«Non ti sei nemmeno tolta il tuo bel vestito. È da mezzanotte che te ne stai seduta qui?»

«Sì.»

«Bob e Jack sanno dove sei?»

«Ho detto che me ne andavo a letto.»

«Che cos'hai, Meggie?»

«Lei non mi ha mai rivolto la parola, stanotte!»

«Ah, immaginavo che potesse trattarsi di questo. Suvvia, Meggie, guardami!»

Lontano, a oriente, si intravedeva un chiarore perlaceo, una fuga dell'oscurità totale, e i galli di Drogheda stavano gridando un precoce benvenuto all'alba. Vide così che nemmeno un lungo pianto poteva offuscare la bellezza di quegli occhi.

«Meggie, tu eri di gran lunga la più bella ragazza al ricevimento, ed è ben noto che io vengo a Drogheda più spesso di quanto sia necessario. Sono un sacerdote e, di conseguenza, dovrei essere al di sopra di ogni sospetto... un po' come la moglie di Cesare... ma temo che la gente non pensi con tanta purezza. Per essere un prete, sono giovane, e non brutto di aspetto.» Si interruppe domandandosi come sarebbe stata accolta da Mary Carson la piccola sottovalutazione, e rise silenziosamente. «Se io avessi prestato a te anche soltanto un briciolo di attenzione, in men che non si dica tutta Gilly ne avrebbe parlato. Tutti quanti nel distretto si sarebbero affrettati a pettegolare. Sai che cosa voglio dire?»

Ella scosse la testa. I corti riccioli stavano diventando più luminosi nella luce che avanzava.

«Be', sei giovane per poter conoscere le abitudini del mondo, ma devi imparare, e sembra che tocchi sempre a me insegnarti, non è così? Intendevo questo: la gente direbbe che io sono interessato a te come uomo, non come sacerdote.»

«Padre!»

«Spaventoso, vero?» Sorrise. «Ma è proprio quello che direbbe la gente, te lo assicuro. Vedi, Meggie, tu non sei più una bimbetta, sei una signorina. Ma non hai ancora imparato a nascondere il tuo affetto per me, e, se io mi fossi soffermato a parlarti mentre tutte quelle persone guardavano, tu mi avresti fissato in un modo che sarebbe potuto essere male interpretato.»

La ragazza lo stava guardando con un'espressione bizzarra, una imperscrutabilità improvvisa le velava lo sguardo; poi, bruscamente, voltò la testa, presentandogli il proprio profilo. «Sì, capisco. Sono stata sciocca a non essermene resa conto.»

«E ora non credi che sarebbe tempo di tornare a casa? Senza dubbio tutti dormiranno fino a tardi, ma, se qualcuno si destasse alla solita ora, ti troveresti nei pasticci. E non puoi dire di essere stata con me, Meggie, nemmeno alla tua famiglia.»

Si alzò e, stando in piedi, abbassò gli occhi su di lui. «Vado, Padre. Ma vorrei che la conoscessero meglio, allora non penserebbero mai certe cose di lei. Non ne è capace, vero?»

Per qualche motivo, queste parole lo ferirono, lo ferirono sino all'anima come non avevano potuto fare i sarcasmi crudeli di Mary Carson. «No, Meggie, hai ragione. Non ne sono capace.» Balzò in piedi, con un sorriso obliquo. «Ti sembrerebbe strano se dicessi che vorrei esserlo?» Si portò una mano sul capo. «No, non voglio esserlo affatto! Torna a casa, Meggie, torna a casa!»

Il viso di lei era triste. «Buonanotte, Padre.»

Le prese le mani tra le sue, si chinò e le baciò. «Buonanotte, carissima Meggie.»

La vide camminare tra le tombe, scavalcare la cancellata; nel vestito ricamato a boccioli di rose, il suo corpo che si allontanava era aggraziato, femminile e un po' irreale. Cenere di rose. «Come è appropriato» disse lui all'angelo.

Le automobili si allontanavano rombando da Drogheda, quando riattraversò il prato; la festa era finita, finalmente. In casa, l'orchestra stava mettendo via gli strumenti, i suonatori barcollavano per il rum e la stanchezza, e le stanche cameriere e gli aiuti temporanei cercavano di riordinare. Padre Ralph scosse la testa guardando la signora Smith.

«Mandi tutti a letto, mia cara. È più facile sbrigare queste faccende quando si è riposati. Farò io in modo che la signora Carson non si adiri.»

«Gradirebbe qualcosa da mangiare, Padre?»

«Buon Dio, no! Me ne vado a dormire.»

Nel tardo pomeriggio, una mano gli toccò la spalla. L'afferrò alla cieca, senza trovare la forza di aprire gli occhi, e cercò di tenerla contro la gota.

«Meggie» farfugliò.

«Padre, Padre! Oh, vuole destarsi, per favore?»

Al tono di voce della signora Smith, gli occhi gli divennero all'improvviso molto desti. «Che cosa c'è, signora Smith?»

«Si tratta della signora Carson, Padre. È morta.»

L'orologio gli disse che erano le sei di sera passate; stordito e vacillante dopo il torpore greve causato dalla calura tremenda durante il giorno, si sfilò il pigiama e indossò la veste sacerdotale, si gettò intorno al collo una stretta stola viola e prese l'olio dell'estrema unzione, l'acqua santa, la grossa croce d'argento, il rosario di chicchi d'ebano. Nemmeno per un momento gli passò per la mente di domandarsi se la signora Smith avesse detto la verità; sapeva che il ragno era morto. Aveva ingerito qualcosa, tutto sommato, Mary Carson? Volesse Iddio, se così era, che il veleno non si trovasse palesemente nella stanza, e che i suoi effetti non saltassero agli occhi del medico. A che cosa potesse mai servire somministrare l'estrema unzione, non lo sapeva. Ma doveva farlo. Se si fosse rifiutato, vi sarebbe stata un'autopsia, seguita da complicazioni di ogni genere. Eppure, quella riluttanza non aveva niente a che vedere con l'improvviso sospetto di suicidio, gli sembrava semplicemente osceno toccare con cose sacre il cadavere di Mary Carson.

Era morta, e come; la morte doveva averla colta pochi minuti dopo che si era coricata, almeno quindici ore prima. Trovò le finestre ermeticamente chiuse e la stanza umida a causa delle grandi teglie d'acqua che la signora voleva venissero collocate in ogni angolo buio per mantenerle liscia la pelle. Si udiva nell'aria un suono bizzarro; dopo uno stupido momento di stupore, si rese conto che quanto udiva era un ronzio di mosche, orde di mosche ronzanti, dalle ali pazzamente vibranti mentre banchettavano su di lei, si accoppiavano su di lei, depositavano su di lei le loro uova.

«Per amor di Dio, signora Smith, spalanchi le finestre!» disse a stento, con la voce soffocata, mentre si avvicinava al letto, pallido in faccia.

Aveva superato la fase del rigor mortis ed era di nuovo floscia, disgustosamente. Gli occhi spalancati e fissi si stavano chiazzando, le labbra sottili erano nere, e dappertutto sul suo corpo c'erano le mosche. Dovette ordinare alla signora Smith di continuare a scacciarle mentre si dava da fare con il cadavere, bofonchiando le antiche esortazioni latine. Che farsa! e come puzzava! Oh, Dio, peggio di un cavallo morto nella frescura dei pascoli. Lo schifava toccarla nella morte come nella vita; specie quelle labbra coperte di uova di mosche. Di lì a poche ore sarebbe stata una massa di vermi.

Finalmente ebbe finito. Si raddrizzò. «Vada subito dal signor Cleary, signora Smith, e, per amor di Dio, gli dica di far costruire immediatamente una bara dai ragazzi. Non ci sarà il tempo di farne venire una da Gilly, sta imputridendo sotto i nostri occhi. Dio buono! Mi sta prendendo la nausea. Farò un bagno e lascerò i miei panni fuori della porta. Non riuscirei mai a toglierne il suo odore.»

Rientrato in camera sua con i calzoni al ginocchio e una camicia - poiché non aveva messo due tonache nella valigia — ricordò la lettera e la propria promessa. Erano suonate le sette; udì uno strepito attutito mentre le cameriere, con i loro temporanei aiuti, si precipitavano a eliminare il disordine del ricevimento, a trasformare di nuovo in cappella il salone, a preparare la casa per il funerale dell'indomani. Impossibile. Impossibile evitarlo, sarebbe stato costretto a tornare a Gilly quella notte stessa per prendere un'altra tonaca e i paramenti della Messa di Requiem. Certe cose non gli mancavano mai quando si allontanava dalla canonica per recarsi in un allevamento lontano, accuratamente assicurate con cinghie negli scomparti della piccola valigia nera; i sacramenti per le nascite, le morti, le benedizioni, il culto, e le vesti adatte alla Messa in qualunque stagione. Ma era irlandese, e portare i neri e luttuosi paramenti della Messa di Requiem significava tentare il destino. La voce di Paddy echeggiò in lontananza, ma in quel momento non se la sentiva di parlare con Paddy; sapeva che la signora Smith avrebbe fatto tutto il necessario.

Seduto davanti alla finestra e contemplando Drogheda nel sole morente della sera, gli spettrali eucalipti dorati, la massa di rose rosse, rosee e bianche nel giardino inondato di viola, tolse dal portafogli la lettera della signora Carson e la tenne tra le dita. Ma ella aveva insistito affinché la leggesse prima di seppellirla, e, in qualche punto della sua mente, una vocetta stava bisbigliando che doveva leggerla subito, non più tardi quella sera, dopo aver parlato con Paddy e con Meggie, ma subito, prima di aver veduto chicchessia tranne Mary Carson.

La busta conteneva quattro fogli di carta; li separò e immediatamente si rese conto che i due inferiori erano il testamento. I primi due erano destinati a lui, sotto forma di lettera.

«Mio carissimo Ralph,

«avrà ormai veduto che il secondo documento contenuto in questa busta è il mio testamento. Esiste già un testamento perfettamente valido, firmato e sigillato, nello studio di Harry Gough a Gilly; il testamento qui accluso è di gran lunga successivo e, naturalmente, annulla quello che ha Harry.

«In effetti, l'ho scritto appena l'altro ieri, e l'ho fatto controfirmare da Tom e dall'uomo che ripara i recinti, in quanto mi risulta che nessun beneficiario può essere legalmente testimone. Si tratta di un testamento valido, sebbene non sia stato Harry a compilarlo per me. Nessun tribunale del paese potrà considerarlo nullo, glielo assicuro.

«Ma perché non ho fatto compilare da Harry anche questo nuovo testamento, se volevo modificare le mie ultime volontà? È molto semplice, mio caro Ralph. Ho voluto che nessuno, assolutamente, conoscesse l'esistenza di questo testamento, a parte lei e me. Questa è l'unica copia e si trova in sue mani. È un aspetto molto importante del mio piano.

«Rammenta quel passo del Vangelo in cui è detto che Satana condusse Nostro Signore Gesù Cristo sulla vetta di una montagna e lo tentò con il mondo intero? Come è piacevole sapere che io ho il potere di un piccolo Satana, e sono in grado di tentare colui che amo (lei dubita che Satana amasse il Cristo? io no) con il mondo intero. Raffigurarmi il suo dilemma ha notevolmente rallegrato i miei pensieri in questi ultimi anni, e quanto più mi avvicino alla morte, tanto più deliziose divengono queste fantasticherie.

«Dopo aver letto il testamento, capirà che cosa voglio dire. Mentre io brucio all'inferno oltre i confini di questa nuova vita che ormai conosco, lei si trova ancora nell'altra vita, ma brucia in un inferno le cui fiamme sono più feroci di quelle che qualsiasi Dio possa creare. Oh, Ralph mio, io l'ho giudicata alla perfezione! Se anche non sono mai stata capace di fare altro, ho sempre saputo come far soffrire coloro che amo. E lei è una preda di gran lunga migliore di quanto lo sia mai stato il mio caro, defunto Michael.

«All'inizio, quando la conobbi, lei voleva Drogheda e il mio denaro, non è così, Ralph? Vedeva in ciò un mezzo per tornare alla sua vocazione naturale. Ma poi venne Meggie, e lei escluse dalla sua mente lo scopo originario di coltivare me, non è forse vero? Io divenni un pretesto per consentirle di venire a Drogheda e stare con Meggie. Chissà se avrebbe cambiato bandiera con tanta disinvoltura, qualora avesse saputo quanto io valgo in realtà? Lo sa, Ralph? Non credo che se ne faccia un'idea. Ritengo non sia signorile precisare la portata esatta delle proprie ricchezze in un testamento, ragion per cui farò meglio a dirglielo qui, tanto per essere certa che lei abbia sulla punta delle dita la cifra necessaria quando dovrà prendere una decisione. Poche centinaia di migliaia di sterline in più o in meno, il mio patrimonio ammonta a circa tredici milioni di sterline.

«Sto arrivando quasi in fondo al secondo foglio, e non posso darmi la pena di fare di questa lettera una tesi di laurea. Legga il mio testamento, Ralph, e, dopo averlo letto, decida che cosa ne farà. Lo consegnerà a Harry Gough per l'omologazione, o lo brucerà e non dirà mai ad anima viva che è esistito? Questa è la decisione che deve prendere. Dovrei aggiungere che il testamento nello studio di Harry è quello da me fatto l'anno dopo l'arrivo di Paddy, e gli lascia tutto ciò che possiedo. Questo soltanto perché lei sappia che cosa si trova sui due piatti della bilancia.

«Ralph, io l'amo, al punto che sarei stata capace di ucciderla per non avermi voluta, ma questa è una rappresaglia di gran lunga migliore. Non sono di indole nobile; l'amo, ma voglio sentirla urlare di sofferenza. Perché, vede, so già quale sarà la sua decisione. Lo so con la stessa certezza che se potessi essere lì e stare a guardare. Lei urlerà, Ralph, e saprà che cos'è il tormento. Legga, dunque, mio bel prete ambizioso! Legga il testamento e decida la sua sorte.»

La lettera non era firmata, nemmeno sigillata. Sentì il sudore imperlargli la fronte, lo sentì scorrergli giù per la nuca dai capelli. E avrebbe voluto balzare in piedi in quel momento stesso, e bruciare entrambi i documenti, e non leggere mai ciò che conteneva il secondo. Ma l'osceno vecchio ragno aveva giudicato bene la sua preda. Naturalmente avrebbe continuato a leggere, era troppo curioso per poter resistere. Dio, di che cosa si era mai reso colpevole perché avesse voluto fargli questo? Perché le donne lo facevano tanto soffrire? Perché non era nato piccolo, storto, brutto? In tal caso, avrebbe potuto essere felice.

Gli ultimi due fogli erano coperti dalla stessa scrittura precisa, quasi minuta. Gretta e avara come l'anima di lei.

«Io, Mary Elisabeth Carson, sana di mente e sana di corpo, dichiaro che queste sono le mie ultime volontà e il mio testamento, e che di conseguenza annullano ogni altro precedente testamento da me fatto.

«Eccezion fatta per i particolari lasciti precisati più avanti, lascio tutti i miei beni terreni, il mio denaro, e le mie proprietà alla Santa Chiesa Cattolica di Roma, alle condizioni qui di seguito elencate:

«Primo, che la predetta Santa Chiesa Cattolica di Roma, d'ora in avanti denominata la Chiesa, sappia quale stima e quale affetto io abbia per il suo sacerdote Padre Ralph de Bricassart. È esclusivamente a causa della sua bontà, della sua guida spirituale e del suo aiuto, mai venutomi meno, che dispongo in questo modo dei miei beni.

«Secondo, che il mio patrimonio continui ad appartenere alla Chiesa soltanto se, e in quanto, essa apprezzerà il valore e la capacità del predetto Padre de Bricassart.

«Terzo, che l'amministrazione e la destinazione di questi miei beni terreni, del denaro e delle mie proprietà sia affidata al predetto Padre Ralph de Bricassart, in quanto massima autorità preposta al mio patrimonio.

«Quarto, che alla dipartita del predetto Padre Ralph de Bricassart, le sue ultime volontà e il suo testamento siano legalmente vincolanti ai fini dell'ulteriore amministrazione del mio patrimonio. Vale a dire che esso continui a essere di proprietà della Chiesa, ma spetti esclusivamente a Padre Ralph de Bricassart nominare chi gli succederà nell'amministrarlo; egli non sarà obbligato a nominare come suo successore o un ecclesiastico o un esponente laico della Chiesa.

«Quinto, che l'allevamento di Drogheda non venga mai venduto né diviso.

«Sesto, che mio fratello, Padraic Cleary, continui a dirigere l'allevamento di Drogheda, con il diritto di abitare nella mia casa, e con uno stipendio stabilito da Padre Ralph de Bricassart e da nessun altro.

«Settimo, che, nell'eventualità della morte di mio fratello, il sunnominato Padraic Cleary, alla vedova e ai figli di lui sia consentito di rimanere nell'allevamento di Drogheda e che la carica di direttore passi consecutivamente a ognuno dei suoi figli, Robert, John, Hugh, Stuart, James e Patrick, escludendo però Francis.

«Ottavo, che alla morte di Patrick, o di quel qualsiasi altro figlio, a esclusione di Francis, rimasto in vita, gli stessi diritti spettino ai nipoti del sunnominato Padraic Cleary.

«Lasciti particolari.

«A Padraic Cleary tutto ciò che è contenuto nelle mie case dell'allevamento di Drogheda.

«A Eunice Smith, la mia governante, il diritto di restare a Drogheda, con un equo salario, finché lo desidererà, e inoltre il versamento immediato della somma di cinquemila sterline, nonché un'equa pensione quando andrà a riposo.

«A Minerva O'Brien e a Catherine Donnelly, il diritto di restare a Drogheda, con un equo salario, finché lo vorranno, e inoltre il versamento immediato di una somma di mille sterline per ciascuna, nonché la corresponsione di un'equa pensione quando andranno a riposo.

«A Padre Ralph de Bricassart la somma di diecimila sterline da corrispondergli annualmente finché vivrà, somma che egli potrà spendere per le sue necessità personali senza alcuna restrizione.»

Il testamento era debitamente firmato, datato, e controfirmato da due testimoni.

La stanza del sacerdote dava a ovest. Il sole stava tramontando. Il drappo funebre di polvere che si formava ogni estate saturava l'aria tacita, e il sole insinuava le sue dita tra le particelle impalpabili; sembrava che il mondo intero si fosse tramutato in oro e porpora. Nubi striate, orlate di vivido fuoco, attraversavano, simili a festoni argentei, la grande sfera sanguigna sospesa subito al di sopra degli alberi dei lontani pascoli.

«Brava! Devo ammetterlo, Mary mi ha battuto. Una stoccata da maestro. Sono stato io lo sciocco, non lei.»

Attraverso le lacrime non riusciva a vedere i fogli che aveva in mano, e li posò, prima di macchiarli. Tredici milioni di sterline. Tredici milioni di sterline! Era davvero ciò cui aveva mirato prima dell'arrivo di Meggie. E, dopo il suo arrivo, si era rassegnato a rinunciarvi, perché non poteva continuare a sangue freddo una simile campagna e frodarla dell'eredità. Ma se avesse saputo quanto valeva il vecchio ragno? Come si sarebbe regolato, allora? Non pensava nemmeno a un decimo di tanto. Tredici milioni di sterline!

Per sette anni Paddy e la sua famiglia avevano abitato nella casa del capo-guardiano e si erano ammazzati di fatica nell'interesse di Mary Carson. E per che cosa? Per i tirchi compensi che si degnava di pagare? Mai, a quanto risultava a Padre Ralph, Paddy si era lagnato di essere trattato ingiustamente, perché riteneva, senza dubbio, che alla morte di sua sorella sarebbe stato ampiamente ricompensato per aver mandato avanti l'allevamento con la paga di un comune mandriano, mentre i suoi figli facevano il lavoro di mandriani compensati come apprendisti. Aveva sopportato, finendo con l'affezionarsi a Drogheda come se fosse stata sua, presumendo a buon diritto che lo sarebbe divenuta.

«Brava, Mary» ripeté Padre Ralph, mentre le sue prime lacrime dopo la fanciullezza gli scorrevano dal viso sul dorso delle mani, ma non sui fogli.

Tredici milioni di sterline e la possibilità di diventare, nonostante tutto, il Cardinale de Bricassart. Contro gli interessi di Paddy Cleary, di sua moglie, dei suoi figli... e di Meggie. Come lo aveva giudicato diabolicamente bene, Mary! Se avesse spogliato Paddy di tutto, la strada da percorrere sarebbe stata chiara, per lui: avrebbe potuto portare il testamento in cucina e gettarlo, senza un'esitazione, nella stufa. Ma si era accertata che Paddy non venisse a trovarsi nel bisogno, che, dopo la sua morte, potesse condurre a Drogheda un'esistenza più comoda di quando era viva lei, e aveva fatto in modo che Drogheda non potesse essergli tolta del tutto. Gli utili e il diritto di proprietà sì, ma non la terra. No, Paddy non avrebbe posseduto quei favolosi tredici milioni di sterline, ma sarebbe stato rispettato e senza preoccupazioni finanziarie. Meggie non avrebbe sofferto la fame, né sarebbe stata gettata a piedi scalzi sulle strade del mondo. Ma nemmeno avrebbe potuto essere Miss Cleary, su un piano di parità con Miss Carmichael e le altre della stessa classe sociale. Rispettabilissima, ammissibile in società, ma non sulla vetta. Mai sulla vetta.

Tredici milioni di sterline. La possibilità, per lui, di andarsene da Gillanbone e di sottrarsi a una perpetua oscurità, la possibilità di occupare il posto che gli competeva nella gerarchia della Chiesa, e la benevolenza garantita dei suoi pari e dei suoi superiori. E tutto questo mentre era ancora abbastanza giovane per riguadagnare il terreno perduto. Mary Carson aveva fatto di Gillanbone l'epicentro sulla sua mappa del Legato pontificio, l'Arcivescovo, vendicandosi; le ripercussioni sarebbero arrivate fino al Vaticano. Per quanto la Chiesa fosse ricca, tredici milioni di sterline erano tredici milioni di sterline. Nessuno poteva disprezzarli, nemmeno la Chiesa. E lui era il solo che avrebbe potuto portarli nell'ovile; lui, indicato in inchiostro blu con la scrittura di Mary Carson. Sapeva che Paddy non avrebbe mai contestato il testamento; e lo aveva saputo anche Mary Carson, Dio la facesse imputridire. Oh, Paddy sarebbe senza dubbio andato su tutte le furie, non avrebbe voluto più guardarlo in faccia, né rivolgergli la parola, ma certo l'ira non lo avrebbe accecato al punto da fargli intentare causa.

V'era forse una decisione da prendere? Non sapeva già, non aveva saputo sin dal momento in cui aveva letto il testamento, quello che avrebbe fatto? Le lacrime si erano asciugate. Con la grazia consueta, Padre Ralph si alzò in piedi, si accertò che la camicia fosse infilata a dovere tutto attorno sotto i calzoni, e andò verso la porta. Doveva recarsi a Gilly, per prendere una tonaca e i paramenti. Ma prima voleva rivedere Mary Carson.

Nonostante le finestre spalancate, il cattivo odore era divenuto un fetore da far vomitare; non un alito di vento smuoveva le tende immobili. A passi furtivi si avvicinò al letto e rimase lì in piedi abbassando gli occhi, guardandola. Dalle uova di mosca stavano cominciando a uscire vermi in tutte le parti umide della faccia, i gas della putrefazione le stavano gonfiando le braccia grasse e le mani con bolle verdognole, la pelle si stava screpolando. Oh, Dio. Vecchio ragno disgustoso. Hai vinto, ma quale vittoria. Il trionfo di una disintegrata caricatura di umanità contro un'altra caricatura. Non puoi sconfiggere la mia Meggie, né puoi toglierle ciò che non ti è mai appartenuto. Potrò anche bruciare all'inferno accanto a te, ma so già quale inferno ti hanno preparato: vedere la mia indifferenza nei tuoi riguardi continuare mentre imputridiremo insieme per tutta l'eternità...

Paddy lo stava aspettando nell'ingresso al pianterreno e sembrava sconvolto e smarrito.

«Oh, Padre!» disse, facendosi avanti. «Non è spaventoso? Che colpo! Non avrei mai creduto che se ne sarebbe andata così; stava tanto bene, ieri sera! Buon Dio, che cosa farò?»

«L'ha veduta?»

«Il Cielo mi scampi, sì!»

«Allora sa che cosa occorre fare. Non ho mai visto un cadavere decomporsi così rapidamente. Se non la rinchiuderà decentemente in una qualsiasi sorta di bara entro poche ore, dovrà versarla in un fusto di petrolio. È indispensabile seppellirla nelle prime ore di domattina. Non perda tempo per abbellire la bara; la ricopra con rose colte in giardino o con qualcos'altro. Ma si sbrighi, amico! Io vado a Gilly a prendere i paramenti.»

«Torni il più presto possibile, Padre!» lo esortò Paddy.

Ma Padre Ralph tardò più di quanto sarebbe stato giustificato da una semplice capatina alla canonica. Prima di andare con la macchina in quella direzione, si portò in una delle più signorili vie secondarie di Gillanbone e fermò davanti a una dimora alquanto pretenziosa, circondata da un giardino ben tenuto.

Harry Gough era sul punto di mettersi a tavola per la cena, ma si recò nel salotto quando la cameriera gli ebbe detto chi era il visitatore.

«Padre, non vuole tenerci compagnia? Manzo conservato sotto sale e cavoli, con patate lesse e salsa verde; e, una volta tanto, il manzo non è troppo salato.»

«No, Harry, non posso trattenermi. Sono venuto soltanto per dirle che Mary Carson è deceduta stamane.»

«Gesù santo! Ero là ieri sera. Sembrava stesse così bene, Padre!»

«Lo so. Stava benissimo quando l'ho aiutata a salire le scale, verso le tre del mattino, ma deve essere morta quasi subito dopo che era andata a letto. La signora Smith l'ha trovata alle sei di questo pomeriggio. Ormai era passata a miglior vita da tanto di quel tempo da essere laida; la stanza era rimasta chiusa come un'incubatrice per tutte le ore più calde della giornata. Signore Iddio, sto chiedendo nelle mie preghiere di poterne dimenticare l'aspetto. Indicibile, Harry, spaventoso.»

«Sarà seppellita domani?»

«Dovrà esserlo.»

