Parte I

Le guerre di religione in Francia

L'eco delle guerre di religione

Le otto guerre di religione (1562-1563; 1567-1568; 1569-1570; 1572-1573; 1574-1576; 1576-1577; 1579-1580; 1585-1598) costituiscono una delle più importanti cesure della storia francese, assieme alla guerra dei Cento anni e alla Rivoluzione. Durante il quarantennio, che si apre con la morte di Enrico II (1559) e si chiude con l'editto di Nantes (1598), si scatena la bestialità umana in nome di una fede o di un partito, oppure di tutti e due: spesso il confine tra l'opzione religiosa e quella politica è infatti labile. I cattolici inaugurano la stagione del sangue con la strage di Vassy (1562). I calvinisti rispondono con la "michelade" di Nîmes (l'esecuzione a freddo di ottanta cattolici il 29 settembre 1567) e obbligano gli avversari a convertirsi o ad abbandonare alcune regioni. I cattolici infine firmano nel 1572 l'episodio più famoso e controverso, il massacro di s. Bartolomeo.
Queste vicende infliggono al paese ferite che non si rimarginano, anche perché riaperte nel 1685 dalla revoca dell'editto di Nantes e dalla successiva repressione dei protestanti. Nel corso del Sette-Ottocento ogni proposta di nuovi assetti politico-governativi suscita paragoni con quanto accaduto nel Cinquecento: scrittori di diversa fede religiosa e diverso credo politico ribadiscono continuamente che la Francia non deve ricadere negli eccessi di quel periodo. Qualcuno invita ogni tanto a mantenere il distacco emotivo. Nel 1829 Prosper Mérimée scrive, per esempio, che "le azioni degli uomini del secolo XVI non debbono essere giudicate alla stregua delle nostre idee". Ma gli storici e i romanzieri dei decenni successivi non accolgono tale suggerimento e leggono le guerre di religione in chiave contemporaneistica. Così Jules Michelet fa in modo che l'analisi di ogni strage provocata o permessa da Carlo IX o da Enrico III rinvii ai guasti prodotti da Napoleone III.
Dopo la caduta di quest'ultimo, si afferma nella cultura francese la tendenza a interpretare le guerre di religione come un violentissimo scontro, interno all'élite dominante: si offre quindi una lettura socio-politica, che attenua l'importanza del fattore religioso, ma non sottovaluta quella del periodo. Nel Novecento ha invece fortuna la tesi, epitomizzata da Fernand Braudel, per la quale il periodo 1559-1598 non ha influito sulle tendenze economiche e politico-diplomatiche della Francia cinquecentesca. Tale posizione opera una sorta di rimozione e esorcizza lo spettro dei massacri, sminuendo la rilevanza strutturale delle guerre di religione.
Questo processo di cancellazione è condiviso da varie posizioni culturali, tutte nutrite dei migliori sentimenti e in qualche modo ispirate alle vicende dell’entre-deux-guerres e del secondo conflitto mondiale. Ha quindi funzionato abbastanza bene nell'immediato dopoguerra, un po' meno egregiamente negli anni 1960-1980 ed è infine crollato davanti alla rinascita dell'integralismo (musulmano, cattolico, ebraico, induista, ecc.), all'esplosione dell'Europa dell'Est e alla conseguente ripresa della conflittualità politico-religiosa. Una conflittualità sempre più sanguinosa e universale, che oggi coinvolge, sia pure con episodi ancora limitati, l'Europa occidentale, il Giappone e gli Stati Uniti e che ha fatto riscoprire agli storici il peso dell'odio generato dalla contrapposizione religiosa e politica.
Tra il 1940 e il 1975 si è scritto poco sulle guerre di religione, mentre queste sono tornate alla ribalta storiografica mano a mano che aumentavano gli episodi appena accennati (vedi appendice bibliografica). Gli storici hanno allora inaugurato un dibattito sempre più serrato, che, però, non ha prodotto, come nell'Ottocento e nel primo Novecento, grandi sintesi di storia politico-religiosa, ma soprattutto monografie su personaggi, partiti, gruppi religiosi, ceti sociali. In sostanza si è cercato prima di tutto di comprendere il numero, le caratteristiche e le motivazioni dei contendenti. In questa scelta hanno influito non soltanto la necessità di aggirare la corrente braudeliana, che deteneva ancora leve del potere accademico ed editoriale, ma anche le nuove tendenze storiografiche: la riscoperta dell'elemento individuale nella storia (o quantomeno della possibilità di ovviare con le biografie alla stanchezza di un mercato librario stremato dalle grande sintesi); l'attenzione ai fattori religiosi e politici, una volta ritenuti meramente accessori.
Alcune di queste opere hanno avuto successo innestandosi in un sistema mediatico più ampio. Il filone che, dopo il 1980, ha rivalutato i Valois (a lungo considerati i "cattivi" della vicenda) ha preparato la strada al film La regina Margot (Patrice Chereau, 1994). Quest'ultimo ha rilanciato l'ennesima ristampa del romanzo di Alexandre Dumas, al quale è ispirato, e ha anche sollecitato due biografie (di buon peso scientifico) della prima moglie di Enrico IV. L'attenzione per il ruolo dei Valois ha comportato la rilettura di migliaia di fonti a stampa e archivistiche e ha fatto sì che oggi sappiamo quasi tutto sui singoli elementi del conflitto, ma ne abbiamo perso la visione complessiva. Proprio quella che cercheremo di ritrovare nelle pagine che seguono, descrivendo non soltanto i singoli attori e i singoli episodi, ma anche il palcoscenico sul quale si recita il dramma, nonché ovviamente la trama generale di quest'ultimo.

Lo scenario delle guerre di religione

Lo scenario in questione è ovviamente la Francia, ma non quella che noi conosciamo. I Valois hanno rafforzato e allargato il regno, ma esso è più piccolo dell'odierna nazione. L'Artois, le Fiandre, l'Alsazia, il ducato di Lorena, la Franca Contea sono in mano agli Asburgo, mentre parte della Provenza è controllata dal duca di Savoia. Avignone e il contado venassino appartengono al papa; il Béarn è indipendente e il suo signore si fregia del titolo di re di Navarra.
Questi confini incerti, parzialmente assestati dalla pace di Cateau-Cambrésis (1559), generano costanti frizioni: con la Spagna, che ha già sconfitto la Francia nel lungo duello tra Francesco I di Valois e Carlo V d'Asburgo; con il papa, che vuole affermare la propria autorità sul clero francese; con i Lorena, i Savoia e i signori del Béarn; infine con i principati tedeschi e i cantoni svizzeri. La contrapposizione con questi ultimi è inasprita dalle differenze religiose. I principi tedeschi sono luterani, ma la loro fede è un affare di stato come quella del re francese. Inoltre la comune opposizione agli Asburgo li avvicina. A Ginevra invece batte il cuore della Chiesa riformata, che non vuole compromessi con la corona francese e cerca di penetrare in Francia, da dove Giovanni Calvino è fuggito alla metà del decennio 1530-1540.
Queste tensioni internazionali si riverberano sulle vicende francesi. Lo scontro con la Spagna ha visto la sconfitta dei Valois e mortificato le aspirazioni della monarchia e della grande nobiltà. Le energie nobiliari ora non sono più scaricate verso l'esterno e provocano un crescente attrito tra i grandi clan nobiliari. Il conflitto rischia di coinvolgere anche la corona: questa infatti ha tentato per decenni di porsi al di sopra della mischia e di sciogliersi da ogni vincolo feudale, creando una struttura statale centralizzata e affidando ad amministratori di origine borghese le più importanti cariche di governo, ma la débâcle le ha tolto credibilità e soprattutto ha ridotto le sue forze.
Le dispute con il papa si ripercuotono su una Chiesa nella quale le tendenze gallicane sono forti sin dal Trecento. Il clero regolare e secolare, gli umanisti e la corte polemizzano spesso con Roma e dimostrano curiosità, se non simpatia per la Riforma protestante, tanto più che quest'ultima si è dimostrata un pericoloso nemico degli Asburgo. Tuttavia proprio le polemiche contro la Chiesa di Roma fanno precipitare la situazione, quando le idee luterane penetrano in alcune città francesi (Bordeaux, Lione e Montpellier) tra il 1523 e il 1526. Il re non vorrebbe perseguitare i fedeli del nuovo credo religioso, condannato dalla facoltà di teologia di Parigi nel 1521; il concordato di Blois (1516) lo spinge, però, ad ascoltare il papa. A più riprese Francesco I evita la condanna di personaggi in vista, ma nel 1529 iniziano i roghi. Le esecuzioni capitali aumentano nel decennio successivo, quando le pressioni papali si accompagnano all'ira del re perché i protestanti hanno osato affiggere manifesti ad Amboise, davanti al suo castello. Calvino e i suoi, i quali hanno cercato di radicalizzare la Riforma francese, devono fuggire, mentre scattano le prime persecuzioni di massa.
Dopo il 1540 i protestanti francesi aderiscono alle tesi di Calvino. Secondo l'ambasciatore veneziano Marino Cavalli nel 1546 i seguaci di quest'ultimo sono forti a Caen, Poitiers, La Rochelle e nella Provenza. Le persecuzioni si intensificano e generano i primi massacri: 3.000 valdesi del Luberon sono uccisi per ordine del parlamento di Aix nel 1545. Due anni dopo Enrico II succede a Francesco I e inasprisce la legislazione antiprotestante. Nel 1551 e nel 1557 emana gli editti di Châteaubriant e di Conpiègne, che prevedono l'istituzione di tribunali laici (più duri di quelli ecclesiastici) e la pena di morte. Nel solo 1552 i roghi ardono ad Agen, Nîmes, Parigi, Rouen, Tolosa e Troyes. Tuttavia il numero e il peso di quelli che sono chiamati ugonotti continua ad aumentare: nel 1558 quattro-cinquemila riformati pregano appena fuori delle porte di Parigi. A quest'assemblea non partecipano soltanto artigiani o mercanti, ma anche Antonio di Borbone, parente di Enrico II e re di Navarra. L'anno successivo Anne du Bourg, consigliere del parlamento di Parigi, chiede la cessazione delle persecuzioni, inasprite dall'editto di Écouen. Il parlamentare è giustiziato alla fine del 1559, ma il suo gesto rivela la penetrazione del movimento protestante nella stessa amministrazione.
A questo data gli ugonotti hanno già iniziato a coordinare la propria azione. Il 25 maggio 1559 i pastori delle Chiese riformate francesi si incontrano a Parigi e stilano una confessione di fede unitaria, ratificata da Théodore de Bèze per la Chiesa di Ginevra, da Giovanna d'Albret (moglie di Antonio di Borbone) per quella di Navarra e da Gaspard di Coligny per quella di Francia. Nel 1560 circa due milioni di francesi, il 10% della popolazione, sono ugonotti: una minoranza quindi, ma molto concentrata in alcune zone. I centri di La Rochelle, Montauban, Montpellier e Nîmes hanno fatto proseliti nella Linguadoca, nel Delfinato, nella Provenza, nella valle della Garonna, nel Béarn, nel Saintonge, nell'Aunis e nel Poitou. Inoltre gli ugonotti sono disseminati sulla costa dalla Bretagna a Nantes, in Normandia (Caen, Dieppe e Rouen) e a Parigi (il faubourg Saint-Germain è considerato una piccola Ginevra), Lione (che fa da ponte tra Ginevra e la valle del Rodano, l'Alvernia e il Vivarais), Meaux, Orléans (dove confluiscono i nobili ugonotti dell'Angiò, della Turenna e del Berry), Rouen.
La presenza ugonotta è rilevante soprattutto nelle città, dove è radicata tra gli artigiani, i mercanti, il mondo dei tribunali e i gradini (soprattutto inferiori) delle magistrature locali. A questi ceti urbani, che sono stati i primi a convertirsi, si aggiungono anche la piccola nobiltà della Linguadoca e della Guascogna e alcuni grandi lignaggi: Borbone/Condé, Caumont, Châtillon, Larochefoucauld. Queste famiglie costituiscono la vera forza della Chiesa riformata: detengono infatti posti di prestigio - sono nel Consiglio del re e amministrano vaste province - e possono arruolare armate personali. La loro adesione religiosa non ha sempre motivazioni limpide, anzi sembra un modo di opporsi ad altri clan nobiliari o di sfidare la casa reale, ma è incontrovertibile la loro volontà di creare un territorio ugonotto, semi-indipendente, unificando i propri vasti domini signorili. In questo progetto confluiscono così idealità religiose e aspirazioni feudali.
Di fronte alla crescita protestante la maggioranza della popolazione avverte con angoscia la fine dell'unità religiosa. Molte fonti ci rivelano la repulsione che i cattolici, soprattutto quelli dei ceti medio-bassi, provano per gli ugonotti. Questi infatti appaiono loro singolarmente avulsi dai costumi tradizionali. Per i cattolici gli ugonotti non sono quindi soltanto i distruttori dell'ordine costituito (religioso e politico), ma in quanto "estranei" alla tradizione mettono in pericolo l'identità francese o per lo meno le singole identità locali. I clan nobiliari cattolici condividono questi sentimenti, inoltre desiderano riguadagnare il controllo del paese, riportando la famiglia reale al ruolo di prima "inter pares" e allontanando dai centri di potere gli ugonotti.

