto una macchina per seguire Carvalho.
Indubbiamente è la corsia dei malati più malati e ci passa quasi in punta di piedi per non arrecare disturbo a se stesso con un eccesso di compassione. Il dottore che lo precede sembra dormire in piedi mentre cammina, ma quello che era sonnolenza diventa nervosismo quando rimane da solo davanti a Carvalho dentro l'ufficio.
"L'avverto che la mia amicizia con Raúl Tourón, con sua moglie, Berta, che riposi in pace, non fu mai politica. Non dovrei neanche parlare con lei avvalendomi del segreto professionale."
"È un caso di vita o di morte. Venerdì, vale a dire, Liberto, il vecchio maggiordomo dei Gálvez, è in fase terminale, vero?"
"Vero, e quanto alle sue condizioni cliniche non le dirò altro."
"Ha bisogno di una cura, una cura che lei gli somministrava ed è da giorni che non passa da queste parti."
"Positivo, e mi sorprende, anche se pure io leggo i giornali e talvolta guardo la tivù. Avevo messo il fatto in relazione con l'assassinio del signor Gálvez, del Robinson."
"Lei ha capacità deduttive."
"La scienza utilizza la deduzione e l'induzione."
"Non stia così in campana, amico. Queste domande non saranno più necessarie appena lei mi avrà detto qualcosa che mi aiuti a trovare Venerdì. Se trovare Venerdì significa trovare Raúl, non ha di che preoccuparsi. Voi vi siete conosciuti da studenti. Io sono suo cugino. Alma, la sua cognata, gli ha già parlato. È d'accordo."
"La sola cosa che so di Liberto è che aveva un amico dalle parti di Bolívar. Dietro il parco Lezama. Capisce dove?"
"Un amico molto amico?"
"Molto amico."
Poiché Carvalho fa spallucce, il dottore consulta una scheda e scrive un indirizzo che gli consegna con l'intenzione di levarselo di torno.
"A tutti gli effetti, io con lei non ho parlato."
Troppa gente all'orizzonte e, per precauzione, Carvalho ordina al tassista di fermarsi e avanza a piedi verso lo scenario del tumulto, dove si scorgono auto della polizia, agenti che deviano il traffico, curiosi, e tra i curiosi si infiltra Carvalho cercando di raggiungere la prima fila dello spettacolo. Quando ci riesce volge gli occhi a guardare quel che guardano tutti: le finestre di un palazzo che lasciano vedere i movimenti degli sbirri, come se tutto all'interno fosse già coordinato per soddisfare le aspettative del pubblico. Pascuali se ne sta dietro la finestra e ascolta le spiegazioni del medico legale o guarda il letto dove Venerdì in slip, morto, conserva gli ammennicoli dell'overdose: un elastico al braccio, la siringa pendente dalla vena, nel momento in cui il medico legale la ritira con le mani inguantate. Ma per farlo ha dovuto scavalcare un altro cadavere, in terra, un ragazzo che sembra addormentato con l'avambraccio sugli occhi.
"Overdose? Anche quello in terra?"
Il medico annuisce e Pascuali molla un pugno in aria.
"Portate via tutto quello che potete portare e perquisite persino dietro le vernici alle pareti."
Va di nuovo alla finestra e il suo viso cambia registro. Ha potuto distinguere Carvalho in mezzo ai curiosi e vede farsi avanti verso di lui un'altra vecchia conoscenza: Raúl. Presto avrà luogo l'incontro di cui Carvalho è ignaro, e Pascuali prende una radio di tasca.
"Attenzione, agenti delle auto quattro e cinque. Prendete posizione accanto al negozio di elettrodomestici all'angolo. Senza farvi notare. Il nostro amico Carvalho e Raúl Tourón sono a pochi passi dal negozio. Operazione di accerchiamento senza farvi notare. Insisto. Procedete all'arresto prima del mio arrivo, ma io esco da qui immediatamente."
Taglia la comunicazione ed esce di corsa, mentre Raúl è riuscito ormai a piazzarsi accanto a Carvalho, lo invita a riconoscerlo senza guardarlo in faccia e gli parla di lato, come se fosse uno tra i tanti spettatori.
"Ho trovato i cadaveri prima della polizia. Mi ero nascosto qui da più di una notte."
"E non ti salta altro in mente che startene qui dove ti possono vedere?"
"Non mi hanno dato tempo di scappare. Insomma. Mi è rimasta ancora la curiosità. Venerdì stava per passarmi un'informazione postuma di Gálvez."
Carvalho non leva l'occhio dalle auto posteggiate della polizia, si sono aperte le portiere, troppi poliziotti sembrano aver voglia di fare quattro passi e tutti li vogliono fare verso il punto dove si trovano loro.
"Se vuoi che ti arrestino, che Pascuali rispetti il patto, se vuoi tornartene in Spagna con me, rimani. Altrimenti, dattela a gambe, perché la polizia sta venendo a cercarci."
Raúl ha ripreso l'atteggiamento dell'animale braccato ed esce di corsa alla velocità della paura. I poliziotti sono sconcertati dalla passività di Carvalho e dalla fuga frenetica dell'altro, si dividono tardi, e quelli che vengono a prendere il detective lo affrontano proprio mentre si accende un sigaro Rey del Mundo speciale all'aria aperta, ma con la lentezza del fumatore da interni. A loro non è piaciuto il gesto ed estraggono le pistole come se queste avessero un sesso, gridano, rimanga lì e non si muova, qualche agente confare isterico, nel gruppo crescono le grida e si fa un vuoto precauzionale intorno all'uomo che fuma il sigaro, senza rispettare la gravita del momento. Arriva Pascuali, respira affannosamente, rompe la cerchia. Rimane davanti a Carvalho. Infine strappa il sigaro dalle labbra di Carvalho, lo butta in terra e lo calpesta.
