Sabato, a casa del sindaco
La chiave girò nella serratura, e il portone venne aperto con tranquillità. Si sentì il rumore della porta che si chiudeva, e la voce del sindaco bella gioviale: – Insomma, se le hai perse in casa da qualche parte saranno... oh, salve.
E il sindaco e signora erano entrati in cucina, guardandosi intorno.
Oltre alla dotazione standard della cucina (piano fuochi, tavolo fratino, pensili, pavimento ecc.) la stanza presentava un surplus di persone, ovvero un medico, un carabiniere e un prete. Tutti seduti, tutti in attesa, nessuno tranquillo.
I rapporti fra il sindaco e il maresciallo erano ancora sul freddino, evidentemente, visto che quando il sindaco parlò lo fece in modo non esattamente amabile.
– Alvise, posso chiederti cosa ci fai a quest'ora in casa mia?
– Ciao, Armando. Sono venuto a parlare con padre Kene, che era qui ad attendermi.
– Ne sono felice. E perché padre Kene, buongiorno padre...
Padre Kene mormorò un «buongiorno» un po' tronco.
–... dicevo, perché padre Kene ti aspettava a casa mia, invece che in canonica?
– Perché al piano di sopra c'è Emma che sta male – disse Margherita, arrivando dal piano di sopra con passo felpato.
Il sindaco guardò Margherita, poi padre Kene, poi il maresciallo, mentre la signora Viola guardava il marito come temendo per la sua reazione. Il sindaco, invece, mantenne un aplomb notevole, e infine posò lo sguardo su Piergiorgio.
– Devo dire, dottor Pazzi, che da quando è arrivato in paese non ci siamo annoiati un minuto.
Il sindaco si portò al centro della cucina, di fronte al maresciallo, a braccia conserte.
– Vediamo se ho capito bene: il prete sta aspettando il maresciallo dei carabinieri a casa mia, in cucina, perché al piano di sopra c'è la mia domestica che sta male. Visto che si parla di stanze di casa mia, c'è qualcuno che vorrebbe avere la bontà di dirmi cosa cazzo sta succedendo?
La moglie del sindaco tacque, non rilevando il turpiloquio. Il maresciallo, invece, rispose: – Ascolta, Armando, sono venute fuori delle incoerenze nelle testimonianze, e degli altri fatti che potrebbero aiutare a risolvere il caso. Padre Kene è venuto a parlarne con il dottor Pazzi, qui...
– Appunto. Perché padre Kene è venuto proprio qui a parlarne con il dottor Pazzi?
– Perché su, in camera mia, c'è la vostra domestica, Emma.
– La quale – spiegò Margherita – è anche legata sentimentalmente a padre Kene.
La signora Viola venne meno al suo nome, sbiancando.
– E sta male – disse padre Kene, con il suo italiano saltellante. – Sta male, perché è incinta di tre settimane.
Forse per l'italiano saltellante del prelato, forse per l'implausibilità intrinseca della situazione, il signor sindaco interpretò male.
– Mi state prendendo per il culo?
– No, Armando. Credo di no. Padre Kene, in via del tutto ufficiosa, avrebbe voglia di rispondere alle mie domande alla presenza di queste persone?
– Certo – rispose padre Kene. – Sono a vostra disposizione.
– Bene – disse il maresciallo. – Allora, signori, posso cominciare, credo.
– Vorrei, prima di tutto, ricapitolare la situazione. Vi pregherei di interrompermi solo se ci sono obiezioni. La signora Annamaria Zerbi Palla è stata uccisa nella notte tra domenica e lunedì da una persona che l'ha sorpresa nel sonno. La signora è stata trovata dal dottor Pazzi, che è un medico, e successivamente il decesso è stato constatato dal dottor Biagini. Abbiamo quindi due medici, che concordano con il fatto che la signora sia stata uccisa in un arco temporale piuttosto ristretto, collocabile tra le dieci della domenica e le due del mattino del giorno successivo.
Il maresciallo si guardò intorno, cercando eventuali obiezioni.