«Che ore sono? Le dieci? Dobbiamo mangiare tardi come gli spagnoli, con questo caldo, ma non è il caso di preoccuparsi che sia troppo tardi per cominciare a telefonare a tutti i suoi conoscenti. Vuole che provveda io per lei, Padre?»

«Grazie, mi farebbe una grande cortesia. Sono venuto a Gilly soltanto per prendere i paramenti. Partendo, non avevo certo previsto di dover celebrare una Messa di Requiem. Devo tornare a Drogheda al più presto possibile, hanno bisogno di me. La Messa verrà celebrata domattina alle nove.»

«Dica a Paddy che porterò il testamento di Mary, così potrò leggerlo subito dopo il funerale. Anche lei è uno dei beneficiari, Padre, e pertanto le sarei grato se assistesse alla lettura.»

«Temo che ci sia una piccola difficoltà, Harry. Mary ha fatto un altro testamento, sa. Ieri sera, dopo essersi allontanata dal ricevimento, mi ha consegnato una busta sigillata, facendomi promettere che l'avrei aperta subito dopo aver constatato personalmente la sua morte. Quando così ho fatto, ho veduto che conteneva un nuovo testamento.»

«Mary ha fatto un nuovo testamento? Senza di me?»

«Così sembrerebbe. Credo che ci stesse rimuginando su da un pezzo, ma non so davvero perché abbia preferito tanta segretezza.»

«Ha con sé il testamento, Padre?»

«Sì.» Il sacerdote infilò la mano sotto la camicia e consegnò i fogli di carta piegati in quattro.

L'avvocato non esitò a leggerli immediatamente. Quando ebbe terminato alzò gli occhi e in essi c'erano molte cose che Padre Ralph avrebbe preferito non scorgervi. Ammirazione, ira, un certo disprezzo.

«Bene, Padre, congratulazioni! Ha vinto la partita, tutto sommato.» Poteva dirlo, non essendo cattolico.

«Mi creda, Harry, la sorpresa è stata più grande per me di quanto lo sia per lei.»

«Esiste soltanto questa stesura del testamento?»

«A quanto ne so io, sì.»

«E gliel'ha consegnata solamente ieri sera?»

«Sì.»

«Allora perché non la distrugge, facendo così in modo che il povero, anziano Paddy erediti quanto gli spetta? La Chiesa non ha alcun diritto sul patrimonio di Mary Carson.»

I begli occhi del prete rimasero blandi. «Ah, ma questo non sarebbe etico, Harry, non le sembra? Mary aveva il diritto di disporre in qualsiasi modo volesse delle sue proprietà.»

«Consiglierò a Paddy di impugnarlo.»

«Sì, credo che dovrebbe regolarsi così.»

E con ciò si separarono. Prima che tutti si recassero la mattina dopo a veder seppellire Mary Carson, l'intera Gillanbone e tutta la regione circostante avrebbero saputo a chi sarebbe andato il denaro. Il dado era tratto, non si poteva più tornare indietro.

Erano le quattro del mattino quando Padre Ralph passò per l'ultimo cancello ed entrò nello Home Paddock; non si era affrettato, durante il tragitto di ritorno. Per tutto il viaggio, aveva imposto il vuoto alla propria mente, costringendosi a non pensare. Né a Paddy, né a Fee, né a Meggie, e nemmeno al fetido e rivoltante cadavere che dovevano ormai (lo sperava ardentemente) aver travasato nella bara. Spalancò invece gli occhi e la mente alla notte, allo spettrale colore argenteo degli alberi morti che si levavano solitari dall'erba lucente, alla concentrata oscurità delle ombre proiettate dai boschetti, alla luna piena che galleggiava in cielo come un palloncino. A un certo momento, fermò l'automobile, discese, si avvicinò a un recinto di filo spinato e si appoggiò a quell'elastica tensione, aspirando l'odore degli eucalipti e il profumo incantevole dei fiori selvatici. Il mondo era così bello, così puro, così indifferente ai destini delle creature che presumevano di governarlo! Potevano impadronirsene, ma alla lunga era il mondo a dominarle.

Parcheggiò l'automobile a una certa distanza dietro la casa e vi si diresse adagio. Tutte le finestre erano illuminate; fiocamente, dall'alloggio della governante gli giunse la voce della signora Smith che recitava il rosario con le due cameriere irlandesi. Un'ombra si mosse nelle tenebre sotto il glicine. Si fermò di colpo, sentendosi accapponare la pelle. Il vecchio ragno lo aveva spaventato in più di un modo. Ma era soltanto Meggie, pazientemente in attesa del suo ritorno. Meggie in calzoni da cavallerizza e stivali, perfettamente viva.

«Mi hai fatto paura» disse, brusco.

«Mi scusi, Padre, non volevo. Ma non mi andava di restare in casa con Pa' e i ragazzi, e la mamma si trova ancora a casa nostra con i bambini. Presumo che dovrei recitare il rosario con la signora Smith e Minnie e Cat, ma non me la sento di pregare per lei. Sto commettendo un peccato, vero?»

Non era in vena di fare il ruffiano con la memoria di Mary Carson. «Non credo che sia un peccato, Meggie, mentre lo è l'ipocrisia. Neanch'io me la sento di pregare per lei. Non era... una creatura molto buona.» Il suo sorriso balenò. «Come vedi, se hai peccato dicendo così, ho peccato anch'io, e più gravemente per giunta. Io dovrei amare tutti, un fardello che a te non è imposto.»

«Si sente bene, Padre?»

«Sì, sto benissimo.» Alzò gli occhi verso la casa e sospirò. «Non voglio entrare, ecco tutto. Non voglio trovarmi dov'è lei, finché non farà giorno e i demoni delle tenebre saranno stati scacciati. Se sellassi i cavalli, faresti una cavalcata con me fino all'alba?»

La mano di lei gli toccò la nera manica, poi ricadde. «Nemmeno io voglio entrare in casa.»

«Aspettami un minuto mentre metto la tonaca in macchina.»

«Andrò nella scuderia.»

Per la prima volta stava cercando di incontrarlo sul suo terreno, il terreno di un adulto; intuì la diversità in lei, con la stessa certezza con cui poteva odorare le rose nei meravigliosi giardini di Mary Carson. Rose. Cenere di rose. Rose, rose dappertutto. Petali sull'erba. Rose rosse e bianche e gialle. Rose rosa, che la luna faceva sembrare di cenere. Cenere di rose, cenere di rose. Meggie mia, ti ho abbandonata. Ma non ti rendi conto che sei divenuta una minaccia? Per questo ti ho schiacciata sotto il tacco della mia ambizione; per me non hai più sostanza di una rosa calpestata sull'erba. Il profumo delle rose. Il fetore di Mary Carson. Rose e cenere, cenere di rose.

«Cenere di rose» disse, montando a cavallo. «Allontaniamoci dal profumo delle rose. Domani la casa ne sarà piena.»

Spronò la cavalla saura e procedette al piccolo galoppo dinanzi a Meggie, lungo il sentiero del torrente, desiderando piangere; poiché, fino a quando non aveva percepito il profumo dei fiori che avrebbero adornato la bara di Mary Carson, la realtà non gli si era insinuata mentalmente come un fatto imminente. Se ne sarebbe andato presto. Troppi pensieri, troppe emozioni, e tutto incontrollabile. Non lo avrebbero lasciato a Gilly un solo giorno di più, dopo essere stati informati delle clausole di quel testamento incredibile, lo avrebbero richiamato a Sydney immediatamente. Immediatamente! Fuggiva la sua sofferenza, non avendo mai provato una sofferenza come quella, ma essa lo seguiva senza alcuna fatica. Non si trattava di qualcosa situato in un vago futuro; sarebbe accaduto immediatamente. E gli sembrava quasi di vedere la faccia di Paddy, la ripugnanza, Paddy che gli avrebbe voltato le spalle. In seguito, non sarebbe stato più gradito a Drogheda e non avrebbe riveduto Meggie mai più.

L'autodisciplina cominciava in quel momento, martellata dagli zoccoli, e con una sensazione di fuga. Era meglio così, meglio così, meglio così. Continuando a galoppare e a galoppare. Sì, senza dubbio avrebbe sofferto meno in seguito, al sicuro in qualche cella nel palazzo di un vescovo, avrebbe sofferto sempre meno, finché, in ultimo, il dolore si sarebbe dileguato anche dalla consapevolezza. Era preferibile che fosse così. Meglio che restare a Gilly e vedere lei tramutarsi in una creatura non voluta, e doverla poi unire un giorno in matrimonio a uno sconosciuto. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

Ma allora che cosa faceva con lei, adesso, perché stavano cavalcando attraverso il bosco di bossi e di coolibah sull'altra riva del torrente? Sembrava che non riuscisse a capire il perché, si limitava a soffrire. Non la sofferenza del tradimento; non c'era spazio per questo. Soltanto il dolore perché doveva lasciarla.

«Padre! Padre! Non riesco a tenerle dietro! Rallenti, Padre, per piacere!»

Fu il richiamo al dovere, e alla realtà. Come un uomo veduto al rallentatore, costrinse la cavalla a voltarsi e la tenne a freno finché non si fu liberata, danzando, dall'eccitazione della corsa. Poi aspettò che Meggie lo raggiungesse. Questo era il guaio. Meggie lo stava raggiungendo.

Non lontano da loro c'era il rombo del pozzo artesiano, una grande pozza fumigante, dall'odore di zolfo, con un tubo simile alla presa d'aria di una nave, dalle cui profondità zampillava acqua bollente. Tutto intorno al perimetro del piccolo lago sopraelevato, i canali di scolo del pozzo artesiano scavati nella pianura erano frangiati d'erba dall'assurdo color smeraldo. Le rive della pozza erano di viscido fango grigio, e nel fango vivevano i gamberi d'acqua dolce chiamati yabbies.

Padre Ralph si mise a ridere. «Puzza come l'inferno, Meggie, non è vero? Zolfo, proprio qui, nella proprietà di lei, nel cortile di casa sua, si può dire. Dovrebbe riconoscere l'odore quando arriverà là coperta di rose, non ti pare? Oh, Meggie...»

I cavalli erano addestrati a non muoversi quando le redini ciondolavano, non esistevano recinti nei pressi, né alberi più vicini di un ottocento metri. Ma c'era un tronco sul lato del laghetto più lontano dal pozzo artesiano, ove l'acqua era meno calda. Vi sedevano i bagnanti invernali quando si asciugavano i piedi e le gambe.

Padre Ralph vi si lasciò cadere e Meggie sedette a una certa distanza da lui, voltata di sghembo per osservarlo.

«Che cosa c'è, Padre?»

Parve strano: la domanda che le aveva posto spesso, pronunciata dalle labbra della ragazza e rivolta a lui. Le sorrise. «Ti ho venduta, Meggie mia, ti ho venduta per tredici milioni di pezzi d'argento.»

«Ha venduto me?»

«È un modo di dire. Non ti preoccupare. Vieni, siedi più vicino. Potremo non aver modo di parlare ancora insieme.»

«Finché saremo in lutto per la zia, vuol dire?» Si spostò lungo il tronco e venne a sedergli accanto. «Che differenza farà se saremo in lutto?»

«Non mi riferivo a questo, Meggie.»

«Vuol dire perché io sto crescendo e la gente potrebbe pettegolare sul nostro conto?»

«Non precisamente. Voglio dire che me ne andrò.»

Eccolo: affrontare il disastro a testa bassa, rassegnarsi a un nuovo fardello. Nessun grido, nessun pianto, nessuna tempesta di protesta. Soltanto un ingobbirsi appena percettibile, come se il fardello fosse collocato di traverso e il peso non volesse distribuirsi in modo da consentirle di reggerlo bene. E il respiro trattenuto, non proprio come un sospiro.

«Quando?»

«Sarà questione di giorni.»

«Oh, Padre! Sarà più doloroso che per Frank.»

«E, per me, più doloroso di ogni altra cosa nella mia vita. Non ho altre consolazioni. Tu almeno hai la famiglia.»

«Lei ha il suo Dio.»

«Ben detto, Meggie! Stai davvero crescendo!»

Ma, da femmina tenace, aveva riportato i pensieri alla domanda che per cinque chilometri di galoppata non era riuscita a porgli. Stava per partire, sarebbe stato molto penoso fare a meno di lui, ma la domanda rivestiva la sua importanza.

«Padre, nella scuderia mi ha chiamata "cenere di rose". Si riferiva al colore del mio vestito?»

«In un certo senso, forse. Ma in realtà credo di essermi riferito a qualcos'altro.»

«A che cosa?»

«Niente che tu possa capire, Meggie mia. La morte di un'idea che non aveva il diritto di nascere, e tanto meno di essere accolta e accarezzata.»

«Non c'è niente che non abbia il diritto di nascere, anche un'idea.»

Voltò la testa per guardarla. «Sai di che cosa sto parlando, non è vero?»

«Credo di sì.»

«Non tutto ciò che nasce è buono, Meggie.»

«No. No, ma se è nato, era destinato a nascere.»

«Ti esprimi come un gesuita. Quanti anni hai?»

«Ne avrò diciassette tra un mese, Padre.»

«E hai faticato per tutti i tuoi diciassette anni. Be', la fatica ci rende più vecchi degli anni che abbiamo. A che cosa pensi, Meggie, quando hai il tempo di pensare?»

«Oh, a Jims e a Patsy e agli altri ragazzi, a Pa' e a Ma', a Hal e alla zia Mary. A volte a far crescere in me un bambino. Questo mi piacerebbe moltissimo. E a cavalcare, e alle pecore. A tutte le cose di cui parlano gli uomini. Il tempo, la pioggia, l'orto, le galline, quello che farò domani.»

«Non sogni mai di avere un marito?»

«No, ma credo che dovrò averlo, se vorrò far crescere bambini dentro di me. Non è bello che un bambino non abbia il padre.»

Nonostante la sofferenza, sorrise; Meggie era un miscuglio così bizzarro di ignoranza e di moralità! Poi si voltò all'improvviso di lato, le prese il mento nella mano e la contemplò. In qual modo fare quello che doveva essere fatto?

«Meggie, non molto tempo fa mi sono reso conto di una cosa che avrei dovuto capire prima. Non sei stata del tutto sincera quando mi hai detto quello a cui pensi, non è vero?»

«Io...» mormorò lei, poi tacque.

«Non hai detto che pensi a me, è così? Se non ci fosse stato niente di male, avresti fatto il mio nome dopo quello di tuo padre. Penso che forse la mia partenza sia una buona cosa, non ti sembra? Sei un po' troppo avanti negli anni per avere infatuazioni da scolaretta, ma, a quasi diciassette anni, non sei nemmeno tanto vecchia, eh? Mi piace la tua assenza di saggezza e di esperienza, ma so quanto possono essere dolorose le infatuazioni delle ragazzine; ne ho subite anche troppe.»

Meggie parve sul punto di parlare, ma poi abbassò le palpebre sugli occhi pieni di lacrime, e scosse la testa.

«Senti, Meggie, è soltanto una fase, un'indicazione sulla strada per diventare donna. Quando sarai diventata una donna, conoscerai l'uomo che è destinato a essere tuo marito e sarai di gran lunga troppo impegnata a vivere la tua vita per pensare a me, se non come a un vecchio amico che ti ha aiutata in alcune delle terribili crisi della crescita. Una cosa non devi fare, prendere l'abitudine di sognare di me in modo romantico. Io non potrò mai vederti come ti vedrà un marito. Non penso affatto a te sotto questa luce, mi capisci, Meggie? Quando dico che ti amo, non intendo dire di amarti come un uomo. Sono un sacerdote, non un uomo. E quindi, non riempirti la testa con sogni sul mio conto. Me ne andrò e dubito molto che avrò il tempo di tornare, sia pure soltanto per una breve visita.»

Meggie aveva le spalle curve, come se il fardello fosse stato molto pesante, ma alzò la testa per fissare Padre Ralph negli occhi.

«Non mi riempirò la testa con sogni sul suo conto, non abbia paura. So che è un prete.»

«Non sono persuaso di avere sbagliato scegliendo la mia vocazione. Appaga una necessità in me come nessun essere umano potrebbe mai fare, nemmeno tu.»

«Lo so. Posso rendermene conto quando celebra la Messa. C'è una forza in lei. Immagino che debba sentirsi come Nostro Signore.»

«Riesco a sentire ogni respiro trattenuto in chiesa, Meggie! Muoio a ogni giorno che passa, ma ogni mattina, celebrando la Messa, rinasco. Questo però accade perché sono il prete scelto da Dio, o perché odo quei respiri trattenuti e timorosi e conosco il potere che ho su ogni anima del mio gregge?»

«Ha qualche importanza? È così e basta.»

«Probabilmente non avrebbe alcuna importanza per te, ma ce l'ha per me. Dubito, dubito.»

Passò a un argomento che le stava più a cuore. «Non so come riuscirò a tirare avanti senza di lei, Padre. Prima Frank, ora lei. In qualche modo, con Hal è diverso. So che è morto e non potrà tornare mai più. Ma lei è vivo, come Frank! Continuerò a domandarmi dove si trova, che cosa sta facendo, se gode di buona salute, se potrei fare qualcosa per aiutarla. Dovrò addirittura domandarmi se sia ancora vivo, non le sembra?»

«Sarà così anche per me, Meggie, e sono certo che è così anche per Frank.»

«No. Frank ci ha dimenticati... E ci dimenticherà anche lei.»

«Non potrò mai dimenticarti, Meggie, mai finché vivrò. E sarò punito vivendo a lungo, molto a lungo.» Si alzò e la mise in piedi, poi l'allacciò con le braccia, senza stringerla, affettuosamente. «Credo che questo sia il nostro addio, Meggie. Non potremo più restar soli.»

«Se lei non fosse un prete, Padre, mi avrebbe sposata?»

Il titolo che gli spettava lo irritò. «Non chiamarmi sempre così! Il mio nome è Ralph.» Il che non rispose alla domanda.

Sebbene la stesse abbracciando, non aveva alcuna intenzione di baciarla. Il viso alzato verso il suo rimaneva quasi invisibile perché la luna era tramontata, lasciando dietro di sé una fitta oscurità. Sentiva i piccoli seni appuntiti contro il petto; una sensazione curiosa, sconvolgente. Ancor più lo fu il fatto che, con naturalezza, come se si fosse gettata tra le braccia di un uomo ogni giorno della sua vita, Meggie gli aveva passato le braccia intorno al collo, allacciandolo con forza.

Non aveva mai baciato nessuna donna come un amante, e non voleva farlo adesso; né, pensava, poteva volerlo Meggie. Un bacio affettuoso sulla gota, un rapido abbraccio, lo stesso che avrebbe chiesto a suo padre qualora fosse dovuto partire. Era sensibile e orgogliosa; doveva averla ferita profondamente sottoponendo a uno spassionato esame i suoi sogni preziosi. Indubbiamente, Meggie doveva essere ansiosa quanto lui di affrettare l'addio. L'avrebbe consolata sapere che stava soffrendo più di lei? Mentre chinava il capo per sfiorarle la gota, lei si sollevò in punta di piedi e, più per fortuna che per abilità, gli toccò le labbra con le sue. Padre Ralph sussultò all'indietro come se avesse gustato il veleno del ragno, poi di nuovo abbassò il capo prima di perderla, cercò di dire qualcosa contro la bocca chiusa e soave e, nel tentativo di rispondere, Meggie la dischiuse. Il suo corpo parve perdere tutte le ossa, divenire fluido, una calda, sciolta oscurità; un braccio di lui la stringeva alla vita, l'altro le premeva il dorso con la mano sulla nuca, tra i capelli, tenendole il volto alzato verso il suo, quasi per il timore di poter essere abbandonato proprio in quel momento, prima di aver potuto capire e catalogare l'incredibile presenza che era Meggie. Meggie e non Meggie, troppo estranea per essere familiare, poiché la sua Meggie non era una donna, non dava le sensazioni di una donna, non avrebbe mai potuto essere una donna per lui. Così come lui non sarebbe potuto essere un uomo per lei. La riflessione prevalse sui sensi che affogavano; si strappò via dal collo le braccia della ragazza, la respinse e si sforzò di vederne il volto nell'oscurità. Ma teneva la testa bassa e non voleva guardarlo.

«È il momento di andare, Meggie» le disse.

La vide avvicinarsi al cavallo senza pronunciar parola, montare in sella e aspettarlo; di solito era lui ad aspettarla.

Padre Ralph aveva avuto ragione. In quella stagione, Drogheda era inondata di rose, per cui ora la casa sembrava esserne soffocata. Alle otto di quel mattino, nei giardini non restava quasi più un fiore. I primi conoscenti cominciarono ad arrivare non molto tempo dopo che l'ultima rosa era stata sottratta al cespuglio, una colazione leggera a base di caffè e crostini appena abbrustoliti e imburrati era stata preparata nella piccola sala da pranzo. Una volta rinchiusa Mary Carson nel mausoleo, un pasto più sostanzioso sarebbe stato servito nella sala da pranzo grande, per rinvigorire i partecipanti alle esequie prima del lungo viaggio di ritorno. La notizia si era sparsa; impossibile dubitare dell'efficienza con cui si diffondevano le voci a Gilly grazie al telefono. Mentre le labbra pronunciavano frasi di circostanza, gli occhi e le menti dietro gli occhi facevano supposizioni, deducevano, sorridevano con malizia.

«Mi risulta che stiamo per perderla, Padre» disse Miss Carmichael, con perfidia.

Non era mai sembrato tanto remoto, tanto svuotato di ogni sentimento umano come quel mattino, con il camice privo di pizzi, la casula di un nero opaco e la croce d'argento. Si sarebbe detto che fosse presente soltanto con il corpo, mentre lo spirito vagava lontano. Ma abbassò gli occhi su Miss Carmichael distrattamente, parve ritrovare se stesso, e sorrise con autentico divertimento.

«Dio segue vie misteriose, Miss Carmichael» disse, poi andò a parlare con qualcun altro.

Che cosa avesse in mente, nessuno sarebbe riuscito a supporlo; il confronto imminente con Paddy a causa del testamento, e il timore di assistere all'ira di Paddy, e il suo bisogno dell'ira e del disprezzo di Paddy.

Prima di cominciare a celebrare la Messa di Requiem, si voltò verso i fedeli; il salone era gremito, e odorava a tal punto di rose che nemmeno le finestre spalancate riuscivano a disperderne il profumo greve.

«Non intendo pronunciare un lungo elogio funebre» disse con la sua limpida pronuncia quasi oxfordiana e il lieve accento irlandese in sottofondo. «Voi tutti conoscevate Mary Carson. Un pilastro della comunità, un pilastro della Chiesa, che ella amava più di qualsiasi persona al mondo.»

A questo punto, taluni giurarono che gli occhi di lui erano colmi di scherno, ma altri, con altrettanta sicurezza, sostennero che li offuscava un vero e perenne dolore.

«Un pilastro della Chiesa, che amava più di qualsiasi persona al mondo» ripeté ancor più chiaramente; anche lui non era uomo da cambiare idea. «Nell'ultima ora della sua vita è rimasta sola, ma, ciò nonostante, non era sola. Poiché, nel momento della morte, Nostro Signore Gesù Cristo è con noi, entro di noi, e sopporta il fardello della nostra agonia. Né la più grande né la più umile creatura vivente muoiono sole, e la morte è dolce. Siamo qui riuniti a pregare per la sua anima immortale, affinché colei che abbiamo amato nella vita abbia il giusto ed eterno riposo. Preghiamo.»

La bara improvvisata era talmente coperta di rose da restare invisibile e poggiava su un carrello messo insieme dai ragazzi con pezzi di varie macchine agricole. Ma, nonostante le finestre spalancate e il profumo prepotente delle rose, tutti potevano percepire il fetore del cadavere. Anche il medico aveva parlato.

«Al mio arrivo a Drogheda era talmente decomposta che non ho potuto fare a meno di vomitare», così si era espresso, parlando con Martin King. «In vita mia non ho mai compassionato nessuno quanto Paddy Cleary, in quel momento, non soltanto perché era stato privato di Drogheda, ma perché doveva spingere quello spaventoso mucchio di putredine nella bara.»

«Allora non mi farò avanti offrendomi di portarla» aveva detto Martin, così fiocamente, a causa di tutti i ricevitori alzati lungo la linea telefonica a circuito chiuso, che il dottore era stato costretto a fargli ripetere la frase per ben tre volte prima di riuscire a capirla.

Ecco il perché del carrello; nessuno era disposto a portare a spalla i resti di Mary Carson attraverso il prato fino al mausoleo. E nessuno si dispiacque quando le porte di quest'ultimo vennero chiuse su di lei e la respirazione poté ridiventare normale, finalmente.

Mentre tutti si trovavano nella grande sala da pranzo a mangiare o a fingere di mangiare, Harry Gough condusse Paddy, la sua famiglia, Padre Ralph, la signora Smith e le due cameriere nel salotto. Nessuno di coloro che avevano partecipato al funerale intendeva tornare a casa, per il momento; per questo fingevano di mangiare. Volevano essere presenti e vedere la faccia di Paddy quando fosse uscito dopo la lettura del testamento. Volendo rendere giustizia a lui e ai suoi, durante le esequie non si erano comportati come se fossero consapevoli della loro nuova posizione sociale. Buono di cuore come sempre, Paddy aveva pianto per la sorella, e Fee era sembrata esattamente quella di sempre, come se non si curasse di quello che le accadeva.

«Paddy, voglio che lei impugni il testamento» disse Harry Gough, dopo aver letto sino in fondo, con una voce vibrante e indignata, lo stupefacente documento.

«Perfida, vecchia strega!» esclamò la signora Smith; sebbene fosse affezionata al sacerdote, lo era molto di più ai Cleary. Avevano portato bambini e gioventù nella sua esistenza.

Ma Paddy scosse la testa. «No, Harry! Non potrei fare una cosa simile. La proprietà era sua, no? Aveva tutto il diritto di farne ciò che le piaceva. Se ha voluto che l'avesse la Chiesa, così dovrà essere. Non nego di essere un po' deluso, ma sono un uomo comune, e forse è meglio così. Non credo che mi sarebbe piaciuta la responsabilità di possedere una proprietà vasta come Drogheda.»

