9

Alison aveva riferito ad Agatha che sua suocera era cresciuta nel villaggio di Pirdey nel Lancashire. Con Toni al suo fianco, che studiava una carta stradale, Agatha lasciò i Cotswolds, puntando a nord.

La pioggia chiazzava il parabrezza e Agatha azionò i tergicristalli. Il vento a raffiche stava trascinando nel cielo aperto nuvole grigie e frastagliate. In autostrada, gli spruzzi sollevati dai TIRresero la guida un tormento. Agatha si rammaricò che Charles avesse declinato l’invito ad andare con loro. Quando era in sua compagnia, lei spesso smetteva di pensare a James Lacey. E poi le piaceva farsi accompagnare da un uomo dopo anni di battaglie solitarie. A volte sentiva che il mondo era ancora antiquato. Una donna sola spesso veniva trattata come una cittadina di serie B da albergatori e camerieri.

Era stata contenta di sapere che Phyllis Tamworthy era cresciuta in un villaggio. Se la donna avesse passato i primi anni della propria vita in una grande città, ci sarebbero state ben poche possibilità che qualcuno si ricordasse di lei, pensò Agatha, dimenticando che una persona in grado di ricordare Phyllis doveva essere per forza piuttosto anziana. Il cognome da ragazza di Phyllis era Wright. Agatha avrebbe preferito qualcosa di meno comune.

Si fermarono in una stazione di servizio per fare una pausa. Toni aveva letto di recente un articolo che affermava che la dieta delle classi lavoratrici era ancora terribile, visto che consisteva in pasti da cuocere al microonde e cibo da asporto. Però Agatha stava affrontando con gioia evidente un piattone bisunto di uova e bacon.

Si rimisero ben presto in viaggio. Agatha infilò un CD nel lettore e le note di una sinfonia di Brahms riempirono l’abitacolo.

Toni si era immaginata un villaggio simile a Carsely, invece Pirdey era un paesino deprimente perso nella brughiera. La pioggia era cessata ma la luce del sole, giallognola e acquosa, non faceva che mettere in risalto lo squallore del posto, che sembrava constare di un’unica strada, lunga e irregolare. Agatha fermò l’auto fuori da un emporio con sportello postale. “Aspetta qui,” disse a Toni. Entrò con passo deciso e chiese alla donna asiatica dietro il bancone dove fosse possibile trovare qualche anziano del posto.

La donna, il cui sari era una macchia vivace di colore nel misero negozio, fornì l’informazione che gli anziani di lì a mezz’ora si sarebbero trovati a bere il tè nel centro civico nella parte orientale del villaggio.

Agatha ritornò all’auto, da Toni. “Dobbiamo aspettare mezz’ora. Gli anziani sono nel centro comunale. La tizia del negozio dice che è all’estremità orientale del villaggio.”

“E qual è l’estremità orientale?” chiese Toni.

Agatha fece una smorfia tremenda. Poi ammise: “A saperlo”. Scese dall’auto e rientrò nel negozio, tornando dopo qualche minuto per dire: “È più avanti sulla sinistra. Tanto vale aspettare fuori, li vedremo arrivare”.

Il centro civico era ospitato in quella che un tempo era stata una grande villa. Nel vento oscillava un cartello con una scritta incisa con un punteruolo: LA COLLINA.

“Perché mai l’hanno chiamata così?” rifletté Toni. “La campagna qui attorno è piatta come una frittella.”

“E chi se ne frega,” disse acidamente Agatha, e Toni la guardò con stupore, ferita.

Il fatto era che Agatha pativa la compagnia di Toni, lo splendore della giovinezza della fanciulla la stava facendo sentire decrepita.

A peggiorare le cose, quando gli anziani cominciarono ad arrivare e Agatha fece per scendere dall’auto, le toccò soffocare un gemito e afferrarsi l’anca.

“La aiuto a scendere,” disse Toni.

“Ma lasciami stare,” abbaiò Agatha.

Si massaggiò furiosamente l’anca, mentre osservava gli anziani risalire traballando il vialetto che portava al centro.

“Ha qualche problema all’anca?” chiese nervosamente Toni.

