2. L'UOMO OCCULTO

Poiché è una vecchia vecchissima a portare faticosamente il vassoio, una cena trema, in particolare il piatto di brodo che sembra un mare senza sponde. La vecchia avanza ostinata, patteggiando con la sua difficoltà a camminare, con le sue mani colpite dal Parkinson, cercando di non versare il contenuto del piatto. Riesce a malapena a raggiungere l'angolo della cucina, posare il vassoio sempre a fatica su un ripiano, cercare quasi a tastoni un campanello. In realtà è una molla, e la parte bassa della parete rivestita di legnosi apre. Una bocca nera verso l'ignoto. Un tempo di attesa e appare un uomo dalla vecchiaia equivalente a quella della donna. Vestaglia, calzini, occhiali da lettura, sguardo diffidente, e il corpo che sporge dal buco fino alla cintola.

"Tutto come prima?"

"Tutto."

"Il tizio con le basette, sempre al potere?"

"Sempre, Favila, sempre, come ieri, come l'altroieri."

"Perón, non è tornato?"

"E dagliela con Perón. È morto."

"Non ci posso credere."

"Avanti, mangia, che si raffredda la cena."

È faticoso il passaggio del vassoio. Se a lei tremano le mani, a lui pure. Ma riescono a non versare una sola goccia di brodo. Impadronitosi ormai del vassoio, lui si ritira e quando lei sta per premere di nuovo il tasto della molla, l'uomo la rimprovera dandole l'ultima consegna.

"Se vengono i militari, i franchisti o qualsiasi uomo armato, ricordati cosa gli devi dire."

Lei non gli fa caso. Preme il tasto con un po' di astio e l'uomo scompare nel suo nascondiglio mentre cerca di dire qualcos'altro. Prima di fare un qualsiasi movimento, la donna medita.

"Ho dimenticato cosa dovrei dire. Dirò loro il cacchio che mi pare."

 

La magrezza di Norman Silverstein suda sotto il trucco da semiclown illuminato dal riflettore.

"Fino a poco tempo fa di tanto in tanto appariva ancora un giapponese in una foresta del Pacifico convinto che la guerra mondiale non fosse ancora finita. Io credo che si trattasse sempre dello stesso giapponese, della stessa isola. Gli davano qualche soldo, una borraccia di sakè, ma ormai era diventato una rottura di palle. I turisti si dicevano: 'Guardate, ecco che arriva il fottuto soldato giapponese che ancora si batte per l'imperatore'. E lui, via a fare il soldato imperiale, minaccioso, con quella sciabola giapponese che sfoderano i giapponesi migliori. Akù! Hatamitaka! Fujimori! Tanaka! Avanti, Takiri! Non fare più il cretino! Fai harakiri! Evidentemente non vale più la pena che i giapponesi si nascondano. Ma voi, sapete della quantità di talpe, di uomini occulti che ci sono nel mondo e perché? Quelli che non possono pagare i creditori, quelli che non possono pagare gli alimenti alle mogli da cui hanno divorziato, quelli che hanno paura di essere riconosciuti come ex torturatori, quelli che hanno paura di essere torturati di nuovo, un milione di tutsi che si nascondono dagli hutu e un milione di hutu che si nascondono dai tutsi. Tutti, siamo tutti vecchi soldati giapponesi incomprensibili, perché oggigiorno, chi chiede spiegazioni a chi? Accettiamo tutto. Dio è morto. Marx è morto. L'uomo è morto. Marlene Dietrich è morta. Nemmeno io mi sento tanto bene. Tutto è permesso! Nemmeno noi Stati abbiamo una sovranità. Ci comandano le multinazionali, i fondi monetari, i prezzi fissi, i militari yankee. La sola sovranità che conserviamo è quella dei torturatori. Quando un giudice straniero vuole incriminare i nostri torturatori, eccoci subito a sfoderare la sovranità nazionale, la sovranità della repressione! Quella che ci delega l'impero. Nessuno deve sorprendersi se le cose vanno a rotoli. I guerriglieri sposano ragazze dell'oligarchia e i sindaci di sinistra si portano a casa tutto quello che trovano a Buenos Aires: gli alberi, i marciapiedi, interi isolati, i terreni in costruzione, i lampioni, la luce dei lampioni, l'ombra dei cani quando pisciano sui lampioni e ci lasciano soltanto le manifestazioni delle madri di plaza de Mayo e quelle dei pensionati davanti al Congresso. Tutto è consentito! Che senso ha occultarsi? Beh. Uno, ce n'è uno soltanto. Io rispetto quelli che si occultano perché si sono dimenticati dove si trovano Buenos Aires, l'Argentina, l'America, il mondo, e unicamente riconoscono l'angolo dove ebbero, hanno, avranno paura."

I visi dei presenti rispondono al calcolo sociologico elementare che Carvalho aveva eseguito sugli effetti dei sarcasmi di Norman: mezzi sorrisi, qualche affanno, perplessità, astio. Carvalho chiede il conto e paga. Contempla il portafogli e lo controlla. Gli rimangono pochissimi pesos. Guarda le carte di credito con scetticismo. Carvalho si gira udendo la voce di Alma.

"Rimasto senza grana?"

"Sto rimanendo senza grana e non posso chiedere altri anticipi a mio zio finché non gli ho trovato il figlio."

"Dovrai metterti a lavorare. Che cosa sai fare?"

"Guardare."

Silverstein ha finito il suo monologo e annuncia:

"Tutti sappiamo che nel tango c'è un prima e un dopo, il tango moderno, e che questa linea di demarcazione è stata tracciata dal compianto Piazzolla come interprete di un tango ben preciso: Ballata per un pazzo. Signore e signori, stasera ci onora con la sua presenza il cantore, il poeta, l'autore del prodigio e la memoria più profonda del tango e del lunfardo11: Horacio Ferrer!".

Tra le ovazioni si alza a salutare un poderoso bohémien dagli occhi saggi e lunghi come i suoi baffi.

"E adesso un tango su misura per un ospite tanto illustre: Uomo occulto!"

Comincia a suonare la musica del tango. Ma Carvalho volta le spalle allo scenario dove è appena comparsa Adriana Varela.

"Vai già via? Non sei più innamorato di Adriana? Non dicevi che è la miglior cantante di tanghi e che li canta con la miglior scollatura di Buenos Aires?"

"Ho contatti lavorativi."

La notte in strada gli pare verde e nera o verde e bianca se guarda verso la luna. Ma sono dipinte di verde le facciate e le penombre, gli sembra verde addirittura il taxi su cui sale e il tassista cui ordina:

"Alla Recoleta".

Sbatterà più volte le palpebre prima di recuperare le scarse policromie che gli consente la notte. Il verde che gli riempie gli occhi è il verde di cui erano dipinte le porte metalliche e le sbarre del carcere Modelo di Barcellona in cui aveva passato qualche tempo della sua gioventù. Gli tornano su come dal fondo di una cattiva digestione il colore e l'odore del carcere ogni volta che qualcuno parla di perseguitati. Ma ora vede il colore del whisky nel bicchiere e ne versa una parte nel caffè rimasto mentre mormora la parola carajillo, caffè corretto, e contempla il beveraggio nella tazza come una patria. Alza lo sguardo e studia la gente che riempie il locale e poi il suo interlocutore. Un uomo sulla sessantina, i capelli argentati quasi fluorescenti e stirati da gommine non eccellenti, eccessivamente ben vestito, anche se si nota che l'abito non è nuovo, chela camicia è stata lavata e rilavata più volte, ma i gemelli luccicano, così come luccica la spilla della cravatta, e luccicano le scarpe, e luccica il dente.

"Vito Altofini è il mio nome, Altofini Cangas, di padre lombardo e madre asturiana."

"Don Vito, ho bisogno di un socio argentino. Come straniero non posso esercitare il mio mestiere di detective privato."

"Ha trovato l'uomo giusto."

Don Vito sparge sul tavolo ritagli di giornale ormai molto ingialliti che parlano di cronaca nera: "Vito Altofini coglie nel segno dove la polizia aveva fatto fiasco. Una pista nel caso del sequestro dei Bayer". Carvalho trattiene in mano il ritaglio. Vi si vede Vito un po' più giovane che mostra un pezzo di tessuto. Didascalia: "I sequestratori sono venuti dall'Uruguay. Si scarta la possibilità di un sequestro politico".

"Com'è andata a finire?" domanda Carvalho.

"Disgraziatamente, dei Bayer non si è saputo più nulla, ma nessuno ha potuto dimostrare che i sequestratori non fossero uruguaiani. Il tessuto che io mostro è quanto rimane di un gilet tessuto alla maniera uruguaiana, dei tempi in cui ancora si tesseva a mano. Dov'è il suo ufficio?"

"Lo metterò su a casa mia."

"Stile?"

"Detective privato yankee anni quaranta, ufficio con mobili capitonné alla Hercule Poirot, ufficio pieno di neon e computer stile film di serie B di Hollywood anni ottanta."

"Lei fa il critico cinematografico? L'arredatore?"

Don Vito fa la faccia sognante.

"Ai bei tempi avevo il mio ufficio arredato esattamente come quello di Dick Powell nella serie tratta da Dashiell Hammett, la migliore che sia stata fatta, in bianco e nero."

Don Vito esamina l'abbigliamento di Carvalho e, intanto, il suo atteggiamento davanti al carajillo e alla vita.

"Pensa di arricchirsi esercitando questo mestiere a Buenos Aires?"

"Devo guadagnare dei soldi per comprare del tempo. Sono venuto a cercare mio cugino scomparso e sto dando fondo alle riserve."

"Un desaparecido? Politico. A questo punto? Questo colectivo è già passato, collega."

"Colectivo?"

"Voi lo chiamate autobus."

"Forse non è scomparso. Forse mi sono espresso male."

"Forse si tratta solo di un uomo occulto."

 

I facchini si portano via il tavolo della sala da pranzo e, come in un gioco di prestigio, dalle loro mani esce una scrivania sostitutiva, alcuni archivi, vecchi, giunti da un ufficio anni quaranta, con qualche cenno di art déco a buon mercato. Alma aiuta Carvalho a mettere in ordine quel che c'era sul tavolo, a sistemare le poltroncine per i supposti visitatori.

"E dove intendi mangiare?"

"In cucina."

Alma guarda l'orologio ed esclama, allarmata:

"Oh, faccio tardi a lezione!".

Nella sua ritirata si imbatte in don Vito, quasi irriconoscibile per Carvalho, sotto il cappello di feltro sulle ventitré, anche se il luccichio sorridente del suo dente d'oro lo tradisce quando fa i complimenti alla donna che fugge lungo il ponte d'argento di un saluto cavalieresco, cappello in mano, nell'altra una borsa con la cerniera stile uomo d'affari anni cinquanta. Il nuovo arrivato studia la strategia decorativa, ricompone il gesto e avanza verso Carvalho contrariato.

"Alla fine si è deciso per lo stile Humphrey Bogart decaduto."

"Stile Carvalho decaduto."

"Che cosa ha fatto a quella donna tanto interessante da farla fuggire terrorizzata?"

"È quasi una cugina."

"Geniale. Io ho sempre tenuto in ballo una ventina o trentina di cuginette. Adesso sono diventate nipoti."

"Non è quello che sembra. Aveva fretta. È professoressa di lettere. La sua lezione comincia ora."

Guarda l'orologio, a un tratto si stanca di dare spiegazioni e quasi ordina a don Vito:

"Si sieda".

Carvalho tira fuori una bottiglia di whisky di malto JB di quindici anni.

"È tutto quel che ho trovato nel raggio di quattro isolati."

Ma Vito Altofini rifiuta mollemente e toglie dalla borsa gli accessori per farsi un mate.

"Se mi permette di adoperare la sua cucina mi preparo un mate. Sa com'è… ho pensato: 'Questo gagliego non deve avere alcuna idea di cosa sia un mate'."

Carvalho gli cede la cucina con un gesto e poco dopo Altofini sorbisce l'infusione seguendo un ritmo alternato ai sorsi di whisky del gagliego. A Carvalho piace come oggetto quella piccola zucca con ornamenti di argento sbalzato, un oggetto di valore a giudicare da come lo accarezza don Vito e dal ritmo liturgico con cui ne succhia il contenuto. Carvalho si sente un po' alticcio. Loquace, ma non ubriaco.

"Per il momento i clienti non ci sono, don Vito. Qui c'è lo stesso problema di relativismo morale che c'è in Spagna, che c'è in Occidente e in tutto il Nord Fertile. Non c'è più il senso dell'adulterio, né del furto, né dell'assassinio come tabù perché tutti quanti sono adulteri, ladri e persino potenziali criminali. D'altro canto, anche se è vero che la polizia pubblica è in crisi quantitativa e qualitativa e che c'è sempre più polizia privata, si tratta tuttavia di un servizio privato controllato da grandi compagnie, talvolta multinazionali. Per questo noi detective tradizionali non abbiamo clienti."

"La polizia pubblica esercita una concorrenza sleale. Io privatizzerei la polizia. Tutta quanta."

"Lei la vede quindi come una questione di mercato del lavoro?"

"Elementare. In tempi di crisi persino i notai sono disoccupati. Io ho un parente notaio col doppio o triplo lavoro. Tiene la contabilità di due o tre ditte. Non è stata solo la classe operaia a cadere in disgrazia, ragazzo mio, anche la borghesia non è più quella di una volta."

Don Vito canticchia:

 

La classe media cadde in disgrazia,

partì Mireya, morì Margot

e quel ragazzo dell'aristocrazia

invigliacchito… regredì.

Pianse la causa del suo gruppo,

pianse la causa di tanto mal

mentre la bella Barra Florida

cantò il suo coro sentimental.

 

Don Vito non registra la relativa sorpresa di Carvalho e aggiunge una nuova proposta.

"Se vuole, nel frattempo cerchiamo suo cugino."

"Da dove comincio? Poche settimane dopo essere arrivato dalla Spagna, l'avevo quasi a portata di mano. Mio cugino scappò da qui durante il Processo, credendo che sua moglie fosse morta e la figlia scompresa. Passarono gli anni e a un tratto gli è venuta la fisima di tornare, e l'ha fatto in un brutto momento. Erano passati vent'anni. Sua moglie era viva ma… Mi scusi. Era morta. Quella viva era sua cognata. È la donna che lei ha visto uscire di corsa."

"Allora è una cugina vera. Carvalho, lei è un uomo di principi."

"Una parte dei colleghi di mio cugino gli sono rimasti fedeli, ma altri si sono impadroniti di una sua scoperta scientifica, e l'hanno brevettata con la complicità di un capitano di quei militari, lo stesso che li aveva arrestati allora e che adesso li controlla mediante il terrore e il denaro. La figlia continua a non trovarsi."

"Sembra una telenovela argentina pensata da uno sceneggiatore venezuelano," dice tra sé e sé don Vito diventato improvvisamente serio. "Ma è una storia vera. Vera come lei e come me. Nessun altro insegue suo cugino?"

"La polizia. O per dirla meglio, un poliziotto che si chiama Pascuali, è un professionista, cioè, lui vuole che si mantenga l'ordine richiesto dalla legge."

A don Vito quasi sfugge una risata e il mate che gli è rimasto in bocca. Si trattiene perché bussano alla porta e nel vano appare un giovane pallido, magro, pieno di occhiaie, con un vestito d'importazione, il quale si presenta senza preamboli.

"Mi chiamo Javier Lizondo. Se voi siete i detective annunciati sulla porta, ho bisogno dei vostri servizi. Hanno ucciso la mia fidanzata."

Vito e Carvalho si guardano con gioia segreta e complice, ma riescono a guardare con mestizia il cliente.

"Ha trovato le persone giuste."

