13
È finita?
Il luogo in cui si trovava non permise a Sofia di oltraggiare a parole la sua collega e coinquilina né tanto meno l’artefice di tale iniziativa, ma i suoi occhi in quel momento graffiavano più di qualsiasi artiglio, se le avesse avute davanti sarebbero state sfregiate.
L’avevano chiamata dall’auto solo dopo che Ludmilla ebbe ragguagliato Becky sull’incontro con Novotný; entrambe si erano trovate almeno dieci chiamate l’una, ma avevano tenuto i cellulari spenti per non rischiare di essere rintracciate.
Sofia era preoccupatissima, era convinta che gli fosse successo qualcosa di brutto, poteva controllare Roden dalla centrale, ma non Zito. Stava impazzendo nell’attesa, e quando finalmente era arrivata la chiamata aveva sbraitato di tutto al telefono finché non si era affacciato qualcuno nella stanza chiedendole se fosse tutto ok, se avesse bisogno di aiuto, al che si era ridimensionata, ma solo con la voce, la durezza dei termini utilizzati era rimasta invariata. Ci era voluto parecchio perché si calmasse, e dopo aver discusso in ceco per cinque minuti, erano passate all’inglese: l’agente Dobreva aveva chiesto a Ludmilla di mettere il vivavoce, così anche Becky avrebbe potuto ascoltare la ramanzina.
Naturalmente lei si prese tutta la colpa, insistendo sul fatto che Ludmilla non ne voleva davvero sapere, ma il risultato per Sofia non cambiava.
«Portate qui i vostri culi nel minor tempo possibile», fu l’ultima frase prima di attaccare il telefono senza dare la possibilità alle due di aggiungere altro. Becky si era scusata con l’agente Kysely, che aveva risposto rassegnata: «Le passerà… la conosco bene. Ho fatto un ottimo lavoro lì dentro, sono soddisfatta di me stessa, ho ottenuto più informazioni oggi che…», poi si girò verso Becky e continuò: «Grazie, è merito tuo.»
«Magari non sarebbe servita solo la notizia di Monika, o far leva sui legami familiari, forse ora che sa delle impronte sull’arma del delitto ha capito che le cose sono più complicate del previsto.»
«Ce la farà?»
«Secondo me sì. È un uomo che sa il fatto suo.»
«Anche Roden ha dimostrato di sapere il fatto suo. È stato perfido.»
«Sono uomini motivati, ma devi credere nella giustizia, altrimenti che poliziotto saresti?»
«Hai ragione, riusciremo a portare a galla la verità, a qualunque costo.»
«Vedrai che sia Kovarik che Zito una volta messi alle strette vuoteranno il sacco, non vorranno affondare con Roden, dovrete offrirgli un’ancora di salvataggio e vedrai che ci si appenderanno. Loro non sono mossi dalla vendetta come Roden, se cade lui, quei due vi aiuteranno a sotterrarlo.»
«Chissà cosa gli avrà promesso in cambio…»
«Zito ha le mani in pasta un po’ ovunque, non sarà stato difficile ricattarlo o farsi aiutare in cambio di qualcosa. Kovarik è un uomo fatuo, ci avrà messo meno di un secondo a decidere di stare dalla parte della polizia, probabilmente provava anche invidia per Novotný…»
«Tu sei convinta che anche se Roden è l’ideatore di tutto questo perverso e macchinoso crimine sia stato Zito a commettere gli omicidi?»
«Sì, credo sia andata proprio così. Roden gli avrà promesso che lo avrebbe coperto lui, il capo del dipartimento.»
Mentre parlavano Becky scuoteva la testa.
«Cosa c’è adesso? Qualcosa non ti convince?»
«Non posso credere che mi abbia definita una zanzara! Nessuno lo aveva mai fatto!»
«Sì, ma ha detto anche che si occuperà del funerale di Monika.»
«È un arrogante.»
«Dai che siamo quasi arrivate.»
«Ehi, quando tutto sarà finito voglio sapere i dettagli, mi raccomando!»
L’atmosfera era rilassata.
«Ora pensiamo a superare indenni il ciclone Sofia!»
