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Fu stupefacente la rapidità con la quale la terra rimarginò le ferite; dopo una settimana, piccoli, verdi virgulti d'erba già spuntavano dalla collosa palude, e, dopo due mesi, gli alberi arrostiti stavano mettendo nuove foglie. Se gli uomini erano resistenti e ricchi di capacità di ripresa, ciò accadeva perché la terra non consentiva loro di essere diversi; quelli che difettavano di coraggio o non possedevano una capacità di fanatica sopportazione non restavano a lungo nel Grande Nord-Ovest. Tuttavia, sarebbero occorsi anni prima che le cicatrici scomparissero del tutto. Molti strati di corteccia avrebbero dovuto formarsi e staccarsi sotto forma di strisce, tipiche degli eucalipti, prima che i tronchi degli alberi potessero ridiventare bianchi o rossi o grigi, e un certo numero di alberi non si sarebbe rigenerato affatto, rimanendo nero e morto. Inoltre, per anni, gli scheletri degli alberi, disintegrandosi, avrebbero rivestito le pianure, tramutati nella stuoia del tempo, coperti a poco a poco dalla polvere e dalle impronte di piccoli zoccoli in marcia. E a ovest di Drogheda, i solchi profondi nettamente incisi nel fango dagli spigoli di una bara improvvisata venivano additati da vagabondi che conoscevano l'episodio ad altri vagabondi i quali lo ignoravano, finché in ultimo il racconto non entrò a far parte del folklore delle pianure di terra nera.
Drogheda aveva perduto forse un quinto dei suoi pascoli nell'incendio, e venticinquemila pecore, un'inezia per un allevamento dove, negli anni buoni, il numero complessivo degli ovini si era avvicinato ai centoventicinquemila capi. Era del tutto inutile prendersela con la perfidia del fato, o con l'ira di Dio, in qualsiasi modo gli interessati potessero decidere di considerare un disastro naturale. La sola cosa da fare consisteva nel rimediare alle perdite e nel ricominciare daccapo. Non si trattava della prima volta, e nessuno presumeva che sarebbe stata l'ultima.
Ma vedere i giardini della dimora di Drogheda brulli e bruni in primavera faceva male al cuore. Nonostante la siccità, potevano sopravvivere, grazie alle cisterne per l'acqua di Michael Carson, ma, in un incendio, niente sopravviveva. Persino il glicine non fiorì; nel momento in cui le fiamme si erano avvicinate, i suoi teneri grappoli di fiori si stavano appena formando e il calore li aveva fatti avvizzire. Le rose si erano disseccate, le viole del pensiero erano morte, le violacciocche sembravano paglia, le fucsie nei luoghi in ombra non riuscivano più a riprendersi, i giacinti erano stati soffocati, i piselli odorosi, avvizziti, non avevano più alcun profumo. L'acqua tolta dalle cisterne durante l'incendio era stata sostituita dalle successive abbondanti piogge, e così tutti a Drogheda sacrificarono il loro tempo libero, quasi inesistente, per aiutare il vecchio Tom a riportare i giardini alla bellezza di un tempo.
Bob decise di attenersi alla politica di Paddy, quella di avere un maggior numero di uomini a Drogheda, e assunse altri tre guardiani; Mary Carson aveva preferito non far figurare personale in pianta stabile sui registri e assumere mano d'opera in più soltanto nei periodi in cui si radunavano le greggi e in quelli della nascita degli agnelli e della tosatura, ma Paddy era persuaso che gli uomini lavorassero meglio sapendo di aver un posto fisso, e d'altro canto la cosa, alla lunga, non faceva una gran differenza. Quasi tutti i guardiani erano cronicamente affetti da prurito ai piedi e non si trattenevano molto a lungo in nessun posto. Nelle nuove case, situate più indietro rispetto al torrente, alloggiavano uomini sposati; il vecchio Tom aveva un nuovo e lindo villino di tre stanze sotto un albero del pepe dietro il recinto dei cavalli, e ridacchiava con il compiacimento del proprietario ogni volta che vi entrava. Meggie continuava a occuparsi di alcuni dei recinti più vicini, e sua madre continuava a tenere i registri.
Fee si era assunta inoltre il compito di Paddy, la corrispondenza con il Vescovo Ralph, e, essendo Fee, non gli parlava mai di niente, tranne che degli argomenti concernenti l'amministrazione dell'allevamento. Meggie smaniava dal desiderio di impadronirsi delle lettere di Ralph, ma Fee si affrettava a rinchiuderle in una cassetta d'acciaio subito dopo averle scorse. Dopo la scomparsa di Paddy e di Stu, non esisteva più alcun modo di arrivare al suo cuore. Per quanto poi concerneva Meggie, non appena partito Ralph, Fee aveva dimenticato completamente la promessa. Meggie rispondeva agli inviti ai balli e alle feste con cortesi rifiuti; sua madre lo sapeva, ma non la rimproverava mai, né le diceva che sarebbe dovuta andare. Liam O'Rourke coglieva ogni occasione per venire a cavallo a Drogheda; Enoch Davies non faceva che telefonare, imitato da Connor Carmichael e da Alastair MacMCqueen. Ma con ognuno di loro Meggie era assorta e brusca, al punto da indurli a disperare che sarebbero mai riusciti a interessarla.
L'estate fu molto piovosa, ma gli acquazzoni non si protrassero abbastanza per causare inondazioni, si limitarono a mantenere il terreno eternamente fangoso e il Barwon-Darling alto, ampio e impetuoso per tutti i milleseicento chilometri del suo corso. Quando giunse l'inverno, continuarono le sporadiche piogge; le raffiche rossastre erano d'acqua, non di polvere. E così la sfilata, per la crisi economica, di uomini appiedati lungo le piste si diradò, poiché era un inferno arrancare sulle pianure di terra nera nella stagione delle piogge, e, con il freddo che si aggiungeva all'umidità, la polmonite infuriava tra chi non riusciva a dormire sotto un riparo.
Bob era preoccupato e cominciò a parlare di infezioni ai piedi delle pecore, se il maltempo fosse continuato; le pecore merino non sopportano a lungo il terreno bagnato senza che gli si formi del pus tra le unghie. La tosatura era stata quasi impossibile, poiché i tosatori non volevano toccare la lana bagnata e, a meno che il fango non si fosse asciugato prima delle figliate, molti agnelli sarebbero morti sul terreno zuppo e nel freddo.
Il telefono fece tintinnare il segnale per Drogheda, due squilli lunghi e uno breve. Fee rispose e si voltò.
«Bob, è l'agenzia, per te.»
«Pronto, Jimmy; parla Bob... Sì, certo... Oh, bene! Le referenze sono tutte buone?... Benissimo, mandalo pure a parlare con me... D'accordo, se è così bravo puoi dirgli che probabilmente otterrà il posto, però prima voglio parlargli io; non mi va di decidere alla cieca e non mi fido delle referenze... D'accordo, grazie. Salve.»
Bob si rimise a sedere. «Verrà un nuovo guardiano, un brav'uomo, stando a Jimmy. Ha lavorato a ovest sulle pianure del Queensland, dalle parti di Longreach e Charleville. Ha fatto anche il mandriano. Ha buone referenze e sembra che sia bravo in tutto. Sa cavalcare qualsiasi creatura abbia quattro zampe e una coda, un tempo domava cavalli. E prima ha fatto anche il tosatore, un tosatore fulmineo, dice Jimmy, più di duecentocinquanta pecore al giorno. Ma è proprio questo a insospettirmi un po'. Perché un tosatore di prim'ordine dovrebbe essere disposto a lavorare con la paga di guardiano? Non succede spesso che un bravo tosatore rinunci alla tosatura per la sella. Ci farebbe comodo nei recinti, però, eh?»
Con il trascorrere degli anni, l'accento di Bob era divenuto sempre più strascicato e australiano, ma in compenso le sue frasi sembravano più concise. Si stava avvicinando alla trentina, eppure, con grande delusione di Meggie, non dava a vedere in alcun modo di essere colpito da qualcuna delle ragazze da marito che conosceva alle poche feste cui un minimo di buona educazione li costringeva a intervenire. In primo luogo, era penosamente timido, e, in secondo luogo, sembrava totalmente assorbito dalla terra. Jack e Hughie, crescendo, gli somigliavano sempre e sempre più; li si sarebbe potuti scambiare per tre gemelli quando sedevano insieme su una delle dure panchine di marmo, il massimo che si consentissero in fatto di comodità domestiche. Sembrava che preferissero accamparsi nei pascoli, e, quando dormivano in casa, si coricavano sul pavimento delle loro camere da letto, timorosi che la morbidezza dei materassi potesse rammollirli. Il sole, il vento, la calura avevano cotto la loro pelle chiara e lentigginosa facendole assumere una sorta di color mogano maculato, nel quale i loro occhi azzurri splendevano chiari e tranquilli, con piccole rughe profonde agli angoli che tradivano la contemplazione delle lontananze e dell'erba fulvo-argentea. Era quasi impossibile arguire che età avessero, chi fosse di loro il più anziano e chi il più giovane. Avevano tutti il naso romano di Paddy e la faccia alquanto brutta, ma un corpo migliore di quello di Paddy, che si era incurvato e al quale si erano allungate le braccia a furia di tosare pecore per tanti anni. Il loro fisico aveva invece la bellezza snella e disinvolta di chi cavalca. Ma non si struggevano né per le donne, né per le comodità, né per i piaceri.
«È ammogliato, il nuovo che verrà?» domandò Fee, tracciando linee precise con un righello e la penna intinta nell'inchiostro rosso.
«Non saprei, non l'ho domandato. Lo sapremo domani al suo arrivo.»
«Come verrà sin qui?»
«Lo porterà Jimmy; vuol dare un'occhiata a quei vecchi montoni nel Tankstand.»
«Bene, speriamo che, se lo assumi, si trattenga per un po'. Se non è ammogliato, se ne andrà tra poche settimane, immagino. Sono dei disgraziati, i guardiani.»
Jims e Patsy stavano studiando come convittori al Riverview e giuravano che non sarebbero rimasti in collegio un minuto di più dopo aver compiuto i quattordici anni, l'età fino alla quale era obbligatorio frequentare le scuole. Non vedevano l'ora che giungesse il giorno in cui sarebbero andati nei recinti con Bob, Jack e Hughie; il giorno in cui sarebbe stata di nuovo la famiglia a mandare avanti Drogheda. La passione di famiglia per la lettura non contribuiva affatto a rendergli più caro il collegio; un libro potevi portartelo dietro nella bisaccia da sella o in una tasca della giacca e leggerlo all'ombra di un albero wilga, più piacevolmente che in un'aula dei gesuiti durante la sosta di mezzogiorno. Il collegio era stato per loro un duro periodo di transizione. Le aule dalle grandi finestre, gli spaziosi e verdi campi sportivi, l'opulenza dei giardini e tutte le altre comodità non significavano niente per loro, così come li lasciava indifferenti Sydney con i suoi musei, le sale da concerto e le gallerie d'arte. Facevano comunella con i figli di altri allevatori e trascorrevano le ore libere anelando alla loro casa, o vantando la vastità e lo splendore di Drogheda, ascoltati da orecchie reverenzialmente colpite e credule; tutti, a ovest di Burren Junction, avevano sentito parlare della formidabile Drogheda.
Trascorsero parecchie settimane prima che Meggie vedesse il nuovo guardiano. Il nome di lui era stato debitamente trascritto nei registri; si chiamava Luke O'Neill e già nella grande casa si parlava del nuovo arrivato molto più di quanto accadesse di solito con gli altri guardiani. In primo luogo, si era rifiutato di dormire negli alloggi degli apprendisti, e aveva preferito occupare l'ultima casa libera sul torrente. In secondo luogo, si era presentato alla signora Smith, e godeva delle simpatie di quest'ultima, sebbene di solito non fosse tenera con i guardiani. Meggie era parecchio incuriosita.
Poiché teneva la giumenta saura e il castrone nero nelle scuderie anziché nel recinto, e poiché quasi sempre era costretta a partire al mattino più tardi degli uomini, accadeva che per lunghi periodi di tempo non si imbattesse in alcuno dei loro dipendenti. Ma, infine, incontrò Luke O'Neill un pomeriggio tardi, mentre il sole estivo avvampava rosso al di là degli alberi e le lunghe ombre avanzavano verso il dolce oblio della notte. Lei stava rientrando dal recinto Borehead nella direzione del guado, e lui veniva da sud-est, più da lontano, a sua volta diretto al guado.
Aveva il sole negli occhi e di conseguenza fu Meggie a vederlo per prima; cavalcava un grosso baio bizzoso, dalla criniera e dalla coda nere. Lei conosceva bene quel cavallo, perché spettava a lei occuparsi della rotazione dei cavalli da lavoro, e si era domandata come mai quella bestia non si trovasse quasi mai nel recinto, ultimamente. Nessuno degli uomini la voleva, e chi poteva farne a meno non la cavalcava. A quanto pareva, il nuovo guardiano se ne infischiava, e questo lasciava capire che sapeva star bene in sella, perché tutti sapevano che il baio tendeva a impennarsi il mattino presto, e tentava di mordere la testa di chi lo cavalcava non appena smontato.
Non riusciva facile valutare la statura di un uomo quando era a cavallo, poiché i guardiani australiani si servivano di piccole selle inglesi prive dell'arcione posteriore tipico di quelle americane, e cavalcavano con le ginocchia flesse e molto impettiti. Il nuovo arrivato sembrava alto, ma, in qualche modo, la statura era tutta nel tronco, mentre le gambe sembravano sproporzionatamente corte, per cui Meggie aspettò a giudicare. A differenza della maggior parte dei guardiani, portava una camicia bianca e calzoni al ginocchio di fustagno bianco, anziché flanella grigia e spigato grigio; una specie di dandy, si disse Meggie, divertita. Buon per lui, se non gli costava fatica lavare e stirare continuamente.
«Buongiorno, signora!» gridò lui, mentre si avvicinavano, togliendosi il logoro, vecchio cappello di feltro grigio e piazzandoselo poi di nuovo sulla nuca con un'inclinazione spavalda.
Ridenti occhi azzurri contemplarono Meggie con non celata ammirazione, quando lei gli si affiancò.
«Be', non è senz'altro la signora, e pertanto dev'essere la figlia» disse l'uomo. «Sono Luke O'Neill.»
Meggie farfugliò qualcosa, ma non volle guardarlo di nuovo, confusa e irritata al punto da non riuscire a farsi venire in mente nessuna di quelle frasi che possono prestarsi a una conversazione spicciola. Oh, non era giusto! Come osava, un altro uomo, avere gli stessi occhi e la stessa faccia di Padre Ralph? Non gli somigliava, però, nel modo che aveva di guardarla; la sfrontata allegria era qualcosa di tipicamente suo, e negli occhi non gli ardeva amore per lei; sin dal primo momento, quando Padre Ralph si era inginocchiato nella polvere della piazza della stazione di Gilly, Meggie aveva veduto l'amore nei suoi occhi. Guardare ora gli stessi occhi, e non vedere lui! Era una burla crudele, un castigo.
Ignaro dei pensieri della compagna, Luke O'Neill tenne il baio riottoso affiancato alla contegnosa giumenta di Meggie mentre sguazzavano attraverso il torrente, che ancora scorreva impetuoso dopo tante piogge. La ragazza era una bellezza, e come! Quei capelli! Il color carota dei Cleary maschi sembrava qualcosa di ben diverso nel caso di questa figliola. Se soltanto avesse alzato la testa, dandogli modo di vederla meglio in viso! L'alzò proprio in quel momento, con un'espressione tale sul volto da far sì che lui aggrottasse le sopracciglia, interdetto; non era come se lo odiasse, precisamente, ma come se stesse cercando di vedere qualcosa senza riuscirvi, o come se avesse veduto qualcosa e stesse augurandosi che così non fosse stato. O chissà che altro. Sembrava sconvolta, comunque. Luke non era assuefatto a essere pesato sulla bilancia di una donna e trovato manchevole. Catturato da una deliziosa trappola di capelli color oro-tramonto e di occhi grigi, il suo interessamento si scontrava con il dispiacere e la delusione di lei. Continuava a guardarlo, la bocca rosea lievemente dischiusa, una serica rugiada di sudore sul labbro superiore e sulla fronte, le sopracciglia d'oro rosso inarcate in uno stupore inquisitivo.
L'uomo sorrise e rivelò gli stessi denti bianchi di Padre Ralph; eppure non si trattava del sorriso di Padre Ralph. «Lo sa che sembra una bambina, tutta "oh!" e "ah!"?»
Meggie distolse lo sguardo. «Mi scusi, non avevo l'intenzione di fissarla. Mi ha ricordato qualcuno, ecco tutto.»
«Mi fissi finché vuole. È sempre meglio che vederle soltanto il cocuzzolo della testa, per quanto possa essere grazioso. Chi le ricordo?»
«Nessuno che conti. Soltanto, è strano vedere una persona familiare e al contempo tremendamente estranea.»
«Come si chiama di nome, piccola Miss Cleary?»
«Meggie.»
«Meggie... Non è abbastanza dignitoso, non le si confà minimamente. Preferirei che si chiamasse Belinda, o Madeline, ma se Meggie è il meglio che ha da offrire, lo accetterò. Di che cosa è il diminutivo Meggie... di Margaret?»
«No, di Meghann.»
«Ah, questo le si addice molto di più! La chiamerò Meghann.»
«No, affatto!» scattò lei. «Lo detesto!»
Ma l'uomo si limitò a ridere. «Ha sempre fatto un po' troppo a modo suo, piccola Miss Meghann. Se vorrò chiamarla Eustacia Sofronia Augusta lo farò, sa.»
Erano arrivati al recinto dei cavalli, lui scivolò giù dal baio, mollò, alla testa del cavallo, che aveva tentato di scattare, un pugno sufficiente a riportarlo alla sottomissione, poi rimase immobile, aspettando che lei gli tendesse le mani per essere aiutata a smontare. Meggie toccò invece con i tacchi la giumenta saura e proseguì lungo il sentiero.
«Non mette la raffinata dama con i volgari cavalli da lavoro?» le gridò dietro.
«No di certo» rispose Meggie senza voltarsi.
Oh, non era giusto! Anche sulle sue gambe somigliava a Padre Ralph; altrettanto alto, altrettanto largo di spalle e stretto di fianchi, e con un che della stessa grazia, seppure diversamente impiegata. Padre Ralph si muoveva come un ballerino, Luke O'Neill come un ginnasta. Aveva i capelli altrettanto folti e neri e ricciuti, gli occhi altrettanto azzurri, il naso altrettanto bello e diritto, la bocca altrettanto ben tagliata. Eppure, non somigliava a Padre Ralph più di... più di... più di quanto un eucaliptus chiaro, così alto e bianco e splendido, somigliasse a un eucaliptus blu, anch'esso alto e chiaro e splendido.
Dopo quell'incontro casuale, Meggie tenne le orecchie aperte e ascoltò i pareri e i pettegolezzi sul conto di Luke O'Neill. Bob e i ragazzi erano soddisfatti del suo lavoro e sembravano andare d'accordo con lui. Persino Fee fece il nome di lui, conversando una sera, e osservò che era un gran bell'uomo.
«Non ti ricorda qualcuno?» domandò pigramente Meggie, distesa a pancia in giù sul tappeto e intenta a leggere un libro.
Fee rifletté per un momento. «Be', presumo che somigli un pochino a Padre de Bricassart. La stessa struttura fisica, la stessa carnagione. Ma non è una somiglianza che salti agli occhi; sono troppo diversi come uomini.
«Meggie, vorrei che tu sedessi su una poltrona come una signora, per leggere! Soltanto perché indossi i calzoni da amazzone, non devi dimenticare del tutto il pudore.»
«Puah!» fece Meggie. «Come se qualcuno se ne accorgesse!»
Era ancora perplessa. Esisteva una somiglianza, ma gli uomini dietro i volti erano talmente diversi! Meggie amava uno dei due e si risentiva trovando l'altro attraente. In cucina, scoprì che Luke era un beniamino, e scoprì inoltre come mai poteva consentirsi il lusso di portare camicie bianche e calzoni al ginocchio bianchi nei recinti; la signora Smith lavava e stirava per lui, vittima del suo fascino di seduttore.
«Che bell'irlandese è quell'uomo!» sospirò Minnie, in estasi.
«È australiano» disse Meggie, provocatoria.
«Sarà nato qui, magari, cara Miss Meggie, ma con un cognome come O'Neill, suvvia, è irlandese quanto i porci di Paddy, senza voler mancare di rispetto a quel santo di suo padre, Miss Meggie, che possa riposare in pace e cantare insieme agli angeli! Il signor Luke non sarebbe irlandese, con quei capelli neri e quegli occhi azzurri? Nei tempi antichi, gli O'Neill erano i re d'Irlanda.»
«Credevo che si trattasse degli O'Connor» disse Meggie.
I piccoli occhi tondi di Minnie ammiccarono. «Ah, be', Miss Meggie, il paese è grande, no?»
«Ma va' là! Ha pressappoco la stessa superficie di Drogheda! E O'Neill è un cognome Orange; non me la dai a bere.»
«È vero. Ma si tratta di un grande nome irlandese ed esisteva prima che chiunque si sognasse gli orangisti. È un nome delle parti dell'Ulster, per cui è logico che ci sia stato qualche orangista, non le sembra? Ma prima ancora c'erano gli O'Neill di Clandeboy e gli O'Neill Mor, Miss Meggie cara.»
Meggie rinunciò alla battaglia. Minnie aveva perduto da tempo ogni tendenza feniana che potesse aver avuto in passato, e riusciva a pronunciare la parola «Orange» senza che le venisse un colpo.
Circa una settimana dopo, Meggie incontrò di nuovo Luke O'Neill, giù al torrente. Sospettò che l'avesse aspettata, ma senza sapere come regolarsi.
«Buonasera, Meghann.»
«Buonasera» disse, guardando diritto tra le orecchie della cavalla saura.
«C'è un ballo nel capannone della lana al Braich y Pwll, la sera di sabato prossimo. Ci verrà con me?»
«Grazie per avermi invitata, ma non so ballare. Non avrebbe senso.»
«Le insegnerò io a ballare in due guizzi di coda d'agnello, quindi questo non è un ostacolo. E poiché accompagnerò la sorella dell'allevatore, crede che Bob potrebbe prestarmi la vecchia Rolls-Royce, se non la nuova?»
«Ho detto che non verrò!» esclamò lei, a denti stretti.
«Ha detto che non sa ballare, e io ho detto che le insegnerò. Non ha mai detto di non voler venire con me, sapendo ballare, e così ho supposto che la difficoltà consistesse nel ballo, non in me. Vuole rimangiarsi la parola?»
Esasperata, Meggie lo fissò con ferocia, ma lui si limitò a ridere di lei.
«È viziata marcia, giovane Meghann; sarebbe tempo che non facesse ogni cosa a modo suo.»
«Non sono viziata!»
«Suvvia, non la bevo! L'unica femmina, tutti quei fratelli intorno, tutta questa terra e i soldi, una casa di lusso, la servitù! So che l'allevamento appartiene alla Chiesa cattolica, ma non è che i Cleary siano degli squattrinati.»
Eccola, la grande differenza tra i due uomini, pensò lei, trionfante. Padre Ralph non si sarebbe mai lasciato ingannare dalle apparenze, mentre quest'uomo non possedeva la sua sensibilità; non aveva alcuna antenna che gli dicesse cosa si nascondeva sotto la superficie. Cavalcava attraverso la vita senza la più pallida idea della sua complessità o delle sue sofferenze.
Sbalordito, Bob consegnò le chiavi della Rolls-Royce nuova senza un mormorio; aveva fissato Luke per un momento, ammutolito, poi si era limitato a sorridere.
«Non avrei mai creduto che Meggie potesse andare a un ballo, ma accompagnacela pure, Luke, e mi fa piacere. Credo che si divertirà, la povera cenerentola. Non ha mai molte distrazioni. Dovremmo essere noi a portarla a ballare, ma, per una ragione o per l'altra, non lo facciamo mai.»
«Perché non viene anche lei, con Jack e Hughie?» domandò Luke, non contrario, apparentemente, ad avere compagnia.
Bob scosse la testa, inorridito. «No, grazie. I balli non ci vanno molto a genio.»
Meggie indossava il vestito cenere-di-rose, non avendo altro da mettersi; non le era mai passato per la mente di spendere parte delle sterline che si accumulavano in banca, depositate a nome suo da Padre Ralph, per farsi fare vestiti adatti a feste e balli. Fino a quel momento era riuscita a rifiutare tutti gli inviti, perché un fermo «no» scoraggiava facilmente uomini come Enoch Davies e Alastair MacMCqueen. Non avevano la faccia tosta di Luke O'Neill.
Ma, mentre si contemplava allo specchio, pensò che avrebbe anche potuto recarsi a Gilly, la settimana successiva, quando Ma' vi faceva la solita puntata, passare dalla vecchia Gert e ordinarle qualche vestito nuovo.
Odiava, infatti, dover indossare il vestito rosa; se ne avesse posseduto un altro, sia pur soltanto remotamente adatto, si sarebbe tolta di dosso questo in un lampo. Altri tempi, con un uomo diverso, dai capelli neri; il vestito era così collegato all'amore e ai sogni, alle lacrime e alla solitudine, che indossarlo per un individuo come Luke O'Neill sembrava una profanazione. Si era abituata a nascondere quello che sentiva, a mostrarsi sempre calma ed esteriormente felice. L'autocontrollo le stava crescendo sulla pelle più spesso della corteccia di un albero, e a volte, durante la notte, pensava a sua madre e rabbrividiva.
Sarebbe diventata come Ma', isolata da ogni sentimento? Era cominciato così per Ma', nel passato, ai tempi del padre di Frank? E che cosa avrebbe fatto Ma', in nome del Cielo, che cosa avrebbe detto se avesse saputo che lei, Meggie, conosceva la verità per quanto concerneva Frank? Oh, quella scenata nella canonica! Sembrava accaduta il giorno prima, Pappi e Frank che si affrontavano, e Ralph che stringeva lei così forte da farle male. E i due, mentre urlavano quelle cose spaventose. Tutto era stato chiarito. Una volta saputolo, Meggie aveva pensato che doveva sempre essersene resa conto. Era ormai abbastanza grande per capire che i bambini nascevano facendo qualcosa di più di quanto aveva creduto un tempo; doveva esserci qualche sorta di contatto fisico assolutamente proibito tra persone non sposate. Quale onta e quale umiliazione doveva aver subito Ma' a causa di Frank! Non ci si poteva stupire se era diventata così. Se la stessa cosa fosse accaduta a lei, pensava Meggie, avrebbe preferito morire. Nei libri, soltanto le ragazze più umili e più volgari avevano bambini fuori del matrimonio, eppure Ma' non era volgare, non poteva mai esserlo stata. Con tutto il cuore, Meggie si augurava che Ma' potesse parlarle della cosa; o di avere lei il coraggio di affrontare l'argomento. Forse, in qualche modo, sarebbe stata in grado di aiutarla. Ma', però, non era una di quelle persone che possono essere avvicinate, né sarebbe mai stata lei a prendere l'iniziativa. Meggie sospirò a se stessa nello specchio, e sperò che non le accadesse mai niente di simile.