– Ben prima dell'inizio del dato arco temporale, il paese si trovava isolato dalla neve, e la piazza della Chiesa dove il delitto ha avuto luogo è rimasta a sua volta isolata dal resto dell'abitato. Più o meno, dalle sei di sera fino alle otto della mattina successiva. Questo ha permesso di circoscrivere il novero dei sospetti ad un insieme decisamente ristretto.
E qui obiezioni il maresciallo non ne attese, essendo stato testimone diretto e badilante della faccenda.
– L'insieme in questione è quello delle persone fisicamente in grado di raggiungere casa Zerbi. Ovvero il sottoscritto, il dottor Corrado Biagini, Armando Benvenuti, Stelio Carlesi, Emo Buccianti, Anteo Caproni con la moglie, Celia Gallesi, e la figlia, Emma Caproni, Viola Benvenuti, padre Kenenisa Bekile e padre Benvenuto Baldassarri. A queste persone va aggiunto il dottor Piergiorgio Pazzi, che abitava in casa della defunta. Mi riservo di escludere per il momento il dottor Pazzi dall'elenco delle persone indagate, in quanto se non fosse stato per lui nessuno di noi si sarebbe mai fatto venire il sospetto che si trattasse di un omicidio.
Il maresciallo si guardò in mezzo alle scarpe per un attimo, prima di tirare su la testa.
– Ognuna delle persone in questo elenco ha fornito un alibi che ha trovato riscontro nelle mutue dichiarazioni di almeno altre due testimonianze. Resta, però, un fatto: la signora Zerbi è stata uccisa. E io sono qui per escludere che qualcuno di voi possa averla uccisa.
E il maresciallo girò lo sguardo intorno, ormai completamente padrone della scena.
– Annamaria Zerbi è stata uccisa nel sonno, durante la notte. Data la circostanza, sono portato a pensare che, chiunque sia, il colpevole avesse modo di entrare e quindi possedesse le chiavi di casa. In un primo momento, quindi, mi ero concentrato sul dottor Pazzi, poi sul figlio Giulio Zerbi. Entrambi possedevano le chiavi. Ma c'è un'altra persona che possedeva le chiavi di casa Zerbi, giusto?
Il maresciallo fece un cenno verso il soffitto.
– La persona che andava a fare le pulizie in casa Zerbi. Emma Caproni.
Padre Kene annuì, tristemente. La signora Viola sembrava ipnotizzata. Il sindaco si sedette, cercando una sedia a tentoni.
– Dalle testimonianze che mi sono state rese – disse il maresciallo – risulta, come dicevo, che nessuna delle persone fisicamente in grado di raggiungere la casa della signora Zerbi la sera del delitto fosse priva di alibi. In particolare, Emma risultava essere sempre stata in compagnia della signora Benvenuti e di padre Kene, nell'intervallo di tempo in cui la signora venne uccisa. In realtà, alcune delle persone interrogate non hanno reso una confessione veritiera. Giusto, padre Kene?
– È giusto, sì.
– Vuole allora prima di tutto riconoscere che la sua versione dei fatti non era veritiera?
– Sì, certo. Ammetto di aver detto il falso.
– Per quale motivo?
– Per proteggere Emma. La persona che amo.
Piergiorgio, fino a quel momento concentrato sul prete, girò lo sguardo intorno. Tutti immobili, tutti attenti.
– Vuole allora raccontarci cosa è successo la sera del diciassette gennaio?
– Certo.
Padre Kene mantenne gli occhi sulle proprie mani, mentre raccontava.
– La sera del diciassette gennaio, Emma mi telefonò poco prima delle nove, per dirmi che sarebbe venuta a trovarmi, e che avremmo potuto stare un po' da soli. La signora Viola sarebbe arrivata dopo, mi disse, per pregare Dio che nessuno avesse a soffrire per la neve. Emma arrivò alle nove e cinque minuti esatti, da sola, e siamo stati da soli fino alle dieci e dieci, circa, quando è arrivata la signora Viola Benvenuti.
– Capisco. Per quale motivo non ha detto subito questa cosa?
– Perché se qualcuno lo avesse saputo, il padre di Emma avrebbe avuto da ridire sul fatto che la figlia si fosse trovata da sola con un uomo. Di don Benvenuto si fidava, di me no.
E dagli torto.
