Venerdì mattina
In un paese piccolo, le abitudini delle persone risultano evidenti in tempo breve. Tanto più se, come Margherita, in virtù del lavoro nell'archivio parrocchiale si gode di un punto di osservazione fisso e privilegiato come la canonica.
Risultava ormai noto quindi alla nostra coppia di improbabili investigatori che la chiesa aveva un manipolo di frequentatori fisso, dalle abitudini granitiche prima di tutto come squadra: il gruppo del rosario, che si riuniva tutti i giorni alle sei di sera per sgranare con precisione metronomica la preghiera mariana in un tempo inferiore ai dodici minuti netti, in modo da poter poi tornare alle occupazioni casalinghe.
Simili prestazioni di gruppo non si ottengono senza curare quotidianamente la preparazione atletica del singolo; e difatti ognuna delle rosarianti si presentava in chiesa da sola, ciascuna con una propria frequenza. Chi doverosa (la signora sindachessa che si confessa ogni venerdì mattina, tranne oggi che non si è presentata), chi assidua (Emma, che ogni giorno passa un paio d'ore in chiesa a suonare l'organo e preparare i cori della domenica) e chi paradossale (la signorina Conticini, che funge da perpetua ufficiosa cambiando i fiori, pulendo le panche e rompendo i coglioni a padre Benvenuto sul fatto che padre Kene sbaglia gli accenti, non sa confessare e va lento sul rosario).
– Che fra l'altro è una cretinata solenne – chiosò Margherita. – Padre Kene parla italiano benissimo. Meglio di tanti paesani.
– Vero. Però una cosa qualsiasi da criticare su chi ti sta antipatico, alla fin fine, è il sogno di tutti i pettegoli. Senza padre Kene, la Conticini perderebbe un valido argomento per andare in chiesa.
– E non sarebbe la sola.
Piergiorgio guardò Margherita in tono interrogativo.
– Ti farei vedere ogni tanto come se lo guarda Emma.
– Ah già. Mi scordavo che il prete è bello.
– Quello sicuramente. Ma non solo. Ho come l'impressione, e per impressione intendo «ci metterei la mano sul fuoco», che tra i due ci sia parecchia simpatia.
Piergiorgio visualizzò per un attimo Emma, con i suoi maglioncini fatti in casa indossati sul dolcevita bianco di lana leggera, sotto cui si indovinavano ulteriori strati di flanelle varie. Se mai qualcuno avesse voluto vederla nuda, avrebbe dovuto lavorare parecchio.
E Piergiorgio, da maschio, cominciava a chiedersi se non ne valesse la pena. Intendiamoci, si sta parlando di un maschio sulla trentina che non toccava boccia da qualche mese e quindi l'astinenza faceva la sua parte, ma non era tutto lì. Guardando e riguardando la ragazza, giorno dopo giorno, Piergiorgio si stava facendo l'impressione che Emma non fosse così timida e scialba come poteva sembrare ad una prima occhiata, ma che tentasse semplicemente di passare inosservata. A volte basta poco.
– Ah, però. Emma e il prete bello –. Piergiorgio ridacchiò. – Non ti sembra un po' troppo romanzesco?
– Di solito odio questi discorsi – e qui Margherita appoggiò le dita sul dorso della mano di Piergiorgio – ma fidati di una donna. Di questa cosa, sono convinta. C'è un'altra cosa, invece, alla quale non so darmi risposta.
E nel dire questo levò la mano, con sommo dispiacere di Piergiorgio.
– E sarebbe?
– Non capisco come questo tizio sia piovuto qui. È colto, parla benissimo, si vede che è uno che ha studiato. Mi ha detto di avere due lauree. Fra l'altro, un giorno abbiamo avuto una discussione su sant'Agostino, e ti assicuro che il ragazzo è preparato. Mi sembra strano che uno così bravo che viene da un altro continente sia finito in questo paese che sarebbe sperso fra i lupi, se non li avessero fatti fuori tutti a fucilate. C'è qualcosa che non va?