In ogni parte del mondo i delinquenti abituali si somigliano, come si somigliano gli stronzetti e i matti. Carvalho e sette otto delinquenti abituali, abituali nei delitti e negli aspetti, tranne un omaccione cieco come una talpa. Ha capito che Carvalho non è un delinquente abituale e gli chiede da accendere.
"Lo Stato corrotto e corruttore non distingue più quel che separa la virtù dal vizio, si limita a porgli un limite. Mio papà aveva scritto: 'Non ci sarà mai una porta. Tu sei dentro e il bastione racchiude l'universo'."
"Suo papà era impiegato carcerario?"
L'infinita pazienza del detenuto è già stata messa alla prova, quante volte?, eppure si limita a essere amabile quando risponde:
"Mio papà era Jorge Luis Borges. La letteratura in carne e ossa".
E gli consegna un biglietto da visita mentre si presenta con un ulteriore dettaglio: "Sono il figlio naturale di Jorge Luis Borges".
Prende un quaderno dalla tasca della giacca e lo consegna a Carvalho.
"Elogio dell'ombra, uno dei migliori libri di mio padre. L'ho ricopiato a mano. Lo so a memoria. Lei ama i libri?"
"Tanto che nelle mie mani bruciano."
"Bella immagine! È vero. I libri sono come fiammate che scaturiscono dalle nostre mani."
"Nel mio caso è del tutto vero. Io i libri li brucio."
Ma nota ormai la presenza di Pascuali all'altro lato della grata. Un agente la apre. Il poliziotto indica a Carvalho di uscire, senz'altre spiegazioni si mette a camminare, Carvalho lo segue, ma saluta il figlio di Borges con un gesto complice e Borges Jr. glie n'è grato e recita a voce alta, profonda, calma:
E non ha né diritto né rovescio,
né esterno muro né segreto centro.
Non sperare che il rigar del tuo cammino,
che ostinato si biforca in due,
abbia fine. Di ferro è il tuo destino.
Pascuali si è girato e osserva cupo l'uomo che recita.
"Ci sono più matti fuori che dentro."
"L'ha arrestato perché è pazzo?"
"Perché è un impostore."
"Non è il figlio naturale di Borges?"
"È il figlio soprannaturale. Vada a casa."
Carvalho non discute la proposta, ormai nell'atrio del commissariato pieno d'ombre di sorvegliati e sorveglianti. Le mani di Pascuali trattengono Carvalho prima di uscire.
"Lei non ha rispettato il patto. Ha aiutato Raúl a scappare, e secondo il nostro accordo io l'avrei aiutato a lasciare il paese senza problemi. Lei è pazzo: nemmeno io sono in grado di controllare del tutto il caso Raúl Tourón e lei per giunta si ficca nel caso Robinson Gálvez, che puzza ancor più di marcio. Lo sapeva che Robinson Gálvez era un pescecane che ricattava i vecchi compagni di acquario per raccogliere fondi destinati alla conquista delle Malvinas? Lo sa di che cosa è pieno quest'acquario? Di pescecani!"
E come se Carvalho fosse pure lui un pescecane, Pascuali lo invita a uscire dal commissariato con uno spintone che lo fa barcollare sui primi gradini. Senza guardare in faccia Pascuali, Carvalho respira profondamente e sputa con la voce sufficientemente alta:
"Figlio di puttana!."
Ha urgenza di tornarsene a casa e parlare con Barcellona, con Biscuter, di cucinare forse, ma pur sapendo chiaramente il perché, non sa per chi. Da una cabina informa Alma delle sue intenzioni ma non ottiene certezze. Ormai in casa valuta le possibilità che gli offre la cucina e ricorda una ricetta letta nel supplemento di una rivista e attribuita a una cuoca catalana di Sant Pol de Mar. Il mondo è piccolo. Pilota, il polpettone catalano, su un fondo di verdure e taglierini di seppia. Si impasta la polpa trita di maiale con dell'uovo, pan grattato, aglio, prezzemolo, per poi passarla nella farina bianca e bollirla. Tolta dal liquido, la pilota va posta su un letto di spinaci e striscioline di seppia tagliate come dei taglierini. Una vinaigrette con un tocco di aceto di sherry, un po' di salsa di soia.
"Biscuter? Scusa, ma non sto mai fermo."
Biscuter ha un cahier de doléances e di emergenze, ma, questo sì, è arrivato il bonifico bancario e tutto è pronto per il suo ritorno.
"Le preparo un piatto da leccarsi le dita, capo. Pilota su un letto di verdure e taglierini di seppia. L'ho copiato da una rivista, è di una cuoca di queste parti che si chiama Ruscalleda."
"Non poteva essere di nessun altro posto."
"Il piatto la sorprende?"
"E chi non sorprenderebbe?"
"Sto aggiungendo un po' di raffinatezza alla mia cucina. Quando torna, capo? Ho notizie di Charo che può darsi le piacciano. Pare che stia per tornare."
Ha bisogno di non rispondere, ma Discuter vuole una risposta.
"Che gliene pare?"
"Bene."
"Lo sa cosa ha detto quando mi ha chiamato? Mi ha detto che lei è l'uomo della sua vita."
"Di tutta la sua vita?"
"Questo non l'ha specificato."
Carvalho si disfa più di Charo che di Biscuter e torna alle pentole finché sente suonare il campanello. Estrae una pistola avvolta nella plastica dall'interno di un barattolo di pasta italiana. Se la infila sotto la cintura nascosta dal grembiule. Incolla l'occhio allo spioncino. Apre e Alma è lì, stanca quanto lui.
"Voglio cenare con qualcosa di affettuoso. Sto vivendo delle ore tanto basse che l'orologio le ignora."
Carvalho le fa strada e le descrive il primo piatto.
"Ma questa è architettura, non cucina."
"Ho altre opzioni preelaborate: una frittata con cipolle e baccalà; agnello in agrodolce con erbe di Provenza; fichi alla siriana."
Alma ride sempre più di buona voglia. Carvalho, offeso, aspetta di arrivare in cucina per mostrarle quanto ha promesso.
