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Josefov
La giornata si preannunciava piovosa. Il cielo plumbeo non lasciava adito a dubbi. Becky controllò di avere l’ombrello a portata di mano e poi si incamminò.
Scelse una via alternativa per recarsi nel quartiere ebraico, visto che il giorno prima aveva dovuto rinunciare, e anche se allungò di un po’ la strada si disse di avere abbastanza tempo a disposizione.
In breve si trovò in Piazza Venceslao. La sua forma allungata e gli alberi da ambo i lati la riportarono per un frangente a Parigi: mi sembra di camminare in un boulevard. Il luogo era gremito di gente e una piccola folla stazionava davanti alla statua equestre di San Venceslao, patrono della Boemia. Un altro gruppetto si apprestava a salire su un bus con la scritta “Tour della città”, a un piccolo botteghino limitrofo ne distribuivano i biglietti. Becky notò i vari alberghi in cui si era imbattuta durante la prenotazione: Hotel Europa, Ambassador, Zlatá Husa. Mentre osservava l’effetto armonico degli edifici circostanti la sua attenzione fu attirata da una delle tante gioiellerie presenti nella zona; esibiva un cartello con forti sconti e pubblicizzava i cristalli della Boemia e i granati cechi. Becky entrò per curiosità e subito fu attratta da queste piccole pietre di un rosso scuro intenso, che venivano incastonate in gioielli d’argento o d’oro. Stava cercando qualcosa di originale quando una venditrice si avvicinò chiedendole da dove venisse.
«Sono americana.»
«Oh, allora per lei buoni prezzi, abbiamo anche un vasto assortimento di diamanti all’interno; se volesse vederli…», la donna si era avventata e parlava con voce cantilenante, Becky immediatamente si irrigidì.
«No, grazie, sto solo dando un’occhiata», la interruppe subito duramente, ma con un sorriso. Ricordava di aver letto che i prezzi venivano rincarati per i turisti e non voleva farsi abbindolare. Però sono davvero carine!
Uscì dal negozio a malincuore. Troverò un posto che mi ispiri più fiducia.
Percorse di nuovo una parte del centro storico fino a trovarsi finalmente nel quartiere ebraico di Josefov, il ghetto più famoso d’Europa. Sapeva che era stato rimodernato dopo la seconda guerra mondiale e che la presenza ebraica a Praga è una delle più antiche del vecchio continente, ma non era comunque pronta a respirare un’atmosfera così suggestiva. Si sentì trasportare nella storia, nelle tragedie vissute da questo popolo sfortunato.
La prima tappa che aveva programmato era il cimitero ebraico, e dopo una rapida verifica alla cartina si incamminò nella direzione giusta.
Oltrepassato l’ingresso, di nuovo un’aura spettrale la fece rabbrividire: le lapidi sembravano buttate lì casualmente, una sull’altra, e solo vedendo attraverso i propri occhi Becky capì cosa intendevano per “tombe sovrapposte fino a raggiungere dodici livelli”.
Ricordò la citazione di Milan Kundera, l’autore praghese de L’insostenibile leggerezza dell’essere: “Il cimitero dove le lapidi piombate dal cielo si perdono nel fogliame e quando fa buio è pieno di candele accese, come se i morti stessero organizzando un ballo…”
Cercò il luogo di sepoltura del rabbino Löw, a cui è legata la leggenda del Golem, la materia senz’anima. Ciuffi d’erba sembravano voler dare un tocco di colore al grigiore del posto. Era pieno di gente ma regnava il silenzio. Non osò nemmeno tirare fuori il registratore, lo farò quando uscirò. Giusto il tempo di pensarlo che la pioggia iniziò a cogliere, non di sorpresa, i turisti che affollavano il cimitero, ormai in disuso.
A modo suo questo angolo di mondo è incantato, qui non si ha la percezione dello scorrere del tempo.
La poca luce dovuta alla giornata scura rendeva quei percorsi ancora più peculiari già a prima vista.
Questo luogo rimarrà indelebile nella mia memoria, certe sensazioni non sono descrivibili a parole.