«Lei non capisce, Paddy» disse l'avvocato, esprimendosi adagio e con chiarezza come se il suo interlocutore fosse stato un bambino. «Non sto parlando soltanto di Drogheda. Drogheda è la minima parte di quel che sua sorella aveva da lasciare, mi creda. Possedeva importanti quote azionarie in un centinaio di società di prim'ordine, era la proprietaria di acciaierie e miniere d'oro, nonché della Michar Limited con un palazzo d'uffici alto dieci piani e tutto suo a Sydney. Era più ricca di chiunque altro nell'intera Australia! È strano, ma, non più di quattro settimane fa, volle che parlassi con i direttori della Michar Limited a Sydney, per accertare la portata esatta del suo patrimonio. Morendo, ha lasciato qualcosa di più di tredici milioni di sterline.»

«Tredici milioni di sterline!» esclamò Paddy, come si può indicare la distanza tra la terra e il sole, qualcosa di totalmente incomprensibile. «Allora è deciso, Harry. Non voglio la responsabilità di tutti questi quattrini.»

«Non è una responsabilità, Paddy! Ancora non lo capisce? Un patrimonio simile si autoamministra! Lei non avrebbe niente a che vedere con il farlo fruttare e il mietere gli utili; vi sono centinaia di persone impiegate esclusivamente per tutelare i suoi interessi. Impugni il testamento, Paddy, la prego! Le troverò il miglior civilista del paese, che si batterà per lei, anche fino al Consiglio Privato, se necessario.»

Rendendosi conto a un tratto che la sua famiglia era interessata quanto lui, Paddy si voltò verso Bob e Jack; sedevano l'uno accanto all'altro, smarriti, su una panca di marmo fiorentino. «Ragazzi, che cosa ne dite? Ci tenete ai tredici milioni di sterline di vostra zia Mary? Se ci tenete, impugnerò il testamento, altrimenti no.»

«Ma possiamo restare a Drogheda comunque, non è così che dice il testamento?» domandò Bob.

Fu Harry a rispondere. «Nessuno potrà mai scacciarvi da Drogheda finché anche uno solo dei nipoti di vostro padre sarà in vita.»

«Abiteremo qui, nella grande casa, avremo la signora Smith e le ragazze al nostro servizio, e guadagneremo uno stipendio decente» disse Paddy, come se stentasse a credere alla propria fortuna, più che alla sfortuna.

«Allora che altro possiamo volere, Jack?» domandò Bob al fratello. «Non sei d'accordo?»

«Per me va bene» disse Jack.

Padre Ralph si agitò irrequieto. Non si era nemmeno concesso il tempo di togliersi i paramenti della Messa di Requiem, né aveva occupato una sedia; come un bruno e splendido stregone, rimaneva in piedi, per metà in ombra, in fondo alla stanza, appartato, le mani nascoste sotto la nera casula, la faccia immota e, nelle profondità degli occhi azzurri, un risentimento stordito, inorridito. Non vi sarebbe stata neppure l'anelata punizione dell'ira o del disprezzo. Paddy gli avrebbe servito ogni cosa su un vassoio d'oro di benevolenza, e lo avrebbe persino ringraziato per aver liberato i Cleary di un fardello.

«E Fee, e Meggie?» domandò il sacerdote, in tono aspro, a Paddy. «Tiene in così poco conto le sue donne da non consultare anche loro?»

«Fee?» domandò Paddy, in tono ansioso.

«Qualsiasi cosa deciderai tu, Paddy. Non mi interessa.»

«Meggie?»

«Non li voglio, i suoi tredici milioni di pezzi d'argento» rispose Meggie, gli occhi fissi su Padre Ralph.

Paddy si rivolse all'avvocato. «Allora è deciso, Harry. Non vogliamo impugnare il testamento. Che la Chiesa si tenga il denaro di Mary e buon pro le faccia.»

Harry fece schioccare le mani l'una contro l'altra. «Per tutti i diavoli, non sopporto di vedervi frodati!»

«Ringrazio la mia stella per Mary» disse Paddy, con dolcezza. «Se non fosse stato per lei, continuerei a guadagnarmi a stento da vivere nella Nuova Zelanda.»

Mentre uscivano dal salotto, fermò Padre Ralph e gli tese la mano, alla presenza degli ospiti affascinati, che si raggruppavano sulla soglia della sala da pranzo.

«Padre, la prego di non credere che vi sia qualche risentimento da parte nostra. Mary non si è mai lasciata influenzare da alcun essere umano in vita sua, sacerdote, o fratello o marito. Creda a me, ha fatto quello che voleva fare. Lei è stato infinitamente buono con mia sorella, e infinitamente buono con noi. Non lo dimenticheremo mai.»

Il rimorso. Il fardello. Padre Ralph quasi non fece il gesto di accettare la mano nodosa e chiazzata, ma la mente del Cardinale prevalse; l'afferrò febbrilmente, e sorrise tormentato.

«Grazie, Paddy. Farò in modo, può starne certo, che non vi manchi mai nulla.»

Entro quella stessa settimana partì, senza più tornare a Drogheda. Trascorse i pochi giorni prima della partenza mettendo via le sue poche cose e recandosi in tutti gli allevamenti del distretto ove risiedevano famiglie cattoliche; ma non a Drogheda.

Padre Watkin Thomas, che era stato di recente nel Galles, venne ad assumere i compiti di parroco nel distretto di Gillanbone, mentre Padre Ralph de Bricassart diveniva segretario privato dell'Arcivescovo Cluny Dark. Ma senza molte incombenze; disponeva di due sottosegretari. Per la maggior parte del tempo, accertò esattamente quanto avesse posseduto Mary Carson e dove, e riunì le redini dell'amministrazione del patrimonio a favore della Chiesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Parte terza 1929-1932 Paddy

 

 

 

 

 

8

 

 

 

 

 

Il nuovo anno cominciò con il ricevimento offerto da Angus MacMCQueen per Hogmanay (La vigilia di Capodanno, in scozzese.) [N.d.T.]¼, a Rudna Hunish, e ancora il trasloco nella grande dimora non era stato completato. Non era una cosa che si potesse sbrigare da un giorno all'altro, tenuto conto del fatto che bisognava imballare suppellettili accumulatesi per sette anni, e che Fee voleva almeno arredare prima il salotto della grande casa. Nessuno aveva la benché minima fretta, sebbene tutti fossero impazienti di trasferirsi. Sotto alcuni aspetti, la grande casa non sarebbe stata diversa: mancava l'energia elettrica e le mosche la popolavano altrettanto fitte. Ma in estate era di almeno undici gradi più fresca che all'esterno, grazie allo spessore dei muri di pietra e agli alti eucalipti che ne ombreggiavano il tetto. Inoltre, il bagno costituiva un autentico lusso, in quanto disponeva per tutto l'inverno di acqua calda portata sin lì mediante tubi collegati alla grossa stufa nella cucina esterna; e inoltre, ogni goccia che correva nelle tubazioni era d'acqua piovana. Sebbene i bagni e le docce bisognasse farli in quel vasto locale, suddiviso in dieci cubicoli, la grande dimora e le case più piccole erano generosamente dotate di gabinetti con acqua corrente, un lusso inaudito che invidiosi di Gilly erano stati uditi definire sibaritismo. A parte l'Hotel Imperial, due pub, la canonica e il convento cattolico, l'intero distretto di Gillanbone si accontentava di latrine esterne. Eccezion fatta per Drogheda, grazie all'enorme numero di cisterne e ai vasti tetti che raccoglievano acqua piovana. Le regole erano severe: nessuno scarico superfluo, e liquido disinfestante per le pecore in abbondanza. Ma, dopo le fosse scavate nel terreno, si trattava di un paradiso.

Nei primi giorni del precedente mese di dicembre, Padre Ralph aveva spedito a Paddy un assegno di cinquemila sterline, per cominciare a tirare avanti, diceva la sua lettera. Paddy lo consegnò a Fee con un'esclamazione di stupore.

«Dubito di essere riuscito a guadagnare tanto in tutta una vita di lavoro» disse.

«Che cosa dovrò farne?» domandò Fee, fissando l'assegno; poi alzò gli occhi su di lui, occhi splendenti. «Denaro, Paddy! Denaro, finalmente, te ne rendi conto? Oh, non mi importa dei tredici milioni di sterline di zia Mary... non c'è alcunché di reale in una somma simile. Ma questa è reale! Che cosa dovrò farne?»

«Spendila» si limitò a rispondere Paddy. «Qualche vestito nuovo per i ragazzi e per te, magari? E forse ci sono cose che ti piacerebbe acquistare per la grande casa? Non mi viene in mente altro che possa occorrerci.»

«Nemmeno a me, non è stupido?» Poi Fee, che sedeva a tavola per la colazione, balzò in piedi, e, imperiosamente, fece cenno a Meggie. «Vieni con me, figliola, andiamo a dare un'occhiata alla grande casa.»

Sebbene fossero già trascorse altre tre settimane, dopo quella frenetica seguita alla morte di Mary Carson, nessuno dei Cleary si era più avvicinato alla grande dimora. Ma ora l'ispezione di Fee controbilanciò la precedente riluttanza. Passò da una stanza all'altra, seguita da Meggie, dalla signora Smith, da Minnie e da Cat; animata come Meggie — sconcertata — non l'aveva mai veduta. Continuava a mormorare tra sé e sé: questo era spaventoso, quest'altro un vero e proprio orrore; ma non aveva avuto occhi per i colori, Mary? Non possedeva un briciolo di buon gusto?

Si trattenne più a lungo nel salotto, osservandolo con aria esperta. Soltanto il salone dei ricevimenti lo superava in dimensioni, poiché era lungo dodici metri, largo nove e aveva un soffitto alto quattro metri e mezzo. Si trattava di un bizzarro miscuglio del meglio e del peggio in fatto di decorazione e arredamento, dipinto com'era in un color crema uniforme, che il tempo aveva ingiallito e che non faceva risaltare in alcun modo le magnifiche modanature del soffitto e i pannelli scolpiti alle pareti. Le enormi finestre che andavano dal pavimento al soffitto, e che si susseguivano per tutti i dodici metri sul lato della veranda, erano nascoste da pesanti tende di velluto marrone e lasciavano in una tetra penombra le sbiadite poltrone marroni, due stupefacenti panchine di malachite, due panchine meravigliose di marmo fiorentino, e un massiccio caminetto di marmo crema con venature rosa carico. Sul lucido pavimento di teak erano stati disposti con geometrica precisione tre tappeti Aubusson, mentre una lumiera Waterford lunga un metro e ottanta sfiorava il soffitto.

«Merita una lode, signora Smith» dichiarò Fee. «È semplicemente spaventoso, ma di una pulizia immacolata. Io le darò qualcosa che valga la pena di tener pulito. Quelle inestimabili panche, senza alcunché per farle risaltare... è una vergogna! Sin dal giorno in cui vidi per la prima volta questa stanza, ho desiderato farne qualcosa che possa essere ammirato da chiunque vi entri, ma al contempo qualcosa di tanto comodo da far sì che chiunque vi entri desideri restarvi.»

Lo scrittoio di Mary Carson era un orrore vittoriano. Fee si avvicinò a esso e al telefono che vi si trovava, dando un buffetto sprezzante al legno scuro. «Il mio scrittoio farà una figura meravigliosa, qui. Comincerò con questa stanza, e, quando sarà finita, ci trasferiremo, ma non prima. Allora avremo per lo meno un ambiente nel quale poterci riunire senza sentirci oppressi.» Sedette e staccò il ricevitore del telefono dal gancio.

Mentre sua figlia e le cameriere formavano un gruppetto allibito, si accinse a mettere in moto Harry Gough. Mark Foys avrebbe spedito campioni di stoffe con la posta serale; la Nock & Kirby avrebbe mandato campioni di vernici; la Grace Brothers campioni di carta da parati; questi e altri negozi di Sydney avrebbero spedito, inoltre, cataloghi preparati appositamente per lei, con la descrizione delle loro mercanzie. Il riso nella voce, Harry assicurò che le avrebbe trovato un abile tappezziere e un gruppo di pittori capaci di fare il lavoro meticoloso preteso da Fee. Brava signora Cleary! Avrebbe spazzato via Mary Carson dalla casa.

Terminato il colloquio telefonico, tutte le donne ricevettero l'ordine di togliere immediatamente le tende di velluto. Il mucchio di stoffe finì fuori, in un'orgia di sperpero diretta personalmente da Fee, la quale accostò con le sue mani la torcia accesa alla catasta.

«A noi non servono» disse «e non intendo infliggerle ai poveri di Gillanbone.»

«Sì, Ma'» mormorò Meggie, paralizzata.

«Non metteremo alcuna tenda» continuò Fee, per nulla turbata dalla flagrante violazione delle costumanze dell'epoca in fatto di arredamento. «La veranda è troppo profonda per consentire al sole di entrare direttamente, e perché allora dovrebbero occorrerci tende? Voglio che questa stanza si veda.»

Il materiale necessario arrivò e arrivarono i pittori e il tappezziere; Meggie e Cat furono fatte salire su scale a pioli per lavare la parte alta delle finestre, mentre la signora Smith e Minnie erano alle prese con il resto, e Fee andava avanti e indietro a gran passi, osservando ogni cosa con occhi d'aquila.

Entro la seconda settimana di gennaio tutto era stato completato, e in qualche modo, naturalmente, la notizia si sparse al telefono. La signora Cleary aveva trasformato il salotto di Drogheda in un palazzo, e la cortesia non imponeva forse che la signora Hopeton si recasse, con la signora King e la signora O'Rourke, a fare una visita di benvenuto nella grande dimora?

Nessuno contestò che il risultato delle fatiche di Fee fosse la bellezza in assoluto. I tappeti Aubusson color crema, con i loro stinti mazzi di rose rosse e rosa e le foglie verdi, erano stati disposti a caso nella sala ripulita a specchio. Una nuova tinta color crema rivestiva le pareti e il soffitto, ogni modanatura e ogni pannello erano stati meticolosamente posti in risalto con dorature, ma gli enormi spazi piatti e ovali dei pannelli risultavano rivestiti con seta nera opaca sulla quale figuravano gli stessi mazzi di rose dei tre tappeti, come stilizzati dipinti giapponesi circondati da dorature su sfondo crema. La lumiera Waterford era stata abbassata in modo che le ultime gocce di cristallo tintinnassero ad appena due metri d'altezza dal pavimento, con ognuno delle migliaia di prismi lucidato sino a rifulgere come un arcobaleno. Su esili tavolini color crema e dorati si trovavano lampade Waterford accanto a posacenere Waterford e a vasi Waterford, con mazzi di rose tea e rosa; tutte le ampie e comode poltrone erano state rivestite a nuovo in seta marezzata color crema chiaro e raggruppate qua e là in modo intimo, con grandi ottomane accostate, invitanti. In un angolo luminoso risaltava la squisita, antica spinetta e su di essa troneggiava un enorme vaso, pieno anch'esso di rose crema e rosa. Sopra il caminetto pendeva il ritratto della nonna di Fee, in crinolina rosa-pallido, e, di fronte a lei, al lato opposto della sala, si trovava un ritratto ancor più grande di Mary Carson giovane, con i capelli rossi, il viso alquanto somigliante a quello della Regina Vittoria giovane, con un rigido vestito nero a gonna scampanata, secondo la moda dell'epoca.

«Benissimo» disse Fee «ora possiamo trasferirci qui dal torrente. Rimetterò a nuovo le altre stanze con comodo. Oh, non è bello avere denaro e una casa decente per la quale spenderlo?»

Circa tre giorni prima del trasloco, a un'ora tanto mattutina che il sole non era ancora sorto, i galli nel pollaio stavano facendo allegramente chicchirichì.

«Disgraziati» disse Fee, avvolgendo le porcellane con giornali vecchi. «Non so che cosa credano di aver fatto per cantare tanto! Non abbiamo un uovo in casa per la colazione, e tutti gli uomini sono qui fino al termine del trasloco. Meggie, vai tu per me nel pollaio; io sono occupata.» Scrutò una pagina ingiallita del Sydney Morning Herald, sbuffando mentre guardava un annuncio di busti a vita di vespa. «Non so perché Paddy si ostini a voler comprare tutti i giornali; nessuno ha mai il tempo di leggerli. Si accumulano troppo rapidamente per poter essere bruciati nella stufa. Guarda questo! Risale a prima che venissimo ad abitare qui. Be', almeno fanno comodo per imballare.»

Era piacevole vedere la mamma così allegra, pensò Meggie, mentre si precipitava giù per gli scalini dietro casa e attraversava l'aia polverosa. Sebbene tutti fossero logicamente impazienti di andare ad abitare nella grande dimora, Ma' sembrava bramare quel momento come se avesse ricordato che cosa significava vivere in una casa elegante. Com'era intelligente, che gusto perfetto aveva! Cose di cui nessuno si era mai accorto prima, perché mancava sia il tempo, sia il denaro per farle emergere. Meggie si strinse le braccia al seno, eccitata; Pa' aveva speso parte delle cinquemila sterline dal gioielliere di Gilly per acquistare alla mamma una collana e orecchini di perle vere, e sugli orecchini c'erano anche piccoli brillanti. Glieli avrebbe dati in occasione del loro primo pranzo nella grande casa. Ora che aveva veduto il viso di sua madre liberato dal consueto severo distacco, era impaziente di osservare quale espressione avrebbe avuto nel momento in cui le fossero state date le perle. Da Bob ai gemelli, tutti i ragazzi erano in orgasmo per la stessa ragione, perché Pa' aveva mostrato loro il grosso astuccio piatto di cuoio, aprendolo e rivelando i chicchi lattei opalescenti sullo sfondo di velluto nero. La sbocciante felicità della madre li aveva colpiti profondamente; era come assistere all'inizio di una buona pioggia sulla terra assetata. Fino a quel momento, non si erano mai resi conto di quanto fosse stata infelice in tutti gli anni da quando la conoscevano.

Il pollaio era enorme e conteneva quattro galli e più di quaranta galline. Durante la notte, si rifugiavano in una cadente baracca intorno al cui pavimento, meticolosamente scopato, si allineavano cassette arancione piene di paglia per deporre le uova, mentre in fondo si trovavano trespoli situati a varie altezze. Ma, durante il giorno, le galline si aggiravano chiocciando nel vasto spiazzo recintato da una rete metallica. Quando Meggie aprì il cancelletto e si infilò dentro, le chiocce si raggrupparono avidamente intorno a lei, pensando di avere il becchime, ma poiché lo distribuiva ogni sera, la ragazza rise dei loro stupidi lazzi.

«Come chiocce, siete delle buone a niente, sul serio!» le rimproverò con severità, mentre frugava nelle cassette. «Quaranta galline e appena quindici uova! Non bastano nemmeno per la colazione, figurarsi per una torta. Bene, vi avverto sin d'ora... se non rimedierete presto, il ceppo per tagliarvi il collo vi aspetta tutte quante, e questo vale anche per i signori del pollaio, non soltanto per le consorti, quindi non drizzate la testa e non gonfiate le penne come se la cosa non vi riguardasse, bei signori!»

Con le uova cautamente tenute entro il grembiule, Meggie corse di nuovo in cucina, cantando.

Fee sedeva sulla poltrona di Paddy e fissava una pagina dello Smith's Weekly, la faccia cerea, muovendo le labbra. Meggie udì gli uomini camminare nelle altre stanze e Jims e Patsy, di sei anni, che ridevano nei loro lettini; non dovevano mai alzarsi prima che gli uomini fossero usciti.

«Che cos'hai, Ma'?» domandò.

Fee non rispose, si limitò a fissare il vuoto dinanzi a sé con il labbro superiore imperlato di sudore, e gli occhi colmi di una sofferenza disperatamente razionale, quasi stesse chiamando a raccolta entro di sé ogni risorsa che possedeva per non urlare.

«Pappi! Pappi!» gridò Meggie in tono acuto, spaventata.

Il tono della sua voce lo fece accorrere mentre ancora si infilava la maglietta di flanella, seguito da Bob, Jack, Hughie e Stu. Meggie additò ammutolita sua madre.

A Paddy parve che il cuore gli bloccasse la gola. Si chinò su Fee e prese tra le dita il polso inerte di lei. «Che cosa c'è, cara?» le domandò, e nessuno dei suoi figli lo aveva mai udito esprimersi in un tono così tenero; eppure, in qualche modo, sapevano che quello era il tono con il quale egli le parlava quando loro non erano presenti.

Fee parve riconoscere quella voce particolare quanto bastava per emergere dallo stravolto stato di trance, e i grandi occhi grigi guardarono la faccia di lui, così buona e logora.

«Qui» disse, additando un breve trafiletto in fondo alla pagina.

Stuart era andato a mettersi dietro la madre, posandole la mano con leggerezza sulla spalla; prima di cominciare a leggere la notizia, Paddy sbirciò il figlio, guardandolo negli occhi così simili a quelli di Fee, e annuì. Ciò che lo aveva aizzato alla gelosia in Frank non sarebbe mai riuscito a fare altrettanto nel caso di Stuart; come se il loro affetto per Fee li unisse strettamente, invece di separarli.

Paddy lesse a voce alta, adagio, e il suo tono di voce divenne sempre e sempre più triste. Il titolo, a caratteri piccoli, diceva:

Pugile condannato all'ergastolo

«Francis Armstrong Cleary, di ventisei anni, pugile di professione, è stato oggi riconosciuto colpevole, dal tribunale distrettuale di Goulburn, di avere assassinato Ronald Albert Cumming, di anni 32, operaio, nello scorso luglio. La giuria è pervenuta al verdetto dopo aver deliberato per soli dieci minuti, proponendo la condanna più severa che la Corte potesse infliggere. Si è trattato, ha detto il giudice Fitz-Hugh-Cunneally, di un caso di lampante colpevolezza. Cumming e Cleary avevano avuto un violento litigio nel bar dell'Hotel Harbor, il 23 luglio. Quella stessa sera, sul tardi, il sergente Tom Beardsmore, della polizia di Goulburn, accompagnato da due agenti, si recò all'Hotel Harbor, chiamatovi dal proprietario, il signor James Ogilvie. Nel vicolo dietro l'albergo, la polizia trovò Cleary che sferrava calci alla testa di Cumming, ormai privo di sensi. Aveva i pugni imbrattati di sangue e tra le dita ciuffi dei capelli di Cumming. Al momento dell'arresto, Cleary era ubriaco, ma lucido. Fu accusato di aggressione e percosse, ma l'imputazione divenne di assassinio dopo la morte di Cumming, il giorno seguente, all'ospedale del distretto di Goulburn, per lesioni cerebrali. L'avvocato difensore, Arthur Whyte, ha sostenuto la tesi della non colpevolezza dell'imputato per infermità mentale ma quattro medici, deponendo per la pubblica accusa, hanno asserito inequivocabilmente che, in base a quanto dispone la legge MCNaughton, Cleary non poteva essere considerato malato di mente. Nella sua allocuzione alla giuria, il giudice Fitz-Hugh-Cunneally ha detto che non era questione di innocenza o colpevolezza, in quanto il verdetto ovviamente poteva essere soltanto "colpevole", ma che la invitava a ben meditare sulle raccomandazioni di clemenza o severità, poiché si sarebbe attenuto a esse. Al momento di condannare Cleary, il giudice Fitz-Hugh-Cunneally ha definito il delitto "un esempio di barbarie subumana" e ha espresso il proprio rincrescimento per il fatto che lo stato di ubriachezza dell'imputato e la non premeditazione del delitto impedivano la condanna all'impiccagione; in effetti, egli considerava le mani di Cleary un'arma mortale quanto una pistola o un coltello. Cleary è stato condannato ai lavori forzati a vita e dovrà scontare la pena nel carcere di Goulburn, destinato ai detenuti più violenti. Alla domanda se avesse qualcosa da dire, Cleary ha risposto: "Chiedo soltanto che mia madre non venga avvertita."»

Paddy alzò gli occhi sull'orlo della pagina per vedere la data: 6 dicembre 1925. «È accaduto più di tre anni fa» disse, fiocamente.

Nessuno gli rispose o si mosse, perché nessuno sapeva che cosa fare; da un'altra stanza della casa giungevano le risatine allegre dei gemelli, le loro vocette acute che ciangottavano.

«Chiedo soltanto... che mia madre... non venga avvertita» mormorò Fee, in preda allo stordimento. «E nessuno lo ha fatto! Oh, Dio! Mio povero, povero Frank!»

Paddy si asciugò le lacrime dalla faccia con il dorso della mano libera, poi si accosciò davanti a lei, accarezzandole con dolcezza il grembo.

«Fee cara, fai le valigie. Andiamo da lui.»

Si alzò a mezzo, ma poi ricadde sulla poltrona, gli occhi, nel viso minuto e bianco, spalancati e fissi come se fosse morta, le pupille enormi e rivestite da una pellicola dorata.

«Non posso andare da lui» disse, senza il benché minimo indizio di sofferenza, eppure facendo sentire a tutti che la sofferenza era in lei. «Vedermi lo ucciderebbe. Oh, Paddy, lo ucciderebbe! Lo conosco così bene... il suo orgoglio, la sua ambizione, la decisione di diventare una persona importante. Lasciamo che sopporti da solo la vergogna, se così vuole. Lo hai letto. "Chiedo soltanto che mia madre non venga avvertita." Dobbiamo aiutarlo a mantenere segreta la cosa. Come potrebbe giovare, a lui o a noi, parlargli?»

Paddy piangeva ancora, ma non per Frank; per la vita che si era spenta sulla faccia di Fee, per la morte che aveva negli occhi. Uno iettatore, ecco che cos'era sempre stato il ragazzo; un disastroso apportatore di disgrazie, sempre frapposto tra Fee e lui, la ragione per cui lei si era sottratta al suo cuore e al cuore dei suoi figli. Ogni volta che sembrava esservi un po' di felicità in serbo per Fee, Frank gliela toglieva. Ma l'amore di Paddy per sua moglie era profondo e impossibile a sradicarsi quanto quello di Fiona per Frank; non gli sarebbe più stato possibile servirsi del ragazzo come di un capro espiatorio, non dopo quella sera alla canonica.

Pertanto disse: «Bene, Fee, se ritieni che sia preferibile non tentare di recarsi da lui, non andremo. Eppure, vorrei sapere che sta bene, vorrei essere certo che, qualsiasi cosa sia possibile fare per Frank, venga fatta. Se scrivessi a Padre de Bricassart e gli chiedessi di occuparsi del ragazzo?»

Gli occhi di Fiona non si ravvivarono, ma un'ombra di rosa le si diffuse sulle gote. «Sì, Paddy, scrivigli. Ma spiegagli molto chiaramente come stanno le cose; non deve dire a Frank che noi sappiamo. Forse sarà meno penoso per lui avere la certezza che ignoriamo tutto.»