Inizia il dramma

La morte di Enrico II, ferito mortalmente da Gabriel de Montgomery durante il torneo per festeggiare il matrimonio di Elisabetta di Valois con Filippo II di Spagna, accelera la crisi. Francesco II è un quindicenne malaticcio dominato dalla madre, Caterina de' Medici, e dalla moglie, Maria Stuarda. Quest'ultima è nipote del cardinale Carlo di Lorena e di Francesco, duca di Guisa. La regina madre e i Guisa si alleano e scacciano i favoriti di Enrico II: Diana di Poitiers e il conestabile Anne di Montmorency. Inoltre umiliano i Borbone, che pur rimanendo nel Consiglio del re non partecipano alle decisioni più importanti.
Montmorency e i Borbone non hanno la forza di reagire subito, ma una protesta più decisa è provocata dal modo in cui i nuovi padroni di Francia fanno fronte alla catastrofe finanziaria: Enrico II ha lasciato quaranta milioni di lire di debiti, dei quali venti esigibili subito. Il cardinale di Guisa licenzia perciò gli uomini d'arme impiegati dal re defunto, sopprime le pensioni conferite e infine revoca le alienazioni del dominio regio. Il bilancio migliora, ma queste misure colpiscono una nobiltà, già impoverita dalla caduta delle entrate feudali e dall'aumento delle tasse. Gli scontenti si raccolgono attorno ai Borbone e ai fratelli Châtillon (il cardinale Odet, vescovo di Beauvais; François, signore d'Andelot, colonnello generale della fanteria; Gaspard, signore di Coligny, ammiraglio di Francia), nipoti del conestabile Anne di Montmorency.
Tutti questi nobili sono protestanti e sono impensieriti dalle persecuzioni scatenate dal cardinale di Guisa: i proclami successivi al rogo di Anne du Bourg sono ancora più rigidi dell'editto di Écouen. La nuova leadership protestante non è abituata ad arrendersi ed organizza la resistenza. Le roccheforti ugonotte sono in stato d'allarme, nonostante i consigli di Calvino che vorrebbe un'agitazione legale, sostenuta dai principi di sangue e dai parlamenti. Inoltre i pubblicisti protestanti attaccano i Guisa, accusandoli di manovrare il giovane re, e propongono di nominare reggente Antonio di Borbone.
Nel febbraio 1560 i Guisa convincono Francesco II che si profila la minaccia di un colpo di stato. In effetti dal dicembre precedente Luigi di Condé arruola fuoriusciti per imprigionare i suoi avversari. Il complotto dovrebbe aver luogo il 16 marzo, però il re e i Guisa si sono rifugiati ad Amboise. I congiurati tentano di penetrarvi, ma sono catturati e impiccati sugli spalti del castello. Caterina de' Medici vorrebbe trovare un accordo con gli ugonotti, i Guisa invece sperano di schiacciarli e accusano pubblicamente Anne de Montmorency e Luigi di Condé. La regina madre nomina cancelliere del regno il moderato Michel de L'Hospital e con l'editto di Romorantin (maggio 1560) attenua la persecuzione contro i riformati. Questi ultimi occupano Lione, ma Antonio di Borbone li convince a rendere la città e si reca dal re con il fratello, che i Guisa fanno arrestare ad Orléans e condannare a morte il 26 novembre. La Francia è sull'orlo della guerra civile, ma la morte di Francesco II congela la situazione.

Carlo IX sale al trono

Carlo IX diviene re a undici anni il 5 dicembre 1560, mentre la madre assume la reggenza, avendo convinto i Borbone e i Guisa di essere l'unica che possa garantire la pace. La reggente non può, però, fronteggiare da sola la crisi finanziaria e deve convocare gli Stati Generali, che non sono più consultati dal 1484. L'assemblea si apre ad Orléans il 13 dicembre 1560 e rivela subito il contrasto tra i tre ordini. Il Terzo Stato reclama la riforma del clero, il mantenimento delle dottrine gallicane e una tregua, quanto meno temporanea. Il clero vuole reprimere l'eresia. La nobiltà concorda con il Terzo Stato nella critica del clero e in più condanna i Guisa, fautori del disordine. Inoltre nessuno dei tre ordini vuole ripianare a proprie spese il deficit della corona e tutti chiedono che sia regolata la questione della reggenza. Michel de L'Hospital promette la soppressione della venalità degli uffici, la proibizione di inviare denaro a Roma, il ritorno all'elezione dei vescovi e infine un concilio nazionale della Chiesa francese, ma non riesce a blandire i convenuti. Caterina sospende i lavori il 28 gennaio 1561, promettendo di riaprirli in estate a Melun, e ordina di cessare le persecuzioni religiose.
Nei mesi successivi la reggente continua a operare in favore degli ugonotti: il 13 marzo fa amnistiare Condé e il 24 accorda ad Antonio di Borbone il titolo di luogotenente generale del regno. Questi compromessi non sono approvati dai cattolici: il popolo parigino impedisce ai riformati di cantare i salmi nel Pré-aux-Clercs; Beauvais si rivolta contro il vescovo Odet de Châtillon, considerato troppo tollerante verso i calvinisti. La situazione è di nuovo critica, sia sul piano internazionale che su quello interno. Elisabetta di Valois avverte infatti la madre che l'esercito di Filippo II è pronto a intervenire, se la corona di Francia si converte al protestantesimo. Inoltre, nell'aprile 1561, il duca di Guisa si allea a sorpresa con Jacques d'Albon, maresciallo di Saint-André e antico protetto di Enrico II, e con Anne de Montmorency.
Caterina prende tempo. L'Hospital riunisce in giugno-luglio il parlamento di Parigi e il Consiglio del regno (formato dai pari, dai principi di sangue e dai grandi funzionari), in modo da far affrontare Coligny, la mente degli ugonotti, e il triunvirato Guisa/Saint-André/Montmorency. Ne esce l'editto del 30-31 luglio che chiede un aiuto finanziario ai cattolici, senza proibire esplicitamente il culto protestante. Intanto Caterina decide il 20 luglio 1561 di convocare un concilio nazionale della Chiesa cattolica. L'assemblea del clero si tiene a Poissy (31 luglio-14 ottobre 1561), ma il cardinale di Lorena evita che essa prenda il nome di concilio nazionale e impone che la discussione si limiti a come correggere gli abusi e alla necessità di un prestito alla corona.
Dal 1 agosto si riuniscono anche gli Stati Generali, ma a Pontoise e non più a Melun. La nuova sede è vicina a Poissy: L'Hospital va quindi da un'assemblea all'altra, battendo cassa e impegnandosi in giochi di equilibrismo. Il clero, per esempio, non vuol rompere con Roma e non vuol sovvenzionare il re. Ma Jacques Bretagne, portaparola del Terzo Stato, primo magistrato d'Autun e uno dei capi del protestantesimo in Borgogna, propone di ammortizzare il debito francese vendendo i beni della Chiesa cattolica. L'Hospital corre a Poissy e minaccia di acconsentire a quella proposta. Il clero china la testa e negozia l'accordo ratificato il 21 ottobre 1561: si impegna a pagare una rendita annua per riscattare i propri possedimenti da qualsiasi alienazione. Grazie a questo successo economico Caterina può rintuzzare il tentativo della nobiltà di portare a venti anni la maggiore età per i re, di riservare l'organizzazione della reggenza agli Stati Generali e in via provvisoria ai principi di sangue, di stabilire il controllo degli Stati Generali sulla pace, la guerra e le alleanze.
Nel frattempo il gioco si fa ancora più complicato. La reggente vuole dimostrare che desidera veramente la pace religiosa e autorizza la presenza di sudditi non cattolici a Poissy. A sorpresa il cardinale di Lorena l'appoggia, perché i Guisa vogliono guadagnare credito presso i principi tedeschi e al contempo isolare i calvinisti. Il 22 agosto Théodore de Bèze (1519-1605, futuro successore di Calvino) si presenta a Poissy, dove colloquia con i rappresentanti cattolici fra il 9 settembre e il 18 ottobre. Il nunzio apostolico a Parigi scrive al papa che ormai la Francia è perduta e che si deve formare con la Spagna una lega cattolica antifrancese. Invece l'esponente calvinista è beffato dal cardinale di Guisa: questi infatti tergiversa sino all'arrivo di Ippolito d'Este, legato romano straordinario. L'annunzio, fatto da quest'ultimo, dell'apertura del concilio di Trento impedisce ogni accordo tra le due Chiese.
Il cardinale di casa Guisa ha evitato ogni ipotesi pacificatoria. Tuttavia la pace è richiesta da ugonotti moderati, come il già citato Jacques Bretagne, e da quei cattolici, che vengono designati come i “politici”. Questi due gruppi disdegnano la guerra e pensano che le due religioni possano convivere nello stesso stato. Caterina de' Medici persegue per il momento la stessa idea, avendo ancora bisogno degli Châtillon contro i Guisa e Filippo II. Riprende quindi i contatti con Théodore de Bèze e con Coligny e accorda agli ugonotti il permesso di celebrare il loro culto, sia pure a particolari condizioni (editto di Saint-Germain, 17 gennaio 1562). Alla fine anche Roma accetta questo compromesso in cambio della promessa che i vescovi francesi possano recarsi al concilio di Trento.
La tregua dura comunque poco. Alla fine di gennaio il parlamento, i funzionari e l'Università di Parigi protestano contro l'editto e il loro appello è subito echeggiato da Aix, Digione, Grenoble e Tolosa. Persino il re di Navarra si allinea ai triunviri contro l'editto di Saint-Germain. Gli Châtillon abbondano la corte, mentre i Guisa trattano con i principi tedeschi un'alleanza anticalvinista. Il partito della pace è schiacciato fra le due fazioni nobiliari più estremiste ed abbandonato dalla corona.