Dopo un ultimo sguardo Becky decise di proseguire, armata di ombrello, verso l’attigua sinagoga Pinkas, dove è allestito il memoriale dedicato agli ebrei di Boemia e di Moravia vittime dell’olocausto. Più di 77.000 nomi cechi e date precise ricoprono le pareti della sinagoga, per non dimenticare. Becky si sentì sopraffatta dalla tristezza e salì al primo piano, dove trovò uno spazio pieno di disegni fatti dai bambini del campo di concentramento di Terezín. Qualcosa di viscerale si stava impadronendo di lei e sentì il bisogno di uscire quando incappò in qualcuno che conosceva: Ludmilla Kysely.
Anche la poliziotta la riconobbe immediatamente, era senza divisa e aveva in mano una pila di fogli.
«Ciao», disse subito Becky per paura che l’altra facesse finta di nulla.
«Buongiorno.»
«Credo che sia il caso di darsi del tu: non porti l’uniforme, avrai forse trent’anni… che ne dici?»
«Ventotto.»
«Ok. Hai bisogno di una mano a portare quei documenti?»
«Sono solo locandine, devo portarle nelle altre sinagoghe.»
«Bene, ti accompagno, tanto è il giro che devo fare.»
Ludmilla si rese conto di non avere scelta ma non si mostrò particolarmente felice della cosa.
Eppure alla centrale ha provato ad aiutarmi… Becky non si era scordata il momento in cui con quegli occhi estremamente comunicativi l’agente Kysely l’aveva pregata di andarsene, solo per il suo bene.
Passarono attraverso un’uscita di sicurezza e presto si ritrovarono in un vicolo. Una fitta pioggerellina continuava a bagnare le strade. La ragazza aveva le mani occupate e Becky aprì l’ombrello cercando di non far bagnare il materiale che Ludmilla trasportava.
«Grazie.»
«Come mai non sei al lavoro?»
«È il mio giorno libero.»
«Che fortuna incontrarti!»
L’agente fuori servizio la guardò di traverso, non sembrava proprio della stessa opinione, e si affrettò a mettere le cose in chiaro: «Non posso assolutamente parlare del caso.»
«Io non voglio parlare delle indagini, solo di Roden.»
«Non posso parlare nemmeno del mio capo.»
Becky capì che doveva giocare a carte scoperte, altrimenti non avrebbe ottenuto alcuna informazione.
«Lo sai che ieri ho visto il tuo capo con l’investigatore privato David Zito?»
Ludmilla impiegò un bel po’ a rispondere.
«Probabilmente stavano parlando della deposizione.»
«Oh, io non credo, altrimenti si sarebbero incontrati in centrale, invece erano in un pub, in una zona della Città Vecchia… oserei dire nascosta, appartata.»
Di nuovo silenzio.
Ludmilla ponderava ogni parola, per questo le sue risposte erano così lente.
«Non capisco cosa vuoi da me e soprattutto perché ti interessi a questo omicidio», e finalmente accorciò il passo fino a fermarsi per poter guardare Becky negli occhi.
«Io non voglio che un innocente paghi per qualcosa che non ha fatto.»
«Chi ti dice che il signor Novotný sia innocente?»
«Tu hai la certezza che sia colpevole? Nessun dubbio?», l’abbassarsi dello sguardo, che fino a quel momento era stato piuttosto sostenuto, aprì una breccia di speranza in Becky, che decise di non mollare la presa proprio nel momento di titubanza di Ludmilla.
«Avete delle prove inconfutabili?»
Di nuovo la sua interlocutrice stava prendendo tempo prima di rispondere.
«L’ispettore Nicolaj Roden era un buon poliziotto. Appena uscita dall’accademia mi sembrò un onore poter lavorare con lui…»
Furono interrotte dall’arrivo di un ragazzo: «Ludi! Che fine hai fatto? Ti stiamo aspettando per prendere in consegna le locandine. Tutti i ragazzi preposti al volantinaggio stanno fremendo, hanno paura che inizi a piovere più forte. Carina la tipa che è con te! Hai amiche di questo calibro e non me le presenti!», e dopo aver parlato in un perfetto inglese si voltò verso Becky e salutò in ceco.