Di lì a pochi giorni, Fee ritrovò quasi tutta la sua energia, e l'interessamento con il quale rimetteva a nuovo la grande dimora la tenne occupata. Ma la sua placidità ridivenne severa, anche se meno torva, incapsulata da una calma inespressiva. Sembrava avere più a cuore il futuro aspetto della casa che il benessere della famiglia. Forse li credeva capaci di badare a se stessi spiritualmente, e riteneva che la signora Smith e le cameriere si trovassero lì per occuparsi di loro materialmente.

Eppure, la scoperta della situazione di Frank aveva colpito tutti profondamente. I ragazzi più grandi si affliggevano molto per la madre e trascorrevano notti insonni ricordandone il viso in quel momento spaventoso. L'amavano, e la sua allegria, nelle poche settimane precedenti, aveva consentito loro di intravedere un'immagine di lei che non dovevano più dimenticare e che faceva nascere in essi il desiderio appassionato di farla rivivere. Se il padre era stato il perno intorno al quale avevano girato le loro esistenze fino a quel momento, da allora in avanti accanto a lui posero la madre. Cominciarono a trattarla con una sollecitudine tenera, assorta, che tutta l'indifferenza di lei non riusciva a respingere. Da Paddy a Stu, i Cleary maschi cospirarono per far sì che Fee potesse avere qualsiasi cosa desiderasse dalla vita, e pretesero che tutti si adoprassero a tale fine. Nessuno doveva farle del male o addolorarla ancora. E quando Paddy le offrì le perle e lei le accettò con una breve e inespressiva parola di ringraziamento, senza osservarle con piacere o con interesse, tutti pensarono a quanto diversamente Fee avrebbe reagito se non fosse stato per Frank.

Se non si fossero trasferiti nella grande dimora, la povera Meggie avrebbe sofferto molto più di quanto soffrì, poiché, pur senza ammetterla appieno nel loro clan esclusivamente maschile per la protezione di Ma' (forse perché intuivano che la sua partecipazione era più riluttante della loro), sia il padre, sia i fratelli maggiori si aspettavano che lei si addossasse tutti i compiti palesemente ripugnanti per Fee. In effetti, la signora Smith e le cameriere aiutarono Meggie a sostenere il fardello. Ripugnavano soprattutto a Fee i suoi due figlioli più piccoli, ma la signora Smith si assunse tutta la responsabilità di badare a Jims e a Patsy, e con tanto ardore che Meggie non riuscì a compassionarla, anzi, in un certo qual modo le fece piacere che i due bambini potessero finalmente appartenere del tutto alla governante. Anche Meggie si affliggeva per sua madre, ma non certo con tutto il cuore come gli uomini, perché la sua lealtà veniva posta a durissima prova; l'istinto della maternità, in lei così forte, veniva profondamente offeso dalla crescente indifferenza di Fee nei confronti di Jims e Patsy. Quando avrò bambini miei, si diceva, non amerò mai uno di loro più degli altri.

Abitare nella grande dimora fu senza dubbio molto diverso. Dapprima parve strano a ognuno avere una camera da letto tutta per sé, e alle donne parve ancora più strano non doversi sobbarcare ogni sorta di faccenda domestica, in casa o fuori di casa. Minnie, Cat e la signora Smith sbrigavano, tra tutte e tre, ogni cosa; facevano il bucato, stiravano, cucinavano e pulivano la casa, e ogni proposta di aiutarle le scandalizzava. In cambio di cibo in abbondanza e di un piccolo compenso, una teoria interminabile di vagabondi veniva segnata temporaneamente nei registri dell'allevamento, con la qualifica di uomini di fatica: spaccavano la legna per i caminetti della dimora, si occupavano del pollame e dei maiali, mungevano le vacche, aiutavano il vecchio Tom a curare i bei giardini, facevano tutte le grosse pulizie.

Paddy aveva avuto uno scambio di lettere con Padre Ralph.

«Il reddito del patrimonio di Mary ammonta grosso modo a quattro milioni di sterline annui, grazie al fatto che la Michar Limited è una società privata i cui capitali sono investiti quasi esclusivamente nell'acciaio, nella marina mercantile e nelle miniere [scrisse il sacerdote]. Di conseguenza, quanto ho assegnato a voi è una semplice goccia nel secchio Carson e non ammonta neppure a un decimo degli utili annui dell'allevamento di Drogheda. Lei non deve neppure preoccuparsi per gli anni cattivi, in quanto l'attivo dell'allevamento di Drogheda è tanto ingente che con i soli interessi potrò pagarla per sempre, se necessario. Il denaro che lei riceverà, pertanto, non è più di quanto merita, e non intacca minimamente gli utili della Michar Limited. Si tratta dei profitti dell'allevamento, non di quelli della società. Io le chiedo soltanto di tenere onestamente aggiornati i registri, affinché possano essere esaminati dai sindaci.»

Dopo aver ricevuto questa lettera, Paddy tenne una riunione di famiglia nel meraviglioso salotto, una sera che tutti si trovavano in casa. Sedette, con gli occhiali a mezze lenti, cerchiati in acciaio, su un'ampia poltrona color crema, i piedi comodamente appoggiati sulla vicina ottomana, la pipa in un posacenere Waterford.

«Come è bello qui.» Sorrise, guardandosi attorno con piacere. «Credo che dovremmo ringraziare Ma' per questo, non vi sembra, ragazzi?»

Vi furono mormorii di assenso da parte dei «ragazzi»; Fee chinò il capo là ove sedeva, su quella che era stata la poltrona a conchiglia di Mary Carson, ora rivestita in seta marezzata color crema. Meggie spinse i piedi sotto l'ottomana che aveva preferito a una poltrona e tenne gli occhi ostinatamente fissi sulla calza che stava rammendando.

«Oh, dunque, Padre de Bricassart ha disposto ogni cosa ed è stato molto generoso» continuò Paddy. «Ha depositato settemila sterline in banca a mio nome e ha aperto un libretto di risparmio per ognuno di voi, con un deposito iniziale di duemila sterline. Io riceverò uno stipendio di quattromila sterline annue come direttore dell'allevamento, e Bob avrà uno stipendio di tremila sterline annue come vicedirettore. Tutti i ragazzi che lavorano - Jack, Hughie e Stu - saranno compensati con duemila sterline all'anno, e i più piccoli riceveranno mille sterline annue per ciascuno finché non saranno grandi abbastanza per decidere che cosa vorranno fare.

«Una volta cresciuti, l'allevamento garantirà a ognuno di loro un reddito annuo pari a quello di chi lavora a Drogheda, anche se non vorranno restare qui. All'età di dodici anni, Jims e Patsy andranno come convittori nel collegio Riverview di Sydney, e vi completeranno gli studi a spese della proprietà.

«Ma' riceverà duemila sterline l'anno, e così Meggie. Le spese per la manutenzione della casa sono state calcolate in cinquemila sterline annue, sebbene non sappia davvero perché mai Padre Ralph pensi che occorra tanto. Nell'eventualità che vogliamo apportare modifiche importanti, dice lui. Ho inoltre le sue istruzioni per quanto concerne i salari della signora Smith, di Minnie e di Cat, e devo dire che è generoso. Gli altri salari li stabilirò io. Ma la mia prima decisione come direttore è quella di assumere almeno altri sei guardiani delle greggi, affinché Drogheda possa essere mandata avanti a dovere. L'allevamento è troppo vasto per un pugno di uomini.» E non aggiunse altro per quanto concerneva i criteri con i quali sua sorella aveva amministrato la proprietà.

Nessuno di loro si era mai sognato di possedere tanto denaro; rimasero immobili e silenziosi, sforzandosi di assimilare la loro grande fortuna.

«Non spenderemo mai nemmeno la metà di tutti questi soldi, Paddy» disse Fee. «Non ci ha lasciato alcuna spesa da affrontare.»

Paddy la guardò con dolcezza. «Lo so, Ma'. Però è piacevole, non ti sembra, non doverci mai più preoccupare per i quattrini?» Poi si schiarì la voce. «Be', a me pare che Ma' e Meggie, in particolare, si troveranno con un po' di tempo libero» continuò. «Io non sono mai stato un granché bravo con i numeri, però Ma' sa addizionare, sottrarre, dividere e moltiplicare come un'insegnante di aritmetica. Sarà pertanto Ma' a tenere i registri di Drogheda, anziché lo studio di Harry Gough. Non me ne ero mai reso conto, ma Harry aveva assunto un impiegato soltanto per tenere la contabilità dell'allevamento e in questo momento è a corto di personale, per cui sarebbe ben contento di passare tutto a noi. In effetti, è stato lui a osservare che Ma' sarebbe un'ottima contabile. Manderà qualcuno da Gilly a insegnarti come si fa, Fee. A quanto pare, è piuttosto complicato. Dovrai far quadrare le somme sui registri e sul libro cassa, tenere il giornale, registrare tutto, e così via. Ce n'è abbastanza per tenerti occupata, ma la cosa non ti stancherà come cucinare e fare il bucato, non ti sembra?»

Meggie aveva già sulla punta della lingua un grido. «E io? Ho cucinato e fatto il bucato tanto quanto Ma'!»

Fee stava sorridendo davvero, per la prima volta dopo la notizia di Frank. «Questo lavoro mi piacerà, Paddy, sul serio. Farà sì che mi senta parte di Drogheda.»

«Bob ti insegnerà a guidare la nuova Rolls-Royce, perché toccherà a te andare a Gilly, in banca e per parlare con Harry. Inoltre, sarà piacevole per te sapere che puoi recarti in automobile ovunque, senza dover dipendere da nessuno. Siamo troppo isolati, qui. Ho sempre avuto l'intenzione di insegnare a voi donne a guidare, ma prima non ce n'è mai stato il tempo. Sei d'accordo, Fee?»

«D'accordissimo, Paddy» rispose lei, lietamente.

«E ora, Meggie, dobbiamo pensare a te.»

Meggie posò calza e ago e alzò gli occhi sul padre con un misto di curiosità e di risentimento, certa di sapere che cosa avrebbe detto: sua madre essendo occupata con la contabilità, a lei sarebbe toccato il compito di dirigere l'andamento della casa.

«Non sopporterei di vederti diventare una signorinella oziosa e snob, come certe figlie di allevatori che conosciamo» disse Paddy, con un sorriso che eliminò ogni disprezzo dalle sue parole. «Di conseguenza, metterò al lavoro a tempo pieno anche te, piccola Meggie. Tu baderai ai recinti interni... Borehead, Creek, Carson, Winnemurra e North Tank. Inoltre, ti occuperai anche dello Home Paddock. Sarai responsabile dei cavalli da lavoro, quelli utilizzati e quelli a riposo. Quando si riuniranno le greggi e nasceranno gli agnelli, lavoreremo tutti insieme, naturalmente; ma per il resto sarai in grado di cavartela da sola, ritengo. Jack potrà insegnarti a servirti dei cani e ad adoperare la frusta. Sei ancora una ragazza indiavolata, e così mi son detto che avresti preferito lavorare nei pascoli anziché in casa» concluse, sorridendo ancor più di prima.

Risentimento e scontento erano volati fuori della finestra, mentre lui parlava; era, una volta di più, il suo Pappi, che l'amava e pensava a lei. Come poteva esserle saltato in mente di dubitare tanto di lui? Si vergognò a tal punto che volentieri si sarebbe punita conficcandosi in una gamba il grosso ago da rammendo.

Il viso le splendeva. «Oh, Pappi, lo adorerò, questo lavoro!»

«E io, Pa'?» domandò Stuart.

«Le donne non hanno più bisogno di te in casa, per conseguenza tornerai nei recinti.»

«Benissimo, Pa'.» Il ragazzo guardò Fee con nostalgia, ma non disse niente.

Fee e Meggie impararono a guidare la nuova Rolls-Royce che era stata consegnata a Mary Carson una settimana prima della sua morte, e Meggie imparò a far lavorare i cani mentre Fee imparava a tenere i registri.

Se non fosse stato per la protratta assenza di Padre Ralph, Meggie si sarebbe sentita completamente felice. Questo era ciò cui aveva sempre anelato: trovarsi nei pascoli a cavallo, fare il lavoro di un mandriano. Ma la sofferenza a causa di Padre Ralph era sempre presente, e il ricordo del suo bacio costituiva qualcosa da sognare, da tesoreggiare, da gustare di nuovo, mille volte. Tuttavia, il ricordo era di gran lunga inferiore alla realtà; per quanto ci provasse, le vere sensazioni non potevano essere evocate, e tornava soltanto una loro ombra, come una nube triste e tenue.

Quando egli scrisse per parlare loro di Frank, le sue speranze che il sacerdote potesse avvalersi della cosa come di un pretesto per venire a Drogheda furono bruscamente infrante. La descrizione del viaggio cui Padre Ralph si era sobbarcato per andare a far visita a Frank nel carcere di Goulburn evitava accuratamente di accennare alla sofferenza che egli aveva provato e non parlava minimamente della psicosi sempre più grave del giovane. Il prete aveva tentato invano di far trasferire Frank nel manicomio Morisset per i criminali malati di mente; non era stato ascoltato da nessuno. Di conseguenza, si limitava a dipingere un'immagine idealistica di Frank, rassegnato a pagare le sue colpe nei confronti della società; e in un passo della lettera, ben sottolineato, diceva a Paddy che Frank ignorava come la sua famiglia fosse informata. Il sacerdote si era limitato ad assicurargli di averlo saputo dai giornali di Sydney, promettendogli inoltre di fare in modo che la famiglia non lo sapesse mai. Dopodiché, aveva avuto l'impressione che Frank fosse molto più calmo, diceva; e non aggiungeva altro.

Paddy parlava di vendere la cavalla saura di Padre Ralph. Meggie montava il castrone nero, più sensibile al morso e di indole più docile.

«Oh, ti prego, Pappi, posso cavalcare anche la cavalla saura» lo supplicò Meggie. «Pensa come sarebbe spaventoso se, dopo tutte le sue gentilezze nei nostri riguardi, Padre Ralph dovesse venire a farci visita e constatasse che gli abbiamo venduto la giumenta!»

Paddy la fissò cogitabondo. «Meggie, non credo che il Padre tornerà.»

«Ma potrebbe venire! Non si sa mai!»

Gli occhi così simili a quelli di Fee furono troppo per lui; non seppe indursi a farla soffrire più di quanto avesse già sofferto, povera piccola creatura. «E sta bene, allora, Meggie, terremo la giumenta, ma accertati di montare con regolarità sia la cavalla, sia il castrone, perché non voglio un cavallo grasso a Drogheda, è chiaro?»

Fino a quel momento, non le era piaciuto servirsi della cavalcatura di Padre Ralph, ma, da allora in poi, alternò i due animali nelle scuderie, così da dare modo a entrambi di smaltire l'avena.

Era una gran bella cosa che la signora Smith, Minnie e Cat adorassero i gemelli, poiché, con Meggie nei recinti e Fee che sedeva per ore al suo scrittoio, in salotto, i due bimbetti si divertivano un mondo. Erano sempre tra i piedi, ma con tanta allegria e un buon umore così costante, che nessuno sarebbe riuscito ad adirarsi con loro a lungo. La notte, nella sua piccola casa, la signora Smith, convertita da tempo al cattolicesimo, si inginocchiava per recitare le preghiere con una gratitudine così traboccante nel cuore da non riuscire a contenerla. Non aveva mai avuto figli suoi che l'allietassero quando Rob era in vita, e per anni la grande dimora era rimasta senza bambini, con il divieto, per giunta, alla servitù, di avere rapporti con chi abitava nelle case dei guardiani lungo il torrente. Ma all'arrivo dei Cleary, parenti di Mary Carson, c'erano stati bambini, finalmente; e ora Jims e Patsy abitavano addirittura nella dimora.

Era stato un inverno asciutto, e le piogge estive non vennero. Alta fino alle ginocchia e lussureggiante, l'erba fulva inaridì sotto il sole cocente finché anche l'interno di ogni stelo non divenne friabile. Per guardare i pascoli, bisognava socchiudere gli occhi e abbassare ben bene la tesa del cappello sulla fronte; l'erba aveva finito con il diventare argentata come uno specchio, e piccoli vortici a spirale si spostavano veloci tra baluginanti miraggi azzurri, spostando mucchietti di foglie secche e di steli d'erba avvizziti.

Persino gli alberi erano inariditi, e la corteccia si staccava dai tronchi a strisce rigide che si sgretolavano. Nessun pericolo, ancora, che le pecore morissero di fame... l'erba avrebbe resistito per un altro anno almeno, forse di più... ma non faceva piacere a nessuno vedere tutto così asciutto. Esisteva sempre la possibilità che non piovesse nemmeno l'anno seguente, o per due anni. Negli anni buoni, avevano venticinque o trenta centimetri di precipitazioni, in un anno cattivo poco più di dieci, o magari non pioveva affatto.

Nonostante la calura e le mosche, Meggie amava la vita nei pascoli ove metteva al passo la giumenta saura dietro un gregge belante, mentre i cani si appiattivano sul terreno, la lingua ciondolante, ingannevolmente disattenti. Ma bastava che una pecora balzasse fuori dal gregge ben pigiato e il cane più vicino partiva di corsa; un fulmine di vendicatività, i denti aguzzi smaniosi di azzannare qualche zampa sfortunata.

Meggie precedette a cavallo il gregge, un gradito sollievo dopo aver respirato il polverone delle pecore per parecchi chilometri, e aprì il cancello del recinto. Aspettò con pazienza mentre i cani, felici di mostrarle quel che sapevano fare, mordicchiavano e spronavano le pecore, costringendole a passare. Più difficile era radunare e trasferire le greggi, poiché le stupide bestie sferravano calci o si lanciavano alla carica, non di rado uccidendo un cane distratto; in quei momenti doveva intervenire l'uomo, facendo la sua parte con la frusta, ma i cani amavano il pericolo. In ogni modo, trasferire le greggi non era compito di Meggie; a questo provvedeva Paddy personalmente.

I cani non finivano mai di affascinarla; la loro intelligenza era fenomenale. Quasi tutti i cani di Drogheda erano kelpies (Letteralmente «spiriti maligni», in scozzese.) [N.d.T.], dal ricco mantello di un rossastro fulvo, con le zampe, il petto e le arcate sopraccigliari color crema, ma c'erano anche i blu del Queensland, più grossi, con mantelli blu-grigi chiazzati di nero, e ogni possibile varietà di incroci tra kelpies e «blu». Le femmine andavano in calore, venivano accoppiate scientificamente, ingrossavano e figliavano; una volta svezzati e cresciuti, i cuccioli erano posti alla prova nei recinti e, se dimostravano di essere capaci, li si teneva o li si vendeva, altrimenti gli si sparava.

Chiamati i cani con un fischio, Meggie chiuse il cancello sul gregge e diresse la cavalla saura verso casa. Nei pressi si trovava un vasto bosco, eucalipti dalla corteccia fibrosa, eucalipti dalla corteccia compatta, bossi neri, qualche wilga ai margini. Cavalcò all'ombra con sollievo e, avendo ora il tempo di guardarsi attorno, lasciò vagare gli occhi qua e là con gioia. Tutti gli eucalipti erano gremiti da una sorta di piccole cornacchie che ciangottavano e fischiavano parodiando gli uccelli canterini, fringuelli volavano di ramo in ramo, due cacatua dalla cresta color zolfo se ne stavano appollaiati, reclinando il capo da un lato e osservandola con gli occhietti ammiccanti; cutrettole raspavano la terra in cerca di formiche, facendo dondolare l'assurda coda; corvi gracchiavano luttuosamente: il loro era il verso più fastidioso di tutto il repertorio di canti della boscaglia, tanto sembrava privo di gioia, desolato e in qualche modo tale da raggelare l'anima, come se parlasse di carni putride, di carogne e tafani. Pensare che un corvo potesse cantare come un melifagide, un uccello-campana (così veniva chiamato in Australia), era impossibile; verso e funzione si armonizzavano perfettamente.

Inutile dirlo, c'erano mosche dappertutto; Meggie portava un velo sopra il cappello, ma le sue braccia nude venivano tormentate costantemente e la giumenta saura non smetteva mai di frustarsi i fianchi con la coda, le sue carni non finivano mai, nemmeno per un secondo, di fremere e di guizzare. Meravigliava Meggie il fatto che, anche attraverso lo spessore del pelo e della pelle, i cavalli potessero sentire qualcosa di così delicato e aereo come una mosca. Le mosche bevevano il sudore, ecco perché tormentavano tanto cavalli e esseri umani; ma gli uomini non consentivano mai a esse di fare quel che facevano alle pecore, per cui le mosche si servivano soltanto delle pecore per uno scopo più intimo: deponevano le loro uova sulla lana del groppone, od ovunque la lana fosse umida e sudicia.

L'aria vibrava dappertutto del ronzio delle api, ed era animata da vivide e fulminee libellule, in cerca dei canali del pozzo artesiano, da farfalle squisitamente colorate e da falene diurne. La cavalla capovolse con uno zoccolo un pezzo di legno putrido; Meggie ne fissò il lato inferiore e si sentì accapponare la pelle. C'erano vermi, grassi e bianchi e schifosi, pidocchi del legno e lumache, enormi millepiedi e ragni. Conigli selvatici balzavano fuori dalle loro tane e saettavano via, facendo balenare il dorso nero, la coda bianca simile a un piumino da cipria, poi si voltavano a sbirciare, il naso guizzante. Più avanti, un echidna interruppe la sua ricerca di formiche, preso dal panico all'avvicinarsi di Meggie: cominciò a scomparire sotto un tronco enorme, scavando con le zampe dai robusti artigli. I suoi movimenti, mentre scavava, erano buffoneschi, gli aculei crudeli rimanevano appiattiti sul corpo per rendergli più facile infilarsi sottoterra, e il terriccio volava via a grumi.

Meggie uscì dal bosco sulla pista principale che conduceva alla dimora. Uno strato di grigio maculato ne rivestiva la polvere, uccelli galah che becchettavano insetti o vermi; ma, udendola sopraggiungere, spiccarono il volo in massa. Fu come essere sommersa da un'ondata color rosa-magenta; i petti e il lato inferiore delle ali degli uccelli la sorvolarono, e il grigio si tramutò magicamente in un rosa carico. Se dovessi andarmene da Drogheda domani, pensò, per non tornare mai più, nei miei sogni la rivedrei sommersa dai ventri rosa degli uccelli galah... La siccità deve cominciare a essere grande anche lontano da qui; stanno arrivando i canguri, sempre più numerosi...

Uno stuolo enorme di canguri, forse duemila animali, era stato spaventato dai galah mentre brucava pacificamente, e prese la fuga in lontananza con lunghi balzi aggraziati, che divoravano i chilometri più rapidamente di ogni altro animale, tranne gli emù. I cavalli non riuscivano a stargli dietro.

Tra l'uno e l'altro di questi deliziosi momenti di attenzione alla natura, Meggie pensava a Ralph, come sempre. Nel suo intimo, non aveva mai catalogato come infatuazione dell'adolescenza quel che provava per lui, lo chiamava semplicemente amore, come facevano gli scrittori nei libri. I suoi sintomi e i suoi stati d'animo non erano diversi da quelli di un'eroina di Ethel M. Dell. Né sembrava giusto che un ostacolo artificioso come il sacerdozio potesse frapporsi tra lei e quel che voleva da Ralph, vale a dire averlo come marito. Vivere con lui come Pappi con Ma', in una armonia tale che egli l'avrebbe adorata come suo padre adorava sua madre. Non era mai sembrato a Meggie che Fiona facesse molto per meritarsi l'adorazione del marito, eppure egli l'adorava. Di conseguenza, Ralph avrebbe constatato ben presto come vivere con lei fosse di gran lunga meglio che vivere solo. Meggie, infatti, non aveva ancora capito che il sacerdozio di Ralph era qualcosa cui egli non avrebbe mai potuto rinunciare. Eppure, sapeva ch'era proibito avere come marito o come amante un prete, ma aveva preso l'abitudine di aggirare l'ostacolo spogliando Ralph della sua veste religiosa. L'istruzione impartitale in fatto di cattolicesimo non era mai arrivata al punto da prendere in esame la natura dei voti sacerdotali; lei non sentiva alcuna necessità della religione, e perciò non aveva mai approfondito la questione di sua iniziativa. Poiché non ricavava alcuna soddisfazione dalle preghiere, Meggie ubbidiva alle leggi della Chiesa soltanto perché il non farlo significava bruciare all'inferno per tutta l'eternità.

Nel sogno a occhi aperti di quel momento, si librò nella beatitudine di vivere con lui e dormire con lui, come facevano Ma' e Pa'. Poi il pensiero della vicinanza di Ralph la eccitò e fece sì che si agitasse irrequieta sulla sella; tradusse l'eccitazione, non disponendo di alcun altro criterio, in un diluvio di baci. Anche cavalcare nei pascoli non aveva fatto progredire per nulla la sua educazione sessuale, poiché il mero odore di un cane fiutato da lontano scacciava ogni desiderio di accoppiarsi dalla mente di qualsiasi animale, e, come in tutti gli allevamenti, gli accoppiamenti indiscriminati non erano consentiti. Quando agli arieti veniva data via libera tra le pecore di un determinato recinto, Meggie riceveva l'ordine di recarsi altrove, e vedere un cane che ne montava un altro significava per lei soltanto che era il momento di servirsi della frusta per separare la coppia e per impedire che continuasse a «giocare».

Forse nessun essere umano ha la possibilità di giudicare che cosa sia peggio, se un anelito rudimentale, con l'irrequietudine e l'irritabilità conseguenti, o un desiderio specifico, con la caparbia volontà di soddisfarlo. La povera Meggie anelava, senza sapere affatto a che cosa, ma la spinta fondamentale esisteva; e la trascinava inesorabilmente nella direzione di Ralph de Bricassart. Pertanto lo desiderava, lo sognava, lo voleva; e si affliggeva perché, nonostante il suo proclamato affetto per lei, egli le attribuiva così poca importanza da non venire mai a trovarla.

Nel bel mezzo dei suoi pensieri si fece avanti a cavallo Paddy che, come lei, tornava a casa seguendo lo stesso sentiero; con un sorriso, Meggie tirò le redini della giumenta saura e aspettò di essere raggiunta.

«Che bella sorpresa» disse Paddy, mettendo al passo il suo vecchio roano accanto alla cavalla di mezza età della figlia.

«Già, davvero» disse lei. «Sono ancora più aridi i pascoli lontani?»