La prima guerra di religione

Il 1 marzo 1562, al ritorno da un incontro con il duca Cristoforo di Würtemberg, Francesco I di Guisa guida l'assalto a un'assemblea di ugonotti, organizzata a Vassy nella Champagne senza rispettare le norme promulgate dall'editto di Saint-Germain. Sulla scia del primo sangue (70 morti e un centinaio di feriti) altri riformati sono uccisi a Sens e a Tours, nel Maine e nell'Angiò. Il 17 marzo il triunvirato impone alla reggente e a Carlo di trasferirsi da Fontainebleau a Parigi. Caterina chiede l'aiuto di Condé, ma questi fugge dalla capitale e inizia a capitanare la rivolta protestante.
La guerra assume presto un duplice aspetto: da un lato, è lo scontro tra due fazioni nobiliari, mosse l'un contro l'altra non soltanto da fattori religiosi; dall'altro questi ultimi determinano la partecipazione di vasti strati della popolazione, che esprimono il loro odio con massacri e distruzioni. Inoltre il conflitto non è soltanto interno alla Francia. Entrambi i contendenti hanno forti appoggi internazionali: i Guisa sono sostenuti dal re di Spagna, dal duca di Savoia e dal papa; Condé e Antonio di Borbone dall'Inghilterra e da qualche principe tedesco.
Nei primi scontri sono i riformati ad avere la meglio e conquistano Angers, Blois, Lione, Orléans, Tours e Valence. Caterina, che si è alla fine allineata ai Guisa, nota tuttavia con piacere l'indebolimento dei grandi feudatari. Antonio di Borbone muore il 17 novembre 1562. Il 19 dicembre, battaglia di Dreux, il conestabile di Montmorency e il maresciallo di Saint-André cadono in mano agli ugonotti e, subito dopo, Condé è catturato dal duca di Guisa. Nel frattempo la popolazione cattolica si solleva e massacra i protestanti di Gaillac, Meaux, Sens, Tolosa e Troyes.
La prima guerra di religione minaccia di indebolire il regno nel suo complesso. Il trattato di Fossano (2 novembre 1562), firmato dalla reggente e dal duca di Savoia, rende a quest'ultimo le cittadelle che Cateau-Cambrésis aveva dato alla Francia. L'accordo di Hampton Court fra la regina d'Inghilterra e i rappresentanti di Condé e delle città di Rouen, Dieppe e Le Havre prevede che i francesi diano quest'ultima in cambio di soldati e finanziamenti e che essa resti in mano inglese, finché non sia scambiata con Calais. I triunviri accusano Condé di svendere la Francia e assediano Rouen. L'assedio si protrae senza esiti e si caratterizza per l'estrema confusione. Prima di tutto per l'eterogeneità delle forze in campo: la città è difesa da riformati francesi, inglesi e scozzesi ed è assalita dagli armati dei Guisa, da mercenari luterani (tedeschi) e calvinisti (svizzeri), da protestanti francesi entrati a far parte dell'esercito regio. In secondo luogo perché Rouen è la più importante città del regno dopo Parigi e Caterina non vuole distruggerla, quindi fa in modo che le operazioni militari vadano a rilento.
Alla fine del 1562 le due schiere sono guidate dal duca di Guisa e dall'ammiraglio di Coligny, che domina la Normandia. Il primo assedia Orléans per tagliare le comunicazioni dell'avversario, ma è assassinato da Poltrot de Méré, un nobile del Saintonge. Il sicario, torturato, cambia più volte versione e dichiara, di volta in volta, di essere stato inviato da Calvino, da Théodore de Bèze, da Condé e infine da Coligny. Comunque Caterina, liberatasi del giogo guisardo, cerca la pace, temendo che i nobili ugonotti della Linguadoca e del Delfinato si confederino e aprano un secondo fronte. Condé e Montmorency si prestano alla mediazione e, nonostante l'opposizione di Coligny, fanno ratificare la pace di Amboise (19 marzo 1563).
L'accordo prevede il rinnovo delle concessioni agli ugonotti, ma ora esse sono formulate in modo da avvantaggiare quasi esclusivamente la nobiltà protestante. Il culto è libero nelle dimore dei signori che godono dei diritti di alta giustizia; per gli altri è permesso in una sola città di ogni baliato e solamente nei quartieri periferici. I ministri riformati e lo stesso Calvino accusano di tradimento il principe di Condé, ma questi non li ascolta. Unisce invece le sue truppe a quelle di Montmorency e riconquista Le Havre, obbligando gli inglesi a rinunziare a ogni pretesa sul suolo francese (pace di Troyes, 11 aprile 1564).
Nel frattempo la situazione interna non si è del tutto acquietata. Da un lato, i nobili ugonotti non rendono i beni della Chiesa cattolica, di cui si sono impossessati. Dall'altro, gli Stati Generali di Borgogna e il parlamento di Digione minacciano la secessione, se Carlo IX si schiera con i riformati. Infine l'imperatore, il re di Spagna e il duca di Savoia criticano l'accordo di Amboise e il papa attacca L'Hospital, che ha sconfessato il cardinale di Guisa. Caterina lascia correre le polemiche interne, mentre invoca le libertà gallicane per tacitare il papa e il re di Spagna. Intanto fa dichiarare maggiorenne il re tredicenne dal parlamento di Rouen e questi dichiara agli inviati spagnoli, savoiardi, imperiali e pontifici di voler far tutto il possibile per conservare la pace religiosa (febbraio 1564).
Caterina si mette all'opera per ricompattare il fronte interno, ritenendo di aver guadagnato respiro sul piano internazionale. Assieme al giovane re visita il paese, facendo registrare parlamento per parlamento l'editto di tolleranza. Nel corso del viaggio (marzo 1564-maggio 1566) le città sono pacificate, i magistrati troppo rigidi verso gli ugonotti sono rimossi e il parlamento d'Aix è addirittura sostituito in blocco. Inoltre l'editto emanato a Roussillon il 4 agosto 1564 ripete tutti i divieti ai calvinisti, ma garantisce anche i loro diritti, mentre la grande ordinanza di Moulins (febbraio 1566) limita il diritto di rimostranza dei parlamenti, la giurisdizione autonoma delle città e le competenze dei governatori delle varie province.