– Bene. Dunque, signora Viola, lei conferma quanto detto da padre Kene? E cioè che lei è giunta in chiesa alle dieci e dieci, circa, e non simultaneamente a Emma?
La signora Viola sembrò risvegliarsi.
– Sì, lo confermo.
– Per quale motivo, allora, ha mentito riguardo ai suoi movimenti nella serata trascorsa?
– Perché volevo proteggere la relazione tra Emma e padre Kenenisa.
– Dunque era al corrente di tale relazione?
– Certo.
Padre Kene si voltò verso la signora sindachessa. Piergiorgio non vide lo sguardo, ma doveva essere eloquente.
La signora sindachessa guardò a sua volta padre Kene con evidente schifo. Poi, con voce controllata, parlò: – Lo sapevo e come. E lo sapeva anche...
– La signora Zerbi?
– Esatto. La signora Zerbi.
Padre Kene strinse visibilmente i muscoli della mascella.
Il maresciallo giunse le palme, come per riflettere, quindi disse: – Lei quindi mi sta dicendo che la signora era informata della relazione tra Emma e padre Kene?
– Sì, è così. Annamaria mi disse di aver scoperto la tresca, e di essere intenzionata a rivelare tutto ad Anteo.
Silenzio.
– Povera Emma, suo padre l'avrebbe sfasciata di botte.
Ancora silenzio. Il maresciallo, con delicatezza, parlò di nuovo.
– È per questo, quindi, che Emma avrebbe ucciso la signora Annamaria?
– Sì.
Il maresciallo girò lo sguardo su tutto l'uditorio. Poi, dopo averlo riportato su padre Kene, ce lo lasciò.
Padre Kene stava guardando la signora Viola con un'espressione che decisamente non si addiceva ad un pastore di anime.
– Padre...
Padre Kene restò in silenzio, continuando a guardare la signora sindachessa. Quando parlò, invece di rivolgersi al maresciallo continuò a tenerle lo sguardo addosso.
– Io credevo che lei volesse aiutarci. Dovrebbe vergognarsi.
La signora sindachessa rise.
– Io dovrei vergognarmi? Lei, che è un prete, mette incinta un'innocente che ha la metà dei suoi anni e quella che dovrebbe vergognarsi sono io?
Le labbra della signora Viola invertirono la propria angolazione, e il sorriso si tramutò in una smorfia.
– E non è nemmeno la prima volta, vero? Cosa crede, che non lo sappiamo che lei è stato mandato via da Roma e spedito qui fra i lupi per punizione, perché si montava le suorine indiane? Lo sa tutto il paese, caro mio.
La signora sindachessa si guardò intorno.
– Tutto il paese, incluso il padre di Emma. Ecco perché il nostro buon padre Kenenisa aveva paura a dire che Emma era stata da sola in chiesa con lui.
Margherita e Piergiorgio si guardarono.
Te l'avevo detto io, disse lo sguardo della ragazza.
Padre Kene, dopo uno sforzo sovrumano per non alzarsi dalla sedia, respirò a fondo. Poi, sentendosi addosso più di uno sguardo, parlò.
– Questo è vero, lo ammetto – disse padre Kene. – Ho commesso un errore, una volta. Credo sia venuto il momento di accettare che la volontà del Signore per me non è quella del sacerdozio.
– No, è quella della galera.
Padre Kene guardò malissimo la signora Viola.
– La volontà del Signore, dice lui. Come se gliel' avesse ordinato direttamente Nostro Signore, di farsi prete...
– Ma stia zitta! – esplose padre Kene, e continuò: – Lei non sa nemmeno di cosa parla. Scelta, dice lei. Ma quale scelta? Io sono nato ad Addis Abeba. Almeno, credo di essere nato lì. Di sicuro è lì, per la strada, che mi hanno raccattato le suore. Le figlie della carità di San Vincenzo mi hanno preso, e per prima cosa mi hanno assegnato una data di nascita, perché nemmeno sapevo quando ero nato e quanti anni avevo. Poi mi hanno dato da mangiare e mi hanno fatto studiare. E io non avevo scelta, né la volevo. Volevo diventare come uno di loro, come le prime persone che avessi mai incontrato in tutta la mia vita che non mi prendevano a bastonate.
Padre Kene sospirò.