«Un po' più che qui, credo. Signore Iddio, non ho mai visto tanti canguri! La siccità dev'essere tremenda dalle parti di Milparinka. Martin King proponeva una grande sparatoria, ma non vedo come anche un esercito armato di mitragliatrici potrebbe ridurre il numero dei canguri in misura sufficiente per accorgersi della differenza.»

Era così caro, così premuroso e indulgente e affettuoso; e le capitava di rado di trovarsi con lui senza la presenza di almeno uno dei fratelli. Prima di poter cambiare idea, Meggie pose la domanda che esprimeva il suo dubbio, il dubbio dal quale si sentiva rosicchiata e devastata nonostante tutta la sua intima sicurezza.

«Pappi, perché Padre de Bricassart non viene mai a farci visita?»

«È molto occupato, Meggie» rispose Paddy, ma il suo tono di voce divenne circospetto.

«Ma anche i preti hanno un periodo di vacanza, no? Drogheda gli piaceva tanto. Sono certa che vorrebbe trascorrere qui le sue vacanze.»

«Sotto un certo aspetto i sacerdoti hanno vacanze, Meggie, ma, sotto un altro, sono sempre impegnati. Per esempio, ogni giorno della loro vita devono celebrare la Messa, anche quando sono soli. Credo che Padre de Bricassart sia un uomo molto assennato e sappia che non è mai possibile tornare indietro, a un modo di vivere ormai finito. Per lui, piccola Meggie, Drogheda fa parte del passato. Se tornasse, non vi si troverebbe più bene come un tempo.»

«Vuoi dire che ci ha dimenticati» mormorò lei, con la voce fioca.

«No, non proprio. Se ci avesse dimenticati, non scriverebbe così spesso e non chiederebbe notizie di ognuno di noi.» Si girò sulla sella, gli occhi azzurri compassionevoli. «Credo sia preferibile che non torni mai più, e pertanto non lo incoraggio a pensarci invitandolo.»

«Pappi!»

Paddy si tuffò risoluto nelle acque torbide. «Ascolta, Meggie, fai male ad abbandonarti ai sogni sul conto di un sacerdote, ed è ormai tempo che tu lo capisca. Hai conservato molto bene il tuo segreto, credo che nessun altro, all'infuori di me, sappia che cosa provi per lui, ma le domande le hai sempre rivolte a me, no? Non molte, ma abbastanza. E ora dammi retta, devi smettere di pensare a lui, hai capito? Padre de Bricassart ha pronunciato sacri voti, io so che non ha assolutamente alcuna intenzione di dimenticarli, e tu hai interpretato male il suo affetto nei tuoi riguardi. Era un uomo fatto quando ti conobbe, e tu eri una bimbetta. Be', lui continua a considerarti una bambina ancor oggi.»

Meggie non rispose, né la sua espressione mutò. Sì, pensò lui, è la figlia di Fee, e come.

Dopo qualche momento, lei disse, con la tensione nella voce:

«Ma potrebbe rinunciare a essere un prete. È solo che non ho avuto il modo di parlargliene.»

L'addolorato stupore sulla faccia di Paddy fu troppo autentico perché si potesse non credervi; e così Meggie lo trovò più convincente delle parole di lui, per quanto veementi esse fossero.

«Meggie! Oh, buon Dio, ecco la conseguenza peggiore di questa vita nella boscaglia. Dovresti essere a scuola, ragazza mia, e, se la zia Mary fosse morta prima, ti avrei spedita a Sydney in tempo per almeno due anni di studi. Ma ormai sei troppo grande, non ti pare? Non vorrei che ridessero della tua età, povera piccola Meggie.» Poi continuò più dolcemente, intervallando le parole per far sì che assumessero una tagliente, lucida crudeltà, sebbene non avesse l'intenzione di essere crudele, ma soltanto di disperdere le illusioni una volta per tutte. «Padre de Bricassart è un sacerdote, Meggie. Non potrà mai, mai, smettere di esserlo, renditene conto. I voti che ha pronunciato sono sacri, troppo solenni per poter essere infranti. Una volta che un uomo diventa prete, non può più tornare indietro, e i suoi superiori, in seminario, si accertano nel modo più assoluto che si renda conto di ciò cui si impegna con un giuramento, prima di giurare. L'uomo che pronuncia quei voti sa, al di là di ogni ombra di dubbio, che, una volta pronunciati, non potranno essere infranti, mai. Padre de Bricassart li ha pronunciati, e mai li infrangerà.» Paddy sospirò. «Ora sai, Meggie, non è vero? A partire da questo momento, non hai più alcun pretesto per sognare a occhi aperti di Padre de Bricassart.»

Erano giunti davanti alla dimora: senza dir parola, Meggie fece voltare la cavalla saura verso le scuderie e lasciò che suo padre proseguisse solo. Per qualche tempo continuò a voltarsi e a guardarla, ma, quando lei fu scomparsa al di là del recinto, spronò il roano e completò il tragitto al piccolo galoppo, odiando se stesso e la necessità di dire quel che aveva detto. Maledetta la faccenda uomo-donna! Sembrava ubbidire a una serie di regole in contraddizione con tutte le altre.

La voce di Padre Ralph de Bricassart era gelida, e, ciò nonostante, più cordiale dei suoi occhi, che non si distoglievano mai dalla faccia pallida del giovane sacerdote, mentre pronunciava parole severe e misurate.

«Non si è comportato come Nostro Signore Gesù Cristo richiede che si comportino i Suoi rappresentanti sulla terra. Lei lo sa meglio, credo, di quanto possiamo saperlo noi che la censuriamo, eppure devo biasimarla ugualmente a nome del suo Arcivescovo, che non è soltanto suo fratello nel sacerdozio, ma anche il suo superiore. Gli deve l'ubbidienza assoluta, e non sta a lei discuterne i sentimenti e le decisioni.

«Si rende realmente conto dell'ignominia che ha causato a se stesso, alla sua parrocchia e, soprattutto, alla Chiesa che sostiene di amare più di ogni altro essere umano? Il voto della castità è stato solenne e vincolante come tutti gli altri voti, e infrangerlo significa peccare gravemente. Lei non vedrà mai più quella donna, naturalmente, ma noi abbiamo il dovere di aiutarla nelle lotte per vincere la tentazione. Abbiamo pertanto disposto affinché parta immediatamente per la parrocchia di Darwin, nel Territorio Settentrionale. Si recherà a Brisbane questa sera stessa con il rapido, e di là proseguirà, sempre in treno, per Longreach. A Longreach salirà a bordo di un aereo della Qantas diretto a Darwin. Qualcuno le sta preparando le valigie con i suoi effetti personali in questo stesso momento e gliele farà trovare sul rapido prima della partenza, quindi non è affatto necessario che lei torni nella sua parrocchia attuale.

«Ora vada nella cappella con Padre John e preghi. Rimarrà nella cappella fino al momento di recarsi a prendere il treno. Per esserle di conforto e consolarla, Padre John l'accompagnerà fino a Darwin. Può andare.»

Erano assennati e consapevoli, i sacerdoti preposti all'amministrazione della Chiesa: non avrebbero consentito in alcun modo al peccatore di avere altri rapporti con la ragazza che si era preso come amante. La cosa aveva fatto scandalo nella sua parrocchia, con ripercussioni imbarazzanti. Quanto alla ragazza... che aspettasse pure, e cercasse di sapere e si meravigliasse. Da quel momento, fino all'arrivo a Darwin, il sacerdote sarebbe stato sorvegliato dall'eccellente Padre John, il quale aveva ordini precisi; in seguito, ogni lettera del colpevole spedita da Darwin sarebbe stata aperta, e non gli sarebbe stata consentita alcuna telefonata interurbana. La sua amante non avrebbe mai saputo dove fosse finito, né lui sarebbe stato in grado di dirglielo. E neppure avrebbe avuto modo di prendersi un'altra amante. Darwin era una cittadina di frontiera, ove si poteva dire che non esistessero donne. I voti che aveva pronunciato erano assoluti, non avrebbe mai potuto esserne esonerato; se era troppo debole per badare a se stesso, bisognava che fosse la Chiesa a provvedere in sua vece.

Dopo aver veduto il giovane sacerdote e il cane da guardia assegnatogli uscire dalla stanza, Padre Ralph lasciò il suo posto alla scrivania ed entrò nella stanza adiacente. L'Arcivescovo Cluny Dark sedeva sulla solita poltrona, e, ad angolo retto rispetto a lui, si trovava, silenzioso, un altro uomo con lo zucchetto e la fascia viola. L'Arcivescovo era un uomo robusto, con una zazzera di splendidi capelli bianchi e occhi intensamente azzurri; un uomo pieno di vita, con un acuto senso dell'umorismo, e un grande amore per la buona tavola. Il suo visitatore sembrava essere proprio l'opposto: piccoletto e magro, con qualche rado ciuffo di capelli neri intorno allo zucchetto e, sotto quei ciuffi, una faccia spigolosa e ascetica, dalla pelle giallognola, più scura là ove si radeva la barba, e dai grandi occhi neri. Dimostrava qualsiasi età fra i trenta e i cinquant'anni; ne aveva trentanove, vale a dire tre di più di Padre Ralph de Bricassart.

«Si accomodi, Padre, gradisca una tazza di tè» disse l'Arcivescovo, cordialmente. «Stavo cominciando a pensare che avremmo dovuto mandarne a prendere un altro bricco. Ha congedato il giovanotto con l'opportuno ammonimento e l'invito a comportarsi diversamente?»

«Sì, Eccellenza» si limitò a rispondere Ralph e sedette sulla terza poltrona intorno al tavolino da tè, carico di tartine al cetriolo sottili come ostie, di pasticcini con glassature rosa e bianche, biscotti di farina d'orzo caldi e imburrati, piatti di cristallo con marmellata e panna, un servizio da tè in argento e tazze di porcellana Ainsley decorate con un delicato rivestimento di oro laminato.

«Gli episodi di questo genere sono incresciosi, mio caro Arcivescovo, ma anche noi, i sacerdoti consacrati di Nostro Signore, siamo creature deboli, persino troppo umane. Nel mio cuore provo una profonda compassione per lui, e questa sera pregherò affinché sia più forte in avvenire» disse il visitatore.

Il suo accento era nettamente straniero, la voce sommessa, con un accenno di pronuncia sibilante nelle «s». Di nazionalità italiana, aveva il titolo di Sua Eccellenza l'Arcivescovo Legato pontificio presso la Chiesa Cattolica australiana, e si chiamava Vittorio Contini-Verchese. Il suo delicato compito consisteva nel servire di collegamento tra la gerarchia australiana e il Vaticano; ciò significava che era il sacerdote più importante in quella parte del mondo.

Prima di quella nomina, aveva logicamente sperato negli Stati Uniti d'America, ma poi, ripensandoci, si era detto che l'Australia gli andava benissimo. Per popolazione, se non per superficie, si trattava di un paese di gran lunga più piccolo, ma era altresì di gran lunga più cattolico. Diversamente da quanto accadeva negli altri paesi di lingua inglese, in Australia l'essere cattolico non era un handicap sociale, né il cattolicesimo rappresentava un impedimento per chi aspirava a diventare un uomo politico, o un uomo d'affari, o un giudice. E l'Australia era un paese ricco, che manteneva bene la Chiesa. Non esisteva per lui alcun pericolo di essere dimenticato da Roma finché fosse rimasto in Australia.

Il Legato pontificio era un uomo assai sottile. I suoi occhi, al di sopra dell'orlo dorato della tazza, fissavano non già l'Arcivescovo Cluny Dark, bensì Padre Ralph de Bricassart, che presto sarebbe divenuto il suo segretario. Il fatto che l'Arcivescovo Cluny stimasse enormemente quel sacerdote era ben noto, ma il Legato pontificio si stava domandando fino a qual punto avrebbe apprezzato lui un uomo simile. Erano tutti così grandi e grossi, questi preti irlandesi-australiani, e torreggiavano di molto rispetto alla sua statura; era così stanco di dover continuamente voltare la testa all'insù per guardarli in faccia! I modi di Padre de Bricassart nei confronti del suo attuale superiore erano perfetti: piacevoli, disinvolti, rispettosi ma da uomo a uomo, colmi di umorismo. Avrebbe, Padre Ralph, saputo adattarsi alla collaborazione con un'altra persona? La consuetudine voleva che il segretario del Legato pontificio venisse scelto tra i ranghi del clero italiano, ma Padre Ralph interessava molto al Vaticano. Non soltanto aveva la curiosa caratteristica di essere personalmente ricco (contrariamente a quanto riteneva il volgo, i suoi superiori non avevano il potere di privarlo del denaro, né egli si era offerto spontaneamente di cederlo alla Chiesa), ma aveva apportato un grande patrimonio al cattolicesimo. Di conseguenza era stato deciso dal Vaticano che il Legato pontificio scegliesse come suo segretario Padre de Bricassart, per studiare il giovane e accertare come fosse esattamente.

Un giorno, il Santo Padre avrebbe dovuto ricompensare la Chiesa australiana con una berretta cardinalizia, ma il momento non era ancora giunto. Di conseguenza, spettava al Legato pontificio studiare i giovani del gruppo d'età di Padre de Bricassart, e tra essi quest'ultimo era senza dubbio il candidato più probabile. E sia pure. Che Padre de Bricassart desse prova del proprio valore con un italiano per qualche tempo. L'esperimento sarebbe stato forse interessante. Ma non sarebbe potuto, quell'uomo, essere un po' più piccolo di statura?

Mentre sorseggiava con piacere il tè, Padre Ralph rimase insolitamente silenzioso. Il Legato pontificio notò che si era limitato a una piccola tartina triangolare, rinunciando alle altre leccornie, ma che aveva bevuto, come se fosse assetato, quattro tazze di tè, senza zuccherarle né aggiungervi latte. Bene, così diceva infatti il suo rapporto: nelle proprie abitudini di vita personali, il sacerdote era notevolmente frugale, e il suo solo debole consisteva nella passione per le buone (e velocissime) automobili.

«Il suo cognome è francese, Padre» osservò il Legato pontificio, sommessamente, «ma mi risulta che lei è irlandese. Come mai? La sua famiglia è allora di origine francese?»

Padre Ralph scosse la testa sorridendo. «È un cognome normanno, Eccellenza, molto antico e onorato. Sono il diretto discendente di un certo Ranulf de Bricassart, barone alla corte di Guglielmo il Conquistatore. Nel 1066 invase l'Inghilterra con Guglielmo e uno dei suoi figli si impadronì di terre inglesi. La famiglia prosperò con i sovrani normanni d'Inghilterra, e, in seguito, qualcuno attraversò il Mare d'Irlanda ai tempi di Enrico IV e si stabilì nella zona sottoposta alla giurisdizione inglese. Quando Enrico VIII sottrasse la Chiesa Inglese all'autorità di Roma, noi ci mantenemmo fedeli a Guglielmo, il che significa che ritenemmo di dover restare leali nei confronti di Roma, e non di Londra. Ma quando Cromwell istituì il Commonwealth, perdemmo terre e titoli, e né le une né gli altri ci furono più restituiti. Carlo aveva suoi favoriti inglesi da compensare con terre irlandesi. Non è infondato, sa, l'odio degli irlandesi contro gli inglesi.

«In ogni modo, ci rassegnammo a una relativa oscurità, sempre leali alla Chiesa e a Roma. Il mio fratello maggiore possiede un prospero allevamento di cavalli nella contea Meath e spera di avere un giorno un vincitore del Derby o del Grand National. Io sono il secondogenito, e una tradizione di famiglia ha sempre voluto che il secondo figlio entrasse nella Chiesa, se aveva la vocazione. Sono molto fiero del mio nome e del mio lignaggio. I de Bricassart hanno millecinquecento anni.»

Ah, questa era una buona cosa! Un antico nome aristocratico e un lungo passato di fedeltà alla Chiesa, nonostante emigrazioni e persecuzioni.

«E il nome Ralph?»

«Una contrazione di Ranulf, Eccellenza.»

«Capisco.»

«Sentirò molto la sua mancanza, Padre» disse l'Arcivescovo Cluny Dark, ammonticchiando marmellata e panna su un mezzo biscotto e ficcandoselo tutto in bocca.

Padre Ralph rise. «Lei mi costringe a un dilemma, Eccellenza! Eccomi qui, seduto tra il mio ex superiore e il nuovo, e, se rispondo in modo da far piacere all'uno, non posso non dispiacere all'altro. Ma posso dire che Sua Eccellenza mi mancherà, sebbene sia impaziente di servire lei, Eccellenza?»

Si era espresso bene, una risposta diplomatica. L'Arcivescovo Contini-Verchese cominciò a pensare che si sarebbe potuto trovare a suo agio con un simile segretario. Ma era di gran lunga troppo avvenente, con quelle fattezze aristocratiche, lo splendido colorito, il corpo magnifico.

Padre Ralph ricadde nel silenzio e fissò il tavolino da tè senza vederlo. Stava vedendo il giovane sacerdote che aveva appena punito, l'espressione in quegli occhi già tormentati, quando si era reso conto che non gli avrebbero neppure consentito di dire addio alla sua ragazza. Buon Dio, e se si fosse trattato di lui e della piccola Meggie? Essendo discreti, si poteva farla franca per qualche tempo; per sempre se si limitavano le donne alle vacanze annue lontano dalla parrocchia. Ma chi consentiva a una seria dedizione a qualche donna veniva inevitabilmente scoperto.

Giungevano momenti in cui soltanto inginocchiandosi sul pavimento di marmo della cappella, lì al palazzo, fino a essere anchilosato dalla sofferenza fisica, riusciva a non prendere il primo treno per tornare a Gilly e a Drogheda. Aveva detto a se stesso che era semplicemente vittima della solitudine, che gli mancavano gli affetti umani conosciuti a Drogheda. Diceva a se stesso che niente era cambiato quando aveva ceduto a una debolezza fuggevole e restituito il bacio di Meggie; che il suo amore per lei continuava a essere confinato nei regni della piacevole fantasia. Non poteva ammettere, infatti, che qualcosa fosse cambiato, e continuava a considerare Meggie una ragazzetta, escludendo ogni immagine la quale potesse contraddire tale illusione.

Ma si sbagliava. La sofferenza non si era dileguata. Sembrava anzi intensificarsi, e in un modo più gelido e più laido. In precedenza, la sua solitudine era stata un qualcosa di impersonale, ed egli non aveva mai detto a se stesso che avrebbe potuto porvi rimedio la presenza di una qualsiasi altra creatura. Ma ora la solitudine aveva un nome: Meggie. Meggie, Meggie, Meggie...

Emerse dalla fantasticheria e vide l'Arcivescovo Contini-Verchese fissarlo senza batter ciglio; i grandi, oscuri occhi erano di gran lunga più pericolosamente onniscienti di quelli tondi e vividi del suo attuale superiore. Di gran lunga troppo intelligente per simulare che la sua astrazione non fosse stata causata da alcunché, Padre Ralph rivolse al futuro superiore uno sguardo penetrante quanto quello con il quale veniva osservato, poi sorrise appena e fece spallucce, come per dire: ogni uomo ha in sé la tristezza, e non è un peccato ricordare un dolore.

«Mi dica, Padre, l'improvviso ristagno economico ha nuociuto alla società che lei amministra?» domandò, mellifluo, il prelato italiano.

«Fino a ora non abbiamo alcun motivo di preoccuparci, Eccellenza. Non è facile che la Michar Limited sia toccata dalle fluttuazioni del mercato. Presumo che siano destinati a perdere soprattutto i patrimoni investiti meno cautamente di quello della signora Carson. Naturalmente, l'allevamento di Drogheda non è redditizio come un tempo; il prezzo della lana sta calando. Tuttavia, la signora Carson era troppo intelligente per investire il suo denaro in imprese agricole; preferì la solidità del metallo. Sebbene, a parer mio, questo sia un momento quanto mai favorevole per acquistare beni immobili, e non soltanto allevamenti nel paese, ma anche case di abitazione e palazzi d'affari nelle grandi città. I prezzi sono ridicolmente bassi, ma non potranno rimanere bassi in eterno. Non vedo come potremmo perdere con le proprietà immobiliari negli anni a venire, se acquisteremo adesso. Un giorno, la crisi economica finirà.»

«Perfetto» disse il Legato pontificio. Sicché, Padre de Bricassart non era soltanto un diplomatico, ma anche un uomo d'affari! Roma avrebbe davvero fatto bene a tenere gli occhi su di lui.

 

 

 

 

 

9

 

 

 

 

 

Ma era il 1930, e Drogheda stava subendo in pieno le ripercussioni della crisi. In tutta l'Australia c'erano uomini senza lavoro. Chi poteva rinunciava a pagare un affitto e a legarsi alla futilità di cercare un lavoro quando non ce n'era. Abbandonati a cavarsela da soli, figli e mogli vivevano in baraccamenti nei terreni municipali e facevano la coda per il sussidio; padri e mariti si erano dati al vagabondaggio. Gli uomini mettevano le poche cose essenziali in una coperta, la legavano con cinghie e se la caricavano in spalla prima di incamminarsi lungo le piste, sperando di poter ottenere almeno un po' di cibo negli allevamenti che attraversavano, se non un lavoro. Vagabondare nell'interno con un fagotto sulle spalle era sempre meglio che dormire nel Sydney Domain.

I generi commestibili erano scesi a prezzi bassissimi, e Paddy riempì sino a farli traboccare i magazzini di Drogheda, nonché le dispense. Un uomo, quando arrivava a Drogheda, poteva star certo che la bisaccia gli sarebbe sempre stata riempita. Lo strano era che la sfilata di vagabondi cambiava continuamente; una volta rimpinzati con un buon pasto caldo e carichi di provviste per il viaggio, gli uomini non tentavano affatto di trattenersi, ma proseguivano, in cerca di qualcosa che soltanto loro sapevano. E, senza dubbio, non tutti gli allevamenti erano ospitali o generosi come Drogheda, il che rendeva ancor più misterioso l'enigma: perché quegli uomini sembrassero non voler rimanere. Forse la stanchezza e l'inesistenza di scopi, il non avere una casa né un luogo in cui rifugiarsi, facevano sì che continuassero a vagabondare. Quasi tutti riuscivano a sopravvivere, alcuni morivano e, se trovati, venivano seppelliti prima che i corvi e i maiali selvatici ne ripulissero le ossa. L'interno era un'estensione enorme e solitaria.

Stuart, però, rimaneva di nuovo sempre in casa, e il fucile non distava mai molto dalla porta della cucina. Gli abili guardiani di bestiame non mancavano, e sui registri di Paddy figuravano nove scapoli che alloggiavano nelle vecchie baracche degli apprendisti, affinché a Stuart potesse essere evitato il lavoro nei recinti. Fee smise di lasciare qua e là denaro in contanti e fece costruire da Stuart una finta credenza per nascondere la cassaforte dietro l'altare della cappella. Pochi di quei vagabondi erano uomini malvagi. I malvagi preferivano restare nelle città e nei grossi villaggi di campagna, poiché l'esistenza sulle piste era troppo dura, troppo solitaria e offriva scarse occasioni ai delinquenti. Ciò nonostante, nessuno biasimava Paddy se non intendeva correre rischi con le sue donne; Drogheda era un nome assai conosciuto, e avrebbe potuto attrarre quei pochi elementi indesiderabili in cammino sulle piste.

Quell'inverno portò alcuni violenti uragani, alcuni con diluvi d'acqua, altri senza, e, nella successiva primavera e nell'estate, vennero piogge tanto copiose che l'erba a Drogheda crebbe abbondante e alta come non mai.

Jims e Patsy studiavano le lezioni del corso per corrispondenza al tavolo di cucina della signora Smith e, di tanto in tanto, chiacchieravano domandandosi come sarebbe stata la loro vita quando fosse giunto il momento di andare al Riverview, il loro collegio. Ma la signora Smith diventava così brusca e bisbetica, quando parlavano di queste cose, che i due ragazzi impararono a non accennare alla loro partenza da Drogheda quando lei poteva udirli.

Tornò la siccità. L'erba alta fino alle cosce si disseccò completamente, cuocendosi e divenendo friabile e argentea. Assuefatti, da dieci anni sulle pianure di terra nera, alle oscillazioni «oplà! ora-si-sale, oplà, ora-si-scende», delle siccità e delle alluvioni, gli uomini facevano spallucce e affrontavano ogni nuovo giorno come se fosse stato l'unico che potesse contare. E questo era vero: quel che contava era sopravvivere tra un anno buono e quello successivo. Nessuno poteva prevedere la pioggia. Esisteva un tale a Brisbane, un certo Inigo Jones, abbastanza abile nelle previsioni meteorologiche a distanza di tempo, basate su una nuova teoria delle macchie solari; ma nelle pianure di terra nera nessuno credeva molto a quanto aveva da dire. Le spose di Sydney e di Brisbane si rivolgessero a lui per le previsioni del tempo; gli uomini delle pianure di terra nera si sarebbero attenuti alla solita sensazione nelle ossa.

Durante l'inverno del 1932 tornarono le tempeste asciutte, insieme a un freddo intenso, ma l'erba opulenta ridusse al minimo la polvere, e le mosche non risultarono numerose come sempre. Ciò non consolava in alcun modo le pecore appena tosate, che rabbrividivano miseramente. La moglie di Dominic O'Rourke, la quale abitava in una casa di legno, adorava ospitare visitatori giunti da Sydney. Uno dei momenti culminanti del suo programma turistico consisteva in una puntata alla dimora di Drogheda, per dimostrare agli ospiti che anche nelle pianure di terra nera alcune persone vivevano con eleganza. E l'argomento delle conversazioni passava sempre a quelle gracili pecore dall'aspetto di topi affogati, lasciate ad affrontare l'inverno senza il vello lungo da dodici a quindici centimetri, che invece gli sarebbe cresciuto proprio con l'arrivo della calura estiva. Ma, come ebbe a dire Paddy, con gravità, a uno di questi visitatori, la lana così veniva meglio. L'importante era la lana, non le pecore. Non molto tempo dopo questa sua dichiarazione, il Sydney Morning Herald pubblicò una lettera nella quale si chiedevano immediati provvedimenti legislativi per porre termine a quella che veniva definita «crudeltà degli allevatori». La povera signora O'Rourke rimase inorridita, ma Paddy rise fino ad avere i fianchi indolenziti.