"Incredibile. Tutto questo l'hai preparato per mangiartelo da solo?"
"Ero depresso e gli avanzi non li butto mai. In Spagna cucinavo per un vicino di casa, Fuster, che è anche un amico. Quando sono solo questa casa si riempie di ospiti immaginari. A volte ho buttato in gabinetto intere pentole di cibo che mi sono costate ore di lavoro."
Hanno finito di cenare e Alma acconsente a farsi avvolgere dal silenzio di Carvalho, poi dallo sguardo, mentre la mano dell'uomo le sfiora il viso e si impadronisce dei suoi riccioli. Lei gli si avvicina con lo sguardo franco, il corpo aperto, ma suona il campanello e Carvalho guarda l'ora mentre esclama:
"Accidenti a me!".
Alma è allarmata.
"Non temere. È don Vito. Non ricordavo di avergli dato appuntamento qui."
Gli occhi di Alma gli chiedono di non riceverlo.
"Me lo levo di torno appena possibile. Non farti vedere."
Don Vito si accascia nella poltrona in ufficio, sopraffatto dal tango che si porta dentro.
"La sua chiamata ha fatto evaporare l'amore che mi circondava."
"Si metta qualche goccia di Fahrenheit di Yves Saint–Laurent. Quello è impossibile farlo evaporare. Adesso sta per raggiungere la vetta della sua carriera. Deve seguire come un'ombra la polizia, Pascuali."
"Ma è ammattito? Salgo su un taxi e dico al tassista: segua quella macchina, l'auto della polizia."
"L'ideale è che lei abbia un tassista fisso, ossia che ingaggi un autista di fiducia che paghiamo noi."
La faccia di don Vito si illumina.
"Madame Lissieux! Era stata campionessa di rally in Europa."
"Le ho ridato il profumo dell'amore. Voglio una lista completa delle visite che Pascuali farà nelle prossime ventiquattr'ore. Sta seguendo dei tipi troppo potenti che non può chiamare in commissariato. Voglio sapere chi sono."
Alma lo sta aspettando nuda tra le lenzuola, ma le sono ancora rimaste alcune domande.
"L'inseguitore inseguito. Perché Pascuali?"
"Sono stato ingaggiato professionalmente dal figlio di Robinson, uno yuppie che si serve dell'aeroplano privato persino per andare a prendere l'aperitivo a Mar del Plata e tornare per giocare a polo a Buenos Aires. È stato rinvenuto Venerdì, morto di overdose. Raúl era lì. A volte si rifugiava in un appartamento che aveva un giovane amante di Venerdì, dietro il parco Lezama. Raúl ci è andato e si è trovato davanti i due cadaveri. Overdose."
"Il Capitano."
"Non so. Robinson Gálvez si dedicava a ricattare gli allegri compagni della sua vita da riccone per riconquistare le Malvinas. Suppongo che Pascuali disponga di una lista di ricattati e che voglia interrogarli in casa loro. Non può mica chiamarli in commissariato, le classi esistono ancora. Vito seguirà Pascuali e in due giorni avremo a nostra disposizione un elenco di oligarchi offesi. Mi interessa avere in mano delle buone carte, perché il giovane Gálvez ha già le sue, lo intuisco."
"Robinson era un terrorista."
"Questo Robinson, sì. Quello originale fu il miglior predicatore dell'individualismo borghese e del provvidenzialismo morale del capitalismo."
Alma è talmente sorpresa dal commento che si solleva sul letto e le tette si affacciano alla trapunta con i capezzoli ancora addormentati.
"Questo lo dico io in classe!"
"È probabile. Dopo questo interrogatorio, continui a essere nuda?"
"A te che te ne pare?"
Quando Carvalho abbraccia il corpo nudo percepisce l'elettricità che emanano tutte le parti appuntite della donna e subito gli si riempie la bocca di peli biondi e ricci su un pube di madreperla. Aveva bisogno di mangiare sesso come chi ha bisogno di baciare la terra dopo un esilio. Alma non parla, non grida, ma le si ammorbidiscono gli occhi con la penetrazione e le sue mani impastano la schiena dell'uomo come se lo riconoscesse a ogni colpo. Poi l'amore, è stato amore, questo teme Carvalho, li rende assorti, malinconia persino in Alma, semivestita davanti ai ceppi già pronti mentre Carvalho fa a pezzi un libro e si accinge a collocarne i frammenti sotto la piramide di legna.
"Signore! Ogni volta che ti vedo ti trovo intento a bruciare un libro. Vuoi l'indirizzo di uno psichiatra?"
Inesorabilmente Carvalho brucia il libro.
"Di che si tratta oggi?"
"Di Borges. L'Elogio dell'ombra, uno dei suoi libri migliori, a detta del figlio. Mi riferisco al figlio di Borges."
"Un figlio di Borges? Borges non ha mai avuto figli. Si sospetta che sia morto vergine."
"Si è presentato come figlio naturale di Jorge Luis Borges e gli somigliava."
"Dove?"
"Nella gattabuia di Pascuali. Mi sono dimenticato di dirti che mi ha tenuto in stato di fermo per qualche ora. Non sapeva se calpestarmi un sigaro o arrestarmi, e ha scelto di calpestarmi il sigaro e tenermi in cella per un po'. In quel libro che sta bruciando, l'ho un po' sfogliato, qualcuno dice che non si esce mai dal labirinto. Ti ho già detto di aver sempre pensato che non sarei mai tornato a casa, fin da quando ero bambino. A quale casa?"
"Pepe, sei ancora più triste di me. Baciami, ma non come hai fatto prima. Baciami come un amante impotente."
"Alla mia età! Fingere due volte. Tutto di fila. Fingere potenza. Fingere impotenza."
Ma la bacia come un amante impotente e poi si allontana da Alma per riordinare le fiamme nel caminetto.