“Non ho proprio niente,” s’infuriò Agatha. “È solo che ho guidato a lungo.”

“Potrei guidare un po’ io, al ritorno,” disse la ragazza. “Ho la patente, presa al primo colpo.”

“Potrei anche permetterti di farlo.” Toni come novellina del volante avrebbe potuto fornire ad Agatha un motivo per sentirsi superiore.

Quando entrarono nel centro civico, una matrona robusta stava invitando gli uomini e le donne – ma erano in prevalenza donne – a sedersi a un lungo tavolo sul quale erano stati disposti torte e tramezzini.

Agatha le si avvicinò. “Sono un’investigatrice privata,” disse. “Sto indagando sulla morte di Phyllis Tamworthy, che all’epoca in cui viveva in questo villaggio si chiamava PhyllisWright.”

“Credo che dovrete aspettare che abbiano finito di prendere il tè,” disse la donna. “Per alcuni di loro, questo è l’unico pasto del giorno. Con le pensioni, oggigiorno, non si va molto lontano. Io sono Gladys.”

“Io sono Agatha e questa è Toni.”

“Se intanto lei e sua figlia volete andare a sedervi lì nell’angolo, io li lascio finire e poi trasmetto la vostra domanda.”

“Non è mia…” esordì Agatha, però Gladys si era già allontanata.

Agatha osservò quelle donne anziane. Studiò le mani grinzose, alcune tremavano, allungandosi per afferrare i tramezzini. È questa la fine che tocca a tutti quanti noi? si chiese tristemente.

Toni a sua volta studiò Agatha di nascosto. L’aveva in qualche modo offesa? Era così in debito nei suoi confronti. La gratitudine pesavadavvero, come un macigno.

“Mi dispiace,” disse Agatha all’improvviso. “Non mi sento molto in forma. Se troviamo qualcosa di decente, ci fermeremo in un albergo dei dintorni, stanotte.”

Toni aprì bocca per dire che non le sarebbe dispiaciuto guidare, al ritorno, ma si zittì. Aveva la sensazione che Agatha Raisin, donna ferocemente indipendente, non avrebbe gradito la proposta.

Gli anziani non stavano facendo una gran conversazione. Per lunghi periodi gli unici suoni furono il tintinnare di tazze e il macinare delle mandibole.

Finalmente Gladys si piazzò al centro della sala. “Signore e signori,” disse, “queste due signore vorrebbero sapere se qualcuno di voi si ricorda di… come si chiamava?”

“Phyllis Wright,” disse Agatha.

Si sentì un mormorio educato e poi una donna veramente molto vecchia gracidò: “Io me la ricordo. Eravamo a scuola insieme”.

Un’altra disse: “Era la cicciona nella classe della signorina Gilchrist?”.

“Seee, proprio quella,” disse la prima. “La cocca della maestra. Andava sempre a leccare i piedi all’insegnante e si dava un mucchio di arie, ma non era nessuno.”

“Immagino che la signorina Gilchrist non sia ancora in vita,” disse Agatha.

“È morta… quand’è stato?” disse la donna che aveva parlato per prima.

“Subito dopo che aveva dato a Phyllis una ramanzina strameritata. Diceva che Phyllis aveva imbrogliato.”

“Di cosa è morta la signorina Gilchrist?” chiese Agatha.

“Lei come si chiama?”

“Agatha.”

“Io sono Elsie e questa è Rose. È morta di cuore, e dire che era così giovane. Chiaro, all’epoca ci sembrava vecchia, ma aveva una trentina d’anni.”

“Quando ha lasciato il villaggio, Phyllis?”

Elsie sospirò. “Che bella cosa che lei ci chieda dei vecchi tempi. Quello che è successo ieri non me lo ricordo, ma i vecchi tempi ce li ricordiamo benissimo e volentieri. Mi lasci pensare. Lavorava alla Bessops Factory, un’industria che faceva salse. Poi è arrivato Hugh Tamworthy, faceva i mattoni, ed era fidanzato con Carrie Shufflebottom. Poi Hugh ha vinto alla lotteria. E a quel punto Phyllis gli si è attaccata. Loro due sono scomparsi per un po’ e quando sono tornati erano sposati. Il mattonificio a Rumton stava fallendo e Hugh l’ha rilevato. Hanno preso una villetta in campagna, fuori dal villaggio, perché la gente di qui non voleva più avere a che fare con loro per via di Carrie.”