La seconda e la terza guerra

La regina madre e il re pensano di avere restaurato lo status quo, ma, nel frattempo, i riformati si insospettiscono per i colloqui di Caterina con la figlia Elisabetta, moglie del re di Spagna, e con il duca d'Alba (Bayonne, 14 giugno - 2 luglio 1565). In verità quest'ultimo ha proposto un'alleanza franco-spagnola contro gli ugonotti, ma Caterina si è limitata a un assenso generico, mai confortato dai fatti. Tuttavia i rapporti con la Spagna sono ormai un problema cruciale. I nobili ugonotti spingono per un intervento francese nei Paesi Bassi a fianco dei loro correligionari ribellatisi a Filippo II. Per forzare la corona tentano quindi di rapire il re a Meaux nel settembre 1567, in seguito assediano Parigi, dove si è barricata la corte, e provocano in tutte le zone riformate violenti moti anticattolici: è in questo contesto che ha luogo la "michelade" di Nîmes. I cattolici si sentono aggrediti e temono una cospirazione calvinista internazionale: sono quindi pronti a seguire i Guisa.
Inizia la seconda guerra di religione, nella quale Montmorency muore (11 novembre 1567), difendendo Saint-Denis contro gli ugonotti e i loro mercenari tedeschi, guidati da Giovanni Casimiro, figlio cadetto dell'Elettore palatino. Il comando delle truppe regie passa a Enrico, duca d'Angiò, terzogenito di Caterina, mentre le forze regie sono irrobustite da soccorsi spagnoli e pontifici. Dopo qualche mese è chiaro che nessuno dei contendenti è in grado di imporsi militarmente e la guerra termina con la pace di Longjumeau (23 marzo 1568), che conferma i termini dell'accordo di Amboise e obbliga la corona a licenziare i mercenari stranieri.
Per gli ugonotti è una piccola vittoria, che alla lunga si rivela dannosa. La regina madre non attribuisce infatti alcuna importanza alle scelte religiose e quindi al contrario di molti cattolici non si è mai sentita minacciata dai riformati. Ora invece teme che questi mirino a disarmare la monarchia e che portino un paese indebolito allo scontro con la Spagna. Appena firmata la pace, Caterina sconfessa L'Hospital, favorevole a un accordo politico con gli ugonotti, e nomina guardasigilli Jean de Morvilliers, vescovo di Orléans. Inoltre si appoggia nuovamente ai Guisa e in particolare al cardinale, che le ha proposto di organizzare un grande "partito", da affidare a Enrico d'Angiò, figlio prediletto della Medici.
Quest'ultima spera quindi di poter pacificare la Francia, grazie alla forza dei Guisa. Nel giro di pochi mesi sorgono invece nuove difficoltà. Nel 1568 muore Elisabetta di Valois e la regina madre perde così il proprio miglior agente alla corte spagnola. Inoltre la nuova politica religiosa fa salire la tensione del paese. Nell'autunno sono emanati due editti (28 settembre e 22 dicembre) che prevedono una sola religione, quella romana, pur concedendo la libertà di coscienza. I riformati protestano e il Consiglio del re, dominato dai Guisa, decide d'imprigionare Condé e Coligny, che fuggono e si rifugiano a La Rochelle. E' l'inizio della terza guerra.
Questa volta le truppe regie vincono le battaglie di Jarnac (13 marzo 1569) e di Montcour (3 ottobre 1569): nella prima muore Luigi di Condé, ucciso a tradimento per ordine di Enrico d'Angiò. Gli ugonotti sono inizialmente ridotti sulla difensiva, ma poi Coligny riesce ad avvicinarsi a Parigi, obbligando gli avversari a trattare. La corona infatti non ha più denaro per pagare i mercenari. Per di più l'entourage della regina è preoccupato per l'espansionismo spagnolo e offeso perché Filippo II ha sposato la figlia maggiore dell'imperatore, lasciando a Carlo IX soltanto la minore. I Guisa potrebbero opporsi alla pace, ma il giovane duca Enrico diviene l'amante di Margherita di Valois, sorella del re, e quest'ultimo lo scaccia di corte: visto lo scandalo, anche il cardinale pensa più prudente recarsi a Roma. Si giunge così all'ennesima tregua: l'editto di Saint-Germain dell'8 agosto 1570 rinnova le concessioni dell'editto di Amboise e concede quattro nuove piazzeforti ai protestanti.

Dall'intervento nei Paesi Bassi alla strage di s. Bartolomeo

Nella seconda metà del 1570 crescono a corte le spinte antispagnole, ma Caterina obietta che bisogna prima trovare nuovi alleati. Tenta quindi di accasare il figlio Enrico con Elisabetta d'Inghilterra. Non essendovi riuscita, offre la figlia Margherita ad Enrico di Navarra, divenuto il capo ufficiale degli ugonotti dopo la morte di Luigi di Condé. Le manovre dilatorie di Caterina sono, però, ostacolate da Carlo IX, ormai ventenne, che aspira a regnare autonomamente, e inoltre dai parenti fiorentini. Cosimo de' Medici è elevato nel 1569 alla dignità di granduca di Firenze contro il volere della Spagna. Per difendere il proprio potere propone quindi un'alleanza antispagnola a Ludovico di Nassau (fratello di Guglielmo, principe d'Orange, il più influente fra i ribelli dei Paesi Bassi) e a Carlo IX. Quest'ultimo apprezza la possibilità e invita a corte l'ammiraglio di Coligny per discuterne.
Gaspard di Coligny arriva a Blois nel settembre 1571 e offre la restituzione delle quattro piazzeforti, concesse agli ugonotti l'anno prima, in cambio dell'impegno della monarchia a battersi nei Paesi Bassi. Egli vorrebbe intervenire subito a fianco dei suoi correligionari, ma è invischiato nei progetti di Caterina per Enrico di Navarra e Margherita Valois. Arriva a corte anche Giovanna d'Albret, che vi muore il 9 giugno 1572, probabilmente di tubercolosi (ma Caterina viene sospettata di averla fatta avvelenare dal suo parrucchiere, ovviamente italiano). Prima di questo decesso le due regine stringono comunque, l'11 aprile, gli accordi necessari per il matrimonio. Alla notizia i cattolici fremono, soprattutto a Parigi, mentre i protestanti preparano, sia pure un po' timorosi, il viaggio verso la capitale.
Nel frattempo Coligny ha continuato a sollecitare il re per l'intervento nei Paesi Bassi. Alla fine vi ha addirittura inviato un piccolo corpo di spedizione, composto da volontari che sono fatti a pezzi dagli spagnoli il 17 luglio 1572. Coligny chiede al re di vendicare la sconfitta, ma, agli inizi d'agosto, il Consiglio di Stato si oppone a ogni iniziativa antispagnola. Mentre fervono i preparativi per il matrimonio di Enrico di Navarra, Coligny inizia a raccogliere un esercito privato. Caterina teme che queste truppe siano utilizzate in Francia e non nei Paesi Bassi e, in ogni caso, ritiene rischioso lo scontro con gli spagnoli. Decide quindi (ma probabilmente lo pensa dalla fine di luglio) che l'omicidio sia l'unico modo di sbarazzarsi di un alleato scomodo. L'attentato è concordato con Enrico d'Angiò e con Anna d'Este (per quest’ultima vedi la terza parte).
I congiurati aspettano la fine dei festeggiamenti per le nozze e falliscono il colpo. Il 22 agosto 1572 il sicario Maurevert ferisce soltanto l'ammiraglio. Caterina ed Enrico d'Angiò paventano quindi una rappresaglia immediata: i capi ugonotti sono infatti ancora a Parigi, dove si sono recati per le nozze di Enrico di Navarra, assieme al loro seguito. Dopo essersi consultati con i consiglieri più fidi, rivelano tutto a Carlo IX e lo forzano a terminare il lavoro, facendo massacrare gli ugonotti nella notte tra il 23 e il 24 agosto, la notte di s. Bartolomeo. Il piano prevede l'uccisione di Coligny e dei gentiluomini che lo assistono, nonché pochi altri omicidi mirati. Invece le guardie del re e gli uomini dei Guisa (che hanno finto di abbandonare la città la mattina del 23) scatenano un massacro senza precedenti.
Coligny è trafitto e scaraventato nella strada ai piedi del duca di Guisa, i suoi compagni sono uccisi e gli altri nobili ugonotti sono trucidati al Louvre. Pochi si salvano: Enrico di Condé, figlio di Luigi, ed Enrico di Navarra, perché sono parenti del re e accettano di abiurare (il primo obbedirà il 12 e il secondo il 26 settembre); qualcun altro è nascosto da conterranei cattolici; infine chi è alloggiato nel faubourg Saint-Germain fa a tempo a scappare. Il giorno successivo il popolo di Parigi, da settimane in ebollizione, devasta tutte le case che sospetta ospitare riformati e uccide questi ultimi, dopo averli seviziati senza riguardi per l'età o per il sesso.
Il 24 agosto il re proibisce di svaligiare le magioni private e il 25 vieta i massacri indiscriminati, ma le violenze cessano soltanto qualche giorno più tardi: sino al 26 agosto la stessa famiglia reale non osa uscire dal Louvre e il 29 vi sono ancora soprassalti di furore. Il bilancio è spaventoso: 600 dimore devastate e almeno 3.000 morti (su circa 200.000 abitanti) tra i parigini, più 60 nobili giunti per il matrimonio di Enrico di Navarra. Inoltre la strage non resta confinata nella cerchia delle mura parigine: mano a mano che la notizia si diffonde nel regno, i cattolici incrudeliscono contro i protestanti di altre città. Almeno 1.000 morti sono causate dai pogrom di Charité-sur-Loire (24 agosto), Orléans, Meaux e Bourges (25 e 26 agosto), Angers e Saumur (28 e 29 agosto), Lione (31 agosto), Troyes (4 settembre), di nuovo Bourges (11 settembre), Rouen (17 e 20 settembre), Tolosa (4 ottobre), Gaillac (5 ottobre) e infine Bordeaux (30 ottobre).
Caterina non comprende la portata di quello che ha scatenato, anzi cerca di riannodare i rapporti con Ludovico di Nassau e con i luterani tedeschi, dichiarando di aver decretato l'uccisione di Coligny perché questi minacciava la sicurezza dello stato. Anche il re ripete di aver reagito a un complotto ugonotto contro la sua famiglia e, per provarlo, fa arrestare Arnaud de Cavaignes e François de Briquemault, sfuggiti al massacro parigino: torturati, i due riformati rifiutano di avvalorare l'esistenza del complotto e vengono giustiziati il 21 ottobre a Parigi.
La tesi regia è echeggiata da molti scrittori cattolici, in Francia e all'estero, ma altrettanti, tra gli ugonotti e tra gli stessi cattolici, sospettano la premeditazione da parte della famiglia reale. Nelle corti europee e soprattutto a Roma, dove il papa non è convinto dell'utilità del massacro, nasce la leggenda nera dei Valois, che avrebbero finto di appoggiarsi a Coligny e a Enrico di Navarra per attirare a Parigi gli ugonotti e sterminarli tutti. Per molti contemporanei la notte di s. Bartolomeo non è quindi frutto di circostanze insieme prevedibili e casuali, ma l'ultimo atto di un piano concertato da lunga pezza.