«E meno male che lo stupido individuo non ha mai veduto un tosatore squarciare il ventre d'una pecora e ricucirlo con un ago da imballaggio» la consolò lui. «Non vale la pena di prendersela, signora. Nelle città non sanno come vive l'altra metà del genere umano e possono permettersi il lusso di coccolare i loro animali come se fossero bambini. Qui è diverso. Da noi, lei non vedrà mai un uomo, una donna o un bambino bisognosi di aiuto restare ignorati, mentre in città quelle stesse persone che viziano le loro bestiole possono ignorare completamente l'invocazione di aiuto di un essere umano.»

Fee alzò gli occhi. «Mio marito ha ragione, signora O'Rourke» disse. «Disprezziamo tutti ciò che esiste in eccesso. Qui si tratta delle pecore, ma in città si tratta delle persone.»

Soltanto Paddy si trovava lontano nei pascoli, quel giorno d'agosto in cui scoppiò il grande uragano. Smontò da cavallo, legò saldamente l'animale a un albero e sedette sotto un wilga ad aspettare che la bufera passasse. Tremanti di paura, i suoi cinque cani gli si rannicchiarono accanto, mentre le pecore che aveva avuto l'intenzione di trasferire in un altro recinto si disperdevano a gruppetti innervositi, trotterellando senza meta in tutte le direzioni. E fu un uragano davvero terribile, che gli risparmiò il peggio della sua furia finché il centro del mälström non venne a trovarsi direttamente sopra di lui. Paddy si conficcò le dita nelle orecchie, chiuse gli occhi e pregò.

Non lontano da dove stava seduto, con le pendule foglie dell'albero wilga che cozzavano senza riposo nel vento sempre più forte, si trovava un piccolo gruppo di ceppi e di tronchi, circondato da erba alta. E al centro dello scheletrico e calcinato ammasso sorgeva un alto e massiccio eucaliptus, morto, il cui nudo tronco svettava per dodici metri verso le nubi nere come la notte, assottigliandosi sulla cima e formando una punta affilata e frastagliata.

Lo sbocciare di una fiammata azzurra, talmente luminosa da ferire gli occhi anche attraverso le palpebre chiuse, fece sì che Paddy balzasse in piedi, ma soltanto per essere scaraventato al suolo come un giocattolo dallo spostamento d'aria di un'esplosione enorme. Scostò la faccia dal terreno e vide gli ultimi bagliori della saetta formare baluginanti aloni di un blu acceso e color viola sull'intera lunghezza della morta lancia dell'eucaliptus; poi, con una rapidità tale da non dargli quasi il tempo di capire che cosa stesse accadendo, tutto si incendiò. L'ultima goccia di umidità era evaporata da tempo dai tessuti vegetali di quell'ammasso di tronchi e radici, e l'erba era dappertutto alta e secca come carta. Come una sorta di tracotante risposta della terra al cielo, l'albero gigantesco proiettò molto più in alto della sua estremità una colonna di fiamme, i tronchi e i ceppi nelle vicinanze si incendiarono nello stesso momento e, formando una cerchia tutto attorno, alte fiammate dilagarono nel vento turbinoso, avanzando in ogni direzione. Paddy non ebbe nemmeno il tempo di arrivare al cavallo.

Il disseccato albero wilga prese fuoco e la resina racchiusa nel suo tenero cuore esplose verso l'esterno. C'erano pareti compatte di fiamme in qualsiasi direzione Paddy guardasse; gli alberi ardevano impetuosamente e l'erba sotto i suoi piedi bruciava crepitando e scoppiettando. Udì il cavallo nitrire disperatamente, e il cuore gli si strinse per l'animale; non poteva lasciar morire la povera bestia legata e indifesa. Un cane ululò, e l'ululato si trasformò in un urlo di strazio quasi umano. Per un momento il cane fiammeggiò e danzò, torcia vivente, poi crollò nell'erba che ardeva. Vi furono altri ululati mentre gli altri cani, fuggendo, venivano avviluppati dall'incendio dilagante, più veloce, nel vento di tempesta, di qualsiasi creatura munita di zampe o di ali. Una meteora saettante gli bruciò i capelli mentre, per un millesimo di secondo, egli rimaneva immobile, domandandosi quale fosse il modo più sicuro per arrivare al cavallo; abbassò gli occhi e vide un grosso cacatua arrostire ai suoi piedi.

All'improvviso Paddy si rese conto che questa era la fine. Non esisteva il modo di sottrarsi a quell'inferno, né per lui, né per il cavallo. Nel momento stesso in cui lo pensava, un eucaliptus, alle sue spalle, proiettò fiamme in tutte le direzioni mentre la resina contenuta in esso esplodeva. La pelle sul braccio di Paddy si accartocciò e annerì, i capelli sul suo capo offuscati finalmente da qualcosa di più luminoso.

Morire in questo modo è indescrivibile; poiché il fuoco penetra dall'esterno all'interno. Gli ultimi organi ad andarsene, cotti infine al punto da non poter più funzionare, sono il cervello e il cuore. Con gli abiti in fiamme, Paddy saltellò e capriolò urlando e urlando. E ogni grido fu il nome di sua moglie.

Tutti gli altri uomini tornarono alla dimora di Drogheda prima dell'uragano, portarono le cavalcature nel recinto dei cavalli e si diressero o verso la grande casa o verso gli alloggi degli apprendisti. Nel salotto di Fee vividamente illuminato, con un ceppo che ardeva ruggendo nel caminetto di marmo color crema e rosa, i ragazzi Cleary sedettero ascoltando il rombo della tempesta, non più tentati come un tempo di andare fuori a guardare. L'odore pungente e piacevolissimo del legno di eucaliptus che bruciava sulla grata e i dolci e le tartine sul carrello del tè pomeridiano li tentavano troppo. Nessuno si aspettava che Paddy potesse tornare in tempo.

Verso le quattro, le nubi rotolarono lontano, in direzione est, e tutti, inconsciamente, respirarono meglio. In qualche modo, era impossibile rilassarsi durante un uragano asciutto, sebbene ogni edificio a Drogheda fosse munito di parafulmine. Jack e Bob si alzarono e uscirono per respirare una boccata d'aria fresca, o così dissero, ma in realtà per rilasciare i polmoni troppo a lungo compressi dal respiro trattenuto.

«Guarda!» esclamò Bob, additando a ovest.

Al di sopra degli alberi che circondavano lo Home Paddock andava espandendosi un vasto e bronzeo drappo funebre di fumo, i cui margini erano lacerati a strisce dal forte vento.

«Gesù buono!» gridò Jack, rientrando in casa di corsa e precipitandosi al telefono.

«Al fuoco, al fuoco!» urlò nel ricevitore, mentre quelli che ancora si trovavano nella stanza si voltavano a guardarlo a bocca aperta e subito dopo correvano fuori a guardare. «Un incendio a Drogheda, e grande!» Poi riattaccò; non aveva bisogno di dire altro al centralino di Gilly e a tutti coloro che lungo la linea per abitudine alzavano il ricevitore al primo tintinnio. Sebbene non vi fosse mai stato un grande incendio nel distretto di Gilly da quando i Cleary erano arrivati a Drogheda, tutti conoscevano la routine.

I ragazzi corsero a prendere i cavalli e i guardiani si riversarono fuori degli alloggi degli apprendisti, mentre la signora Smith apriva con la chiave uno dei ripostigli e distribuiva a decine sacchi di canapa. Il fumo si alzava a ovest e il vento soffiava da quella direzione; questo significava che l'incendio si stava avvicinando alla grande dimora. Fee si tolse la lunga gonna, infilò un paio di calzoni di Paddy, poi corse con Meggie verso le scuderie; ogni paio di mani capace di soffocare il fuoco con un sacco sarebbe stato necessario.

Nella cucina, la signora Smith caricò la stufa e le cameriere cominciarono a staccare enormi pentole dai ganci appesi al soffitto.

«Meno male che ieri è stato macellato un manzo» disse la governante. «Minnie, tieni, ecco la chiave del ripostiglio dei liquori. Tu e Cat andate a prendere tutta la birra e il rum che abbiamo, poi cominciate a fare pane senza lievito mentre io mi occupo dello stufato. E sbrigatevi, sbrigatevi!»

I cavalli, già innervositi dall'uragano, avevano fiutato il fumo e non si lasciavano sellare facilmente; Fee e Meggie fecero indietreggiare i due purosangue agitati e irrequieti fuori della scuderia e nel cortile per poter meglio mettere i finimenti. Mentre Meggie era alle prese con la giumenta saura, due vagabondi giunsero correndo lungo il sentiero dalla strada di Gilly.

«Il fuoco, signora, il fuoco! Ha un paio di cavalli in più? Ci faccia dare qualche sacco.»

«Da quella parte, verso i recinti del bestiame. Buon Dio, spero che nessuno di voi venga sorpreso dall'incendio laggiù!» esclamò Meggie, che non sapeva dove si trovasse suo padre.

I due uomini afferrarono i sacchi di canapa e le borracce con l'acqua consegnati loro dalla signora Smith; Bob e gli altri erano partiti da cinque minuti. I due vagabondi li seguirono, e, ultime ad andare, Fee e Meggie si lanciarono al galoppo verso il torrente, lo attraversarono e corsero nella direzione del fumo.

Dietro di loro, Tom il giardiniere terminò di riempire la grossa autocisterna con la pompa collegata al pozzo artesiano, poi avviò il motore. Non che qualsiasi quantità d'acqua, tranne una pioggia diluviale, potesse spegnere un incendio come quello, ma l'acqua sarebbe stata necessaria per mantenere bagnati i sacchi di canapa e chi li avrebbe manovrati. Mentre portava l'autocarro, in prima, nel letto del torrente per risalire l'argine opposto si voltò a guardare un momento la casa deserta del capo-guardiano, e le altre due case libere più avanti; quello era il ventre molle della dimora, il solo punto in cui materiale infiammabile si trovasse abbastanza vicino agli alberi sull'altra riva del torrente e potesse incendiarsi. Il vecchio Tom volse di nuovo lo sguardo a ovest, crollò il capo prendendo una decisione improvvisa, e riuscì a riportare l'autocarro attraverso il letto del torrente e su per l'argine, a marcia indietro. Non sarebbero mai riusciti a fermare quell'incendio nei pascoli; avrebbero fatto ritorno lì. Sulla sommità dell'argine e accanto alla casa del capo-guardiano, ove si era accampato, avvitò la manichetta alla cisterna e cominciò a saturare d'acqua l'abitazione, poi si portò oltre, fino alle due case più piccole, e annaffiò anche quelle. Soltanto lì si sarebbe potuto rendere utile: mantenendo quelle tre abitazioni così bagnate da impedire che si incendiassero.

Mentre Meggie cavalcava accanto a Fee, la minacciosa nube a ovest si ingrandì sempre più e sempre e sempre più forte giunse sul vento l'odore di bruciato. Cominciava a far buio; animali in fuga da occidente arrivavano, man mano più numerosi, attraverso il pascolo, canguri e maiali selvatici, pecore e buoi spaventati, emù, conigli a migliaia. Bob stava lasciando i cancelli aperti, ella notò, mentre passava dal Borehead al Billa-Billa, in quanto ogni recinto a Drogheda aveva un nome. Ma le pecore erano così stupide che finivano contro un recinto e si fermavano poi a un metro dai cancelli aperti senza mai vederli.

L'incendio aveva progredito per sedici chilometri, quando lo raggiunsero, e si stava allargando lateralmente, lungo un fronte sempre più ampio di secondo in secondo. Poiché l'erba alta e secca e il vento impetuoso facevano balzare il fuoco da un boschetto all'altro, fermarono i cavalli spaventati che tentavano di impennarsi, e guardarono a ovest, impotenti. Inutile tentare di fermare l'incendio lì: nemmeno un esercito ci sarebbe riuscito. Dovevano tornare alla dimora e difendere almeno quella, se possibile. Già il fronte delle fiamme aveva un'ampiezza di otto chilometri; se non avessero spronato a briglia sciolta le loro stanche cavalcature, sarebbero stati raggiunti e superati dal fuoco. Era un guaio per le pecore, un disastro. Ma non ci si poteva far niente.

Il vecchio Tom stava continuando a irrorare le case lungo il torrente quando riattraversarono al galoppo il sottile strato d'acqua del guado.

«Bravo, Tom!» urlò Bob. «Continua finché non farà troppo caldo perché tu possa restare, poi taglia la corda in tempo, mi hai sentito? Niente eroismi. Sei più importante di qualche pezzo di legno e di vetro.»

I giardini della dimora erano pieni di automobili, e altri fari stavano sobbalzando e proiettando i loro fasci di luce lungo la strada di Gilly; un numeroso gruppo di uomini li aspettava quando Bob entrò nel recinto dei cavalli.

«Quanto è vasto, Tom?» domandò Martin King.

«Troppo perché si possa combatterlo, credo» rispose Bob, disperato. «Secondo me, ha un fronte di circa otto chilometri e, con questo vento, sta avanzando quasi alla stessa velocità di un cavallo al galoppo. Non so se riusciremo a salvare la dimora, ma credo che Horry dovrebbe prepararsi a difendere il suo allevamento. Sarà il primo a essere raggiunto dalle fiamme, perché non vedo proprio come potremmo mai fermarle.»

«Be', è un pezzo che non avevamo un grande incendio. L'ultimo è stato nel '19. Organizzerò un gruppo da mandare a Beel-Beel; comunque, siamo già in molti, e altri uomini stanno arrivando. Gilly può schierare quasi cinquecento uomini contro gli incendi. Alcuni di noi rimarranno qui a darvi una mano. Grazie a Dio, la mia proprietà è a ovest di Drogheda, non saprei proprio che altro dire.»

Bob sorrise. «Sei di grande conforto, maledizione, Martin.»

Martin si guardò attorno. «Dov'è tuo padre, Bob?»

«A ovest dell'incendio, come Bugela. Si trovava nel recinto Wilga per riunire alcune pecore gravide, e Wilga è situato almeno otto chilometri a ovest dal punto in cui è cominciato l'incendio, a quanto ho potuto vedere.»

«Non sei preoccupato per altri uomini?»

«Non oggi, grazie a Dio.»

In un certo senso, era come trovarsi in guerra, pensò Meggie, entrando in casa: una fretta ben dominata, la preoccupazione per i viveri e le bevande, la necessità di mantenersi forti e coraggiosi. E la minaccia del disastro imminente. Gli uomini, man mano che arrivavano, andavano a ingrossare le file di coloro che si trovavano già nello Home Paddock e stavano abbattendo i pochi alberi cresciuti in prossimità del torrente o falciavano l'erba troppo alta lungo l'intero perimetro. Meggie ricordò di aver pensato, la prima volta, quando era arrivata a Drogheda, quanto più bello avrebbe potuto essere lo Home Paddock con un maggior numero di alberi, poiché, in confronto alla ricchezza dei boschi tutt'attorno, appariva brullo e squallido. Ora capì il perché. Lo Home Paddock non era altro che un gigantesco argine circolare contro gli incendi.

Tutti parlavano degli incendi cui aveva assistito Gilly nei settanta e più anni della sua esistenza. Strano a dirsi, gli incendi non costituivano mai una minaccia grave durante le protratte siccità, perché non esisteva erba a sufficienza, in quei periodi, per alimentarli a lungo. Proprio in periodi come questo, invece, un anno o due dopo che piogge abbondanti avevano fatto crescere l'erba così alta e infiammabile, Gilly aveva assistito ai grandi incendi, quelli che a volte ardevano per centinaia di chilometri senza poter essere domati.

Martin King aveva assunto il comando dei trecento uomini rimasti a difendere Drogheda. Era l'allevatore più anziano del distretto e aveva lottato contro gli incendi per cinquant'anni.

«Ho centocinquantamila acri a Bugela» disse «e nel 1905 perdetti tutte le pecore e tutti gli alberi. Mi ci vollero quindici anni per riprendermi, e per qualche tempo pensai che non ci sarei riuscito, perché la lana non fruttava molto a quei tempi, e nemmeno la carne di manzo.»

Il vento continuava a ululare, l'odore di bruciato si insinuava dappertutto. La notte era discesa, ma il cielo a occidente appariva tremendamente luminoso e il fumo che andava abbassandosi cominciava a farli tossire. Non molto tempo dopo, scorsero le prime fiamme, lingue enormi che guizzavano e si contorcevano fino a un'altezza di trenta metri nel fumo, e alle loro orecchie giunse un suono scrosciante, simile a quello di una folla sterminata, eccitata, a una partita di calcio. Gli alberi sul lato ovest del bosco che circondava lo Home Paddock presero fuoco e avvamparono come una parete compatta di fiamme; Meggie, mentre guardava pietrificata dalla veranda della grande casa, poté vedere piccole sagome di pigmei, profili di uomini che, delineati contro l'incendio, si agitavano e saltellavano come anime tormentate all'inferno.

«Meggie, vuoi rientrare e disporre questi piatti sulla credenza, figliola? Non siamo mica a un picnic, sai!» disse la voce di sua madre.

Si voltò con riluttanza.

Due ore dopo, il primo turno di uomini spossati entrò in casa barcollando per arraffare cibi e bevande, per ricuperare le energie esauste prima di tornare indietro a lottare contro l'incendio. Per questo avevano sgobbato le donne dell'allevamento, per accertarsi che ci fossero stufato e pane non lievitato, tè e rum e birra in abbondanza, anche per trecento uomini. In un incendio, ognuno faceva ciò che sapeva fare, e questo significava che le donne dovevano cucinare per sostenere la superiore forza fisica degli uomini. Le casse di liquori si vuotavano, una dopo l'altra, e venivano sostituite da altre casse; neri di fuliggine e vacillanti di stanchezza, gli uomini rimanevano in piedi bevendo abbondantemente, si ficcavano in bocca enormi pezzi di pane, vuotavano in fretta un piatto colmo di stufato appena si era raffreddato, ingurgitavano d'un fiato un ultimo rum e tornavano a battersi contro l'incendio.

Tra un andirivieni e l'altro dalla cucina esterna alla casa, Meggie osservava l'incendio, intimorita e terrorizzata. A modo suo, era più bello di ogni altra cosa terrena, era una creatura del firmamento, creatura di soli tanto remoti che la loro luce giungeva gelida, creatura di Dio e del demonio. Il fronte delle fiamme aveva galoppato in direzione est, erano ormai completamente circondati e Meggie riuscì a scorgere particolari che la luminosità intensa delle fiamme, mentre avanzava, non aveva consentito di vedere. Vide tinte diverse, nero e arancione e rosso, bianco e giallo; il nero profilo di un alto albero orlato da una sorta di crosta arancione che baluginava e splendeva; rosse braci che galleggiavano e piroettavano come fantasmi pazzi nell'aria sovrastante; gialle pulsazioni nel cuore spossato di alberi ormai carbonizzati; una doccia di turbinose faville cremisi mentre un grosso eucaliptus esplodeva; improvvise lingue di fiamme bianco-arancione scaturite da qualcosa che aveva resistito fino a quel momento, cedendo in ultimo la propria sostanza all'incendio. Il fuoco nella notte era meraviglioso, ne avrebbe conservato il ricordo per tutta la vita.

Un crescere improvviso della velocità del vento costrinse tutte le donne ad arrampicarsi su per i rami del glicine e sul tetto di argentea lamiera zincata, imbacuccate con sacchi, perché gli uomini si trovavano, dal primo all'ultimo, nello Home Paddock. Munite di sacchi bagnati, le mani e le ginocchia ustionate anche attraverso i sacchi che le proteggevano, spensero battendole le braci sul tetto che friggeva, terrorizzate dalla possibilità di un cedimento delle lamiere sotto il peso delle ceneri roventi, nel qual caso frammenti in fiamme sarebbero caduti sulle travi sottostanti. Ma il peggio dell'incendio si trovava ormai sedici chilometri più a est, nel Beel-Beel.

La dimora di Drogheda era situata ad appena cinque chilometri dal confine est della proprietà, quello più vicino a Gilly. Subito dopo veniva l'allevamento Beel-Beel, e ancora più a est si trovava Narrengang. Quando la velocità del vento passò dai sessantacinque ai cento chilometri all'ora, l'intero distretto si rese conto che nulla, tranne la pioggia, avrebbe potuto impedire all'incendio di ardere per settimane e di ridurre a un deserto centinaia di chilometri quadrati di terre fertili.

Anche mentre le fiamme infuriavano di più, le case sul torrente avevano resistito, con Tom che, come un indemoniato, riempiva l'autocisterna, irrorava con la manichetta, tornava a riempire e a irrorare. Ma, non appena il vento aumentò, le case si incendiarono, e Tom si ritirò con l'autocarro, piangendo.

«Faresti meglio a inginocchiarti e a ringraziare Dio perché il vento non ha rinforzato mentre il fronte dell'incendio si trovava a ovest rispetto a noi» disse Martin King. «Se fosse accaduto questo, sarebbe stata la fine non soltanto per la grande dimora, ma anche per noi. Gesù buono, spero che siano tutti salvi a Beel-Beel!»

Fee diede a King un bicchiere colmo di rum puro; non era più giovane, ma aveva lottato per tutto il tempo e aveva diretto le operazioni da maestro.

«È stupido» gli disse «ma quando sembrava che tutto fosse perduto, ho continuato a pensare alle cose più assurde. Non ho pensato alla mia morte, né a quella dei miei figli, e nemmeno a questa meravigliosa casa in rovina. Non mi veniva in mente altro che il mio cestino da lavoro, il maglione lasciato a mezzo, la scatola di bottoni messi in disparte per anni, le forme per torte, a cuore, che Frank mi fece anni fa. Come avrei potuto sopravvivere senza? Tutte le piccole cose, sa, le cose che non possono essere sostituite o acquistate in un negozio.»

«È questo il modo di reagire della maggior parte delle donne, in effetti. Buffo, non è vero, come si reagisce? Ricordo che nel 1905 mia moglie rientrò in casa di corsa, mentre io le urlavo dietro come un pazzo, soltanto per prendere un telaio con non so quale ricamo.» Sorrise. «Ma riuscimmo a fuggire in tempo, anche se perdemmo la casa. Quando costruii quella nuova, la prima cosa che fece lei fu di finire il ricamo. Era uno di quei modelli antiquati, lei sa certo di cosa sto parlando. Con le parole "Casa, dolce casa".» Posò il bicchiere vuoto, scuotendo la testa mentre pensava alle bizzarrie delle donne. «Ora devo andare. Gareth Davies avrà bisogno di noi a Narrengang, e così, a meno che non mi sbagli di grosso, anche Angus a Rudna Hunish.»

Fee impallidì. «Oh, Martin! Così lontano?»

«L'allarme è già stato dato, Fee. Booroo e Bourke si stanno preparando.»

Per altri tre giorni l'incendio infuriò verso est, su un fronte che continuava ad ampliarsi e ad ampliarsi, poi vi fu una pioggia improvvisa e abbondante che si protrasse per quasi quattro giorni e spense fino all'ultima brace. Ma le fiamme avevano percorso centosessanta chilometri, lasciando dietro di sé una fascia carbonizzata e annerita larga trentadue chilometri, dal centro di Drogheda al confine dell'ultima proprietà situata a est nel distretto di Gillanbone, Rudna Hunish.

Finché non cominciò a piovere, nessuno si aspettò di avere notizie di Paddy, poiché lo credevano al sicuro al lato opposto della zona bruciata, isolato da loro a causa del calore del terreno e degli alberi ancora in fiamme. Se l'incendio non avesse distrutto la linea telefonica, si disse Bob, avrebbero ricevuto una telefonata da Martin King, poiché era logico che Paddy si fosse diretto a ovest, rifugiandosi nella dimora di Bugela. Ma, quando pioveva ormai da sei ore, senza che Paddy si fosse ancora fatto vivo, cominciarono a preoccuparsi. Per quasi quattro giorni avevano continuato a rassicurare se stessi, dicendosi che non c'era motivo di stare in ansia, che ovviamente era soltanto tagliato fuori e aveva deciso di aspettare finché non gli fosse stato possibile tornare a casa sua anziché dirigersi a Bugela.

«Ormai dovrebbe essere arrivato» disse Bob, andando avanti e indietro nel salotto mentre gli altri lo guardavano; ironico a dirsi, la pioggia aveva riportato un umido gelo nell'aria, e, una volta di più, un vivido fuoco ardeva entro il caminetto di marmo.

«Che cosa ne dici, Bob?» domandò Jack.

«Dico che è ormai ora di andare a cercarlo. Potrebbe essere ferito, o magari appiedato e costretto a una lunga marcia. Il suo cavallo potrebbe essere stato preso dal panico e averlo disarcionato; non è escluso che possa essere immobilizzato in qualche posto, nell'impossibilità di camminare. Aveva viveri per un giorno, ma non certo abbastanza per quattro, anche se non può essere ancora morto di fame. È meglio non causare agitazione per il momento, e pertanto non richiamerò gli uomini da Narrengang. Ma se non lo avremo trovato prima del cader della notte, arriverò a cavallo da Dominic e domani metteremo in moto tutto il distretto. Dio, vorrei che quelli delle Poste si sbrigassero a riattare le linee telefoniche!»

Fee stava tremando, aveva gli occhi febbrili, quasi selvaggi. «Mi infilerò un paio di calzoni» disse. «Non sopporto di restare qui inerte.»

«Ma', resta a casa!» la esortò Bob.

«Se è ferito, potrebbe trovarsi ovunque, Bob, e chissà in quali condizioni. Hai mandato gli uomini a Narrengang e siamo a corto di gente per un gruppo di ricerche. Se andrò con Meggie, noi due insieme saremo in grado di affrontare qualsiasi cosa, mentre, se andrà soltanto Meggie, dovrà unirsi a uno di voi, e questo significa sprecare lei, per non parlare di me.»

Bob si rassegnò. «E va bene, allora. Potrai montare il castrone di Meggie; lo hai già portato fino all'incendio. Prendiamo tutti un fucile e munizioni in abbondanza.»

Attraversarono il torrente e si inoltrarono nel cuore di quel paesaggio bruciato. In nessun punto rimaneva una sola traccia di verde o di rosso; non si vedeva altro che una distesa sconfinata di braci nere e bagnate che continuavano a fumigare dopo ore e ore di pioggia. Ogni foglia di ogni albero era ridotta a filamenti neri e arricciolati, e ove si era trovata l'erba poterono vedere piccoli fagotti neri qua e là, pecore raggiunte dall'incendio, o, di quando in quando, mucchi più grossi che erano stati manzi o maiali selvatici. Sulle loro facce le lacrime si mescolarono alla pioggia.