Risero, si sentivano più tranquille.
I chilometri sfrecciavano sotto le ruote dell’auto che le stava riportando in città, ignare del fatto che qualcuno dal carcere avesse avvisato Roden della loro visita.
«Uffa, non abbiamo nemmeno il tempo di fermarci per un caffè», brontolò Ludmilla.
«La temi proprio la tua collega! Non credo che cinque minuti possano cambiare le cose oramai, è già così tanto in collera con noi…»
Stavano discutendo se fermarsi o meno quando una macchina, precisamente un’Audi blu, le speronò facendole uscire di strada.
Anni addietro l’agente Kysely aveva partecipato a un corso di guida sicura e fu in grado di mantenere la vettura diritta e di riportarla sul ciglio della carreggiata. A vettura ferma si guardarono spaventate e incredule, ma senza un graffio.
«È stato un incidente Rebecca, vero?»
«Quella sembrava l’auto di Marecek…», ma non ebbe il tempo di terminare la frase che l’uomo si presentò allo sportello di Becky, lo aprì violentemente e la fece scendere: senza difficoltà, perché in mano aveva una pistola.
«Forza, giù, tutte e due.»
«Perché, cosa vuoi fare? Ucciderci qui per strada, con tutte le macchine che passano? Qualcuno avrà già notato la tua Audi a bordo strada con le quattro frecce, e la nostra…»
«Taci!»
«Penseranno sia stato un incidente e chiameranno la polizia, o forse si fermeranno a chiedere se abbiamo bisogno di aiuto e cosa farai, sparerai anche a loro?»
«Vuoi stare zitta?»
Ma Becky non demordeva: «L’agente Dobreva ci sta venendo incontro, sa tutto.»
L’uomo la guardò di traverso e un odio sprezzante colpì Becky in pieno viso, poi prese il cellulare e compose un numero.
Parlava in ceco e Ludmilla riuscì con le labbra a mimare alla sua compagna di disavventure solo due parole: «David Zito.»
Non avevano molte chance, così Becky tornò a importunarlo e a confonderlo: «Bravo, chiama i rinforzi, così qui tra poco ci sarà una bella festa.»
«Sì, ma voi non parteciperete.»
«Pensa alle bambine, a cosa penseranno dello zio…»
«Ma non lo hai ancora capito? A me non frega niente di loro, sono stato abbandonato da piccolo, la famiglia che mi ha preso sperava di rimpiazzare il figlio morto ma così non è stato, e sono cresciuto senza amore, con due persone che non mi hanno mai fatto una carezza né un sorriso, e che per quanto mi impegnassi a raggiungere i massimi risultati per ottenere almeno la loro stima non è mai servito, non se ne sono mai accorti, ero solo un’ombra passeggera in quella casa triste e senza speranza. Nina e Giorgia? Se le prendesse pure quel vecchio bastardo, io voglio solo i miei soldi, poi sparirò, lontano, il più lontano possibile da tutto questo.»
Si fermò un uomo a chiedere se avessero bisogno d’aiuto. I tre erano nascosti per metà dalla vettura di Ludmilla, quindi l’arma non era visibile, e mentre l’avvocato guardava il telefono che aveva iniziato a suonare distraendo il suo sguardo dalle ragazze, Becky fece segno a Ludmilla di seguirla e si precipitò davanti alla portiera della macchina dello sconosciuto. Era aperta e ci si fiondò dentro. L’agente Kysely fece lo stesso sul sedile posteriore, poi tirò fuori il distintivo, ma mentre spiegava al guidatore cosa fare questi partì: aveva già notato la pistola di Marecek, che tentando di corrergli dietro aveva messo in bella vista l’arma che teneva in mano.
Tutto accadde in pochi secondi.
Frastornata dalla velocità dei fatti, Becky chiese: «Adesso ci inseguirà?», ma la domanda restò senza risposta perché Ludmilla cercava ancora di far capire al loro soccorritore cosa doveva fare. A un certo punto le passò il cellulare e Ludmilla chiamò qualcuno.