D'altro canto era giovane; in momenti come quello, contemplandosi con il vestito color cenere-di-rose, voleva provare qualcosa, voleva che la passione soffiasse su di lei come un vento impetuoso e caldo. Non voleva tirare avanti come un piccolo automa per tutto il resto della vita; desiderava cambiamento e vitalità e amore. Amore, e un marito, e bambini. A che cosa le giovava smaniare per un uomo che non avrebbe mai potuto avere? Ralph non la voleva, non l'avrebbe mai voluta. Diceva di amarla, ma non come l'avrebbe amata un marito. Perché era sposato con la Chiesa. Si comportavano così, tutti gli uomini, amavano qualcosa di inanimato più di quanto potessero amare una donna? No, senza dubbio non tutti gli uomini. Quelli difficili, forse, quelli complicati, con i loro mari di dubbi e di obiezioni, con la loro razionalità. Ma dovevano esistere uomini più semplici, uomini senz'altro capaci di amare una donna più di ogni altra cosa. Uomini come Luke O'Neill, per esempio.
«Secondo me, lei è la più bella ragazza che abbia mai visto» disse Luke, mentre avviava la Rolls-Royce.
I complimenti erano del tutto estranei all'esperienza di Meggie; lo sbirciò in tralice, stupita, e non disse niente.
«Non è fantastico?» domandò Luke, per nulla turbato, in apparenza, dalla sua mancanza di entusiasmo. «Basta inserire una chiave, premere un pulsante sul cruscotto, e la macchina parte. Nessuna manovella da girare, non più la speranza che il dannato trabiccolo si metta in moto prima di avere esaurito tutte le tue forze. Questo sì che è vivere, Meghann, senza alcun dubbio.»
«Non mi lascerà sola, vero?» gli domandò.
«Dio buono, no! È venuta con me, non è così? Questo significa che è mia per tutta la sera, e io non intendo cedere a nessun altro la possibilità di stare con lei.»
«Quanti anni ha, Luke?»
«Trenta. E lei?»
«Ventitré.»
«Tanti così, eh? Sembra una bambina.»
«Non sono una bambina.»
«Oh-oh! È già stata innamorata, allora?»
«Una volta.»
«Tutto qui? A ventitré anni? Santo Dio! Io mi ero già innamorato e disamorato una dozzina di volte, alla sua età.»
«Credo che sarebbe potuto accadere anche a me, ma conosco pochissime persone delle quali ci si possa innamorare, a Drogheda. Lei è il primo guardiano, ch'io ricordi, ad avermi detto più di un timido "salve".»
«Be', se non vuole andare ai balli perché non sa ballare, è logico che rimanga isolata qui, non le sembra? Ma non si preoccupi, rimedieremo a questo in men che non si dica. Al termine di questa sera saprà ballare, e tra poche settimane sarà una campionessa.» La sbirciò fuggevolmente. «Ma non vorrà dirmi che qualcuno degli allevatori nelle altre proprietà non ha tentato di portarla a ballare. I guardiani posso capirlo, lei è un gradino sopra le loro aspirazioni, ma qualcuno degli alleva-pecore l'avrà pure guardata con gli occhi dolci, no?»
«Se sono un gradino al di sopra dei guardiani perché mi ha invitata?» ribatté lei.
«Oh, io ho tutta la faccia tosta di questo mondo.» Luke sorrise. «Andiamo, non cambi discorso, adesso. Qualcuno, dalle parti di Gilly, deve pure averla invitata.»
«Qualcuno sì» ammise Meggie. «Ma in realtà non ho mai voluto andare. Lei mi ci ha costretta.»
«Allora sono tutti quanti più stupidi dei serpenti addomesticati. So riconoscere un bel pezzo di ragazza, quando la vedo.»
Non era affatto sicura che le piacesse il suo modo di esprimersi, ma il guaio con Luke stava nel fatto che non era facile fargli abbassare la cresta.
Tutti andavano ai balli nei capannoni della lana, dai figli e figlie degli allevatori ai guardiani e alle loro mogli, se le avevano; e poi cameriere, governanti, e persone di tutte le età. Erano queste le occasioni in cui le maestrine avevano modo di fraternizzare con gli impiegatucci dell'agenzia, con i bancari, e con i veri coloni dell'interno, venuti dagli allevamenti.
Le belle maniere e l'eleganza riservate alle occasioni più ufficiali non si notavano affatto. Il vecchio Mickey O'Brien veniva da Gilly per suonare il violino, e c'era sempre qualcuno a portata di mano che sapeva suonare la fisarmonica a tasti o quella a bottoni, e tutti facevano a turno sostituendosi come accompagnatori di Mickey, mentre l'anziano violinista sedeva per ore su un barile o su una balla di lana suonando senza mai riposarsi, con il pendulo labbro inferiore che sbavava, perché non aveva né il tempo né la pazienza di inghiottire la saliva; la cosa gli avrebbe impedito di mantenere il ritmo.
Ma non si trattava delle stesse danze cui Meggie aveva assistito alla festa di compleanno di Mary Carson. Queste erano energiche danze campagnole, i balli del granaio: gighe, polche, quadriglie, danze scozzesi, mazurche, e danzando si toccavano appena fuggevolmente le mani del cavaliere, oppure si piroettava selvaggiamente tra rudi braccia. Non esistevano né sensazioni di intimità, né atmosfera sognante. Ognuno sembrava considerare il ballo un semplice espediente per disperdere le frustrazioni; gli intrighi romantici nascevano meglio fuori di lì, lontano dal chiasso e dal trambusto.
Meggie si accorse ben presto che il suo robusto e avvenente accompagnatore le era molto invidiato. Luke era il bersaglio di sguardi seducenti o languidi quasi quanto un tempo Padre Ralph, ma in modo assai più palese. Come lo era stato un tempo Padre Ralph! Un tempo. Terribile dover pensare a lui servendosi del piuccheperfetto, quasi fosse esistito in tempi remotissimi.
Mantenendo fede alla parola data, Luke la lasciò sola soltanto per i pochi momenti di cui ebbe bisogno per fare una capatina al gabinetto. C'erano Enoch Davies e Liam O'Rourke, smaniosi di prendere il suo posto accanto a lei. Ma lui non fornì loro la benché minima occasione di sostituirlo, e Meggie, per quanto la concerneva, sembrava troppo stordita per rendersi conto che aveva il diritto di essere invitata a ballare da altri uomini, a parte il suo accompagnatore. E, anche se non udì i commenti della gente, li udì Luke, e rise in cuor suo. Che razza di maledetta faccia tosta aveva quel tipo, un volgare guardiano, a soffiargli quella ragazza sotto il naso! Ma la disapprovazione lasciava Luke del tutto indifferente. Le occasioni c'erano state anche per gli altri, e, se non avevano saputo approfittarne, tanto peggio.
L'ultima danza era un valzer. Luke afferrò la mano di Meggie, le passò il braccio intorno alla vita e la trasse a sé. Era un ballerino bravissimo. Non senza stupore, Meggie si accorse che non doveva fare altro se non seguirlo dove lui la guidava. Ed era una sensazione straordinaria essere tenuta in quel modo contro un uomo, sentirne i muscoli del petto e delle cosce, assorbirne il calore del corpo. I brevi contatti con Padre Ralph erano stati così intensi che non aveva avuto il tempo di distinguere tra le diverse sensazioni, e si era persuasa che quanto aveva provato tra le sue braccia non lo avrebbe mai provato con nessun altro. Invece, sebbene tutto fosse completamente diverso, la eccitava molto; il cuore le stava battendo più in fretta, e si rese conto che lui se n'era accorto da come l'allacciò più strettamente, all'improvviso, e le appoggiò la gota ai capelli.
Mentre la Rolls-Royce ronzava durante il ritorno, percorrendo facilmente la pista disuguale e i tratti senza pista, non parlarono molto. Braich y Pwll distava novantuno chilometri da Drogheda e soltanto pascoli separavano i due allevamenti, senza che si vedesse mai una sola casa, senza che si scorgesse una finestra illuminata, senza alcuna intromissione del genere umano. La collina che attraversava diagonalmente Drogheda non era mai più alta di qualche decina di metri rispetto al rimanente territorio, in nessun punto, ma arrivare sullo spartiacque era come trovarsi su una vetta alpina. Luke fermò l'automobile, discese, e girò intorno alla macchina per aprire lo sportello a Meggie. Discese accanto a lui, un po' tremante; avrebbe rovinato tutto cercando di baciarla? Regnava un tale silenzio, erano così lontani da tutti! Uno steccato di legno quasi putrido si perdeva da un lato nell'oscurità, e Luke, sostenendole il gomito con leggerezza, per accertarsi che non incespicasse con le sue frivole scarpette, aiutò Meggie a inoltrarsi sul terreno disuguale, fra le tane dei conigli selvatici. Poi lei si afferrò saldamente allo steccato, contemplò la pianura e rimase ammutolita; dapprima per il terrore, poi, mentre il panico le si placava dentro, poiché lui non accennava a toccarla, per lo stupore.
Quasi con la stessa chiarezza della luce solare, l'ancor scialba luminosità della luna faceva risaltare vaste distese di lontananze, con l'erba che baluginava e si ondulava come un sospiro irrequieto, argentea e bianca e grigia. Le foglie sugli alberi scintillavano a un tratto, quando il vento ne rovesciava i lati lucidi, e vasti abissi sbadiglianti d'ombra si spalancavano sotto i boschi, misteriosamente, come fauci del mondo sotterraneo. Alzando il capo, Meggie cercò di contare le stelle e non vi riuscì; delicati come gocce di rugiada su una ragnatela circolare, i puntini luminosi rifulgevano, si spegnevano, rifulgevano, si spegnevano, in un ritmo senza tempo come Dio. Sembravano sospesi sopra di lei simili a una rete, così meravigliosi, così silenziosi, così attenti nel frugarti l'anima, come occhi-gioielli di insetti resi brillanti da un fascio di luce, vacui per quanto concerne l'espressione e infiniti nella loro capacità di vedere. I soli suoni erano quelli del vento caldo sull'erba, degli alberi fruscianti, di un occasionale clic nel motore della Rolls che si raffreddava, di un uccello sonnacchioso, in qualche punto lì attorno, che si lagnava perché avevano disturbato il suo riposo; l'unico odore era il profumo fragrante e indefinibile della boscaglia.
Luke voltò le spalle alla notte, si tolse di tasca la borsa del tabacco e un libretto di cartine, poi cominciò ad arrotolarsi una sigaretta.
«È nata da queste parti, Meghann?» domandò, strofinando avanti e indietro sul palmo, pigramente, le striscioline di tabacco.
«No, sono nata nella Nuova Zelanda. Arrivammo a Drogheda tredici anni fa.»
Lui fece scivolare il tabacco nella guaina di carta, l'arrotolò abilmente tra pollice e indice, poi la chiuse leccandola, spinse alcune striscioline di tabacco entro il tubetto con l'estremità di un fiammifero, strofinò quest'ultimo e accese la sigaretta.
«Si è divertita questa sera, vero?»
«Oh, sì!»
«Mi piacerebbe accompagnarla a tutti i balli.»
«Grazie.»
Tacque di nuovo, fumando placidamente e guardando, al di là del tetto della Rolls-Royce, il boschetto in cui l'uccello continuava a ciangottare querulo. Quando soltanto un piccolo residuo di sigaretta gli rimase tra le dita macchiate di nicotina, Luke lo lasciò cadere al suolo e lo schiacciò quasi irosamente con il tacco finché non fu ben certo di averlo spento. Nessuno spegne un mozzicone di sigaretta con la stessa meticolosità di un australiano nella boscaglia.
Sospirando, Meggie voltò le spalle allo scenario illuminato dalla luna, e lui l'aiutò a risalire in macchina. Era di gran lunga troppo scaltro per baciarla in quella fase iniziale, perché intendeva sposarla; che fosse Meggie a desiderare di essere baciata, prima.
Ma vi furono altri balli mentre l'estate trascorreva e sempre più si logorava in un sanguigno, polveroso splendore; a poco a poco, nella grande dimora si abituarono al fatto che Meggie si era trovata un corteggiatore di gran bell'aspetto. I suoi fratelli evitarono le prese in giro, perché le volevano bene e anche Luke riusciva abbastanza simpatico. Luke O'Neill era il lavoratore più accanito che avessero mai assunto; non esisteva raccomandazione più efficace di questa. E poiché, in cuor loro, sentivano di appartenere più alla classe lavoratrice che a quella dei proprietari, ai fratelli Cleary non passava mai per la mente di giudicarlo con il criterio della sua indigenza. E Fee, che avrebbe potuto pesarlo su una bilancia più sensibile, non era sufficientemente interessata a farlo. In ogni modo, la placida persuasione di Luke, di essere diverso dalla media dei guardiani, diede i suoi frutti; anche per questo veniva trattato come uno di famiglia.
Divenne un'abitudine per lui presentarsi dopo cena nella grande casa quando non trascorreva la notte fuori, nei pascoli; dopo qualche tempo, Bob dichiarò che sarebbe stato stupido se avesse continuato a cenare solo mentre c'era cibo in abbondanza alla tavola dei Cleary, e così cominciò a mangiare con loro. In seguito, parve alquanto insensato costringerlo a percorrere un chilometro e mezzo lungo il sentiero per andare a dormire, quando era così cortese da trattenersi a conversare con Meggie fino a tardi, e pertanto venne invitato a trasferirsi in una delle piccole case degli ospiti, dietro la grande dimora.
Meggie, ormai, pensava molto a lui, e non con disprezzo come all'inizio, quando seguitava a paragonarlo a Padre Ralph. La vecchia piaga si stava rimarginando. Dopo qualche tempo, dimenticò che Padre Ralph aveva sorriso in un determinato modo con la stessa bocca, mentre Luke sorrideva in quest'altro modo; dimenticò che nei vividi occhi azzurri di Padre Ralph c'era stata una remota placidità, mentre quelli di Luke splendevano di irrequieta passione. Era giovane e non aveva mai realmente assaporato l'amore, se pure era riuscita a gustarlo per un momento o due. Voleva farselo rotolare sulla lingua, aspirarne il bouquet nei polmoni, farlo piroettare fino allo stordimento nella mente. Padre Ralph era adesso il Vescovo Ralph; non sarebbe mai, mai tornato a lei. L'aveva venduta per tredici milioni di pezzi d'argento, e la cosa bruciava. Se non avesse pronunciato quella frase, quella sera, vicino al pozzo artesiano, Meggie non si sarebbe posta alcun interrogativo, ma l'aveva pronunciata, e dopo di allora, per innumerevoli notti lei era rimasta desta, domandandosi interdetta che cosa avesse potuto voler dire.
E le mani le prudevano toccando la schiena di Luke, quando la teneva stretta ballando; era eccitata da lui, dai contatti con il suo corpo, dalla sua incisiva vitalità. Oh, non provava mai per lui quello scuro e liquido fuoco nelle ossa, non pensava mai che, se non lo avesse più riveduto, sarebbe avvizzita, inaridendosi; non fremeva e non tremava mai perché lui la guardava. Ma aveva finito per conoscere meglio uomini come Enoch Davies, Liam O'Rourke, Alastair MacMCqueen, man mano che Luke la conduceva ad altri balli nel distretto, e nessuno di loro la turbava come Luke O'Neill. Se erano abbastanza alti di statura per costringerla ad alzare gli occhi, risultava che non avevano gli stessi occhi di Luke; oppure, se avevano gli stessi occhi, non ne avevano i bei capelli. In loro mancava sempre qualcosa che non mancava in Luke, sebbene lei non sapesse esattamente che cosa possedeva Luke di tanto raro. A parte il fatto che le ricordava Padre Ralph, cioè; e Meggie si rifiutava di ammettere di non sentirsi attratta da qualcosa di meglio.
Parlavano molto, ma sempre di argomenti generici: la tosatura, la terra, le pecore, o che cosa lui chiedeva alla vita, o magari dei luoghi che lui aveva veduto, o di qualche avvenimento politico. Di quando in quando, Luke leggeva un libro, ma non era un lettore accanito come Meggie e, per quanto ci si provasse, sembrava non riuscire a persuaderlo a leggere questo o quell'altro libro soltanto perché le era sembrato interessante. Né egli scendeva mai, con la sua conversazione, a profondità intellettuali; inoltre, particolare più interessante e più esasperante di ogni altro, non lasciava mai intravedere il benché minimo interessamento all'esistenza di lei, né le domandava che cosa chiedesse alla vita. A volte, Meggie anelava a parlare di cose molto più vicine al suo cuore delle pecore o della pioggia, ma se incominciava un discorso di quel genere, Luke si dimostrava abilissimo nel riportare la conversazione entro canali più impersonali.
Luke O'Neill era scaltro, presuntuoso, un lavoratore accanito e un uomo avido di ricchezza. Era venuto al mondo in un tugurio di incannicciato rivestito di fango, esattamente sul tropico del Capricorno, nei pressi della cittadina di Longreach, nel Queensland Occidentale. Suo padre era stato la pecora nera di una famiglia irlandese prospera, ma incapace di perdonare; sua madre la figlia del macellaio tedesco di Winton; quando aveva voluto a tutti i costi sposare Luke senior, a sua volta era stata ripudiata. Nel tugurio si ammucchiavano dieci figli, nessuno dei quali possedeva un paio di scarpe — non che le scarpe servissero molto nella torrida Longreach. Luke padre, che per vivere tosava pecore, quando ne aveva voglia (ma, quasi sempre, la sola cosa che si sentisse di fare consisteva nel bere rum), morì in un incendio del pub Blackall allorché il piccolo Luke aveva dodici anni. E così, non appena gli fu possibile, Luke entrò egli stesso nel giro della tosatura delle pecore come «garzone catramaro», spalmando catrame liquido sulle ferite frastagliate, quando un tosatore sbagliava e tagliava la carne viva oltre al vello.
Di una cosa Luke non aveva mai avuto paura, del duro lavoro; prosperava sgobbando, come altri uomini prosperano facendo tutto l'opposto. Se fosse così perché suo padre si era limitato a bazzicare le bettole divenendo il buffone della cittadina, o perché aveva ereditato l'industriosità della madre tedesca, nessuno si diede mai la pena di accertarlo.
Crescendo, venne promosso da garzone catramaro ad aiutante nella tosatura: correva avanti e indietro raccogliendo i voluminosi velli man mano che volavano via sotto le cesoie dei tosatori, formando mucchi che si gonfiavano come aquiloni e portandoli sul tavolo ove la lana veniva sottoposta a una prima pulitura. Imparò così a pulire i velli, vale a dire a eliminarne le punte incrostate di fango per poi portarli nelle tinozze che dovevano essere esaminate dal classificatore, l'aristocratico della tosatura: l'uomo che, simile a un degustatore di vini o a un esperto di profumi, non può essere addestrato alla cernita se non possiede un istinto innato per quel lavoro. E Luke non possedeva l'istinto del classificatore; doveva specializzarsi nella pressatura o nella tosatura, se voleva guadagnare di più, il che era senz'altro la sua ambizione. Possedeva la forza fisica per manovrare la pressa, per comprimere i velli classificati in balle compatte, ma un tosatore veloce poteva guadagnare molto di più.
Era ormai noto nel Queensland Occidentale come un gran lavoratore e non gli riuscì difficile farsi assumere come apprendista tosatore. Con la grazia, la coordinazione, la forza fisica e la resistenza, un uomo poteva diventare un tosatore veloce. Ben presto, Luke tosò le sue duecento e più pecore al giorno per sei giorni alla settimana, e guadagnava una sterlina ogni cento pecore, e questo con le strette cesoie che somigliavano a una lucertola boggi, per cui venivano chiamate boggis. Le grosse cesoie della Nuova Zelanda, con i loro larghi denti e le robuste lame, erano illegali in Australia, sebbene raddoppiassero il rendimento di un tosatore.
Si trattava di una fatica massacrante: dovere star chino, con la sua statura, stringendo una pecora tra le ginocchia, e far passare il boggis sul corpo della pecora per tutta la sua lunghezza, così da liberare il vello tutto in una volta, facendo in modo che si rendesse necessario il minor numero possibile di secondi tagli, e abbastanza rasente alla pelle molle e bitorzoluta della pecora, per accontentare il capo della tosatura. Luke non si curava del caldo, del sudore, della sete che lo costringeva a bere una dozzina di litri d'acqua al giorno; e lo lasciavano indifferente persino le tormentose orde di mosche, poiché era nato in un paese infestato dalle mosche. Così come lo lasciavano indifferente le pecore che pure costituiscono un incubo per quasi tutti i tosatori; grosse, piccole, bagnate, piagate dalle mosche, ne esistevano di tutti i tipi, ma erano tutte pecore merino, il che significava lana dappertutto fino ai piedi ungulati e al naso, e una pelle bitorzoluta e fragile, che si muoveva come carta scivolosa.
No, non era il lavoro in sé a infastidire Luke, perché, quanto più lavorava, tanto meglio si sentiva; a esasperarlo erano lo strepito, il dover stare rinchiuso, il fetore. Non esisteva posto al mondo che fosse un inferno come i capannoni della tosatura. E così, decise che voleva diventare il superbo padrone, l'uomo che camminava avanti e indietro lungo le file dei tosatori curvi e guardava i velli di sua proprietà mentre venivano tosati con quei movimenti uniformi e impeccabili.
Sulla sua poltrona di canne in fondo al capannone
con gli occhi dappertutto sta seduto il padrone.
Così diceva la vecchia canzone della tosatura, e questo Luke O'Neill decise di diventare. Il borioso padrone, il capo, l'allevatore, il proprietario di pascoli. Non facevano per lui quell'eterno star chino né le braccia allungate di chi tosa pecore per tutta la vita; voleva il piacere di lavorare all'aria aperta e di vedere il denaro accumularsi da sé. Soltanto la prospettiva di diventare un tosatore primatista avrebbe potuto trattenere Luke nei capannoni: essere uno di quei rarissimi uomini che riuscivano a tosare più di trecento pecore al giorno, tutte in modo perfetto e servendosi di boggis stretti. Riuscivano ad accumulare un patrimonio con le scommesse. Ma, purtroppo, era un po' troppo alto di statura, e quei secondi in più che gli occorrevano per chinarsi e raddrizzarsi facevano tutta la differenza tra tosatore di prim'ordine e tosatore primatista.
La mente di lui, con le sue limitazioni, si orientò verso un altro sistema per assicurarsi ciò che bramava; press'a poco in questo stadio della sua vita, Luke scoprì quanto attraeva le donne. Il primo tentativo lo aveva fatto come guardiano a Gnarlunga, in quanto quell'allevamento sarebbe stato ereditato da una donna, abbastanza giovane e abbastanza carina. Ma, per un puro colpo di sfortuna, da ultimo lei aveva preferito il jackaroo Pommy, le cui imprese bizzarre stavano diventando una leggenda nella boscaglia. Da Gnarlunga, Luke passò a Bingelly e venne assunto per la doma dei cavalli, ma continuò a tener d'occhio la dimora ove l'erede dell'allevamento, anziana e brutta, viveva con il padre vedovo. Povera Dot, l'aveva quasi conquistata; ma in ultimo, assecondando i desideri del padre, lei si era rassegnata a sposare l'arzillo sessuagenario proprietario dell'allevamento confinante.
Quei due tentativi avevano impegnato più di tre anni della sua vita e si disse che venti mesi per ereditiera erano troppo lunghi e tediosi. Gli conveniva di più viaggiare in lungo e in largo per qualche tempo ed essere sempre in movimento, finché, grazie a un più vasto raggio d'azione, non fosse riuscito a trovare un'altra possibilità promettente. Divertendosi enormemente, cominciò a condurre le mandrie lungo le piste del bestiame nel Queensland Occidentale, lungo il Cooper e il Diamantina, il Barcoo e il Buloo Overflow, fino all'estremo angolo occidentale del Nuovo Galles del Sud. Aveva trent'anni ed era tempo di trovare l'oca la quale avrebbe deposto almeno una parte delle uova d'oro che bramava.
Tutti avevano sentito parlare di Drogheda, ma Luke drizzò le orecchie quando seppe che c'era un'unica figlia. Nessuna speranza che potesse ereditare l'allevamento, ma forse le avrebbero dato una modesta dote di centomila acri intorno a Kynuna o a Winton. La regione intorno a Gilly era bella ma troppo limitata e ricca di foreste, per i suoi gusti. Luke anelava all'enormità del lontano Queensland Occidentale, ove l'erba si stendeva all'infinito e gli alberi erano, più che altro, qualcosa che un uomo ricordava vagamente di aver visto più a est. Soltanto l'erba, sempre e sempre e sempre, all'infinito, senza un inizio né una fine, là un uomo era fortunato se riusciva ad allevare una pecora per ogni dieci acri di terra. Infatti, a volte l'erba non c'era affatto, c'era soltanto un piatto deserto di terra nera, screpolata e assetata. L'erba, il sole, la calura, le mosche; a ogni uomo il suo paradiso, e questo era il paradiso che voleva Luke O'Neill.
Era riuscito a sapere il resto della storia di Drogheda da Jimmy Strong, l'agente che gli aveva dato un passaggio in macchina, quel primo giorno, ed era stato un brutto colpo scoprire che Drogheda apparteneva alla Chiesa cattolica. Tuttavia, si era ormai reso conto di quanto poche e lontane l'una dall'altra fossero le eredi di grandi proprietà. E quando Jimmy Strong continuò a parlare, dicendo che l'unica figlia possedeva un bel gruzzolo in contanti tutto suo e aveva parecchi fratelli che l'adoravano, decise di attuare il suo piano.