“E Carrie adesso dov’è?” chiese Agatha.

“La trovate al Cottage del Sole, proprio in fondo. Ripassate davanti all’ufficio postale e poi proseguite. È l’ultima casa che incontrate.”

Una volta fuori, Toni disse: “Phyllis sta cominciando a delinearsi come una stronza patentata”.

“Speriamo che questa Carrie sia lucida,” disse Agatha. “Che ingiustizia, però. Queste due con cui stavamo parlando devono essere coetanee di Phyllis eppure Phyllis sembrava sana come un pesce. Oh, mio Dio,” aggiunse con sentimento, “spero di non finire come quelle due poverette.”

Il Cottage del Sole non rispecchiava il proprio nome. Era esposto a nord ed era una costruzione in mattoni rossi, ancora fuligginosa dai tempi del carbone.

“Carrie si sarà mai sposata?” Agatha aprì un cancelletto di legno malconcio e attraversò per prima un piccolo giardino pieno di erbacce. Suonò il campanello. Sulla destra della porta, la sudicia tendina di pizzo si mosse appena. Poi la porta si aprì.

Carrie Shufflebottom era la prova che perfino gli obesi gravissimi possono vivere a lungo. Era un donnone con la faccia tonda e rosea, e occhi azzurri slavati. I capelli grigio ferro erano ancora folti.

“Che c’è?” chiese.

Agatha spiegò pazientemente che cosa stavano facendo e cosa volevano sapere.

“Entrate, è meglio,” disse quella, girando i tacchi, con i fianchi larghi che sfregavano contro le pareti del corridoietto angusto.

La seguirono in un salotto buio, sul davanti della casa. Era freddo e poveramente ammobiliato. Carrie si lasciò cadere su una grossa poltrona malridotta. Agatha e Toni si sedettero su un divano altrettanto malridotto. Un canarino rinchiuso in una gabbia accanto alla finestra cinguettava desolato e nel camino gemeva il vento incipiente. Una vecchia pendola tossicchiò piano nell’angolo prima di battere l’ora.

“Non vi offro il tè,” disse Carrie. “L’ho appena preso.” Aveva il petto disseminato di briciole. Portava una camicia da uomo, pantaloni della tuta e scarpe da ginnastica.

“Quindi vorreste sapere se qualcuno da queste parti potrebbe aver desiderato la morte di Phyllis?” chiese Carrie. La sua voce era sorprendentemente chiara e piacevole e non segnata dal pesante accento locale, come quella delle persone che avevano incontrato fino a quel momento. “L’avrei ammazzata anche io. Hugh Tamworthy era un brav’uomo, ma ingenuo. Non appena ha vinto quei soldi, lei gli è saltata addosso. Quando eravamo a scuola, Phyllis mi rendeva la vita un inferno, mi prendeva in giro per il nome. Hugh l’ho rivisto una sola volta, dopo che si era sposato. Circa due anni dopo le nozze, è venuto a trovarmi senza alcun preavviso. Era molto turbato. Per un folle istante, ho sperato che fosse tornato da me.” Fece un sorriso ironico. “Gli uomini possono essere così insensibili. Era venuto per raccontarmi di essersi innamorato di una ragazza, un’impiegata del mattonificio. Mi ha detto che avrebbe chiesto a Phyllis il divorzio e che lei non voleva avere figli, mentre lui li aveva sempre voluti. La ragazza si chiamava Susan Mason. A quel punto ho sbroccato e gli ho detto di andarsene. Gli ho detto che mi aveva mollata e che mi aveva fatto soffrire moltissimo.”

“Però alla fine Hugh non ha divorziato da Phyllis,” disse Agatha.

“In seguito ho saputo che erano successe due cose: Phyllis era rimasta incinta del primo figlio e Susan era scomparsa. Una sera era uscita dall’ufficio e nessuno l’aveva più vista. L’hanno cercata a lungo, ma non è stata trovata né allora né mai. Phyllis aveva un caratteraccio infernale. Probabilmente la ragazza ha subito le sue minacce. Di lì a poco, i Tamworthy hanno venduto il mattonificio e ne hanno comprato un altro, più a sud.”