Con la sua migliore attrezzatura decaduta, don Vito aspetta seduto in macchina. Guarda l'orologio troppo spesso. Un taxi si ferma a pochi metri. Scende uno strano essere dal sesso, corpo e viso non identificabili. Paga il tassista attraverso il finestrino. Poi si gira. È madame Lissieux travestita da campionessa di rally anni quaranta, occhiali e gambali inclusi. Saluta a distanza don Vito, con affetto.
"Ma come è arrivata! Sembra Fangio!"
Però cambia espressione per uscire dall'auto e offrire il volante alla donna dopo averle baciato la mano, gesto che appare come la cortesia di un gentiluomo appiccicaticcio a un equivoco pilota automobilistico.
"Sei sempre all'altezza delle circostanze."
"Chi bisogna seguire? Un pericoloso criminale?"
"Il più pericoloso. Lo Stato."
Nonostante gli occhiali si intuisce la concentrazione professionale di madame Lissieux che avvia il motore disposta ad affrontare il suo destino.
"Guidava come se ci stesse mettendo in gioco la vita, più la mia della sua, gagliego, e dribblava le macchine per non farsi sfuggire Pascuali, a rischio che lo stesso Pascuali se ne accorgesse e ci arrestasse."
Carvalho si sente a suo agio nei caffè di Buenos Aires, dove accanto al legno regnano i metalli torniti e uno spazio favorevole al tempo. Don Vito recita la parte dell'uomo stanco dopo una giornata insopportabile. Si allenta il nodo della cravatta. Si sbottona il colletto della camicia.
"Lei lo sa che cosa sia seguire la polizia in una macchina guidata da un autista che sembra la sintesi di Juan Manuel Fangio e dell'Uomo Mascherato, se per giunta quell'autista è femmina, madame Lissieux? Lei ha mai viaggiato con una donna che attraversa l'avenida del Libertador e Callao a centoventi all'ora? Lo sa cos'è accaduto quando ci si è avvicinato un poliziotto a un semaforo per dirci che andavamo troppo veloci e madame Lissieux gli ha risposto: no, non ci arresti, agente, stiamo seguendo quell'auto della polizia?"
"Vi ha arrestato."
"No! Al contrario. Ci ha fatto strada perché potessimo seguire l'auto della polizia."
"Le parole hanno un padrone. Missione compiuta?"
Don Vito lancia teatralmente un foglio di carta sul tavolo.
"Sembra la selezione nazionale dei ricchi argentini ma senza Maradona. Quella gente ha più denaro che Fort Knox."
Carvalho mette via il foglio piegato in due. Don Vito ha ripreso il fiato necessario per attaccar bottone con una fanciulla senza fiore che gli calcola il costo di una notte, letto a parte.
"Non mi sono rivolto a te con queste intenzioni, ma per il puro piacere di annusare il profumo della scollatura e dell'inguine."
"Ma guarda un po' che tizio schifoso!"
Carvalho lascia don Vito alla sua sorte e chiede al tassista di portarlo al Club di Polo.
"Quale, quello di Palermo?"
"Si chiama Club Hurlington."
"Ah, l'Hurlo. Lì ci va la gente coi soldi veri."
Sotto la sera e le luci dell'illuminazione, i signori ubbidiscono all'inspiegabile persecuzione della palla. Uno sport da gentiluomini, pensa, mentre osserva le ultime mosse della partita di polo. Distingue tra gli altri giocatori Gálvez Jr. che scende da cavallo per consegnarlo svogliato e stanco a un garzone. Ha visto Carvalho affacciato alla ringhiera e gli fa un gesto di riconoscimento. Quando gli si avvicina si sta togliendo i guanti.
"Vado a farmi una doccia. Prenda quello che vuole. Dica che è mio ospite. Non gradiscono gli estranei."
Sono molto severi gli occhi dell'inserviente che hanno deciso che Carvalho non merita di trovarsi nei saloni di un club con tanti privilegi. Ma prima di venire mortificato da un'insinuazione eccessivamente educata, Carvalho si parapetta.
"Il signor Gálvez mi ha pregato di aspettarlo qui."
Anche se l'abbigliamento di Carvalho non traduce il livello di incontro o scontro con il potente Gálvez Jr., l'inserviente decide che è sufficiente per regalare all'intruso la condizione di clubman.
"Desidera prendere qualcosa, signore?"
"Quattro dita del miglior whisky di malto, senza ghiaccio."
"Del più caro?"
"Del migliore."
"È molto soggettivo."
"Il problema è suo."
Il cameriere fa un inchino e se ne va. Carvalho ha una crisi da sindrome di Stoccolma ed esamina il personale e la sua convenzionalità con un certo affetto. Indumenti sportivi, corpi ben curati, ma con una certa atmosfera di irrealtà, come se tutti fossero comparse per una sequenza del benessere che non appartiene più alla fine del millennio. È il maître, non l'inserviente, ad avvicinarsi ora al suo tavolo, con una bottiglia di whisky e un bicchiere sul vassoio.
"Il cameriere mi ha già comunicato i suoi desideri e ho osato interpretarli. Per quest'ora del giorno mi sono permesso di scegliere un Glenmorangie, un Single Malt che va altrettanto bene trai pasti quanto come alcolico da dopo pasto. Mi permetto di sceglierle questo whisky di vent'anni e ricordarle che se vi aggiunge ghiaccio o acqua ci guadagna in aroma ma perde la rotonda morbidezza in gola. Il whisky, lei m'insegna, non è come il vino che termina sul palato e sulla lingua. Il whisky termina nella gola."
Carvalho dà l'autorizzazione. Cinque dita di malto nel bicchiere e bottiglia, bicchiere e vassoio a sua disposizione. Prende il bicchiere, lo annusa tre volte come di rigore, agita un po' il liquido aumentando via via il movimento, e ne beve un sorso. La gola glien'è grata. Carvalho assente.
"Eccellente, signor…"
"Loróno, per servirla."
"Nella mia prossima reincarnazione la ingaggerò come sommelier di whisky."
"Perdoni la mia curiosità. In che cosa pensa di reincarnarsi?"
"In un socio di questo club."