Bob e Meggie procedevano in testa alla piccola processione, con Jack e Hughie al centro, e Fee e Stuart per ultimi. Fee e Stuart erano abbastanza sereni, la loro stessa vicinanza li confortava, non parlavano e ognuno si accontentava della silenziosa compagnia dell'altro. A volte i cavalli si avvicinavano, oppure scartavano allontanandosi alla vista di qualche nuovo orrore, che però sembrava non influenzare gli ultimi due della colonna. Il fango rendeva lento e difficoltoso il cammino, ma l'erba carbonizzata e impastata si stendeva sul terreno come una stuoia di fibra e offriva punti di appoggio ai cavalli. Ogni pochi metri si aspettavano di vedere Paddy apparire sul lontano e piatto orizzonte, ma il tempo passava e non compariva mai.

Con una stretta al cuore, si resero conto che l'incendio era cominciato molto più avanti di quanto avessero immaginato, nel recinto Wilga. Le nubi tempestose dovevano aver mascherato il fumo finché il fuoco non si era esteso per un lungo tratto. Il limite dell'incendio era stupefacente. Da un lato di una linea nitidamente tracciata, non esisteva altro che una sorta di pece nera e lucente, mentre, sull'altro lato, la terra era come l'avevano sempre conosciuta, fulva e azzurrognola e tetra nella pioggia, ma viva. Bob si fermò e tornò indietro per parlare a tutti.

«Bene, cominceremo qui. Io andrò in direzione ovest partendo da questo punto; è la direzione più probabile e sono il più robusto. Avete tutti munizioni in abbondanza? Benissimo. Se trovate qualcosa, sparate tre colpi in aria e chi sentirà dovrà rispondere con un colpo. Poi aspettate. Chiunque abbia sparato i tre colpi, ne sparerà altri tre cinque minuti dopo, e continuerà a sparare tre colpi ogni cinque minuti. Quelli che sentiranno risponderanno ogni volta con un colpo.

«Jack, tu va' a sud, lungo il limite dell'incendio. Hughie, tu va' a sud-ovest. Io vado a ovest. Ma' e Meggie, voi andate a nord-ovest. Stu, tu segui il limite dell'incendio verso nord. E procedete adagio tutti quanti, per piacere. La pioggia non consente di vedere lontano, e in certi punti ci sono molti tronchi d'albero. Chiamate spesso; potrebbe non vedervi, ma udirvi. Però ricordate, nessuno sparo a meno che non troviate qualcosa, perché Pa' non aveva il fucile con sé e, se udisse uno sparo, ma fosse fuor di portata di voce per rispondere, sarebbe spaventoso per lui.

«Buona fortuna, e che Dio ci benedica.»

Simili a pellegrini giunti all'ultimo bivio, si dispersero nella pioggia incessante e grigia, allontanandosi sempre più l'uno dall'altro, divenendo sempre più piccoli, finché in ultimo non scomparvero, ognuno nella direzione assegnatagli.

Stuart aveva percorso appena ottocento metri, quando notò che un boschetto di alberi bruciati si trovava molto vicino alla linea di demarcazione dell'incendio. C'era un piccolo albero wilga, nero e arricciolato come la zazzera di un negretto, e c'erano i resti di un grosso ceppo nei pressi del limite carbonizzato. Ma vide il cavallo di Paddy, disteso a terra e fuso nel tronco di un grosso eucaliptus, e due dei cani di Paddy, piccole carcasse nere e rigide, con tutte e quattro le zampe tese verso l'alto come bastoni. Smontò da cavallo, affondando con gli stivali fino alle caviglie nel fango, e tolse il fucile dal sostegno sulla sella. Mosse le labbra, pregando, mentre si avvicinava e scivolava sulle viscide scorie. Se non fosse stato per il cavallo e per i cani, avrebbe potuto sperare in un vagabondo, o in qualche povero viaggiatore sorpreso e intrappolato dall'incendio. Ma Paddy montava un cavallo e aveva con sé cinque cani; nessuno sulla pista viaggiava a cavallo o aveva con sé più di un cane. E inoltre, quella località era troppo lontana dai confini di Drogheda per poter pensare a guardiani o altri uomini di Bugela spintisi a ovest. Più avanti, si trovavano altri tre cani carbonizzati; cinque in tutto, cinque cani. Ora si rese conto che non ne avrebbe trovato un sesto, e non lo trovò.

Poi, non lontano dal cavallo, fino a quel momento nascosto da un tronco, ecco quello che era stato un uomo. Non ci si poteva sbagliare. Luccicante e splendente nella pioggia, la nera cosa giaceva supina, e aveva la schiena incurvata come un grande arco, per cui toccava il terreno soltanto con le natiche e le spalle. Le braccia erano aperte ma flesse sui gomiti, come se implorassero il cielo, le dita, con la carne che si staccava rivelando ossa carbonizzate, artigliavano e tentavano di afferrare il vuoto. Anche le gambe erano divaricate e flesse all'altezza delle ginocchia, mentre la faccia, una sorta di bolla, fissava senz'occhi, senza vederlo, il cielo.

Per un momento, lo sguardo limpido e onniveggente di Stuart indugiò sul padre e il giovane vide non già il guscio sfigurato, ma l'uomo come era stato nella vita. Puntò il fucile verso il cielo, sparò un colpo, ricaricò, sparò un secondo colpo, ricaricò e fece partire il terzo. Fiocamente, in lontananza, udì uno sparo in risposta, poi più lontano, e molto debole, un secondo sparo. Ricordò allora che lo sparo più vicino doveva essere stato quello di sua madre e di sua sorella. Si trovavano a nord-ovest e lui si trovava a nord. Senza aspettare i cinque minuti stabiliti, infilò un'altra cartuccia nella camera di scoppio, puntò il fucile a sud e sparò. Una pausa per ricaricare, quindi il secondo colpo. Caricò di nuovo e sparò il terzo. Rimise il fucile a terra e rimase ritto guardando a sud, il capo reclinato, in ascolto. Questa volta, la prima risposta giunse da ovest, lo sparo di Bob; la seconda da Jack o da Hughie, e la terza da sua madre. Sospirò di sollievo; non voleva che le donne lo raggiungessero per prime.

Non vide, così, il grosso cinghiale sbucar fuori di tra gli alberi a nord; lo fiutò. Grosso come una vacca, con la mole massiccia del corpo che dondolava sulle zampe corte e possenti mentre abbassava la testa raschiando il terreno bagnato e bruciato. Gli spari lo avevano disturbato, e soffriva. I radi peli neri sul fianco erano bruciacchiati e la pelle era ustionata fino al vivo, e rosso-fiamma; l'odore percepito da Stuart, mentre guardava a sud, era l'aroma piacevole della pelle di porco rosolata, né più né meno come quello di un cosciotto arrosto appena tolto dal forno e croccante dappertutto in superficie. Strappato dallo stupore alla sofferenza stranamente serena che sembrava aver sempre conosciuto, Stuart voltò la testa nel momento stesso in cui si diceva che doveva essere già stato lì, che quel posto zuppo e nero doveva essergli stato impresso in qualche punto della mente sin dal giorno della nascita.

Si chinò e cercò a tastoni il fucile, ricordando che non era carico. Il cinghiale rimaneva immobile, i piccoli occhi arrossati pazzi di dolore, le grandi zanne gialle affilate e incurvate all'insù a semicerchio. Il cavallo di Stuart nitrì fiutando la bestia; la testa massiccia del cinghiale si voltò per guardarlo, poi si abbassò mentre l'animale si apprestava alla carica. Nel concentrare l'attenzione sul cavallo, Stuart intravide la sua unica possibilità, si chinò ratto ad afferrare il fucile, e aprì fulmineamente l'otturatore mentre l'altra mano affondava nella tasca della giacca per prendere una cartuccia. Tutto attorno scendeva la pioggia, soffocando ogni altro suono con il suo scroscio incessante. Ma il cinghiale udì l'otturatore riportato indietro e, all'ultimo momento, modificò la direzione della carica, dal cavallo a Stuart. Gli era quasi addosso quando la pallottola lo centrò in pieno nel petto senza rallentarlo. Le zanne si sollevarono lateralmente e colpirono Stuart all'inguine. Il giovane cadde e il sangue zampillò come da un rubinetto aperto, saturandogli i vestiti e sprizzando sul terreno.

Voltandosi goffamente mentre cominciava a sentire la pallottola, il cinghiale tornò indietro per affondargli di nuovo le zanne nel corpo, ma esitò, vacillò, barcollò. L'intera mole di settecento chili piombò addosso a Stuart e gli schiacciò la faccia contro la nera melma. Per un momento le mani di lui artigliarono il terreno a entrambi i lati, nel tentativo frenetico e futile di liberarsi; questo, dunque, era ciò che aveva sempre saputo, per questo non aveva mai sperato, o sognato, o fatto progetti, si era limitato a rimanere passivo e ad assorbire il mondo vivo così profondamente da non avere il tempo di affliggersi per il suo fato in attesa. Pensò: Ma', Ma'! Non posso restare con te, Ma'! nell'attimo stesso in cui il cuore gli scoppiava nel petto.

«Chissà perché Stu non ha sparato di nuovo?» domandò Meggie a sua madre, mentre trottavano nella direzione di quelle prime due triple salve, nell'impossibilità di procedere più veloci sul fango, e disperatamente ansiose.

«Si sarà detto, immagino, che avevamo già udito» rispose Fee. Ma nel profondo della mente stava ricordando la faccia di Stuart quando si erano separati per continuare la ricerca in direzioni diverse; stava ricordando la mano di lui tesa per stringere la sua, e il modo con il quale le aveva sorriso. «Non possiamo distare molto, ormai» disse, e spinse il cavallo a un goffo, scivoloso, piccolo galoppo.

Ma Jack era arrivato là per primo, e così Bob, e intercettarono le due donne mentre attraversavano l'ultimo lembo di terra ancora viva, avvicinandosi al luogo in cui l'incendio della boscaglia era cominciato.

«Non avvicinarti, Ma'» disse Bob, mentre lei smontava.

Jack si era diretto verso Meggie e le afferrò le braccia.

Le due paia di occhi grigi li fissarono, non tanto nello smarrimento o nel timore, quanto nella certezza, come se non fossero state necessarie parole.

«Paddy?» domandò Fee, con una voce che non parve la sua.

«Sì. E Stu.»

Nessuno dei suoi due figli riuscì a guardarla.

«Stu? Stu! Che cosa vuoi dire, Stu? Oh, Dio, cosa c'è? Che cosa è accaduto? Non tutti e due... no!»

«Pa' è rimasto intrappolato nell'incendio; è morto. Stu deve aver disturbato un cinghiale, che lo ha caricato. Gli ha sparato, ma l'animale gli è caduto addosso mentre stava morendo e lo ha soffocato. Anche Stu è morto, Ma'.»

Meggie urlò e si dibatté, cercando di liberarsi dalla stretta delle mani di Jack, ma Fee rimase immobile tra quelle sudicie e insanguinate di Bob, come se fosse diventata di sasso, gli occhi vitrei come sfere di cristallo.

«È troppo» disse infine, e alzò gli occhi su Bob, la faccia ruscellante di pioggia e le ciocche di capelli, intorno al collo, gocciolanti come canaletti dorati. «Lascia che vada da loro, Bob. Dell'uno sono la moglie, dell'altro la madre. Non puoi tenermi lontana da loro... non hai il diritto di tenermi lontana. Lasciami andare da loro.»

Meggie si era acquietata e rimaneva immobile tra le braccia di Jack, con il capo sulla sua spalla. Mentre Fee si avvicinava al disastro allacciata alla vita dal braccio di Bob, Meggie li seguì con lo sguardo, ma non tentò in alcun modo di raggiungerli. Hughie apparve tra i veli di pioggia che offuscavano ogni cosa; con un cenno del capo, Jack indicò sua madre e Bob.

«Accompagnali, Hughie, resta con loro. Meggie e io torniamo a Drogheda per portare qui il carro.» Lasciò andare Meggie e l'aiutò a montare sulla cavalla saura. «Vieni, Meggie; fa quasi buio. Non possiamo lasciarli fuori tutta la notte sotto questa pioggia, e non se ne andranno finché non saremo tornati.»

Risultò impossibile far muovere il carro pesante o qualsiasi altro mezzo munito di ruote sul fango; in ultimo, Jack e il vecchio Tom incatenarono una lamiera ondulata dietro due cavalli da tiro, e Tom condusse i cavalli mentre Jack lo precedeva con la più grossa lanterna che si trovasse a Drogheda.

Meggie rimase nella grande casa e sedette davanti al fuoco acceso in salotto, mentre la signora Smith cercava di persuaderla a mangiare, il viso striato di lacrime nel vedere lo stato di choc della fanciulla immobile e silenziosa, la sua incapacità di piangere. Quando udì bussare con il battente alla porta di casa, si voltò e andò ad aprire domandandosi chi mai, in nome del Cielo, fosse riuscito a passare nonostante il fango, e meravigliandosi, come sempre, della fulmineità con la quale le notizie superavano i solitari chilometri tra gli allevamenti così lontani l'uno dall'altro.

Sulla veranda si trovava Padre Ralph, bagnato e infangato, in tenuta da equitazione, con una cerata.

«Posso entrare, signora Smith?»

«Oh, Padre, Padre!» gridò lei, e si gettò tra le braccia del sacerdote sbalordito. «Come lo ha saputo?»

«Mi ha telegrafato la signora Cleary, una cortesia tra amministratrice e proprietario che ho molto apprezzato. Ho avuto dall'Arcivescovo Contini-Verchese il permesso di venire. Che uomo! Crederebbe che devo ripetermelo cento volte al giorno? Ho viaggiato in aereo. L'apparecchio si è impantanato al momento dell'atterraggio, finendo con il muso in giù, per cui mi sono reso conto di com'era il terreno prima ancora di averci messo piede. Cara, meravigliosa Gilly! Ho lasciato la valigia a Padre Watty, alla canonica, e mi sono fatto dare un cavallo dal proprietario dell'Imperial, il quale mi ha creduto pazzo, e ha scommesso con me una bottiglia di Johnny Walker, etichetta nera, che non sarei mai riuscito a passare con questo fango. Oh, signora Smith, non pianga così! Mia cara, non finirà il mondo soltanto per un incendio, per quanto grande e terribile possa essere stato!» esclamò, sorridendo e battendole la mano sulla spalla scossa dai singhiozzi. «Suvvia, sto facendo del mio meglio per sminuire la cosa, ma lei non fa del suo meglio per aiutarmi. Non pianga in questo modo, la prego.»

«Allora non sa» singhiozzò lei.

«Che cosa? Cosa dovrei sapere? Che c'è... cos'è accaduto?»

«Il signor Cleary e Stuart sono morti.»

Il colore gli abbandonò la faccia; scostò con entrambe le mani la governante. «Dov'è Meggie?» urlò.

«In salotto. La signora Cleary è ancora nei pascoli con i cadaveri. Jack e Tom sono partiti per portarli qui. Oh, Padre, a volte, nonostante la mia fede, non posso fare a meno di pensare che Dio è troppo crudele! Perché doveva prenderseli tutti e due?»

Ma Padre Ralph non era rimasto ad ascoltarla dopo aver saputo dove si trovava Meggie; era corso nel salotto, togliendosi l'impermeabile di cerata mentre correva e lasciandosi dietro una scia d'acqua melmosa.

«Meggie!» disse, avvicinandosi alla ragazza, inginocchiandosi accanto alla poltrona, prendendo le mani gelide di Meg tra le sue bagnate, con fermezza.

Scivolò fuori dalla poltrona e gli strisciò tra le braccia; appoggiò il capo alla camicia zuppa e chiuse gli occhi, così felice, nonostante la sofferenza, da desiderare che quel momento non avesse mai fine. Ralph era venuto, si trattava del trionfo del suo potere su di lui, non aveva fallito.

«Sono bagnato, Meggie, tesoro: ti bagnerai anche tu» le bisbigliò, la gota contro i suoi capelli.

«Non importa. È venuto.»

«Sì, sono venuto. Volevo essere sicuro che tu fossi sana e salva. Avevo la sensazione di essere necessario, dovevo vedere con i miei occhi. Oh, Meggie, tuo padre e Stu! Come è accaduto?»

«Pappi è rimasto intrappolato nell'incendio e Stu lo ha trovato. È stato ucciso da un cinghiale. Gli è caduto addosso dopo che gli aveva sparato. Jack e Tom sono andati a prenderli per portarli qui.»

Il sacerdote non disse altro, ma la tenne stretta e la cullò come se fosse stata una bambina, finché il calore del fuoco non gli ebbe asciugato in parte la camicia e i capelli, e sentì parte della rigidità abbandonare la ragazza. Le mise allora la mano sotto il mento e le alzò il capo, costringendola a guardarlo, poi, senza riflettere, la baciò. Fu un impulso confuso che non affondava le radici nel desiderio; soltanto un'offerta istintiva, quando ebbe veduto che cosa si celava negli occhi grigi. Un qualcosa di distaccato, un sacramento di tipo diverso. Le braccia di lei scivolarono sotto le sue per incontrarsi dietro; egli non poté impedirsi di trasalire, anche se represse l'esclamazione di dolore.

Meggie indietreggiò un poco. «Che cosa c'è?»

«Devo essermi ammaccato le costole quando l'aereo è atterrato. Siamo rimasti impantanati sino alla fusoliera nel caro, vecchio fango di Gilly, per cui l'atterraggio è stato alquanto violento. Io sono finito appeso in equilibrio sulla spalliera del sedile davanti al mio.»

«Qua, vediamo.»

Con dita ferme, gli sbottonò la camicia umida, gliela sfilò dalle braccia, la sfilò dai calzoni. Sotto la superficie della pelle liscia e abbronzata, un brutto livido viola si estendeva da un fianco all'altro subito sotto la gabbia toracica; Meggie trattenne il respiro.

«Oh, Ralph! Sei venuto a cavallo sin da Gilly con questo? Come deve averti fatto soffrire! Ti senti bene? Non ti sembra di svenire? Potrebbe esserci qualche lesione interna!»

«No, sto benissimo, e non ho sentito niente, a essere sincero. Ero così ansioso di arrivare qui, di accertarmi che tu fossi salva, che, presumo, ho semplicemente eliminato la cosa dai miei pensieri. Se ci fosse un'emorragia interna, me ne sarei accorto già da un pezzo, ormai, credo. Dio, Meggie, no!»

Lei aveva abbassato la testa, e delicatamente, gli sfiorava con le labbra la pelle livida, facendogli scivolare il palmo delle mani sul petto fino alle spalle, con una sensualità deliberata che lo sconcertò. Affascinato, terrorizzato, con l'intenzione di liberarsi a ogni costo, il sacerdote scostò la testa; ma, in qualche modo, riuscì soltanto a riavere la ragazza tra le braccia, come un serpente strettamente avvolto intorno alla sua volontà. Il dolore venne dimenticato, la Chiesa venne dimenticata, Dio venne dimenticato. Trovò la bocca di lei, l'aprì a forza, avidamente, desiderando di lei sempre qualcosa di più, non riuscendo a tenerla stretta quanto bastava per placare l'impulso spaventoso che gli stava crescendo dentro. Lei gli offrì il collo, si scoprì le spalle, là ove la pelle era fresca, e più liscia e lucida della seta; era come affogare, affondare nel profondo, ansimante e indifeso. L'essere mortale premeva su di lui, un peso immane che gli schiacciava l'anima, sprigionando il vino amaro e scuro dei sensi con una piena improvvisa. Avrebbe voluto piangere; le ultime gocce del desiderio colarono sotto il fardello dell'essere mortale, e strappò via le braccia della ragazza dal proprio misero corpo e si accosciò sui calcagni, a testa bassa, e parve essere completamente assorto nella contemplazione delle proprie mani che gli tremavano sulle ginocchia. Meggie, che cosa mi hai fatto, che cosa potresti farmi, se te lo consentissi?

«Meggie, ti amo, ti amerò sempre. Ma sono un sacerdote, non posso... semplicemente, non posso!»

Si affrettò a mettersi in piedi, ricompose la blusa e abbassò gli occhi su di lui, con un sorriso obliquo che servì soltanto a far maggiormente risaltare la diminuita sofferenza nei suoi occhi.

«Non preoccuparti, Ralph. Andrò a vedere se la signora Smith può prepararti qualcosa da mangiare, poi ti porterò il linimento per i cavalli; è miracoloso per far guarire i lividi. Fa cessare il dolore molto meglio di quanto possano i baci.»

«Funziona il telefono?» riuscì a dire lui.

«Sì. Hanno teso una linea provvisoria sugli alberi e hanno ristabilito il collegamento un paio d'ore fa.»

Ma quando Meggie fu uscita, trascorsero alcuni minuti prima che riuscisse a calmarsi quanto bastava per sedersi allo scrittoio di Fee.

«Voglio fare un'interurbana per favore, centralino. Parla Padre de Bricassart, a Drogheda... Oh salve, Doreen, c'è ancora lei al centralino, vedo. È un piacere anche per me udire la sua voce. A Sydney non si sa mai chi sia la centralinista; si tratta soltanto di una voce tediata. Voglio una comunicazione urgente con Sua Eccellenza il Legato pontificio a Sydney. Il numero è XMCX-2324. E, mentre aspetto la comunicazione con Sydney, mi passi Bugela, Doreen.»

Ebbe appena il tempo di riferire a Martin King quello che era accaduto prima di avere la comunicazione con Sydney, ma poche parole a Bugela bastavano. Tutta Gilly lo avrebbe saputo da Martin e da tutti coloro che ascoltavano le comunicazioni altrui sulla linea a circuito chiuso; chi avesse voluto osare un tragitto a cavallo sul fango di Gilly sarebbe venuto ai funerali.

«Eccellenza? Qui è Padre de Bricassart... Sì, grazie, sono arrivato sano e salvo, ma l'aereo si è impantanato sino alla fusoliera nel fango e dovrò tornare in treno. Nel fango, Eccellenza, f-a-n-g-o! No, Eccellenza, tutte le strade, qui, diventano intransitabili quando piove. Ho dovuto viaggiare a cavallo da Gillanbone a Drogheda; è il solo modo possibile, con la pioggia... Ecco perché le sto telefonando, Eccellenza. È stato un bene che sia venuto. Devo aver avuto una sorta di presentimento, suppongo... Sì, la situazione è tragica, molto tragica. Padraic Cleary e suo figlio Stuart sono morti, l'uno carbonizzato dall'incendio, l'altro soffocato da un cinghiale... Un c-i-n-g-h-i-a-l-e, cinghiale, Eccellenza, un maiale selvatico... Sì, ha ragione, parlano un inglese leggermente bizzarro da queste parti.»

Lungo l'intera linea udiva esclamazioni soffocate da parte di coloro che ascoltavano la fioca comunicazione, e non poté fare a meno di sorridere. Non si poteva urlare al telefono che tutti dovevano finirla di ascoltare le conversazioni altrui... si trattava dell'unico divertimento collettivo che Gilly potesse offrire ai suoi cittadini avidi di contatti umani... ma, se soltanto avessero riagganciato, Sua Eccellenza l'Arcivescovo avrebbe avuto la possibilità di udire meglio. «Con il suo permesso, Eccellenza, rimarrò per i funerali e per accertarmi che la vedova e gli altri figli siano tranquilli. Sì, Eccellenza, grazie... Tornerò a Sydney non appena mi sarà possibile.»

Anche la centralinista stava ascoltando; Padre Ralph abbassò il gancio e parlò di nuovo immediatamente. «Doreen, mi ridia Bugela, per piacere.» Conversò per qualche minuto con Martin King, poi decise, poiché era il mese di agosto, col freddo dell'inverno, di celebrare i funerali di lì a due giorni. Molte persone avrebbero voluto essere presenti e sarebbero state disposte a venire a cavallo, ma si trattava di un tragitto lento e arduo.

Meggie tornò con il linimento, ma non si offrì di frizionarlo, si limitò a porgergli silenziosamente il flacone. In tono brusco disse che la signora Smith gli avrebbe apparecchiato, di lì a un'ora, una cena calda nella sala da pranzo piccola, per dargli il tempo di fare un bagno. Si rese spiacevolmente conto che, in qualche modo, Meggie si sentiva delusa da lui, ma non capì come potesse pensare una cosa simile, né su quali basi lo avesse giudicato. Sapeva che cos'era; perché quell'ira?

Nella grigia luce dell'alba, la piccola cavalcata di scorta alle salme giunse al torrente e si fermò. Sebbene l'acqua fosse ancora contenuta entro gli argini, il Gillan si era tramutato in un vero e proprio fiume in piena, dalla corrente vorticosa, profondo nove metri. Padre Ralph lo attraversò con la cavalla saura, la stola intorno al collo, e gli strumenti della sua vocazione nella bisaccia da sella. Poi, circondato da Fee, da Bob, da Jack, da Hughie e da Tom, tolse i sacchi dalle salme e si accinse a somministrare l'estrema unzione. Dopo Mary Carson, più nulla poteva sconvolgerlo; ma non trovò alcunché di ripugnante in Paddy e in Stu. Erano entrambi neri, ciascuno a suo modo, Paddy a causa delle fiamme e Stu a causa del soffocamento, ma il prete li baciò entrambi con affetto e rispetto.

Per ventiquattro chilometri, la lamiera ondulata aveva vibrato e sobbalzato sul terreno, dietro i due cavalli da tiro, sfregiando il fango con solchi profondi che sarebbero rimasti visibili ancora anni dopo, anche nell'erba di altre stagioni. Ma ora sembrava che non potessero andare oltre; il torrente vorticoso li tratteneva sull'altra riva, a un solo chilometro e mezzo di distanza da Drogheda. Immobili, fissarono le cime degli alti eucalipti, chiaramente visibili anche nella pioggia.

«Ho un'idea» disse Bob, rivolgendosi a Padre Ralph. «Padre, lei è il solo qui ad avere un cavallo fresco; e dovrà toccare a lei. Le nostre cavalcature ce la faranno appena una volta ad attraversare a nuoto il torrente... sono spossate, dopo il fango e il freddo. Torni indietro, trovi dei fusti vuoti da duecento litri e ne faccia chiudere i coperchi in modo che siano stagni e non possano aprirsi. Li faccia saldare, se necessario. Ce ne occorreranno dodici, dieci come minimo, se non riuscirà a trovarne di più. Dovranno essere legati tutti insieme e portati da questo lato del torrente. Li assicureremo sotto la lamiera e la faremo galleggiare come una chiatta.»