– No, scusa. È che speravo che la cosa a cui accennavi avesse qualche attinenza col nostro piccolo problema.
– Capisco. Be', non disperare. Il bersaglio sta venendo allo scoperto. È il tuo turno, 007.
Dalla porticina della canonica, a qualche decina di metri, uscì padre Kene in muta nera attillata e scarpette arancioni. Vedendolo, Piergiorgio si alzò, si tirò su la cerniera del k-way e cominciò qualche piccolo esercizio di stretching.
– Speriamo di riuscire a combinare qualcosa. In tutti i modi, dopo, vedo di andare a parlare col sindaco.
Anche Piergiorgio, piano piano, aveva modificato le proprie abitudini in funzione del paese. E così, un po' perché i prelievi andavano fatti di mattina presto, un po' perché faceva veramente un freddo becco, la corsa mattutina era diventata la corsa dell'ora di pranzo. Questa abitudine si era installata da circa una settimana, il che avrebbe reso più naturale l'approccio che Piergiorgio e Margherita avevano tramato: ovvero, far coincidere gli orari di corsa di Piergiorgio e di padre Kene, vedere se Piergiorgio riusciva ad accostare il prete (o a farsi accostare dal prete, più probabile) e sentire se aveva qualcosa da dirgli sui suoi parrocchiani in generale e su Giulio Zerbi in particolare. Se poteva, in qualche modo, dirgli qualcosa che potesse aiutarlo. E, effettivamente, fu così.
Mentre si godeva la vista degli alberi, giocandoci a sfuocarli con le nuvolette del proprio fiato, si era sentito avvicinare da un incedere felpato e familiare. Speranzoso, aveva impercettibilmente modificato la propria traiettoria di qualche millimetro, incrementando nel frattempo l'andatura, sperando di invogliare così il prelato a rallentare un attimo e fare due chiacchiere.
Invece di sorpassarlo, infatti, padre Kene gli si era affiancato rallentando. Dopo qualche secondo, e dopo averlo guardato bene, padre Kene aveva alzato un dito.
– Dovrei dirle una cosa, se mi permette.
Piergiorgio, dentro di sé, sorrise. Fuori no, anche perché il ritmo che stava tenendo non gli consentiva sforzi ulteriori. Tentando di coordinare la voce col fiatone, disse: – Prego.
– Lei sta facendo uno sbaglio. Spero che non mi giudichi sfacciato, ma è da un po' che ci penso e ora che l'ho vista...
Padre Kene parlava a voce bassa, ma con ritmo normale. Piergiorgio, guardando davanti a sé, tentò di incoraggiarlo.
– No, si figuri. Anzi. Mi dica pure.
– Lei alza poco i piedi.
– Eh?
– Lei alza troppo poco i piedi. Pesta la strada, invece di accarezzarla. Così disperde energia verso il basso, invece di mandarla in avanti. I piedi devono sfiorare il suolo, non picchiarci come se fosse un tamburo.
– Ah.
– Per fare questo, deve alzare i piedi dietro. La corsa dei piedi finisce all'altezza delle natiche. Lei non arriva nemmeno al ginocchio. Se riesce a fare questa cosa, leva una ventina di secondi al chilometro. Guardi bene come faccio io.
E, apparentemente senza sforzo, le gambe del prete aumentarono il loro raggio e cominciarono a mulinare, con i piedi che toccavano appena l'asfalto e finivano effettivamente all'altezza del sedere del religioso. Che, in una ventina di secondi, scomparve dalla portata di Piergiorgio, lasciandolo solo e col fiato grosso.
Mentre Piergiorgio, parecchio tempo dopo che il prete era scomparso dalla sua vista, procedeva mestamente lungo l'anello che circondava il paese al ritmo di cinque e venti al km, aveva avvertito nuovamente qualcosa che si muoveva dietro di sé. Prima di voltarsi, aveva deciso che se fosse stato padre Kene in procinto di doppiarlo gli sarebbe entrato sulle caviglie in tackle. Poi, si era guardato alle spalle.