L'arrivo di un Gálvez Jr. impeccabile interrompe la risposta del maître.
"Per il signor Gálvez, il solito?"
Gálvez approva. Guarda l'orologio.
"L'aspetta il suo aeroplano?"
"No. Capisco che possa sembrare un luogo comune. Aeroplano privato e polo. Mio padre mi educò perché avessi un mio aeroplano e giocassi a polo, perché fossi uno yuppie inglese. Mio padre, nonostante tutto, era anglofilo, di quelli convinti che il problema dell'Argentina sia cominciato il giorno che rifiutammo la colonizzazione britannica. Dirigo trenta imprese in lungo e in largo per tutto il paese."
"I veri yuppie non sanno di esserlo."
"Ho letto qualcosa, non molto. Abbastanza per capire che essere yuppie non sta bene, intendo dire che non sta bene sembrarlo."
Carvalho gli porge il foglio che gli era stato dato da don Vito.
"Suo padre, per via della senilità o proprio perché lucido, si era dedicato a estorcere denaro a questi signori. Voleva soldi per impadronirsi pacificamente delle Malvinas e riempire il mondo di falansteri."
La lettura di ciascun nome suscita una monotona esclamazione, come una litania, in Gálvez Jr.
"Dio. Dio. Dio. Dio…"
Poi guarda stupito Carvalho.
"Ma era ammattito? Non ricattava nemmeno i più moderati, ma quelli più duri."
"Quelli su cui aveva le informazioni più compromettenti."
"L'effetto è stato fulminante. Ognuno di loro ha potuto finanziare l'assassinio."
"È abituale?"
"Verosimile. E pericoloso. Non si può sfidare la mafia segreta e molto meno quella pubblica. La mafia pubblica, ciò che i sovversivi chiamavano l'oligarchia, è molto più pericolosa. Ci sono copie di quest'elenco?"
"Pascuali è andato a trovare tutti quanti."
Carvalho crede di udire il rumore del cervello yuppie mentre riflette, e subito trae le sue conclusioni.
"Devo fare qualcosa di simile. Andrò direttamente dai loro capi. Ostiz e Maeztu. Credo che convenga fargli sapere che sono al corrente di tutto."
Il maître gli porta il solito.
"Il suo cocktail di succhi, signore."
Gálvez osserva la reazione di Carvalho e scoppia a ridere.
"Una bibita robinsoniana. Quando sarò grande, quando sarò cresciuto, voglio essere Robinson Crusoe."
Ma gli affari sono gli affari e, dopo un sorso sano e soddisfacente che Carvalho bilancia con un altro malsano e non meno soddisfacente, Gálvez più che parlare ordina:
"Voglio che mi accompagni all'incontro con Ostiz e Maeztu".
Un raggio di sole strappa riflessi dorati dai capelli ricci di Alma. Muriel insegue con gli occhi gli scintillii, come se dalla testa della professoressa illuminata uscissero per davvero le lingue di fuoco della conoscenza, mentre pone termine al monologo.
"Quindi, il mito di Robinson non è un mito innocente, ma una proposta per capire il ruolo dell'uomo nel mondo in quanto essere individuale capace di dominarlo mediante l'esperienza, l'intelligenza e l'avallo della Provvidenza. Defoe è testimone della filosofia della borghesia, della classe ascendente, inarrestabile. E come proposta didattica, Robinson sarebbe diventato più realista dello stesso Emilio di Rousseau. L'Emilio di Rousseau porta in sé il germe della trasgressione e della ribellione anarchica. Il liberalismo contemporaneo si è sollevato contro il padre del liberalismo e nega la condizione dell'uomo come buon selvaggio che dipende dal mezzo sociale. Letteratura didattica? Quale scrittore oserebbe oggi proporre un Robinson, un Emilio, un Werther, un Ivan Karamazov? Si possono solo proporre modelli di comportamento a partire dalla speranza, per quanto angosciata. La speranza può essere una virtù teologale. Ma di tanto in tanto è solamente una virtù storica o una necessità biologica. Necessità bio–storica, la speranza laica di Bloch; lui intendeva il futuro come religione."
Studenti in ritirata, anche Alma raccoglie le sue cose. Alzandola testa vede Muriel davanti alla cattedra.
"Mi scusi se la disturbo."
"Al contrario."
"Ho letto Robinson come aveva ordinato lei, beh, raccomandato, e ho fatto una lettura differente, ecologica."
"Si può anche leggere Robinson come l'apologia dell'argentino libero in casa per il fine settimana che prepara un asado. Ma questo è uno scherzo. Ogni eccellente opera letteraria è un'opera aperta che può essere letta in molti modi. Il lettore è sempre più libero dall'autore e dispone di secoli per imporre la propria interpretazione."
Muriel bisbiglia "grazie" e se ne va. Alma la vede andare via. Nei suoi occhi c'è una tenerezza da insegnante, ma le sue labbra chiamano la ragazza:
"Muriel".
La studentessa è sorpresa che Alma ricordi il suo nome.
"Mi piace molto come partecipi alle mie lezioni e come lavori. Scrivi molto bene, per lo meno i lavori che mi consegni."
La ragazza è rimasta senza voce, ha voglia di piangere dalla gioia e qualcosa le trema nelle parole quando mormora:
"Perché mi piace molto la sua materia".
"Come mai? La tua famiglia ha qualcosa a che fare con tutto questo?"
"No. Affatto. Mio padre è un uomo d'affari e mia madre non si interessa, proprio per niente."
"Per le vacanze mi piacerebbe mettere su un laboratorio letterario, niente di troppo noioso, molto ludico, molto libero, in cui riunire alcuni allievi, scrivere, esprimere opinioni, commentare dei testi. Ti piacerebbe?"
"Certo!" grida quasi Muriel.
Alma si intenerisce e le propone di uscire tutte e due insieme.
Lo fanno e quando raggiungono le scale viene colta, come da un flash, dall'immagine di Robinson che arringa gli studenti.