Il giovane è nervoso e inghiotte saliva. Don Vito lo incoraggia con gesti del viso a parlare. Carvalho lo studia da lontano. Don Vito sembra vivere la vicenda narrata dal ragazzo, la sua faccia ne riflette le peripezie.

"Mi chiamo Javier Lizondo. Hanno ucciso la mia fidanzata. Beh… questo l'ho già detto prima. La mia fidanzata. La mia fidanzata…"

"La sua fidanzata?" don Vito lo incita a proseguire.

"Vuole insinuare che non era la mia fidanzata?"

"Per favore. Semplicemente la invito a proseguire, siamo commossi e interessati."

"La mia fidanzata lavorava in un night come ragazza topless. Di quelle che vanno…"

Don Vito fa il gesto di giocherellare con le proprie tette all'aria ma senza abbandonare l'espressione di immensa tristezza.

"Lo faceva per guadagnarsi da vivere. Era una brava ragazza. Colta. Proprio così. Era una ragazza colta. Si chiamava Carmen, Carmen Lavalle."

Mostra la fotografia di una bella ragazza che sorride fiduciosa di vivere per tutta l'eternità.

"Non ha una sua foto in topless?" chiede don Vito. "Lo dico soltanto per l'identificazione."

Carvalho sa il fatto suo.

"Ci basterà sapere dove lavorava e perché a lei non basta l'inchiesta della polizia."

Javier non ha il coraggio di parlare. Finalmente scoppia a piangere e don Vito partecipa alla sua emozione senza arrivare al pianto.

"Sono un fuggiasco. Vivo nascosto. C'è un mandato di arresto, ma non sono stato io."

"Un altro uomo occulto," dice Carvalho parlando con qualcuno che non è nella stanza.

 

A volte si fanno le cose o si pensano rivolgendole a qualcuno che non le vede, che non le sa, che non le coglie. Carvalho a Buenos Aires pensa, fa le cose con Alma come referente, è lei o la sua sagoma sfumata a ricevere i suoi monologhi, a stare come un fantasma invisibile nella situazione per giustificare quel che Carvalho fa o dice. Ma adesso lei è qui, è un'Alma corporea a contemplare l'arte culinaria di Carvalho con una perplessità controllata.

"E in Spagna cucinavi sempre?"

"No. In ufficio cucinava Biscuter, il mio aiutante. Uno sgorbietto, un misto di effetto speciale alla Spielberg, del dottor Watson e di cuoco Cordon Bleu."

"Perché lo chiami sgorbietto?"

"Perché lo sembra. Come un piccolo feto, come uno di quei bambini che facevano fatica a nascere e venivano tirati fuori dal ventre della madre con il forcipe."

"Gli telefoni molto spesso. Gli vuoi bene?"

"Lo compatisco."

"E alla tua donna perduta in Spagna, Charo, vuoi bene?"

"La compatisco."

"Sei incapace di amare? Compatisci soltanto? E quelle povere bestie che hai fritto e cucinato in pentola, le compatisci o le ami?"

"Le amo. Per questo me le mangio."

Ormai seduta a tavola, Alma, servendosi della forchetta, arrotola i fedelini della fideuà12 che si ammucchiano nel piatto.

"Sembrano vermi ma sono gustosissimi."

"Sono soltanto fedelini," risponde Carvalho malinconico.

"Cucini, mangi, ma sei depresso."

"Cucino e mangio perché sono depresso."

"Raúl?"

"La cosa è più complessa e mi ricorda una poesia che ho letto tempo fa, quando leggevo poesie. Un ciclista buca una gomma e pensa: non mi piace da dove vengo e non mi tranquillizza il posto dove vado. Perché aspetto il cambio della gomma con impazienza?"

"Questo è Brecht, Bertolt Brecht."

"Sapevo che era di Brecht. C'è stato un tempo in cui sapevo chi era Brecht."

"E anche adesso lo sai."

"No. Adesso non lo so."

"Devi chiarire la metafora. Che cosa o chi è quella ruota?"

"Raúl, forse. Non so da dove cominciare. Non si è messo in contatto con te?"

"Credi che non te l'avrei detto?"

Carvalho da una manata al piatto che ha davanti e si alza adirato, isterico.

"E io che ne so? Che ne so io di quel che pensate di me? Qualche volta non vi sembro forse un intruso? Raúl, non è pure lui un intruso? Che ne so io dei tuoi interessi, di quelli dei vostri compagni, nei confronti di Raúl? Volete che lo trovi? Che non lo trovi?"

Alma si mette in piedi indignata.

"Era mio marito! È il padre di una bambina di cui ignoro ancora chi se l'è tenuta! Fugge da se stesso più che da un pericolo concreto."

"La polizia non è un pericolo concreto? E quel capitano e i suoi soci che gli hanno rubato il brevetto, non sono pericoli concreti?"

Alma si lascia cadere sulla sedia piangendo lentamente. Dall'arcobaleno del pianto contemplato dai suoi occhi verdi dice:

"Non so più distinguere un pericolo concreto da un pericolo astratto. Un'angoscia reale da un'angoscia immaginaria".

Carvalho si è tranquillizzato e vuole insistere nel gesto di avvicinarle una mano e accarezzarla, ma si trattiene.

"Vorrei trovare mia figlia, ma sono passati tanti anni che sarebbe una sconosciuta. La voglio trovare o voglio fargliela pagare al miserabile che me l'ha portata via? Raúl, invece, mi piacerebbe che fossi tu a trovarlo e che lo portassi via in Spagna con te. Per sempre. Non fa parte della mia vita. Soltanto della parte più orribile della mia memoria."

"Da dove cominciare?"

Alma sorride come presa da una strana rivelazione.

"Da un asado. Qui tutto comincia e finisce con un arrosto. Andiamo a festeggiare con un arrosto da ex combattenti. Raúl deve muoversi in questo mondo. Non ne ha un altro in grado di proteggerlo. Ti piace l'asado?"

 

A guidare l'auto è il ciccione. Sul sedile posteriore, il Capitano, accanto a lui sua figlia che ripassa degli appunti con la gonna piena di libri. Il Capitano la guarda prima intenerito, poi preoccupato. L'auto si ferma davanti all'ingresso della facoltà. La ragazza bacia in fretta ma affettuosamente il padre, prende i libri e da un pizzicotto sulla grossa testa del ciccione.

"Ciao, zio Cesco."

Il ciccione mostra un viso soddisfatto.

"Perché vai così di fretta, Muriel? Che ti succede, oggi?" dice il Capitano affacciandosi al finestrino.

"Prima lezione con un osso duro, una professoressa di lettere."

"Come si chiama?" domanda di nuovo il Capitano.

"Alma. Alma e non so che altro," risponde Muriel voltandosi mentre corre.

Il viso del Capitano cerca di sorridere senza che gli riesca di diluire l'irritazione. Il ciccione accenna a scendere dalla macchina, ma il Capitano lo ferma. Quando si allontanano dall'università, il Capitano è ancora corrucciato ma cerca di recuperare una certa impenetrabilità. Il ciccione ha i nervi completamente a pezzi.

"L'ha sentita? Doveva proprio essere… Avremmo dovuto sterminarli, Capitano. Lo sa che cosa può accadere quando si incontreranno Muriel e quella donna…"

"Nulla," risponde secco il Capitano.

"Nulla? E la voce del sangue?"

"Il sangue è silenzioso, ciccione. Questo tu lo dovresti sapere, tu che ne hai visto tanto. In ogni modo, più pericoloso di tutti continua a essere Raúl, il padre. Quello lì ha ancora voglia di chiedere, di cercare. Berta o Alma, quale che sia, è una desaparecida. Nessuno se ne accorge ma è desaparecida."

"Io non la prenderei sotto gamba."

L'auto del Capitano si ferma davanti alla porta del Ministero per lo Sviluppo. Scende agile il cinquantenne fibroso e atletico che continua a essere il Capitano, quasi privo di guance e con le labbra sottili tenute strette sale i gradini a passo veloce. Mostra un distintivo alla guardia ed entra senza aspettare che gli sia dato il via libera. La segretaria non si sorprende vedendolo, né trattiene la tendenza dell'uomo a entrare nello spazio di Güelmes senza permesso.

"È solo?" domanda il Capitano.

"Lo sarà."

Il Capitano si ferma in attesa. La segretaria fa una chiamata. La porta dell'ufficio del ministro si apre e appare il visitatore bruscamente licenziato e un po' sorpreso.

"Allora, le pare che tutto sia chiaro?"

La voce del ministro arriva dal fondo.

"Chiarissimo."

"Molte grazie, eccellenza," risponde il visitatore soddisfatto. "Tutto è stato molto più veloce di quanto mi aspettassi."

Si scosta dalla porta un po' confuso e il Capitano si intrufola nel vuoto che gli viene lasciato. Si piazza davanti al ministro con le braccia alla vita, in attesa che questi gli dica qualcosa. Güelmes vuole esaminarlo con autorità prima di dirgli:

"È sempre meno prudente che lei venga qui".

"Ho tutte le porte dell'Argentina aperte."

"Non siamo nell'Argentina del 1977, né in quella dell'81, né in quella dell'85."

"No. Quanto al calendario lei ha ragione. Quanto al paese, non tanto. I calendari passano, i paesi rimangono. Di che cosa voleva parlarmi? Innanzi tutto, mi congratulo con lei per la sua promozione, signor ministro."

Güelmes cerca di recuperare il suo ruolo di ministro. Si siede nella poderosa poltrona statale e indica al Capitano di sedersi pure lui. L'uomo non gli fa caso.

"Continuo a interessarmi di un patto. Indifferentemente dal fatto che noi si continui con lo sfruttamento dell'industria alimentare e che Font y Rius abbia dimenticato tutto l'accaduto."

"Al sodo," taglia corto il Capitano.

"Il patto continua a essere che io contribuirò al ritrovamento di Raúl ma che lei non l'ucciderà. Bisogna farlo uscire dall'Argentina, però vivo."

"Sa dove si trova?"

"No. Ma Alma ha organizzato una curiosa riunione, un asado in casa dei Baroja, lei sa chi sono, gente della frazione intellettuale della sinistra peronista. Un asado per ex combattenti. Ha avuto la gentilezza di invitarmi. Sembra un confronto fra vecchi amici perché li si aiuti a trovare Raúl."

"Suppongo che anche il gagliego ci vada."

"Certo. Ufficialmente a cercarlo è lui, lui e l'ispettore Pascuali."

"Quel Pascuali, un giorno bisognerà farlo maturare. Non capisco quel bigotto della democrazia formale. M'intendo meglio con un terrorista. Beh, ci vada e buon pro le faccia questo asado! Orecchie aperte, e se c'è qualcosa che ci possa condurre a Raúl, prima spetta a me, per ovvi motivi, e poi se Pascuali ci tiene, vada pure a trovarlo. Voglio un rapporto su tutto quello che verrà detto durante l'asado e sulle persone presenti."

"Vuole anche sapere che cosa si mangia?"

"In tutti gli asado si mangia la stessa roba. Migliore o peggiore ma è sempre uguale."

"Sa se Alma è così testarda da continuare a cercare sua figlia?"

"Sono anni che non parla più della faccenda," risponde Güelmes, e nel suo disinteresse eccessivo si capisce come cerchi di comunicarlo al Capitano.

 

Gli allievi cominciano a fare silenzio. Alma si mette gli occhiali, ripassa gli appunti e alza la testa. Il silenzio è totale.

"Anche se il linguaggio applicato alla letteratura è la nostra materia prima, oggi voglio parlare di come si codificano e decodificano altri linguaggi, per esempio, quello dell'architettura reale, di una città concreta, di questa città, senza andare oltre."

Viene interrotta dall'apertura della porta. Entra Muriel accaldata dalla corsa, con i libri stretti al petto. Balbetta una scusa, cerca un posto a sedere vicino alla porta dove poter nascondere o far dimenticare il ritardo. Non ce n'è. Alma tace e tutti gli sguardi si fissano sulla ritardataria.

"In prima fila c'è una bella sedia per lei. Gli ultimi saranno i primi."

Quasi tutti ridono mentre Muriel avanza imbarazzata. Finalmente si accomoda e guarda l'insegnante piena di confusione.

"Io non pretendo che gli allievi vengano alle mie lezioni. Ma chiedo loro di arrivarci prima di me. Se non sono interessati alla mia materia…"

Precipitosa e ingenua, quasi piangendo per la tensione, Muriel esclama:

"Ma se è quella che più mi interessa!".

I compagni ridono. Anche Alma sorride, e rivolgendosi a tutti, dice:

"Sia chiaro che noi due non ci eravamo messe d'accordo prima. Torniamo a Buenos Aires. Vi ho già spiegato in precedenza che Malraux disse della nostra città che gli sembrava la capitale di un impero mai esistito, e che Le Corbusier volle farla diventare la 'Ville Verte' dei suoi sogni. Un mio amico che era stato architetto o, per dirla meglio, un progetto di architetto perché non arrivò mai a esercitare, suole dire che Le Corbusier è molto più importante per quello che ha progettato che per quello che poté realizzare. Aveva progettato una Mosca autenticamente rivoluzionaria e la burocrazia sovietica gli impedì di realizzarla. Aveva progettato una Buenos Aires verde e qui gli si lasciò soltanto sistemare una casetta per Victoria Ocampo. Fu sul punto di cambiare Barcellona, in Spagna, e la guerra civile glielo impedì. Mi piacerebbe che pensaste a tutto questo e scriveste quello che pensate sul paradosso apparente. Paragonate Buenos Aires come capitale di un impero mai esistito a Vienna, che non soltanto lo è ma sembra pure la capitale di un impero che non esiste più. Possiamo contrapporre il concetto del crollo di un immaginario, per esempio Buenos Aires, al crollo di una realtà, cioè, per esempio, Vienna. D'altra parte la Vienna imperiale nel suo periodo terminale favorì la nascita delle sfornate culturali più importanti di questo secolo, insieme a quelle del decennio prodigioso della Rivoluzione sovietica. C'è qualcosa di equivalente in questa Buenos Aires con l'immaginario distrutto? I nostri grandi scrittori sono di solito perlustratori della conoscenza che non hanno mai il coraggio, o la volontà, di uscire dalla conoscenza strettamente letteraria. Borges ne sarebbe il massimo esponente. La Vienna di Freud o di Klimt propose al mondo l'angoscia di fronte alla crisi dell'io borghese e la Mosca della Rivoluzione propose una speranza compensativa di quest'angoscia. Che cosa ha proposto Buenos Aires al mondo? La resa letteraria di una de–identificazione ordita da Borges, Bioy, Malica, Sábato, Macedonio Fernández? Domande cui non voglio si risponda. Voglio che vengano metabolizzate. Studiate girandovi intorno. Potete persino scrivere un tango sull'argomento. Il tango, mio malgrado, continua a conservare la capacità di descrivere l'attuale. Che ve ne pare di questi versi di Horacio Ferrer? Li ho tratti da Juanito Laguna aiuta sua madre:

 

Nato in un geranio

gli fecero il pannolino

con una pagina di 'Clarín'".

 

Un allievo scuote la testa disgustato e il codino biondo legato con una fettuccia gli balza da una spalla all'altra.

"Lei non è d'accordo, Alberto?"

"Se quella gente della canzone è così mal messa, perché legge 'Clarín?' Perché non legge invece 'Página doce'?"

 

Alma lancia cartelle e libri su un divano e si toglie le scarpe, massaggiandosi i piedi come se le facessero male.

"Sei matta. Ti fa male la testa e ti accarezzi i piedi."

Si alza e si spoglia, per indossare un paio di pantaloni larghi, una camicetta e le pantofole. Quando apre il frigorifero, il suo viso riflette un senso di sconfitta. Cerca infine una scatola nella credenza della cucina, la sorprende il campanello d'ingresso e va verso la porta, ma si trattiene diffidente prima di aprire. Dallo spioncino vede un uomo con una imprecisata divisa da lavoro, ma nonne scorge bene la faccia.