Ma, sebbene avesse stabilito da un pezzo che lo scopo della sua vita consisteva nei centomila acri dalle parti di Kynuna o di Winton, e sebbene continuasse a perseguirlo con zelo immutato, la verità era che egli amava in cuor suo il denaro liquido assai più di ciò che, in ultimo, avrebbe potuto dargli; non il possesso della terra, né il potere che ne conseguiva, ma la prospettiva di vedere un susseguirsi di cifre tonde sul suo libretto in banca, intestato a lui. Non Gnarlunga né Bingelly aveva bramato così disperatamente, ma il loro valore in contanti. Un uomo che a tutti i costi avesse voluto diventare un padrone non si sarebbe mai accontentato di Meggie Cleary, la quale non possedeva terre. Né avrebbe amato la fatica di lavorare duramente come lavorava Luke O'Neill.
Il ballo nel salone del Santa Croce, a Gilly, era il tredicesimo cui Luke aveva accompagnato Meggie in altrettante settimane. Come scoprisse dove avevano luogo, e in qual modo riuscisse a procurarsi gli inviti, Meggie era troppo ingenua per poterlo supporre; comunque, ogni sabato, regolarmente, Luke chiedeva a Bob le chiavi della Rolls-Royce e la conduceva in qualche posto entro un raggio di duecentoquaranta chilometri.
Quella sera faceva freddo mentre, appoggiata allo steccato, Meggie contemplava il paesaggio illune; e sotto i piedi poteva sentire lo scricchiolio del gelo. Stava arrivando l'inverno. Luke l'allacciò con un braccio e la trasse contro il proprio fianco.
«Sei gelata» disse. «Sarà meglio che ti riporti a casa.»
«No, ora sto bene, mi sto riscaldando» rispose lei, con il fiato corto.
Sentì un mutamento in Luke, un mutamento nel braccio tenuto mollemente e impersonalmente sulla sua schiena. Ma era piacevole appoggiarsi a lui, sentire il calore irradiato dal suo corpo, la struttura diversa della sua corporatura. Anche attraverso la giacca di lana lavorata a maglia era conscia della mano di Luke che si stava muovendo, adesso, a piccoli cerchi carezzevoli, un massaggio esitante e interrogativo. Se a quel punto gli avesse detto che era infreddolita, lui si sarebbe fermato; se non avesse detto niente, egli avrebbe considerato il suo silenzio un tacito permesso di continuare. Meggie era giovane e desiderava intensamente assaporare a dovere l'amore. Luke era il solo uomo, a parte Ralph, che la interessasse, perché dunque non accertare come sarebbero stati i suoi baci? Soltanto, bisognava che fossero diversi! Non dovevano essere come i baci di Ralph!
Scambiando il silenzio di lei per acquiescenza, Luke le mise l'altra mano sulla spalla, la fece voltare verso di sé e abbassò la testa. Era questa, in realtà, la sensazione che dava una bocca? Ah, ma si trattava semplicemente di una sorta di pressione! E come si sarebbe dovuta regolare, per fargli capire che la gradiva? Mosse le labbra sotto le sue e subito si augurò di non averlo fatto. La pressione si intensificò; egli aprì la bocca, con i denti e la lingua la costrinse a dischiudere le labbra, e le fece scorrere la lingua sul palato. Rivoltante. Perché tutto era sembrato così diverso quando l'aveva baciata Ralph? Allora, non si era accorta affatto che fosse umido e lievemente nauseante; a quanto pareva, non aveva pensato affatto, si era semplicemente aperta per lui come uno scrigno quando la mano ben nota ne tocca la molla segreta. Che cosa stava facendo Luke, in nome del Cielo? E perché lei sentiva il proprio corpo sussultare in quel modo, aderire a quello di lui, mentre con i pensieri avrebbe voluto a tutti i costi sottrarglisi?
Luke aveva trovato il punto sensibile nel suo fianco, e vi premeva su le dita per farla contorcere; sino a quel momento lei non si sentiva precisamente entusiasta. Interrompendo il bacio, Luke le premette con foga la bocca sul lato del collo. Questo parve piacerle di più; portò in alto le mani intorno a lui e ansimò, ma, quando lui fece scivolare le labbra verso il basso sulla gola mentre, al contempo, con una mano tentava di scostarle il vestito dalla spalla, Meggie lo spinse via energicamente e indietreggiò rapida.
«Ora basta, Luke!»
L'abbraccio l'aveva delusa, colmandola quasi di un senso di ripugnanza. Luke ne era ben consapevole quando l'aiutò a risalire in macchina e arrotolò una necessarissima sigaretta. Immaginava di essere un grande amatore, nessuna ragazza si era mai lagnata fino ad allora... ma, d'altro canto, non erano state ragazze raffinate come Meggie. Persino Dot MacMCPherson, l'ereditiera di Bingelly, di gran lunga più ricca di Meggie, era rozza come un sacco, non aveva frequentato alcun elegante collegio a Sydney e tutte quelle balle. Nonostante il suo aspetto, Luke era press'a poco allo stesso livello del lavoratore rurale medio, in fatto di esperienza sessuale; sapeva ben poco della meccanica, a parte ciò che dava piacere a lui, e ignorava completamente la teoria. Le numerose ragazze con le quali aveva fatto l'amore non si erano mostrate esitanti nell'assicurargli che ci provavano gusto, ma questo significava che egli doveva basarsi su dati di carattere personale, e non sempre sinceri, oltretutto. Le ragazze accettavano una relazione sperando nel matrimonio quando l'uomo era avvenente e gran lavoratore, e, di conseguenza, tendevano a mentire spudoratamente pur di fargli piacere. E niente poteva far più piacere a un uomo del sentirsi dire che era un amante più abile di tutti gli altri. Luke non immaginava nemmeno quanti uomini, oltre a lui, fossero stati abbindolati con quella menzogna.
Sempre pensando all'anziana Dot, che aveva ceduto e fatto come voleva suo padre dopo essere stata rinchiusa da lui per una settimana nell'alloggio dei tosatori insieme a una carcassa infestata dalle mosche, Luke si limitò mentalmente a far spallucce. Meggie sarebbe stata una noce dura da rompere, e non poteva permettersi di spaventarla o disgustarla. Gli spassi e i giochi amorosi dovevano aspettare, ecco tutto. L'avrebbe conquistata come lei ovviamente desiderava, con fiori e premure, senza troppi brancicamenti e solleticamenti.
Per qualche momento regnò un silenzio imbarazzante, poi Meggie sospirò e si rilassò contro la spalliera del sedile.
«Mi dispiace, Luke.»
«Dispiace anche a me. Non volevo offenderti.»
«Oh, no, non mi hai offesa, davvero! Presumo di non esserci molto abituata... Ero spaventata, non offesa.»
«Oh, Meghann!» Tolse una mano dal volante e la mise su quelle di lei, intrecciate. «Senti, non stare a crucciarti per questo. Sei una ragazzina, e io ho avuto troppa fretta. Dimentichiamocene.»
«Sì, non pensiamoci più» disse Meggie.
«Lui non ti aveva mai baciata?» domandò Luke, incuriosito.
«Chi?»
C'era stata un'ombra di paura nella sua voce? Ma perché avrebbe dovuto avere la paura nella voce? «Hai detto di essere stata innamorata, una volta, e allora ho pensato che la sapessi già lunga. Scusami, Meghann. Avrei dovuto rendermi conto che, circondata come sei dalla tua famiglia, potevi riferirti soltanto a una passioncella dell'adolescenza per qualcuno il quale nemmeno si accorgeva di te.»
Sì! Sì! Sì! Pensasse pure questo! «Hai perfettamente ragione, Luke. È stata soltanto la passioncella di una ragazzetta.»
Davanti alla casa, egli la trasse di nuovo a sé e le diede un bacio dolce e indugiante, senza la faccenda della bocca aperta e della lingua; non vi fu una vera e propria reazione da parte di Meggie, ma ovviamente la cosa le piacque; Luke si diresse verso la casa degli ospiti persuaso di non avere compromesso le proprie possibilità.
Meggie si trascinò a letto e giacque desta, contemplando il soffice e rotondo alone proiettato dalla lampada sul soffitto. Bene, aveva accertato una cosa: non esisteva alcunché nei baci di Luke che le ricordasse quelli di Ralph. E una o due volte, verso la fine, aveva sentito un barlume di sgomenta eccitazione, quando le dita di Luke le si erano conficcate nel fianco e lui l'aveva baciata sul collo. Inutile paragonare Luke a Ralph, e non sapeva neppure più con certezza se volesse provarci. Meglio dimenticare Ralph; non avrebbe mai potuto essere suo marito. Luke sì.
Quando Luke la baciò per la terza volta, Meggie si comportò molto diversamente. Erano andati a una festa meravigliosa a Rudna Hunish, ai limiti del territorio che Bob aveva delimitato per le loro gite, e la serata aveva avuto un andamento perfetto sin dall'inizio. Luke, in gran forma, era stato così allegro e scherzoso, durante il tragitto di andata, da farla ridere continuamente a più non posso, poi, durante tutto il ricevimento, le aveva prodigato affetto e cortesie. E sì che Miss Carmichael sembrava assolutamente decisa a toglierglielo! Prendendo l'iniziativa, come non avevano mai osato fare Alastair MacMCqueen e Enoch Davies, si era appiccicata a loro, civettando apertamente con Luke, costringendolo, per rispettare le buone maniere, a invitarla a ballare. Si trattava di un ricevimento elegante, le danze erano quelle di un salone da ballo, e Luke aveva invitato Miss Carmichael a ballare un valzer lento. Ma, immediatamente dopo, era tornato da Meggie, senza dir niente, ma alzando gli occhi al soffitto così da non lasciare in lei il minimo dubbio riguardo al fatto che giudicava Miss Carmichael una scocciatrice. E Meggie lo aveva apprezzato per questo, poiché dal lontano giorno della fiera di Gilly, quando il piacere di trovarsi con Ralph le era stato guastato da quella signorina, non la poteva soffrire. Non aveva mai dimenticato come Padre Ralph l'avesse ignorata per portare in braccio una ragazzetta al di là della pozzanghera; ora, quella sera, Luke si stava comportando nello stesso modo. Oh, bravo! Sei splendido, Luke!
Il tragitto di ritorno era molto lungo e faceva un gran freddo. Luke aveva scroccato un pacchetto di panini imbottiti e una bottiglia di champagne al vecchio Angus MacMCQueen, e quando si trovarono a circa due terzi da casa fermò la macchina. Le automobili munite di impianto di riscaldamento erano estremamente rare in Australia, allora come oggi, ma la Rolls-Royce lo aveva; e quella notte lo gradivano molto, perché sul terreno si trovava uno strato di brina spesso cinque centimetri.
«Oh, non è bello poter fare a meno del cappotto in una notte come questa?» Meggie sorrise, accettando il piccolo bicchiere d'argento a cannocchiale, colmo di champagne, offertole da Luke, e affondando i denti in un panino al prosciutto.
«Sì, è vero. Sei così bella questa sera, Meghann.»
Qual era il segreto del colore dei suoi occhi? Il grigio non era di solito un colore che gli piacesse, troppo anemico, ma, guardando gli occhi grigi di Meggie, avrebbe potuto giurare che contenessero tutti i colori della gamma blu dello spettro, violetto e indaco e la tinta del cielo in una giornata serena e limpida, e il verde-muschio scuro e un accenno di giallo fulvo. Inoltre, splendevano come morbide pietre preziose semi-opache, incorniciati da quelle lunghe ciglia incurvate che luccicavano come se fossero state immerse nell'oro. Portò avanti la mano e con delicatezza le passò la punta dell'indice sulle ciglia di un occhio, poi si guardò il dito.
«Ma Luke! Che cosa c'è?»
«Non ho saputo resistere alla tentazione di vedere se hai un vasetto di polvere d'oro sul tavolino. Sai una cosa? Sei la sola ragazza ch'io abbia conosciuto con oro autentico nelle ciglia.»
«Oh!» Le toccò ella stessa, si guardò il dito e rise. «È vero. Non viene via affatto!» Lo champagne le stava solleticando il naso e le spumeggiava nello stomaco; si sentiva meravigliosamente felice.
«E inoltre ciglia di vero oro che hanno la stessa forma del tetto di una chiesa, e i più splendidi capelli di vero oro... Mi aspetto sempre di sentirli duri come metallo, e invece sono soffici e fini come quelli di una bambina... E la più bella bocca del mondo, fatta apposta per i baci...»
Immobile, lo fissava con quella tenera bocca rosa lievemente dischiusa, come quando si erano incontrati la prima volta; Luke si sporse e le tolse di mano il bicchiere.
«Credo che ti farebbe bene ancora un po' di champagne» disse, riempiendolo.
«Devo ammettere che è piacevole fare una sosta e concedersi un po' di riposo dopo i sobbalzi della pista. E grazie per aver pensato di chiedere al signor MacMCQueen i panini e lo champagne.»
Il motore della grossa Rolls-Royce ronfava dolcemente nel silenzio, l'aria calda si riversava quasi silenziosamente attraverso gli sfiatatoi; due tipi diversi di suoni cullanti. Luke sciolse il nodo della cravatta e se la tolse; sbottonò il colletto della camicia. Avevano gettato entrambi le giacche sul sedile posteriore; tenevano troppo caldo, sull'automobile.
«Oh, che bellezza! Non so chi abbia inventato le cravatte, sostenendo poi che un uomo è elegante soltanto se le porta; ma, qualora dovessi incontrarlo, lo strozzerei con la sua invenzione.»
Si voltò bruscamente, abbassò la faccia verso la sua e parve far combaciare esattamente il profilo arrotondato delle labbra di lei contro il proprio, come due frammenti di un puzzle; sebbene non la stringesse né la toccasse in alcun altro punto, Meggie si sentì incatenata a Luke e seguì con la testa il movimento di lui mentre si adagiava all'indietro, trascinandola sul proprio petto. Poi egli le portò le mani sulla nuca per meglio lavorare su quella bocca che rispondeva in modo stupefacente, da stordire; per svuotarla. Sospirando, si abbandonò ed escluse ogni altra sensazione, a proprio agio, finalmente, con quelle seriche labbra di bambina che infine si adattavano alle sue. Gli insinuò un braccio intorno al collo, gli affondò dita tremanti nei capelli, mentre il palmo dell'altra mano si posava sulla pelle liscia e abbronzata alla base della gola di lui. Questa volta Luke non si affrettò, sebbene se lo fosse sentito erigere e indurire prima ancora di averle dato il secondo bicchiere di champagne, soltanto guardandola. Senza liberarle il capo, le baciò le gote, gli occhi chiusi, le sopracciglia, poi tornò alle gote perché erano così seriche, tornò alla bocca perché la sua forma infantile lo faceva impazzire, lo aveva fatto impazzire sin dal primo giorno.
E c'era il collo, il piccolo incavo alla base, la pelle della spalla, così delicata e fresca e asciutta... Incapace di fermarsi, quasi fuori di sé per la paura che fosse lei a volerlo fermare, le tolse una mano dalla nuca e fece scivolar fuori delle asole i bottoni disposti in una lunga fila sul dietro del vestito, le sfilò dal vestito le braccia ubbidienti, poi abbassò le bretelline lente della sottoveste di seta. La faccia affondata tra il collo e la spalla di Meggie, fece scorrere le punte delle dita sulla schiena nuda e sentì i suoi piccoli fremiti spaventati, i capezzoli improvvisamente duri. Spinse la faccia più in giù, con le labbra dischiuse, premendo, finché non si chiusero intorno alla carne tesa e increspata. Vi indugiò con la lingua per un minuto di stordimento, poi afferrò con le mani, in preda a una tormentata voluttà, il fondo della schiena di Meggie, e succhiò, mordicchiò, baciò, succhiò... L'antico, eterno impulso che prediligeva, e che non falliva mai. Era così piacevole, piacevole, piacevole, piacevole! Non gridò, si limitò a fremere per un momento sconvolgente, diluviale, e inghiottì il grido nelle profondità della gola.
Come un poppante sazio, lasciò che il capezzolo gli sfuggisse, con un plop, dalla bocca, posò un bacio di sconfinato amore e di gratitudine sul lato del seno, poi giacque del tutto immobile, tranne l'ansimare del respiro. Sentì la bocca di lei tra i capelli, la mano di lei sotto la camicia, e a un tratto parve riscuotersi, e aprì gli occhi. Bruscamente, si drizzò a sedere, le riportò sulle spalle le bretelline della sottoveste, poi il vestito, e, con destrezza, fece rientrare nelle asole tutti i bottoni.
«Faresti meglio a sposarmi, Meghann» disse, gli occhi teneri e ridenti. «Credo che i tuoi fratelli non approverebbero per niente quello che abbiamo appena fatto.»
«Sì, anch'io credo che farei bene a sposarti» approvò Meggie, le palpebre abbassate, un rossore delicato sulle gote.
«Diciamoglielo domattina.»
«Perché no? Quanto prima sarà, tanto meglio.»
«Sabato prossimo ti porterò in macchina a Gilly. Andremo a parlare con Padre Thomas... immagino che tu preferisca sposarti in chiesa... ci accorderemo per le pubblicazioni, e ti comprerò un anello di fidanzamento.»
«Grazie, Luke.»
Bene, era fatta. Aveva impegnato se stessa, non poteva più tornare indietro. Di lì a poche settimane, o dopo il periodo occorrente per le pubblicazioni, avrebbe sposato Luke O'Neill. Sarebbe stata... la signora O'Neill! Che strano! Perché aveva detto di sì? Perché lui disse che dovevo, lui disse che dovevo sposarmi. Ma perché? Per evitare un pericolo a se stesso? Per proteggere se stesso o me? Ralph de Bricassart, a volte credo di odiarti...
L'abbraccio sull'automobile era stato stupefacente e sconvolgente. Niente di simile alla prima volta. Un così gran numero di splendide e terrificanti sensazioni. Oh, il contatto delle mani di Luke! Quel tormentarle i seni che aveva irradiato in lei cerchi sempre più ampi! E Luke lo aveva fatto proprio nel momento in cui la sua coscienza stava drizzando la testa per gridare che lui la stava spogliando, che avrebbe dovuto schiaffeggiarlo, fuggire. Quasi tramortita dallo champagne, dalla scoperta che era delizioso essere baciata quando la cosa veniva fatta per bene, quel primo avido, ingordo succhiarle il seno l'aveva paralizzata, aveva tacitato il buon senso, la coscienza, ogni proposito di fuga. Le sue spalle si erano scostate dal petto di lui, i suoi fianchi erano sembrati afflosciargli contro, le cosce e quella zona innominabile tra esse venivano sbattute con forza dalle mani convulse di Luke contro una sporgenza del corpo di Luke dura come la roccia, ed ella aveva semplicemente desiderato di restare così fino all'ultimo dei suoi giorni, scossa sin nell'anima, colma di un vuoto, anelando... Anelando a che cosa? Non lo sapeva. Nel momento in cui l'aveva scostata da sé, si era ribellata all'idea di staccarsi da lui, sarebbe stata capace addirittura di gettarglisi addosso come una selvaggia. Ma questo aveva suggellato la sua decisione di sposare Luke O'Neill. Per non parlare della sua persuasione che le avesse fatto la cosa in seguito alla quale i bambini cominciavano a crescere.
Nessuno rimase molto stupito dalla notizia e nessuno si sognò di obiettare. La sola cosa a meravigliarli fu l'inflessibile rifiuto da parte di Meggie di scrivere al Vescovo Ralph per avvertirlo, la sua quasi isterica ripulsa della proposta di Bob di invitare a Drogheda il Vescovo Ralph e di dare una grande festa nuziale. No, no, no! aveva gridato a tutti. Lei, Meggie, che non alzava mai la voce. A quanto pareva, era offesa per il fatto che non era mai venuto a trovarli; il suo matrimonio riguardava soltanto lei, sostenne, e se Ralph non aveva avuto il tatto di venire a Drogheda soltanto per rivederli, non intendeva imporgli un obbligo al quale non avrebbe potuto sottrarsi.
Così, Fee promise di non dire una parola nelle lettere che gli scriveva; sembrava del tutto indifferente a una cosa o all'altra, né si sarebbe detto che la interessasse la scelta del marito fatta da Meggie. Tenere la contabilità di un allevamento grande come Drogheda era un lavoro che l'assorbiva completamente. Le registrazioni di Fee sarebbero state utili a uno storico, come descrizione perfetta della vita in un allevamento di ovini, poiché non si riducevano semplicemente a cifre e registri. Ogni spostamento di ogni gregge era minuziosamente descritto, così come i cambiamenti stagionali, le condizioni meteorologiche di ogni giorno, e persino l'ora alla quale la signora Smith serviva la cena. Le annotazioni nel diario relative al 22 luglio 1934, una domenica, dicevano: «Cielo sereno, non una nube, temperatura all'alba quindici gradi sotto zero. Oggi niente Messa. Bob è a casa, Jack si trova a Murrimbah con due guardiani. Hughie è a West Dam con un guardiano; "Barile di birra" sta conducendo i castroni di tre anni da Budgin a Winnemurra. Temperatura alta alle ore quindici, un grado sotto zero. Pressione barometrica immutata. Vento da ovest. Menù a cena: manzo salato, patate lesse, carote e cavoli, poi budino di prugne. Meghann Cleary sposerà il signor Luke O'Neill, guardiano, sabato 25 agosto, nella chiesa della Santa Trinità, a Gillanbone. Alle ore ventuno, temperatura discesa a dodici gradi sotto zero, luna all'ultimo quarto.»
11
Luke comprò a Meggie un anello di fidanzamento con brillanti, modesto ma assai grazioso, con le due pietre gemelle da un quarto di carato incastonate in due cuoricini di platino. Le pubblicazioni annunciarono che il matrimonio sarebbe stato celebrato a mezzogiorno di sabato 25 agosto nella chiesa della Santa Trinità. Alla cerimonia avrebbe fatto seguito un pranzo intimo all'Hotel Imperial, al quale, naturalmente, erano state invitate anche la signora Smith, Minnie e Cat, sebbene Jims e Patsy fossero stati lasciati a Sydney, avendo Meggie dichiarato con fermezza che non vedeva il motivo di far fare ai gemelli un viaggio di novecentosessanta chilometri allo scopo di assistere a una cerimonia per loro incomprensibile. Le erano pervenute le loro lettere di congratulazioni; quella di Jims lunga, confusa e puerile, quella di Patsy di appena quattro parole: «Un mucchio di fortuna». I gemelli conoscevano Luke, avendo cavalcato con lui nei pascoli di Drogheda durante le vacanze.
La signora Smith si affliggeva perché Meggie voleva a tutti i costi una cerimonia semplicissima; aveva sperato di vedere l'unica femmina della famiglia sposarsi a Drogheda tra sventolii di bandiere e armonie di cembali, con giorni e giorni di festeggiamenti. Ma Meggie era tanto contraria che rifiutò persino di indossare il vestito nuziale; si sarebbe sposata in abito a giacca e con un normalissimo cappellino, che in seguito le sarebbero serviti anche per il viaggio di nozze.
«Tesoro, ho deciso dove condurti per la nostra luna di miele» disse Luke, lasciandosi cadere sulla poltrona di fronte alla sua, la domenica successiva a quella in cui avevano fatto i progetti per le nozze.
«Dove?»
«Nel Queensland settentrionale. Mentre eri dalla sarta, ho parlato con certi uomini nel bar dell'Imperial e mi hanno detto che si può guadagnare parecchio nella regione delle canne, se uno è robusto e non ha paura delle fatiche.»
«Ma Luke, tu hai già un buon posto qui!»
«Un uomo non si sente a suo agio vivendo sulle spalle dei parenti d'acquisto. Voglio guadagnare abbastanza per comprare un allevamento nel Queensland occidentale, e voglio acquistarlo prima di essere troppo vecchio per lavorare. Non è facile, per chi non ha studiato, trovare un lavoro che renda in tempo di crisi, ma nel Queensland settentrionale manca la mano d'opera e posso guadagnare almeno dieci volte più della paga di un guardiano a Drogheda.»
«Facendo che cosa?»
«Tagliando canne da zucchero.»
«Tagliando canne da zucchero? Ma è un lavoro da coolies!»
«No, sbagli, i coolies non sono abbastanza robusti per cavarsela bene come i bianchi, e del resto, sai bene quanto me che la legge australiana vieta di far venire negri o gialli per adibirli a lavori da schiavi o per farli lavorare con paghe inferiori a quelle dei bianchi, togliendo così il pane di bocca a noi. Mancano i tagliatori di canne, e le paghe sono fantastiche. Non molti uomini sono grossi o forti abbastanza per tagliare le canne da zucchero. Ma io posso farcela. Il lavoro non mi ucciderà!»
«Questo significa che dovremmo stabilirci nel Queensland.»
Guardò, oltre la spalla di lui, e al di là della fila di finestre, Drogheda: gli eucalipti chiari, lo Home Paddock, gli alberi più lontani. Non vivere a Drogheda! Risiedere in qualche località ove il Vescovo Ralph non avrebbe mai potuto trovarla, essere legata all'estraneo seduto di fronte a lei così irrevocabilmente da non poter tornare indietro mai più... Gli occhi grigi si posarono sulla faccia vivida e impaziente di Luke e diventarono più belli, ma inequivocabilmente più tristi. Lui si limitò a intuirlo; non c'erano lacrime in quegli occhi, le palpebre non si abbassarono, né si abbassarono gli angoli della bocca. D'altro canto, non lo interessavano le sofferenze di Meggie, quali che fossero, perché non aveva alcuna intenzione di lasciarla divenire così importante per lui da essere costretto ad accettare il fardello delle sue pene. Ovviamente, Meggie era un trofeo per un uomo che aveva tentato di sposare Dot MacMCPherson, di Bingelly, ma la sua desiderabilità fisica e la sua indole docile non facevano che intensificare la sorveglianza di Luke sul proprio cuore. Nessuna donna, nemmeno una creatura soave e bella come Meggie Cleary, avrebbe mai conquistato un tal potere su di lui da dirgli che cosa doveva fare.
«Meghann, io sono un uomo all'antica» disse.
Lo fissò interdetta. «Ah, sì?» mormorò, e il tono della voce parve voler dire: «Ha qualche importanza?»
«Sì» rispose lui. «Credo che quando un uomo e una donna si sposano, tutto ciò che appartiene alla moglie debba passare al marito. Come si faceva un tempo con la dote. So che tu hai un po' di denaro e ti dico sin d'ora che, quando ci sposeremo, dovrai passarlo a me per iscritto. È giusto che tu sappia come la penso finché sei nubile e puoi decidere se approvi o no.»