La risposta dei riformati

Gli ugonotti sono duramente colpiti, ma si riorganizzano con rapidità. Il massacro rafforza la loro coesione interna e allo stesso tempo li libera da ogni legame di fedeltà verso la corona. La leadership ugonotta del decennio precedente, composta da nobili militari fedeli nonostante tutto al re e abituati a pensare in termini non esclusivamente religiosi, è ora scomparsa o ha abiurato. A Montauban, a Nîmes, nelle Cevennes, a Sancerre e a La Rochelle i riformati si stringono attorno ai pastori e proclamano la lotta senza quartiere contro i Valois. In quell'area geografica si forma una repubblica protestante, ispirata direttamente dalla Chiesa riformata e sostenuta dalla piccola feudalità turbolenta. Gli ugonotti che abitano in altre regioni emigrano verso le proprie piazzeforti, oppure fuggono in Germania, Svizzera e Inghilterra.
Nel settembre 1572 la guerra riprende. Due mesi dopo tutto il Midi protestante è in armi, mentre le truppe regie cercano invano di piegare la resistenza dei centri riformati. Dal 12 febbraio 1573 Enrico d'Angiò assedia La Rochelle, ma non riesce a penetrarvi. Quando è ancora sotto le sue mura, gli viene comunicato l'elezione a re di Polonia. Con la morte nel 1572 di Sigismondo Augusto II si è estinta la dinastia degli Jagelloni e i nobili polacchi hanno imposto la monarchia elettiva. Alla corona aspirano anche lo zar Ivan IV, l'arciduca Ernesto d'Asburgo, i Vasa di Svezia: Enrico d'Angiò, per essere prescelto, ha sottoscritto un accordo (pacta conventa, 1573) che lo obbliga a difendere la libertà di religione. I Valois non possono continuare a combattere gli ugonotti e quindi il conflitto francese si conclude con la pace di La Rochelle (24 giugno 1573), che concede ai protestanti condizioni meno favorevoli di quelle del 1570, ma riconosce comunque la loro esistenza.
La partenza di Enrico per la Polonia offre uno spazio di manovra al figlio più piccolo di Caterina, Francesco duca di Alençon. Questi, sino allora emarginato dalla madre e dai fratelli, si mette alla testa dei malcontenti. Sotto quest'etichetta si raccolgono nobili cattolici che si sentono esclusi a favore dei Guisa e degli italiani legati alla regina madre, oppure ugonotti che non vogliono la dissoluzione del regno, ma il riconoscimento dei propri diritti. I malcontenti riprendono quindi alcune parole d'ordine dei già menzionati politici, inoltre desiderano la ripresa della politica antispagnola, una volta cara ai Valois. Carlo IX decide di soddisfarli e appoggia nell'inverno del 1573 Ludovico di Nassau, ma il tentativo fallisce.

La morte di Carlo IX

L'intervento nei Paesi Bassi è una delle ultime decisioni del re, che muore il 30 maggio 1574. Caterina riprende le redini del regno e sollecita il pronto rientro di Enrico dalla Polonia, mentre contro di lei si scatena l'odio degli ugonotti e il disprezzo dei malcontenti. Enrico di Valois fugge dal suo regno polacco nella notte tra il 18 e il 19 giugno, fa quindi tappa a Vienna, Venezia, Padova, Ferrara, Mantova, Torino e infine giunge a Lione, dove si incontra, il 6 settembre 1574, con la madre. Quest'ultima è scontenta della lentezza con cui si muove il figlio, nonché della sua decisione di sposare una nobile francese di non distinta casata.
La situazione francese non è infatti particolarmente favorevole al nuovo re. Sin dal mese precedente Henry de Montmorency, maresciallo di Damville e governatore della Linguadoca, ha confederato i cattolici scontenti e gli ugonotti del sud-ovest. Damville è accusato, forse a torto, di aver partecipato a un complotto per liberare il duca di Alençon ed Enrico di Navarra, virtualmente prigionieri a corte, e ha giocato d'anticipo. Ora non soltanto chiede la conferma dei suoi privilegi, ma propugna anche la riforma della monarchia e disconosce i diritti dell'erede di Carlo IX.
Enrico si fa consacrare a Reims e spera di isolare Damville. Invece il 15 settembre 1575 il duca di Alençon fugge dal Louvre, aiutato dalla sorella Margherita, e si accorda con il governatore della Linguadoca e con Enrico di Condé, che ha riacquistato da tempo libertà di movimenti. Sarebbe forse possibile evitare la guerra concedendo qualche privilegio al fratello cadetto del re e a Damville, ma Caterina preme per una soluzione di forza.
Scoppia così la quinta guerra di religione. L'esercito del re è formato soprattutto di mercenari stranieri; quello dei ribelli da soldati francesi, inoltre gode dell'appoggio del già citato Giovanni Casimiro, che invade la Champagne assieme a Condé. Il 10 ottobre 1575 Enrico di Guisa blocca i ribelli a Dormans e tuttavia i confederati continuano ad avvicinarsi a Parigi, mentre la corona non ha denaro per pagare i suoi mercenari. Enrico III e Caterina devono quindi accettare la pace di Étigny (7 maggio 1576). Il successivo editto di Beaulieu concede: al duca di Alençon il ducato d'Angiò, di cui prende il titolo, la Turenna e il Berry; a Damville il governo della Linguadoca; a Condé la piazzaforte di Saint-Jean-d'Angély; agli ugonotti la libertà di culto, tranne a Parigi, e otto fortezze; a Giovanni Casimiro un riscatto di 6.000.000 di lire tornesi e una pensione annua di altre 40.000 lire, oltre a nove signorie in Borgogna, il ducato d'Étampes e il feudo di Château-Thierry.
L'autorità della corona regredisce di secoli: la Francia torna a sfaldarsi in grandi e piccoli potentati. Per giunta, Enrico di Borbone e la Navarra tornano al protestantesimo, vista la debolezza di Enrico III. Anche i cattolici più intransigenti si rivoltano contro il re, accusato di aver ceduto senza combattere. Sin dagli anni 1560-1570 i cattolici hanno formato leghe locali (ad esempio ad Angers, Digione, Bourges e Troyes) per contrastare gli ugonotti: ora queste associazioni si organizzano su scala più grande. Jean d'Humières, governatore di Péronne, non si sottomette a Condé, nuovo governatore della Piccardia, e assieme ad altri funzionari e nobili fonda la Lega piccarda. Parigi formicola di associazioni di mestiere e di gruppi della borghesia cittadina (soprattutto funzionari e uomini di legge) che formano milizie per lottare contro gli eretici: nasce una Lega, che si distingue per i tratti antiaristocratici. In Borgogna, Champagne, Linguadoca e Nivernais i nobili cattolici organizzano altre associazioni cattoliche e preparano una nuova guerra. Il capo naturale del leghismo cattolico è Enrico, duca di Guisa. Questi dichiara di discendere da Carlo Magno e si comporta da monarca: tratta direttamente con Filippo II, che aiuta nel 1577 nei Paesi Bassi e dal quale ottiene in cambio forti sovvenzioni.
Enrico III tenta di imitare la strategia della madre nel decennio precedente e di strappare la mano ai Guisa: si propone quindi come capo naturale delle forze cattoliche, tanto più che sta svanendo l'opposizione da parte dei malcontenti, guidati dal fratello minore. Il 6 dicembre 1576 gli Stati Generali si riuniscono a Blois. Questa volta c'è un solo rappresentante riformato: gli altri vogliono il ristabilimento dell'unità religiosa e politica e l'espulsione dei pastori protestanti. Formalmente la maggioranza si dichiara per una restaurazione pacifica, ma la guerra è già iniziata nel Saintonge, nelle Alpi e nelle Cevennes.
Il fronte cattolico non è comunque compatto. Il Terzo Stato resiste alle pressioni degli altri due ordini, che sono con lui soltanto nel rifiutare soldi per il re, e fa capire che la Lega esagera. Alcune città importanti, come Amiens e Chalons, hanno infatti iniziato a opporsi alle prepotenze dei leghisti. Il Terzo Stato ottiene alla fine una legislazione che rafforzi l'autorità delle istituzioni e della nobiltà di roba. La grande ordinanza "sur le fait de la police générale du royaume" prevede, per esempio, la riorganizzazione dell'economia francese, che dovrebbe essere amministrata da una sorta di servizio statale controllato da funzionari di origine borghese. Tale progetto non è ovviamente realizzato, anche se è in parte reiterato (e cambiato) dagli editti del 1577, 1579 e 1581: resta comunque come monumento e testimonianza delle aspirazioni del patriziato urbano. Mostra infatti come le finalità politiche di questo ceto siano, almeno per il momento, differenti da quelle della nobiltà di spada.
Nel frattempo prosegue la sesta guerra di religione iniziata sotto tono nel 1576. Tutti i raggruppamenti si suddividono ulteriormente e aumenta la tendenza all'anarchia generalizzata e alla distruzione di ogni autorità. Paradossalmente sono gli ugonotti a pagarne le spese, nonostante la loro apparente compattezza ideologica: in realtà per resistere ai Guisa si sono impegnati in una serie di alleanze che li ha portati molto lontani dalle originarie aspirazioni religiose e che li ha legati ad alleati assai infidi. Il duca d'Angiò li abbandona, prende loro La Charité-sur-Loire e devasta Issoire, la Ginevra dell'Auvergne. Anche Damville si schiera dalla parte del re. Per giunta i figli di Coligny e gli abitanti di La Rochelle non vanno d'accordo con Enrico di Navarra e permettono a Carlo di Lorena, duca di Mayenne e cadetto dei Guisa, di riprendere Brouage, il porto del sale. Il 15 settembre 1577 gli ugonotti accettano la pace di Bergerac, a loro sfavorevole: l'editto di Poitiers permette di nuovo il loro culto soltanto in una città per baliato.