“Lei si è mai sposata, signora?” chiese Toni.

“Ho deciso di studiare. Sono andata all’università e ho finito per insegnare nella scuola del villaggio finché il governo non l’ha chiusa. Non ho avuto una vita molto avventurosa. E no, non mi sono mai sposata.”

“C’è qualche parente di Susan ancora in vita?”

“C’è una sorella più giovane che abita a Stoke. Wanda. Ha fatto un buon matrimonio. Ha sposato un commercialista. Com’è che si chiamava? Oh, sì, Mark Nicholson. Mi passi l’elenco telefonico che è lì.”

“Lì” era il pavimento sotto il tavolo. Toni le porse l’elenco e Carrie lo sfogliò. “Ecco qui. Questo dovrebbe essere lui. Prendete nota.” Agatha pescò un quadernetto dalla borsa. “Mark Nicholson, strada privata del Ciliegio 5, Stafford Road, Stoke-on-Trent.”

Toni guidò Agatha in direzione di Stoke. Agatha, sentendo acutizzarsi il dolore all’anca, le aveva ceduto il volante. Toni guidava con tranquillità e bene, e questo irritò la sua capa. “Conviene fermarsi da qualche parte e comprare uno stradario,” disse Agatha. “Lì c’è un’edicola.”

Toni parcheggiò con precisione tra due auto e Agatha fece una smorfia. A lei, per parcheggiare bene, occorreva ancora uno spazio lungo come un autocarro.

Toni si precipitò nel negozio e ne uscì brandendo una cartina. “Dalla a me,” ordinò Agatha, che detestava non avere in pugno la situazione. La studiò e poi disse: “Siamo fortunate. È da questa parte di Stoke. Dobbiamo passare tre rotonde, e alla quarta girare subito a sinistra. Quella è Stafford Road. La via privata del Ciliegio è la terza a sinistra”.

La via privata era uno di quei quartieri residenziali dove ci si era sforzati di far apparire le casette una diversa dall’altra, eppure il risultato finale era stato che sembravano la stessa casa ripetuta enne volte. Erano villette a due piani, in pietra grigia. Le finestre di dimensioni uguali si affacciavano inespressive su giardini piccoli e ordinati.

“Non è strano che Phyllis non avesse mai accennato alla proprietà di un mattonificio precedente?” disse Agatha.

“Forse si vergognava di aver rovinato il fidanzamento di Carrie e di aver terrorizzato Susan.”

“Chissà. Ecco il numero 5. Speriamo che ci sia qualcuno in casa.”

Toni suonò il campanello. Aspettarono a lungo, ma non ebbero risposta. “Torniamo in macchina ad aspettare,” disse Agatha.

“Potrebbe essere al lavoro,” osservò Toni.

“Forse no. Credo che abbia più o meno l’età di Phyllis, quindi probabilmente sarà in pensione.” Agatha si accese una sigaretta. “Chissà se a Natale nevicherà.”

“Ma lei riesce a ricordarselo, un Natale bianco?” chiese Toni.

“Nemmeno uno. Questo riscaldamento globale arriva proprio quando nessuno lo vuole.”

Toni fece uno sforzo per non sorridere. Gli scienziati erano in ambasce per il riscaldamento globale, i governi pure, ma Agatha Raisin era seccata perché non avrebbe avuto il suo bianco Natale. Disse: “Non importa. Di solito a dicembre l’aria è sempre buia e triste e, se uno ha un albero e un sacco di luci e addobbi, la festa verrà molto carina”.

“Ho un sacco di gente da invitare,” disse Agatha. “Non credo che la mia sala da pranzo sia grande a sufficienza.”

“Il villaggio non ha una sala comunale?”

“Sì, ma è abbastanza squallida.”

“Però potrebbe sempre decorarla nascondendo lo squallore. O magari potrebbe procurarsi qualche tavolo in più e formare un unico tavolone che vada dalla sala da pranzo al salotto attraverso l’atrio,” disse Toni.