Meggie non si era mai sognata di pensare che avrebbe tenuto per sé quei soldi; aveva semplicemente supposto che, quando si fossero sposati, il denaro sarebbe appartenuto a Luke, non a lei. Tutte le donne australiane, tranne le più colte e le più sofisticate, venivano educate in modo da ritenersi più o meno un bene mobile del marito, e ciò era particolarmente vero per Meggie. Paddy aveva sempre comandato a bacchetta Fee e i suoi figli, e, dopo la morte di lui, Fee ne aveva considerato Bob il successore. All'uomo appartenevano il denaro, la casa, la moglie e i figli, e Meggie non aveva mai posto in dubbio tali diritti.
«Oh!» esclamò. «Non sapevo che fosse necessario mettere per iscritto queste cose, Luke. Pensavo che quanto è mio sarebbe automaticamente divenuto tuo dopo il matrimonio.»
«Un tempo era così, ma quegli stupidi arruffoni a Canberra hanno cambiato tutto concedendo il diritto di voto alle donne. Io voglio che tutto sia molto chiaro tra noi, Meghann, e pertanto ti dico sin d'ora come staranno le cose.»
Rise. «Per me va benissimo, Luke. Non me ne importa.»
Accettava la situazione da buona moglie all'antica; Dot non avrebbe ceduto così facilmente. «Quanto denaro hai?» le domandò.
«In questo momento quattordicimila sterline. Ogni anno se ne aggiungono altre duemila.»
Lui si lasciò sfuggire un sibilo. «Quattordicimila sterline! Perdiana! Sono un mucchio di soldi, Meghann. È meglio che li amministri io. Possiamo parlare con il direttore della banca la settimana prossima; e ricordami di accertarmi che in avvenire tutto venga versato a mio nome. Non toccherò un penny del denaro, questo lo sai. Servirà dopo, per acquistare il nostro allevamento. Per qualche anno dovremo lavorare duramente tutti e due e mettere da parte ogni penny che guadagneremo. Sei d'accordo?»
Meggie annuì. «Sì, Luke.»
Una semplice dimenticanza da parte di Luke per poco non mandò a monte il matrimonio durante i preparativi. Non era cattolico. Quando venne a saperlo, Padre Watty alzò le mani inorridito.
«Buon Dio, Luke, perché non me lo ha detto prima? Adesso dovremo mettercela tutta per convertirla e battezzarla prima delle nozze!»
Luke fissò Padre Watty, stupefatto. «Chi ha mai detto di volersi convertire, Padre? Per me va benissimo non essere niente, ma, se la cosa la preoccupa, scriva pure che appartengo a una setta qualsiasi, anche a quella degli Holy Rollers, o qualunque altra cosa le venga in mente. Ma cattolico non mi farà diventare.»
Invano lo esortarono. Luke si rifiutò di prendere in considerazione anche soltanto per un momento la possibilità di convertirsi. «Non ho niente contro il cattolicesimo o l'Eire e penso che i cattolici nell'Ulster siano maltrattati. Ma sono un orangista e non un voltagabbana. Se fossi cattolico e voleste farmi convertire al protestantesimo, mi regolerei nello stesso modo. È all'essere un voltagabbana che sono contrario, non all'essere un cattolico. Di conseguenza, dovrà fare a meno di me nel suo gregge, Padre, e non rimane altro da dire.»
«Allora non può sposarsi!»
«Perché no, in nome del Cielo? Se lei non vuole unirci in matrimonio, non vedo perché dovrebbe fare obiezioni il reverendo della Chiesa d'Inghilterra; e anche il giudice di pace, Harry Gough, non avrebbe niente da ridire.»
Fee fece un sorrisetto acidulo, ricordando i suoi contrasti con Paddy e il prete; ma era stata lei ad avere la meglio.
«Però, Luke, io devo sposarmi in chiesa!» protestò Meggie, timorosa. «Altrimenti, vivrei nel peccato!»
«Be', per quanto mi concerne, vivere nel peccato è molto meglio che essere un voltagabbana» disse Luke, nel quale, a volte, esistevano strane contraddizioni; per quanto ci tenesse al denaro di Meggie, una cieca caparbietà non gli consentiva di cedere.
«Oh, finiamola con tutte queste sciocchezze!» disse Fee, rivolta non a Luke, ma al sacerdote. «Regolatevi come facemmo Paddy e io e basta con le discussioni! Padre Thomas può unirvi in matrimonio nella canonica, se non vuole profanare la sua chiesa!»
La fissarono tutti, meravigliati, ma l'espediente riuscì; Padre Watkin cedette e si rassegnò a sposarli nella canonica, anche se rifiutò di benedire l'anello.
Quella parziale sanzione della Chiesa lasciò in Meggie la sensazione di peccare, ma non così gravemente da dover finire all'inferno, e l'anziana Annie, la governante della canonica, fece del suo meglio affinché lo studio di Padre Watty somigliasse il più possibile a una chiesa, sistemandovi grandi vasi di fiori e molti candelabri d'ottone. Ma fu una cerimonia che li fece sentire tutti a disagio, perché il sacerdote, molto dispiaciuto, lasciò capire di essersi rassegnato soltanto per evitarsi l'imbarazzo di un matrimonio secolare altrove. Non ci fu la Messa nuziale, non ci fu la benedizione.
Comunque, era fatta. Meggie divenne la signora O'Neill, in partenza per il Queensland e per una luna di miele che sarebbe stata ritardata alquanto dal tempo necessario per arrivarci. Luke non volle trascorrere la notte di sabato all'Imperial, perché il treno della linea secondaria di Goondiwindi partiva solo una volta la settimana, il sabato sera, per la coincidenza con il treno postale Goondiwindi-Brisbane, la domenica. Sarebbero così arrivati a Brisbane lunedì, in tempo per prendere il rapido di Cairns.
Il treno per Goondiwindi era gremito. Non poterono consentirsi alcuna intimità e rimasero seduti tutta la notte perché non esistevano vagoni letto. Un'ora dopo l'altra, il convoglio sferragliò procedendo verso nord-ovest con la sua marcia capricciosa e svogliata, facendo fermate interminabili ogni volta che al macchinista saltava in mente di prepararsi il tè, o di farsi una chiacchierata con un mandriano, o di consentire a un gregge di pecore di attraversare le rotaie.
«Chissà perché pronunciano (Goon)diwindi come se fosse (Gun)diwindi?» domandò Meggie, distrattamente, nella spaventosa sala d'aspetto della stazione, dipinta nel solito classico verde, con le dure panche di legno scuro, unico luogo pubblico aperto a Goondiwindi di domenica. Povera Meggie, era nervosa e si sentiva a disagio.
«Cosa ne so io?» sospirò Luke, che non aveva voglia di parlare, e per giunta era affamato. Essendo domenica, non riuscirono a bere nemmeno una tazza di tè; soltanto la fermata per la colazione del postale diretto a Brisbane, lunedì mattina, consentì loro di riempirsi lo stomaco e di placare la sete. Poi, a Brisbane, dalla stazione di South Bris, dovettero attraversare la città per portarsi alla stazione di Roma Street, dalla quale partivano i treni per Cairns. Lì Meggie scoprì che Luke aveva prenotato due posti di seconda classe, e non nel vagone letto.
«Luke, non siamo a corto di denaro!» esclamò, stanca ed esasperata. «Se hai dimenticato di andare in banca, io ho nella borsetta cento sterline che mi ha dato Bob. Perché non hai prenotato uno scompartimento letto di prima classe?»
La fissò stupefatto. «Ma sono appena tre notti e tre giorni di viaggio fino a Dungloe! Perché buttar via denaro per il vagone letto, visto che siamo entrambi giovani, sani e forti? Startene seduta su un treno per qualche tempo non ti ucciderà, Meghann! Sarebbe tempo, ormai, che ti rendessi conto di avere sposato un semplice lavorante e non un dannato proprietario!»
Così Meggie si abbandonò nel posto accanto al finestrino che Luke le aveva trovato e appoggiò il mento tremante alla mano, per guardar fuori, affinché lui non vedesse le lacrime. Le aveva parlato come si può parlare a una bambina irresponsabile, e stava cominciando a domandarsi se per caso la considerasse davvero così. C'era in lei un inizio di ribellione, ma molto piccolo, e inoltre il suo feroce orgoglio le vietava l'indegnità di un litigio. Disse invece a se stessa che lei era la moglie di quell'uomo, e questo doveva costituire per lui una novità alla quale non poteva essere abituato. Bisognava dargli tempo. Avrebbero vissuto insieme, doveva cucinargli i pasti, rammendargli i vestiti, occuparsi di lui, mettere al mondo i suoi figli, essere una buona moglie. Bisognava che ricordasse quanto Pa' aveva stimato Ma', quanto l'aveva adorata. Doveva dargli tempo.
Si stavano recando in una cittadina chiamata Dungloe, appena ottanta chilometri prima di Cairns, l'ultima stazione, la più settentrionale, della linea ferroviaria che seguiva l'intera costa del Queensland. Più di milleseicento chilometri di binari a scartamento ridotto, e i vagoni che dondolavano e beccheggiavano su e giù, e tutti i posti dello scompartimento occupati, senza mai la possibilità di coricarsi o distendersi almeno in parte. Sebbene le campagne fossero di gran lunga più popolate dei dintorni di Gilly, e di gran lunga più pittoresche, Meggie non riusciva a trovare in se stessa il benché minimo interessamento.
Le doleva il capo, non riusciva a trattenere il cibo nello stomaco e la calura era molto, molto peggiore di quella che avesse mai sofferto a Gilly. Aveva il bel vestito di seta rosa, messo per le nozze, insudiciato dalla fuliggine che penetrava dai finestrini, la pelle era resa viscida da un sudore che non voleva saperne di evaporare; e inoltre, sensazione più esasperante di qualsiasi disagio materiale, stava quasi per odiare Luke. Apparentemente per nulla stanco o innervosito dal viaggio, egli sedeva disinvolto e conversava con due uomini diretti a Cardwell. Le sole volte che sbirciò dalla sua parte lo fece per alzarsi, sporgersi oltre di lei con tanta noncuranza da costringerla a tirarsi indietro, e lanciare un giornale arrotolato a qualche gruppo di uomini avidi di notizie e laceri, che, con mazze di ferro, aspettavano accanto ai binari e gridavano:
«Giornali! Giornali!»
«Manovali addetti alla manutenzione della linea ferroviaria» spiegò la prima volta, e poi si rimise a sedere.
Sembrava persuaso che Meggie fosse felicissima e comodissima come lui e che il paesaggio saettante della pianura costiera l'affascinasse. Mentre Meggie si limitava a fissarlo senza vederlo, odiandolo ancor prima di avervi posto piede.
A Cardwell, i due uomini discesero, e Luke si recò nella bottega di pesce fritto e patatine, al lato opposto della strada di fronte alla stazione; tornò indietro con un pacco avvolto in carta di giornale.
«Dicono che il pesce di Cardwell deve essere gustato per crederci, Meghann, amor mio. È il pesce migliore del mondo. Qua, assaggiane un po'. È la prima volta che hai modo di apprezzare il cibo genuino del "Bananaland". Credi a me, non esistono altri posti come il Queensland.»
Meggie sbirciò gli unti pezzi di pesce avvolti nella pastella, si portò il fazzoletto alla bocca e si precipitò nella toletta. Luke stava aspettando nel corridoio quando uscì, qualche tempo dopo, bianca in faccia e tremante.
«Che cosa c'è? Non stai bene?»
«Non mi sono sentita bene da quando siamo partiti da Goondiwindi.»
«Dio buono! Perché non me lo hai detto?»
«Perché, non te ne sei accorto?»
«Mi sembrava che stessi benissimo.»
«Quanto manca, ancora?» domandò lei, rinunciando.
«Da tre a sei ore, più o meno. Non rispettano molto gli orari, qui. C'è posto in abbondanza, adesso che quei due sono discesi; coricati e mettimi i piedini in grembo.»
«Oh, non parlarmi come se fossi una bimbetta!» scattò stizzita. «Mi sentirei molto meglio se fossero discesi due giorni fa a Bundaberg!»
«Andiamo, Meghann, fai la brava! Siamo quasi arrivati. Mancano soltanto Tully e Innisfail, e poi saremo a Dungloe.»
Era il pomeriggio tardi quando scesero dal treno, Meggie avvinghiandosi disperatamente al braccio di Luke, troppo orgogliosa per confessare che non riusciva a stare in equilibrio. Lui chiese al capostazione il nome di un albergo per lavoratori, sollevò le valigie e uscì in istrada, seguito da Meggie che barcollava come se fosse stata ubriaca.
«È appena in fondo all'isolato sull'altro lato della strada» la consolò lui. «L'edificio bianco a due piani.»
Sebbene la loro camera fosse piccola e piena fino a traboccare di grossi mobili vittoriani, parve un paradiso a Meggie, che crollò su un lato del letto a due piazze.
«Dormi un po' prima di cena, amore. Io vado fuori a orizzontarmi» disse Luke, uscendo dalla stanza fresco e riposato come la mattina delle nozze. Si erano sposati sabato e adesso era il tardo pomeriggio di giovedì; per cinque giorni avevano viaggiato seduti su treni affollati, soffocando nel fumo delle sigarette e nella fuliggine.
Il letto oscillava con movimenti monotoni allo sferragliare delle ruote d'acciaio sugli scambi, ma Meggie affondò il capo nel guanciale con gratitudine, e dormì e dormì.
Qualcuno le aveva tolto le scarpe e le calze, coprendola inoltre con il lenzuolo; Meggie si mosse, aprì gli occhi e si guardò attorno. Luke sedeva sul davanzale della finestra, con un ginocchio sollevato, fumando. Il movimento sul letto fece sì che si voltasse a guardarla. Sorrise.
«Bella sposa sei tu! Eccomi qui, in impaziente attesa della luna di miele, e mia moglie cade in letargo per quasi due giorni. Ero un po' preoccupato non riuscendo a svegliarti, ma l'albergatore ha detto che alle donne capita così, il viaggio in treno e l'umidità. Ha detto di lasciarti smaltire la stanchezza dormendo. Come ti senti, adesso?»
Venne a sedersi sulla sponda del letto, massaggiandole il braccio con un gesto di pentimento. «Mi dispiace, Meggie, sul serio. Non ho pensato al fatto che sei una donna. Non sono abituato ad avere una moglie, ecco tutto. Hai appetito, tesoro?»
«Sono affamata. Ti rendi conto che non mangio da quasi una settimana?»
«Allora perché non fai il bagno, ti metti un vestito nuovo e vieni fuori a dare un'occhiata a Dungloe?»
C'era un ristorante cinese accanto all'albergo, e Luke vi condusse Meggie a farle gustare per la prima volta i cibi orientali. Era tanto affamata che qualsiasi cosa le sarebbe sembrata ottima, ma quei piatti erano superbi. Né si curò di sapere se fossero fatti con code di topo e pinne di pescecane e interiora di galline, come correva voce a Gillanbone, ove esisteva un solo ristorante gestito da greci, che servivano bistecche e patatine fritte. Luke aveva portato dall'albergo, in un sacchetto di carta, due bottiglie di birra e volle a tutti i costi fargliene bere un bicchiere, sebbene la birra non le piacesse.
«Vacci piano con l'acqua, all'inizio» la consigliò. «La birra non ti farà venire il corri-corri.»
Poi la prese sottobraccio e la condusse a spasso per Dungloe tutto fiero, come se la piccola cittadina fosse stata una sua proprietà. Luke era nato nel Queensland. Che posto era Dungloe! Aveva un aspetto e un carattere tutti diversi da quelli delle cittadine dell'ovest. In quanto a dimensioni, equivaleva probabilmente a Gilly, ma invece di essere disposta lungo la via principale, Dungloe era costruita a isolati quadrati e ordinati, con tutte le case e tutti i negozi verniciati di bianco, e non di marrone. Le finestre erano sportelli di legno che giravano intorno a un asse orizzontale, presumibilmente per fare entrare la brezza. Tutte le volte che si poteva farne a meno, non c'erano i tetti: il cinematografo si riduceva a uno schermo, quattro pareti di pannelli mobili, e tante file di sedie pieghevoli di tela.
Un'autentica giungla assediava la cittadina alla periferia. I rampicanti invadevano ogni cosa... si arrampicavano su per i pali, sopra i tetti, sui muri. C'erano alberi che spuntavano in mezzo alle strade o attraverso le case. Sarebbe stato impossibile stabilire chi fosse venuto prima, se gli alberi o le case: l'impressione dominante era quella di una crescita di vegetazione incontrollata e frenetica. Palme da cocco più alte e più diritte degli eucalipti di Drogheda facevano ondeggiare le loro fronde sullo sfondo del cielo di un blu intenso, liquido; ovunque Meggie guardasse, c'erano vampate di colori. Non si trattava di una regione rossiccia e grigia. Ogni tipo di albero sembrava essere in fiore... fiori viola, arancione, scarlatti, rosa, azzurri, bianchi.
C'erano molti cinesi con pantaloni di seta nera, scarpe minuscole nere e bianche, calze bianche, camicie bianche con il colletto da Mandarini, e i codini giù per la schiena. Uomini e donne sembravano tutti così uguali che a Meggie riusciva difficile distinguerli. Quasi tutte le attività commerciali della cittadina sembravano trovarsi nelle mani dei cinesi; su un grande magazzino, di gran lunga più opulento di qualsiasi negozio potesse vantare Gilly, figurava un nome cinese: Da Ah Wong, diceva l'insegna.
Tutte le case erano costruite in cima a pali molto alti, un po' come la vecchia abitazione del capo-guardiano a Drogheda. Questo per facilitare al massimo la circolazione dell'aria, spiegò Luke, e per impedire alle termiti di far crollare le case un anno dopo che erano state costruite. Alla sommità di ciascun palo c'era un disco di latta a forma di imbuto voltato verso il basso; le termiti non possono piegare il corpo al centro e, di conseguenza, non riuscivano ad arrampicarsi oltre l'ostacolo di latta fino al legname della casa vera e propria. Naturalmente, banchettavano con i pali, ma, non appena un palo era tutto traforato, veniva tolto e sostituito con uno nuovo. Molto più semplice e meno costoso che costruire una casa nuova. Quasi tutti i giardini sembravano una giungla, con bambù e palmizi, come se gli abitanti avessero rinunciato al tentativo di mantenere l'ordine nei fiori.
Gli uomini e le donne la scandalizzarono. Per andare a pranzo e passeggiare con Luke, Meggie si era vestita come imponevano le costumanze: scarpette dal tacco alto, calze di seta, sottoveste di seta, ampio vestito di seta, con cintura e le maniche fino ai gomiti. Sul capo portava un ampio cappello di paglia, aveva le mani guantate. E a irritarla soprattutto fu la sensazione imbarazzante — stando a come la gente la fissava — di essere lei a vestire in modo indecente!
Gli uomini si aggiravano a piedi nudi, a gambe nude e quasi tutti a torso nudo, senza indossare altro che sudici calzoncini kaki. I pochi che si coprivano la metà superiore del corpo indossavano canottiere, non camicie. Le donne erano ancor peggio. Alcune portavano vestiti di cotone ridotti al minimo e ovviamente senza biancheria sotto; non avevano le calze e ciabattavano con sandali malconci. Ma, nella grande maggioranza, si limitavano a corti calzoncini, andavano a piedi nudi e si coprivano il seno con indecenti, esigue camiciole senza maniche. Dungloe era una cittadina, non una spiaggia, eppure ecco che i suoi abitanti di razza bianca passeggiavano sfrontatamente mezzi nudi.
C'erano biciclette dappertutto, a centinaia; alcune automobili, e nemmeno un cavallo. Sì, tutto molto diverso da Gilly. E faceva caldo, caldo, caldo. Passarono accanto a un termometro che, incredibilmente, segnava appena trentadue gradi; a Gilly, con quaranta gradi, sembrava facesse più fresco. A Meggie pareva di muoversi attraverso aria compatta, che il suo corpo dovesse muoversi, tagliare del burro, e aveva l'impressione, respirando, che i polmoni le si riempissero d'acqua.
«Luke, non resisto più! Possiamo tornare all'albergo, per piacere?» ansimò, dopo meno di un chilometro e mezzo.
«Se vuoi. Stai sentendo l'umidità. Di rado scende sotto il novanta per cento, in inverno o in estate, e la temperatura di rado si abbassa sotto i trenta gradi o sale al di sopra dei trentasei. Non esistono grandi variazioni stagionali, ma in estate i monsoni fanno salire l'umidità al cento per cento durante tutti quei mesi infuocati.»
«Piove in estate, non in inverno?»
«Piove per tutto l'anno. I monsoni soffiano sempre, e quando non abbiamo i monsoni, abbiamo gli alisei di sud-est. Anche quelli portano molta pioggia. A Dungloe le precipitazioni annue variano da duecentocinquanta a settecentocinquanta centimetri.»
Settecentocinquanta centimetri di pioggia all'anno! E la povera Gilly andava in estasi per trentadue principeschi centimetri di precipitazioni, mentre lì, a tremiladuecento chilometri di distanza, ne cadevano anche settecentocinquanta centimetri.
«Di notte non fa più fresco?» domandò Meggie mentre arrivavano all'albergo; le notti afose di Gilly sembravano sopportabili, in confronto a quel bagno di vapore.
«Non molto, ma ti ci abituerai.» Aprì la porta della loro camera e si scostò per farla entrare. «Io scendo nel bar a bere una birra, ma tornerò tra mezz'ora. Questo dovrebbe concederti tempo a sufficienza.»
Alzò fulmineamente gli occhi sul viso di lui, sorpresa. «Sì, Luke.»
Dungloe si trovava diciassette gradi a sud dell'equatore, per cui la notte scendeva come un colpo di tuono; a un certo momento sembrava che il sole stesse appena cominciando a tramontare, e, un momento dopo, si diffondevano fitte tenebre, dense e calde come melassa. Quando Luke tornò, Meggie aveva spento la luce e si era messa a letto coperta fino al mento dal lenzuolo. Ridendo, egli si chinò, glielo strappò di dosso e lo gettò sul pavimento.
«Fa già abbastanza caldo, amore! Non avremo bisogno del lenzuolo.»
Lo udì camminare qua e là, vide l'ombra vaga di lui mentre si spogliava. «Ti ho messo il pigiama sul tavolino da toletta» bisbigliò.
«Il pigiama? Con un clima simile? So che a Gilly avrebbero un colpo pensando a un uomo che non portasse il pigiama, ma qui siamo a Dungloe! E tu ti sei messa davvero la camicia da notte?»
«Sì.»
«Allora toglitela. Il dannato aggeggio sarà soltanto un inciampo, del resto.»
Annaspando e contorcendosi, Meggie riuscì a sfilarsi la camicia di batista che la signora Smith aveva ricamato così amorevolmente per la sua prima notte di nozze; era lieta dell'oscurità, troppo fitta perché lui potesse vederla. Luke aveva ragione. Si stava molto più freschi giacendo nudi e lasciandosi accarezzare il corpo dalla brezza che penetrava attraverso le finestre. Ma il pensiero di un altro corpo caldo nel letto accanto a lei era sconfortante.
Le molle cigolarono; Meggie sentì pelle umida toccarle il braccio e trasalì. Luke si girò sul fianco, la prese tra le braccia e la baciò. A tutta prima rimase inerte e passiva, sforzandosi di non pensare a quella bocca spalancata e alla lingua indecente che sondava, ma poi cominciò a dibattersi per liberarsi, non volendo la vicinanza nella calura, non volendo essere baciata, non volendo Luke. Non era affatto come quella notte sulla Rolls-Royce, al ritorno da Rudna Hunish. Le sembrava di non sentire niente in Luke che pensasse a lei, e inoltre una qualche parte di Luke esercitava una pressione insistente contro le sue cosce, mentre una mano, dalle unghie taglienti e quadrate, le affondava nelle natiche. La paura divenne terrore e Meggie fu travolta, non soltanto fisicamente, dalla forza e dalla decisione di lui, dall'assenza di ogni tenerezza. A un tratto la lasciò andare, si drizzò a sedere e parve annaspare con se stesso, tendendo e tirando qualcosa.
«Meglio stare sul sicuro» ansimò. «Sdraiati supina, è il momento. No, non così! Allarga le gambe, santo Dio! Non sai proprio niente?»
No, no, Luke, non farlo! avrebbe voluto gridare. Questo è orribile, è osceno, qualsiasi cosa tu mi stia facendo non può essere consentita dalle leggi della Chiesa o degli uomini! Egli le si sdraiò addosso, sollevò i fianchi e la frugò con una mano, afferrandole con l'altra tanto saldamente i capelli che lei non osava muoversi. Guizzando e sobbalzando a causa della cosa estranea tra le gambe, cercò di fare come Luke voleva, allargò ancor più le gambe, ma lui era molto pesante e i muscoli dell'inguine le causarono gli spasimi dei crampi. Anche attraverso le brume sempre più scure della paura e della spossatezza sentì il raccogliersi di una qualche forza formidabile; quando Luke la penetrò, un lungo grido acuto le sfuggì dalle labbra.
«Chiudi il becco» ringhiò, le tolse la mano dai capelli e gliela piazzò sulla bocca. «Che cosa vuoi combinare, vuoi far pensare a tutti in questo maledetto albergo che ti stia assassinando? Sta' ferma e non ti farà più male del necessario! Sta' ferma, sta' ferma!»
Meggie lottò come un'ossessa per liberarsi di quella cosa spaventosa, dolorosa, ma il peso di Luke la inchiodava, la mano le premeva sulla bocca e la sofferenza continuò e continuò. Del tutto asciutta, perché non era stata eccitata, si sentiva raschiare e raspare i tessuti dal preservativo ancor più asciutto, mentre egli affondava e si sollevava, sempre più rapidamente, e il respiro cominciava a sibilargli tra i denti, poi un cambiamento lo immobilizzò, lo fece fremere e deglutire spasmodicamente. Il dolore divenne un sordo indolenzimento e, misericordiosamente, Luke rotolò giù da lei per giacere supino e ansimante.
«La prossima volta sarà meglio per te» riuscì a dire. «La prima volta è sempre dolorosa per la donna.»
Allora perché non hai avuto la decenza di dirmelo prima? avrebbe voluto ringhiare Meggie, ma non possedeva neppur più la forza di pronunciare queste parole, era troppo assorta nel desiderio di morire. Non soltanto a causa del dolore, ma anche perché aveva scoperto di essere priva di ogni identità per lui, di essere soltanto uno strumento.
La seconda volta risultò altrettanto dolorosa e così la terza; esasperato, perché si aspettava che il disagio di lei (pensava fosse disagio) scomparisse magicamente dopo la prima volta, e non riuscendo a capire, di conseguenza, come mai continuasse a dibattersi e a gridare, Luke si adirò, le voltò le spalle e si addormentò. Con i capelli bagnati dalle lacrime che le striavano le gote, Meggie giacque supina augurandosi la morte, o almeno la vita di un tempo a Drogheda.