Le urla dell’agente Dobreva uscivano fuori dallo smartphone di ultimissima generazione dell’uomo sconosciuto che le stava conducendo in salvo.
Lui guardava di sottecchi Becky, stava ascoltando tutti i particolari e probabilmente era incuriosito dal trovarsi in una simile situazione.
Quando la telefonata finì Ludmilla gli ripassò il telefono e parlarono ancora per qualche istante, sembrava stessero decidendo il percorso da fare.
«Puoi aggiornarmi per favore?»
«Ti rendi conto del rischio che abbiamo corso?»
«Dai, siamo in città, siamo fuori pericolo adesso.»
«Tu e il tuo ottimismo da quattro soldi…», Ludmilla era davvero spaventata.
L’uomo chiese ancora qualcosa nella loro lingua e la poliziotta gli diede altre indicazioni, poi nessuno parlò più finché non arrivarono in centrale.
Lo ringraziarono diverse volte, per il tempismo, per essersi fermato e soprattutto per essersi accorto della pistola.
L’agente Kysely entrò col cuore in gola per l’agitazione, Becky la seguiva a breve distanza. Quando Sofia le vide andò incontro a Ludmilla abbracciandola, Becky era convinta che quest’ultima si mettesse a piangere ma non fu così, l’adrenalina che aveva in corpo non la fece crollare.
Con un gesto della testa l’agente Dobreva si fece seguire nel bagno delle donne: «Adesso non c’è tempo per le lavate di capo, dobbiamo prima capire come agire.»
«Roden non c’è?», chiese di rimando Becky.
«No, è uscito poco fa. Ho già inviato una pattuglia sul luogo dell’incidente per recuperare l’auto.»
Becky si astenne dal dirlo, ma sperò che la sua borsa fosse dove l’aveva lasciata, altrimenti avrebbe avuto seri problemi a ripartire per New York senza passaporto.
«Che intenzioni avrà Marecek?»
«Sicuramente non di tirare il suo cliente fuori di prigione.»
«Ma è suo fratello?!», ribatté Ludmilla.
«Questo lo chiederemo poi a lui, per ora ho fatto diramare un avviso di fermo a suo favore, non potrà scappare, né in aereo né in treno.»
«E dispone del patrimonio delle gemelle…», aggiunse Becky
«Lo so, ma più che mettere posti di blocco sulla strada dell’incidente, e divulgare gli avvisi che è un ricercato dalla polizia, per ora non possiamo fare altro.»
«Dovremmo impedirgli l’accesso ai suoi fondi.»
«Già fatto anche quello, ma non possiamo sapere se ha pronti dei contanti o dei documenti falsi.»
«Ecco come Roden si è procurato le impronte di Novotný. Ma perché Marecek avrà accettato di far parte di tutto questo?»
«Oh, credimi, vorrei averlo qui davanti per avere una fottuta spiegazione!» Sofia era un fascio di nervi, non aveva riposato per nulla, a differenza di Becky e Ludmilla, e il suo organismo era pieno di caffeina.
«Qui come sono andate le cose?»
«C’erano i festeggiamenti di Roden per l’arresto di Kovarik, che tra l’altro è ancora in sala interrogatori col suo avvocato. Poi è arrivata la vostra prima telefonata e mi sono arrabbiata. Poi lui è uscito, non so se ha ricevuto una chiamata, l’ho evitato il più possibile, ma l’apice è stata la vostra successiva telefonata. Io non ho perso tempo e ho attivato tutti i dipartimenti per l’arresto di Marecek come individuo pericoloso e armato.»
«Ma Roden questo non lo sa…»
«A questo punto non lo so, credo abbia delle fonti che lo tengono informato su tutto. O forse Marecek lo ha avvertito. Io ho solo fatto il mio dovere, voi mi avete avvisato di quanto accaduto e io mi sono mossa di conseguenza.»
«E Zito?», domandò Becky.
«Un attimo… e se Roden fosse andato dalle bambine?», disse l’agente Dobreva ancora ferma col pensiero alla frase precedente.
«Giusto!», aggiunse Ludmilla.