Agatha s’illuminò. “Sì, potrebbe funzionare. Un sacco di signore della Società delle Dame si sono seccate perché la volta scorsa non le ho invitate.”

“Sta arrivando qualcuno,” disse Toni. “Un’auto.”

Passò loro accanto un’Audi nuova, che risalì il vialetto e s’infilò nel garage di fianco al numero 5.

“Bene,” disse Agatha. “Andiamo.”

La donna che stava scendendo dall’auto le guardò incuriosita. Era snella e ben tenuta con i capelli biondi tinti, grandi occhi nocciola leggermente sporgenti, bocca piccola e naso lungo e sottile. Attorno al collo aveva un foulard di Hermès, legato stretto. Agatha valutò che la donna avesse una settantina d’anni e che si fosse sottoposta a qualche intervento di chirurgia plastica.

Agatha le si avvicinò e spiegò chi erano lei e Toni e perché si trovavano lì.

“Non so se potrò esservi di aiuto,” disse Wanda. “Insomma, che si può fare dopo tutti questi anni? La polizia aveva cercato ovunque.”

“Avevano interrogato Phyllis Tamworthy?”

“Oh sì. Più e più volte. Hugh Tamworthy stava per chiedere il divorzio e sposare mia sorella. Credo che Phyllis l’avesse spaventata inducendola a fuggire. Però mia sorella non aveva preso con sé né vestiti né il passaporto.”

“Ha letto sui giornali che Phyllis è stata assassinata?”

“Sì, e sono stata contenta di sapere che qualcuno finalmente ha avuto il fegato di far fuori quella donnaccia orribile.”

“Sa dove abitassero i Tamworthy quando stavano da queste parti?” chiese Toni.

“Avevano una casetta a Rumton.”

“Dove, di preciso?” chiese avidamente Toni.

Agatha la guardò stupita.

“Sono certa che fosse nei pressi del vecchio mattonificio. Adesso è chiuso e ci hanno ricavato un asilo nido e un negozio di mobili da giardino.”

Agatha avrebbe tanto voluto chiedere conto a Wanda dei suoi movimenti il giorno che Phyllis era stata assassinata, ma sapeva che solo la polizia era autorizzata ad andarsene in giro a fare domande di quel genere.

Invece chiese: “Le viene in mente qualcuno, nel passato di Phyllis, che avrebbe potuto avere il desiderio di ucciderla?”.

“Carrie Shufflebottom odiava Phyllis perché lei le aveva portato via Hugh. Erano fidanzati. Però Carrie è sempre stata un’anima gentile.”

Tornata all’auto, Agatha aggredì Toni. “Perché volevi sapere dov’era questo bungalow?”

Gli occhi di Toni brillarono per l’eccitazione. “Non capisce? Phyllis potrebbe aver ucciso Susan.”

“Noi stiamo cercando chi ha ucciso Phyllis, non le vittime di Phyllis.”

“Ma se Phyllis era un’assassina, ci sarebbero stati dei motivi in più per volerne la morte.”

“Oh, d’accordo,” fece Agatha, imbronciata.

Trovarono il bungalow chiedendo informazioni all’asilo nido. Venne ad aprire la porta una signora anziana. Ma sono tutti vecchi, qui? pensò Agatha. Finiremo a Carsely sorreggendoci tutti ai nostri deambulatori? Spiegò alla signora chi erano e il motivo della visita.

“Mi ricordo Phyllis e Susan,” disse l’anziana. “Io sono Pearl Dawson. Accomodatevi.”

Entrarono in un salotto ingombro di cose, con un odore di corpo vecchio, mentine e disinfettante al pino. La signora Dawson sembrava storpiata dall’artrite. Lasciandosi andare sulla sedia, fece una smorfia di dolore. “Ho bisogno di due protesi all’anca,” sospirò. “Ma ormai sono in lista d’attesa da due anni e mezzo.”

Come per farsi beffe di lei, una voce da un piccolo televisore nell’angolo annunciò: “Oggi il governo ha dichiarato che il servizio sanitario nazionale ha ridotto in maniera cospicua le liste di attesa”.

