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Una lunga notte di congetture

Resilienza, capacità di far fronte agli eventi traumatici in maniera positiva. Per tutto il tragitto Becky continuò a ripetersi questa frase. Pochi anni dopo il suo trasferimento a New York, lei e Jessie avevano seguito un seminario sull’argomento, all’inizio erano scettiche, ma alla fine si era rivelato utile. A Becky era servito per superare il trauma della perdita dei genitori, l’abbandono della sua vecchia vita, della sua città natale; a Jes per affrontare il burrascoso divorzio tra sua madre e il terzo marito. E adesso, dopo molto tempo, era l’unica cosa a cui riusciva a pensare.

L’appartamento di Sofia e Ludmilla era decisamente disordinato. I mobili, seppure nuovi, sembravano scelti senza nessuna logica, niente si intonava ad altro. Appena entrate Ludmilla si scusò per il casino e con destrezza spostò piatti e quant’altro dal lavandino alla lavastoviglie, ripose in un’altra stanza i vestiti che erano appesi agli schienali delle sedie, chiuse dentro lo sgabuzzino i sacchetti sparsi sul tavolo e le scarpe da ginnastica abbandonate vicino alla porta. Per ultimo tolse un vecchio plaid dal divano e sistemò i cuscini. Poi con la mano le fece cenno a Becky di sedersi e disse: «Ti preparo subito un tè caldo.»

Lei non se lo fece ripetere due volte, le sue gambe erano molli, si sentiva stanca e pesante. La tazza bollente le scaldò le mani congelate. Sofia aveva portato in casa il suo bagaglio ed era particolarmente nervosa e agitata. Non voleva ammetterlo, ma era spaventata, se davvero dietro tutto questo c’era Roden si trovavano in guai seri.

«Hai bisogno di andare in bagno?», chiese alla donna silenziosa che sedeva rigida e assente sul suo divano.

Becky si limitò a scuotere la testa e a bere un sorso di tè.

«Forse dovresti bere qualcosa di più forte», suggerì Sofia.

«Ve bene così», rispose Becky.

«Quando te la senti iniziamo a buttare giù qualche teoria… Non so quanto tempo avremo prima che le cose precipitino.»

«Sofy, ma cosa dici? Non vedi in che stato è?», disse quasi gridando Ludmilla. Calcò la mano per evitare che l’amica prendesse in mano la situazione mentre Becky sembrava fluttuasse su un altro pianeta.

Dopo qualche sguardo e un silenzio schiacciante fu proprio Becky a parlare: «Sofia ha ragione, dobbiamo capire cosa sta succedendo e alla svelta. Io fra due giorni torno a casa, ma voi resterete qui, e sarà meglio aver chiarito i fatti.»

Sofia prese posto a capotavola; Ludmilla, con meno convinzione, spinse una seggiola di fronte al divano dove si trovava Becky, dando le spalle alla collega, che a quel punto portò anche lei la sedia vicino a loro e iniziò a domandare: «Ti va di ricordare insieme tutto quello che è successo?»

Rebecca Town sorseggiò un altro po’ di tè che sembrò darle coraggio, prese fiato e con la poca energia che riuscì a recuperare dal suo corpo oppresso rispose: «Monika doveva darmi delle informazioni, non l’ho sentita tutto il giorno e mi ero preoccupata. Quando finalmente mi ha chiamata dicendomi che mi aspettava alla pensione ho tirato un sospiro di sollievo, e invece…»

Vedendo che non riprendeva più il discorso Sofia la incitò: «Che tipo di informazioni doveva darti?»

Altro sorso di tè e: «Le avevo chiesto di trovare notizie sul perché Novotný avesse intestato tutto alla moglie, ehm, alla sorella a questo punto. Le ho detto di parlare con Marecek e di scoprire qualcosa, e poi volevo parlare con Ian Kovarik, lei si era incaricata di cercare i suoi contatti…» Dopo un profondo ansito pronunciò la frase che tutti temevano. Era lì, nell’aria, sospesa come una nuvola, ma pronta a precipitare al momento opportuno: «È stata colpa mia, io le ho detto cosa fare…»

«Assolutamente non devi pensare questo!», le disse Ludmilla andando a sedersi accanto a lei sul divano. Il suo tono era supplichevole: «Non devi, Rebecca.»

«E… non ha avuto modo di dirti cosa ha scoperto, vero?», chiese Sofia, già sapendo che l’amica l’avrebbe uccisa con lo sguardo, e infatti Ludmilla non tardò a fulminarla: «Dalle tregua. Non vedi quanto è scossa?!»