Ludmilla spiegò a Rick che Becky era americana. Lui si scusò per la brutta figura. Era un ebreo di Londra da poco trasferitosi a Praga, e con Ludmilla si aiutavano a vicenda con lo studio delle lingue. Si presentarono e Becky, seppur disturbata per essere stata interrotta sul più bello, raccontò al ragazzo delle sue origini e del suo lavoro. E adesso? Quando potrò tornare sull’argomento Roden? Mentre chiacchierava Rick prese dalle braccia di Ludmilla il plico di carta e insieme varcarono la soglia della sinagoga vecchia-nuova, la più antica d’Europa, oggi principale luogo di culto della comunità ebraica di Praga.
Entrando, Becky ebbe l’impressione che lì dentro ci fosse un’intensa attività. Un andirivieni di persone che la guardavano sorridenti ma incuriositi; tutti si conoscevano, lei era un’intrusa. Qualcuno le si avvicinava e le rivolgeva qualche parola in ceco ma lei ogni volta rispondeva che non capiva la lingua, parlava solo inglese. Ludmilla e Rick discutevano fitto fitto tra loro e sembrava che lei avesse uno sguardo particolarmente dolce nei suoi confronti, anche i sorrisi erano più generosi, non che a me abbia mai sorriso, ma se dovessi tirare a indovinare a Ludmilla piace quel ragazzo, glielo avrà detto? No, se ne fosse stato al corrente non avrebbe fatto quella battuta su di me. Certo che se un domani dovessero frequentarsi lei dovrà scordarsi i tacchi. Già senza è mezza spanna più alta di lui!
Fu distolta da quei ridicoli pensieri quando le si avvicinò un piacente uomo di mezza età: «Lieto di fare la sua conoscenza, ragazza americana», le disse con ironia.
«Sono stata bollata così?»
Lui, continuando a ridere, rispose: «Sì, questa comunità è molto grande, ma ci conosciamo tutti piuttosto bene; tanti di questi ragazzi li ho visti crescere e mi accorgo subito quando il brusio cambia. Piacere, sono il rabbino Huba», e le porse la mano. La stretta poderosa non migliorò la singolare percezione di Becky riguardo a quell’uomo.
«Piacere, Rebecca Town.»
«Sembra meravigliata o sbaglio? Forse si aspettava che un rabbino potesse vestire solo di nero e portare obbligatoriamente una lunga barba bianca e lo zuccotto? Così lo chiamate voi, vero?»
L’uomo non era serio e Becky tirò un sospiro di sollievo.
«Sì, ecco… io… Vicino a casa mia c’è una sinagoga e vedo sempre…»
«Scusa se ti interrompo, posso chiamarti Rebecca?»
«Sì, naturalmente.»
«Io non sono la guida spirituale di questa comunità, sono solo un eccellente studioso e un bravo insegnante. Questi sono i miei allievi e ci stiamo preparando per un grande evento in città; è dovuto a questo il fermento che avrai sicuramente notato. Si svolgerà il prossimo giovedì, puoi unirti a noi se lo desideri.»
«Lunedì ho il volo di rientro purtroppo, avrei partecipato volentieri.» Becky era sincera, quell’uomo adesso le piaceva.
Vedendoli parlare Ludmilla si era avvicinata: «Vi siete presentati? Sei fortunata Rebecca, non molti parlano inglese in maniera così fluida qui, e tu ne hai già conosciuti due.»
«Se contiamo anche te siete in tre!»