Si era riferito a questo, Padre Ralph, anni addietro, accennandole al passaggio nascosto in rapporto con il mettere al mondo bambini? Bel modo di scoprire che cosa aveva voluto dirle! Non poteva stupirsi se aveva preferito non spiegarsi più chiaramente. Eppure a Luke quella ginnastica era piaciuta tanto da indurlo a ripeterla per tre volte in rapida successione. Ovviamente a lui la cosa non faceva alcun male. E anche per questo si sorprese a odiare Luke e a odiare la faccenda.
Spossata, e indolenzita a tal punto che un semplice movimento la torturava, Meggie si spostò a poco a poco dalla sua parte del letto voltando le spalle a Luke e pianse contro il guanciale. Non riuscì ad addormentarsi. Luke dormiva così profondamente che i suoi piccoli, timidi movimenti non gli modificavano nemmeno il ritmo del respiro. Dormiva placidamente, senza russare né agitarsi, e Meggie, aspettando l'alba tardiva, pensò che se si fosse trattato soltanto di dormire insieme, avrebbe potuto trovare piacevole stare con lui. Poi l'alba spuntò, rapida e senza gioia, com'era accaduto con l'oscurità; parve strano, ora, non udire i galli cantare, e tutti gli altri suoni di Drogheda al risveglio, con le pecore, i cavalli, i maiali e i cani.
Luke si destò e si girò verso di lei; si sentì baciare sulla spalla, ed era tanto stanca e in preda a una tale nostalgia della casa, che dimenticò il pudore e non si curò di coprirsi.
«Suvvia, Meghann, fatti guardare» le ordinò, mettendole una mano sull'anca. «Voltati, da brava bambina.»
Quel mattino, sembrava che più nulla rivestisse importanza; Meggie si girò, trasalendo, e giacque supina, guardandolo con occhi spenti. «Non mi piace il nome Meghann», disse, la sola forma di protesta che le venne in mente. «Vorrei che tu mi chiamassi Meggie.»
«Meggie non mi va. Ma se Meghann ti dispiace davvero tanto, ti chiamerò Meg.» Lo sguardo di lui passò sognante sul suo corpo. «Che belle forme hai.» Le toccò un seno, con il capezzolo roseo piatto e floscio. «Specie queste.» Dopo aver messo i guanciali uno sull'altro, si appoggiò a essi e sorrise. «Vieni Meg, baciami. Tocca a te adesso fare all'amore con me, e forse così ti piacerà di più, eh?»
Non voglio baciarti mai più finché vivrò, pensò lei, guardando il corpo lungo e ricco di muscoli, l'intrico di peli scuri sul petto; scendevano fino al ventre come una linea sottile e poi si allargavano formando un cespuglio dal quale sporgeva il germoglio ingannevolmente piccolo e innocente che poteva causare tanto dolore. Che gambe pelose aveva! Meggie era cresciuta con uomini che non si spogliavano mai nemmeno un po' alla presenza dell'altro sesso, ma le camicie dal colletto aperto lasciavano intravedere toraci pelosi quando faceva caldo. Erano tutti uomini dalla carnagione chiara, che non le ripugnavano; quest'uomo bruno era forestiero, repellente. Padre Ralph aveva capelli altrettanto neri, ma lei ricordava bene quel suo torace liscio, abbronzato, glabro.
«Fa' come ti ho detto, Meg! Baciami!»
Sporgendosi, lo baciò; egli le mise le mani a coppa intorno ai seni, la costrinse a continuare a baciarlo, le afferrò una mano e la spinse in giù contro il proprio inguine. Spaventata, Meggie staccò la bocca riluttante da quella di lui per guardare quanto aveva sotto la mano, il coso che cambiava e cresceva.
«Oh, per piacere, Luke, non di nuovo!» gridò. «Per piacere, non di nuovo! Ti prego, ti prego!»
Gli occhi azzurri la scrutarono, interrogativi. «Fa così male? E va bene, lo faremo in un altro modo, ma, per amor di Dio, cerca di dimostrare un po' di entusiasmo!»
Issatala sopra di sé, le divaricò le gambe, le sollevò le spalle e si attaccò al seno come aveva fatto sull'automobile, la notte in cui si era impegnata a sposarlo. E Meggie, almeno fisicamente, sopportò; questa volta non si era introdotto in lei, e pertanto il dolore si riduceva a quello causato dal semplice movimento. Che strane creature erano gli uomini, spossarsi in quella faccenda come se fosse stata la cosa più piacevole del mondo. Era disgustoso, una derisione dell'amore. Se non fosse stato per la speranza che tutto questo potesse culminare con un bambino, Meggie si sarebbe rifiutata recisamente di prestarsi ancora a una simile ginnastica.
«Ti ho trovato un lavoro» disse Luke, durante la colazione nella sala da pranzo dell'albergo.
«Cosa? Prima che abbia avuto modo di rendere graziosa la nostra casa, Luke? Prima ancora che abbiamo una casa?»
«Non ha scopo prendere in affitto una casa, Meg. Io taglierò canne da zucchero, è già tutto deciso. Il miglior gruppo di tagliatori del Queensland è formato da svedesi, polacchi e irlandesi agli ordini di un tizio a nome Arne Swenson, e mentre tu smaltivi la stanchezza del viaggio dormendo, sono andato a parlargli. È un uomo che viene subito al dunque, e è disposto a mettermi alla prova. Questo significa che vivrò nei loro alloggi. Tagliamo canne per sei giorni alla settimana, dall'alba al tramonto; non solo, ma ci spostiamo avanti e indietro lungo la costa, ovunque ci sia del lavoro. Quello che guadagnerò dipenderà da quante canne da zucchero riuscirò a tagliare, e, se dimostrerò di essere bravo abbastanza per restare nel gruppo di Arne, riuscirò a intascare più di venti sterline alla settimana. Venti sterline alla settimana! Riesci a immaginarlo?»
«Stai cercando di dirmi che non vivremo insieme, Luke?»
«Non possiamo, Meg! Gli altri uomini non hanno donne negli alloggi, e a che cosa ti servirebbe abitare sola in una casa? Tanto vale che lavori anche tu; sarà tutto denaro guadagnato per il nostro allevamento.»
«Ma dove alloggerò? Che genere di lavoro posso fare? Non ci sono greggi da sorvegliare, qui.»
«No, purtroppo. Ecco perché ti ho trovato un lavoro con alloggio, Meg. Avrai vitto e alloggio gratis e non dovrai spendere un soldo per mantenerti. Lavorerai come cameriera a Himmelhoch, la piantagione di Ludwig Mueller. È il più importante coltivatore di canne da zucchero del distretto, e sua moglie è invalida, non può mandare avanti la casa per suo conto. Ti condurrò là domattina.»
«Ma quando ti vedrò, Luke?»
«Le domeniche. Luddie sa che sei sposata; non si dispiacerà se scomparirai alla domenica.»
«Ma bene! Hai organizzato le cose in modo soddisfacente per te, non c'è che dire, vero?»
«Credo di sì. Oh, Meg, diventeremo ricchi! Lavoreremo sodo, risparmieremo fino all'ultimo penny, e non ci vorrà molto prima che possiamo acquistare il più bell'allevamento del Queensland Occidentale. Ci sono le quattordicimila sterline che ho depositato nella banca di Gilly, le altre duemila che mi verranno accreditate ogni anno e le milletrecento e più sterline annue che possiamo guadagnare tra tutti e due. Non ci vorrà molto, amore, te lo prometto. Sorridi e sopporta per me, eh? Perché accontentarci di una casa in affitto se, quanto più duramente lavoreremo adesso, tanto più presto potrai guardarti attorno nella tua cucina?»
«Se è quello che vuoi.» Meggie abbassò gli occhi sulla borsetta. «Luke, le hai prese tu le mie cento sterline?»
«Le ho depositate in banca. Non puoi andare in giro con tutto quel denaro, Meggie.»
«Ma le hai prese tutte! Non ho più un penny! E per le piccole spese?»
«Perché, in nome del cielo, dovresti aver bisogno di denaro per le piccole spese? Domattina sarai a Himmelhoch e laggiù non potrai spendere niente. Il conto dell'albergo lo pagherò io. Sarebbe ora che ti rendessi conto di avere sposato un lavoratore, Meg, e di non essere più la figlia viziata del proprietario, con denaro da gettar via. Mueller verserà la tua paga direttamente sul mio conto in banca, e il denaro rimarrà là insieme al mio. Io non lo spendo per me, Meg, lo sai. Nessuno di noi due lo toccherà, è per il nostro avvenire, per il nostro allevamento.»
«Sì, capisco. Sei molto ragionevole, Luke. Ma se dovessi avere un bambino?»
Per un momento fu tentato di dirle la verità, di dirle che non avrebbero avuto bambini finché l'allevamento non fosse divenuto una realtà, ma un qualcosa nell'espressione di lei lo indusse a cambiare idea.
«Bene, attraverseremo quel ponte quando ci arriveremo, eh? Preferirei che non ci fossero bambini finché non avremo l'allevamento, e quindi speriamo di non averne.»
Né una casa, né denaro, né bambini. E nemmeno il marito, del resto. Meggie si mise a ridere. Luke rise a sua volta e levò in un brindisi la tazza del tè.
«Ai preservativi» disse.
La mattina dopo, si recarono a Himmelhoch con l'autobus locale, un vetusto Ford senza cristalli ai finestrini e con posti per dodici passeggeri. Meggie si sentiva meglio perché Luke l'aveva lasciata in pace dopo che gli era stato offerto il seno, e la cosa era sembrata piacergli quanto quell'altra, più orribile. Per quanto ci tenesse ad avere bambini, aveva esaurito la sua scorta di coraggio. La prima domenica in cui non fosse più indolenzita, disse a se stessa, sarebbe stata disposta a ritentare. Forse un bambino era già in viaggio e avrebbe potuto evitare per sempre quei contatti, a meno che non ne avesse desiderato altri. Con gli occhi più luminosi, si guardò attorno interessata mentre l'autobus percorreva scoppiettando la rossa strada di terra battuta.
Era un paesaggio da togliere il respiro, infinitamente diverso da quello di Gilly; dovette ammettere che esistevano lì una bellezza e una grandiosità assenti a Gillanbone. Si vedeva che l'acqua non mancava mai. Il suolo aveva lo stesso colore del sangue appena versato, un rosso scarlatto, e le canne da zucchero formavano un contrasto perfetto con i campi a maggese: lunghi pennacchi di un verde vivido che ondeggiavano quattro, sei metri sopra gambi color chiaretto, spessi come il braccio di Luke. In nessun altro paese al mondo, proclamò Luke, le canne crescevano così alte e tanto ricche di zucchero; il loro rendimento era il più elevato che si conoscesse. Quel suolo di un rosso vivido aveva uno spessore di oltre trenta metri ed era così saturo degli elementi nutritivi ideali che le canne non potevano non essere perfette. E in nessun altro paese del mondo le canne da zucchero venivano tagliate dai bianchi, con il dinamismo avido di denaro della loro razza.
«Saresti abile, come oratore improvvisato nei giardini pubblici, Luke» disse Meggie ironica.
La sbirciò in tralice, sospettosamente, ma si astenne dai fare commenti perché l'autobus si era fermato sul margine della strada per farli scendere.
Himmelhoch era una grande casa bianca sul cocuzzolo di una collina, circondata da palme da cocco, da banani e da bellissimi palmizi più piccoli le cui fronde si spiegavano come grandi ventagli simili a code di pavone. Un folto di bambù alti dodici metri proteggeva dai monsoni più impetuosi di nord-ovest; la casa, sebbene situata in alto sulla collina, poggiava ugualmente su pali di quattro metri e mezzo.
Luke le portò la valigia; Meggie arrancò accanto a lui su per la strada rossa, ansimante, ma sempre correttamente con scarpette e calze e il cappello che le si afflosciava intorno al viso. Il barone delle canne da zucchero non c'era, ma sua moglie si fece avanti sulla veranda, mentre loro salivano gli scalini, equilibrandosi appoggiata a due bastoni. Sorrideva; guardandone la faccia buona e gentile, Meggie si sentì subito meglio.
«Avanti, avanti!» disse la signora, con uno spiccato accento australiano.
Poiché si era aspettata una voce tedesca, Meggie si sentì incommensurabilmente rallegrata. Luke posò la valigia, scambiò una stretta di mano, quando la signora ebbe tolto la destra dal bastone, poi si precipitò giù per gli scalini, non volendo perdere l'autobus di ritorno. Arne Swenson sarebbe passato a prenderlo davanti al pub alle dieci.
«Come si chiama di nome, signora O'Neill?»
«Meggie.»
«Oh, è grazioso. Io mi chiamo Anne e preferirei che mi chiamasse Anne. Mi sono sentita così sola, qui, da quando la mia ragazza mi ha lasciata un mese fa; ma non è facile trovare buon personale, e così ho battagliato per conto mio. Siamo soltanto in due, Luddie e io, non abbiamo figli. Spero che le piacerà vivere con noi, Meggie.»
«Sono certa che mi piacerà, signora Mueller... Anne.»
«Mi consenta di farle vedere la sua stanza. Ce la fa a portare la valigia? Io non sono tanto in grado di sollevare pesi.»
La stanza era arredata in modo austero, come il resto della casa, ma dava sull'unico lato ove la vista non fosse impedita da qualche sorta di frangivento. Era lo stesso lato della veranda del soggiorno, che a Meggie parve molto nudo, con mobili di canna senza tendaggi e senza stoffe.
«Fa semplicemente troppo caldo, qui, per il velluto o il chintz» spiegò Anne. «Ci accontentiamo di poltroncine di vimini, e ci copriamo con il minimo consentito dalla decenza. Dovrò insegnarle queste cose, o morirà. È davvero troppo coperta.»
Quanto a lei, indossava una camiciola dalla scollatura profonda, senza maniche, e un paio di calzoncini corti dai quali le sue povere gambe contorte sporgevano vacillanti. In men che non si dica, Meggie venne a trovarsi vestita nello stesso modo, con indumenti prestatile dalla signora Mueller, finché non fosse riuscita a persuadere Luke a comprarle vestiti nuovi. Fu umiliante dover spiegare che non le era consentito avere spiccioli; ma, per lo meno, la necessità di subire questa umiliazione attenuò il suo imbarazzo di esser mezza nuda.
«Be', senza dubbio lei fa figurare i miei calzoncini meglio di me» disse Anne, poi continuò a impartirle allegramente istruzioni. «Sarà Luddie a portarle la legna da ardere; non dovrà spaccarla lei, né trascinarla su per gli scalini. Vorrei che avessimo la corrente elettrica, come nelle località più vicine a Dunny, ma il governo è più lento di una settimana piovosa. Forse l'anno prossimo la linea arriverà fino a Himmelhoch, ma fino ad allora dovremo sopportare la spaventosa cucina economica a legna, ho paura. Però vedrà, Meggie! Non appena ci daranno la corrente, avremo fornelli elettrici, la luce elettrica e un frigorifero!»
«Sono abituata a farne senza.»
«Sì, ma là da dove viene lei il clima è asciutto. Qui è molto, molto peggio. Temo soltanto che la sua salute possa soffrirne. Succede spesso, alle donne che non sono di queste parti, è un qualcosa nel sangue. Ci troviamo alla stessa latitudine sud come Bombay e Rangoon a nord, sa; questa regione non si confà né agli uomini né alle bestie, a meno che non vi siano nati.» Sorrise. «Oh, che piacere averla qui! Lei e io ci divertiremo un mondo! Le piace leggere? Luddie e io abbiamo la passione della lettura.»
Meggie si illuminò in viso. «Oh, sì!»
«Splendido! L'aiuterà a sentire un po' meno la mancanza di quell'uomo robusto e bello che è suo marito.»
Meggie non rispose. Sentire la mancanza di Luke? Ed era bello? Si disse che, se anche non lo avesse riveduto mai più, sarebbe stata perfettamente felice. Solo che si trattava di suo marito, la legge stabiliva che doveva vivere con lui. Lo aveva sposato a occhi aperti; non poteva incolpare nessuno all'infuori di se stessa. E forse, una volta messo da parte il denaro, e quando l'allevamento nel Queensland occidentale fosse divenuto una realtà, ci sarebbe stato il tempo perché Luke e lei potessero vivere insieme, sistemarsi, conoscersi reciprocamente, andare d'accordo.
Non era un uomo malvagio, e nemmeno odioso; ma viveva da solo da tanto di quel tempo che non sapeva più come dividere se stesso con un'altra persona. E inoltre era un uomo semplice, spietatamente animato da un solo scopo, senza tormenti. Quello che desiderava era una cosa concreta, anche se si trattava di un sogno: una ricompensa positiva che avrebbe avuto, senza dubbio, grazie a fatiche incessanti e a sacrifici dolorosi. Per questo meritava rispetto. Nemmeno per un momento Meggie pensava che Luke potesse spendere il denaro per concedersi dei lussi; quanto le aveva detto era vero. Il denaro sarebbe rimasto in banca.
Il guaio era che lui non aveva né tempo né voglia di capire una donna; sembrava non sapere che le donne erano diverse e abbisognavano di cose che non occorrevano a lui, così come lui necessitava di cose che non occorrevano a loro. Bene, avrebbe potuto andar peggio. Luke avrebbe potuto farla lavorare per una donna di gran lunga più fredda e meno premurosa di Anne Mueller. Sulla sommità di quella collina, non le sarebbe accaduto niente di male. Ma, oh, era così lontana da Drogheda!
Quest'ultima riflessione le balenò nella mente quando ebbero finito di fare il giro della casa e rimasero in piedi insieme sulla veranda del soggiorno, contemplando Himmelhoch, i grandi campi di canne da zucchero. Le canne piumate che ondeggiavano nel vento, di un verde sempre scintillante, lustrato dalla pioggia, scendevano su un lungo versante fino alle rive di un immenso fiume, di gran lunga più ampio del Barwon, fasciato dalla giungla. Al di là del fiume ricominciavano le coltivazioni di canna, quadrati di un verde velenoso, inframmezzati da sanguigni campi a maggese, finché, ai piedi di un'alta montagna, le coltivazioni non cessavano e tornava a dominare la giungla. Dietro il cono della montagna, più lontano, svettavano altri picchi, e si perdevano purpurei all'orizzonte. Il cielo era di un azzurro più ricco e più denso di quello dei cieli di Gilly, con banchi di nubi gonfie, bianche e compatte, e tutti i colori avevano un che di vivido e di intenso.
«Quello è il monte Bartle Frere» disse Anne, additando il picco isolato. «Milleottocento metri d'altezza sulla pianura, che è al livello del mare. Dicono che sia tutto stagno, ma non c'è speranza di sfruttarlo, a causa della giungla.»
Il vento greve e pigro portava un odore forte e nauseante che Meggie non aveva mai smesso di tentare di scacciarsi dalle narici, sin da quando era scesa dal treno. Un odore simile a quello della putrefazione, eppure diverso; insopportabilmente dolciastro e penetrante, una presenza tangibile che sembrava non scemare mai, per quanto impetuoso potesse soffiare il vento.
«L'odore che sente è quello della melassa» disse Anne, avendo notato le narici dilatate di Meggie; accese una sigaretta Ardath.
«È disgustoso.»
«Lo so. Per questo fumo. Ma fino a un certo punto ci si abituerà, anche se, diversamente da quasi tutti gli odori, non scompare mai completamente. Un giorno dopo l'altro, l'odore della melassa c'è sempre.»
«Che cosa sono gli edifici sul fiume con le ciminiere nere?»
«Quella è la fabbrica. Lavorano la canna, producono zucchero grezzo. Quello che rimane, i residui asciutti delle canne senza zucchero, si chiama bagasse. Sia lo zucchero grezzo sia il bagasse vengono trasportati al sud, a Sydney, per un'ulteriore raffinazione. Dallo zucchero grezzo ricavano melasse, sciroppo chiaro, sciroppo scuro, zucchero bruno, zucchero raffinato e glucosio liquido. Con il bagasse fanno pannelli fibrosi per l'edilizia, simili alla masonite. Niente va sprecato, assolutamente niente. Ecco perché, anche con questa crisi, coltivare la canna da zucchero è ancora un lavoro redditizio.»
Arne Swenson era alto un metro e ottantacinque, esattamente la stessa statura di Luke, e altrettanto bello. Il suo corpo aveva assunto un colore dorato scuro, a furia di essere esposto al sole, e i capelli di un giallo vivido formavano una massa di riccioli tutto intorno al capo; le belle fattezze svedesi somigliavano a tal punto a quelle di Luke, che non si stentava a capire quanto sangue norvegese fosse filtrato nelle vene degli scozzesi e degli irlandesi.
Luke aveva rinunciato ai calzoni al ginocchio e alla camicia bianca a favore dei calzoni corti. Insieme a Arne salì su un vetusto e asmatico camioncino modello T che si diresse nei pressi di Goondi, dove il gruppo stava tagliando canne. La bicicletta di seconda mano acquistata da Luke si trovava sul pianale, insieme alla valigia. Luke moriva dalla voglia di cominciare a lavorare.
Gli altri uomini avevano tagliato canne sin dall'alba e non alzarono la testa quando Arne sopraggiunse dalla direzione degli alloggi, con Luke a rimorchio. L'uniforme consisteva in calzoncini corti, stivali con spesse calze di lana, e cappelli di canapa. Gli occhi socchiusi, Luke fissò gli uomini intenti al lavoro. Una polvere nera come il carbone li copriva dalla testa ai piedi e, mescolata al sudore, formava striature di un rosa vivido sui toraci, le braccia, le schiene.
«Fuliggine e terriccio delle canne» spiegò Arne. «Dobbiamo bruciarle prima di poterle tagliare.»
Si chinò per prendere due attrezzi, ne diede uno a Luke e tenne l'altro. «Questo è un coltello da canne» disse, sollevando il suo. «Con questo si tagliano le canne da zucchero. È molto facile, se si sa come fare.» Sorrise, si accinse a una dimostrazione, e fece sembrare la cosa di gran lunga più semplice di quanto probabilmente fosse in realtà.
Luke fissò lo strumento micidiale che stringeva nel pugno e che non somigliava affatto a un machete delle Indie Occidentali. La lama si ampliava a formare un grande triangolo, invece di restringersi in punta, ed era munita, a uno dei due vertici, di un gancio minaccioso, simile allo sperone di un gallo.
«Il machete è troppo piccolo per la canna da zucchero del Queensland settentrionale» disse Arne, al termine della dimostrazione. «Questo è il giocattolo adatto, te ne renderai conto. Mantienilo affilato, e buona fortuna.»
Poi si allontanò verso la propria zona, lasciando Luke immobile e indeciso per un momento. Ma, dopo un attimo, fece spallucce e si mise al lavoro. Entro pochi minuti aveva capito perché lasciavano quella fatica agli schiavi e alle razze non abbastanza sofisticate per rendersi conto che ci si poteva guadagnare da vivere in modi meno faticosi; come la tosatura, pensò con bieco umorismo. Bisognava chinarsi, tagliare a colpi ripetuti, raddrizzarsi, afferrare saldamente il gambo, farlo scivolare per tutta la sua lunghezza tra le mani staccandone le foglie, gettarlo indietro in modo da formare una catasta ordinata insieme agli altri, passare alla canna successiva, chinarsi, tagliare, raddrizzarsi, aggiungere al mucchio...
Le canne brulicavano di animaletti e insetti: topi, telequ, scarafaggi, rospi, ragni, serpenti, vespe, mosche e api. Tutte le creature che potevano mordere perfidamente o pungere causando bruciori intollerabili erano ben rappresentate. Per questo motivo i tagliatori bruciavano prima le canne, preferendo la sporcizia del lavoro su piante semicarbonizzate ai tormenti delle canne verdi e piene di vita. Ciò nonostante, venivano ugualmente morsicati, punti e tagliati. Se non fosse stato per gli stivali, i piedi di Luke si sarebbero trovati in condizioni peggiori di quelle delle mani, ma nessun tagliatore portava mai i guanti. Rallentavano il ritmo del lavoro e il tempo era denaro. Inoltre, i guanti avevano un che di effeminato.
Al tramonto, Arne diede l'alt e venne a vedere come se la fosse cavata Luke.
«Ehi, amico, mica male!» gridò, rifilandogli una pacca sulla schiena. «Cinque tonnellate; non c'è male, per essere il primo giorno!»
Gli alloggi non distavano molto, ma la notte tropicale calò così all'improvviso che quando vi arrivarono faceva buio. Prima di entrare, si misero nudi, tutti insieme, sotto la doccia comune, quindi entrarono nella baracca ove il tagliatore di turno come cuciniere quella settimana aveva preparato sul tavolo montagne delle sue specialità. Quel giorno si trattava di bistecche con patate, focacce e sfoglia con marmellata; gli uomini si gettarono sul cibo e lo trangugiarono tutto, fino all'ultima briciola, voracemente.
Due file di brandine si fronteggiavano lungo i lati della lunga baracca di lamiera ondulata; sospirando e bestemmiando contro le canne da zucchero con una originalità che anche un bovaro avrebbe potuto invidiare, gli uomini si gettarono completamente nudi sulle lenzuola sudicie, accostarono le zanzariere facendole scorrere sugli anelli e pochi momenti dopo dormivano, sagome vaghe dietro le tende di garza.
Arne trattenne Luke. «Fammi vedere le mani.» Esaminò i tagli sanguinanti, le vesciche, i gonfiori delle punture. «Prima disinfettale, poi spalmaci su questo unguento. E se vuoi seguire un consiglio, frizionale con olio di cocco tutte le sere. Hai le mani grosse: se ti resisterà la schiena, diventerai un abile tagliatore. Tra una settimana ci avrai fatto l'abitudine e non sarai più così indolenzito.»
Ogni muscolo dello splendido corpo di Luke era tormentato da un singolo e diverso dolore; non sentiva altro che un'enorme e straziante sofferenza. Con le mani unte e bendate, si distese sulla branda assegnatagli, accostò la zanzariera e chiuse gli occhi su un mondo di piccole tane soffocanti. Se avesse immaginato che cosa lo aspettava, non si sarebbe mai sognato di sprecare con Meggie la sua forza vitale; Meggie era divenuta un'idea avvizzita, indesiderata e sgradita nel fondo dei suoi pensieri, un qualcosa di archiviato. Sapeva che non avrebbe mai più avuto un briciolo di energia per lei fino a quando fosse rimasto lì a tagliare canne da zucchero.