«Non ha fatto in tempo», rispose Becky con un filo di voce prima di cominciare a piangere.

Ogni volta che la conversazione si interrompeva diventava più difficile ricominciare ma Sofia, che capiva bene cosa c’era in gioco, non voleva perdere tempo: «Se siete d’accordo io partirei con l’analizzare le informazioni sicure che abbiamo. Da lì andremo avanti. Tre teste sono meglio di una. A meno che… Rebecca, se hai bisogno di riposarti possiamo aggiornarti domani.» La frase era retorica perché Becky non avrebbe mai rinunciato a quella discussione e ognuna di loro ne era consapevole.

«No, sto bene. È un buon metodo. Partiamo da ciò che sappiamo con assoluta certezza.»

Ludmilla non era persuasa che quella fosse la cosa giusta. Si sentiva la più matura del trio in quel momento e forse anche la meno impulsiva.

«Allora: abbiamo appreso che Tomas Novotný e Clarissa Slavíka sono fratello e sorella…»

«Erano», Becky interruppe subito Sofia.

«Certo, erano. Sono cresciuti insieme in un orfanotrofio a Brno, c’era anche un fratellino più piccolo, Cristian, il loro cognome era Baroš; poi sono stati adottati da tre famiglie, da qui i cognomi diversi, prima il più piccolo, poi Tomas e un anno dopo lei. Però ancora non so come si siano ritrovati.»

«I soldi di Novotný… avrà pagato qualcuno…» Quell’uomo adesso la disgustava meno di quanto credesse. Ora so perché in carcere mi ha tanto ricordato un leone in gabbia: il re di Praga soffriva in modo smisurato, tanta fatica e tanto tempo per trovare un ramo della propria famiglia… e poi vederlo morire…

«Ma allora la seconda C, quella del tatuaggio, stava per Cristian!»

«Direi proprio di sì, chissà che fine ha fatto il terzo fratello…»

«E chissà anche perché sono stati abbandonati. Sarà capitato qualcosa ai loro genitori?», domandò piena di tristezza l’agente Kysely.

«Non ho trovato questa informazione», le rispose Sofia, anche lei abbastanza provata da questa infelice storia, poi riprese: «Andiamo avanti, procediamo per gradi, sappiamo anche che le loro figlie adottive sono le nipotine di Roden…»

Fu Ludmilla a troncare il discorso dell’agente Dobreva: «Secondo voi le gemelle lo sapevano? Cioè chiamavano Novotný papà o zio?» Non ricevendo risposta dalle altre due continuò: «Non vi sembra malsano far crescere delle bambine in un ambiente del genere?»

«Non possiamo occuparci di questo ora, Ludi…»

«L’importante è che fossero amate, meglio con loro che magari separate e date in affidamento a famiglie diverse come è capitato a Tomas e Clarissa», aggiunse Becky.

«Oggi, durante la ricerca, ho scoperto che le date coincidono alla perfezione; i nomi dei genitori sono segretati, ma sapendo cosa cercare: il nome della madre, la data della morte e l’ospedale non è stato difficile.»

«Ma credi davvero che Roden odiasse a tal punto Novotný da fare tutto questo?», lo sconcerto di Ludmilla era palese.

«Io ho visto la soddisfazione nei suoi occhi quando è entrato a teatro», ricordò Becky, e lo condivise con le poliziotte.

«Allora partiamo dal fatto che Zito e Roden nascondono qualcosa. Roden potrebbe aver creato delle false prove, ma uccidere qualcuno a sangue freddo non so se ne sarebbe capace. Forse avrebbe potuto far fuori Novotný per rabbia, per vendetta… ma Clarissa? Non lo so. Non voglio pronunciarmi a suo favore viste le circostanze, ma direi di no… senza metterci la mano sul fuoco», disse Sofia.

Di nuovo Ludmilla si intromise: «Ma Novotný e Clarissa quanti anni avevano quando sono stati abbandonati? Sono stati separati a lungo…»

«Ludi, queste cose non sono importanti per l’indagine!» Sofia si stava spazientendo.

«No, ha ragione invece, bisognerebbe capire se l’attività filantropica di Tomas Novotný sia coincisa con il ritrovamento della sorella, potrebbe esserci un collegamento», suggerì Becky.

«Sì, ma non possiamo parlare di ipotesi adesso, dobbiamo basarci sui fatti accaduti, sulle informazioni certe che abbiamo a disposizione.»

«Se ha trovato la sorella potrebbe aver trovato anche il fratello minore?» Becky insisteva sui legami di sangue.