"Chi e?"

"Terminator."

"Non sono in vena di scherzi."

"Il mio lavoro consiste nel derattizzare, signora. Non ha chiamato per la derattizzazione?"

Torna a servirsi dello spioncino. Vede il viso di Raúl distante e deformato dalla lente panoramica. Alma fa scattare precipitosamente serrature e chiavistelli, e quando la porta è ormai spalancata, Raúl aspetta prima di entrare che sia lei a tirarlo dentro. Alma chiude la porta e lo stringe in un abbraccio possessivo cui lui si lascia andare. Le parole tra respiri affannosi e le mani che scattano, in un sovrapporsi al tempo rimandato, e un'urgente ricerca della nudità, della pelle umana, dei volumi tanto conosciuti vent'anni prima, dei sospiri che a entrambi sembrano uscire da un registratore, dal registratore della memoria. Poi Alma si mette un pigiama perché la sua stessa nudità la infastidisce, si siede sul letto, la schiena appoggiata al capezzale. Raúl è seduto ai suoi piedi e lei allunga le braccia per potergli stringere le mani.

"Vent'anni dopo torniamo a…"

"Non mi ero mai aspettato questo. Troppo a lungo ho supposto che fossi morta. Non capisco perché nessuno mi ha mai detto la verità, nemmeno tu. Capisco che tu abbia preso l'identità di tua sorella per ingannare i militari, ma anche me, Berta? Anche me?"

"Mi chiamo Alma. Mai più mi chiamerò Berta."

"La bambina."

"L'ho cercata. Non puoi immaginare quanto. Mi sono impegnata a fondo nel movimento delle nonne, travestita da zia di mia figlia. Se è viva, vuol dire che se l'è tenuta qualcuno che è riuscito a distruggere tutte le tracce che ci portavano a lui. Di tanto in tanto vedo una ragazza in strada e qualcosa mi dice: tua figlia le somiglierebbe, e scoppio in un pianto senza lacrime. Ma appena mi trovo tra quattro mura scoppio a piangere e le lacrime allora sì che vengono fuori. Sono psicologicamente stanca di avere bisogno di lei. Qualche volta penso: non la vuoi trovare, quello che vuoi è fregare chi te l'ha portata via."

Raúl assente.

"A me succede qualcosa di simile. Mi nascondo perché mi perseguitano o perché non posso vivere se non mi nascondo? Nascondermi da chi? Da che cosa?"

"Tu sei perseguitato, Raúl. Non dimenticarlo. Il Capitano, i suoi soci che ti hanno tradito e stanno facendo soldi con le tue scoperte, anche se loro continuano a volerti bene, Güelmes, Font y Rius. La cosa migliore sarebbe che tuo cugino riuscisse a portarti fuori da qui. L'Argentina che tu e io riconoscevamo come nostra, quella che ci dava un'identità, non esiste più. I sopravvissuti che continuano a credere negli stessi ideali sono più desaparecidos degli stessi desaparecidos."

"Tu vuoi che me ne vada. Non è vero?"

"Non so," risponde Alma, ma finalmente si lancia su di lui, lo bacia, lo abbraccia con la volontà del rincontro. "Ma questa notte resta qui."

Il mattino dopo si svegliano sotto le lenzuola, con il soffitto come unico orizzonte. Alma sta per dire qualcosa, ma Raúl le chiede affettuosamente di tacere con un dito che le sigilla le labbra.

"No. Non dire niente. So che cosa è successo oggi e che cosa succederà sempre. Nel ricordo siamo quei giovani amanti che volevano cambiare la vita come Rimbaud, e cambiare la Storia, come Marx ed Evita, la strana coppia."

"E Trockij."

"Marx, Evita e Trockij. Io ero filotrockista. Tu eri una nazional–peronista. Adesso sei una donna nel pieno delle forze, che non si chiama come ricordo io e che è andata a letto con un uomo depresso che non ha più libido. Lo sai che uno dei primi sintomi della depressione è che non ti viene duro?"

"Non tutto si riduce a questo."

"No. Non è vero. Me ne vado. Forse un giorno ci potremo rincontrare liberamente, chiacchierare, recuperare i legami; forse, forse, allora. Adesso ti chiedo soltanto il permesso di vederti e parlare con te. Come la Primula Rossa. Io sono un uomo occulto. Non ti dico nemmeno dove mi nascondo e chi mi nasconde. Ma non agisco da pazzo anche se può sembrarlo. So che Eva María vive, e so più di qualche mese fa, so come trovarla. Non farmi domande. Del resto, non potrei dirti nulla di preciso."

Si baciano. Uscito da sotto le lenzuola, l'uomo contempla la propria nudità con un certo sarcasmo.

"Vieni all'asado dei Baroja?"

"È troppo rischioso."

"Hai ragione. Se l'ho organizzato è stato per parlare di te, per sondare la gente e non per farti venire."

Esce in strada vestito con la tuta di un'impresa di derattizzazione e tiene in mano una borsa da lavoro con delle sigle. Vladimiro si porta il walkie talkie alle labbra.

"Esce un impiegato. Sembra di una di quelle ditte che sterminano gli animaletti."

"Che animaletti?" risponde Pascuali all'altro capo del telefono.

"Topi. C'è scritto qualcosa come derattizzazione."

"Seguilo!" ordina Pascuali. "Non hai ancora capito, pezzo d'asino?"

"Non ho capito che cosa?"

Vladimiro si decide a mettere in moto e avvia la sirena.

"Questa che sento è la sirena?" domanda Pascuali.

"Sì."

"Ficcatela in culo! Scommetti che quel tizio se l'è data a gambe? Abbi il coraggio di dire di no, se ne hai le palle."

Vladimiro cerca di ritrovare tra la folla che cammina in strada l'impiegato derattizzatore senza riuscirci, ma l'urgenza con cui preme il pedale dell'acceleratore non quadra con il sorriso indolente e poco inquisitore con il quale affronta la realtà esterna.

"Vuole che ci provi a piedi, ispettore Pascuali?"

"Voglio che crepi. E non preoccuparti. La più bella corona di fiori ai tuoi funerali sarà proprio la mia."

 

Un agnello aperto in due metà e messo in croce. A una distanza eccessiva per gli occhi di Carvalho, il fuoco, come se giocasse sadicamente ad arrostire e non arrostire. Su lastre di pietra le braci e le griglie venivano inferte ad altre bestie e applicate alla nomenclatura della più implacabile autopsia che Carvalho deduce dai commenti altrui: vacío, entraña, chinchulines. Una ventina di persone segue lo spettacolo di quelli che manipolano le carni al fuoco, formano gruppi o deambulano nel giardino di una casa di campagna tra le migliaia che si trovano nei dintorni di Buenos Aires. Ha una certa bellezza da giardino abbandonato, e senza saperne il perché, a Carvalho ricorda più una dacia della campagna moscovita, così come le aveva conosciute negli anni sessanta, che una rileccata seconda casa alla spagnola. Quasi tutti i presenti sono vestiti come spigliati professionisti che vivono un fine settimana nella libera natura e hanno tolto i figli dal magazzino di bambini per tentare il discorso del buon selvaggio. Le conversazioni sono invece un po' tese o, in ogni caso, politiche, culturali, tranne per qualche guerriero che cerca di far bella figura con il pallone davanti ai figli.

"Più vicini alla quarantina che alla trentina. Questione d'età. Qualcuno sulla cinquantina come Girmenich. La generazione che diede inizio alla lotta armata con il sequestro di Aramburu. Poi quella che visse quasi fin dall'adolescenza militante l'impatto del colpo di Stato e del Processo. L'intera Argentina in armi ti saluta, gagliego."

Silverstein ha preso l'abitudine di parlargli all'orecchio come se fosse la voce esclusiva fuori campo o semplicemente imita il modo di fare dei cattivi nelle tragedie di Shakespeare. Anche Font y Rius è tra gli invitati, ma tutti vengono eclissati dall'arrivo di una macchina ufficiale con scorta da cui scende Güelmes. Un uomo biondo con gli occhi azzurri esclama sdegnoso:

"Guarda, il Güelmesito".

Di nuovo le labbra veloci di Silverstein e i suoi occhi impietosi.

"Quello che lo ha chiamato Güelmesito è Luis Barone, nome di battaglia, Luigi. E guarda, quell'altro con la mascella poderosa e gli occhi arrabbiati è Girmenich, uno dei primi montoneros, di quelli che sequestrarono Aramburu. Quello lì ci divide. C'è ancora chi lo mette sull'altare dei guerriglieri, e chi lo odia a morte. Continua a essere cattolico. Mi hanno detto che crede nella Vergine Maria."

"Il Güelmesito non c'è verso di farlo scendere dall'auto ufficiale," commenta una donna con occhi da design e il naso affilato e sensibile che era stata presentata come Liliana Mazure.

"E speriamo che duri! Quantomeno distribuisce prebende trai vecchi amici."

"Era il re dell'esplosivo al plastico!" Barone informa Carvalho. "Non era il caso di mettergli in mano un mitra perché non vede a un palmo dal naso, ma con gli esplosivi era un portento."

"Ricordi quando abbiamo fatto saltare il commissariato?" aggiunge un pancione con gli occhi che quasi gli cascano tanto sono stanchi.

Carvalho sfugge all'incontro con Güelmes passeggiando insieme a Silverstein, che continua a fargli un resoconto dell'incontro.

"Guarda, siamo venuti tutti qui, come fessi, richiamati da Alma e dagli effluvi di un buon asado. Il padrone di casa ha una biblioteca fantastica e discende da Baroja, credo, una famiglia della sinistra argentina da diverse generazioni. Barojita! Vuoi mostrare la tua biblioteca al gagliego?"

Güelmes distribuisce saluti e strette di mano con fare cameratesco, ma anche con la sicurezza che gli procura l'essere un uomo di Stato. Alcuni si chinano sarcasticamente per baciargli la mano mentre gli dicono riverenti: signor Ministro. Silverstein evita ostentatamente l'incontro mentre insiste a gran voce con uno di quelli che con maggior impegno lavorano all'asado:

"Baroja, mostra la tua biblioteca a questo gagliego. Lui adora bruciare i libri e forse ti risolve il problema di quelli che non sai più dove mettere".

Baroja sembra un po' più giovane degli altri, ma partecipa complice all'operazione nostalgia e conduce Carvalho verso la casa dopo essersi pulito le mani nel grembiule. Entrano nel vecchio edificio, aggrediti dalla presenza dominante dei libri. Un mausoleo della letteratura di sinistra del XX secolo. Carvalho prende i libri di Gramsci, di Howard Fast, di Wright Mills, di Habermas, di Adorno come se fossero specie protette e poi li ripone con cura nel loro posto originario.

"È come un paradiso della sinistra per lettori tra i settanta e i quarant'anni," dice Carvalho. "Da Lukács fino a Marta Harnecker."

"Questo perché già mio padre era di sinistra. In realtà continua a esserlo, lui è sempre stato della sinistra peronista. Amico di Walsh, di Gelman, di Urondo. Io nel '76 ero piccolino, ma guardavo tutta quella gente in giardino come se fossero stati i miei fratelli maggiori. Degli eroi."

"E adesso?" domanda Carvalho.

È Silverstein a rispondere per Baroja.

"Ci ama come si amano i migliori ricordi dell'infanzia, inclusi i giocattoli e le zollette di zucchero."

"Raúl? Verrà alla festa?" domanda incisivo Carvalho.

"Il momento di Raúl arriverà presto. Alma mi ha spiegato gli scopi di quest'incontro."

Da una finestra contemplano la vita nel giardino. Vedono diverse dita che si alzano incitanti e ricadono sugli orologi da polso. Hanno fretta.

"L'asado aspetta e alcuni vogliono tornare presto a Buenos Aires. Oggi il Boca gioca contro l'Independiente. Io non ho che dei libri. Non posso offrire loro un televisore. È il suo primo asado? È qualcosa di più di un pasto. È un rito sofisticato nato dalla volontà del pioniere, del gaucho, di sopravvivere mangiando tutta la carne che gli riusciva di mangiare. Conosce i tagli della carne argentina?"

"Qualcuno. Una volta a Barcellona c'era un ristorante argentino piuttosto buono: La Estancia Vieja. Lo gestivano un tale Cané e Marcelo Aparicio. Ma con i tagli mi confondo ancora parecchio. Non vado oltre il bife de chorizo e l'asado de tira."

"Amico, migliori le sue conoscenze. Il bife de chorizo è una bistecca della costola, vicina ormai alla natica, la vostra entrecôte. Il bife de lomo è quello che voi chiamate filetto, e il bife de costilla è la parte fine della lombata con osso. Poi c'è il vacío, molto saporito, è la carne del fianco insieme al polmone. Ma un buon asado deve avere i chinchulines, o intestini tenui e animelle, quello che noi chiamiamo achuras e voi frattaglie. Le morcillas. Tenga. Le regalo una copia del Manuale dell'asador argentino, di Raúl Murad."

"Perché glielo dai? Lo brucerà."

"I libri che servono a qualcosa non li brucio."

 

In giardino stanno cominciando a mangiare. Per quattro ore Carvalho ha tempo di osservare la lenta dedizione dei commensali intenti a saziarsi di proteine, lo stesso entusiasmo in adulti e bambini, nemmeno le donne dissimulano come in Europa la loro voracità al momento di ingurgitare animali morti. L'incontro ricorda a Carvalho le abbuffate popolari all'aria aperta che in ciascuna località della Spagna richiedono alibi sacri e diversi al servizio della memoria del rapporto tra fame e abbondanza. Importanti avanzi di carni, focacce imbottite e insalate sul tavolo, diverse bottiglie a metà.

"Un asado si valuta da quel che avanza, non da quel che si mangia."

Gli fa sapere Alma quando ormai la loquacità del dopo tavola mette in moto le conversazioni.

"Dimmi, Font, come vanno i matti della tua clinica basata sui principi dell'antipsichiatria?" domanda un omaccione coi mustacchi. "Ultimamente mi hanno detto che accetti persino le mogli ricche dei mariti poveri che vogliono farle interdire per tenersi il patrimonio."

"Soprattutto per liberarsi dalla moglie," risponde Font y Rius imperturbabile, e aggiunge: "Oppure prendilo come una soluzione rivoluzionaria. Tolgo i beni alle donne ricche per darli ai loro mariti poveri, o viceversa. Voi non facevate lo stesso in esilio falsificando carte di credito Visa Oro?".

Barone fa sapere a Carvalho che l'omaccione aveva rifornito metà dell'esercito argentino di elettrodomestici con il sistema di falsificare carte di credito dei ricchi del Nord. Della storia ridono più gli uomini che le donne e una di esse affronta Font y Rius.

"Sei così machista che nella tua clinica non accetti ereditieri ricchi?"

"Statisticamente parlando, accetto soltanto minoranze, lo confesso."

"Lo dicevo per mandarti mio marito."

Il cucchiaino di Alma tintinna contro un bicchiere.

"È stato bello incontrarsi di nuovo, ma bisogna raggiungere Raúl Tourón prima di quelli che gli danno la caccia. Alcuni di voi sanno già che è da queste parti. Dovremmo unirci per proteggerlo."

Font y Rius a testa bassa, Güelmes è interessato ma distante, Silverstein osserva le reazioni di tutti. Facce da poker in alcuni. Altri sono emozionati mentre si sente la voce di Alma.

"Tutti voi sapete che Raulito ce la fece a uscire dall'inferno. E che molti anni dopo è tornato dalla Spagna. Nessuno sa che cosa stia cercando, forse la figlia scomparsa. Forse quello che cerca è di rifarsi una vita, come noialtri, ma per il momento si nasconde. Lui insegue se stesso ed è inseguito da alcuni servizi di informazione che gli rubarono uno dei suoi brevetti e ora non vogliono che ne chieda la restituzione. Sarebbe molto complicato da spiegare adesso. Chiunque di voi ne venga a sapere qualcosa… Bisogna trovarlo prima che lo facciano gli uomini del Capitano."