Sofia si fiondò fuori dal bagno delle signore proprio mentre un poliziotto allarmato stava entrando: «Dobreva!», il resto della conversazione escluse Becky, che non capiva una sola parola, ma si rendeva conto che qualcosa di grave stava avvenendo perché tutti sembravano in subbuglio, un viavai di donne e uomini in uniforme che si preparavano a uscire dalla centrale.
L’espressione di Ludmilla era di turbamento, quella di Sofia era di pura rabbia.
«Cosa sta succedendo?»
«Roden ha preso Nina e Giorgia, la balia ha chiamato in centrale.»
«Andiamo anche noi, non può essere arrivato lontano, lo prenderemo», il noi pronunciato dall’agente Dobreva non includeva Becky. «Non ti azzardare a mettere il naso fuori di qui.» Era un ordine.
Una volta che tutti furono usciti Becky si rese conto che senza borsa né telefono aveva davvero ben poco da fare. Seduta su una scomoda e fredda sedia di plastica grigia vide passare una figura che conosceva: l’avvocato di Ian Kovarik! È solo…
Lo seguì con lo sguardo finché non si fu allontanato, e senza pensarci due volte entrò nella stanza dove attendeva l’uomo che aveva incontrato a teatro. Aveva la barba incolta, gli occhi stanchi e preoccupati, sembrava una persona diversa.
«Chi si rivede…», disse lei.
Ci mise un attimo a metterla a fuoco, poi sorrise debolmente: «Signorina Town…»
«Sì, proprio io. Il suo alibi.»
Un altro sorriso tirato: «Non direi che le cose sono andate bene per me.»
«Posso solo sapere perché?»
Lui capì subito a cosa si riferisse, ma non rispose immediatamente, si prese una pausa, poi iniziò: «Invidia? Soldi? Chi lo sa, se le dicessi che non ho avuto scelta mi crederebbe?»
«Tutti hanno la possibilità di scegliere.»
«Non sempre.»
Becky pensò a Benjamin e al ritrovarsi agente della CIA suo malgrado.
«Ha voglia di spiegarmi? Una persona una volta mi ha detto: Tomas o lo odi o lo ami, non ci sono vie di mezzo, è davvero così?»
Lui sorrise con sufficienza, aveva perso tutto il suo appeal: «Tomas è un ostentatore, un individuo che deve avere tutto sotto controllo, è un prevaricatore, senza limiti. Lui gioca con le vite di tutti, considera le persone burattini da manovrare a suo piacimento. Ogni cosa che fa, che dice, è per il suo tornaconto personale. Mi creda, Novotný è il diavolo.»
«Ma è anche un benefattore, un…»
«Cosa, un filantropo?» e rise sfacciatamente, poi riprese: «È tutta una finzione. È vero, devolve in beneficenza, ma dietro c’è sicuramente qualcosa che gli torna utile. Tomas Novotný non fa niente per niente.»
«E cosa mi dice del suo avvocato… Marecek… è anche suo fratello.»
«Milos non lo considera suo fratello, non si ricordava nemmeno di lui… era troppo piccolo.»
«E neanche di Clarissa?»
«No, nemmeno di lei. Eppure Novotný è entrato nella sua vita, ha cercato di comandare anche lui: fai questo, fai quello, gestisci le cose in questo modo…»
Sembrava volesse aggiungere altro, probabilmente sarebbe potuto andare avanti ancora per molto tempo a denigrare quell’uomo che tanto odiava, ma Becky non aveva voglia di stare ad ascoltare altro, si era alzata ed era uscita da quella stanzetta che stava implodendo con lei dentro.
Non c’erano giustificazioni per quanto accaduto e sperava davvero che tutti pagassero per il male fatto.
Povera Monika, vittima innocente di questa squallida congiura. E Clarissa, che aveva trovato la serenità dopo quello che aveva passato…
Becky necessitava di una boccata d’ossigeno, tanta crudeltà andava oltre la sua sopportazione, l’efferatezza di quei crimini oltrepassava il limite che lei aveva tracciato e sapeva che non si poteva tornare indietro.
So che non posso uscire da qui ma ho bisogno di respirare all’aria aperta. Sui gradini trovò il signor Holub.