Dietro di lui un piccolo branco di daini attraversava la strada in fila indiana, coi codini sventaglianti.
Piergiorgio rallentò la corsa, per poi fermarsi.
Il branco attraversò la strada, perdendosi nel boschetto; ma, dopo qualche secondo, Piergiorgio vide arrivare un piccolo dainetto che si guardò intorno, annusando il ciglio dell'asfalto in cerca di cibo.
Piergiorgio, cercando a tastoni il cellulare in tasca per vedere di scattargli una foto, mosse un passo verso l'animale. Contemporaneamente, sentito il rumore, la bestiola alzò il collo, vide l'umano e con tre galoppate scappò via.
Ecco. Tipico di questo paese. Di solito stanno in branco e ti ignorano. E se li becchi da soli, scappano via.
– Allora, fatta una bella corsetta?
Il sindaco guardò all'interno della canna, decise che era stata pulita a sufficienza e posò lo scovolo.
– Quel che ci vuole.
– Anch'io vado a correre, ogni tanto. La mattina. Mi mette a posto per tutta la giornata. Invece il pomeriggio e la sera non mi piace. Mi sembra che mi spezzi la giornata. Ci sono così tante cose da fare che prendere, cambiarsi, correre, fare la doccia e via...
– Ho visto un branco di daini, mentre correvo.
Il sindaco alzò la testa.
– Ah sì? E dove?
– Su, vicino alla villa del marchese. Cinque bestie e un piccolo.
– Me li descriverebbe?
– Mah, erano daini...
– Di che colore?
– Mah, erano tutti pomellati, tranne uno che era nero, con le corna così...
– Quanto grosso, quello nero?
– Eh, sarà stato così...
E Piergiorgio alzò la mano a un'ottantina di centimetri da terra.
– Ecco una bella notizia, vede. Io l'altra mattina sono stato fuori sei ore senza vedere un cazzo, e lei stamani va a correre e mi becca un branco. Non c'è niente da fare. Chi ha fame non ha pane, e chi ha pane non ha i denti.
Il sindaco prese una bacchettina e ci avvolse intorno uno straccio, quindi iniziò a passare con delicatezza l'insieme dentro la canna del fucile.
Fu Piergiorgio, a quel punto, a prendere in mano la situazione.
– Avrei bisogno di parlarle.
Il sindaco annuì, lentamente.
– Chissà perché, qualcosa me lo diceva.
Il primo paesano continuò a passare la bacchettina all'interno del fucile, senza cambiare espressione.
– Forse si ricorda che, la mattina in cui, poco dopo essere sceso in salotto presi una telefonata per la signora Zerbi.
– Mi ricordo, sì. Un tale che si chiamava Cappanera, o roba del genere.
– Pezzanera, per essere precisi.
– Sì, ha ragione. Pezzanera. Ora mi ricordo.
Il sindaco posò la bacchetta, guardò un'ennesima volta attraverso la canna e si appoggiò il fucile sulle gambe.
– Insomma, Margherita si intende abbastanza di onomastica, e Pezzanera è un nome molto poco comune da queste parti. Nel raggio di cento chilometri dal paese, c'è un solo Pezzanera. È un notaio.
– Ah.
Il sindaco prese uno spazzolino da denti e cominciò a pulire il percussore con estrema delicatezza.
– Questa persona, al telefono, mi disse che a causa della neve doveva rimandare l'appuntamento. In pratica, la mattina in cui la Zerbi è stata trovata morta aveva un appuntamento con un notaio. Adesso, quello che mi chiedevo io...
Il sindaco annuì con lentezza. Preso un piccolo barattolo, spruzzò un pochino di olio, asciugò e richiuse l'insieme con decisione.
– Certo. È logico. Potrebbe avere a che fare con la morte di Annamaria. Bisogna andare a dirlo al maresciallo. Vuole che l'accompagni?
Nonostante il tono, non era una domanda.