Alcuni visi cominciano a tradurre l'allarme. Quelli di Güelmes e Font y Rius la tensione. Diverse voci domandano: ma agisce ancora quel boia, quel gran figlio di puttana? Alma prosegue.

"Sì, agisce ancora. C'è un altro inseguitore. Un poliziotto del settore, chiamiamolo così, professionale, di quelli che credono nelle leggi, nella democrazia formale, nella separazione dei poteri."

"Dio è morto, Marx è morto, Montesquieu è morto, ma i cretini la scampano sempre, nessuno riesce a farli fuori!" grida Silverstein pateticamente.

"L'ideale sarebbe che suo cugino, questo gagliego…" continua Alma indicando Carvalho.

"Il gagliego mascherato! Il gagliego occulto! Il gagliego essenziale," torna a interrompere Silverstein..

"È di fiducia," sottolinea Alma. "Almeno per le persone in cui confido. Per favore. Se Raúl si è rivolto a voi, l'ideale, ripeto, sarebbe che suo cugino se lo portasse in Spagna."

Silverstein sale su un tavolo calpestando avanzi di asado. Declama:

"Un uomo occulto potrebbe trovarsi in qualsiasi posto. Ma non dobbiamo pensare a noi presenti, ma precisamente ai gloriosi ex combattenti dell'incompiuta, rimandata rivoluzione peronista che non sono qui con noi. Ricordiamoci di loro!".

Silverstein si serve un altro po' di asado scelto tra gli avanzi vicini a quelli che stava calpestando.

"Qualcuno ha notato che Honrubia non è venuto?" dice Barone.

Alcuni fischiano, altri ridono.

"Quello lì è in piena luna di miele e intento a svaligiare, questa volta senza il mitra, la famiglia Brucker. Tu l'avevi conosciuto bene, no, Girmenich?"

Girmenich quasi non ha parlato, ma intorno a lui c'è stato per tutta la durata dell'asado un miscuglio di avvicinamento e distacco, come se ciascun invitato avesse un diverso processo in corso con il più storico dei montoneros.

"Esserci conosciuti in quegli anni non significa conoscerci realmente."

"Sei ancora cattolico, Girmenich?"

"Ancora."

"E credi nella Vergine Maria?"

"Sì."

"E nella lotta armata?"

È Barone a fargli le domande, cercando forse di arrivare allo scontro dialettico. Girmenich non risponde all'ultima domanda, lo fa invece una donna pallida, con la pelle tanto trasparente che le si vedono le vene.

"Se la vinciamo, sì. Credo nella lotta armata. Se la perdiamo…Sono stati loro a vincerla. E in che modo."

"Ancora non ti sei riconciliata, Celia? Li uccideresti?" domanda Barone.

"Con le mie mani."

 

Comincia ad annottare. È Barone a guidare. Accanto a lui Carvalho tra il sonno etilico e l'ascolto di quanto racconta il guidatore, ma prima ha fatto in tempo a chiedergli di accompagnarlo fino a un locale notturno chiamato El Salto.

"È un locale di puttane."

Barone si volta per capire se Alma ha sentito il commento, mala donna sonnecchia, anche Silverstein è tra il sonno e il dormiveglia. Barone è sempre ossessionato da Honrubia.

"Il riferimento a Honrubia non è stato innocente. Era stato un montonero di grandissimo spicco con una taglia sulla testa perché tra le sue prodezze figura quella del sequestro dei fratelli Brucker, eredi della più alta oligarchia. Poi andò in esilio e viaggiò per mezzo mondo, sempre così radicale, con l'arma pronta, disposto a compiere la rivoluzione rimandata." Risate. "Honrubia era un tipo fenomenale! Poi torna, passa un po' di tempo in galera per controbilanciare il processo farsa contro Videla e gli altri, esce. Menem gli da una carica importante, lo sbattono fuori perché si riempie le tasche troppo in fretta e a un tratto annuncia il suo matrimonio con una certa signorina Brucker, sorella dei sequestrati e di vent'anni più giovane di lui. E non solo se la sposa ma riesce a escludere i fratelli dagli affari di famiglia e ormai ne è quasi il direttore assoluto."

Alma si è svegliata e si china verso i due uomini.

"Guida piano, Luis. Questo è il paese con il maggior numero di incidenti automobilistici d'America."

"Abbiamo altri record: il più alto indice di suicidi, di divorzi, di consumo di gassose e di deodoranti. Non ci piace avere un buon odore, ma non odorare. Stavo dicendo al tuo amico che Honrubia si è sistemato molto bene. Ha dimostrato di essere un buon negoziatore."

"La militanza ci ha resi efficienti, lavoratori, cinici; e il fallimento ci ha resi pragmatici. Ecco perché poi abbiamo successo negli affari. Beh, quelli di noi che si sono cacciati nel mondo degli affari."

Barone scuote il capo esitando.

"Nonostante tutto ho la sensazione che siamo tutti inseriti nella precarietà, come se vivessimo una lunga tregua tra la sconfitta e la vittoria."

"Tra due sconfitte."

"Sei troppo pessimista, Alma. Un giorno tornerà il tempo delle ciliegie, come nella canzone di Montand. Nulla si può sistemare a partire dagli sforzi di un solo paese, con il solo volontarismo attivista. Ma un giorno o l'altro bisognerà creare una nuova Internazionale Rivoluzionaria."

Carvalho assente e Barone crede che gli stia dando ragione.

"Sei d'accordo, gagliego?"

"Mi preoccupano alcuni dettagli."

"Per esempio."

"È impossibile, oggi giorno, organizzare un'Internazionale senza il fax."

"Fin qui ti seguo."

"Dove lo mettiamo questo fax? Non si può più né a Mosca, né all'Avana, e sarebbe suicida metterlo a Tripoli o a Teheran. Dove lo mettiamo questo fax, signor…?"

"Barone."

La macchina si ferma davanti a El Salto, il neon verde e rosso, come tutte le insegne dei locali di puttane della galassia.

"L'asado ti ha risvegliato gli istinti sessuali?" domanda Alma.

"Noi investigatori privati abbiamo strani compagni di asado e di letto."

Carvalho saluta. Nell'uscire sbatte la portiera svegliando Silverstein e si dirige verso la boîte con le gambe appesantite dall'alcol e dalle proteine. È sulla porta quando gli arriva il commento di Silverstein con metà corpo fuori dal finestrino.

"Chi l'avrebbe mai detto. Il gagliego ce l'ha, il sesso."

El Salto è un locale come altri del suo genere, con entraîneuses, poche luci, musica stridente e l'inevitabile travestito brasiliano che è la donna più bella.

"Mi faccio la barba tre volte al giorno," sputa il brasiliano a don Vito quando si sente rifiutato dopo diversi tentativi di abbordaggio.

Don Vito se ne sta con i gomiti appoggiati al bancone, stordito dal rumore e dalle luci, ma strizza l'occhio a tutte le ragazze che trova a tiro. Quando Carvalho gli posa la mano sulla spalla, si volta ed esprime il suo sollievo.

"Dio me ne liberi e mi protegga. Era ora. Ho le orecchie piene di questa merda. Corro a casa a mettere su qualche tango di Libertad Lamarque. Sono sedativi. Sto per perdermi la partita Boca–Independiente."

Carvalho contempla il personale femminile, segue gli sguardi libidinosi di don Vito cercando di indovinarne i gusti.

"Non sembra passarsela tanto male."

"La musica così forte porta all'impotenza. Guardi quell'omone accanto alle toilette. Lo chiamano il Bello ed è lui a tenere il coltello per il manico e quel che bisogna avere qui dentro. Non ho l'età per dirgliene quattro."

Don Vito si mette il cappello, saluta Carvalho toccandosi leggermente la tesa e se ne va, ma prima di raggiungere la porta si china sulla venditrice di sigarette in topless e le dice:

"Se mi dai le mutande che indossi, te ne compro mezza dozzina".

Non da tempo alla ragazza di reagire e prosegue fino in strada. Davanti a un whisky con ghiaccio Carvalho vede con la coda dell'occhio il Bello che si avvicina al cassiere e commenta qualcosa.

"E che vorresti fare, cacciarti lì dentro per vedere se si buca? Non fare casino," gli consiglia il cassiere.

Il Bello sembra difficile da trattenere. È identico a Gabriela Sabatini, la tennista. Carvalho lo abborda.

"Molti tossici?"

Il Bello sta per rispondere con spavalderia ma si trova in mano un biglietto da cinquanta dollari che gli ha lasciato Carvalho fingendo di volergliela stringere.

"Detective privato? Della madama non sei, perché la madama non paga."

"Sociologo," chiarisce Carvalho.

Il Bello resta sconcertato e Carvalho approfitta della sua sorpresa.

"Che cosa ne sa della topless assassinata?"

"Ho già detto quello che la polizia voleva che dicessi. La ragazza aveva un nome. Si chiamava Carmen Lavalle."

"È Pascuali a condurre l'indagine?"

"Lo conosce?"

"L'ispettore Pascuali e io siamo come fratelli. So già che gli ha raccontato che si faceva la topless."

"Da queste parti non c'è una sola ragazza che non mi sia fatto," risponde orgoglioso il Bello. "Ma non sono un avvoltoio. Ho la mia etica. Anche se me la scopavo di tanto in tanto, sapevo che quella ragazza era diversa. Non lo faceva per piacer suo. Faceva quel che doveva fare e questo era tutto."

Carvalho studia il pappone cercando di controllarlo a distanza, ma l'altro non gli da tregua.

"Studiava latino."

"Latino?"

"Latino."

Carvalho gli mette in mano un altro biglietto da cinquanta dollari.

"Certamente lei saprà l'indirizzo dell'insegnante di latino. A proposito, lei non è per caso fratello di Gabriela Sabatini? Le somiglia molto."

Il Bello gli scrive l'indirizzo su un tovagliolo di carta e Carvalho conferma che il movimento si dimostra con la fuga, quantomeno con la fuga dal locale puttanesco. In un quartiere decaduto, in un palazzo dove non c'è né un citofono né un portiere umano, Carvalho cerca il nome di qualcuno tra quelli degli intestatari delle cassette della posta. Non lo trova. Tre appartamenti non indicano il nome dell'inquilino. Guarda in alto. Dalle scale scende una donna con difficoltà, come se avesse male ai piedi, e porta una vecchia radio in un cesto.

"Vuole che l'aiuti? Le fa male qualcosa?"

"Ho un corpo troppo grosso per i miei piedi troppo piccoli."

"Il piede piccolo è indice di finezza di spirito."

La donna è molto contenta dei suoi piedi, se li guarda.

"Forse lei può dirmi in che appartamento abita un insegnante di latino."

La donna arriccia il naso. Guarda Carvalho ancora con stima, ma nei suoi occhi si è inserito il disgusto.

"Nel palazzo lo chiamano la peste. Pare che abbia litigato col sapone e in aggiunta si circonda di gatti. Dal suo appartamento esce una puzza schifosa."

"Dio mio. Com'è possibile? Un erudito. Un latinista."

"Un lati… che?"

"Un latinista. Un'eminenza nella lingua degli antichi romani."

"Spero che parlassero meglio di quelli di oggi. Mio marito è figlio di italiani, di Roma, e gli escono scorpioni dalla bocca. Il professore vive al terzo piano, seconda porta. Se prende l'ascensore, faccia attenzione a non cascare nel buco che c'è proprio in mezzo."

La donna gli volta la schiena in un avanzare lamentoso. Carvalho sale con cautela le scale, illuminate soltanto dalla luce filtrata dalle piccole finestre che comunicano con il cortile interno. Arriva davanti alla porta e preme il campanello arricciando il naso. La puzza è spaventosa e dall'interno arrivano miagolii disperati. Nessuno risponde. Prova ad aprire la porta con la carta di credito. È una serratura troppo vecchia e deve provarci con diversi chiavistelli fin quando la porta, più che aprirsi, si stacca. Un corridoio, lungo il quale avanza un branco di gatti. Alcuni escono sul pianerottolo, altri si sfregano sui pantaloni di Carvalho. Il corridoio è corto. Le stanze che vi si aprono sono una più sporca e disordinata dell'altra. Arriva a una cucina sala da pranzo, pentolame nel lavandino con avanzi vecchi di cibo non identificabile. L'intero vasellame è di terza mano o di terza vita. Sbreccato. Non molto pulito. Un tavolino per mangiarci sopra ricoperto di tela cerata. Scaffali dappertutto con libri vecchissimi. Scaffali persino in cucina, con i libri affumicati e unti. Carvalho apre la finestra per respirare. Poi si gira richiamato da un odore dominante. Cammina verso una porta socchiusa. Il cadavere del professore è sul letto, le braccia e le gambe come una croce di sant'Andrea. Ormai il sangue è diventato una pellicola secca sulla coperta e sul pavimento. Un gatto gli è rimasto accanto a leccare il sangue secco. Giallo in vita, ulteriormente ingiallito dalla morte e dal dissanguamento, il viso del cadavere ha cominciato a macerarsi. Carvalho smette di guardare il morto e comincia a esaminare i cassetti della scrivania. Una confusione di carte e oggetti, persino mezzo panino ammuffito, un quaderno sul quale aveva scritto con calligrafia lenta: relazione degli allievi. Carvalho si mette il quaderno sotto la camicia e prosegue l'ispezione. Libri, fotografie vecchie di gente probabilmente morta o ormai vecchissima, ma Carvalho deve voltare la testa quando sente una voce alle spalle.

"Cerca sempre la stessa cosa che cerco io."

La voce di Pascuali. Carvalho si gira apparentemente tranquillo.

"Questa volta sono stato tanto gentile da aprirle la porta."

Un'ora dopo l'appartamento è diventato luogo di riunione di metà dei poliziotti di Buenos Aires. Carvalho arriccia il naso e guarda faccia a faccia Pascuali e la sua mezza metà, Vladimiro.

"Preferisco parlare fuori, se non le dispiace. Avremo addosso questo odore per settimane."

Pure Pascuali si difende dalla puzza con il naso arricciato e d'accordo tutti e due scelgono un bar con carattere, con giocatori di biliardo in fondo, l'inevitabile legno dei rivestimenti, e signori che sembrano di un periodo qualsiasi tra due guerre, lindi, lustri e ben vestiti che commerciano o sembrano commerciare. Pascuali ordina un frullato e Carvalho un porto.

"Potete bere frullati nell'orario di servizio?"

"Non esageri, gagliego. Non prenda troppa confidenza. La volevo vedere lontano da Buenos Aires e adesso vedo che ha aperto un ufficio di investigazione."

"Mi limito ad aiutare il mio capo, Vito Altofini."

"Un altro bel tomo. Un ficcanaso che ha del detective privato quel che io ho del ballerino classico. Non cerca più suo cugino?"

"Si è nascosto molto bene. Sa se il Capitano lo stia ancora cercando?"

Pascuali si china minaccioso davanti a Carvalho.

"Io sono un funzionario pubblico. Non credo ai detective privati come lei. Né ai servizi paralleli come quelli del Capitano."

"La vedo male in questo mondo, in questo secolo. Nel futuro, tutta la polizia sarà privata e tutti gli Stati saranno mafiosi, pieni di servizi paralleli, idraulici di merda specializzati in fogne."

"Chi l'ha cacciata nel caso della ragazza topless e del suo professore di latino? Il fidanzato? Quell'altro fuggiasco?"

"Un ragazzo di buona famiglia che deve essersi nascosto sotto le gonne di qualche zia zitella di mamma sua."

"Perché una ragazza topless studiava latino?"