"Ricordi quella specie di vate? Robinson? L'altro giorno."
Muriel si mette sulla difensiva ricordando il mancato accordo tra lei e la professoressa.
"Forse non avevo capito quel che diceva."
"Non l'ho menzionato per questo. Non rimane più nulla di quella sequenza. Robinson è morto. Venerdì è morto… e io penso…"
Muriel è sorpresa.
"Morti?"
"E io penso, che ne sarà stato del pappagallo? E del lama? Che ne sarà stato del lama? Soprattutto di quel povero lama. Poverino."
Don Vito gli ha raccontato com'è finita la conquista notturna: "Le dico che non era una puttana, Carvalho. Era una vedova allegra".
Ma intuisce che il gagliego non è in vena di complicità e lo verifica quando gli mette davanti agli occhi una pagina di "Clarín": 'Assassinato Pacho Escámez. La polizia segue la traccia della DAMA BIANCA".
"Insomma, il vecchio Pacho. Chi ha avuto, ha avuto. Che cosa c'entriamo io e lei in questo tragico sviluppo?"
"Restituisca per un attimo i seni sognati alla loro proprietaria e legga queste cinque o sei righe. Gliele ho sottolineate."
"Con un colpo alla nuca è stata stroncata la vita di uno dei migliori conduttori della Televisione Argentina. La polizia cerca l'ultima accompagnatrice abituale del grande professionista, protetta dietro le iniziali M.F.M., una donna che è stata descritta come bionda e bianca. Il caso ha già un nome: Il conduttore e la Dama Bianca."
"La mala femmina!"
"Questa copia di 'Clarín' è di cinque giorni fa, il che vuol dire o che lei e io non leggiamo i giornali o che li leggiamo in modo saltuario."
"Tanta corruzione, tanto sport. Guardi. Maradona se ne sbatte dei politici argentini e crede soltanto in Fidel Castro."
"Il giornale me l'ha fatto avere un vecchio cliente, don Leonardo, e ci chiede di andarlo a trovare."
Nuovamente abbattuto, don Leonardo, con la barba lunga di giorni, un bicchiere che è stato più volte riempito e svuotato di grappa, mozziconi di sigaretta nei portacenere. Un certo disordine di lusso. Don Vito e Carvalho aspettano che dica qualcosa. Don Leonardo va verso il televisore e si gira per domandare:
"Non avete visto i notiziari?".
Carvalho e don Vito dicono di no.
"L'ho registrato sul video."
Spunta sullo schermo un cumulo di giornalisti e curiosi alle porte di un tribunale. Pascuali con i suoi poliziotti. Una donna bionda e bianca, anche se porta un foulard e gli occhiali da sole, cerca di farsi strada, inseguita dal microfono del cronista, che sceglie di girarsi verso la telecamera.
"Il caso della Dama Bianca ha compiuto questo mezzogiorno una svolta di centottanta gradi. Si è presentata volontariamente a dichiarare Marta Fanchelli Maluendas, la famosa M.F.M., e dalla sua dichiarazione si evince che non è stata lei ad assassinare il presentatore Escámez."
Marta parla con le labbra attaccate al microfono, baciandolo quasi.
"Come potrei rompere l'osso del collo a qualcuno con un colpo di karate? Passo la vita a far diete e non posso spezzare l'osso del collo nemmeno a una mosca."
"Ma lei sa chi è stato."
"Tutto quello che so riguarda ormai il giudice e la polizia."
Indica i poliziotti e Pascuali in modo molto preferenziale.
"L'ispettore Pascuali è stato molto gentile e molto intelligente."
Adesso è il cronista a prendersi tutto il protagonismo.
"E non poteva essere diversamente. Dalle iniziali M.F.M., che nascondevano Marta Fanchelli Maluendas, siamo passati a L.C.L., il nuovo obiettivo delle ricerche della polizia."
Don Leonardo interrompe la trasmissione. Resta assorto davanti allo schermo per qualche secondo. Si gira.
"L.C.L. Leonardo Costa Livorno. Io."
Don Vito s'indigna.
"Come osa quella puttana?"
Carvalho lo invita a tacere, ma don Vito si è lanciato.
"Quella mala femmina!"
Leonardo lo guarda con una certa ira.
"Le apparenze ingannano. Marta. Marta è una donna straordinaria. Ho bisogno di raccontarle tutto, don Vito, Pepe, mi permetta di chiamarla Pepe. Marta è una donna straordinaria. Aveva dedicato la sua immensa tenerezza a mio figlio, cercato di persuaderlo a non macchiarsi di appropriazione indebita. Lo aveva seguito fino alle Bahamas perché temeva il peggio, come infatti è accaduto. Il crollo psicologico del povero ragazzo. Era una donna, è una donna, piena di amore, vitalista. Non è una suicida e mio figlio era un suicida, è un suicida potenziale, come lei mi ha fatto capire benissimo, con molta lucidità. Io la amo, lei ama me. Quel porco di Escámez la ricattava, le diceva che se l'avesse abbandonato sarebbe venuto da me e mi avrebbe raccontato tutto, e per di più le proponeva degli amanti che la aiutassero per la sua carriera."
"È stato lei a ucciderlo?"
"E perché no? Le ho detto di dichiarare in tal senso davanti al giudice. Che ero stato io, in un raptus di indignazione, venendo a sapere delle schifose proposte del vecchio."
"Lei è pratico di karate?"
"So difendermi. Posso assestarle il colpo con un pugno di ferro."
Don Vito sconsiglia con la testa.
"Premeditazione."
Anche Carvalho è contrario.
"Dimentichi il pugno di ferro."
"Domani andrò a costituirmi e voglio che voi diciate la verità, che io quella donna la odiavo per quel che aveva fatto a mio figlio. Voglio che il giudice sappia tutta la storia, dall'odio all'amore, non dalla rivincita alla morte. Vi pagherò quel che vorrete."
Carvalho e don Vito si guardano ed è Altofini a emettere il verdetto.