Ludmilla non riusciva a fidarsi completamente della ragazza che si trovava davanti. Il suo intuito le comunicava che era una brava persona, ma questa propensione a impicciarsi in fatti che non la riguardavano e a discapito del suo lavoro proprio non le andava giù. Lei era cresciuta in campagna, in una famiglia povera, quarta figlia dopo tre maschi. I suoi fratelli avevano dovuto adattarsi ai mestieri di fatica della fattoria che possedevano, lei invece, essendo femmina, aveva potuto studiare, e la cosa non era stata ben vista. Con sua madre aveva un rapporto più caldo e amorevole, ma non in presenza degli altri componenti della famiglia. Un giorno le aveva detto: «Tu che puoi vattene da qui, noi non abbiamo i soldi necessari per farti studiare all’università, ma se ti iscrivi all’accademia di polizia potrai stare in città e la divisa farà sì che gli uomini ti portino rispetto.»
Sua madre era nata contadina e sarebbe morta contadina, ma per la sua unica figlia femmina aveva desiderato qualcosa di meglio, sebbene il distacco e la lontananza fossero stati difficili per entrambe.
Ludmilla ascoltò il consiglio dell’unica persona da cui si sentiva amata e presto iniziò a ringraziare il suo Dio ogni giorno per aver intrapreso quella strada. Si inserì facilmente nel gruppetto delle poche donne presenti in accademia e le sue origini umili non furono mai oggetto di scherno da parte delle altre, anzi l’ammiravano per il coraggio della sua scelta. Legò fin da subito in particolar modo con Sofia, attuale collega e migliore amica. Sofia era estroversa e caparbia, spesso la spingeva a fare cose che non avrebbe voluto, ma sapeva che lo faceva per il suo bene, per renderla indipendente. Con lei aveva iniziato a uscire e anche a frequentare i primi ragazzi, lei l’aveva resa consapevole della propria bellezza e della propria femminilità. Ludmilla era cresciuta in una casa con la madre come unico esempio, una donna che indossava sempre gli stessi abiti, che non sapeva cosa fossero un parrucchiere o un cofanetto di trucchi. Sofia l’aveva istruita al riguardo, e nonostante le iniziali incertezze ora era un piacere per lei guardarsi allo specchio.
Becky, anche se non la conosceva affatto, percepiva una certa riluttanza nella ragazza a darle fiducia. Troverò il modo. Non credo sia una questione di lealtà verso Roden, quindi sta a me riuscire a conquistare la sua stima. Prima ho avuto la sensazione che stesse per dirmi qualcosa di importante. Devo farla capitolare.
«Che tipo di evento è?», domandò mostrandosi partecipe.
Le sue risposte non erano mai di botta e risposta, fluide, bensì calcolate.
«È una manifestazione che sponsorizza i corsi di lingua e la cultura ebraica, promossa da tutta la comunità di Praga. È un’identità forte e molto sentita.»
«Sei cresciuta in una famiglia ebrea?»
«Sì, ma con loro era diverso.» Si sentiva in imbarazzo, non voleva condividere con quella sconosciuta il suo passato e come fosse arrivata dove era ora. Il suo percorso religioso esulava dalle conversazioni che intendeva sostenere con “la ragazza americana”. Becky lo intuì dallo sguardo. Ludmilla è davvero riservata.
Tentò un altro approccio: «Se siete libere stasera tu e… Sofia mi pare, l’altra agente, la tua collega… possiamo cenare insieme, mi hanno parlato di una famosa birreria praghese dove si mangia un ottimo gulasch.»
Ludmilla restò spiazzata da tale richiesta, ma Rick, che era lì vicino e aveva sentito, esclamò: «Che bella idea! Posso unirmi a voi o è una cosa tra donne?», naturalmente era una battuta ironica e Becky capì subito che a lui avrebbe fatto molto piacere essere invitato, poi, vedendo lo sguardo attento e forse preoccupato di Ludmilla per la situazione che andava creandosi, aggiunse: «Certo, sei il benvenuto! Non è vero Ludmilla?»