"Forse voleva farsi suora."

"La risposta non è all'altezza della sua classe, signor Pascuali."

Sembra che Pascuali stia per buttarglisi addosso, ma ritrova bruscamente la serenità.

"Passiamo a un altro uomo occulto, suo cugino. Non tanto occulto. Le interessa Alma?"

"In che senso?"

"Un uomo, una donna."

"Ho la fidanzata fissa, in Spagna."

"Pure lei detective privato?"

"No. Faceva la puttana, la squillo, a essere precisi. Ma poi le è venuta la depressione, stava per restare senza clienti, tutti hanno paura dell'Aids. Gli amanti fissi le stavano invecchiando, io stesso non ero più quello di una volta. Se n'è andata. Sto cercando anche lei. Cercare persone è la costante della mia vita."

"Non mi sorprende affatto che la sua fidanzata facesse la puttana. Ma neanche in Alma è tutto oro quel che luccica. Visita con frequenza la sua casa, cena insieme a lei, andate ad ascoltare tanghi e Silverstein e poi riceve suo cognato, Raúl Tourón. Passano la notte insieme."

"E lei, Pascuali, completava il triangolo?"

"Ho una fonte d'informazione sicura."

"E come mai se l'è lasciato sfuggire? Non c'è nulla di tanto indifeso quanto un uomo nudo e a letto."

Pascuali non riesce a trattenersi e molla un pugno al di sopra del tavolo che colpisce in pieno il naso di Carvalho. Guarda poi a destra e a sinistra per capire se qualcuno l'ha visto.

"Il pugno gliel'ha dato l'uomo, non il poliziotto."

Carvalho gli restituisce il pugno, che finisce sul naso del poliziotto. Pascuali se lo tocca. Sanguina, come quello del suo rivale.

"Lo sa che la posso mandare in galera per dieci anni per quello che ha fatto?"

"Il pugno l'ho restituito all'uomo, non al poliziotto."

Ma Pascuali aveva centrato meglio il colpo e con tale soddisfazione permette al detective di andarsene. Gli fanno male il naso e l'anima, attraverso i canali segreti che uniscono nasi e anime. Ormai rincasato, le dita di Carvalho si muovono sulla tastiera del telefono; senza controllo fanno il numero del suo ufficio nelle Ramblas.

"Biscuter? Sì, sono io. Va tutto bene? Hai ricevuto i soldi di mio zio? Digli che va tutto bene, che mio cugino è a portata di mano, ma che, ecco, ci sono complicazioni tecniche. Che Raúl è in buona salute. Beh, ho cenato… con dei calamari nel loro inchiostro. Sì, a Buenos Aires ci sono calamari e argentini depressi, sì, è sempre piena di argentini depressi e poliziotti paranoici. Anche di psichiatri. Non tutti sono in esilio a Barcellona. Charo, ha chiamato? Non ha detto beh? Che ti sei preparato per cena? Una frittata di fredolics.13 Charo non ha chiamato, capisco. Barcellona, come sta? E le Ramblas?"

Carvalho, rimpicciolito, afferra il telefono come se a un tratto tutto intorno a lui si fosse ingrandito, in mezzo a un'incommensurabile sensazione di solitudine e all'incommensurabile impressione di essersi fatto rompere il naso da Pascuali.

 

La casa in nostalgico stile inglese emergeva da una distesa di erba impeccabile, mobili da giardino dell'Eden, una griglia indubbiamente prodotta da un designer non al di sotto di Norman Foster, commensali che vestono con eleganza gauchesca come se posassero da gauchos di Giorgio Armani per un asado libero nella natura libera, mentre gli odorini di carne carbonizzata contrastano con dosi equiparabili di Must de Cartier nelle gauchas e di Opium nei gauchos. Carvalho scende da una scarpata d'erba e si avvicina ai bevitori di aperitivi e agli svogliati degustatori di tartine servite da camerieri travestiti da camerieri gauchos ricchi, mentre tutti aspettano l'asado.

"Trovano noi o i nostri figli con cento grammi di cocaina e li mostrano in tivù come dei criminali. Trovano il Pelusa, il nostro Maradona, pieno zeppo di coca e ne fanno un martire nazionale. Questa è la demagogia peronista. Non le pare?" sente dire Carvalho dalle labbra di una dama bionda ben conservata che arringa due attenti gentiluomini, uno dei quali è il Capitano, vestito pure lui da asado di lusso.

Il Capitano risponde cortesemente:

"La politica è sempre demagogica".

"Lo dice proprio lei che era un militare e uno dei più intelligenti difensori dello Stato."

A parlargli è un senatore che sembra esserlo stato fin dalla nascita.

"Era? Chi le dice che non continui a esserlo? Una volta vale per sempre," obietta la dama.

"Siete molto gentili."

"Beh, lei che è un uomo d'azione, e allo stesso tempo uomo dei servizi informativi, lei sa più di chiunque altro che cosa sia fare politica. Si può fare politica senza cadere nella demagogia?" domanda il probabile senatore.

"Se le dico di no, mi incriminano."

Ridono, il Capitano saluta e passa vicino a Carvalho, che gli volta le spalle, e cammina in direzione opposta, come se andasse verso un riccaccione travestito da maresciallo dell'esercito del vecchio dittatore Rosas, un oratore davanti a un gruppo misto di gente che rumina tartine.

"I radicali hanno sempre rubato con la mano sinistra, ma i peronisti lo hanno fatto a quattro mani."

"Quattro mani, Brucker?" chiede un interlocutore.

"Suvvia. Non capisci che sono dei primati? Che sono appena scesi dalla pianta?"

"Questo lo dici anche a tuo genero, che era stato più peronista di Perón?"

"Ma era andato ai migliori collegi ed è di eccellente famiglia," risponde Brucker.

"Sta cercando qualcuno?" domanda un domestico a Carvalho rompendo la sua condizione di ascoltatore invisibile.

Il domestico dissuasivo, spalleggiato da altri due domestici dissuasivi, interrompe il percorso di Carvalho, davanti alla curiosità di un paio di capannelli che si apprestano a godersi la scena.

"Non vogliamo né giornalisti né guardoni."

"Ripeto che il signor Honrubia mi ha dato appuntamento."

"Qui c'è un certo…" Il domestico consulta attraverso un walkie talkie.

Carvalho gli porge il biglietto da visita in cui dice "Altofini e Carvalho. Investigatori associati".

"Un certo Altofini Carvalho."

Riceve ordini benevoli e perquisisce Carvalho.

"Segua questo sentiero fino a raggiungere il lago, il signor Honrubia la sta aspettando all'imbarcadero."

Il Capitano osserva quanto accade a distanza. Non perde di vista la camminata di Carvalho lungo il sentiero fino allo stagno e l'imbarcadero. Un uomo corpulento è seduto sulla passerella e contempla le acque come se blandamente lo tentassero a un suicidio blando o come se occultassero un affogato che vede soltanto lui. Man mano che Carvalho si avvicina crescono il corpaccione dell'uomo e la sua faccia da cane triste,

"Il signor Honrubia?"

Honrubia studia Carvalho. La malinconia diventa diffidenza.

"Non le piacciono gli asado? La vedo molto solitario."

"Lei è della rivista 'Gourmet'?"

Carvalho gli allunga il biglietto da visita.

"Alma mi ha parlato di lei. Come sta Alma?"

"L'altro giorno siamo stati insieme a un asado con Girmenich, Silverstein, Güelmes, in casa dei Baroja."

"Che collezione di dinosauri. Lo sa perché i dinosauri si sono estinti? È una barzelletta. Una barzelletta russa. Il dinosauro si è estinto perché era un dinosauro."

"I dinosauri hanno ricordato quei tempi in cui adoperavano le armi e esplosivo al plastico, hanno parlato molto di lei."

"Male. Sicuramente. Io sono quel traditore che ha sposato una signorina dell'oligarchia contro cui combattemmo."

"Mi è parso che lei fosse profondamente invidiato. Ha sposato la sorella di una persona che lei sequestrò quando era montonero ed è sul punto di essere nominato amministratore generale delle imprese di suo suocero."

Il corpaccione si alza. Un braccio si muove verso Carvalho. Può essere minaccioso, gioca a esserlo, ma finalmente si posa sulle spalle del nuovo conosciuto e lo invita a camminare verso la festa.

"Sono stato guerrigliero, esule, morto di fame nell'esilio, rapinatore a mano armata, alto dirigente corrotto, destituito e ora sono un oligarca. Ma resto fedele a quei versi di Pavese: 'L'uomo solo che è stato in prigione ritorna in prigione / ogni volta che morde un pezzo di pane'."

È quasi emozionato, si passa una mano sugli occhi e indica la gente che aspetta l'asado.

"Guardi. Stanno tutti posando per la rivista 'Caras'. Se la rivista 'Caras' non esistesse, non esisterebbero neanche loro. Sembrano scimmie e parlano come scimmie declassate. Chi è stato montonero continua a esserlo in fondo al cuore, per tutta la vita. Chi ha lottato in favore della Storia non perde mai quell'identità."

"Güelmes dice il contrario."

"Quello lì non è mai stato un montonero. Quello lì è un pezzo di merda."

Una ragazza giovane e controllatamente attraente corre verso di loro.

"Prima che arrivi mia moglie, lei che cosa vuole da me?"

"Cerco Raúl, Raúl Tourón."

Non c'è più malinconia nel viso di Honrubia. Solo diffidenza. La ragazza si attacca affettuosamente al braccio dell'omaccione e i tre insieme si avvicinano alla scena dell'asado. Arrivano in piena elucubrazione filosofica di Brucker e dei suoi ospiti.

"L'asado continua a essere compito dei domestici. Una cosa è la strategia e un'altra la realizzazione."

"Invece a me piace tantissimo mettere i guanti d'amianto e arrostire, arrostire, arrostire."

Il signor Brucker proclama:

"Gli agnelli li controllo io! Nessuno ha il tocco che ho io!".

Alcuni invitati assentono, compiacenti.

"Nessuno arrostisce gli agnelli come papà," esclama la moglie di Honrubia, e il marito conferma, di nuovo con la faccia da cane triste. Carvalho, Honrubia e la donna seguono gli invitati verso il posto dove vengono arrostiti gli agnelli. Cinque cristi, impalati, come crocefissi davanti alle braci.

"Agnus Dei qui tollis peccata mundi" recita Honrubia.

"Sai persino il latino! Che cosa hai detto?" gli domanda la moglie piena di entusiasmo.

"Agnello di Dio che togli i peccati del mondo!" salmodia Honrubia con faccia da profeta biblico.

"Ora pro nobis," dice Carvalho a sua volta.

 

Imbrunisce soprattutto per Honrubia e Carvalho seduti nel salone biblioteca, in poltrone di una ricchissima comodità, fatte con le pelli migliori delle mucche migliori. Nel caminetto bruciano i legni migliori dei boschi migliori di Misiones o di Bariloche. Honrubia invece beve un bicchiere stracolmo di whisky di cattiva qualità. Pure Carvalho.

"Che cosa le fa pensare che io abbia potuto nascondere Raúl?"

"Voi siete i padroni di mezza Argentina."

"Esattamente di uno zero, virgola, zero nove dell'Argentina."

"Non è male, tenendo conto di quanto spetta agli altri argentini."

"Un giorno queste case bruceranno e tutto questo mondo crollerà. La rivoluzione è inevitabile. Il mondo non può andare avanti diviso tra una minoranza composta da gentaglia come noi e milioni di morti di fame."

"Intanto…"

"Intanto," interrompe Honrubia, "io pensavo che questo whisky fosse eccellente fin quando lei mi ha detto di no. Lei è tra i pochi che sanno apprezzare un buon whisky di malto, a quanto vedo, e questo non lo è."

"Non è manco di malto."

"Lei è un sovversivo?"

"Lo sono stato. Adesso mi limito a bere e fumare tutto quel che posso, e di tanto in tanto brucio libri."

Honrubia gli indica l'intera biblioteca.

"Bruci quel che vuole. Sono di mio suocero o di suo padre o di suo nonno. Cosa importa! Non hanno mai letto niente."

"Posso davvero?"

Lo stesso Honrubia predica con l'esempio. Si mette in piedi, prende un libro evidentemente caro e lo butta nel caminetto. Carvalho lo imita e Honrubia continua la catena incendiaria. Poco dopo, una fumata da inceneritore di mezza cultura occidentale esce dalla ciminiera della biblioteca. Diversi domestici guidati dal signor Brucker e invitati residui entrano nella stanza. La trovano vuota, ma alcuni libri stanno ancora bruciando nel caminetto.

"Meno male. Si tratta solo di libri," dice Brucker.

Il primo sorriso che raccoglie è quello del Capitano.

Carvalho segue intanto Honrubia per le scale che conducono al sotterraneo cantina, dove lo commuove una spettacolare collezione di bottiglie.

"Ci sono bottiglie di Bordeaux del 1899. Da guardare, non da bere."

Honrubia cerca una porticina ed esce in giardino. Una piccola strada conduce a una vecchia, minuscola palazzina belvedere.

"Il mio studio. Un luogo sacro."

Camminano per raggiungerlo e appena varcata la soglia a Carvalho pare di avere avuto accesso a un'altra dimensione. Alle pareti, poster rivoluzionari (Evita, il Che, Castro), libri, opuscoli e armi in una vetrina. Honrubia ordina a Carvalho di sedersi e lui scompare dietro una porta. Carvalho dedica una certa ironia alla scenografia. C'è anche un telescopio per osservare le stelle attraverso una cupola di vetro che si apre sul tetto appena Carvalho si avvicina allo strumento. Il cielo stellato. Un rumore alle sue spalle. Carvalho si volta. Honrubia e Raúl lo stanno guardando.

"Dieci minuti," avverte Honrubia prima di ritirarsi.

Raúl resta in piedi. Carvalho seduto. Non parlano per qualche secondo.

"Come sta mio padre?"

"Sopravvive perché ti aspetta."

"È una questione patrimoniale. Il vecchio teme che mia zia e le mie cugine gli succhino il sangue. Pure io gli ho succhiato il sangue per tutta la vita. Arrivai a essere quel che ero grazie a lui e persi tutto senza tener conto di lui. Ormai è tardi."

"Sarebbe tutto più facile se tornassi in Spagna con me."

"Continua a essere tutto difficile. Ho scoperto di essere un argentino. In Spagna mi sentivo sudamericano, sudaca, non è così che ci chiamate? Qui, in qualche posto, c'è mia figlia. Ad Alma avevo già rinunciato. Qui c'è il mio passato, la mia nostalgia. In Spagna non avevo un futuro e avevo perso il passato."

"Non sono soltanto io a cercarti. Ti cerca il capitano Pascuali. Con Pascuali posso negoziare che ti lasci uscire dal paese."

"Mi basterebbe una cosa soltanto: che mi lasciasse vivere qui, non uscire da qui. La ricerca che più mi preoccupa è la tua. Tu mi fai più paura di tutti. Sei un salvatore. Mi vuoi salvare da me stesso."

"Sono un professionista. Prendo soldi per riportarti in Spagna."

"Cerco mia figlia. Sono sulla buona strada."

Raúl lo studia per dire finalmente:

"Tra due settimane si festeggia un asado famigliare".

"Un altro asado?"

"Tutti gli asado sono uguali e insieme diversi. In casa di un mio prozio, a Villa Flores. Un cugino di mio padre. Io non sarò lì. Ma avrai la mia risposta definitiva. Non sarò nemmeno qui. Non posso rimanerci più a lungo; pertanto, non ostinarti a ritornare." Gli allunga un biglietto. È il posto per l'appuntamento definitivo o per il commiato definitivo.