– Sì. Se fosse possibile, sì.
– Buongiorno, parlo con il dottor Pezzanera? Ecco, buongiorno. Telefono dalla stazione dei carabinieri di Montesodi Marittimo, sono il maresciallo Zandonai. Esatto, sì. Avrei bisogno di un appuntamento con lei per chiederle...
Breve silenzio, nel corso del quale il sindaco guardò Piergiorgio e fece un cenno lento e quasi impercettibile di assenso con il capo. Nello stesso momento, l'espressione del maresciallo si era fatta marcatamente più attenta.
– Sì. Esattamente. Allora, intanto, per telefono, lei mi può confermare che la signora Zerbi Palla l'aveva contattata a livello professionale.
Breve silenzio, che fu sottolineato dal sindaco con un gesto a pollice e indice uniti, come a dire «torna tutto».
– No. Certo, non per telefono. Avrei però bisogno di vederla il prima possibile, per cui... Sì, certo. Fra mezz'ora mi trova qui, senza dubbio. Allora l'aspetto. Grazie mille per la disponibilità.
Il maresciallo mise giù il telefono, giunse le mani sulla scrivania e guardò i due con aria assente. Fu il sindaco a parlare per primo.
– Be', potresti almeno ringraziare.
– Mi ha dato un grosso aiuto, dottor Pazzi. Il notaio Pezzanera effettivamente era in contatto con la defunta e aveva un appuntamento con lei per lunedì mattina. Bene, signori. Se ora volete scusarmi...
– Tranquillo, Alvise. Ci leviamo subito dalle palle, così puoi fare il tuo lavoro.
– Sono stato sgarbato, lo so – ammise il sindaco. – Ma il fatto è, dottore, che il buon maresciallo sospettava di lei come possibile autore dell'omicidio, e c'è voluto del bello e del buono per spiegargli che lei non aveva nessun motivo di risentimento verso la signora Zerbi. Che non aveva nessun movente. Si è convinto solo quando gli ho detto che l'avrei ospitata in casa mia. Dopo gli telefonerò, mi scuserò e con la scusa di scusarmi, mi scusi il gioco di parole, gli chiederò anche cosa gli ha detto il notaio.
In cammino verso casa, il sindaco e Piergiorgio procedevano appaiati.
– E glielo dirà? – chiese Piergiorgio.
– Me lo dirà, me lo dirà. Non glielo chiederei, se non fossi sicuro di avere risposta. Ormai sono trent'anni che è qui, il buon Alvise. Lo conosco come se fosse del posto.
– Non è di qui, quindi, il maresciallo?
– Ma manco per l'anima. È di un paesino veneto di quelli spersi fra i radicchi. Trebaseleghe, mi sembra. Piovuto qui di fresca nomina il giorno dopo che l'Italia ha vinto i mondiali, me lo ricordo sempre. E il primo incarico ufficiale fu di andare in farmacia a comprare l'antibiotico per la Maria, la figlia di Teresa. Ragazza madre, di quelle nate incazzate, che non accettava nulla e non si fidava di nessuno.
Il sindaco cominciò a giocherellare con un sassolino, prendendolo a piccoli calci.
– Toccava mandarle la roba coi carabinieri, alla Teresa, per far finta che fosse tutto assistenza dello Stato. E toccò ad Alvise, che le portò il Bactrim. Poi, il giorno dopo, le portò il brodo, il vino e la schiacciata. E tre mesi dopo le portò un anello, e glielo mise al dito. E la Teresa cambiò faccia, e anche la Maria.
– Un tipo deciso, via.
– Dica pure un rompicoglioni. Brav'uomo, eh, ma all'inizio era una roba che non si sopportava. Bisogna riconoscere che si è adeguato presto. Tanto più che qui non è che abbia mai avuto tanto da lavorare. Qualche lite, qualche padre che alza le mani un po' troppo. A volte si ricorda di essere il maresciallo, e gli piace. Ci vuole pazienza. Basta saperlo prendere, dargli importanza... – con un calcetto preciso, il sindaco spedì il sasso in un mucchio di neve – e mi faccio dire anche di che colore ha le mutande.