– Ero il migliore di tutta la scuola, e sono stato mandato a studiare a Roma. E nel frattempo sono cresciuto. Mi sono reso conto di tante cose, che prima non sapevo. Mi sentivo sempre più strette certe promesse, certi obblighi. E nello stesso tempo sentivo di dovere qualcosa a chi mi aveva permesso di crescere. Ho sbagliato una prima volta, per lussuria. E ho sbagliato una seconda volta, per amore.
Il prete alzò la testa, guardando il maresciallo.
– Ma questo non fa di me un assassino. E non voglio essere complice di questa cosa. Non più.
Nel silenzio conseguente, la voce acida della sindachessa uscì netta.
– Ma che bravo. Vuole l'applauso?
Per fortuna (o purtroppo, dipende dai punti di vista) il maresciallo riuscì a scongiurare in un attimo l'insolito ma promettentissimo incontro di boxe, inserendosi con autorità.
– Padre, signora Viola, per cortesia. Se avrete la pazienza di rispondere a qualche altra domanda, vedrete che riusciremo a chiarire tutto –. E rivolgendosi a padre Kene: – Padre, quando lei prima ha detto che ha mentito per proteggere la donna che ama, che cosa intendeva con precisione?
– Intendevo dire che volevo proteggerla dalla reazione di suo padre, come ho detto. Sono rimasto molto sorpreso quando la signora Viola ha detto ad Emma che era meglio raccontare che eravamo rimasti tutti e tre insieme dalle nove ma ci ha lasciato intendere che lo facesse per aiutarci. Per coprirci.
– Infatti – disse la signora sindachessa acidamente.
– Capisco – disse il maresciallo. E dal tono fu chiaro a tutti che credeva in quello che diceva.
Poi, lentamente, e guardando negli occhi il sindaco, ripeté: – Capisco. Armando, devo farti a questo punto un paio di domande, e poi il quadro sarà completo.
– Eccomi – disse il sindaco, che sembrava l'unico ad aver conservato la calma.
– Quando sei rientrato a casa, domenica notte, hai aperto la porta con la chiave?
– Certo.
– Intendo, hai aperto anche la serratura di sicurezza?
– Certo. Era chiuso. Quando uno esce, e in casa non c'è nessuno, chiude la porta di casa a modo.
– E l'avevi chiusa te, la porta, con la chiave di sicurezza?
– No. C'era mia moglie, in casa.
– E quindi l'ha chiusa lei.
– Certo...
E mentre rispondeva, stavolta fu il sindaco a sbiancare.
Con la massima delicatezza possibile, il maresciallo continuò: – Padre Kene, vuole avere la gentilezza di dirmi cosa vide fare alla signora Viola quando arrivò in chiesa?
– Certo. Prese un mazzo di chiavi dalla borsa e lo restituì ad Emma.
E Piergiorgio, facendo meno rumore possibile, espirò.
Quello era il primo particolare, quello che aveva chiesto ad Emma tramite Margherita.
– Perché lo fece?
– Perché quelle erano le chiavi di Emma.
– Potrebbe descrivermelo?
– Un portachiavi con un pupazzo di gomma, un elfo blu con un cappello bianco. Emma ci tiene tutte le sue chiavi.
– Tutte le sue chiavi. Quindi le chiavi di casa sua, e quelle delle case in cui va a prestare servizio. Le chiavi di casa Benvenuti e quelle di casa Zerbi.
– Sì, è esatto.
– Il mazzo è attualmente in possesso di Emma, quindi?
– Sì, credo di sì.
– Emma le spiegò perché la signora Viola aveva le sue chiavi?
– La signora Viola gliele aveva chieste in prestito domenica sera, poco prima che uscisse da casa sua, da casa della signora Viola, intendo. Per chiudere la casa quando fosse uscita.
– E perché la signora Viola aveva bisogno delle chiavi di Emma?
– Aveva perso le proprie. Così mi disse Emma.
Il maresciallo si voltò di scatto verso il sindaco.
– Armando, era di questo che parlavi quando sei entrato? Le cose che tua moglie ha perso e che non trova sono le chiavi di casa?
Il sindaco, che ora non era più bianco, ma cominciava ad assumere una tinta più sul vermiglio, annuì senza parlare.