Carvalho si allontana dalla casa di Brucker nella Mercedes più lussuosa di tutte le Mercedes. Un autista in uniforme preme un comando a distanza e il potente cancello di ferro battuto di casa Brucker si spalanca aprendo loro l'orizzonte. Ormai fuori dal giardino dell'Eden, l'autista domanda:

"Le è piaciuto l'asado, signore?".

"Eccellente."

"Ogni asado è diverso dall'altro. Io lo faccio nel patio comune, ancora vivo in uno dei vecchi conventillos14 rimasti, ogni volta che ho una domenica libera. È la cosa che più mi tranquillizza, è riposante, ti riporta alla verità della vita: uccidere, mangiare."

Carvalho guarda la nuca dell'autista con curiosità.

"Anche lei ha fatto il guerrigliero?"

"Proprio della base, sissignore. Io studiavo in una scalcinata scuola serale di Barracas e fu lì che il signor Honrubia venne a reclutarmi. Ha messo molti vecchi compagni a lavorare qui."

"Preparando la rivoluzione rimandata," dice Carvalho a se stesso. "I Brucker non sanno che cosa li aspetta."

Diverse moto girano intorno alle mura della casa. Finalmente si concentrano davanti a un ingresso. I motociclisti scendono senza togliersi il casco né sollevare la visiera. Le due guardie incaricate di proteggere quella porta non li trattano in modo ostile. Uno di loro addirittura la apre dopo aver premuto un tasto per togliere l'allarme.

"È staccata solo la zona che circonda lo studio del signor Honrubia," comunica la guardia.

I motociclisti assentono. Si spargono intorno alla palazzina di Honrubia, da cui filtrano strisce di luci interne. Uno di essi guarda dalla finestra. Honrubia sembra leggere mentre i ceppi bruciano nel camino. Canta, pure. I motociclisti circondano la casa. Mentre uno assesta un calcio alla porta, un altro si introduce nella stanza lanciandosi contro la vetrata. In decimi di secondo i sei stanno puntando le loro armi su Honrubia che ha la solita faccia da cane triste, anche se nei suoi occhi si coglie un accenno di inquietudine. Due invasori entrano nell'altra dipendenza e inviano un segnale affermativo. Uno di quelli che puntano le armi su Honrubia lo segue. La stanza da bagno sembra inibire gli assalitori, ma superano la sindrome dell'intruso vedendo il bidet spostato, e sotto a esso appare quel che a un primo sguardo potrebbe sembrare l'ingresso di un rifugio segreto. I mitra puntano sul buco. Il bidet smette di girare, la bocca del rifugio si allarga. Una potente torcia rivela tutte le sue vuote dimensioni. Quando il commando torna in salotto, una voce neutra ordina a Honrubia:

"Rimanga dov'è per un quarto d'ora. Senza muoversi. Non si affacci nemmeno alla finestra".

Ormai in ritirata, il commando ritorna alla porta dove attendono le guardie giurate che avevano facilitato loro le cose. Due motociclisti estraggono una bottiglia dalle profondità delle loro tute di pelle, un fazzoletto; le nari delle guardie si fanno avanti in attesa della sottomessa cloroformizzazione. Ormai a terra le teste delle guardie vengono colpite con i calci delle armi, gli assalitori recuperano le moto e raggiungono un'auto nascosta nel bosco. Al volante un ciccione. Un motociclista si toglie il casco e gli occhiali che gli nascondevano la faccia. È il Capitano.

"Quel guerrigliero oligarca di merda si è liberato del suo compare."

"L'ha costretto a parlare?" domanda il ciccione.

"A volte sembri cretino," dice il Capitano lasciandosi cadere sul sedile posteriore. "È un Brucker finto, ma è pur sempre un Brucker."

 

Carvalho tiene aperto sulla scrivania il quaderno che ha preso nell'appartamento del professore di latino. La curata grafia in copertina prosegue all'interno, al servizio di annotazioni manichee sugli allievi: quelli che pagano e quelli che sono in debito. Gli occhi di Carvalho studiano il gruppo: Juan Miñana, impiegato delle Poste; Mudarra Aoíz, ripetente; Carmen Lavalle, ballerina e studentessa di filologia classica; Enzo Pasticchio, professore.

"Visto quel che pagavano, se non l'avessero ucciso sarebbe morto di fame."

"Questi pensionati hanno una resistenza incredibile," commenta don Vito seduto davanti a Carvalho.

"Forse lei li ha già visti alla manifestazione davanti al Congresso, alcuni sembrano degli scheletri e lo sono perché non mangiano quasi che ossa. Altri sono dei bei vecchi abbronzati dal sole delle manifestazioni, che abbronza parecchio. Alcuni vanno a petto scoperto per vantare la muscolatura epica del lavoro. Ma la maggior parte è composta da sopravvissuti. A volte io faccio la spesa nelle macellerie del mio quartiere, da quando la mia quinta moglie mi ha lasciato, ed è lì che li vedo, i vecchietti: signora, mi dia due etti di carne di scarto, è per il cagnolino. Capisce, don Pepe?"

"Dividiamoci questa gente. Carmen Lavalle è morta. Lei rintracci Mudarra Aoíz ed Enzo Pasticchio, e io Juan Miñana."

"Due a uno."

"Io continuo a badare a mio cugino. O è mio cugino a badare a me. A volte penso che sia lui a tenermi d'occhio."

Poiché Alma è appena entrata nell'ufficio, don Vito l'aggiunge all'inventario.

"E sua cugina. Eccola qui, sua cugina."

Carvalho contempla Alma con un'aria particolarmente beffarda che riesce a sorprenderla, prima ancora di sfidarla con lo sguardo. Don Vito capta la sfida.

"Ebbene. Me ne stavo andando. Abbiamo lavorato finora."

Si giustifica con Alma, la saluta con un leggero inchino cui lei risponde facendo altrettanto. Carvalho si rivolge alla donna e le mostra la sedia per i clienti.

"Si sieda, per favore."

"Si gioca al detective e alla cliente?"

"Si gioca."

Alma si siede, incrocia le gambe, contempla Carvalho come un oggetto sessuale e sentimentale.

"Viene a incaricarmi di trovare suo marito, mi scusi, suo cognato?"

"Il problema è suo."

"Forse comincerà a essere suo dopo la stupenda notte d'amore trascorsa nel suo appartamento di recente. Tutta una notte."

Alma si alza indignata.

"Mi stavi spiando?"

"Io no. Pascuali sì, e Raúl l'ha scampata per un pelo, stavano per arrestarlo."

"E che c'è di strano se è venuto a casa mia? Ero forse obbligata a dirtelo?"

"È stato a casa tua la notte precedente a quell'asado del cacchio con gli ex combattenti, e tu mi hai chiesto con cinismo che ti aiutassi a trovarlo: 'Bisogna trovarlo prima che a farlo sia il Capitano'."

"Non cercare di imitare la mia voce. Io non parlo come una checca."

"E mi avevi convinto quando hai affermato: 'L'ideale sarebbe che suo cugino se lo portasse in Spagna'."

"Perché mi prendi in giro? L'ideale sarebbe che te lo portassi in Spagna e che tu partissi con lui. Appena possibile."

Prende la prima cosa che trova sulla scrivania, un leggero dossier, e lo lancia su Carvalho. Se ne va, ma quando lui le corre dietro e la raggiunge sulle scale, si lascia acciuffare.

"È stato così triste. È stato come la fine di una storia di vent'anni che non è mai esistita. Gli ho detto che il meglio per entrambi era che partisse con te."

"Perché me ne vada anch'io."

Lei sorride un po' scoraggiata.

"Non so se Raúl se ne andrà, ma tu, gagliego, un giorno o l'altro te ne andrai, con Biscuter, con Charo, alle tue Ramblas. Hai la faccia di un uomo che teme di non poter tornare a casa."

Carvalho sembra addirittura commosso.

"Non sono mai tornato a casa. E il guaio è che non ricordo il momento in cui sono partito, né da quale casa."

Alma lo abbraccia cercando di trasmettere un abbraccio complice.

"Da quando. Da quando eri un ragazzino? Così?" e calcola una statura infantile di Carvalho.

"Ti invito a cenare nella bettola buia e pessima che c'è a due isolati da qui," dice Carvalho recuperando la fermezza.

"Ne avevo proprio voglia."

 

Carvalho si fa strada tra sacchi, furgoncini, postini, capireparto, sino all'ufficio del capo del personale.

"Juan Miñana? Non lavora più qui. Nelle sue ore libere scriveva romanzi. Vinse un premio letterario importante e se ne andò in Europa. Aveva uno zio in Europa. Prima qui era tutto pieno di europei e adesso tutti se ne vogliono andare in Europa."

"Lo conosceva bene?"

"È stato come un figlio, per me. Sono stato io a incitarlo perché continuasse a scrivere, a studiare. Cos'è preferibile, essere un postino o uno scrittore?"

"Quello del postino è un mestiere più sicuro e, inoltre, che ne sarebbe degli scrittori senza i postini?"

Non fa in tempo a inserirsi nello sconcerto.

"Lo sa che studiava latino? Non le pare strano?"

"Si nota che lei non è uno scrittore," dice il funzionario, che ormai aveva raccolto due sconcerti. "Che cosa si aspettava che studiasse? Il quechua? La sola cosa che ci ha donato il quechua è la parola chinchulines. A che cosa serve il latino? Lei crede che si possa scrivere bene in spagnolo senza sapere il latino?"

"Lei sa il latino?"

"Se lo sapessi, pensa davvero che sarei qui?"

Carvalho non vuole scomodarsi a considerare le considerazioni del malumorato padrino spirituale di Miñana e se ne va all'appuntamento con don Vito, nello stesso scenario del primo incontro.

"È più sicuro parlare qui che non in casa. Sospetto che sia piena di microfoni," dice Carvalho.

"Li mettono solo per rompere le palle. Per pura morbosità anticostituzionale. Che gli servano o meno."

"Bilancio," sollecita Carvalho.

"Ma insomma, perché mi aggredisce? A volte lei mi sembra più tedesco che gagliego. Va dritto alle cose. Alle cose bisogna girarci un po' intorno, compare," dice don Vito fingendo di ballare con se stesso.

"Bilancio."

Don Vito si rassegna.

"La topless morta, il postino romanziere in Europa. Enzo Pasticchio è un professore di latino delle scuole medie che cerca di vincere un concorso per entrare all'università, e il ragazzo Mudarra è proprio questo, un ragazzo, un ragazzo strano, figlio di una vedova invalida, che porta a spasso tutte le sere il cane, un cane di nome Cannella; lui, Mudarra, è un misto di nobiltà e sordidezza, biondo, dai gesti eleganti, ma si fruga il naso anche in presenza di estranei."

Si interrompe davanti al gesto schifato di Carvalho.

"Non posso sopportare la gente che si fruga il naso in pubblico."

"Il professore delle medie è un fuoristrada. Fa lezione alle medie, in duemila scuole private di poco conto, e ha l'ossessione dell'università. È diventato calvo a furia di adoperare la testa per ricavarne così poco. Niente di notevole, ma…"

"Ma?"

"Mudarra mi ha spiegato perché qualche settimana fa ha smesso di andare a lezione dal professore. Carmen Lavalle e il signor latinista erano soli nel suo ufficio. Il professore stava chino su Carmen, con le mani sulle spalle della donna mentre lei era assorta nella lettura del libro sulla scrivania. Sospetto che il professore le desse dei consigli mentre con gli occhi scivolava giù lungo la scollatura in cerca delle valli perdute tra i suoi seni: legga più piano, si goda l'emozione di Catullo. Bibamus mea Lesbia atque amemus…"

"Da dove ha tratto questi versi?"

Ma don Vito non vuole interruzioni e prosegue il monologo:

"Carmen aveva letto il poema amoroso di Catullo e le mani del professore erano diventate sempre più carezzevoli. Carmen aveva smesso di leggere, si era voltata e sulla faccia aveva un'espressione divertita. Che le succede, professore? Anche noi vecchi abbiamo un cuore!, aveva risposto il latinista con espressione lamentosa. Ma lei si riferisce al sesso?".

"Don Vito, sta improvvisando?"

"Le sto offrendo una situazione a tre dimensioni e due voci. L'anziano latinista ribatte: perché no? Anche noi abbiamo un sesso. Molto mal conservato, ma ce l'abbiamo. Carmen chiude il libro, si alza, mette le mani sulle spalle del professore pieno di vergogna e a occhi bassi. Gli alza la testa, simile a un teschio, con la mano. Gli bacia la fronte. Poi gli da un bacio appassionato sulle labbra. Quando i visi si separano il professore appare confuso, quasi stordito. Carmen, sorridente e quasi divertita. Appaiono sulla porta Pasticchio e Mudarra, che sono appena arrivati e hanno presenziato stupiti al finale della scena. Tra l'allarmato e il commosso. Capisce?" domanda don Vito, ma continua senza aspettare la risposta: "Pasticchio è un uomo di principi, ha sei figli, è stato seminarista, è contro l'uso del preservativo. Va da sé che tutti i figli li ha avuti dalla stessa donna".

"E Mudarra?"

"È senza muscolo. Come un ragazzo senza muscolo," dice con sdegno portandosi la mano alla patta.

 

È da anni che nessuno strappa le erbacce, né pota gli alberi, né vigila il duello tra topi e gatti randagi, ma la sagoma della casa, più francese che inglese, continua a essere bella, staccata dal programma di vita che talvolta aveva ospitato. Gradini di marmo fino alla porta di legno scolpito con battiporta di bronzo scurito che non è necessario adoperare in quanto la porta si apre appena Raúl vi appoggia la punta delle dita, un ampio atrio da cui escono porte e una scala di marmo rosa ai cui piedi si erge la statua di un angelo ospitale. Filtra musica da una delle porte verso la quale va Raúl, la apre e un lama esce di gran corsa, inseguito dai gridi di un pappagallo che dondola su un trapezio.

"Mi piacciono le pazze! Mi piacciono le pazze! Mi piacciono le pazze!"15 grida il pappagallo che vola alto per la stanza piena di grandi cuscini policromi sparsi sul pavimento e si posa sulla spalla di un nero.

Accanto a lui giace semisdraiato un uomo travestito da esploratore di fine Ottocento o giù di lì, perché Raúl si confessa incapace di definire il secolo. Anche il nero veste come un nero fantasia da incisione romantica e passa con affetto una mano sui capelli bianchi e lisci dell'uomo bianco.

"Cos'è che l'ha spaventata, il pappagallo o il lama?"

"Vengo da parte del signor Honrubia."

L'esploratore ride e commenta al nero:

"Se viene da parte di Honrubia, sarebbe il caso di perquisirlo, potrebbe essere armato".

Raúl allarga le gambe, alza le braccia, china la testa su un petto rassegnato.

"Non perquisirlo, Venerdì. Quest'uomo è stato fin troppo perquisito nel corso della sua vita. Non lo noti?"

Il nero, del resto, non si era mosso e ora contempla divertito l'intruso mentre l'esploratore medita.

"Se lei è un amico di Honrubia che non merita di essere perquisito, questo vuol dire che lei è uno dei perdenti della guerra sporca. Solo i perdenti della guerra sporca non dovranno essere mai perquisiti. Non è vero, Venerdì?"

"Sì, mister Crusoe."

Vale a dire che quelli lì stanno giocando a Robinson Crusoe, all'isola deserta, al fedele servo Venerdì. Raúl trattiene la voglia di tornare da dove è venuto, capisce di essere costretto a far parte di un gioco e che l'esploratore aspetta che lui reagisca ritirandosi. Chiede il permesso di sedersi sui cuscini e il gesto che l'autorizza è così generoso da incitarlo a considerare l'intero spazio come proprio.

"Questa casa non si regge secondo i principi della proprietà privata. Vuole un bicchiere di latte di lama? Acqua fresca? Una canna di marihuana? Qui non troverà né Coca Cola, né Seven Up. Noi vogliamo solo bibite sane e antimperialiste."