«Menomale! Ho provato a chiamarti un sacco di volte. Ero così in pensiero, indeciso se entrare o meno, non volevo metterti nei guai chiedendo di te.»
L’anziano amico era piuttosto scosso e lei si sentì pervadere da una fioca fiammella di tenerezza che andava a riempire quel vuoto buio e gelido che aveva dentro in quel momento.
«Non sapevo cosa credere, ho sperato fossi tornata a New York col tuo ex fidanzato…»
Becky riuscì anche a ridere per quell’affermazione, poi rispose: «Non me ne sarei mai andata senza salutarti, Pavel.»
«Hai portato scompiglio nella mia abitudinaria esistenza cara ragazza, non sarà facile dimenticarti.»
«E chi dice che devi farlo?»
«Andiamo a prenderci un ultimo caffè?»
«È da stamattina che sono alla ricerca di un caffè, ma… non posso allontanarmi da qui, ho promesso a Sofia… e sono senza cellulare… non potrei nemmeno avvisarla.»
«È tutto risolto? Mi sembri…»
«Delusa? Amareggiata? Lo sono. Comunque sì, questa brutta storia è finita… spero. Ma lascerà un segno indelebile dentro di me.»
Lui stava zitto, non sapeva cosa dire, avrebbe voluto abbracciare quella magnifica donna che era entrata velocemente nella sua vita e con la stessa velocità ne stava uscendo, ma si trattenne e allungò il braccio per stringerle la mano. Lei ricambiò l’impacciato atteggiamento e con l’altra mano gli diede una pacca sulle spalle: «È stato un onore conoscerti e godere della tua amicizia, se tornerò a Praga mi farò viva.»
«Ci conto, ti devo un balletto!»
Si sorrisero e l’uomo si incamminò nella direzione dalla quale era arrivato. Becky controllò l’ora, c’è ancora tempo per il volo… solo che mi sento così impotente!
Tornò di sopra, gli uffici erano praticamente vuoti, tutti gli uomini erano fuori a svolgere il loro dovere e lei entrò nell’ufficio di Roden, di Sofia e di Ludmilla, prima di sedersi alla scrivania di quest’ultima si aggirò intorno a quella di Roden. Vicino a una tazza nera che fungeva da portamatite c’era un souvenir di Natale, un pupazzo di neve che al posto del braccio sinistro aveva una piccola pinzetta che teneva una foto tessera. Becky la prese in mano per vederla meglio, ritraeva una bellissima ragazza bionda, dal sorriso felice. Gli occhi erano inconfondibili, identici a quelli di Nicolaj Roden. Sua figlia… Anche lei è una vittima.
La posò subito, le sembrava di violare il ricordo di qualcun altro.
I pc erano tutti accesi, non aveva bisogno di password e poté almeno inviare una mail a Jes e una a sua zia Cecil, scrivendo che non vedeva l’ora di tornare e raccontando qualche aneddoto della città e dell’incontro casuale con Peter. Poi, visto che aveva tempo a disposizione, scrisse due righe anche a lui, avrà sicuramente provato a chiamarmi, magari si è preoccupato come Pavel, essendo a conoscenza della situazione. E Ben? Dovrei scrivere anche lui?
Il tempo passava e Becky iniziava seriamente a preoccuparsi del fatto che avrebbe dovuto rimandare la partenza. Controllò sul sito della compagnia aerea: nessun ritardo.
Speriamo bene, se non arrivano entro un’ora…
Mentre si alzava per andare nell’ormai familiare bagno delle signore sentì un forte vociare provenire dalle scale. Tornò indietro, non aveva fretta, aveva solo voglia di sgranchirsi le gambe.
Le agenti Dobreva e Kysely varcarono la soglia raggianti, come se tutto ciò che avevano passato fosse solo una cosa lontana.
«Li abbiamo presi. Tutti.» Si era messa subito in mostra la poliziotta bionda, con le mani sui fianchi come se fosse merito suo. Si sentirà già in tasca la promozione. Becky era contenta per lei, a quel punto non desiderava altro che far ritorno nella sua amata New York, che in quel momento le sembrava il posto più sicuro del mondo.