"Noi non prendiamo soldi per testimoniare."
Il giorno seguente Carvalho, Alma e Altofini accendono la televisione per seguire i notiziari. Confusione di guardoni e giornalisti, Pascuali e due poliziotti conducono Leonardo in manette, masi mettono in posa perché il cronista annunci:
"Leonardo Costa Livorno, reo confesso della morte di Pacho Escámez, si è costituito stamane e ha raccontato la sua storia d'amore con la Dama Bianca. Pacho Escámez aveva voluto impedirla spingendo la donna alla corruzione e alla tratta delle bianche, come ha spiegato il suo avvocato".
Come se stesse passando casualmente da quelle parti, l'avvocato appare e dichiara:
"È stata una reazione temperamentale di fronte alla malvagia ruffianeria di un vecchio libidinoso. Uno scatto amoroso. Don Leonardo nel passato aveva odiato Marta Fanchelli per la relazione che aveva avuto con il figlio, finché non aveva capito le qualità umane della donna".
Carvalho spegne la televisione. Don Vito canticchia il tango Cambalache, "il baratto":
Ventesimo secolo, baratto problematico e febbrile,
chi non piange non ciuccia e chi non ruba è fesso.
Buttati sotto! Buttati subito!
Lì nel forno ci dovremo incontrare.
Non pensarci oltre, siediti a un angolo.
Fa niente se sei nato onesto.
È uguale chi fatica giorno e notte come un bue
e chi uccide, chi truffa o è fuori legge.
Alma beve un mate e commenta:
"Lo metteranno in catene".
"Ma ha già avuto tutte le attenuanti possibili. Le catene non saranno poi così pesanti. Solo nei tanghi il mal d'amore ti fa finire in carcere per tutta la vita."
Camerieri in uniforme e vassoi d'argento. Carvalho li vede passare, inghiottito da una poltrona carnivora. Gálvez Jr. ha il corpo abituato a una simile resa, è riuscito a imporre il proprio scheletro ai propositi voraci dell'oloturia. Gli altri due interlocutori, Ostiz e Maeztu, seduti in modo del tutto naturale, non perdono di vista la lotta di Carvalho, con i gomiti e il didietro, per conquistare la posizione d'interlocutore. Ostiz, uno spigoloso calvo di lusso, ha cominciato a istruire Gálvez.
"Credo, Richard, che sarebbe stupido che il cadavere del tuo vecchio rovini dei rapporti che necessariamente devono essere buoni."
Maeztu lo fiancheggia, occhi da beone triste e braccialetto da mezzo chilo di platino.
"Disgraziatamente nulla ce lo riporterà in vita, e tu con il tuo lavoro e la tua intelligenza hai salvato il meglio del tuo patrimonio."
Entra a sua volta Ostiz seguendo l'invito dell'orchestra.
"Richard, devi ammettere che quell'ultimo Gálvez, quell'uomo poetico, tanto patetico quanto poetico, è questa la parola, che si traveste da Robinson e ci propina la lezione del suo senso della solidarietà universale, merita di non essere dimenticato."
Maeztu chiude gli occhi alcolici e tristi per dire:
"Era dei nostri, e conviene che si sappia che noi pensiamo agli altri, che non tutto si riduce a creare ricchezza, indubbiamente per gli altri, ma anche per noi. La classe dei ricchi in Argentina non gode di buona fama per colpa di un ritorno dei descamisados. Sono passati quei tempi, agli inizi di Menem, in cui noi manifestavamo insieme ai sindacalisti. Persino le nostre donne erano diventate peroniste".
"Must de Cartier, profumo e puzzo d'ascelle. L'ho letto su 'Nuevo Porteño'."
Il commento di Carvalho ha divertito Ostiz e irritato Maeztu. Gálvez assente, perché Carvalho entri ad assestare il colpo mortale.
"Il mio cliente e io non vorremmo trascurare il fatto, indubbiamente irrilevante, che qualcuno ha commissionato l'assassinio del signor Gálvez e del suo autista."
Ostiz e Maeztu si guardano e di comune accordo richiedono la presenza di un inserviente del club. Il quale accorre con un'immensa cartella di pelle, di quelle destinate a contenere progetti architettonici; dalla cartella esce un grande piano, e i due finanzieri devono alzarsi e stenderlo a quattro mani, come se stessero spiegando un lenzuolo. Ad apparire con maggior chiarezza è il fatto che il fiume è lì, tra Buenos Aires e la foce. Ostiz si incarica di spiegare il progetto.
"Intendiamo costruire un'isola artificiale in omaggio a tuo padre. Si chiamerà 'Isola Robinson Joaquín Gálvez', e abbiamo già garantito il capitale di base, è assai probabile addirittura che ci riesca di associarci con la Bush. I nostri propositi sono quasi benefici, quelli della Bush si vedrà in seguito. Tu hai un quindici per cento assicurato, Richard. In ogni caso, l'Isola Robinson, che sarà un luna–park, destinerà parte dei suoi incassi alla ricerca sulle nuove malattie. Non faremo parola dell'Aids perché non si possa pensare al tuo papà."
È Carvalho a insistere nella sua condizione di portavoce del muto Richard Gálvez.
"Perché un'isola artificiale? Non ne rimangono di naturali?"
"Hanno certi prezzi! Al Tigre sono ormai proibitivi, e a Buenos Aires si ricordano ancora di quella fesseria dell'isola artificiale di Le Corbusier."
Gálvez Jr. è entrato nella logica degli industriali e annuisce con la testa. Sì, effettivamente, un'isola naturale sarebbe impossibile. Maeztu prende un'aria sognante.
"La vedo! La vedo con l'immaginazione! 'Isola di Robinson, Joaquín Gálvez'!"
Carvalho aspetta che Gálvez riprenda a parlare della morte di suo padre e compie l'ultimo tentativo per farlo tornare sull'argomento.
"Torniamo dall'Isola che non c'è, signori. Avete una risposta per la domanda…?"