Raúl dice di essere astemio per bere bibite sane e antimperialiste, ma esprime una certa curiosità per il latte di lama.

"Lo immaginavo che avrebbe chiesto l'impossibile. Il nostro lama è appena fuggito ed è molto difficile da catturare, almeno prima che sia scoccata l'ora del suo foraggio. Beh, ha il nostro permesso per spiegarci il motivo della sua visita."

Raúl riassume la storia della propria vita e la storia generale che l'ha condizionata. Spiega l'arresto nel 1977, la scomparsa della figlia, il proprio ritorno alienato e impotente in Spagna per mano di un padre iperprotettivo, la crisi di identità negli ultimi mesi, la necessità di trovare la figlia, il consiglio di Honrubia: devi andare a trovare un amico all'indirizzo che ti darò, non posso dirti il suo nome, ma per quanto strano ti possa sembrare, quell'uomo ti aiuterà. L'esploratore ha esaminato uno dopo l'altro i segnali che gli inviano il corpo, i gesti, le parole, i diversi toni di voce di Raúl. Di tanto in tanto si è consultato con gli occhi del nero mediante un codice che capiscono soltanto loro, e finita ormai la perorazione del cliente, Robinson e Venerdì deliberano con gli sguardi, in silenzio. Un silenzio rotto dal pappagallo.

"Mi piacciono le pazze! Mi piacciono le pazze! Mi piacciono le pazze!"

Ma come se l'animale avesse infranto la congiura del silenzio, Robinson solleva la sua alta, armoniosa statura e parla a Raúl:

"Ci fu un tempo in cui ero potente, e come ogni uomo potente, mi ero circondato di informazioni e archivi dissuasivi. Conservo ancora qualcosa di tutto questo, anche se molto di rado lo utilizzo nella mia nuova vita, consacrata a reclutare volontari per organizzare un falansterio nelle isole Malvinas. Devo decidere se merita il nostro aiuto, non solo perché è un uomo angosciato, o un padre preoccupato. Se lei mi conoscesse saprebbe che non sono una persona compassionevole. E non mi lascio trasportare da arbitrarietà come l'ottimismo o il pessimismo. Sono schiavo della lucidità. Se la lucidità mi indica: aiuta quest'uomo, io lo aiuto. Tu che ne pensi, Venerdì?".

"È una storia troppo sentimentale."

"È vero, questo è il suo diletto, ma contro chi è rivolta? Non è interessantissimo contro chi è rivolta?"

Venerdì sembra aver capito, ammirato, il prodigioso senso della finalità del suo padrone e signore dell'isola deserta. Assente devoto. Robinson esclama:

"Intendo aiutarla, perché lei e io siamo contro l'oligarchia!".

 

È una bettola decaduta, a Tacuari sul punto di arrivare a San Juan, periferia interna di Buenos Aires, quattro o cinque sedie, alcuni clienti, poco più che un bancone con dietro un cameriere stanco, ed è la sua svogliatezza a invecchiare eccessivamente il caffè e inquietare Carvalho, consumatore di una grappa nazionale ma con lo sguardo fisso su un portone all'altro lato della strada. Guarda l'orologio. Mezzanotte. Il portone si apre e appare un ragazzo trascinando un vecchio cane, senza troppo entusiasmo per uscire, né da parte del cane né del padrone. E un ragazzo biondo, con l'aspetto da tisico o da principe coi geni in decadenza. Giovane, ma vecchio e triste come tutto quello che indossa, in particolare le scarpe. L'antichità non di chi se la passa così così, ma della povertà dissimulata da una pulizia lavata e rilavata. Carvalho avvolge alcune crocchette in un pezzo di carta stagnola, paga ed esce in strada. Cammina per il suo marciapiede, a una certa distanza da Mudarra e dal cane. Il giovane strattona di tanto in tanto il guinzaglio dell'animale suscitando un tentativo di ribellione. Cannella piscia. Fa la cacca. Carvalho attraversa la strada e finge un incontro casuale. Il passeggiatore lo guarda senza esprimere emozione.

"Lei è un orologio. Appena torno a casa dopo cena appare lei con Cannella, si chiama Cannella? Cannella!" Il cane sembra contentissimo della presenza di Carvalho. Ma quanto sei furbo.

Tira fuori dalla tasca il pacco con le crocchette, lo apre e lascia cadere il cibo davanti a Cannella, che ci si butta sopra.

"Ha già mangiato," dice il giovane con una certa insicurezza.

"Gli animali mangiano tutto quello che gli si da."

Cannella ingoia le crocchette. Il giovane guarda Carvalho con curiosità.

"Come mai ci conosce?"

"Vi vedo uscire dal portone tutte le sere. A mezzanotte o poco più. Sono un cliente abituale del bar."

"Come fa a sapere che il mio cane si chiama Cannella?"

"Perché gliel'ho sentito pronunciare più di cinquanta volte. Invece non so il suo nome. Il cane di solito non la chiama per nome."

"Mudarra. Mi chiamo Mudarra."

"Un nome curioso. Da cantore di gesta."

"Da che cosa?"

"Da un cantore di gesta spagnolo."

"Mio padre era spagnolo. Di Navarra, credo."

Mudarra tira il guinzaglio per proseguire la passeggiata. Carvalho si mette a camminare accanto a loro come se facesse la stessa strada.

"Io amo molto gli animali. Anni fa mi hanno ucciso una lupetta, si chiamava Bietola. Ho giurato a me stesso di non avere più cani. Mi sarebbe sembrato di tradire Bietola. Sua madre come sta? Si è rimessa?"

Mudarra sorride come se non volesse comunicare la ragione del sorriso.

"Sa anche di mia madre?"

"I camerieri del bar sono al corrente di tutto."

"Io non ho mai messo piede in un bar."

"Sicuro?"

"Non mi piacciono."

Medita e torna dal suo breve viaggio mentale.

"Vuole conoscere mia madre? Adora le visite."

"A quest'ora?"

"Mia madre non dorme. Nemmeno io. In casa il solo che dorme è questo qui."

Da uno strattone al guinzaglio di Cannella.

"È molto tardi. Ma un altro giorno ci salirò. Sua madre è invalida, anche la mia lo era."

"Di più. Molto di più. Mia madre è sempre stata molto più invalida di chiunque altro."

Viene di nuovo tirato il guinzaglio di Cannella.

 

"Ascoltatemi con attenzione," dice Pascuali, e i suoi quattro aiutanti abituali fanno attenzione, Vladimiro più di tutti.

Pascuali legge il rapporto che ha tra le mani:

"'Confidenziale. Irruzione nella residenza dei Brucker. Aggravante: reato compiuto di notte. Gruppo di ignoti vestiti da motociclisti con i visi praticamente coperti.' Vi suona la parola motociclisti? 'Hanno picchiato e cloroformizzato le guardie di sicurezza di una delle porte sul retro della dimora e sono entrati con violenza in un belvedere, abituale luogo di riposo e meditazione del signor Honrubia. Per fortuna non hanno arrecato disturbo a nessuno nel belvedere, cioè non hanno arrecato disturbo al signor Honrubia, e tutto si è limitato ai danni materiali e all'aggressione alla polizia privata.' Confidenziale! Con–fi–den–ziale! Non una parola alla stampa. Niente deve uscire da questo dipartimento. Confidenziale!".

Il semplice contatto manuale con il rapporto lo eccita, a un tratto tenendolo in mano attraversa tutte le porte che gli si oppongono ed esce sul corridoio della Direzione Generale della Sicurezza. Passa per diverse anticamere sorprendendo le segretarie e si pianta davanti a una porta evidentemente importante. La spinge, entra e se la chiude alle spalle. Un uomo troppo giovane per credersi direttore generale di qualcosa contempla il video della partita Boca Independiente.

"Buongiorno, Pascuali. Mi scusi, ma non ho potuto andare alla partita, né vederla in televisione. Ha notato come accarezzano la palla? Molte carezze, ma qui nessuno conclude. È come se Bilardo avesse dimenticato che il calcio si gioca con i coglioni. Come se si fosse contagiato con le chiacchiere di Menotti. Il calcio arte! Ha letto l'altro giorno l'intervista a Valdano? Il calcio di sinistra. Toccarla e toccarla e toccarla è di sinistra. Giocare mettendoci i coglioni, di destra. Bilardo è stato decerebrato. Lo Smilzo me l'ha mezzo intontito."

Ma la faccia di Pascuali è poco complice e il foglio che tiene in mano invita il direttore generale a spegnere il video e ad affrontare il subordinato dalla sedia girevole.

"Molte grazie del suo rapporto confidenziale, ma mi pare che siamo davanti a un caso di intromissione di servizi impensabile in un'indagine ufficialmente poliziesca, condotta da questo ministero, dalla sua Direzione Generale, dal mio dipartimento."

Il direttore lo lascia parlare senza scomporsi.

"Io me ne sbatto altamente del Capitano e dei suoi motociclisti, se lei mi autorizza a metterli al loro posto."

Il direttore generale studia Pascuali e finalmente parla.

"Lei del Capitano non se ne sbatte proprio per niente, Pascuali. Il Capitano era qui a difendere lo Stato prima che lei venisse e se si è sporcato le mani non è stato il solo. Ogni Stato ha bisogno di fogne e di esperti di fogne, e soprattutto uno stato democratico. Ciò che la mano pubblica ignora, lo fa la mano occulta. Non sia ingenuo."

"Se teniamo in piedi queste specie di polizie parallele finiremo di nuovo nella merda."

"Non esageri. Uno Stato democratico non è mai del tutto nella merda, tuttavia non per questo è esente da merda. Ogni quattro, sei anni, rinnova i suoi dirigenti mediante le urne. Che cosa sono le schede elettorali, carta igienica? Anche questo, sono. Le schede elettorali servono per pulire la merda. Lavori nel suo campo, lo fa molto bene, e marchi il Capitano e i suoi ragazzi. Ma si limiti a marcarli. Sono un po', come dire, teatrali. Lei invece non è teatrale. È troppo sciapo, Pascuali."

Fa girare la sedia e accende di nuovo il video. Dalle labbra di Pascuali escono silenziosi rospi, rospi sempre più grossi, mentre la faccia è una pura smorfia d'indignazione contenuta, incontenuta appena arriva nel suo ufficio e piazza le natiche sulla poltrona, davanti al semicerchio dei quattro aiutanti in curiosa attesa. Li invita ad andarsene, ma trattiene Vladimiro.

"Vladimiro, rimani."

Vladimiro resta in silenzio, studiando le emozioni che lottano per far scoppiare le labbra, gli zigomi, gli occhi di Pascuali.

"Dimmi, Vladimiro, il giorno che sei entrato nella polizia hai attaccato le palle al batacchio della porta?"

"Nessuno mi ha detto di farlo."

"Ascolta, io pensavo che in questo mestiere bisognasse avere delle palle, ma no, persino io devo attaccare le palle al batacchio della porta prima di entrare. Così, quando un qualche politico di merda mi mollerà un calcio nei coglioni rifacendosi alla ragione di Stato, come quel cretino di buona famiglia pieno di master che è il direttore generale, Morales, andrà incontro alla gran sorpresa di riscontrare che io i coglioni non li ho dove dovrebbero essere. Capisci quel che intendo dire, Vladimiro?"

"Credo di sì."

Il ragazzo guarda l'orologio e il gesto non sfugge a Pascuali.

"Vai di fretta?"

"Sì. Se devo essere sincero, sì."

"Una vitellina?"

"Ecco, quasi. Un asado. In famiglia."

"Ah! Gli asado sono sacri. Va' via senz'altro, Vladimiro, e dimentica quel che ti ho detto."

"E che ne faccio, delle palle?"

"Di quali palle?"

"Delle mie. Le lascio attaccate al batacchio della porta? Le tengo addosso?"

Pascuali scoppia e si riversa su Vladimiro, che retrocede.

"Qui il solo che deve tenere sempre le palle addosso sono io!"

 

Il patio posteriore di una villa di quartiere, dodici metri di facciata e cent'anni di oblio nei ferri del cancello e dei balconcini, sembra piuttosto la cabina dei fratelli Marx in Una notte all'opera. Sempre più gente, soprattutto coppie di coniugi fra i trenta e i cinquant'anni, bambini, adolescenti e parenti spaiati, smarriti, i maschi senza il collare, le femmine con la collana.

I più attivi si danno da fare intorno a una modesta griglia che ha già lavorato parecchio e che ancora deve arrostire due volte la stessa quantità di carne. Si beve sidro effervescente. Altri preferiscono il sidro naturale all'asturiana. Si mangiano empanadas come aperitivo e fette di salame piccante spagnolo fatto da un macellaio italiano. La vecchia moglie di Favila tenta una e più volte di rendersi utile, di portare i vassoi da un posto all'altro lottando contro il suo morbo di Parkinson mentre nuore o nipoti o figli cercano di dissuaderla. Lei finge di non capire e mette in pericolo carni e bottiglie, anche se non le cade nulla, non le è mai caduto nulla, qualcuno ricorda. Il figlio maggiore l'abbraccia prendendola per le spalle.

"Mamma, perché non va a cercare il vecchio? Gli dica che ci siamo tutti… persino la polizia."

Indica uno dei presenti, Vladimiro, e tutti ridono.

"A nessuno venga in mente di dire al vecchio che Vladimiro fa il poliziotto. Lui crede che faccia l'avvocato. Lui crede tutto quello che gli fa comodo credere," dice la madre.

L'evidente compagna di Vladimiro sembra contrariata.

"A dire il vero, non capisco perché non si possa fare il poliziotto."

Nessuno le fa molto caso, nemmeno Vladimiro, che sta girando intorno all'asado con occhio da esperto. La vecchia esce dal patio e va in cucina. Faticosamente, si avvicina come sempre al tasto per aprire il nascondiglio, riesce a premerlo e la porta si apre. Grida.

"Favila! Ormai ci sono tutti. È il tuo compleanno. Favila! Esci una buona volta, cacchio!"

Dall'oscurità emerge il pallido vecchio Favila con l'abito delle feste.

"Si nota che sei spagnola da quanto parli male."

"Io parlo come cazzo mi pare."

"Sicuro che non ci sono occhi e orecchi indiscreti?" domanda Favila senza interrompere ma comunque rallentando il suo avanzare verso il patio.

"Non da queste parti, no. Hai proprio voglia di rompere."

"Vi siete ricordati del sidro?"

"Perché non te ne sei curato tu invece di perdere tempo a giocare a nascondino?"

La vecchia prosegue la marcia sostenuta da tutto il suo accumulo di indignazioni. Prima di arrivare al patio, don Favila ottiene il massimo brillio dalle sue scarpe nere con l'aiuto di un tovagliolo che trova sotto mano. Appena si fa vedere nel patio, tutti i parenti e invitati l'applaudono e lo circondano, lo baciano, gli consegnano regali.

"Vladimiro è venuto?" chiede Favila.

Vladimiro si avvicina al padre che lo bacia particolarmente emozionato.

"Il piccolo, nonostante i tempi difficili in cui è nato, sotto la dittatura di quell'apprendista assassino di nome Onga…"

Gli va di traverso la saliva, per via della molta passione che mette in quel che dice. Una figlia cerca di tagliare corto.

"Papà. Niente politica. Oggi è il tuo compleanno."

"Vladimiro si chiama così in omaggio a Lenin, come tu ti chiami Rosa in omaggio a Rosa Luxemburg, e tu Dolores grazie a Dolores Ibárruri la Pasionaria," fa sapere ostinatamente Favila, indicando con il dito ciascuno dei suoi discendenti.

"E io, papà, perché mi chiamo Fulgencio?" domanda un altro figlio. "Per via di Batista?"