“Oh, spegnete quel coso,” disse Pearl. “Sono solo menzogne.” Era molto magra e molto grinzosa, e tra le ciocche di capelli grigi si vedeva il rosa dello scalpo.

“E che vi potrei dire?” proseguì. “Sono dispiaciuta per Susan. Era una ragazza così carina e simpatica. Le dev’essere successo qualcosa di brutto. Non sarebbe mai fuggita, altrimenti.”

Toni disse brutalmente: “Crede che Phyllis possa averla uccisa?”.

Pearl sembrò scioccata. “Il pensiero non mi ha mai nemmeno sfiorata.”

“Immaginiamo,” disse Toni, eccitata, “che Phyllis si fosse mostrata tutta gentile con Susan e che le avesse offerto un passaggio fino a casa. Ha saputo se per caso ci fosse ancora qualcuno in ufficio, quando Susan se n’era andata?”

“Ho saputo che si era trattenuta fino a tardi,” disse Pearl. “I pettegolezzi dicevano che Susan lavorava spesso fino a tardi, e che Hugh Tamsworthy faceva lo stesso. Ma quella sera Hugh non si era trattenuto. Phyllis l’aveva mandato a Stoke per ritirare una certa stoffa per le tende, che lei aveva scelto. Acquisti in tarda serata. Forse Susan stava aspettando che lui tornasse. Alcuni di quelli che lavoravano nel mattonificio sostenevano che fosse innamorata di Hugh.”

“E così Phyllis la uccide,” disse Toni, in fibrillazione. “Poi deve sbarazzarsi del cadavere. Da queste parti c’è un posto dove uno potrebbe nascondere un corpo?”

Pearl sorrise. “Lei ha una bella fantasia, signorina. C’è il giardino, ma non viene toccato da moltissimi anni. E c’è anche un vecchio pozzo, ma la polizia l’aveva controllato.”

Agatha cominciò a provare un certo interesse. Se la polizia aveva fatto ricerche attorno alla villa, doveva avere avuto qualche sospetto sul conto di Phyllis.

“Le viene in mente qualche altro posto?” chiese.

“Non mi viene in mente niente. C’è un vecchio gabinetto, sul retro. Non è stato possibile demolirlo perché è protetto in quanto sito di interesse storico. Ma pensa un po’! A chi potrebbe mai interessare un vecchio gabinetto vittoriano, dico io.”

“Le dispiace se diamo un’occhiata?” chiese Agatha.

“Prego. Lo trovate in fondo al giardino, sul retro. Se non vi spiace, io resto qui. Ho dolori a muovermi.”

“Come si chiama il parlamentare eletto in questo collegio?” chiese Agatha.

“È l’onorevole Wither. Perché?”

“Non le è mai venuto in mente di telefonargli per lamentarsi del mancato intervento alle anche?”

“Ma non potrei mai farlo!”

“Ebbene, io sì,” disse bellicosamente Agatha. “Dov’è l’elenco del telefono? Il Parlamento non è in seduta, al momento, quindi l’onorevole Wither dovrebbe essere in casa.”

Agatha riserva un sacco di sorprese, pensò Toni mentre l’ascoltava strapazzare, in piena modalità bulla, il parlamentare.

Quando Agatha finalmente mise giù il telefono, sogghignò e disse: “Bene. È tutto a posto. Il signor Wither chiamerà subito l’ospedale. Le telefonerò la settimana prossima per accertarmi che qualcuno stia davvero facendo qualcosa. Deve sempre tenere a mente che chi grida di più viene servito meglio”.

Mentre Pearl balbettava la propria gratitudine, Agatha e Toni uscirono dalla casa per avventurarsi nel giardino incolto sul retro.

“Ma guarda che roba!” disse Agatha con disgusto, indicando il gabinetto in fondo al giardino. “È praticamente crollato. Il comune impedisce a chiunque di sbarazzarsi di quella schifezza però non fa nulla per tenerla in ordine.”

Avanzarono a fatica tra le erbacce e i ciuffi di erba alta. La porta di legno del gabinetto penzolava dai cardini. Agatha l’aprì con uno strattone e poi fece un salto all’indietro quando i cardini arrugginiti cedettero di scatto e la porta cadde nel giardino.