"Lasci perdere, Carvalho", ordina Richard Gálvez come può farlo soltanto un capitano d'industria, e Carvalho pensa che in fondo il vecchio Gálvez era il padre di Richard, non il suo. E ascolta la fluidità della conversazione di Richard con gli induttori dell'assassinio del padre, il loro modo di mettersi d'accordo, di maneggiare lo stesso codice, di patteggiare mangiate e bevute per i prossimi giorni, anche se di tanto in tanto Richard osserva Carvalho, cercando di indovinarne il processo interiore e di coinvolgerlo nel gioco.
"Chi è un vero gourmet è il signor Carvalho."
"Davvero?"
"Odio i gourmet, ma in un certo senso lo sono."
"Molto interessante."
L'interessato era Ostiz.
"Io posseggo vigneti, vini, e con alcuni amici ho messo su un Club di Gourmet, ceniamo a porte chiuse da Chez Reyero, parliamo di quel che mangiamo, di quel che mangeremo. Vorrebbe considerarsi mio ospite, signor Carvalho? Anche tu, Richard, va da sé."
"Io non distinguo una patata da una melanzana."
"Si lascerebbe invitare, Carvalho?"
"Mi lascerei invitare da questa combriccola di figli di puttana?" pensa Carvalho. "Rispondi," si dice.
"Sì."
Lo yacht agghindato costeggia il fiume. La nebbia è sporca quanto l'acqua, ma il brillio delle persone riunite e le luci concedono un qualche aspetto magico al lento navigare. A bordo delinquenti dalle vite eccellenti, almeno un arcivescovo, presunte figure della politica, stampa, telecamere. Gálvez è la voce fuori campo che recita l'elenco degli invitati di spicco all'orecchio di Carvalho. Dal ponte più alto Maeztu grida:
"Isola in vista!".
Carvalho non la vede da nessuna parte. Ma la gente va verso babordo dove scopre una piccola betoniera che lavora a bordo di un'imbarcazione, e quando la miscela sembra ormai pronta, Ostiz si china perché il sindaco faccia il resto e l'arcivescovo benedica. Il sindaco asseconda i movimenti degli operai che lanciano nelle acque le prime palettate di calcestruzzo su cui crescerà l'isola. L'arcivescovo benedice. Il giovane Gálvez mormora ammirato all'orecchio di Carvalho:
"Hanno preventivato venti milioni di dollari".
Ma deve tacere perché è tempo di discorsi e anche di un sommesso, incompiuto inno nazionale. Gálvez prende Carvalho per un braccio.
"Papà ne sarebbe soddisfatto. Robinson, forse no. Non si senta defraudato, Carvalho. La verità non è sempre necessaria. Bisogna aspettare il momento adatto. Arriverà o sarò io a prefabbricarlo. Le assicuro che la morte di mio padre non rimarrà impunita. La invito a cena. Andiamo a Puerto Madero, mi hanno detto che la sua proposta gastronomica è più interessante di quella della Recoleta. Da quando Gato Dumas se n'è andato, la Recoleta è la solita solfa. L'invito non la interessa? La vedo molto svogliato."
"Si beve per ricordare, si mangia per dimenticare. Lei, come risolve quest'ordine di priorità?"
Gálvez rimane pensieroso, finalmente reagisce.
"Non era il contrario? Tutto sta nel ricordare o dimenticare a seconda delle nostre necessità."
Ormai al tavolo di un ristorante italiano con pretese di appartenere alla migliore razza dei ristoranti italiani, quelli di New York, Carvalho cerca di registrare gli abbondanti e malinconici pensieri di Gálvez Jr. finché una mano guantata gli si posa su una spalla ed è la mano di Marta, la Dama Bianca, con il suo sorriso rosa e la sua chioma fluente come una cascata d'oro.
"Si ricorda di me?"
Carvalho si mette in piedi per balbettare:
"Beatriz o Marta, lei è indimenticabile, ma lei si ricorda di me? Della Spagna? Il caso Frigola? Il signor Frigola?".
Ma lei si limita a ridere, supponendo di aver ricevuto un complimento che non ha udito. Ha fretta di comunicare.
"Leonardo è in carcere. Per poco."
"Lo so."
Vede allora che Marta è in compagnia di un giovane dal bell'aspetto e dai bei vestiti che l'attende a un prudente metro di distanza.
"Tra noi è finita, mi riferisco alla storia tra Leonardo e me. Ma continuiamo a essere buoni amici. Vado tutte le settimane a trovarlo. Non si preoccupi. Non consento più che si suicidino per me."
"Lei è temibile. Ottiene che gli uomini si suicidino e uccidano per lei."
Ride come una matta e piena di gratitudine bacia dolcemente le labbra di Carvalho prima di andare al suo tavolo. Carvalho si siede e non da soddisfazione alla curiosità muta di Gálvez. Marta ha depositato i fianchi su una sedia di fronte al suo accompagnatore e approfitta del primo calice di champagne per voltarsi verso il suo compaesano e brindare in silenzio, a distanza. Il detective contraccambia. Gálvez tradisce la propria curiosità.
"Chi è? Si può sapere?"
"Una mala femmina. Per una mala femmina si può perdere la vita, il denaro, entrambe le cose. A lei piacciono le male femmine?"
"Conosco l'uomo che è con lei. È il figlio di Leonardo, il super fabbricante di biancheria di lusso."
"Non era finito in una setta?"
"Non sono aggiornato. Ma rispondo alla sua domanda. Sì. Le male femmine mi piacciono. Le adoro."
Carvalho apre il braccio, la mano, offrendo a Gálvez la possibilità di superare la distanza che lo separa dalla perdizione.
"Ci vada, ma cerchi di non uccidere nessuno per colpa sua."
La mala femmina ha seguito a distanza la conversazione che la riguarda, non badando al discorso severo del giovane che l'accompagna. La mala femmina guarda con intenzione Gálvez Jr., lui sostiene lo sguardo e alza il calice in un brindisi silenzioso.