«Ma l’unico altro uomo della cerchia, che potrebbe coincidere con le tempistiche, è Marecek!» Sofia sputò fuori la frase con la sua ritrovata grinta.

«Questo spiegherebbe moltissime cose: l’affidarsi a un avvocato così giovane da parte di Novotný, il fatto che sia il tutore legale delle gemelle, la confidenza che… aspettate: Marecek non era affranto per la morte di Clarissa! Sicuramente dispiaciuto, ma non disperato come Novotný!»

«Becky, cosa vorresti dire con questo? Che è stato lui?», volle sapere una Ludmilla trafelata dai ritmi sostenuti della conversazione.

«Ma no, lui non lo sa», anche Becky si stava un pochino riprendendo.

Sofia la guardava con ammirazione: «Tu, cara mia, sei un genio!»

«Potrei anche sbagliare… dovrete torchiarlo.»

«No, farò di meglio. Andrò in carcere a trovare Novotný e lo minaccerò di raccontare la verità se non mi dice quello che sa. Lui è convinto che volessero colpire lui? Bene, è arrivato il momento di fare dei nomi.»

Il tè era finito e Becky ne chiese dell’altro, c’era ancora molto di cui discutere.

«Ecco spiegati tutti quei tradimenti: non poteva certo andare a letto con la sorella!», l’agente Kysely appariva allo stesso tempo commossa e sconvolta.

«Quanti pregiudizi su Tomas Novotný…»

«Monika aveva ragione. Lui amava Clarissa. Di un amore diverso, un amore fraterno, avevano lo stesso sangue… non l’ha mai dimenticata, e quando finalmente l’ha trovata ha voluto proteggerla, tenerla sotto lo stesso tetto. Per questo non poteva permettersi di innamorarsi di qualcun’altra, sarebbe saltata la copertura del finto matrimonio. Si dava del tempo e poi chiudeva le relazioni. Non poteva fare diversamente.» Becky diventava sempre più compassionevole verso quell’uomo che aveva chiamato misogino.

«Marecek saprà tutto? Cioè, che non erano marito e moglie? Se non sa di essere il loro fratello minore, magari non è a conoscenza…»

«Dobbiamo ancora scoprire se è lui», puntualizzò Becky.

«Tomas e Clarissa hanno mantenuto i nomi datagli dai genitori, solo il cognome è cambiato: perché Milos al posto di Cristian? Non ha senso…»

«Ho un suo biglietto da visita nella borsa, ce lo ha dato il giorno che ci siamo visti, sia a me che a… Monika…», di nuovo la tristezza si appropriò del suo volto.

Sofia le allungò la borsa senza farla alzare: «Ma quanto pesa?»

Poco dopo un impercettibile sorriso fiorì sulle labbra di Becky: «Milos C. Marecek», e lo passò alle ospiti della casa.»

Poi riprese: «Eppure aveva una tale intimità con Novotný… non sono più tanto sicura che non sappia la verità. Più ci penso e più…»

«Che elementi hai per dire questo?», domandò Sofia.

«Quando eravamo al carcere… ha fatto delle battute… Ci sono! Forse è a conoscenza del fatto che è il fratello di Tomas, ma non sa anche di Clarissa… probabilmente Novotný ha voluto mantenere la copertura anche con lui!»

«Perché non si fidava?», chiese Ludmilla.

«Non lo so, però Monika doveva parlare con lui, e poi è stata uccisa, potrebbe avere a che fare con queste morti…»

«Allora possiamo presumere che sia coinvolto nell’omicidio?», domandò Sofia.

«Non ho detto questo. È stato gentile con Monika e ci ha permesso di incontrare Novotný. Comunque credo che la tua idea sia la migliore: affrontare Tomas con queste nuove informazioni. Vedrai che ti andrà meglio di come è andata a me e Monika lì dentro. Voi avete l’autorità per farlo parlare.»

«Forse dovremmo cercare un collegamento tra Roden, Marecek e Zito», propose l’agente Kysely, aggiungendo: «Possibile che tutti c’entrino? Magari Rebecca è talmente turbata da dubitare di tutti», ed espresse la sua contrarietà.

«Non possiamo escludere nessuno, per ora», provò a essere realista Sofia.

Becky finì la terza tazza di tè, poi disse: «Secondo me dobbiamo capire cosa c’è dietro il cambio di intestazione degli averi di Novotný, non può essere una coincidenza. E se lui era convinto che avessero colpito Clarissa per arrivare a lui significa che non potendolo uccidere direttamente hanno fatto sì che venisse accusato della morte della moglie per toglierlo di mezzo senza far saltare fuori la verità: Tomas Novotný era il vero bersaglio.»