“Era comunque destinata a cadere,” dichiarò Agatha. Infilarono la testa per guardare dentro. Il gabinetto vero e proprio era stato tolto. C’erano solo un pavimento in terra battuta e alcuni attrezzi da giardinaggio arrugginiti che mostravano come un tempo il gabbiotto fosse usato con la funzione di capanno.

“E adesso che facciamo, signorina Idee Brillanti?” disse Agatha. “Scaviamo il pavimento?”

“Che altro?” disse allegramente Toni. “Lì c’è una vanga che sembra in grado di reggere al compito.”

“Penso che sia uno spreco di tempo. Tra le erbacce ho visto una sedia da giardino. Vado a fumarmi una sigaretta. Lo scavo è tutto tuo.”

Toni cominciò a scavare e poi si fermò di colpo quando udì un grido provenire dal giardino.

Corse fuori. Agatha si era seduta su una poltroncina di legno marcio che aveva ceduto sotto il suo peso, facendola crollare sull’erba.

Toni l’aiutò a rialzarsi, cercando di non ridere.

“Ma porca biscia!” ululò Agatha. “L’erba è bagnata. Oh, Toni, tu va’ avanti, io vado a sedermi sul gradino della porta della cucina.”

Toni tornò a scavare. La terra era compatta. Una volta bucato lo strato superficiale, il lavoro si fece più agevole. Perseverò, con il sudore che le colava lungo la faccia. Si fermò per un istante e guardò fuori. Agatha era seduta, soffiava il fumo verso il cielo bigio, con un’espressione sognante.

Probabilmente sta sognando un bianco Natale, pensò Toni, e si rimise al lavoro. Ma quando le braccia cominciarono a farle male, si sentì una stupida. Che idea folle, insensata. Uscì e gridò ad Agatha che a quel punto avrebbe ripianato la buca. Quando si girò, un raggio di sole sbucò tra le nuvole e andò a colpire proprio la buca. Sul fondo spuntava dalla terra qualcosa di bianco-giallognolo. Con il cuore che batteva forte, Toni si sdraiò a pancia in giù e cominciò a raschiare con le dita. A poco a poco riemerse quella che sembrava una calotta cranica.

Toni si rialzò lentamente. Le tremavano le ginocchia.

“Agatha!” urlò. “Ho trovato qualcosa.”

Agatha e Toni s’incontrarono parecchie ore dopo nell’area di accettazione della centrale di polizia di Stoke. “Ma sei una veggente o qualcosa del genere?” borbottò Agatha. “Hai sangue zingaro? Come hai fatto a indovinare che Phyllis poteva aver ucciso Susan?”

“Sembrava logico,” disse Toni. “Insomma, chi altri avrebbe potuto volersi sbarazzare di lei?”

“Oh, bene, immagino che sia meglio trovarci una camera per questa notte,” commentò Agatha, soffocando uno sbadiglio.

“Gli investigatori che mi hanno interrogata hanno detto che possiamo tornare a casa,” disse Toni. “L’unica condizione è che domani dobbiamo presentarci alla polizia di Mircester. Posso guidare io, lo faccio volentieri.”

“D’accordo. Voglio vedere come stanno i miei gatti.”

Mentre Toni guidava senza esitazioni lungo l’autostrada, Agatha non fece altro che osservarla. Sansone doveva essersi sentito così quando gli avevano tagliato i capelli. Toni è stata un acquisto formidabile, ma mi fa sentire vecchia ed esitante, pensò. E io non sono vecchia! I cinquanta di oggi sono i quaranta di ieri, o almeno così dicono.

Avrebbe voluto farsi valere mettendosi al volante, ma cominciarono a calarle le palpebre e ben presto si addormentò.

“Sveglia. È arrivata a casa!” La voce di Toni la ridestò dalle profondità del sonno.

Agatha si sfregò gli occhi. “Non è possibile. Non posso aver dormito tutto il tempo.”

“Evidentemente ne aveva bisogno,” disse allegra Toni. “Se mi chiama un taxi, vado a casa anch’io.”