Forse forse questo ragazzo senza volerlo mi è stato d’aiuto…
La poliziotta fuori servizio abbozzò un mezzo sorriso e accennò a un sì col capo, senza dire niente. Nel frattempo si era avvicinato di nuovo il rabbino Huba e spronò i giovani a recarsi nelle altre sinagoghe e nei vari centri dislocati nella città per compiere il proprio dovere: «Non vi farete mica fermare da un po’ di pioggia!?», li incitò, poi girandosi verso Becky le strizzò l’occhio. Il subbuglio riprese e lei decise di continuare il giro nel quartiere che si stava rivelando piacevole e istruttivo, ma prima voleva capire se Ludmilla sarebbe stata disposta a riprendere il discorso su Roden che avevano lasciato in sospeso, la cercò quindi con la scusa di scambiarsi il numero di telefono e accordarsi per la serata.
«Quando Rick ci ha interrotte mi stavi parlando di Roden, di come fosse un buon poliziotto all’inizio, cosa è successo dopo?»
«Devo andare adesso, davvero», di nuovo Becky avvertì l’ostinata reticenza della ragazza, era il genere di persona con cui sarebbe stato sconveniente insistere, così le augurò buon lavoro e uscì accomiatandosi dal gruppo.
Il freddo che aveva portato la pioggia le aggredì il viso, si sentì trafiggere la pelle da tanti piccoli aghi e tirò fuori dalla borsa la sua pashmina verde turchese, un regalo di Peter, e se l’avvolse intorno al collo fino a coprirsi anche la testa, lasciando scoperti solo naso e occhi. Si incamminò studiando la cartina e si ritrovò davanti al monumento dedicato al tormentato Kafka. Tirò fuori il registratore e si immerse nel lavoro.
«Un enorme cappotto vuoto, senza testa e senza mani, con sotto dei pantaloni che scendono fino a incastrarsi nella pedana; sulle spalle una statua a immagine del famoso scrittore. In bronzo, alta quasi quattro metri, la rappresentazione è assurda, “kafkiana”, fuori dalla realtà.» Diversi turisti la stavano fotografando, per niente scoraggiati dalla pioggia. Subito vicino si trovava la sinagoga spagnola e Becky vi entrò.
Gli interni, decorati con stucchi policromi, le ricordarono l’Alhambra di Granada; una delle sale è dedicata a Franz Kafka e una mostra permanente illustra la storia degli ebrei boemi. Speravo che dentro facesse meno freddo, ma non è così. Mi si stanno congelando i piedi! Il rumore della suoneria interruppe quel silenzio e lei si sentì avvampare dalla vergogna quando le persone si voltarono a guardarla. Ops, ho lasciato un’altra volta il cellulare accesso.
Uscì di corsa e rispose: «Sono Pavel, ti disturbo?», si sentì dire dall’altro capo del telefono.
«No, è solo che ero dentro la sinagoga spagnola e ho fatto una pessima figura.»
«Vieni da queste parti per il pranzo? Volevo essere ragguagliato sulle ultime novità.»
«A dire il vero non ho molto tempo perché ho appuntamento dopo pranzo con Monika.»
«Sei vaga. Dove dovete andare? Posso venire?»
«A essere sincera no, mi spiace Pavel», poi, sentendosi in colpa verso quell’anziano che cercava solo di aiutarla, aggiunse: «Monika è riuscita a ottenere un colloquio con Tomas», ormai parlava come se conoscesse personalmente l’uomo accusato di omicidio.
«Ma come è possibile?», domandò incredulo il signor Holub.
«Onestamente non so come abbia fatto, ma ha convinto l’avvocato di Novotný a portarci con lui… in qualità di assistenti.»
«Quella ragazza è sorprendente. Speriamo che non si faccia del male. Invece quell’affare di ieri sera… come è andato?»
Non riesce nemmeno a pronunciare le parole “violazione di domicilio”. O non vuole dare troppi dettagli parlando al cellulare?
«In proposito ho diverse novità. Dovrei aggiornarti, ma non al telefono. Dove possiamo incontrarci?»
«Vengo io, non ho ancora messo il naso fuori dalla porta oggi, anche se piove mi farà bene fare due passi. Recati vicino al Municipio ebraico, sulla via Maiselova, da quelle parti c’è un posto che vende tra i più buoni trdelníck della città, e visto che sei golosa ti farà piacere assaggiarli!»