Proseguono gli intrighi

Alla fine del decennio 1570-1580 la Francia è divisa secondo cesure regionali, religiose, politiche e sociali che si sommano o si oppongono tra loro, in modi spesso dettati dalle situazioni locali e dalle strategie dei singoli clan nobiliari. Il re e Caterina de' Medici stimolano l'anarchia generale in modo da indebolire equamente alleati e nemici. E' questo il periodo nel quale la corte francese si guadagna l'attenzione degli specialisti del pettegolezzo e in effetti gli argomenti scandalistici abbondano: i favoriti (e non soltanto dal punto di vista politico) del re e i loro duelli contro gli uomini dei Guisa, del nuovo duca d'Angiò e del re di Navarra; lo "squadrone volante" delle dame al servizio di Caterina e i loro amori, spesso calcolati per corrompere un avversario o per convincere un alleato titubante; l''attitudine "scandalosa" di Margherita, ancora moglie del re di Navarra, ma non per questo disposta a rinunciare alla propria autonomia esistenziale e soprattutto intellettuale. I cattolici intransigenti e gli ugonotti non hanno che da sbizzarrirsi per vilipendere la cerchia di Enrico III.
Enrico di Navarra diviene alla fine il capo del partito ugonotto, tuttavia non cessa di far intendere ai cattolici moderati la propria disponibilità a ogni compromesso. Nel frattempo Caterina tenta di legare con tutti e sfrutta la figlia Margherita come messaggero di pace o elemento di tensione. Nel 1578 il re intraprende un viaggio per la Francia, a imitazione di quello di Carlo IX nel decennio precedente. Tra l'autunno di quell'anno e la fine della primavera del successivo visita tutte le province meridionali e convince Enrico di Navarra a non attaccare direttamente la corona. Il buon esito di questi incontri favorisce la monarchia in occasione della settima guerra di religione, originata dalle lotte tra i favoriti del re e da una nuova fuga del duca di Angiò. Questa volta non si combatte soltanto tra ugonotti e cattolici, ma tra centri regionali in lotta per la preminenza: è il caso per esempio della Provenza, divisa tra due fazioni che hanno poco a che vedere con gli schieramenti nazionali. Inoltre la logica delle alleanze religiose salta completamente: così i protestanti del Delfinato ignorano i propri confratelli e trattano con il duca di Savoia e con Filippo II.
Il conflitto è concluso dalla pace di Fleix (26 novembre 1580), che permette al duca di Angiò di cercare nuove avventure nei Paesi Bassi e alla regina madre di lanciarsi nell'arena portoghese. Dopo la morte di Sebastiano, ultimo re del Portogallo, Caterina tenta di dimostrare di essere l'unica erede legittima di Alfonso III (defunto nel 1279!). Tale pretesa non ha alcuna base, ma i portoghesi accettano l'appoggio francese contro le mire espansionistiche spagnole. Le manovre della regina madre e quelle del duca di Angiò spingono la Francia in rotta di collisione con la Spagna e contrastano i disegni dei Guisa.

La stretta finale

La morte improvvisa del duca di Angiò il 10 giugno 1584 spezza le trame dei Valois per annettersi i Paesi Bassi e il Portogallo, allo stesso tempo crea gravi problemi dinastici. Enrico III è chiaramente incapace di avere un erede diretto e i suoi tre fratelli sono morti senza prole. Gli unici eredi della corona sono dunque Enrico di Navarra e il cardinale Carlo di Borbone. Il primo ha dal punto di vista genealogico le carte in regola, ma è il capo dei protestanti: i leader cattolici, sobillati dai Guisa, formano dunque la Santa Unione per impedirgli l'accesso al trono.
Il duca di Guisa stringe ulteriormente i rapporti con la Spagna e sottoscrive tra il 31 dicembre 1584 e il 2 gennaio 1585 un patto segreto a Joinville. La potente casata si impegna a combattere le manovre dei Valois e a imporre come successore di Enrico III il cardinale di Borbone; Filippo II si impegna a pagare 50.000 scudi mensili alle truppe dell'Unione. Forte di questo accordo, Enrico di Guisa lancia a Péronne un proclama in nome del cardinale di Borbone (30 marzo 1585) e condanna tutti coloro che minacciano la religione cattolica e lo stato, siano essi ugonotti, “politici”, cioè cattolici moderati e favorevoli a un compromesso, favoriti del re o il monarca stesso.
Il 7 luglio Enrico III cede ai Guisa: con il trattato e l'editto di Nemours ritratta ogni norma a favore dei riformati e offre all'Unione piazzeforti, governatorati, pensioni e pagamento di mercenari. Gli ugonotti sono politicamente in una posizione di stallo, ma il 9 settembre una bolla pontificia cancella Enrico di Navarra e Condé dalla discendenza del re cristianissimo. Il parlamento di Parigi insorge contro l'intromissione di Sisto V nella politica francese e una raffica di pamphlet ugonotti contrari al papa trova ascolto persino tra i cattolici gallicani.
Nel dicembre 1586 Caterina tenta di trattare personalmente con Enrico di Navarra, proponendogli di tornare al cattolicesimo. Dopo aver ricevuto un rifiuto, rientra a Parigi e convince Enrico III a schierarsi sino in fondo con i Guisa. La Francia si divide in due: il nord-est è guisardo e il sud-ovest ugonotto. Inizia l'ultima guerra di religione, che coinvolge tutta l'Europa occidentale. Le truppe di Enrico di Navarra sono pagate con denaro inglese e danese e al loro fianco combattono gli svizzeri e i tedeschi arruolati dal solito Giovanni Casimiro. Le sorti dei Guisa sono invece legate alla Spagna, mentre Enrico III estorce finanziamenti e truppe al pontefice.
Il re di Navarra disperde le forze avverse a Coutras il 20 ottobre 1587. I Guisa tuttavia non cedono e nell'arco di un mese vincono a Vimory e ad Auneau, nel Gâtinais. Nel frattempo Enrico III e Caterina cercano di intavolare trattative segrete con Enrico di Navarra e diventano sempre più sospetti agli occhi dei cattolici e soprattutto del popolo parigino. Nel maggio del 1588 quest'ultimo accoglie trionfalmente Enrico di Guisa e stringe d'assedio il Louvre: il 12 Caterina convince Enrico III a fuggire a Chartres. Enrico di Guisa è in apparenza il padrone di Parigi, ma la città si dà un proprio ordinamento, poco disponibile alle strategie dei grandi di Francia.
Caterina resta nella capitale e opera per riannodare i rapporti tra il duca di Guisa e il re: quest'ultimo acconsente a nominare il primo suo luogotenente generale (editto del 15 luglio 1588), a riconoscere Carlo di Borbone come parente più prossimo, a condannare nuovamente il culto calvinista e ad indire una riunione degli Stati Generali. Caterina ed Enrico III accettano questo accordo, perché pensano che l'Inghilterra stia per essere invasa dall'Invincibile Armata. L'inattesa sconfitta spagnola rende libertà d'azione al re, che licenzia i ministri legati alla madre e ai Guisa e durante la riunione degli Stati Generali (settembre-ottobre) si mostra poco incoraggiante verso il futuro dell'alleanza franco-spagnola. Infine il 23 dicembre alcuni suoi fedeli uccidono nel castello di Blois Enrico di Guisa e catturano il fratello cardinale, che spacciano il giorno successivo. Nel frattempo sono arrestati il cardinale di Borbone e alcuni esponenti della Lega cattolica. Caterina è sorpresa dalla manovra del figlio, ma è gravemente malata e si spenge il 5 gennaio 1589.
Enrico III è ormai affrancato da ogni tutela e nell'aprile 1589 incontra a Tours Enrico di Navarra. Intanto Parigi non gli apre le porte e si trasforma in una repubblica cattolica retta dal Consiglio dei Sedici (dal numero degli "arrondissements" della città), che provvede a una violenta epurazione dei sospetti di simpatie ugonotte. Navarra e Enrico III avviano la riconquista della Francia e muovono alla volta di Parigi. Le forze cattoliche tentano invano di opporsi: Sisto V ordina che il re si rechi a Roma, pena la scomunica; la Sorbona dichiara che la Francia è sciolta da ogni obbligo di fedeltà verso un monarca che ha tradito la vera fede; il duca di Mayenne raccoglie le forze dell'Unione cattolica. Tutto sembra inutile: le truppe ugonotte e quelle regie si schierano attorno a Parigi, ma il 1 agosto 1589 Jacques Clément pugnala Enrico III.
L'ultimo dei Valois muore designando Enrico di Navarra come suo successore. I leghisti rispondono consacrando il cardinale di Borbone come Carlo X; questi, però, è prigioniero di Enrico IV, re di Navarra e di Francia, che lo ha ereditato dal Valois. Il nuovo re controlla perciò il gioco dinastico, gli sfugge invece gran parte del regno, anche se l'appoggio dei soldati suoi e del suo predecessore, nonché di 4.000 inglesi, e i copiosi sussidi versatigli dalle Province Unite dall'aprile del 1588 gli permettono di prepararsi a conquistare la Francia.
Enrico IV si rivela ottimo stratega. Sul piano diplomatico promette di farsi istruire alla religione cattolica e riserva ai cattolici il comando delle principali roccaforti (dichiarazione di Saint-Cloud, 4 agosto 1589). Sul piano militare prende Dieppe, un mese dopo la morte di Enrico III; quindi respinge Mayenne ad Arques (21 settembre 1589) e punta su Parigi, ma è a sua volta fermato dal rientro di Mayenne. Si muove allora alla volta di Tours: da questa città attacca poi Le Mans, Laval, Lisieux, Honfleur e prepara il blocco di Rouen e una nuova spedizione su Parigi. Il 9 maggio 1590 muore il cardinale di Borbone e cinque giorni dopo Enrico, ormai senza rivali dinastici, spezza ad Ivry l'armata dell'Unione. Stringe quindi d'assedio Parigi, dove l'8 agosto scoppia una sommossa per aprirgli le porte. La rivolta è guidata dai più rispettabili borghesi: il consiglio dei Sedici reagisce con durezza e alcuni capi (o pretesi tali) degli insorti sono giustiziati, mentre altri fuggono. Tutto ciò non basterebbe a salvare la città, senza l'intervento del re di Spagna, preparato sin dal settembre dell'anno precedente. Alla fine di luglio Alessandro Farnese, duca di Parma, lascia i Paesi Bassi alla testa di 20.000 uomini: il 19 settembre giunge a Parigi e la strappa ad Enrico.