Gli occorse davvero una settimana per incallirsi e arrivare al minimo di otto tonnellate al giorno che Arne pretendeva dagli uomini del suo gruppo. Poi si accinse a diventare più bravo di Arne. Voleva una quota maggiore degli utili, magari diventare socio. Ma soprattutto, voleva per sé l'espressione che affiorava sulla faccia di tutti quando guardavano Arne; Arne veniva considerato qualcosa di simile a un Dio perché era il più abile tagliatore del Queensland, vale a dire, probabilmente, il migliore del mondo. Quando si recavano nella cittadina, il sabato sera, gli uomini del posto non gli offrivano mai abbastanza rum e birra, e le donne gli frullavano attorno come colibrì. Esistevano molte cose in comune tra Arne e Luke. Erano entrambi vanesi, a entrambi piaceva destare un'intensa ammirazione femminile, ma l'ammirazione era il massimo cui arrivassero. Non avevano niente da dare alle donne; davano tutto alle canne da zucchero.
Per Luke, quel lavoro aveva una bellezza e dava una sofferenza che gli sembrava di aver aspettato per tutta la vita. Chinarsi e raddrizzarsi e di nuovo chinarsi nel rituale senza fine significava partecipare a un qualche mistero situato al di là della portata degli uomini comuni. Poiché, come Arne gli aveva insegnato, tagliare canne da zucchero in modo superbo significava far parte di una élite, il gruppo di lavoratori più scelto del mondo; poteva sentirsi fiero ovunque si trovasse, sapendo che quasi nessuno avrebbe resistito nemmeno un giorno nei campi di canne. Il Re d'Inghilterra non era migliore di lui, e il Re d'Inghilterra lo avrebbe ammirato, conoscendolo. Poteva guardare con compatimento e disprezzo medici, avvocati, pennivendoli, proprietari di terre. Tagliare canne da zucchero come facevano i bianchi avidi di denaro... questo era il grande traguardo.
Sedeva sulla sponda della branda; sentiva i muscoli del braccio nodosi, duri, che si gonfiavano, si contemplava i palmi delle mani callosi e coperti di cicatrici, si guardava le lunghe gambe abbronzate e robuste, e sorrideva. Un uomo che riusciva a far quel mestiere e non soltanto a sopravvivere, ma a gioirne, era un uomo. E si domandava se il Re d'Inghilterra avrebbe potuto dire altrettanto.
Trascorsero quattro settimane prima che Meggie rivedesse Luke. Ogni domenica, si incipriava il naso sudato e lucido, indossava un grazioso vestito di seta - sebbene avesse rinunciato al purgatorio delle sottovesti e delle calze - e aspettava suo marito, che non veniva mai. Anne e Luddie Mueller non dicevano niente, si limitavano a osservare l'animazione di lei dileguarsi, man mano che ogni domenica la oscurava drammaticamente, come il sipario che cala su un palcoscenico vividamente illuminato e vuoto. Non che desiderasse, precisamente, Luke; si trattava soltanto del fatto che Luke le apparteneva, o che lei gli apparteneva, o comunque si potesse meglio definire la cosa. Immaginare che Luke nemmeno la pensasse mentre lei passava giorni e settimane avendo in mente soltanto lui la colmava d'ira, di frustrazione, di amarezza, di umiliazione, di sofferenza. Per quanto avesse odiato quelle due notti nell'albergo di Dunny, almeno allora era riuscita a dominare nella mente di Luke; ora si sorprendeva a desiderare di essersi mozzata la lingua con i denti pur di non gridare di dolore. Era questa la ragione, naturalmente. La sua sofferenza aveva fatto sì che Luke si stancasse di lei, rovinandogli tutto il piacere. Dall'ira contro Luke, contro l'indifferenza di Luke al suo dolore, passò al rimorso, e finì con l'incolpare soltanto se stessa.
La quarta domenica non si diede la pena di vestirsi, si limitò ad andare avanti e indietro in cucina a piedi nudi, in calzoncini e camiciola, per preparare una colazione calda a Luddie e Anne, che una volta alla settimana apprezzavano quella stramberia. Al rumore di passi sugli scalini dell'ingresso di servizio, voltò le spalle alla pancetta che sfrigolava nel tegame; e, per un momento, si limitò a fissare l'uomo grande e grosso e peloso sulla soglia. Luke? Quello era Luke? Sembrava fatto di pietra, disumano. Ma la strana figura attraversò la cucina, le diede un bacio schioccante e sedette al tavolo. Lei ruppe altre uova nel tegame e aggiunse altra pancetta.
Anne Mueller entrò, sorrise compìta, infuriata però in cuor suo con quell'uomo. Miserabile individuo, che cosa aveva in mente, trascurare così a lungo una donna appena sposata?
«Sono lieta di vedere che s'è ricordato di avere una moglie» disse. «Venga sulla veranda, si metta a tavola con Luddie e con me, e faremo colazione tutti insieme. Aiuti Meggie a portare la pancetta e le uova. Io posso reggere il porta tosti tra i denti.»
Ludwig Mueller era australiano di nascita, ma il retaggio tedesco traspariva chiaramente: la carnagione accesa, incapace di tener testa alla birra e al sole contemporaneamente, la testa grigia e quadrata, gli scialbi occhi azzurri di uomo del Baltico. Lui e la moglie apprezzavano molto Meggie, e si ritenevano fortunati di averla potuta assumere al loro servizio. Soprattutto Luddie era grato, perché aveva notato quanto fosse più felice Anne da quando la testolina dorata splendeva nella casa.
«Come va il taglio, Luke?» domandò, ammonticchiandosi uova e pancetta sul piatto.
«Se dicessi che mi piace, mi crederebbe?» rise Luke, riempiendosi il piatto a sua volta.
Gli occhi scaltri di Luddie si posarono sulla bella faccia e annuirono. «Oh, sì, lei ha il tipo giusto di temperamento, e anche la corporatura adatta, credo. Questo lavoro la fa sentire migliore degli altri, superiore agli altri uomini.» Catturato dai campi di canne da zucchero che aveva ereditato, lontano dagli ambienti accademici, e senza alcuna possibilità di scambiare l'una cosa con l'altra, Luddie era un ardente studioso della natura umana; leggeva grossi tomi rilegati in marocchino, con nomi sul dorso come Freud e Jung, Huxley e Russell.
«Cominciavo a pensare che non sarebbe più venuto a trovare Meggie» disse Anne, spalmando con un pennello burro semifluido sul crostino abbrustolito; soltanto in quel modo potevano gustare il burro, lì, ma era sempre meglio che niente.
«Ecco, Arne e io abbiamo deciso di lavorare anche le domeniche per qualche tempo. Domani partiremo per Ingham.»
«Questo significa che la povera Meggie non la vedrà spesso.»
«Meg capisce. Non durerà per più di un paio di anni e avremo un'interruzione durante l'estate. Arne dice che in quel periodo riuscirà a trovarmi lavoro alle Raffinerie, a Sydney, e potrei condurre Meggie con me.»
«Perché deve lavorare così duramente, Luke?» domandò Anne.
«Devo mettere insieme il denaro per acquistare una proprietà a ovest, dalle parti di Kynuna. Meg non gliene ha parlato?»
«Temo che la nostra Meggie non sia molto portata per le confidenze. Ce ne parli lei, Luke.»
Ascoltarono tutti e tre, osservando il gioco mutevole delle espressioni sulla faccia forte e abbronzata, lo splendere di quegli occhi molto azzurri; da quando era venuto, prima di colazione, Meggie non aveva detto una parola a nessuno. Lui continuò a parlare e a parlare della regione meravigliosa «dietro l'aldilà»: l'erba, i grossi, grigi uccelli brolga che delicatamente saltellavano sulla polvere dell'antica strada di Kynuna, le migliaia e migliaia di canguri in fuga, il sole ardente e asciutto.
«E un giorno, una grossa fetta di tutto questo apparterrà a me. Anche Meg ha contribuito con qualche quattrinello, e, al ritmo con il quale stiamo lavorando, non ci vorranno più di quattro o cinque anni. Potremmo riuscirci anche prima se io mi accontentassi di una proprietà più misera, ma, sapendo quanto posso guadagnare tagliando canne da zucchero, sono tentato di resistere più a lungo e di acquistare terre decenti.» Si sporse in avanti, con le grosse mani sfregiate dalle cicatrici intorno alla tazza di tè. «Lo sapete che ho quasi superato Arne, l'altro ieri? Undici tonnellate di canne ho tagliato, in un giorno!»
Il fischio di Luddie fu sinceramente ammirato, e i due uomini cominciarono a parlare di rendimenti. Meggie sorseggiò il tè forte e scuro, senza latte. Oh, Luke! Prima aveva parlato di un paio d'anni, adesso erano quattro o cinque, e chi mai poteva sapere a che periodo più lungo si sarebbe riferito la volta successiva? Luke amava quel lavoro, impossibile sbagliarsi. Avrebbe rinunciato, quando fosse venuto il momento? Ne sarebbe stato capace? E inoltre, lei era disposta ad aspettare per accertarlo? I Mueller erano molto buoni, e non si stava certo ammazzando di fatica, ma, se doveva vivere senza marito, preferiva Drogheda. Durante tutto quel mese a Himmelhoch non si era sentita realmente bene nemmeno un giorno; non le andava di mangiare, aveva dolorosi attacchi di diarrea, sembrava assediata dal letargo e non riusciva a scrollarselo di dosso. E siccome era abituata a godere di una salute perfetta, quei vaghi malesseri la spaventavano.
Dopo colazione, Luke l'aiutò a lavare i piatti, poi la condusse a fare una passeggiata fino al campo di canne da zucchero più vicino, parlando continuamente delle canne e di quello che si provava tagliandole, del piacere di vivere all'aria aperta, di quanto erano simpatici gli uomini nel gruppo di Arne e della differenza tra la tosatura delle pecore e quel lavoro, di gran lunga migliore.
Si voltarono e tornarono indietro su per la collina; Luke la guidò nello spazio squisitamente fresco sotto la casa, tra i pali che la sostenevano. Anne lo aveva trasformato in una serra, disponendo verticalmente tubi di terracotta di dimensioni e altezze diverse, poi riempiendoli di terra e seminandovi piante che ora se ne riversavano pendule: orchidee di ogni tipo e di ogni colore, felci, piante esotiche rampicanti o a cespuglio. Il terreno era soffice e odoroso di trucioli di legna; dai travi in alto pendevano grandi cestini di fil di ferro, traboccanti di felci, od orchidee, o tuberose; c'erano muschi che crescevano entro nidi di corteccia applicati ai pali; alla base dei tubi erano state piantate magnifiche begonie, dalle decine di vivide tinte. Era, quello, il rifugio prediletto di Meggie, il solo posto di Himmelhoch che preferisse a Drogheda. A Drogheda, infatti, non si sarebbe mai potuto sperare di far crescere tante piante in così poco spazio; non esisteva, laggiù, abbastanza umidità nell'aria.
«Non è meraviglioso, qui, Luke? Non credi che magari, dopo un paio d'anni, potremmo prendere in affitto una piccola casa per me? Sto morendo dalla voglia di provarmi a fare anch'io qualcosa di simile.»
«Per quale ragione, in nome di Dio, dovresti voler abitare sola in una casa? Qui non siamo a Gilly, Meg, siamo in uno di quei posti nei quali una donna sola non è al sicuro. Ti trovi molto meglio qui, credimi. Non sei felice in questa casa?»
«Sono felice quanto si può esserlo in casa d'altri.»
«Senti, Meg, dovrai accontentarti di quello che hai adesso, finché non ci trasferiremo all'ovest. Non possiamo buttar via soldi per l'affitto di una casa e perché tu viva negli agi, e, ciò nonostante, risparmiare. Hai capito?»
«Sì, Luke.»
Era così sconvolto che non fece quanto aveva avuto l'intenzione di fare conducendola sotto la casa, vale a dire baciarla. Si limitò invece a rifilarle una pacca noncurante sul di dietro, un po' troppo dolorosa per essere proprio noncurante, poi si incamminò lungo la strada, verso la bicicletta che aveva lasciato appoggiata a un albero. Piuttosto che gettar via soldi per l'autobus si era rassegnato a pedalare per trentadue chilometri, e ora avrebbe dovuto pedalare altrettanto tornando indietro.
«Povera piccola» disse Anne a Luddie. «Lo ammazzerei!»
Gennaio venne e passò; era il mese più fiacco dell'anno per i tagliatori di canne da zucchero, ma Luke non si fece vivo. Aveva mormorato qualcosa a proposito della sua intenzione di condurre Meggie a Sydney, e invece ci andò con Arne. Arne era scapolo e aveva una zia che possedeva una casa a Rozelle, raggiungibile a piedi (non si pagava il biglietto del tram e si risparmiava) dalle Raffinerie di Zucchero. Entro quelle gigantesche mura di cemento, simili a una fortezza sulla collina, un tagliatore di canne che avesse conoscenze poteva trovare lavoro. Luke e Arne si mantennero in forma ammonticchiando sacchi di zucchero e nuotando o facendo il surf nelle ore libere.
Lasciata a Dungloe con i Mueller, Meggie sudò per tutta «la piovosa», come veniva chiamata la stagione dei monsoni. La stagione «asciutta» andava da marzo a novembre, e, in quella parte del continente, non era precisamente asciutta, ma pur sempre paradisiaca in confronto alla «piovosa». Durante «la piovosa», i cieli si spalancavano, né più né meno, e vomitavano acqua, non per tutto il giorno, ma a intermittenza; e, tra un diluvio e l'altro, la terra fumigava, grandi nubi di vapori bianchi si alzavano dalle canne, dal suolo, dalla giungla, dalle montagne.
Man mano che il tempo passava, Meggie desiderava sempre e sempre più una casa. Il Queensland del Nord, ormai lo sapeva, non avrebbe mai potuto fare per lei. In primo luogo, il clima non le si confaceva, forse perché aveva trascorso quasi tutta la vita in regioni asciutte; e poi, odiava la solitudine, l'ostilità, quella sensazione di sordo letargo. Odiava la prolificità degli insetti e dei rettili, che tramutava ogni notte in un cimento contro rospi giganteschi, tarantole, scarafaggi, topi; niente sembrava riuscire a escluderli dalla casa, e lei ne era terrorizzata. Erano così enormi, così aggressivi, così famelici. Ma, più di ogni altra cosa, odiava il dunny, che nel gergo locale non soltanto significava «latrina», ma era altresì il diminutivo di Dungloe, con somma gioia del popolino, il quale seguitava a scherzare con doppi sensi volgari. Comunque, un dunny di Dunny ti faceva rivoltare lo stomaco per lo schifo; infatti, a causa del clima soffocante, le buche nel terreno erano fuori questione, perché potevano causare epidemie di tifo e di altre infezioni intestinali. Invece di essere una buca nel terreno, un dunny di Dunny era una latta incatramata che puzzava e, riempiendosi, finiva con il brulicare di vermi e larve disgustose. Una volta alla settimana, la latta veniva tolta e sostituita con un'altra vuota, ma una volta alla settimana era troppo poco.
L'anima stessa di Meggie si ribellava contro la noncurante rassegnazione locale a queste cose, che venivano considerate normali; anche un'intera esistenza trascorsa nel Queensland del Nord non sarebbe riuscita a riconciliarla con esse. Eppure, sgomenta, lei si diceva che probabilmente avrebbe dovuto aspettare una vita, o almeno fino a quando Luke non fosse stato troppo anziano per continuare a tagliare canne da zucchero. Ma per quanto anelasse a Drogheda e la sognasse, era troppo orgogliosa per indursi a confessare alla famiglia che suo marito la trascurava; piuttosto che ammettere una cosa simile, avrebbe accettato la condanna a vita, diceva a se stessa, quasi con ferocia.
Passarono i mesi, passò un anno e il tempo continuò a scorrere, avvicinando il termine del secondo anno. Soltanto la costante bontà dei Mueller riuscì a far sì che Meggie rimanesse a Himmelhoch, tentando sempre di risolvere il proprio dilemma. Se avesse scritto a Bob, chiedendogli il denaro per il viaggio di ritorno, lui glielo avrebbe spedito con un vaglia telegrafico, ma la povera Meggie non sapeva decidersi a rivelare ai suoi che Luke la teneva senza un penny nella borsetta. Il giorno in cui avesse rivelato questo, sarebbe stato il giorno in cui avrebbe lasciato Luke per non tornare mai più con lui, e ancora non si era decisa a compiere un simile passo: il carattere sacro delle promesse matrimoniali, la speranza di poter avere un giorno un bambino, la posizione di Luke come marito e padrone del suo destino, tutto nell'educazione di lei congiurava per impedirle di abbandonarlo. Poi, c'erano le cose che scaturivano dalla sua stessa indole: l'orgoglio caparbio e fiero, e il convincimento tormentoso che la colpa di quella situazione fosse tanto sua quanto di Luke. Se non ci fosse stato in lei qualcosa che non andava, lui si sarebbe comportato molto diversamente.
Lo aveva veduto sei volte nei diciotto mesi dell'esilio, e spesso, sebbene inconsapevole dell'esistenza di un fenomeno come l'omosessualità, pensava che in realtà Luke avrebbe dovuto sposare Arne, in quanto senza dubbio viveva con Arne e sembrava preferire la compagnia di Arne. Erano diventati soci e vagabondavano avanti e indietro lungo i milleseicento chilometri di costa, seguendo i tagli delle canne da zucchero, vivendo, a quanto pareva, soltanto per lavorare. E Luke, quando si decideva a venirla a trovare, non tentava alcuna sorta di contatto intimo, si limitava a starsene seduto per un'ora o due a conversare con Luddie e Anne, conduceva sua moglie a fare una passeggiata, le dava un bacio amichevole, e ripartiva.
Loro tre, Luddie, Anne e Meggie, trascorrevano tutte le ore libere leggendo. A Himmelhoch esisteva una libreria molto meglio fornita dei pochi scaffali di Drogheda, una libreria contenente volumi più eruditi e di gran lunga più stimolanti, e Meggie, leggendo, imparò molte cose.
Una domenica di giugno del 1936, Luke e Arne arrivarono insieme, molto soddisfatti di se stessi. Erano venuti, dissero, per far divertire Meggie: l'avrebbero portata a un ceilidh.
A differenza della tendenza generale dei vari gruppi etnici in Australia, quella di disperdersi e di divenire prettamente australiani, le varie nazionalità nella penisola del Queensland del Nord cercavano quasi ferocemente di conservare le rispettive tradizioni: i cinesi, gli italiani, i tedeschi, e gli scozzesi-irlandesi erano i quattro gruppi che formavano il grosso della popolazione. E quando gli scozzesi organizzavano un ceilidh, ogni scozzese nel raggio di chilometri e chilometri correva.
Con vivo stupore di Meggie, Luke e Arne indossavano gonnellini scozzesi, ed erano, pensò, quando riuscì a respirare di nuovo, assolutamente magnifici. Niente è più virile, su un uomo virile, del gonnellino, poiché esso oscilla con un fluente dondolare di pieghe sul dietro e rimane del tutto immobile sul davanti, con la borsa coperta di pelo che serve di protezione all'inguine, e, sotto l'orlo a metà ginocchio, robuste e belle gambe fasciate da calze quadrettate, e scarpe a fibbia. Faceva di gran lunga troppo caldo per lo sciarpone di lana a scacchi e per il giubbetto; si erano accontentati di camicie bianche, sbottonate sino a metà petto, con le maniche rimboccate sopra i gomiti.
«Che cos'è un ceilidh?» domandò lei, mentre si avviavano.
«È una parola gaelica, vuol dire riunione, ballo.»
«Ma perché, in nome del Cielo, vi siete messi i gonnellini?»
«Non ci lascerebbero entrare se non li portassimo, e poi siamo molto conosciuti in tutti i ceilidh tra Bris e Cairns.»
«Ah, sì, eh? Immagino che ci andiate spessissimo, perché altrimenti non ce lo vedo proprio Luke spendere soldi per un gonnellino. Non è così, Arne?»
«Un uomo deve pure concedersi qualche distrazione» disse Luke, in tono lievemente difensivo.
Il ceilidh si svolgeva in un granaio, un tugurio che sembrava sul punto di crollare, nel bel mezzo delle paludi di mangrovie suppuranti intorno alla foce del fiume Dungloe. Oh, che regione era mai quella per i fetori! pensò Meggie in preda alla disperazione, con le narici frementi, aggredite da un nuovo odore indescrivibilmente disgustoso. Melassa, muffa, latrine, e ora le mangrovie. Tutti i putridi fetori della costa condensati in un unico puzzo.
Manco a dirlo, ogni uomo che arrivava indossava il gonnellino; man mano che entravano e si guardavano attorno, Meggie capì quanto doveva sentirsi scialba la pavona quando veniva abbacinata dalla vivida sfarzosità del maschio. Le donne rimanevano in ombra, quasi come se non fossero esistite, un'impressione che continuò a intensificarsi con il trascorrere della serata.
I due suonatori di cornamusa dell'orchestrina, con gonnellini anche loro, stavano in piedi su una pedana traballante in fondo allo stanzone e si esibivano in un'allegra danza scozzese, le zazzere color sabbia, il sudore che colava a rivoletti sulle facce accese.
Alcune coppie stavano danzando, ma quasi tutto lo strepito sembrava provenire da un gruppo di uomini che si passavano bicchieri contenenti senza dubbio whisky scozzese. Meggie venne sospinta in un angolo insieme a numerose altre donne e si accontentò di restarsene lì a guardare affascinata. Nessuna donna indossava il gonnellino del clan, perché le scozzesi in realtà non lo portano e si limitano ad avvolgersi nello sciarpone, ma faceva troppo caldo per drappeggiarsi sulle spalle quel tessuto pesante. Di conseguenza si limitavano tutte a indossare gli sciatti vestitucci di cotone del Queensland settentrionale, che sfiguravano accanto ai gonnellini degli uomini. C'erano il rosso acceso e il bianco del clan Menzies, gli allegri nero e giallo del clan MacMCLeod di Lewis, la vivida complessità del clan Ogilvy, i bei rossi, grigi e neri del clan MacMCPherson. Luke indossava il gonnellino del clan MacMCNeil, Arne quello del clan Sassenach. Meraviglioso!
Luke e Arne erano ovviamente molto noti e apprezzati. Quante volte avevano preso parte a quelle riunioni senza di lei, allora? E come mai era saltato loro in mente di condurla lì quella sera? Sospirò e si addossò alla parete.
Le altre donne la stavano adocchiando incuriosite, e osservavano soprattutto gli anelli che aveva all'anulare; quanto a Luke e Arne, venivano fatti oggetto di molta ammirazione femminile, mentre lei destava l'invidia delle donne. Mi domando che cosa penserebbero se gli dicessi che quel pezzo d'uomo bruno, vale a dire mio marito, è venuto a trovarmi esattamente due volte negli ultimi otto mesi e non si trova mai con me con l'idea di portarmi a letto. Ma guardali, i due amiconi, gli altezzosi bellimbusti degli Highlands! E nessuno dei due è scozzese, si limitano a fingere di esserlo perché sanno di avere un aspetto sensazionale con il gonnellino e amano trovarsi al centro dell'attenzione. Oh, magnifica coppia di impostori! Siete troppo innamorati di voi stessi per sentire la necessità di essere amati da qualcun altro.
A mezzanotte, le donne vennero relegate in piedi intorno alle pareti; i suonatori attaccarono «Caber Feidh» e le danze serie cominciarono. Per tutto il resto della sua vita, ogni volta che avesse udito il suono di una cornamusa, Meggie sarebbe stata riportata in quel granaio. Persino il turbinare di un gonnellino avrebbe operato la magia; c'era quel fondersi sognante di suoni e di immagini, di vita e di vivida vitalità, che crea ricordi così penetranti, così incantevoli, da non poter essere dimenticati mai più.
Le spade incrociate vennero poste sul pavimento; due uomini con il gonnellino del clan MacMCDonald di Sleat alzarono le braccia sopra il capo, agitarono le mani come ballerini classici, e, con estrema gravità, come se in ultimo le spade dovessero essergli affondate nel petto, cominciarono a saltellare con delicatezza tra le lame.
Un urlo acuto e stridulo lacerò le note briose e ondeggianti delle cornamuse e il motivo divenne «Tutti i berretti blu al di là del confine», le spade furono brandite e ogni uomo nello stanzone prese a danzare, mentre le braccia si intrecciavano e si scioglievano e i gonnellini turbinavano. Reels, strathspeys, Higland flings; si esibirono in tutte le danze scozzesi, i piedi che tuonavano sul pavimento di legno destando echi fra i travi del soffitto, le fibbie delle scarpe che rifulgevano; e ogni volta che il ritmo cambiava, qualcuno gettava la testa all'indietro, lanciava quel grido stridulo e ululato, e scatenava altre grida emesse da altre gole esuberanti. Mentre le donne stavano a guardare, dimenticate.
Erano quasi le quattro del mattino quando il ceilidh terminò; fuori li aspettava non già l'aria frizzante e gelida di Blair Atholl o di Skye, ma il torpore di una notte tropicale, con una luna grande e greve che si trascinava tra le solitudini stellate del firmamento, mentre ovunque incombevano i fetidi miasmi delle mangrovie. Eppure, mentre ripartivano sull'ansimante vetusta Ford di Arne, l'ultima cosa udita da Meggie fu il lamento man mano più fioco di «Fiori della foresta», che augurava buon ritorno a casa ai festanti.
A casa! Dov'era la casa?
«Be', ti sei divertita?» domandò Luke.
«Mi sarei divertita di più se avessi ballato di più» rispose lei.
«Cosa? A un ceilidh? Piantala, Meg! Soltanto gli uomini dovrebbero ballare, e quindi siamo stati molto gentili con voi donne, facendovi fare qualche giro.»
«A me sembra che soltanto gli uomini facciano un monte di cose, soprattutto se sono piacevoli e divertenti.»
«Be', allora scusami!» disse Luke, sostenuto. «Mi ero detto che avrebbe potuto farti piacere un po' di distrazione, ecco perché ti ho portata con noi. Non ero mica obbligato, sai! E se non mi sei grata non ti condurrò più con me.»
«Probabilmente, non avevi alcuna intenzione di farlo, del resto» ribatté Meggie. «Non ti piace accogliermi nella tua vita. Ho imparato molte cose in queste ultime ore, ma non credo siano quelle che tu intendevi insegnarmi. Sta diventando sempre più difficile ingannarmi, Luke. In effetti, sono stufa di te, dell'esistenza che conduco, di tutto!»