«Ti riferisci al manicotto di Boemia? Hanno un nome impronunciabile. L’ho mangiato in Piazza della Città Vecchia, sono passata accanto a un chiosco e un inebriante profumino di nocciole e cannella non mi ha permesso di andare avanti. È squisito, ne prenderò un altro volentieri!»
Già gustava quella dorata e croccante patina che lo zucchero sciolto donava a quel pane dolce a forma di cannolo.
«Verrò in metro per fare prima. Ci vediamo lì tra poco.»
Becky consultò la mappa e, avendo ancora un po’ di tempo a disposizione, visitò la sinagoga Maisel, la sinagoga Alta, la sinagoga Klaus e la Casa delle Cerimonie. Purtroppo furono tutte perlustrazioni frettolose, ma non mancò di registrare ogni cosa. Aveva notato ovunque i manifesti appesi dell’evento del prossimo giovedì: è davvero un peccato non poterci essere!
Mentre incideva notizie sul Municipio ebraico vide arrivare Pavel, spense tutto e gli andò incontro. Lui la guidò verso il vicino luogo cui le aveva accennato al telefono e, mentre gustavano insieme il dolce tipico del posto, iniziò a fare domande.
Lei si trovò a raccontargli dell’appostamento al pub dove era entrato Zito, e l’anziano si preoccupò quando venne a scoprire che all’interno lo stava aspettando nientemeno che l’ispettore Roden.
«Hai rischiato molto, se ti avessero riconosciuta… Come mai si saranno incontrati lì? E cosa avranno avuto da dirsi?»
«Io mi chiedo se i soldi nella cassaforte c’erano già da prima o se sia stato Roden a darglieli.»
«Questa affermazione implicherebbe qualcosa di brutto, un atto di corruzione da parte di un alto funzionario di polizia. Non facciamo ipotesi avventate. Potevano essere lì in quanto frutto di giorni di lavoro, magari era la somma ricevuta da Clarissa Slavíka…»
«Non lo so… c’è qualcosa che non mi quadra. Non voglio affrettare i giudizi, ma Monika ha ragione quando afferma che non si capacita del fatto che una donna come la moglie di Novotný possa essersi affidata a David Zito. E poi se è vero che era a conoscenza delle sue scappatelle perché fare tutto questo? Non ha senso, manca un tassello importante. Speriamo che la visita di oggi pomeriggio possa chiarirci le idee.»
Poi lo informò anche dell’incontro con Ludmilla e dell’appuntamento per la sera.
«Speriamo che da tutto questo possa uscire qualcosa di buono.»
La telefonata di Monika non tardò.
«Dove sei? Sto passando a prenderti.»
Becky spiegò che si trovava con Pavel, Monika conosceva il posto.
«Arriverò in dieci minuti. Dovrai cambiarti in auto, così non facciamo tardi.»
«Cambiarmi in auto?», Becky si meravigliò.
«Sì, certo, siamo le assistenti dell’avvocato di Tomas Novotný, non penserai mica di presentarti in jeans e maglietta? Immaginavo che non ci avessi pensato, ho fatto tutto io. Abbiamo più o meno la stessa taglia direi, forse sei solo un po’ più alta… ti si vedranno di più le gambe!»
«Monika, cosa mi hai portato?»
«Sono passata in teatro a ritirare le divise e ho preso anche varie scarpe, tra il 37 e il 40, delle altre colleghe… non sapevo che numero avessi. Tanto siamo chiusi, non devono lavorare, quando abbiamo finito riporterò tutto! Ti ho lasciata senza parole vero? Sono sprecata per quel lavoro!»
Questa ragazza mi ha già sorpresa più di una volta!, constatò Becky dopo aver attaccato.
Il tempo di scambiare le ultime parole con il signor Holub e di respirare ancora l’atmosfera unica del quartiere di Josefov che Monika, con l’auto del suo fidanzato, arrivò quasi sgommando.
Mentre attraversavano quelle strade cosparse da stelle a cinque punte Becky si ritrovò inaspettatamente a pensare a Peter: ci sono degli scorci che meriterebbero di essere immortalati dai suoi occhi esperti.