La guerra con la Spagna

Dopo la vittoria Farnese rientra nei Paesi Bassi, ma truppe spagnole restano in Francia e tengono in scacco Enrico IV. Tuttavia lo sforzo economico è devastante per Filippo II. Il monarca spagnolo ha versato alla Santa Unione 1.000.000 di corone tra il 1582 e il 1587 e 2.000.000 tra il 1588 e il 1590; nel quinquennio successivo ne elargisce 2.500.000. A queste aggiunge il sussidio al duca di Savoia, che dal 1589 riceve 5.000 corone al mese, affinché rivendichi di essere nipote di Francesco I e occupi tutta la Provenza, e le spese per una guarnigione di 1.000 uomini a Parigi e per le truppe di stanza in Savoia, Linguadoca, Franca Contea e in Bretagna, dove un altro Guisa, Filippo Emanuele, duca di Mercoeur, gli ha aperto le porte. La corona iberica si rovina e, per controllare la Francia, rischia di perdere i Paesi Bassi. Inoltre il suo intervento coagula attorno ad Enrico IV quei francesi, anche cattolici, che non vogliono vedere il proprio paese smembrato dagli spagnoli.
Filippo II vorrebbe infatti unire la Piccardia alle Fiandre spagnole e assegnare la Bretagna all'infanta e la Provenza a Carlo Emanuele di Savoia. A tal scopo pensa di tacitare Enrico di Navarra, concedendogli il Béarn e la Guascogna. Il navarrino dovrebbe, però, divenire suo vassallo. Enrico non accetta e prosegue a battersi, sostenuto da Elisabetta d'Inghilterra, dalle Province Unite, dalla Svizzera e dai principi tedeschi del Brandenburgo, Sassia, Würtemberg, Assia e Palatinato. Nel frattempo reitera le sue avances ai cattolici.
Questi ultimi iniziano a dividersi, tanto più che Sisto V, prima di morire, ha rivelato le sue perplessità riguardo alle aspirazioni spagnole. Inoltre il duca di Mayenne, che mira alla corona francese, teme che Filippo II la voglia per la figlia. Contemporaneamente non si sente molto sicuro di Parigi: nel novembre 1591 il Consiglio dei Sedici decreta l'impiccagione di alcuni magistrati e afferma in modo esplicito che è il popolo a fare i re. Mayenne impicca gli istigatori di quei processi e per tutto il 1592 combatte proprio coloro che sono più decisamente avversi a Enrico IV, ma che a questo punto minacciano le ambizioni dinastiche dei Guisa.
Alla fine del 1592 il duca spera di risolvere l'intrico sposando l'infanta. Inoltre decide di promuovere gli Stati Generali per suffragare le proprie aspirazioni. L'assemblea si tiene al Louvre nel gennaio 1593, ma molte province non inviano rappresentanti, perché vogliono il ritorno alle antiche libertà. Inoltre, proprio durante gli Stati Generali, si viene a sapere che Filippo II sta trattando il matrimonio della figlia con l'arciduca Ernesto d'Austria: se Isabella di Spagna riceve in dote la corona francese, la Francia diverrà una provincia asburgica. Questa prospettiva incrina l'alleanza fra i Guisa e il re spagnolo.
Nell'aprile 1593 si incontrano a Suresne i rappresentanti dei Guisa e di Enrico IV: alla riunione partecipa anche una delegazione parigina venuta espressamente per promuovere la pace. Pierre d'Épinac, arcivescovo leghista di Lione, e Roland de Beaune, arcivescovo filo-realista di Bourges, valutano congiuntamente la possibile conversione del re ugonotto. Inoltre il 28 giugno il parlamento di Parigi chiede al duca di Mayenne di opporsi alle manovre spagnole. Filippo II intravede il pericolo e offre la figlia ai Guisa, ma Beaune lo brucia sul tempo e, il 25 luglio, riceve a Saint-Denis l'abiura di Enrico IV.
Buona parte degli ugonotti prosegue ad appoggiare il proprio antico leader, mentre ampi settori della nobiltà e della borghesia cattolica si decidono a sostenere Enrico contro gli spagnoli. Il 27 febbraio 1594 è quindi consacrato re dalla Chiesa cattolica francese e il 22 marzo Parigi gli apre le porte. La folla, che lo acclama, richiede a gran voce l'allontanamento dei soldati valloni e spagnoli di stanza in città. Quando il sovrano giunge a Notre-Dame, le truppe di Filippo II fuggono. Infine il 22 aprile la facoltà di teologia della Sorbona, che sino ad allora ha sempre o quasi appoggiato la Lega, riconosce a Enrico il titolo di re cristianissimo.
Il nocciolo duro della Lega resiste e conta sul rifiuto del papa di accettare la conversione di un eretico relapso. Inoltre si affida al pugnale dei sicari, ma Enrico sfugge al tentativo di Jean Châtel. Il parlamento di Parigi approfitta dell'avvenimento per ottenere l'espulsione dei gesuiti (l'attentatore è un loro ex-allievo) e per invitare tutti i francesi a sostenere il nuovo re. Il fallito attentato coagula quindi un protonazionalismo antispagnolo e antiromano, ormai ampiamente diffuso tra le élite nobiliari e borghesi. Attenua inoltre le prevenzioni contro gli ugonotti e permette una convivenza se non pacifica, quanto meno non troppo bellicosa.
Il 17 gennaio 1595 la Francia dichiara guerra alla Spagna. Enrico IV sconfigge gli spagnoli e le truppe del duca di Mayenne, governatore della Borgogna, a Fontaine Française. Gli stessi gesuiti capiscono che il vento è girato e appoggiano la richiesta dei cardinali d'Ossat e Du Perron di togliere la scomunica al re di Francia. Il papa acconsente: il 17 settembre 1595 assolve il sovrano francese e demolisce le ultime speranze dell'Unione. I capi della Lega, i duchi di Mayenne e di Guisa in testa, iniziano a trattare. Nell'estate 1595 Guisa consegna a Enrico IV Reims e poi comanda in nome del re la riconquista della Provenza. Tra la fine del 1595 e l'anno successivo le città aprono le loro porte al lo sire in cambio di privilegi di vario tipo. La nobiltà si accorda egualmente con il nuovo sovrano, talvolta spinta, come in Guascogna, Guienna, Limousin e Périgord, dalla rivolta dei contadini esasperati per i lunghi anni di guerra.
Quest'ultima non è, però, finita. Filippo II riprende l'offensiva e gli spagnoli calano dai Paesi Bassi su Cambrai e Calais: nel marzo 1597 conquistano Amiens e minacciano la stessa Parigi. Nel settembre dello stesso anno il duca di Mayenne e il duca di Biron riconquistano, però, Amiens in nome del re, mentre le truppe spagnole attestate in Bretagna sono alla fame. Agli inizi del 1598 Mercoeur, l'ultimo dei Guisa ad appoggiare gli spagnoli, tratta con Enrico IV il matrimonio della propria figlia e di César de Vendôme, figlio del re e di Gabrielle d'Estrée. Il 2 maggio 1598 il trattato di Vervins ratifica l'insuccesso di Filippo II. La Savoia tenta da sola di difendere le proprie conquiste, ma è alla fine obbligata a cedere (pace di Lione, 1601).

Conclusione

Il dopoguerra non si rivela facile. Una congiuntura economica e demografica favorevole ha permesso al regno di non soffrire troppo il primo trentennio di guerre, ma l'ultimo decennio del secolo ha segnato l'inizio della crisi. Il lento decrescere della produzione agricola, aggravato dalle distruzioni di guerra, porta l'arresto demografico e la recessione economica. L'inflazione aumenta e divora la sicurezza (già minima) dei poveri. Inoltre la situazione religiosa non è del tutto tranquilla. Enrico IV accorda agli antichi correligionari un parziale riconoscimento della libertà di culto e il possesso di alcune piazzeforti (editto di Nantes, 13 aprile 1598). Tuttavia gli ugonotti non stanno meglio, né sono più tranquilli di quanto lo fossero nel 1576 dopo la pace di Étigny. Sul fronte cattolico le concessioni ai riformati (e la speculare riammissione dei gesuiti) irritano i parlamenti che si sentono esautorati e resistono a lungo prima di iscrivere gli articoli dell'editto di Nantes.
In mezzo a queste difficoltà Enrico IV dimostra una grande abilità. Mira, in primo luogo, a rimettere in piedi la struttura economica: si guadagna così l'appoggio dei ceti produttivi, dai borghesi delle città commerciali alla popolazione delle campagne. Sfrutta inoltre l'aspirazione generale alla pace e all'unità per reprimere ogni forma di agitazione sociale, dal banditismo rurale alle pretese signorili. Impone infine la costruzione di uno stato accentrato, in grado di contrastare ogni tentativo (feudale, borghese o contadino) di separatismo.
Al fianco del re due calvinisti, Maximilien de Béthune, duca di Sully dal 1606, e Barthélemy Laffémas, mettono ordine nelle spese, riducono il debito, ricreano il tesoro e organizzano un embrione di esercito nazionale, arruolando i veterani delle guerre civili, che costano meno dei mercenari e sono più sicuri. Inoltre bonificano, costruiscono strade, facilitano gli investimenti nella terra (diminuendo la tassa sulla proprietà fondiaria) e al contempo operano per la nascita di una manifattura di stato, nonché avviano la colonizzazione del Nuovo Mondo. Insomma la Francia si avvia a divenire una grande potenza.
Tuttavia le acque non si calmano del tutto. Da una parte, le tensioni religiose covano sotto le ceneri, anche se gli ugonotti sono molto diminuiti di numero (sono 1.250.000 contro i 2.000 di quaranta anni prima). Dall'altra, l'opposizione a Enrico III ha fatto meditare sulla possibilità, anzi la necessità, di uccidere i re che non rispettino i propri doveri. Questi due elementi confluiscono nell'atto di François Ravaillac, che pugnala nel 1610 Enrico IV, temendo una congiura contro i cattolici sul modello (rovesciato) della strage di s. Bartolomeo. La morte del re rilancia le tendenze separatiste, religiose e nobiliari, e ripiomba la Francia in contrapposizioni che spariscono soltanto sotto Luigi XIV, a scapito di ogni forma di tolleranza politica e religiosa.
A ben guardare l'editto di Nantes segna quindi soltanto la fine della fase più acuta del conflitto tra cattolici e protestanti. In realtà lo scontro non è risolto neanche dalle dragonnades di Luigi XIV: riesplode durante la rivoluzione francese e innerva vari episodi della vita politica francese dell’Otto e del Novecento secolo (si pensi alla campagna presidenziale tra Chirac e Jospin e al continuo scontro tra i due durante il mandato del primo). D'altronde nelle stesse guerre di religione del Cinquecento si possono scorgere alcune costanti della storia francese, che trovano origini nei secoli precedenti: le tendenze centrifughe e i contrasti dei clan nobiliari, ma anche la rivendicazione di autonomia politica e religiosa dell'area occitanica, in particolare la Linguadoca, contro l'accentramento voluto dall'Ile de France. Lo iato di alcuni secoli fra lo sviluppo dell'eresia catara e quello della chiesa riformata non permette alcun raffronto diretto, ma è comunque interessante notare come le rocche albigesi e quelle protestanti spesso coincidano.
Potremmo quindi rovesciare uno degli assunti di Braudel e affermare che la notte di s. Bartolomeo non spezza lo sviluppo della Francia, proprio perché in qualche modo ne enuclea una delle tendenze più profonde: la contrapposizione geografica, politica e religiosa fra le élite del paese, ma anche la loro tendenza ad allearsi di fronte ad una minaccia esterna. Per i cattolici gli ugonotti sono antropologicamente alieni, per gli occitanici gli uomini del nord sono degli stranieri; tuttavia entrambi preferiscono un re francese - qualsiasi cosa voglia dire questo aggettivo in un'epoca che non conosce la nostra accezione di nazionalità - a uno spagnolo.