"Non irritarmi. Ti chiami Fulgencio perché così si chiamavano mio padre e tuo nonno. La rivoluzione non va contro la tradizione. Vediamo. Il sidro voglio versarlo io, voialtri siete degli incapaci, tirati su a furia di Coca Cola e Seven Up."

Indica i più giovani.

"Coca–Cola, la bibita dell'imperialismo."

Gli danno una bottiglia di sidro naturale.

"L'abbiamo comprato nel negozio di calle Corrientes, sai quale, quello che vende prodotti spagnoli."

Don Favila annuisce con gli occhi. Prende il bicchiere, ampio come si deve. Si passa la bottiglia dietro il collo con una mano, con l'altra regge il bicchiere tenuto in basso e lo raggiunge con la giusta proporzione di fiotto di sidro che si impadronisce schiumando del fondo. Applausi e acclamazioni. Offre gentile il bicchiere alla moglie, che lo prende tremante. La vecchia piange. Beve il sidro, ma commenta.

"Non mi è mai piaciuto, sembra pipì."

La gente si siede tra tentativi falliti di protocollo. Sulla tavola sono già disposte le prime carni, insalate, empanadas, paste all'italiana, persino un vassoio pieno di fabada16 in scatola. Suona il campanello della porta. La vecchia cerca di andare ad aprirla, ma la nuora la dissuade.

"Quando lei ci arriverà, il visitatore se ne sarà già andato via."

"Figlia di buona donna. Spero che ti si congeli la fica," protesta la vecchia tra sé e sé.

Poco dopo appare la nuora accompagnata da Carvalho, entrambi imbarazzati, lei perché non sa come spiegare quella che indubbiamente è una lunga storia e Carvalho perché non si aspettava tanta gente. E il suo dissimulato sconcerto aumenta ancora quando tra le persone sedute a tavola vede Vladimiro.

"Questo è José Carvalho Tourón, un nipote di Evaristo Tourón, suo cugino," segnala a Favila, "e figlio di Evaristo Carvalho, fratello di…"

Favila si alza emozionato ed esclama:

"Nipote!".

Si sprecano i commenti e le memorie mentre Favila abbraccia Carvalho.

"Non ti conoscevo, ma sei il ritratto di tuo zio e di tuo padre. Il padre d i quest'uomo fu un eroe che sfidò il franchismo, beccandosi quaranta lunghi anni di carcere."

"Cinque, solo cinque," corregge Carvalho.

"In quegli anni, cinque erano quaranta."

Lo sguardo di Carvalho incrocia quello di Vladimiro e il messaggio disperato del poliziotto rimane a mezz'aria. Favila gli presenta i figli. Fulgencio come il nonno. Rosa come Rosa Luxemburg. Dolores come Dolores Ibárruri. Vladimiro come Lenin.

"Auguri. L'ultimo leninista," commenta Carvalho prima di essere spinto da don Favila a sedersi a tavola e a prender parte alla festa.

Si siede e mangia, sempre più golosamente, più a suo agio, come se i sapori gli consentissero di tornare a casa. Dopo un po', gli giunge da un fondo della memoria un banchetto di nozze, a Barcellona, si sposava un suo cugino con una ragazza di servizio, entrambi gaglieghi, anni di fidanzamento, di risparmi, un banchetto a base di pote17 gagliego, carni con cachelos,18 focacce con le vongole.

Era il banchetto della sua memoria infantile, la felicità dell'abbondanza e di uno strano momento di rilassamento vitale, o forse sarebbe meglio dire storico. La Storia gli aveva segnato l'infanzia e la vita tra uomini e donne occulti e adesso tornava a sentirsi felice, mangiando, bevendo senza paura, rispondendo a domande, soprattutto a quelle di don Favila.

"Io resto nascosto, per prudenza. Un giorno o l'altro ci sarà un nuovo golpe o finalmente la rivoluzione e conviene non farsi prendere di sorpresa. Noi siamo stati e saremo l'avanguardia. Le rivoluzioni falliscono quando scompaiono o si indeboliscono le avanguardie, come nell'Unione Sovietica. Con gente come tuo padre o come me."

Rosa Luxemburg si porta un dito alla tempia avvertendo Carvalho dello stato mentale di don Favila. La festa trascorre nello stomaco e finalmente arriva al cervello, sazio. Si distribuiscono le fette di torta sparse pure sulla tovaglia e sui visi a causa delle dieci volte che don Favila ha dovuto soffiarci sopra per spegnere le ottantaquattro candeline. Carvalho contempla la scena con un bicchiere tra le mani. Faccia da poker, anche se con una punta d'emozione nello sguardo. Vladimiro gli va accanto.

"Lei è stato la sorpresa della mia vita."

"Mio padre non sa che faccio il poliziotto."

"Mio padre è morto senza venire a sapere che avevo smesso di essere comunista e che il mio mestiere era quello di poliziotto privato."

Vladimiro esita, ma finalmente parla.

"Sapevo che lei sarebbe venuto, ma non a metà pasto. Raúl mi ha incaricato di dirle che per il momento non ha una risposta da darle. È tornato a nascondersi. Il Capitano ha dato l'assalto alla casa dei Brucker."

"Era lei il contatto di Raúl?"

"È mio cugino. Di secondo grado, ma pur sempre mio cugino. Crede che potrei guardare in faccia il mio vecchio se fossi io ad arrestarlo?"

"E Pascuali?"

"Un poliziotto con due coglioni grossi così."

"C'è qualche poliziotto che non abbia due coglioni? Il problema sta nel sapere dove li ha. Se ce li ha in testa, brutta faccenda."

Vladimiro torna a sedersi accanto alla sua ragazza. La sua ragazza, pensa Carvalho, non sembra sua moglie. Gli occhi del detective si distraggono seguendo la figura della vecchia, in pieno inventario segreto degli oggetti reali o immaginari nella cucina. Sembra pregare. Dalla finestra la vecchia gli invia uno sguardo sorridente e con un dito uncino lo invita a entrare in casa. Carvalho va all'incontro in cucina e vede che don Favila l'aspetta semiocculto in un angolo non visibile dal giardino.

"Devo tornare a nascondermi. Ho forzato troppo la sorte. Un giorno è un giorno, ma non conviene fidarsi. Eppure ho voluto che restassi perché tu, in rappresentanza del tuo eroico padre, meriti di conoscere il mio segreto. Vivo occulto ed esco soltanto una volta l'anno, il giorno del mio compleanno."

"E quando in tivù trasmettono una partita del Boca," aggiunge la vecchia.

"Quale uomo non ha una debolezza? Forse a Lenin non piaceva ululare come un lupo sotto la luna?"

Don Favila preme il tasto e si apre la porta del suo rifugio. Entra per primo e incita Carvalho a seguirlo. Carvalho fa spazio perché possa passare la vecchia, si predispone ad aiutarla a precederlo.

"Io cacciarmi lì dentro? Manco morta. Quando questo qui tornerà a letto, a fare il suo dovere come Dio comanda ai mariti, allora io mi caccerò in questo buco che dev'essere la porta stessa dell'inferno."

Carvalho entra nel rifugio. Quattro gradini, don Favila li scende abile e accende la luce. Si trovano in una stanza sotterranea sufficientemente grande, ma Carvalho non può avanzare, trattenuto dall'aggressione dei messaggi alle pareti. Sembra un museo della cultura rossa dagli inizi del secolo fino agli anni settanta, con qualche esempio di iconografia della protesta più attuale, post marxista. Persino qualche poster della "teologia della liberazione", insieme ad altri pacifisti della guerra del '14. Ribellione dei soldati spagnoli nella guerra d'Africa. La Spanish Civil War. Il Che. Castro. La Rivoluzione di Ottobre. Fotografie degli idoli mondiali della rivoluzione. Selezione di libri per il naufragio di un rosso in un'isola deserta negli anni trenta. Un modellino di una delle statue gigantesche di Lenin. Un altro del progetto della III Internazionale di Tatlin. Una fotografia del subcomandante Marcos mascherato. Rigoberta Menchú. Il vecchio studia l'effetto che l'iconografia produce su Carvalho.

"Il mondo è pieno di uomini occulti. Anche questa città. È da sempre che bisogna nascondersi da qualcuno. Buenos Aires è piena di gallerie segrete, e so di certo che sotto calle Perù c'è una completissima rete di catacombe. Perché dovrei uscire di qui? Mi riconosco in tutto quello che vedo. Lì fuori tutto è stato fatto a misura dell'imperialismo. Per il momento hanno vinto, ma un giorno, una nuova generazione scoprirà il vecchio disordine, insieme a quello nuovo, e tutte queste speranze riprenderanno ad avere un senso. Non è vero?"

Carvalho assente. Si lascia mettere seduto dal vecchio, che colloca su un giradischi manuale un pesante disco a 78 giri. Si comincia a sentire l'inno della brigata Thaelmann delle Brigate Internazionali durante la guerra spagnola. Il vecchio lo segue in un presunto tedesco. Carvalho finisce col fingere di cantarlo pure lui, ma soprattutto ne segue il ritmo con briose bracciate.

"I tedeschi hanno sempre avuto grande talento sinfonico!"

Carvalho gli fa di sì con la testa.

Carvalho e Alma si fanno strada in Tango Amigo in cerca di due sedie vicine al palcoscenico. Norman sta finendo il suo monologo del mese sugli uomini occulti.

"Io rispetto quelli che si occultano perché si sono dimenticati dove si trova Buenos Aires, l'Argentina, l'America, il mondo, e unicamente riconoscono l'angolo dove ebbero, hanno e avranno paura." Abbandona il tono trascendentale. "E ora l'occulta Adriana Varela canterà finalmente per voi Uomo occulto!"

Appare Adriana Varela. È il tango fattosi scollatura e ha una dizione che sembra fatta su misura per il tango narrativo.

 

Cosa pretendi, uomo senza ombra.

Cosa cerchi, tra le tenebre,

alla luce di una vecchia paura

che ti scalda e ti raggela.

 

Cosa cerchi, padrone senza cane.

Cosa cerchi, padrone di nulla,

che hai ucciso il tuo sguardo

per non vedere, né uccidere.

 

C'è chi teme gli aguzzini,

c'è chi teme aver paura,

c'è chi teme essere aguzzino,

c'è chi teme restar cieco.

 

C'è chi fugge dalla suocera,

c'è chi fugge da un ricordo,

c'è chi fugge dai suoi sogni

per non perder la ragione.

 

Cosa pretendi, uomo senza ombra.

Cosa cerchi, tra le tenebre,

alla luce di una vecchia paura

che ti scalda e ti raggela.

 

Cosa cerchi, padrone senza cane.

Cosa cerchi, padrone di nulla,

che hai ucciso il tuo sguardo

per non vedere, né uccidere.

 

Tu vedrai tra le ombre,

tu vedrai tra le tenebre

il meglio della tua memoria

che ti scalda e ti raggela.

 

Se il bianco era già nero,

quando tutto era così bianco,

perché usare dalla buca?

perché tornare all'affanno?

 

Già hai ucciso il tuo sguardo

per non vedere né uccidere.

 

Finisce il tango, Adriana è scintillante, Carvalho inebetito, la parola che aveva scelto Alma per definire quanto lo affascinasse Adriana, e di nuovo la mano di Alma a cancellargli la ritirata della cantante.

"Lo sai perché Adriana ti piace tanto? Perché canta i tanghi, e per te rappresenta quello che pensi sia il prototipo della donna argentina, un misto di colpa, sesso e malinconia."

"Colpa, sesso e malinconia. Non è male. Ricordo uno show di Cecilia Rosetto che ho visto in Spagna. Il monologo di una povera isterica. A proposito, non ho ancora visto la Rosetto."

Si alza con velocità improvvisa.

"Te ne vai di già? A trovare la Rosetto? Guarda la pagina degli spettacoli."

"Sono un detective privato. Si cerca sempre un uomo occulto, una donna occulta. Ma questa sera non è né Raúl né la Rosetto."

"Hai una collezione completa?"

"È una collezione incompletabile."

Esce fuori seguito dallo sguardo di Alma. Questa volta deve camminare per le strade di San Telmo a piccoli passi, per guadagnare tempo e arrivare ai confini del quartiere prima di raggiungere l'universo limitato del giovane Mudarra e di Cannella, il triste cane divoratore di crocchette. Entra nel bar. Il cameriere sembra più stanco che mai. Di tanto in tanto sonnecchia. Mudarra questa sera non esce ed è già scoccata la mezzanotte. Carvalho si piazza davanti alla casa e aspetta come altre volte che il portone si apra. Guarda l'orologio. Mezzanotte e mezza. Torna al bar e chiede al cameriere che sta riordinando le sedie:

"Quel ragazzo lì con il cane? Non esce stasera?".

"Non saprei. Non è un nostro cliente. A dire il vero, no, non credo che quel ragazzo sia un cliente di nessuno perché vivono di stenti. Gli unici soldi a entrare in quella casa sono quelli della pensione della madre. Immagini lei che cosa devono mangiare, meno di un cannibale in un acquario. Quel ragazzo ha sempre avuto problemi di nervi."

Carvalho va al palazzo dove vive Mudarra e apre il portone con il chiavistello. Sale a tastoni una scala illuminata dai lampioni della Recoleta. Arriva davanti all'appartamento di Mudarra. Esita accarezzando il chiavistello. Finalmente lo mette via e bussa. Passa un po' di tempo e la porta si apre. Mudarra guarda Carvalho senza emozione apparente.

"Sono venuto a salutare sua mamma. Mi ha detto che le visite le piacciono."

Mudarra si scosta per far passare Carvalho. Un appartamento povero e triste come quello del professore, ma pulito, pulitissimo. Nella sala da pranzo, soggiorno e cucina insieme, davanti a un televisore in bianco e nero, senza immagini, con le righe impazzite, sta una donna apparentemente invalida sulla sedia a rotelle, con una coperta sulle ginocchia. Ma Carvalho le vede del sangue in faccia. Gli occhi morti. Finge di non notarlo.

"Dorme. Mi spiace…"

"Dorme, finalmente."

"E Cannella?"

Mudarra gli indica con la testa una lontananza imprecisata.

"Dorme anche lui."

Carvalho avanza seguito dal giovane, che cammina lento, con un leggero sorriso in faccia. Entrano in una stanza da bagno. Una vasca un tempo con pretese e che ora appare come uno scrostato pachiderma su tre zampe che dovrebbero essere quattro. Dentro la vasca, acqua mista a sangue e il cadavere di Cannella con la testa fuori, gli occhi opachi, i denti in mostra, come se minacciasse inutilmente la morte o aspettasse le crocchette di Carvalho.

"Piangeva troppo. I vicini si lamentavano. Mia madre non si muoveva. Il mondo è tutto falso. Se non mi crede, guardi mia madre. Mi voleva bene perché aveva bisogno di me, ma se non avesse avuto bisogno, avrebbe confessato di odiarmi."

"E il professore di latino?"

Mudarra non si sorprende della domanda.

"Un altro commediante. Un libidinoso, un vecchio porco con la patta sempre aperta. Quell'odore di piscio. Non posso sopportare l'odore di piscio."

"E Carmen Lavalle?"

"Una puttana. Raccontava la palla che si pagava gli studi lavorando come ballerina, ma si dava da fare con chiunque, persino con il vecchio."

"Non con lei?"

Mudarra si strofina le labbra come se le avesse sporche, una e più volte. Carvalho guarda per un'ultima volta tutto l'orrore contenuto nell'appartamento. Passa senza far rumore accanto alla donna morta.

"Addio, signora."

Mudarra lo segue, poi lo supera per aprirgli la porta. Ormai sul pianerottolo, Carvalho si volta verso la faccia del principe tisico senza emozioni.

"E lei? Che cosa farà adesso?"

"Non uscirò mai più di casa."

Chiude accuratamente la porta, a poco a poco. Carvalho sente scattare le serrature. Poi comincia a scendere le scale.