– Ti ricordi, o sai, quando ha perso le chiavi, tua moglie?
Il sindaco, sempre vermiglio, scosse la testa.
Il maresciallo si voltò verso la signora Viola.
– Signora, posso chiederle quando ha perso le sue chiavi?
Anche la signora Viola non era più bianca. Ma, al contrario del marito, parlò.
– Credo lunedì sera, anzi, ne sono certa. In tutto il trambusto per la nevicata, con tutte le cose che avevo da fare...
– Certo, certo. La capisco. Lei è andata al funerale della signora Zerbi, vero?
– Certo.
– Era la prima volta che usciva di casa, vero, da lunedì mattina?
– Esatto. Proprio. Da quando sono rientrata dalla chiesa, dopo che quel bifolco del Visibelli ci ha rintanate, sono rientrata in casa e per due giorni non mi sono mossa. Sono uscita di casa solo per andare al funerale. Bisognava occuparsi della gente. Chi chiedeva questo, chi quell'altro, chi lavorava e aveva fame, o sete, o bisogno di...
Il tono del maresciallo fu cortese.
– Capisco. Sono lieto di dirle che le sue chiavi sono in nostro possesso. Mi sono state riportate in caserma, e le ho qui con me.
E, con affabilità, fece vedere sul palmo il famoso mazzetto di chiavi con la strisciolina di pelle maculata.
– Ah. Bellissimo. Fantastico. Ma dove...
– Sono state ritrovate nel ghiaino, di fronte al palazzo del marchese Alinaro Filopanti Palla. Me le ha riportate il marchese stesso.
– Ma bene...
– Me le ha riportate ieri mattina. Le hanno ritrovate spalando la neve nel cortile.
– Ah. Ma guarda te, a volte...
E il poco colore che aveva ripreso, nel corso della conversazione, se ne andò di nuovo.
Il maresciallo, pur continuando a guardare la signora Viola, quando riprese a parlare lo fece in modo impersonale.
– La neve ha cominciato a cadere domenica, di primo pomeriggio. Domenica sera, queste chiavi erano sotto uno strato di ghiaccio alto un metro. È fisicamente impossibile che siano state perse dopo il tardo pomeriggio della domenica. Quando è uscita di casa domenica sera, signora Viola, lei non aveva più le chiavi.
La risposta della signora Viola fu una marmellata di consonanti biascicata a voce bassa.
– Scusi, non ho capito. Potrebbe ripetere?
– Può essere.
– Può essere. Ma conferma di aver chiesto in prestito le chiavi ad Emma, la sera di domenica?
– Non mi ricordo.
– Ricorda per caso di aver restituito le chiavi ad Emma, quando è arrivata in chiesa?
– No, non mi ricordo.
– Non si ricorda. Posso chiederle che cosa ha fatto, nell'arco di un'ora circa in cui è priva di alibi?
– Ho pulito la cucina.
– Ha pulito la cucina.
Incredulità simulata, nello sguardo del maresciallo.
Incredulità autentica, in quella del signor sindaco.
– Un'ora per pulire la cucina?
– Avevo cucinato tutto il giorno.
La voce del sindaco arrivò netta come un'entrata nelle caviglie.
– Basta!
Armando Benvenuti si alzò, con le vene del collo grosse come mattarelli.
– Smetti di fare la cretina! Non lo capisci?
Il sindaco fece un passo verso sua moglie. E improvvisamente cambiò di tono, e si fece quasi incredulo.
– Non lo capisci che hanno tutte le prove che vogliono?
La signora Viola guardò il marito, apparentemente senza riconoscerlo.
Poi, a voce bassa, parlò.
– Sono arrivata a casa di Annamaria verso le nove e mezzo, credo. Volevo parlarle. Ho bussato, e non mi ha aperto. Così ho guardato dalla finestra. Annamaria era in poltrona, e sembrava che dormisse.
La signora, in piedi, pareva essere diventata più alta di un palmo.
– Allora mi sono ricordata di avere le chiavi di Emma, e che nel mazzo c'era anche la chiave che apriva la porta di casa di Annamaria. Allora ho aperto...
La signora Viola guardò il maresciallo, per essere sicura che la seguisse.