«Quindi tu sei convinta che c’entri la politica, o per lo meno le sue attività di beneficenza.»

«Dietro queste associazioni a volte si nasconde dell’altro», la parte da realista toccò a Becky, poi riprese: «Monika mi aveva detto, tra le altre cose, che si era immischiato con un partito di estrema destra, ne sapete niente?»

«Oh sì! Io mi ricordo bene!», esclamò Ludmilla: «Sebastian Strauss, di origini slovene se non ricordo male, durante una serata di beneficenza organizzata dalle associazioni di Novotný aveva spiazzato tutti con una mega donazione. C’erano state polemiche al riguardo proprio perché lui è uno dei dirigenti del partito. Ma è passato tanto tempo, poi la cosa era finita lì.»

«Ok, allora cerchiamo notizie su questo Strauss.»

«Ma Monika allora cosa c’entra in tutto questo?»

«Forse aveva scoperto qualcosa parlando con Marecek?»

«Non ne ho idea, le acque si intorbidiscono sempre di più.»

«E se l’avessero scambiata per me? Ha aperto la porta della stanza, io ero in bagno… se avessero avuto solo una descrizione sommaria?»

«Becky, potevate anche essere fisicamente uguali e con la stessa coda di cavallo, ma tu sei americana e ti assicuro che si vede!»

«Sono inglese.»

«Va bene, sei inglese, ma non sei delle nostre parti. Il killer doveva sapere se uccidere una del posto o una straniera!»

Sofia era stata abbastanza convincente, non che la cosa rincuorasse Becky, ma poteva scartare quell’ipotesi tra le tante altre che gli ronzavano in testa.

«Ragazze, stiamo tralasciando un particolare fondamentale!»

«Quale?», chiese di getto l’agente Dobreva, la più partecipativa alla discussione.

«Se Tomas e Clarissa sono fratello e sorella decade l’accusa di Zito!»

«Certo! Ovvio! Significa che non sono nemmeno sposati. Quindi non c’entra il divorzio…»

«Sì, ma soprattutto non può essere vera la storia che Clarissa è andata da un investigatore privato per far seguire Tomas.»

«Di conseguenza… questo vuol dire che Roden…», Ludmilla parlava a bassa voce, aveva paura di quello che stava per dire, «ha manomesso le prove.»

«Le ha proprio create di sana pianta! Perché? Qualcuno glielo avrà chiesto? Con chi è in accordi?» Ludmilla faticava a capacitarsi che il suo capo avesse agito così in malafede.

«Cosa è emerso dall’autopsia?», domandò Becky, che invece si stava riprendendo sempre di più.

Rispose Sofia, mentre Ludmilla si lasciava sprofondare nel divano con le molle rotte.

«La traiettoria del proiettile dimostra che il colpo è stato sparato dal primo palchetto di sinistra, per questo siamo tornate sulla scena del crimine, in teatro, per cercare eventuali bossoli. Ma niente, stanno facendo ulteriori analisi, se si dovessero sbilanciare direbbero che l’arma è un fucile da caccia finlandese, un Sako TGR 42, ma stanno finendo gli accertamenti.»

«È fondamentale parlare con questo Kovarik.»

«Perché credi sia importante?», volle sapere Sofia.

«Non lo so. Domani chiamerò Matthias in teatro, deve essere un amico di Monika, o almeno lei mi aveva detto che avrebbe chiesto a lui le informazioni su Ian Kovarik. A proposito di Monika, chi lo dirà alla sua famiglia?»

«Rebecca, hai dichiarato di non sapere il cognome della ragazza, chi l’ha uccisa ha portato via la borsetta, ricordi? Nessuno per ora la sta cercando, o per lo meno nessuno conosce la sua identità.»

«Ah, già… sì… è vero…»

«Sei sicura che sia tutto chiaro?», provò ad accertarsi l’agente Dobreva.

«Sì… è solo che i suoi familiari avrebbero diritto di sapere, lei mi ha parlato di un fratello, Oskar, e di un fidanzato, ma non so il nome.»

«Non ricordi altro?»

«Mi ha detto che la macchina era del suo ragazzo. Sarà parcheggiata nei dintorni della pensione. Potrei riconoscerla. Forse dovreste controllare le denunce di scomparsa, avranno delle foto segnaletiche…»

«Non preoccuparti ora di questo, domani andiamo al teatro e cerchiamo di scoprire il suo cognome. Lì la conosceranno di sicuro.»