Nota bibliografica

La bibliografia sulle guerre di religione in Francia è enorme; limitiamoci quindi alle opere più recenti. Per il Cinquecento francese in generale, si può iniziare con: Howell A. Lloyd, La nascita dello stato moderno nella Francia del Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 1986; F.J. Baumgartner, France in the Sixteenth Century, New York, St. Martin's Press, 1995; Emmanuel Le Roy Ladurie, Lo Stato del re. La Francia dal 1460 al 1610, Bologna, Il Mulino, 1999. Per i Valois: Jean Jacquart, François Ier, Paris, Fayard, 1981; E. Bourassin, Charles IX, Paris, Arthaud, 1986; Pierre Chevallier, Henri III, Paris, Fayard, 1985; Mack P. Holt, The Duke of Anjou and the Politique Struggle During the Wars of Religion, London-New York, Cambridge University Press, 1986. I personaggi femminili della famiglia reale sono molto studiati: basti ricordare le biografie di Caterina de' Medici di Ivan Cloulas (tr.it., Firenze, Sansoni, 1980) e Jean Orieux (tr.it., Milano, Mondadori, 1987) e quelle di Margherita di Valois di Éliane Viennot (tr.it. Milano, Mondadori, 1994) e Janine Garrisson (Paris, Fayard, 1994). Per lo scontro tra clan nobiliari: Nancy Lyman Roelker, Queen of Navarre: Jeanne d'Albret, 1528-1572, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1968; J. Shimizu, Conflict of Loyalities: Politics and Religion in the Career of Gaspard de Coligny, Admiral of France, 1519-1572, Genève, Droz, 1970; Jean-Marie Constant, Les Guise, Paris, Hachette, 1984; Raymond A. Mentzer, Blood and Belief: Family Survival and Confessional Identity Among the Provincial Huguenot Nobility, West Lafayette, Purdue University Press, 1994. Per l'opposizione tra nobiltà e Corona: Arlette Jouanna, Le devoir de révolte. La noblesse française et la gestation de l'État moderne, 1559-1661, Paris, Fayard, 1989, e Un programme polique nobiliaire: les Mécontents et l'État (1574-1576), in L'état et les aristocraties (France, Angleterre, Écosse) XIIe-XVIIe, a cura di Philippe Contamine, Paris, Presses de l'École Normale Supérieure, 1989, pp. 247-277. Per Enrico IV sono utili le biografie di Jean-Pierre Babelon (Paris, Fayard, 1982) e Janine Garrisson (Paris, Seuil, 1984), nonché Ronald S. Love, The Symbiosis of Religion and Politics. Reassessing the Final Conversion of Henri IV, "Historical Reflections/Reflexions Historiques", 21, 1 (1995), pp. 27-56.
Per l'importanza del fattore religioso, si ricorra a Denis Crouzet, Les guerriers de Dieu, Seyssel, Champvallon, 1990. Per la Chiesa riformata: Jean Delumeau, La Riforma, Milano, Mursia, 1975; Janine Garrisson, Histoire des protestants en France, Toulouse, Privat, 1977, e Protestants du Midi (1559-1598), ivi, 1980. Per Parigi e la Lega: F.J. Baumgartner, Radical Reactionaries: The Political Thought of the French Catholic League (1588-1594), Genève, Droz, 1976; Élie Barnavi, Le parti de Dieu, Paris-Louvain, Nauwelaerts, 1980; Robert Descimon, Qui étaient les Seize?, Paris, Klincksieck, 1983; Denis Richet, De la Réforme à la Révolution, Paris, Aubier, 1991; Jean-Marie Constant, La Ligue, Paris, Fayard, 1996. Thierry Wanegffelen, Ni Rome ni Genève. Des fidèles entre deux chaires en France au XVIe siècle, Paris, Honoré Champion, 1998, studia coloro che non si vollero schierare né con il papa, né con Calvino. Sulla percezione cattolica dei protestanti, confronta W.J. Naphy, Catholic Perceptions of Early French Protestantism: The Heresy Trial of Baudichon de la Maisonneuve in Lyon, 1534, "French History", 9, 4 (1995), pp. 451-477.
Sulle guerre in generale è utilissimo Édits des guerres de religion, a cura di André Stegmann, Paris, Vrin, 1979. Si vedano inoltre: Pierre Miquel, Les guerres de religion, Paris, Fayard, 1980; Henri Lapeyre, La Francia dei Valois e le guerre di religione, in La Storia, V, L'età moderna, 3, Stati e Società, Torino, UTET, 1986, pp. 123-143; M. Pernot, Les guerres de religion en France (1559-1598), Paris, SEDES, 1987; la riedizione di Georges Livet, Les guerres de religion, Paris, PUF, 1988; Janine Garrisson, Guerre civile et compromis, 1559-1598, Paris, Seuil, 1991 (Nouvelle Histoire de la France, II); Mack P. Holt, The French Wars of Religion 1562-1629, Cambridge, Cambridge University Press, 1995. Sulla notte di s. Bartolomeo: Janine Garrisson, La Saint-Barthélemy, Bruxelles, Complexes, 1987; Jean-Louis Bourgeon, Pour une histoire enfin de la Saint-Barthélemy, "Revue Historique", 282 (1989), pp. 83-142, e L'Assassinat de Coligny, Genève, Droz, 1992; Barbara Diefendorf, Beneath the Cross. Catholics and Huguenots in Sixteenth Century Paris, Oxford, Oxford University Press, 1991; Marc Venard, Arrêtez le massacre!, "Revue d'histoire moderne et contemporaine", 39 (1992), pp. 645-661; Denis Crouzet, La Nuit de la Saint-Barthélemy. Un Rêve perdu de la Renaissance, Paris, Fayard, 1994. Sulla dimensione internazionale del conflitto e la risonanza del massacro: M.N. Sutherland, The Massacre of Saint Bartholomew and the European Conflict, 1559-1572, London, MacMillan, 1973; Geoffrey Parker, The Dutch Revolt, London, Penguin, 1985; Robert M. Kingdom, Myths about the St. Bartholomew's Day Massacres, 1572-1576, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1988. Sulle aspirazioni antispagnole di molti francesi, si veda Myriam Yardeni, La conscience nationale en France pendant les guerres de religion (1559-1598), Paris, Louvain, 1971. Per la questione delle libertà gallicane, si ricorra ad Aimé-Georges Martimor, Le gallicanisme, Paris, PUF, 1973. Sull'editto di Nantes la bibliografia è ricchissima; citiamo solo due opere apparse per il quattrocentenario: Janine Garrisson, L'Édit de Nantes. Chronique d'une paix attendue, Paris, Fayard, 1998; Coexister dans l'intolérance: l'Édit de Nantes (1598), a cura di Michel Grandjean e Bernard Rousset, "Bulletin de la Société d'histoire du protestatisme français", 144 (1998). Sul regno di Enrico IV, vedi infine Mark Greengrass, France in the Age of Henri IV, New York, Longman, 1995.
In italiano non si è pubblicato molto sulle guerre di religione, ma i pochi lavori di italiani sono di ottima qualità: Vittorio De Capraris, Propaganda e pensiero politico in Francia durante le guerre di religione, Napoli, ESI, 1959; Corrado Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1963. Per i rapporti tra il papato e la Francia durante le guerre di religione si vedano i voll. V-X della Storia dei Papi di Ludwig von Pastor, le voci Caterina de' Medici, Renato Birago, Camillo Capilupi, Anna, Ippolito e Luigi d'Este del Dizionario Biografico degli Italiani, nonché Pierre Hurtubise, Comment Rome apprit la nouvelle de la Saint-Barthélemy, "Archivum Historiae Pontificiae", 10 (1972), pp. 187-209 e i volumi della serie "Acta Nuntiaturae Gallicae" edita dall'Ecole Française e dall'Università Gregoriana di Roma. In particolare, tra questi ultimi, si consulti la Correspondance du nonce en France Antonio Maria Salviati (1572-1578), a cura di Pierre Hurtubise e Robert Toupin, Rome, Université Pontificale Grégorienne-École Française de Rome, 1975. Sempre di Hurtubise si cerchi Mariage mixte au XVIe siècle. Les circostances de la première abjuration d'Henri IV à l'automne de 1572, "Archivum Historiae Pontificiae", 14 (1976), pp. 103-134. Un'altra fonte sulla notte di s. Bartolomeo è stata curata da John Tedeschi: Tommaso Sassetti, Il massacro di San Bartolomeo, Roma, Salerno, 1995. Sull'azione e la corrispondenza dei nunzi in Francia durante le ultime fasi delle guerre di religione, si può partire da Anne-Cécile Tizon-Germe, Juridiction spirituelle et action pastorale des légats et nonces de France pendant la Ligue (1589-1594), "Archivum Historiae Pontificiae", 30 (1992), pp. 159-230. Per il dibattito politico ispirato dalle guerre, si leggano l'introduzione di Saffo Testoni Binetti a Stephanus Junius Brutus, Vindiciae contra Tyrannos. Il potere legittimo del principe sul popolo e del popolo sul principe, Torino, La Rosa, 1994, e Michel de L'Hospital, Pace religiosa e ordine politico, a cura di Luigi Gambino, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 1995, nonché le pagine relative in Quentin Skinner, Le origini del pensiero politico moderno, II, Bologna, Il Mulino, 1989, e Paolo Prodi, Il sacramento del potere, Bologna, Il Mulino, 1992.
Sulla rete è disponibile abbastanza materiale, soprattutto bibliografie, testi d'epoca e cartine: per una buona ricerca si può partire da http://www.lepg.org.