«Sccc!» sibilò lui, scandalizzato. «Non siamo soli!»
«Allora vieni solo!» scattò lei. «Quando mai ho il modo di vederti da solo per più di pochi minuti?»
Arne fermò la macchina ai piedi della collina di Himmelhoch, sorridendo a Luke comprensivo. «Va', compare» disse. «Accompagnala su; io ti aspetterò qui. Non ho fretta.»
«Parlo seriamente, Luke» disse Meggie, non appena Arne non poté più udirli. «Il tarlo rode, mi senti? So di aver promesso di ubbidirti, ma tu hai promesso di amarmi e di aver cura di me, quindi siamo entrambi bugiardi! Voglio tornare a casa mia, a Drogheda!»
Lui pensò alle duemila sterline all'anno e al fatto che non sarebbero più state depositate a suo nome.
«Oh, Meg!» disse, smarrito. «Ascolta, tesoro, non sarà per sempre, te lo prometto! E quest'estate ti condurrò a Sydney con me, parola di un O'Neill! La zia di Arne ha un appartamento che si renderà libero a casa sua, e potremo abitarci per tre mesi e spassarcela un mondo! Sopportami ancora per un anno mentre taglierò canne, poi acquisteremo la proprietà e ci sistemeremo, eh?»
La luna gli illuminò la faccia; sembrava sincero, turbato, ansioso, pentito. E somigliava moltissimo a Ralph de Bricassart.
Meggie si placò, perché continuava a volere i suoi figli. «Va bene» disse. «Ancora un anno. Ma dovrai mantenere la promessa per quanto concerne Sydney, Luke, quindi ricordatene!»
12
Una volta al mese, Meggie scriveva doverosamente una lettera a Fee, a Bob e ai ragazzi, piena di descrizioni del Queensland settentrionale, accuratamente allegra, senza mai accennare a una qualsiasi divergenza tra lei e Luke. Ancora e sempre l'orgoglio. Per quanto ne sapevano a Drogheda, i Mueller erano amici di Luke presso i quali lei si trovava a pensione, perché Luke viaggiava molto. Il suo sincero affetto per la coppia traspariva da ogni parola che scriveva sul loro conto, per cui, a Drogheda, nessuno si preoccupava. Si affliggevano soltanto perché lei non tornava mai a casa per qualche giorno. Ma come avrebbe potuto dire che non aveva il denaro per il viaggio senza dir loro, altresì, quale disastro fosse diventato il matrimonio con Luke?
Di tanto in tanto, trovava il coraggio di inserire una domanda casuale sul Vescovo Ralph e, ancor più di rado, Bob ricordava di riferirle quel poco che veniva a sapere da Fee del Vescovo. Poi giunse una lettera che parlava quasi soltanto di lui.
«È arrivato un giorno inaspettatamente, Meggie» diceva la lettera di Bob «con l'aria di essere un po' sconvolto e giù di corda. Devo dire che è rimasto malissimo non trovandoti qui. Era furente perché non gli avevamo detto di te e di Luke, ma quando Ma' ha spiegato che eri stata tu a fissarti di non dirglielo, ha taciuto e non ha pronunciato più una sola parola. Ma mi è sembrato che tu gli mancassi più di quanto avrebbe potuto mancargli uno qualsiasi di noi, e presumo che questo sia del tutto naturale perché tu hai sempre passato più tempo con lui che con noi tutti, e, secondo me, continua a considerarti la sua sorellina. Si aggirava per la casa come se stentasse a credere che tu non saresti saltata fuori all'improvviso, pover'uomo. Non avevamo nemmeno fotografie da mostrargli, e, finché lui non chiese di vederle non avevo nemmeno mai pensato quanto sia strano che non fosse stata scattata nessuna fotografia alle tue nozze. Ha domandato se aspettassi un bambino, e ho risposto che ritenevo di no. Non aspetti un bambino, vero, Meggie? Quanto tempo è passato da quando ti maritasti? Quasi due anni? Dev'essere così, perché siamo in luglio. Il tempo vola, eh? Spero che tu abbia presto bambini, perché, secondo me, il Vescovo sarebbe contento di saperlo. Volevo dargli il tuo indirizzo, ma ha detto che non gli sarebbe servito perché andrà per qualche tempo ad Atene, in Grecia, con l'Arcivescovo per il quale lavora. Ha un nome italiano lungo quattro metri, e non riesco mai a ricordarlo. Pensa che viaggeranno in aereo! Perdinci! In ogni modo, quando ha saputo che tu non ti trovavi a Drogheda e non avresti potuto tenergli compagnia, non si è trattenuto a lungo, si è limitato a fare una o due galoppate, ha celebrato la Messa per noi ogni giorno, ed è ripartito sei giorni dopo.»
Meggie posò la lettera. Ralph sapeva, sapeva! Finalmente sapeva. Che cosa aveva pensato, fino a qual punto era stato addolorato dalla notizia? E perché l'aveva spinta a fare una cosa simile? La sua situazione non era affatto migliorata. Lei non amava Luke, non lo avrebbe mai amato. Luke non era altro che un surrogato, un uomo che poteva darle figli simili a quelli che avrebbe potuto avere con Ralph de Bricassart. Oh, Dio, che disastro!
L'Arcivescovo Contini-Verchese preferì alloggiare in un albergo secolare piuttosto che nell'appartamento offertogli in un palazzo della Chiesa ortodossa di Atene. La sua missione era delicatissima e di una certa importanza; esistevano questioni in sospeso da tempo da discutere con i più alti prelati della Chiesa ortodossa greca, in quanto il Vaticano aveva per l'ortodossia greca e russa un affetto che non avrebbe mai potuto avere per il protestantesimo. In fin dei conti, le ortodossie erano scismi, non eresie; i loro Vescovi, come quelli di Roma, si ricollegavano a San Pietro con una linea ininterrotta.
L'Arcivescovo sapeva che la missione affidatagli era una sorta di esame diplomatico, un punto d'appoggio per arrivare a più grandi cose a Roma. Una volta di più, la sua conoscenza delle lingue aveva costituito un vantaggio, poiché era stata la capacità di parlare scorrevolmente il greco a far pendere la bilancia a suo favore. Lo avevano fatto venire addirittura dall'Australia, ordinandogli di viaggiare in aereo.
Ed era impensabile che partisse senza il Vescovo de Bricassart, poiché, con il trascorrere degli anni, aveva finito con il fare sempre più conto su quell'uomo stupefacente. Un Mazarino, davvero un Mazarino. Sua Eccellenza ammirava il Cardinale Mazarino assai più di quanto ammirasse il Cardinale Richelieu, e, di conseguenza, il paragone equivaleva a un'altissima lode. Ralph era tutto ciò che la Chiesa apprezzava nei suoi massimi esponenti. La sua teologia era conservatrice, e così l'etica che professava; aveva un'intelligenza fulminea e sottile, il volto non tradiva nulla di ciò che passava nei pensieri; e inoltre possedeva il dono squisito di sapere esattamente come rendersi gradito a coloro che frequentava, li stimasse o li odiasse, andasse d'accordo con loro o no. Non era un adulatore, era un diplomatico. Se l'attenzione delle gerarchie vaticane fosse stata richiamata ripetutamente su di lui, avrebbe fatto senza dubbio carriera. E ciò non poteva non far piacere a Sua Eccellenza Contini-Verchese, perché l'Arcivescovo non voleva perdere di vista Ralph de Bricassart.
Faceva molto caldo, ma il Vescovo Ralph gradiva l'aria secca di Atene dopo l'umidità di Sydney. Camminando rapidamente, come sempre in stivali, calzoni al ginocchio e sottana, percorse a lunghi passi la rampa che conduce all'Acropoli, attraverso i severi Propilei, accanto all'Eretteo, e ancora più in alto fino al Partenone, e poi giù verso il muro più oltre.
Là, con il vento che gli scompigliava gli scuri riccioli, ormai leggermente brizzolati, intorno alle orecchie, rimase in piedi e contemplò la bianca città fino alle vivide alture e al limpido Mare Egeo dallo stupefacente colore acquamarina. Subito sotto di lui si trovava la Plaka, con i caffè sui tetti delle case e le colonie di bohémiens, mentre da un lato un grande teatro lambiva la roccia. In lontananza si vedevano colonne romane, forti di crociati e castelli veneziani, mai però una traccia dei turchi. Che popolo straordinario, i greci. Odiavano a tal punto la razza dalla quale erano stati governati per settecento anni che, una volta liberati, non avevano lasciato in piedi una sola moschea o un solo minareto. E avevano origini così antiche, abbondavano di un così ricco retaggio! I normanni erano barbari coperti di pelli d'animali quando Pericle rivestiva di marmi la sommità della rocca; e Roma non era che un rozzo villaggio.
Soltanto adesso, a quasi diciottomila chilometri di distanza, Ralph riusciva a pensare a Meggie senza aver voglia di piangere. Ciò nonostante, i monti lontani si offuscarono per un momento prima che riuscisse a dominare la commozione. Come poteva incolparla, se era stato lui a dirle di maritarsi? Aveva capito immediatamente perché Meggie era stata così decisa a non avvertirlo: non voleva che conoscesse suo marito, né che entrasse a far parte della sua nuova vita. Naturalmente, in cuor suo aveva supposto che, chiunque potesse sposare, sarebbe rimasta a Gillanbone, se non nella stessa Drogheda; che avrebbe continuato a vivere ove la sapeva al sicuro, esente da preoccupazioni e da pericoli. Ma ormai capiva come questa fosse l'ultima cosa che Meggie potesse desiderare. No, aveva dovuto andarsene, e fino a quando lei e questo Luke O'Neill fossero rimasti insieme, non sarebbe tornata. Bob diceva che stavano risparmiando per acquistare una proprietà nel Queensland occidentale, e questa notizia era stata come il rintocco di una campana a morto. Meggie non intendeva tornare mai più. Per lui, voleva essere morta.
Ma sei felice, Meggie? È buono tuo marito con te? Lo ami, questo Luke O'Neill? Che tipo di uomo è, se hai voltato le spalle a me per lui? Che cos'ha di straordinario, un comune guardiano, per esserti piaciuto più di Enoch Davies, o Liam O'Rourke, o Alastair MacMCqueen? Forse perché io non lo conoscevo, perché io non potevo fare confronti? Lo hai fatto per torturare me, Meggie, per vendicarti di me? Ma perché non ci sono figli? Che cosa ha in mente quell'uomo, per viaggiare avanti e indietro nello Stato come un vagabondo, lasciandoti presso amici? Non ci si può stupire se non hai avuto un bambino, non rimane con te abbastanza a lungo. Meggie, perché? Perché hai sposato questo Luke O'Neill?
Voltatosi, scese dall'Acropoli e percorse le vie affollate di Atene. Indugiò nei mercati all'aperto intorno a via Euripidou, affascinato dalla gente, dalle enormi ceste di kalamaria e di pesce che puzzava al sole, dalle verdure, e dalle sgargianti pantofole appese l'una accanto all'altra. Le donne lo divertivano, il loro spudorato e scoperto tubare con lui, il retaggio di una civiltà fondamentalmente diversa dalla sua puritana. Se quella sfacciata ammirazione fosse stata lussuriosa (non gli venne in mente alcun termine più efficace), lo avrebbe posto in grave imbarazzo! ma l'accettava nello spirito con il quale era intesa, come un complimento alla sua straordinaria bellezza fisica.
L'albergo si trovava nella piazza Omonia, era molto lussuoso e carissimo. L'Arcivescovo Contini-Verchese, seduto su una poltrona, accanto alle finestre che davano sul balcone, stava meditando; quando il Vescovo Ralph entrò, voltò la testa e sorrise.
«Giusto in tempo, Ralph. Vorrei pregare.»
«Credevo che fosse già tutto deciso. Sono sorte improvvise complicazioni, Eccellenza?»
«Non di questo genere. Ho ricevuto oggi una lettera del Cardinale Monteverdi, che mi comunica i desideri del Santo Padre.»
Il Vescovo Ralph sentì una tensione alle spalle, un curioso formicolio della pelle intorno alle orecchie. «Mi dica.»
«Non appena i colloqui saranno terminati - e sono terminati - dovrò proseguire per Roma. Là riceverò la berretta cardinalizia, e là continuerò il mio lavoro, alle dirette dipendenze di Sua Santità.»
«Mentre io?»
«Lei diverrà l'Arcivescovo de Bricassart e tornerà in Australia a prendere il mio posto come Legato pontificio.»
Il formicolio della pelle intorno alle orecchie si tramutò in un caldo rossore, la testa gli girò. Lui, non italiano, Legato del Papa! Era inaudito! Oh, poteva starne certo, sarebbe ancora divenuto il Cardinale de Bricassart!
«Naturalmente, prima dovrà far pratica e ricevere istruzioni a Roma. Ci vorranno circa sei mesi, durante i quali io sarò al suo fianco per presentarla a coloro che mi onorano della loro amicizia. Voglio farglieli conoscere, Ralph, perché giungerà il momento in cui la richiamerò per aiutarmi nel mio lavoro al Vaticano.»
«Eccellenza, non potrò mai ringraziarla abbastanza! La devo soltanto a lei, questa grande occasione.»
«Dio mi ha voluto abbastanza intelligente per capire quando un uomo è troppo capace per poter essere lasciato nell'oscurità, Ralph! E ora inginocchiamoci e preghiamo. Dio è molto buono.»
Il rosario e il messale si trovavano sul tavolino lì accanto; il Vescovo Ralph prese il rosario con la mano tremante e fece cadere il messale sul pavimento. Cadde aperto al centro. L'Arcivescovo, che era più vicino, lo raccattò e guardò incuriosito la forma, sottile come carta velina e rossiccia, che era stata un tempo una rosa.
«Ma è straordinario! Perché la conserva? È un ricordo di casa sua, o forse di sua madre?» Gli occhi, che vedevano attraverso l'astuzia e la dissimulazione, lo stavano fissando, e mancava il tempo di mascherare la commozione, o l'apprensione.
«No.» Con un sorriso simile a una smorfia. «Non mi occorrono ricordi di mia madre.»
«Ma questa rosa deve avere una grande importanza per lei, se la conserva tanto affettuosamente tra le pagine del libro che le è più caro. Che cosa le dice?»
«Parla di un amore puro come quello che ho per Dio, Vittorio. Può soltanto onorare il libro.»
«Questo lo avevo arguito, perché la conosco. Ma l'amore, pone forse in pericolo quello per la Chiesa?»
«No, per la Chiesa l'ho abbandonata, e sempre l'abbandonerò. Sono andato così lontano al di là di lei, non potrò tornare indietro mai più.»
«Così mi spiego finalmente la sua tristezza! Caro Ralph, non è penoso come crede, non lo è davvero. Lei nella vita farà un gran bene a molte persone, sarà amato da molte persone. E la ragazza, avendo l'amore contenuto in un ricordo fragrante come questo, non ne sentirà mai la mancanza. Perché lei ha conservato l'amore insieme alla rosa.»
«Credo che non lo capisca affatto.»
«Oh, sì. Se l'ha amata in questo modo, allora non può non essere abbastanza donna per capire. Altrimenti lei l'avrebbe dimenticata e da un pezzo si sarebbe liberato di questa reliquia.»
«Vi sono stati momenti in cui soltanto ore e ore trascorse in ginocchio mi hanno impedito di abbandonare il mio posto, di tornare da lei.»
L'Arcivescovo si sollevò dalla poltrona e andò a inginocchiarsi accanto all'amico, quell'uomo splendido che amava come aveva amato poche cose oltre al Dio e alla Chiesa per lui indivisibili.
«Non se ne andrà, Ralph, e lo sa bene. Appartiene alla Chiesa, sempre le è appartenuto e sempre le apparterrà. La sua vocazione è autentica. Ora pregheremo, e io aggiungerò la Rosa alle mie preghiere, per tutta la vita. Il buon Dio ci manda molti dolori e molte sofferenze nel cammino verso la vita eterna. Dobbiamo imparare a sopportarle, io quanto lei.»
Alla fine di agosto, Meggie ricevette una lettera di Luke nella quale le diceva di essere ricoverato nell'ospedale di Townsville con il morbo di Weil; ma non correva alcun pericolo e presto sarebbe stato dimesso.
«Sembra dunque che non dobbiamo aspettare il termine dell'anno per prenderci una vacanza, Meg. Non posso ricominciare a tagliar canne da zucchero finché non sarò guarito al cento per cento, e il modo migliore di guarire consiste nel concedermi una vera vacanza. Di conseguenza, passerò a prenderti tra circa una settimana. Andremo al lago Eacham, sul pianoro Atherton, per un paio di settimane, finché non mi sarò ristabilito abbastanza per rimettermi al lavoro.»
Meggie stentò a crederlo, e non capì se desiderasse o no ritrovarsi con lui, ora che la possibilità si presentava. Sebbene la sofferenza mentale avesse impiegato molto più tempo per guarire di quella fisica, il ricordo dei cimenti della luna di miele nell'albergo di Dunny era stato respinto fuori dei suoi pensieri per così lungo tempo da aver perduto la capacità di terrorizzarla; e, a furia di leggere, aveva capito meglio, ormai, che gran parte di quegli inconvenienti era stata causata dall'ignoranza, la sua e quella di Luke. Oh, buon Dio, ti prego, fa' che questa vacanza ci porti un bambino! Se soltanto avesse potuto avere un bambino da amare, tutto sarebbe stato più facile. Ad Anne non sarebbe dispiaciuto un bambino per casa, ne sarebbe stata felice. Ed era così anche per Luddie. Cento volte glielo avevano detto, sperando che Luke si trattenesse almeno una volta abbastanza a lungo per cambiare la vita vuota e senza affetti di sua moglie.
Quando riferì loro il contenuto della lettera ne furono lietissimi, ma, pur senza dirglielo, rimasero scettici.
«Come è certo che le uova sono uova, quel miserabile troverà qualche pretesto per partire senza di lei» disse Anne a Luddie.
Luke si era fatto prestare chissà dove un'automobile, e passò a prendere Meggie nelle prime ore del mattino. Era magro, rugoso e giallognolo come se fosse stato messo sottaceto. Spaventata, Meggie gli passò la valigia e salì accanto a lui.
«Che cos'è il morbo di Weil, Luke? Hai detto che non correvi alcun pericolo, ma a me sembra che tu sia stato molto grave.»
«Oh, è soltanto una specie di itterizia che quasi tutti i tagliatori di canne da zucchero si beccano prima o poi. La trasmettono i topi delle canne e ce la buschiamo attraverso un taglio o una ferita. Mi sento in forma, quindi non sono stato tanto gravemente malato come certi altri che l'hanno presa. I medicastri dicono che quanto prima sarò di nuovo sano come un pesce.»
Quando ebbero risalito una grande gola invasa dalla giungla, la strada li condusse nell'entroterra; un fiume gonfio tuonava e scrosciava più in basso e a un certo punto una magnifica cascata si riversava dall'alto, proprio al di sopra della strada. Passarono tra il dirupo e l'obliquo getto d'acqua, sotto un arco bagnato, scintillante di luci e ombre fantastiche. E, man mano che salivano, l'aria diventava fresca, squisitamente fredda. Meggie aveva dimenticato quanto le giovasse l'aria frizzante. La giungla si protendeva verso di loro, così impenetrabile che nessuno osava mai avventurarvisi. Per la massima parte rimaneva invisibile sotto la massa dei rampicanti ricchi di foglie che festonavano gli alberi, dall'una all'altra chioma, ininterrotti, come uno sconfinato drappo di verde velluto disteso sulla foresta. Sotto quelle gronde vegetali, Meggie intravedeva splendidi fiori e farfalle meravigliose, ragnatele simili a ruote di carro, con grossi ed eleganti ragni maculati immobili al centro, funghi favolosi che invadevano i tronchi rivestiti di muschio, uccelli dalle lunghe code, come strascichi rossi o fulvi.
Il lago Eacham si trovava nel punto più alto del pianoro, idillico in quell'ambiente intatto. Prima che scendesse la notte, uscirono sulla terrazza della loro pensione, per contemplare l'immota distesa d'acqua. Meggie voleva vedere gli enormi pipistrelli fruttivori chiamati volpi volanti scendere ruotando, come precursori del giorno del giudizio, e dirigersi a migliaia verso i luoghi ove trovavano il cibo. Erano mostruosi e ripugnanti, ma stranamente pavidi e del tutto inoffensivi. Vederli sopraggiungere nel cielo di metallo fuso, a stormi compatti e pulsanti, era uno spettacolo imponente. Meggie non si lasciava mai sfuggire l'occasione di osservarli dalla veranda di Himmelhoch.
E fu un paradiso affondare in un letto soffice e fresco, senza dover giacere immobili fino ad aver impregnato le lenzuola di sudore, per poi spostarsi con cautela in un altro punto, sapendo che quello di prima non si sarebbe mai asciugato. Luke tolse dalla valigia un pacchetto piatto, marrone, ne tolse una manciata di piccoli oggetti rotondi e li dispose in fila sul comodino.
Meggie si sporse per prenderne uno ed esaminarlo. «Che cos'è, in nome del Cielo?» domandò.
«Un preservativo.» Aveva dimenticato la sua decisione di due anni prima, la decisione di non dirle che si serviva di contraccettivi. «Me li metto prima di penetrarti. Altrimenti potrei seminare un bambino, e non possiamo permettercelo finché non avremo un posto nostro.» Sedeva nudo sulla sponda del letto, ed era magro, con le costole e le anche sporgenti. Ma i suoi occhi azzurri splendettero quando si sporse ad afferrarle la mano che stringeva il preservativo. «Ci siamo quasi, Meg, manca poco! Credo che con altre cinquemila sterline potremo acquistare la più bella proprietà esistente a ovest di Charters Towers.»
«Allora è come se tu l'avessi già» disse lei, in un tono di voce molto calmo. «Posso scrivere al Vescovo de Bricassart e chiedergli la somma in prestito. Non ci farà pagare alcun interesse.»
«Nemmeno per sogno!» scattò Luke. «Maledizione, Meg, dov'è il tuo orgoglio? Lavoreremo per avere quello che sarà nostro, non chiederemo prestiti! Non ho mai dovuto un penny a nessuno per tutta la vita, e non intendo cominciare adesso.»
Quasi non lo udì mentre lo fissava irosamente attraverso una bruma di un rosso scarlatto. In vita sua non era mai stata così infuriata! Impostore, bugiardo, egoista! Come osava farle cose simili, defraudarla di un figlio, cercare di farle credere che aveva tutte le intenzioni di diventare allevatore? Aveva trovato la nicchia che faceva per lui, con Arne Swenson e le canne da zucchero.
Celando l'ira così abilmente da stupire se stessa, tornò a dedicare la propria attenzione al dischetto di gomma che aveva in mano. «Parlami di questi cosi, di questi preservativi. Come possono impedirmi di avere un bambino?»
Luke venne a mettersi in piedi dietro di lei e il contatto dei loro corpi la fece fremere; di eccitazione, pensò lui; di disgusto, sapeva Meggie.
«Non sai proprio niente, Meg?»
«No» mentì. Ma stava dicendo la verità, almeno per quanto concerneva i preservativi; non ricordava di averne mai letto nei libri.
Le mani di lui si trastullarono con i suoi seni, solleticandoli. «Vedi, quando vengo, spruzzo... non so... una roba, e se mi trovo dentro di te senza nessuna protezione quella roba rimane là. Se ci resta abbastanza a lungo, o abbastanza spesso, nasce un bambino.»
Sicché era così! Si infilava l'aggeggio, come una pelle su una salsiccia! L'impostore!
Spenta la luce, la tirò sul letto e, di lì a non molto, cercò brancolando il suo aggeggio antibambini: lo udì causare gli stessi suoni che le erano riusciti incomprensibili nella camera da letto dell'albergo di Dunny. Ora sapeva, però, che si stava mettendo il preservativo. L'imbroglione! Ma come aggirare l'ostacolo?
Sforzandosi di non lasciargli capire quanto le facesse male, lo sopportò. Perché doveva essere così doloroso, se si trattava di una cosa naturale?
«Non è piacevole, vero, Meg?» domandò lui, dopo. «Devi essere spaventosamente piccola se continua a farti soffrire tanto, anche dopo la prima volta. Be', non ricomincerò. Non ti dispiace se lo faccio sul tuo seno, vero?»
«Oh, che cosa importa?» disse stancamente. «Se vuoi dire che non stai per farmi male, per me va bene!»
«Potresti anche essere un po' più entusiasta, Meg!»
«A quale scopo?»
Ma lui stava ricominciando a eccitarsi; erano due anni che non aveva più avuto tempo né energie per queste cose. Oh, era piacevole trovarsi con una donna, sollazzarsi in modo eccitante e proibito. Non si sentiva affatto sposato con Meg, la cosa non era diversa da una scopata nel recinto dietro la taverna di Kynuna, o dal metterlo alla superba e altezzosa Miss Carmichael contro il muro del capannone della tosatura. Meggie aveva bei seni, sodi a furia di cavalcare, proprio come piacevano a lui, e francamente preferiva farsela tra le mammelle, perché gli piaceva la sensazione del proprio pene non fasciato dal preservativo compresso entro le loro curve. I preservativi riducevano parecchio la sensibilità di un uomo, ma non metterli quando glielo infilava significava andare in cerca di guai.
Brancolando, esercitò una trazione sulle sue natiche e la fece sdraiare su di sé, poi prese tra i denti un capezzolo e lo sentì gonfiarsi e indurirsi contro la lingua. Un grande disprezzo nei suoi riguardi si era impadronito di Meggie; che creature ridicole erano gli uomini, grugnire e succhiare e affaticarsi da matti per quel che ne ricavavano. Luke si stava eccitando di più, le brancicava la schiena e le natiche, succhiava a più non posso, come un gattino troppo cresciuto che di nascosto fosse tornato alla madre. Cominciò a muovere i fianchi in modo ritmico e sussultante e, sdraiata goffamente su di lui, perché le riusciva troppo odioso tentare di aiutarlo, Meggie sentì la punta del pene non protetto scivolarle tra le gambe.
Poiché non stava partecipando all'atto, era perfettamente padrona dei propri pensieri. E in quel momento ebbe l'idea. Il più adagio e il più furtivamente possibile, lo manovrò in modo da piazzarlo proprio contro la parte più dolente di se stessa; poi, traendo un gran respiro per farsi coraggio, a denti stretti, si abbassò con violenza sul pene, facendolo penetrare. Ma, anche se le fece male, fu una sofferenza assai più sopportabile. Senza la protezione di gomma, il membro era più scivoloso, si introduceva più facilmente, ed ella lo tollerava assai meglio.