«Va bene. Ma a quel punto potrebbero allacciarla all’omicidio di Clarissa Novotný.»

«Non credo, noi lo sappiamo perché ci siamo dentro fino al collo.»

A quel punto Ludmilla si alzò: «Preparo del caffè.»

«Roden domani collegherà di sicuro i due casi. Ho paura», ammise infine Becky.

«Stai tranquilla, non ti lasceremo mai sola. Ce ne occuperemo noi, vero Sofy?»

L’altra non rispose, qualcos’altro le ronzava in testa ma non riusciva a catturarlo, poi a un certo punto esclamò: «Ecco qual era l’altra cosa strana rilevata dall’autopsia! Non ci avevo dato peso subito perché non era inerente all’indagine, ma adesso che abbiamo tutti questi nuovi elementi forse possiamo darle un significato…», e sembrava continuasse a meditarci su.

«E allora? Vuoi tenerci sulle spine ancora per molto?», domandò Ludmilla che si era fermata con la caffettiera a mezz’aria.

«Ha partorito diverse volte. Sul corpo c’erano segni di molteplici gravidanze.»

«Ma come è possibile?», chiese Becky.

«Quando? E dove sono i bambini?», domandò inorridita l’agente Kysely.

«E non è tutto», riprese Sofia. «Non aveva più utero né ovaie.»

«Ma è una cosa del passato oppure è recente?», insistette Becky.

«Ma c’entra con il caso?», disse con più ingenuità Ludmilla.

«Non lo so, subito avevo accantonato l’informazione, ero più presa dall’idea che Rebecca avesse azzeccato la traiettoria del proiettile. Ma ora, mettendo sul tavolo tutto ciò che sappiamo, mi è tornato in mente.»

«Io non so se questa cosa ha a che fare con l’indagine, ma la vicenda diventa sempre più complicata. Puoi chiedere al medico legale di fare ulteriori esami?»

«Intendi sui parti?»

«Sì.»

«Ok, domani chiederò notizie più accurate in merito.»

L’argomento era chiuso perché tutte e tre rabbrividivano al pensiero di che fine potessero aver fatto quei bambini, e comunque era inutile soffermarsi adesso su questo, non avevano abbastanza elementi, così spostarono i discorsi su altro.

«Cosa hanno detto gli inservienti in hotel?», domandò ancora Becky, che non voleva farsi prendere dallo sconforto.

«Cosa vuoi che dicano: non hanno visto niente e nemmeno sentito niente. Hanno però avuto da ridire sul fatto che siamo arrivate ancora prima che dessero l’allarme. Ma ti rendi conto?»

«Se Roden va a parlargli scoprirà che stavate venendo da me, che eravate già sul posto. Siete in pericolo anche voi.»

Ludmilla, se possibile, si spaventò ancora di più. Sofia invece reagì: «Dimenticate che noi sappiamo ciò che ha fatto, abbiamo un’arma, che però useremo solo a momento debito.»

«Non possiamo certo ricattarlo!», esclamò la Kysely.

«Chi ha parlato di ricattarlo. Possiamo aver svolto delle indagini parallele e aver scoperto la verità su Tomas Novotný e Clarissa Slavíka, a quel punto uscirà fuori che David Zito è solo un gran bugiardo, non faremo capire che sappiamo del loro incontro o che è stato lui a manovrare il tutto.»

«E ci crederà? Sofia, lo conosci. Si inalbererà già per le indagini non richieste da lui personalmente, a maggior ragione se è coinvolto.»

«Dobbiamo trovare un alleato», dichiarò Becky. «Non conoscete qualcuno fidato all’interno del vostro dipartimento? Qualcuno che può aiutarci?»

«Io non mi fido di nessuno Rebecca. Arrivate a questo punto ci conviene fare da sole, ma se non te la senti e preferisci anticipare il tuo volo di rientro ti capisco, anzi ti capiamo. Vero Ludi?»

«Sì, sarebbe perfettamente comprensibile Rebecca, io fossi in te rientrerei a casa, immediatamente.»

Forse sarebbe la scelta più saggia, e pensò a Ben, alle sue braccia forti e sicure, ma presto fu distolta da quel momento intimo. «Qualcun altro sa che ti sei immischiata in questa storia? Non so… Rick può aver sentito qualcosa l’altra sera?», era stata Sofia a porre la domanda e subito Ludmilla con veemenza disse: «Cosa vuoi dire?»

«Mi sto solo informando… Rebecca?»

«All’inizio ne avevo parlato con il signor Holub.»

«E chi è?»