Sforzo inutile, dato che erano tutti ancorati alle sue parole.
–... e l'ho vista in poltrona, che dormiva. Tranquilla, beata. Stava bene, lei. Ci stava bene, in questo paese del cazzo.
Detta dalla signora Viola, la parolaccia sembrò ancora più greve.
– Lei che veniva da Napoli, da una città grande, dove c'era tutto quello che voleva, era venuta a rintanarsi qui. E adesso...
– Un attimo, signora. Per quale motivo era andata a trovare la signora?
– Per la donazione.
– La donazione?
– La donazione con cui la signora voleva lasciare al comune la gestione delle Fatte.
– Da chi aveva saputo della donazione?
Domanda inutile, ma necessaria.
– Da Emma. Mi aveva detto di aver sentito il litigio, e che in seguito...
La signora ebbe quasi un'esitazione. Poi, in un attimo, la scacciò.
–... in seguito ha sentito Annamaria che telefonava al notaio e gli chiedeva un appuntamento. Mi ha parlato in dettaglio della telefonata. Emma era una presenza così, in casa – disse la signora Viola, tristemente – quasi non ci si accorgeva che ci fosse. Era una persona di casa, per lei.
– Capisco. E di cosa voleva parlarle, quella sera?
– Volevo parlarle, chiederle di lasciar perdere, di perdonare il figlio. E di lasciar perdere la donazione. Ero andata per parlare, lo giuro. Ma quando l'ho vista dormire, lì... mi è quasi venuto automatico. Ho pensato che stava male da tempo... Che non avrebbe vissuto a lungo... Ho preso il cuscino...
La voce di padre Kene si inserì sofficemente, con il tono di chi comprende: – È per questo che non è venuta a confessarsi, venerdì scorso?
Senza guardare il prete, la signora annuì, debolmente.
Il prete rivolse lo sguardo verso il maresciallo, come per mettere in chiaro che era quello il particolare che aveva notato, e che lo aveva fatto sospettare della signora sindachessa.
A quel punto, fu il sindaco a rompere il silenzio.
– Ma perché?
– Ma perché?
Il sindaco aveva ripetuto la domanda, con un filo di sgomento nella voce. La signora sindachessa si voltò lentamente verso il marito, e la sua espressione virò.
– Perché? Perché?
La signora cominciò ad avanzare verso il marito.
– Ti svegliavi tutte le notti. Sai, non so cosa fare. Resto o vado? Resto o vado? Mi hai rotto le scatole due mesi. E io, che facevo finta di nulla. Che non mi importasse. Poi, un giorno, vieni e mi dici: ho quasi deciso. Accetto la candidatura. Ti va di andare a vivere a Roma?
La signora fece un altro passo verso il marito.
– Mi va? Come se tu non lo avessi saputo, che io avrei ucciso per andare a vivere in città. E che città. E poi, una settimana dopo, questa decide di donare al comune la più bella riserva di caccia della regione! Dimmi un po', cosa mi hai detto l'altro giorno, a cena, quando hai saputo della donazione? Dimmelo!
Il signor sindaco, continuando a guardare la moglie, non rispose. Lo fece lei per lui, come le brave mogli di tutto il mondo.
– Mi ha detto che se Annamaria avesse fatto in tempo a completare la donazione, avrebbe fatto una riserva di caccia demaniale, e si sarebbe messo in pari degli anni persi.
La signora sindachessa si fermò. Spostò lo sguardo dal marito, e lo girò sugli astanti.
Piergiorgio chinò gli occhi, come quasi tutti, e si ritrovò a rivedere le stesse immagini che gli erano passate nel cervello la sera prima.
La pelliccia.
Il bridge.
Il vestito sgargiante con cappellino reale a una sagra di paese.
Il signore viene dalla civiltà, non vive nelle spelonche come noi.
Piergiorgio aveva ancora lo sguardo verso terra, quando sentì la signora sindachessa confermare.
– E io, invece che a Roma, mi sarei ritrovata di nuovo qui. Inchiodata per tutta la vita a questo paese di merda.
Detto questo, respirò a fondo, e riportò gli occhi truccati sul marito.
– Adesso l'hai capito perché l'ho fatto, coglione?