«Bene.»
«Ci sei stata di grande aiuto Rebecca», si affrettò ad aggiungere la rossa.
«Sapete se hanno trovato la mia borsa nell’auto?»
Le due agenti si guardarono, confuse dalla reazione di Becky, dal suo cambio repentino di argomento: non aveva fatto domande, e questo non era da lei.
«Sì, abbiamo recuperato sia la borsa che la valigia, c’è tutto, l’auto era lì dove l’avevate lasciata e Milos Marecek è stato fermato a un posto di blocco; ha provato a opporre resistenza ma è durato poco, adesso lo hanno in custodia degli agenti di un altro dipartimento. Io devo occuparmi subito del rapporto… sai, è urgente. Ma Ludi ti accompagnerà in aeroporto.»
«No, non serve, prenderò un taxi.»
«Non se ne parla! Andiamo.»
«È stato un piacere “collaborare” con te…», le disse ridendo e abbracciandola senza invadere il suo spazio intimo Sofia Dobreva. Si vedeva che non era una abituata a smancerie e Becky apprezzò il semplice gesto.
Ludmilla le fece segno di seguirla: «Abbiamo già messo la tua roba nella mia auto.»
«Ottimo.»
«So che siamo un po’ in anticipo, vuoi aspettare ancora un pochino?»
«No, preferisco andare, davvero.»
«Ok.»
Dopo qualche minuto di silenzio in auto Ludmilla non resistette: «Si può sapere perché non chiedi niente?»
«Ho parlato con Kovarik… mi ha spiegato…»
Ma la poliziotta aveva voglia di chiacchierare della faccenda: «Chi lo avrebbe detto che anche il fratello minore era coinvolto? Roden ha pianificato tutto grazie a lui, hanno aspettato il momento giusto, appena Novotný si è disfatto del patrimonio… ah, a proposito avevi azzeccato anche il perché Tomas lo ha fatto. Aveva subito delle minacce per via della politica e temeva per la sua vita, ma gli aguzzini non sapevano che presto sarebbero entrati in scena altri assassini.»
«Lo libereranno?»
«Sì, Zito ha confessato, ma tu questo lo avevi previsto. Hai avuto ragione su tutta la linea.»
«Tranne sul fatto che Marecek stava per farci fuori…»
«Non essere così dura con te stessa, in fin dei conti non sei mica una vera detective!»
Becky rise, il tono di Ludmilla era tornato sereno. Poi riprese il discorso, Becky aveva diritto di sapere visto il suo apporto, peraltro fondamentale. «Sai che Roden non ha detto una sola parola? Non ha aperto bocca, e secondo me nemmeno lo farà. Lo hanno fermato due auto di pattuglia, intimandogli di scendere dalla macchina a mani alzate e lui senza fare una piega ha ubbidito. Non ha voluto un avvocato, lo ha rifiutato solo con un cenno della testa. Tutto quello che sappiamo è arrivato da Zito, che per riduzioni sulla condanna per duplice omicidio sta spifferando tutto. Ha detto che Roden lo ha obbligato, che era già d’accordo con Marecek e che Kovarik è stato tirato in mezzo dopo…»
«Le bambine stanno bene?»
«Sì, erano solo spaventate, le hanno riportate dalla governante e quando Novotný sarà prosciolto potranno tornare alla vita di sempre.»
«Senza la madre.»
«Già.»
Arrivarono al terminal delle partenze senza dirsi altro, ma il saluto di Ludmilla fu caloroso, la giovane donna stava per commuoversi, poi Becky riuscì ad aggirare il momento imbarazzante: «Mi raccomando, stasera invita Rick fuori per festeggiare.»
«Grazie di tutto Rebecca.»
Mancava poco all’apertura del check-in del suo volo, ma Becky aveva fame e prima di mettersi in coda si diresse verso la caffetteria; in quell’istante da Washington partiva un sms rivolto a lei, ma che avrebbe letto solo più tardi: «Sto partendo per una missione ma dovrei far rientro per il giorno del ringraziamento, hai impegni?»