Padre Ralph fece come gli era stato detto, senza obiettare; era un'idea migliore di tutte quelle che aveva da proporre lui. Dominic O'Rourke, di Dibban-Dibban, era arrivato nel frattempo con due dei suoi figli; si trattava di un vicino, non risiedeva lontano, secondo i criteri dell'interno. Quando Padre Ralph gli ebbe spiegato che cosa occorreva fare, si misero tutti all'opera rapidamente, esplorando i ripostigli in cerca di fusti vuoti, rovesciando fuori pula e avena da altri fusti, cercando i coperchi e saldandoli ai fusti quando la ruggine non li aveva rovinati e sembrava probabile che potessero resistere ai colpi della corrente. La pioggia continuava a cadere, a cadere. Non sarebbe cessata per altri due giorni.

«Dominic, mi rincresce chiederglielo, ma quando quei poveretti arriveranno, saranno mezzo morti, il funerale dovrà aver luogo domani e anche se l'impresa di pompe funebri a Gilly riuscisse a preparare in tempo le bare, non si riuscirebbe mai a farle arrivare qui con il fango. Qualcuno di voi non potrebbe costruirne un paio? Mi occorre un solo uomo che attraversi il torrente con me.»

I figli di O'Rourke annuirono, non volevano vedere come l'incendio avesse conciato Paddy, o il cinghiale Stuart.

«Ci pensiamo noi, Pa'» disse Liam.

Trascinando i fusti dietro i cavalli, Padre Ralph e Dominic O'Rourke arrivarono al torrente e lo attraversarono.

«C'è una cosa, Padre!» gridò Dominic. «Non dovremo scavare fosse in questo fango dannato! Un tempo pensavo che Mary si stesse dando un po' troppe arie con quel mausoleo che aveva fatto erigere, ma in questo momento, se fosse qui, la bacerei!»

«Troppo giusto!» urlò Padre Ralph.

Legarono i fusti sotto la lamiera ondulata, sei per ciascun lato, annodarono saldamente il sudario di canapa, poi spinsero a nuoto nel torrente gli sfiancati cavalli da tiro, trascinandosi dietro la corda che, in ultimo, avrebbe rimorchiato la zattera improvvisata. In groppa alle grosse bestie c'erano Dominic e Tom; si fermarono in cima all'argine del torrente, dalla parte di Drogheda, e si voltarono a guardare mentre le persone ancora sull'altra riva legavano la zattera e la spingevano in acqua. I cavalli da tiro cominciarono ad avanzare, incitati con grida stridule da Tom e Dominic, mentre la zattera galleggiava sull'acqua. Dondolò e oscillò pericolosamente, ma rimase a galla quanto bastava per essere portata al sicuro sulla riva opposta; invece di perdere tempo per smantellarla, i due improvvisati postiglioni continuarono a incitare i cavalli lungo il sentiero che conduceva alla grande dimora e la lamiera, sostenuta dai fusti, scivolò sul fango meglio di prima.

Una rampa conduceva alle grandi porte del capannone della tosatura per le quali passavano le balle di lana. Portarono la zattera con il suo fardello nell'enorme edificio vuoto che puzzava di pece, di sudore, di lanolina e di sterco. Imbacuccate e avvolte in impermeabili di cerata, Minnie e Cat erano venute dalla grande casa per il primo turno della veglia funebre e si inginocchiarono a ciascun lato del catafalco di metallo, facendo scorrere tra le dita i chicchi dei rosari, alzando e abbassando la voce in cadenze così note da non costare alcuna fatica alla memoria.

La casa si stava riempiendo. Erano arrivati Duncan Gordon da Each-Uisge, Gareth Davies da Narrengang, Horry Hopeton da Beel-Beel, Eden Carmichael da Barcoola. Il vecchio Angus MacMCQueen aveva fermato, con una bandierina rossa, uno dei lenti treni merci locali, arrivando accanto al macchinista fino a Gilly, ove si era fatto prestare un cavallo da Harry Gough. In treno o in sella, aveva percorso più di trecento chilometri di fango.

«Sono finito, Padre» disse in seguito Horry al sacerdote, mentre i sette uomini sedevano nella sala da pranzo piccola divorando un pasticcio di carne e rognone. «L'incendio ha attraversato il mio allevamento da un capo all'altro, senza lasciare in vita quasi una sola pecora o verde quasi un solo albero. Per fortuna, questi ultimi anni sono stati buoni; non posso dire altro. Ho i mezzi per acquistare altre pecore e, se questa pioggia continuerà, l'erba ricrescerà rapidamente. Ma Dio ci scampi da un altro disastro del genere nei prossimi dieci anni, Padre, perché non avrei più alcun risparmio con cui rifarmi.»

«Be', il tuo allevamento è più piccolo del mio, Horry» disse Gareth Davies, affondando il coltello con evidente piacere nella crosta leggera e friabile del pasticcio della signora Smith. Nessun disastro, per quanto grave, poteva togliere a lungo l'appetito agli allevatori della pianura di terra nera; avevano bisogno di cibo per far fronte alle disgrazie. «Credo che la metà delle mie terre sia stata devastata dall'incendio e, quel che è peggio, ho perduto i due terzi delle pecore. Padre, abbiamo bisogno di preghiere.»

«Già» approvò il vecchio Angus. «Non dirò di essere stato colpito come Horry e Garry, Padre, ma il disastro è stato abbastanza serio. Sessantamila acri di pascoli sono bruciati, e ho perduto la metà delle pecore. I momenti come questi, Padre, mi fanno pentire di essermene andato da Skye quando ero giovane.»

Padre Ralph sorrise. «È un rammarico fuggevole, Angus, e lei lo sa bene. Se ne andò da Skye per la stessa ragione che indusse me ad andarmene da Clunamara. Il posto era troppo piccolo per lei.»

«Eh, sicuro. L'erica non brucia con belle fiammate alte come gli eucalipti, vero, Padre?»

Sarebbe stato uno strano funerale, pensò Padre Ralph, guardandosi attorno; le sole donne presenti sarebbero state quelle di Drogheda; erano accorsi soltanto uomini. Aveva portato un'enorme dose di laudano a Fee, dopo che era stata spogliata, asciugata dalla signora Smith e fatta coricare nel grande letto, un tempo diviso con Paddy: e quando Fee aveva rifiutato di bere, piangendo istericamente, lui, senza tanti complimenti, non si era peritato di turarle il naso e versarle in gola la pozione. Strano, non aveva creduto che Fee potesse crollare in quel modo. L'effetto del laudano era stato rapido, perché non toccava cibo da ventiquattro ore. Sapendo che dormiva profondamente, il sacerdote si sentiva più tranquillo. Continuava però a tenere d'occhio Meggie; si trovava nella cucina, in quel momento, e aiutava la signora Smith a far da mangiare. I ragazzi erano tutti a letto, talmente spossati che a stento avevano potuto togliersi di dosso gli indumenti bagnati prima di crollare. Quando Minnie e Cat ebbero terminato il loro turno della veglia funebre, Gareth Davies e suo figlio Enoch ne presero il posto; gli altri si concessero riposi di un'ora e conversarono e mangiarono.

Nessuno dei giovani aveva raggiunto gli anziani nella sala da pranzo. Si trovavano tutti nella cucina, in teoria per dare una mano alla signora Smith, ma in realtà per poter guardare Meggie. Quando se ne rese conto, Padre Ralph si sentì al contempo irritato e sollevato. In fin dei conti, il marito lo avrebbe scelto tra loro; doveva accadere inevitabilmente. Enoch Davies contava ventinove anni ed era un «nero gallese», la qual cosa significava che aveva i capelli neri e gli occhi molto scuri, un bell'uomo; Liam O'Rourke, un giovanotto di ventisei anni, aveva i capelli color sabbia e gli occhi azzurri, come suo fratello Rory, di venticinque anni; Connor Carmichael somigliava sputato alla sorella, sebbene, a trentadue anni, fosse più anziano di lei, ma poteva vantare un gran bell'aspetto, anche se un po' arrogante; il meglio del mazzo, a giudizio di Padre Ralph, era il nipote del vecchio Angus, Alastair, il più vicino a Meggie per l'età, ventiquattro anni; un caro giovane, con i bellissimi, azzurri occhi scozzesi del nonno e i capelli già brizzolati, una caratteristica della famiglia. Che la ragazza si innamorasse di uno di loro, lo sposasse e avesse i figli tanto desiderati! Oh, Dio, Dio mio, se mi concederai questo, lietamente io sopporterò la sofferenza di amarla, lietamente...

Non un fiore copriva quelle bare, e i vasi disposti tutto attorno nella cappella erano vuoti. I pochi fiori sopravvissuti alla calura terribile dell'aria infuocata, due sere prima, erano stati distrutti dalla pioggia e giacevano sul fango simili a farfalle morte. Non rimanevano né lo stelo di saggina, né una rosa precoce. E tutti erano stanchi, così stanchi! Quelli che avevano cavalcato per chilometri e chilometri sul fango, desiderosi di dimostrare la loro amicizia, erano stanchi; Padre Ralph era tanto stanco che gli sembrava di muoversi in un sogno e continuava a distogliere lo sguardo dal viso tirato e disperato di Fee, dall'espressione addolorata e adirata al contempo di Meggie, dalla comune sofferenza dei tre giovani tanto legati gli uni agli altri, Bob, Jack e Hughie...

Non pronunciò alcun elogio funebre; fu Martin King a parlare brevemente, e in modo commovente, a nome di tutti coloro che si trovavano lì riuniti, poi il sacerdote cominciò subito a celebrare la Messa di Requiem. Aveva portato, inutile dirlo, il calice, i sacramenti e una stola, poiché nessun prete si muoveva senza queste cose, quando andava a offrire consolazione o aiuto, ma non disponeva dei paramenti e in casa non ce n'erano. Il vecchio Angus, però, passando per la canonica di Gilly, si era ricordato di portare la veste nera da lutto di una Messa di Requiem, avvolta sulla sella in una cerata. Di conseguenza, Padre Ralph vestiva nel modo adatto mentre la pioggia scrosciava contro le finestre e tamburellava sul tetto di lamiera, due piani più in alto.

Poi uscirono, sotto la pioggia malinconica, e attraversarono il prato, reso rossiccio e bruciacchiato dalla calura, verso il piccolo cimitero con la cancellata bianca. Questa volta ci furono persone disposte a portare a spalla le semplici bare rettangolari, scivolando e slittando sul fango, sforzandosi di vedere dove stavano andando con la pioggia che batteva loro negli occhi. E le campanelle sulla tomba del cuoco cinese tintinnavano monotone: Hee Sing, Hee Sing, Hee Sing.

Finalmente, tutto ebbe termine. Gli ospiti ripartirono a cavallo, ingobbiti sotto gli impermeabili di cerata, taluni contemplando disperati la prospettiva della rovina, altri ringraziando Dio perché si erano sottratti all'incendio e alla morte. E Padre Ralph mise insieme le sue poche cose, sapendo di doversene andare prima che la partenza gli divenisse impossibile.

Si recò a parlare con Fee che, seduta allo scrittoio, si contemplava ammutolita le mani.

«Fee, sarà coraggiosa?» le domandò, sedendo in modo da poterla vedere.

Si voltò verso di lui, così silenziosa e spenta sin nell'anima da fargli paura e da costringerlo a chiudere gli occhi.

«Sì, Padre, sarò coraggiosa. Mi rimangono i libri, e cinque figli... sei tenendo conto di Frank. Soltanto, presumo che non possiamo tener conto di Frank, le pare? Grazie anche per questo, non potrò mai ringraziarla abbastanza. Mi è di tale conforto sapere che i suoi colleghi si occupano di lui, cercano di rendergli la vita un po' più facile. Oh, se soltanto potessi vederlo, una volta sola!»

Era come un faro; da lei scaturivano lampi di sofferenza ogni volta che i suoi pensieri tornavano a quel culmine di commozione, troppo grande per poter essere arginato. Un lampo enorme, e poi un lungo periodo di nulla.

«Fee, voglio che lei pensi a una cosa.»

«Sì, a che cosa?» Era di nuovo buia.

«Mi sta ascoltando?» le domandò in tono aspro, preoccupato e, a un tratto, ancor più spaventato di prima.

Per un lungo momento, la credette così rinchiusa in se stessa da non essere riuscito a penetrarla neppure con il tono così aspro della voce, ma il faro tornò a splendere e le labbra di lei si dischiusero. «Mio povero Paddy! Mio povero Stuart! Mio povero Frank!» Poi, una volta di più, si assoggettò a quel ferreo dominio di se stessa, come se fosse decisa a prolungare i periodi di tenebre fino a spegnere del tutto ogni luce nella sua vita.

Lasciò vagare lo sguardo sulla stanza e parve non riconoscerla. «Sì, Padre, la sto ascoltando.»

«Fee, e sua figlia? Non ricorda mai di avere una figlia?»

Gli occhi grigi si alzarono sulla sua faccia, vi indugiarono quasi pietosamente. «C'è qualche donna che lo ricorda? Che cos'è una figlia? Soltanto un momento della sofferenza, una versione più giovane di noi stesse, che farà tutte le cose già fatte da noi e verserà le stesse lacrime. No, Padre. Cerco di dimenticare che ho una figlia... e, se penso a lei, è come se fosse uno dei miei figli. Una madre ricorda soltanto i propri figli maschi.»

«Non versa mai lacrime, Fee? Le ho vedute una sola volta.»

«Non le vedrà mai più, perché ho esaurito le mie lacrime, in eterno.» Tremò in tutto il corpo. «Sa una cosa, Padre? Due giorni fa ho scoperto quanto amavo Paddy, ma è stato come per ogni altra cosa nella mia vita... troppo tardi. Troppo tardi per lui, troppo tardi per me. Se sapesse quanto ho desiderato poterlo prendere tra le braccia, potergli dire che lo amavo! Oh, Dio, spero che nessun altro essere umano debba mai soffrire quanto soffro io!»

Distolse lo sguardo da quel volto all'improvviso devastato, per dargli il tempo di ritrovare la calma, e per dare a se stesso il tempo di cercar di capire l'enigma che era Fee.

«Nessun altro potrà mai provare il suo dolore.»

Un angolo della bocca di lei si sollevò in un sorriso austero. «Già. Questa è una consolazione, no? Potrà non essere invidiabile, ma il mio dolore appartiene a me sola.»

«Vuole promettermi una cosa, Fee?»

«Se le fa piacere.»

«Si occupi di Meggie, non la dimentichi. La faccia andare ai balli, le faccia conoscere qualche giovanotto, la incoraggi a pensare al matrimonio e a una famiglia sua. Ho notato che tutti i giovani l'adocchiavano, oggi. Le dia il modo di incontrarli ancora in circostanze meno tristi di questa.»

«Come vuole lei, Padre.»

Sospirando, la lasciò alla contemplazione delle proprie esili mani bianche.

Meggie lo accompagnò nelle scuderie, ove il castrone baio del proprietario dell'Imperial si era ingozzato di fieno e crusca, vivendo per due giorni in una sorta di paradiso equino. Padre Ralph gli gettò sul dorso la logora sella del proprietario dell'albergo poi si chinò a stringere la sopraccinghia e il sottopancia, mentre Meggie, addossata a una balla di paglia, lo contemplava.

«Padre, guardi che cosa ho trovato» disse, mentre lui terminava e si raddrizzava. Gli tese la mano; le dita stringevano una rosa pallida, di un color grigio-roseo. «È la sola rimasta. L'ho trovata su un cespuglio sotto il basamento delle cisterne, dietro la casa. Presumo che non sia stata bruciata come le altre dal calore dell'incendio e sia rimasta riparata dalla pioggia. Così, l'ho colta per lei. È una piccola cosa per ricordarmi.»

Prese il fiore sbocciato soltanto in parte, con la mano tutt'altro che ferma, e, immobile, lo contemplò. «Meggie, non ho bisogno di alcun tuo ricordo, né ora né mai. Ti porto entro di me, lo sai bene. Non mi sarebbe possibile nascondertelo, non sembra anche a te?»

«Ma a volte un oggetto ha qualcosa di più reale» insistette. «Può toglierlo da un cassetto e contemplarlo, e ricordare, vedendolo, tutte le cose che altrimenti potrebbe dimenticare. L'accetti, Padre, la prego.»

«Mi chiamo Ralph.» Aprì la valigetta dei sacramenti e ne tolse il grosso messale rilegato in preziosa madreperla. Glielo aveva regalato il suo povero padre il giorno dell'ordinazione, tredici lunghi anni prima. Le pagine si aprirono sul segnalibro, un largo e spesso nastro bianco; ne sfogliò parecchie altre; posò la rosa in mezzo e chiuse il libro. «Vuoi un mio ricordo, Meggie, non è vero?»

«Sì.»

«Non te lo darò. Voglio che tu mi dimentichi, voglio che ti guardi attorno nel tuo mondo, e trovi un uomo buono e gentile, e lo sposi, e abbia i bambini che desideri tanto. Sei nata per essere madre. Non devi avvinghiarti a me, non è giusto. Io non potrò mai abbandonare la Chiesa; e ora sarò completamente sincero con te, nel tuo interesse. Non voglio abbandonare la Chiesa perché non ti amo come potrà amarti un marito, capisci? Dimenticami, Meggie!»

«Non vuole darmi un bacio d'addio?»

Per tutta risposta, egli si issò sul baio e lo diresse verso la porta prima di mettersi il vecchio cappello di feltro. Gli occhi azzurri gli balenarono per un momento, poi il cavallo uscì sotto la pioggia e cominciò a percorrere con riluttanza, scivolando, la pista che conduceva a Gilly. Meggie non tentò di seguire il sacerdote, rimase nell'oscurità dell'umida scuderia, respirando gli odori di sterco di cavallo e di fieno; le ricordarono la stalla nella Nuova Zelanda, e Frank.

Trenta ore dopo, Padre Ralph entrò nello studio del Legato pontificio, attraversò la stanza per baciare l'anello, poi si lasciò cadere stancamente su una poltrona. Soltanto quando sentì quei begli occhi onniscienti su di sé si rese conto dell'aspetto bizzarro che doveva avere, della ragione per cui tante persone lo avevano fissato dopo che era disceso dal treno alla stazione centrale. Senza ricordare la valigia che Padre Watt Thomas custodiva per lui alla canonica, era salito sul postale notturno due minuti appena prima della partenza e aveva viaggiato per novecentosettanta chilometri sul treno gelido, in camicia, calzoni al ginocchio e stivali, bagnato fradicio, senza mai nemmeno accorgersi di aver freddo. Così, ora, abbassò gli occhi su se stesso con un sorriso malinconico, poi guardò l'Arcivescovo.

«Mi scusi, Eccellenza, sono accadute tante di quelle cose che non ho nemmeno pensato quanto deve essere strano il mio aspetto.»

«Non stia a scusarsi, Ralph.» A differenza del suo predecessore, l'Arcivescovo preferiva chiamare il nuovo segretario con il nome di battesimo. «Mi pare che abbia un aspetto molto romantico ed elegante. Soltanto un briciolo troppo secolare, non è d'accordo?»

«Senza alcun dubbio per quanto concerne il briciolo di secolarità. Riguardo al romanticismo e all'eleganza, Eccellenza, è solo che lei non è abituato a vedere come ci si veste di solito a Gillanbone.»

«Mio caro Ralph, se lei si mettesse in mente di vestirsi con tela di sacco e di coprirsi di cenere, riuscirebbe a sembrare ugualmente romantico ed elegante! La tenuta da equitazione le si addice, però, davvero. Quasi quanto la tonaca, e non sprechi fiato per dirmi di non aver mai pensato che la facesse figurare meglio del nero abito talare. Lei ha un modo di muoversi singolare e quanto mai attraente, e ha conservato la sua bella corporatura snella; credo che forse riuscirà a conservarla sempre. Credo inoltre che, quando mi richiameranno a Roma, la condurrò con me. Mi divertirà moltissimo osservare l'impressione che farà ai nostri tozzi e grassi prelati italiani. L'agile e bel felino tra piccioni grassocci e spaventati.»

Roma! Padre Ralph si raddrizzò sulla poltrona.

«È stato molto penoso, Ralph?» continuò l'Arcivescovo, facendo scorrere ritmicamente la mano lattea e inanellata sul serico dorso della sua gatta abissina che faceva le fusa.

«Terribile, Eccellenza.»

«Quelle persone, lei ha per loro un grande affetto.»

«Sì.»

«E le ama tutte ugualmente, o prova per alcune di loro qualcosa di più che per gli altri?»

Ma Padre Ralph era astuto per lo meno quanto il suo superiore, e ormai si trovava con lui da un periodo di tempo sufficientemente lungo per sapere come ragionasse. Pertanto, parò la domanda melliflua con una ingannevole franchezza, un espediente che, come aveva avuto modo di constatare, placava all'istante i sospetti dell'Arcivescovo. A quell'intelligenza sottile e tortuosa non accadeva mai di pensare che uno sfoggio di sincerità potesse essere più mendace di qualsiasi sotterfugio.

«Li amo tutti, ma, come ella dice, alcuni più di altri. Quella che amo di più è la giovane Meggie. Ho sempre sentito una particolare responsabilità nei suoi riguardi perché la famiglia predilige a tal punto i figli maschi da dimenticare la sua esistenza.»

«Quanti anni ha, questa Meggie?»

«Non lo so esattamente. Oh, immagino che debba essere sui vent'anni. Ma ho fatto promettere a sua madre di alzare la testa dai registri almeno quanto basta per accertarsi che la ragazza vada a qualche ballo e conosca qualche giovanotto. Se restasse bloccata a Drogheda, la sua sarebbe una vita sprecata, un vero peccato.»

Non diceva altro che la verità; il fiuto indicibilmente sensibile dell'Arcivescovo se ne rese subito conto. Sebbene avesse appena tre anni più del suo segretario, la sua carriera non era stata inceppata, e, sotto molti aspetti, si sentiva incommensurabilmente più vecchio di quanto sarebbe mai accaduto a Ralph; il Vaticano svuotava di una qualche essenza vitale chiunque fosse esposto a esso sin dall'inizio, e Ralph possedeva quell'essenza vitale in abbondanza.

Meno vigile, l'Arcivescovo continuò a osservare il suo segretario e tornò a dedicarsi al gioco interessante di scoprire quali fossero esattamente i moventi di Padre Ralph de Bricassart. A tutta prima, aveva avuto la certezza che esistesse in lui una debolezza della carne, se non in una direzione, almeno nell'altra. La bellezza stupefacente del volto e il corpo atletico dovevano farne l'oggetto di molti desideri, troppi perché potesse continuare a essere innocente o ignaro. E, man mano che il tempo passava, il Legato pontificio si era reso conto di avere, almeno in parte, ragione; la consapevolezza esisteva senza alcun dubbio, ma aveva finito con il persuadersi che, al contempo, esisteva anche una autentica innocenza. Di conseguenza, qualsiasi cosa potesse ardentemente desiderare Padre Ralph, non si trattava di piaceri carnali. L'Arcivescovo gli aveva fatto frequentare omosessuali abili e del tutto irresistibili per chi fosse un omosessuale; ma senza alcun risultato. Lo aveva tenuto d'occhio mentre era in compagnia delle più belle donne del paese; ma senza alcun risultato. Non un barlume di interessamento o di desiderio, anche quando non era minimamente conscio di essere osservato. L'Arcivescovo, infatti, non sempre osservava di persona, e, quando si serviva d'altri, ricorreva a sconosciuti.

Aveva cominciato a pensare che il debole di Padre Ralph consistesse nell'orgoglio di essere prete e nell'ambizione; due sfaccettature che l'Arcivescovo capiva perché le possedeva egli stesso. La Chiesa offriva mete agli uomini ambiziosi, come tutte le grandi istituzioni che si autoperpetuano. Correva voce che Padre Ralph avesse frodato quei Cleary, sebbene sostenesse di amarli tanto, della loro legittima eredità. Se le cose stavano realmente in questo modo, valeva la pena di tenerselo caro. E come gli erano balenati, quei meravigliosi occhi azzurri, all'accenno a Roma! Forse era giunto il momento di tentare un altro gambetto. Spinse avanti, pigramente, una pedina discorsiva, ma gli occhi, sotto le palpebre grevi, erano molto penetranti.

«Ho ricevuto notizie dal Vaticano durante la sua assenza, Ralph» disse, spostando lievemente la gatta. «Sheba mia, sei egoista, mi fai intorpidire le gambe.»

«Oh?» Padre Ralph stava affondando nella poltrona, e stentava molto a tenere aperti gli occhi.

«Sì, potrà andare a coricarsi, ma non prima di avere saputo la notizia che ho da darle. Poco tempo fa, ho fatto avere al Santo Padre una lettera personale e privata, e la risposta mi è pervenuta oggi per il tramite del mio amico, il Cardinale Monteverdi... chissà se discende dal musicista? Non ricordo mai di domandarglielo. Oh, Sheba, perché ti ostini ad affondare le unghie, quando sei contenta?»

«Sto ascoltando, Eccellenza, ancora non mi sono addormentato» disse Padre Ralph, sorridendo. «Non ci si può stupire se le piacciono tanto i gatti. È un gatto lei stesso.» Fece schioccare le dita. «Su, vieni qua, Sheba, abbandonalo e vieni subito da me! È crudele.»

La gatta balzò giù immediatamente dal grembo viola, attraversò il tappeto e, delicatamente, balzò sulle ginocchia del sacerdote, ove rimase facendo guizzare la coda e fiutando gli strani odori di cavalli e di fango, affascinata. Gli occhi azzurri di Padre Ralph sorrisero a quelli castani dell'Arcivescovo; entrambi gli uomini li tenevano socchiusi, entrambi non avrebbero potuto essere più all'erta.

«Come fa a riuscirci?» domandò l'Arcivescovo. «I gatti non ubbidiscono mai a nessuno, ma Sheba si precipita da lei come se le desse caviale e valeriana. Bestiola ingrata.»

«Sto aspettando, Eccellenza.»

«E mi punisce per questo, togliendomi la gatta. D'accordo, ha vinto, mi arrendo. Le succede mai di perdere? Un interrogativo interessante. Le spettano delle congratulazioni, mio caro Ralph. In avvenire porterà la mitra e la cappa, e ci si rivolgerà a lei come a Sua Eccellenza il Vescovo de Bricassart.»

Notò con esultanza che queste parole gli avevano fatto spalancare gli occhi. Per una volta tanto, Padre Ralph non tentò di dissimulare, o di nascondere, i suoi veri sentimenti. Si limitò a sorridere, radiosamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Parte quarta 1933-1938 Luke