Piergiorgio intanto era andato avanti a ragionare tra sé, e quando parlò fece il danno.
– Sì. Adesso, bisogna vedere quali sono i termini della donazione. Anche se...
Anche se sono un cretino. Accidenti a me e a quando non penso prima di parlare. Speriamo che non se ne accorga.
– Donazione?
Ecco.
Piergiorgio si voltò verso il sindaco. Inutile tenere nascosto qualcosa.
– Sì. Ho quasi la certezza che la signora avesse contattato il notaio per una donazione.
– E, scusi, come lo sa?
Man mano che Piergiorgio procedeva nella narrazione, il sindaco aveva aggrottato le sopracciglia in maniera crescente. Quando ebbe finito, rimase in silenzio per un attimo.
– Questo è meglio che al maresciallo non lo dica.
– No, è meglio di no.
– Se viene a sapere che lei si è tenuto il computer della defunta, la chiude in cella con il Bonacci dopo avergli detto che lei è juventino. E non so se gli darei torto.
– Sì. Mi rendo conto.
– Io la capisco, intendiamoci. Lei si è trovato in una situazione di merda. Sa di essere innocente, sa che il maresciallo la crede colpevole, e vede una possibilità di discolparsi. Ma il fatto che lei sappia di essere innocente, e comportarsi da innocente, non significa che tutti gli altri ne siano convinti. Magari a livello umano sì, ma per il buon Alvise il livello umano non conta molto.
– Be', a quanto mi diceva prima non dovrebbe essere un cattivo diavolo, in fondo...
– Ma per nulla. Le assicuro, può essere una pasta d'uomo. Con chi gli pare, intendiamoci, famiglia in primis. Ma deve fare il suo lavoro, e per fare quel lavoro lì il livello umano ogni tanto va messo da parte. Come fare il chirurgo, o il politico. È chiaro che ogni tanto ti tocca prendere delle decisioni impopolari, e le persone ti malediranno a sangue perché hai tentato di far loro del bene. Il bambino devi tenerlo fermo, per dargli l'antibiotico, perché l'antibiotico fa schifo. Però senza non guarisce.
– Sì, ha ragione. La gente non ragiona, su certe cose.
Il sindaco si bloccò, per un attimo.
– Dottor Pazzi, mi permette di darle un consiglio?
– Certo.
– Lei ha un vizio da cittadino. Dice sempre «la gente».
Piergiorgio tacque, non sapendo cosa dire.
– Sa cosa diceva un mio amico di Livorno? «La gente, son persone». Ecco, accetti un consiglio da politico: smetta di dire «la gente». Dica «le persone». Può sembrare una questione dialettica, ma non lo è, mi creda.
– No, non credo che lo sia...
– La gente è stupida, le persone ragionano. La gente è indifferente, le persone ti aiutano. Oppure ti affogano, ma comunque interagiscono. Finché uno riesce a pensare agli altri come persone, a vederle come persone, riesce a non rimanere indifferente. È per questo che 'sta storia di Roma non mi convince. Lì la politica si fa senza poter tenere conto di questa cosa.
– E quindi, cosa farà? Non andrà a Roma?
– No, caro mio. Andrò. Andrò e come. Devo dire che fino a qualche giorno fa avevo accettato per dovere, che non ero convintissimo della cosa. Un giorno mi svegliavo per il sì, un giorno per il no.
– E sua moglie, cosa diceva?
– Lei? Lei partirebbe domani, figuriamoci. È un tipo sociale, mia moglie. Agogna la metropoli e l'aperitivo. Io, invece, starei tanto bene qui. O meglio, stavo. Adesso, devo dire, l'idea di andare a Roma mi solleva.
E si capisce. La gente, è vero, son persone. Specialmente in paese, dove sei nato e cresciuto e le persone le conosci una per una. E una di queste è un assassino.