Luke aprì gli occhi, tentò di respingerla, ma oh, Dio! Era incredibile senza il preservativo; non aveva mai posseduto una donna a pelle nuda, non si era mai reso conto dell'enorme differenza che faceva. Era così vicino al momento culminante, talmente eccitato, che non seppe indursi a respingerla con sufficiente energia, e, in ultimo, l'allacciò con le braccia, incapace di continuare a trastullarsi con i seni. Sebbene non ritenesse virile gridare, non poté impedire che il grido gli sfuggisse, e in seguito la baciò teneramente.
«Luke?»
«Cosa?»
«Perché non possiamo fare in questo modo ogni volta? Così non ti dovresti mettere il preservativo.»
«Non avremmo dovuto farlo nemmeno questa volta, Meg, figurarsi poi altre volte. Mi trovavo proprio dentro di te, quando sono venuto.»
Meg si sporse su di lui, accarezzandogli il petto. «Ma non capisci? Ti sto seduta addosso! Non rimane dentro affatto, scorre di nuovo fuori! Oh, Luke, ti prego! È molto più bello, così, non fa quasi affatto male. Sono sicura che non ci sia pericolo, perché lo sento scorrere fuori. Ti prego!»
Quale essere umano a questo mondo avrebbe potuto resistere alla tentazione di un nuovo piacere perfetto, offertogli in modo così plausibile? Come Adamo, Luke annuì perché, a questo punto, era di gran lunga meno bene informato di Meggie.
«Presumo che ci sia del vero in quello che dici, e anche per me è più piacevole quando non opponi resistenza. Va bene, Meg, d'ora in poi faremo così.»
E, nell'oscurità, sorrise, soddisfatta. Poiché non tutto lo sperma era uscito. Non appena aveva sentito Luke afflosciarsi e uscire da lei, aveva irrigidito tutti i muscoli interni in un nodo, gli era scivolata di dosso sdraiandosi supina, flettendo le ginocchia e accavallando le gambe con noncuranza, trattenendo in sé ciò che era rimasto con ogni briciola della sua determinazione. Oh-oh, mio bel gentiluomo, ti servirò io a dovere! Aspetta e vedrai, Luke O'Neill! Avrò un bambino, anche se dovesse uccidermi!
Lontano dalla calura e dall'umidità della pianura costiera, Luke si ristabilì rapidamente. Poiché mangiava bene, riguadagnò il peso perduto e la sua pelle si liberò del colore giallognolo e malaticcio, tornando alla consueta abbronzatura. Con l'esca di una Meggie avida e docile nel proprio letto, non fu difficile persuaderlo a protrarre le due settimane inizialmente previste, facendo sì che divenissero dapprima tre, e poi quattro. Ma, dopo un mese, si ribellò. «Non ci sono più giustificazioni, Meg. Sto di nuovo bene come prima. Rimaniamo qui in ozio sul tetto del mondo, come un re e una regina, spendendo denaro. Arne ha bisogno di me.»
«Non vuoi proprio ripensarci, Luke? Se davvero tu volessi, potresti averlo subito, l'allevamento.»
«Andiamo avanti ancora un po' come adesso, Meg.»
Non voleva ammetterlo, naturalmente, ma aveva nel sangue il richiamo delle canne da zucchero, lo strano fascino esercitato su certi uomini dalle fatiche che assorbono tutte le loro energie. Fino a quando le sue forze di uomo giovane avessero retto, Luke sarebbe rimasto fedele alle canne. In una sola cosa poteva sperare Meggie: costringerlo a cambiare idea dandogli un figlio, l'erede della proprietà nei dintorni di Kynuna.
Così, tornò a Himmelhoch per aspettare e sperare. Dio, ti prego, ti prego, fa' che abbia un bambino! Un bambino risolverebbe tutto, quindi, ti prego, fa' che nasca un bambino. E il bambino risultò essere stato concepito. Quando lo disse a Anne e a Luddie, furono sopraffatti dalla gioia. Luddie, in particolare, dimostrò di essere un tesoro. Preparò gli abitini più squisiti a punto smock e ricamati, due arti nelle quali Meggie non aveva mai avuto il tempo di impratichirsi, e così, mentre lui infilava un ago minuscolo in tessuti delicati, con le sue mani callose e magiche, Meggie aiutò Anne a preparare la camera per il bambino.
Il solo guaio stava nel fatto che la gravidanza era difficile, e Meggie non avrebbe saputo dire se a causa della calura o della sua infelicità. Le nausee mattutine si protraevano per tutto il giorno e continuarono ancora a lungo dopo che sarebbero dovute cessare; sebbene fosse magra, cominciò a soffrire molto a causa di un eccesso di liquido nei tessuti, e inoltre la pressione del sangue salì al punto da mettere in apprensione il dottor Smith. Dapprima consigliò il ricovero nell'ospedale di Cairns per il resto della gravidanza; ma, dopo aver riflettuto a lungo sulla situazione di lei, lontana dal marito e senza amici, decise che si sarebbe trovata meglio con Luddie e con Anne, i quali le erano così affezionati. Tuttavia, per le ultime tre settimane dalla gravidanza, sarebbe dovuta assolutamente andare a Cairns.
«E cerchi di convincere il marito ad andare a trovarla!» urlò il medico a Luddie.
Meggie aveva scritto immediatamente per dire a Luke che era incinta, con la consueta persuasione femminile che, il non-desiderato essendo divenuto una realtà irrefutabile, Luke si sarebbe lasciato travolgere da un entusiasmo incontenibile. La sua lettera di risposta distrusse tutte queste illusioni. Luke era furibondo. Per quanto lo concerneva, diventare padre significava soltanto che avrebbe avuto due bocche inutili da sfamare, anziché nessuna. Fu una pillola amara da mandar giù, ma Meggie la inghiottì; non poteva fare diversamente. Ormai il nascituro la legava a lui strettamente quanto l'orgoglio.
Ma si sentiva indisposta, indifesa, del tutto priva di affetto; persino il bambino non l'amava, non avrebbe voluto essere concepito o non voleva nascere. Sentiva entro di sé le proteste della minuscola e debole creatura contro la necessità di venire al mondo. Se fosse riuscita a sopportare il viaggio di tremiladuecento chilometri in ferrovia per tornare a casa, sarebbe partita, ma il dottor Smith scosse recisamente la testa. «Si metta in treno per una settimana o più, sia pure a tappe, e questa sarà la fine del bambino.» Per quanto delusa e infelice, Meggie non voleva fare consapevolmente nulla che potesse nuocere alla sua creatura. Eppure, man mano che il tempo passava, l'entusiasmo e la brama di avere un esserino suo da amare si avvizzivano in lei; il bambino-incubo sembrava diventare più greve, più risentito.
Il dottor Smith disse che sarebbe dovuta andare a Cairns prima del previsto; non era certo che Meggie potesse sopravvivere al parto a Dungloe, ove esisteva soltanto una piccola infermeria senza personale medico interno. La pressione del sangue era recalcitrante, il fluido nei tessuti continuava ad aumentare; parlò di tossiemia e di eclampsia, altri paroloni medici che spaventarono Anne e Luddie e li indussero ad approvare, per quanto desiderassero veder nascere il bambino a Himmelhoch.
Alla fine di maggio, mancavano appena quattro settimane al parto; quattro settimane prima che Meggie potesse liberarsi del fardello intollerabile, dell'ingrato bambino. Stava cominciando a odiarla, quella stessa creatura che aveva tanto desiderato prima di sapere quali sofferenze le sarebbe costata. Perché aveva supposto che Luke desiderasse il bambino, una volta saputo come la sua esistenza fosse divenuta una realtà? Nulla nell'atteggiamento o nel comportamento di lui, dopo il matrimonio, lo aveva lasciato arguire.
Era ormai tempo che riconoscesse il disastro, che rinunciasse al suo stupido orgoglio e tentasse di salvare il possibile dalle rovine. Si erano sposati per tutte le ragioni sbagliate: lui per il denaro, lei per sottrarsi a Ralph de Bricassart, pur tentando di restare legata al sacerdote. Non era mai esistito l'amore, tra loro, e soltanto l'amore avrebbe potuto aiutare Meggie e Luke a sormontare le enormi difficoltà determinate dai loro diversi scopi e desideri.
Strano a dirsi, sembrava che non riuscisse mai a odiare Luke, mentre si sorprendeva sempre più spesso a odiare Ralph de Bricassart. Eppure, tutto sommato, Ralph era stato di gran lunga più buono e più leale con lei di Luke. Non una sola volta l'aveva incoraggiata a sognarlo in qualsiasi ruolo, tranne quello del prete e dell'amico, poiché, anche nelle due occasioni in cui si erano baciati, l'iniziativa era stata di Meggie.
Perché se la prendeva tanto con lui, allora? Perché odiava Ralph e non Luke? Avrebbe dovuto piuttosto incolpare i propri timori e le proprie incapacità, l'enorme risentimento che provava perché lui l'aveva sempre respinta mentre lei lo amava e lo desiderava tanto. E avrebbe dovuto incolpare lo stupido impulso dal quale era stata indotta a sposare Luke O'Neill. Un tradimento di se stessa e di Ralph. Non importava se non le sarebbe mai stato possibile sposarlo, dormire con lui, avere figli suoi. Non importava se lui non la voleva e non l'aveva voluta. Restava il fatto che era lei a volere Ralph, e non avrebbe mai dovuto accontentarsi di meno.
Ma, anche rendendosi conto dei propri torti, non poteva rimediare. Aveva pur sempre sposato Luke O'Neill, ed era di Luke O'Neill il bambino nel suo ventre. Come avrebbe potuto essere felice pensando al figlio di Luke O'Neill, se lui stesso non lo voleva? Povera creaturina. Per lo meno, dopo la nascita, sarebbe stato un essere umano, e in quanto tale avrebbe potuto amarlo. Ma... che cosa non avrebbe dato per avere un figlio di Ralph de Bricassart? Era impossibile, irrealizzabile. Serviva un'istituzione che pretendeva tutto da lui, anche quella parte della quale non sapeva che farsi, la sua virilità. Questo la Madre Chiesa richiedeva da lui come sacrificio al proprio potere in quanto istituzione, e in tal modo lo sprecava, estirpava da lui il suo stesso essere, faceva in modo che, quando si fosse fermato, sarebbe stato cancellato in eterno. Ma un giorno la Chiesa avrebbe dovuto pagare per la propria avidità. Un giorno non vi sarebbero stati altri Ralph de Bricassart, perché avrebbero apprezzato la propria virilità quanto bastava per rendersi conto che pretenderla, da parte della Chiesa, era un sacrificio inutile, non aveva assolutamente alcun senso...
A un tratto Meggie si alzò e arrancò faticosamente nel soggiorno verso Anne, intenta a leggere una copia clandestina del romanzo proibito di Norman Lindsay, Redheap, godendone assai palesemente ogni parola vietata.
«Anne, credo che il tuo desiderio stia per essere esaudito.»
Anne alzò gli occhi distrattamente. «Come, cara?»
«Telefona al dottor Smith. Sto per avere questo misero bambino qui e subito.»
«Oh, Dio mio! Va' in camera da letto e coricati... non nella tua camera da letto, nella nostra!»
Maledicendo i capricci del fato e la caparbietà dei bambini, il dottor Smith si affrettò a partire da Dungloe con la sua scassata automobile; sul sedile posteriore si trovava la levatrice con il maggior numero possibile di attrezzature infermieristiche.
«Ha avvertito il marito?» domandò a Anne, salendo di corsa gli scalini seguito dalla levatrice.
«Ho spedito un telegramma. Meggie è in camera mia; mi son detta che ci sarebbe stato più spazio.»
Zoppicando dietro il medico, Anne entrò nella camera da letto. Meggie giaceva con gli occhi spalancati e non tradiva in alcun modo il dolore, se non con un occasionale movimento spasmodico delle mani e un inarcarsi del corpo. Voltò la testa per sorridere a Anne, e Anne vide che aveva gli occhi colmi di paura.
«Sono contenta di non essere andata a Cairns» disse Meggie. «Mia madre non si è mai fatta ricoverare in ospedale per partorire, e Pa' disse una volta che aveva sofferto terribilmente per Hal. Ma sopravvisse, e così sopravvivrò io. Noi donne Cleary siamo dure a morire.»
Erano trascorse alcune ore quando il dottore raggiunse Anne sulla veranda.
«È una faccenda lunga e dolorosa, per quel donnino. Il primo bambino nasce di rado con facilità, ma questo non è nella posizione normale, e lei continua a spingere senza approdare a niente. Se si trovasse a Cairns, avrebbero potuto sottoporla a un cesareo, ma qui neanche a parlarne. Dovrà partorire per suo conto.»
«È in sé?»
«Oh, sì. È una piccola, prode creatura, non grida e non si lamenta. Le migliori di solito soffrono di più, a parer mio. Continua a domandarmi se Ralph non è ancora arrivato e io devo mentirle parlandole del Johnstone in piena. Ma suo marito non si chiama Luke?»
«Infatti.»
«Hmmmm! Be', forse chiede di questo Ralph, chiunque egli sia, perché il pensiero di Luke non le dà alcun conforto, eh?»
«Luke è un bastardo.»
Anne si sporse, le mani appoggiate sulla ringhiera della veranda. Un tassì stava arrivando lungo la strada di Dunny e aveva voltato su per il viale d'accesso di Himmelhoch. Con la sua vista acuta, scorse un uomo dai capelli neri sul sedile posteriore, e si lasciò sfuggire un'esclamazione di sollievo e di gioia.
«Non credo ai miei occhi, ma penso che Luke si sia ricordato finalmente di avere una moglie!»
«Sarà meglio che torni dalla partoriente e lasci a lei il compito di accoglierlo, Anne. Non dirò niente a Meggie, nel caso non si trattasse del marito. Se è il marito, gli offra una tazza di tè e lasci i liquori forti per dopo. Ne avrà bisogno.»
Il tassì si fermò. Non senza stupore di Anne, l'autista discese e aprì lo sportello al passeggero. Joe Castiglione, il proprietario dell'unico tassì di Dunny, non era portato di solito a simili cortesie.
«Himmelhoch, Eccellenza» disse, inchinandosi profondamente.
Un uomo dalla lunga e fluente tonaca nera discese, aveva una fascia viola di raso intorno alla vita. Quando si voltò, Anne credette, per un momento di stordito stupore, che Luke O'Neill volesse farle uno scherzo. Poi vide che si trattava di un uomo molto diverso, di almeno dieci anni più anziano di Luke. Dio mio! pensò, mentre la figura aggraziata saliva gli scalini due alla volta. È il più bell'uomo che abbia mai veduto! Un Arcivescovo, nientemeno! Ma che cosa può volere, un Arcivescovo cattolico, da due anziani luterani come Luddie e me?
«La signora Mueller?» domandò, sorridendole dall'alto della sua statura con occhi azzurri cortesi e freddi. Come se avesse veduto molte cose per non vedere le quali sarebbe stato disposto a dare tutto l'oro del mondo, e da molto tempo fosse riuscito a reprimere ogni sentimento.
«Sì, sono Anne Mueller.»
«Io sono l'Arcivescovo Ralph de Bricassart, il Legato di Sua Santità in Australia. Mi risulta che la moglie di Luke O'Neill alloggia con lei.»
«Sì, signore.» Ralph? Ralph? Era quest'uomo Ralph?
«Sono un suo vecchissimo amico. Potrei parlarle, per favore?»
«Be', sono certa che ne sarebbe felicissima, Arcivescovo» - no, non era questo il modo giusto di rivolgersi a lui, non si diceva Arcivescovo, si diceva Eccellenza, come Joe Castiglione - «in circostanze più normali, ma in questo momento Meggie ha le doglie, e il parto si presenta difficilissimo.»
Vide allora che egli non era riuscito affatto a reprimere i sentimenti, li aveva soltanto disciplinati come cani abietti, scacciandoli nel fondo dei suoi pensieri. Aveva gli occhi così intensamente azzurri che vi si sentì affogare, e quanto scorse in essi in quel momento la indusse a domandarsi cosa fosse Meggie per lui, e cosa egli fosse per Meggie.
«Sapevo che era accaduto qualcosa! Già da un pezzo sentivo che qualcosa non andava, ma di recente il cruccio era divenuto un'ossessione. Dovevo venire e vedere personalmente. La prego, mi consenta di vederla! Se vuole un motivo, sono un sacerdote.»
Anne non aveva avuto alcuna intenzione di negarglielo. «Mi segua, Eccellenza, da questa parte, prego.» E, mentre arrancava adagio tra i due bastoni, continuò a domandarsi: è pulita e in ordine la casa? Ho spolverato? Ci siamo ricordati di gettar via quel cosciotto d'agnello andato a male, o c'è dappertutto odore di carne putrida? Che razza di momento ha scelto, un uomo importante come costui, per venire! Luddie, non toglierai mai quel grasso deretano dal trattore, decidendoti a rientrare? Il ragazzo dovrebbe averti trovato da ore!
Il prelato passò accanto al dottor Smith e alla levatrice, come se non fossero esistiti, per cadere in ginocchio accanto al letto e cercare la mano della partoriente.
«Meggie!»
Si districò dal sogno spaventoso nel quale era scivolata, indifferente a tutto, e vide il volto diletto accanto al suo, i folti capelli neri ormai brizzolati alle tempie, le belle fattezze aristocratiche un pochino più marcate, più pazienti, se possibile, e gli occhi azzurri che contemplavano i suoi con amore e desiderio. Come aveva mai potuto confondere Luke con lui? Non esisteva nessuno che gli somigliasse, non sarebbe mai esistito, per quanto la concerneva; e aveva tradito tutto ciò che provava nei suoi riguardi! Luke era il lato opaco dello specchio; Ralph era splendido come il sole, e altrettanto remoto. Oh, che bellezza vederlo!
«Ralph, aiutami» disse.
Le baciò la mano appassionatamente. Poi se la tenne contro la gota. «Sempre, Meggie, lo sai.»
«Prega per me e per il bambino. Se qualcuno può salvarci, quello sei tu. Sei molto più vicino di noi a Dio. Nessuno ci vuole, nessuno ci ha mai voluti, nemmeno tu.»
«Dov'è Luke?»
«Non lo so, e non me ne importa.» Chiuse gli occhi e voltò la testa da un lato e dall'altro sul guanciale, ma le dita tra le dita di lui stringevano forte, non volevano lasciarlo andare.
Poi il dottor Smith lo toccò sulla spalla. «Eccellenza, credo che dovrebbe uscire, adesso.»
«Se la sua vita dovesse essere in pericolo, mi chiamerà?»
«Immediatamente.»
Luddie era finalmente arrivato dai campi di canne da zucchero, frenetico non vedendo nessuno e non osando entrare nella camera da letto.
«Anne, sta bene?» domandò mentre sua moglie usciva con l'Arcivescovo.
«Fino a ora sì. Il dottore non vuole impegnarsi, ma credo che speri. Luddie, abbiamo un ospite. Ti presento l'Arcivescovo Ralph de Bricassart, un vecchio amico di Meggie.»
Più esperto della moglie, Luddie si piegò su un ginocchio e baciò l'anello sulla mano che gli venne offerta. «Si accomodi, Eccellenza, parli con Anne. Io andrò a mettere sul fuoco il bricco per il tè.»
«Sicché, lei è Ralph» disse Anne, appoggiando i bastoni a un tavolino di bambù mentre il prelato le sedeva di fronte, con le pieghe della tonaca che gli cadevano intorno e i lucidi stivali neri da cavallerizzo chiaramente visibili, in quanto aveva accavallato le gambe. Un atteggiamento effeminato per un uomo, ma si trattava di un sacerdote e pertanto la cosa non rivestiva molta importanza; eppure, c'era in lui qualcosa di intensamente virile, gambe accavallate o no. Probabilmente non era tanto anziano quanto lei lo aveva giudicato prima; forse nei primi anni della quarantina. Che spreco, con un uomo così mirabilmente bello!
«Sì, sono Ralph.»
«Da quando le doglie sono cominciate, Meggie ha continuato a chiedere di qualcuno di nome Ralph. Devo ammettere che ero interdetta. Non ricordo che abbia mai accennato a un Ralph prima d'ora.»
«No, non avrebbe mai fatto il mio nome.»
«Come ha conosciuto Meggie? Da quanto tempo la conosce?»
Il prelato sorrise amaramente e unì le mani magre, bellissime, così da formare il tetto a sesto acuto di una chiesa. «Conosco Meggie da quando aveva dieci anni ed era sbarcata soltanto da pochi giorni, proveniente dalla Nuova Zelanda. Sarebbe l'assoluta verità dire che ho conosciuto Meggie nelle alluvioni, negli incendi e nella carestia emotiva, nella morte e nella vita. Quanto abbiamo dovuto sopportare! Meggie è lo specchio nel quale sono costretto a contemplare la mia condizione mortale.»
«Lei l'ama!» Il tono di Anne era sorpreso.
«L'amerò sempre.»
«È una tragedia per entrambi.»
«Avevo sperato che lo fosse soltanto per me. Mi parli di lei, mi dica che cosa le è accaduto dopo il matrimonio. Non la vedo da molti anni, e mi sono sempre preoccupato per lei.»
«Glielo dirò, ma soltanto dopo che sarà stato lei a parlarmi di Meggie. Oh, non mi riferisco a cose personali, soltanto al genere di vita che conduceva prima di venire a Dunny. Non sappiamo assolutamente niente, Luddie e io, tranne che risiedeva in qualche località nei pressi di Gillanbone. Vogliamo sapere di più, perché l'amiamo molto. Ma non ha mai voluto dirci nulla... per orgoglio, credo.»
Luddie portò un vassoio con tè e biscotti e sedette mentre il sacerdote dava loro un'idea di quella che era stata la vita di Meggie prima del matrimonio con Luke.
«Non lo avrei mai supposto, nemmeno in un milione di anni! Pensare che Luke O'Neill ha avuto la sfrontatezza di toglierla a tutto questo e di farla lavorare come cameriera! E la faccia tosta che la sua paga di cameriera venisse versata sul suo conto in banca! Lo sa che la povera creatura non ha mai avuto un penny nella borsetta, da spendere per sé, da quando si trova qui? Il Natale scorso, dissi a Luddie di darle un premio in contanti, ma ormai aveva bisogno di tante di quelle cose che spese tutto in un giorno, e da noi non ha mai voluto accettare altro.»
«Non compatisca Meggie per questo» disse l'Arcivescovo Ralph, con un tono di voce lievemente aspro. «Non credo che compianga se stessa, e certo non perché non ha denaro. Il denaro le ha dato ben poca felicità, in fin dei conti, no? Sa a chi rivolgersi, qualora non possa farne a meno. Io direi che la manifesta indifferenza di Luke le ha fatto più male del non avere un penny. Mia povera Meggie!»
Tra tutti e due, Anne e Luddie, descrissero quale era stata l'esistenza della giovane sposa, mentre l'Arcivescovo de Bricassart, sempre con le mani unite, contemplava le belle fronde a ventaglio di un palmizio, fuori. Non una sola volta un muscolo gli guizzò sulla faccia, o vi fu un mutamento nei begli occhi assenti. Aveva imparato molte cose, da quando era segretario del Cardinale Contini-Verchese.
Terminato il racconto, sospirò e volse lo sguardo verso le loro facce ansiose. «Bene, sembra che dobbiamo aiutarla noi, poiché Luke non è disposto a farlo. Se Luke davvero non la vuole, Meggie si troverebbe meglio qualora tornasse a Drogheda. So che loro non vogliono perderla, ma, nel suo interesse, cerchino di persuaderla a tornare a casa. Da Sydney manderò un assegno per lei, così da evitarle l'imbarazzo di chiedere denaro al fratello. Poi, una volta tornata a Drogheda, potrà dire ai suoi quello che vorrà.» Sbirciò la porta della camera da letto e si agitò irrequieto. «Buon Dio, fa' che il bambino nasca!»
Ma il parto ebbe luogo soltanto quasi ventiquattr'ore dopo, quando Meggie era quasi stata uccisa dallo sfinimento e dalle sofferenze. Il dottor Smith le aveva somministrato abbondanti dosi di laudano, essendo pur sempre quello il rimedio migliore, secondo il suo antiquato parere; Meggie sembrava precipitare lungo spirali di incubi nei quali oscure cose entro di lei e fuori di lei laceravano e dilaniavano, artigliavano e sputavano, ululavano e gemevano e gridavano. A volte, la faccia di Ralph si metteva a fuoco per un momento fuggevole, poi scompariva di nuovo, travolta da una marea di dolore; ma il ricordo di lui indugiava, e, finché lui vigilava, Meggie sapeva che né lei né il bambino sarebbero morti.
Concedendosi una sosta - mentre la levatrice se la sbrigava da sola — per mandar giù un boccone e un bicchierino di rum, e per accertarsi che nessuno dei suoi altri pazienti fosse così sconsiderato da voler andare all'altro mondo, il dottor Smith ascoltò sul conto di Meggie tutto ciò che Anne e Luddie ritennero opportuno dirgli.
«Ha ragione, Anne» osservò poi. «Tutto quell'andare a cavallo è probabilmente una delle ragioni delle attuali difficoltà. L'abbandono della sella da amazzoni è stato un guaio per le donne che devono cavalcare molto. L'altra posizione sviluppa muscoli controproducenti.»
«Credevo che queste fossero fisime da vecchie comari» osservò l'Arcivescovo, blando.
Il dottor Smith gli scoccò un'occhiata risentita. Non gli piacevano i sacerdoti cattolici, li riteneva tutti quanti stupidi e ipocriti.
«La pensi come vuole» replicò. «Ma mi dica una cosa, Eccellenza: dovendo scegliere tra la vita di Meggie e quella del bambino, che cosa suggerirebbe la sua coscienza?»
«La Chiesa è inflessibile su questo punto, dottore. Non si deve mai fare alcuna scelta. Il bambino non può essere ucciso per salvare la madre, né si deve uccidere la madre per salvare il bambino.» Poi ricambiò, altrettanto malignamente, il sorriso del dottor Smith. «Ma se si dovesse arrivare a questo, dottore, non esiterei a dirle: salvi Meggie, e al diavolo il bambino.»
Il dottor Smith rimase a bocca aperta, poi rise e gli batté la mano sulla schiena. «Bravo! Stia tranquillo, non riferirò a nessuno quello che ha detto. Fino a ora, però, il bambino è vivo e non vedo a che cosa gioverebbe ucciderlo.»