Agatha stava per proporre a Toni di passare la notte nel cottage, ma poi si rese conto che la ragazza probabilmente avrebbe preferito tornare a casa per potersi mettere dei vestiti puliti.

“Entra,” disse, “io intanto chiamo un taxi.”

I gatti di Agatha andarono incontro alla padrona facendo le fusa. Lei guardò l’orologio. Le tre del mattino! Il suo stomaco stava brontolando. Si chiese se non dovesse offrire a Toni qualcosa da mangiare, ma all’improvviso non vide l’ora di liberarsi di lei. Telefonò per far arrivare il taxi, disse a Toni che ci sarebbero voluti venti minuti prima che arrivasse, e salì in bagno.

Si fermò sul pianerottolo. Dalla stanza degli ospiti veniva un russare leggero. Agatha guardò dentro, la porta era aperta. Supino, braccia e gambe distese, c’era Charles addormentato.

Agatha, riluttante a scendere per fare compagnia a Toni, si svestì, si fece una doccia veloce, indossò una camicia da notte, pantofole e un kimono, e poi tornò in cucina.

Toni dormiva profondamente, con la testa sul tavolo. Agatha si preparò una tazza di caffè nero e si accese una sigaretta. Sul pacchetto c’era l’avviso:CON IL FUMO PASSIVO PUOI DANNEGGIARE IL PROSSIMO. “Ma fottiti,” borbottò Agatha, però intanto andò ad aprire la porta della cucina.

Il guaio è, pensò, che sono sempre stata una battitrice libera, una faccio-tutto-io. Mi sono sempre creduta un’abile investigatrice, ma ora sono convinta di aver avuto solo fortuna e adesso c’è qualcuno che ha ancora più fortuna di me. Poi sorrise. Il ritrovamento di uno scheletro in un gabinetto non corrisponderebbe all’idea di fortuna che perlopiù ha la gente. Ma perché Toni era subito saltata alla conclusione che Phyllis poteva aver ucciso Susan? Spero che il mio cervello non stia diventando senile, pensò Agatha. Bene, ecco il taxi.

Scrollò Toni per svegliarla e la ragazza si trascinò fino all’auto. “Non presentarti prima di mezzogiorno,” disse Agatha, “e poi andremo insieme dalla polizia.”

Agatha si rifugiò in cucina, tirò fuori dal frigorifero un curry già pronto e lo infilò nel microonde. Rimase a fissare il piatto che girava e girava, finché non fece ping. Lo mangiò direttamente dalla vaschetta, poi fece rientrare in casa i gatti, chiuse la porta e andò a letto. Oh, una notte di sonno!

Fu svegliata una decina di minuti dopo, o almeno così le parve, da Charles che la stava scrollando. “La polizia ti aspetta di sotto.”

Agatha gemette. “Che ore sono?”

“Le nove. Che cos’hai combinato, adesso?”

“Lasciami vestire. Quale polizia?”

“Bill Wong e l’ispettore Wilkes.”

“Smamma e offri loro un caffè o qualche altra cosa.”

Agatha si vestì in fretta e furia, e fece per scendere le scale, ma si rese conto di essersi dimenticata di truccarsi. Sgusciò in bagno e si truccò davanti allo specchio ingranditore. “Toni non ha bisogno di truccarsi,” borbottò. “Accidenti a lei.”

Quando Agatha entrò in cucina, Wilkes la guardò severamente. Davanti a lui c’era una pila di fax. “Sono molto stanca,” si lagnò Agatha. “Io e Toni siamo state interrogate per ore, a Stoke.”

“Ma io sono interessato all’omicidio di Phyllis Tamworthy,” disse duramente Wilkes. “Sergente Wong, lei qui è in servizio, quindi si levi quel gatto dal collo.”

Bill, imbarazzato, si liberò di Hodge che gli si era appollaiato sulle spalle e di Boswell che gli si era piazzato in grembo. Agatha provò una bottarella di piacere per il fatto che erano passati prima da lei e non da Toni, ma morì alla svelta non appena Wilkes disse: “Abbiamo già sentito la signorina Gilmour. Lei sostiene di essere stata colpita all’improvviso dal pensiero che Phyllis Tamworthy potesse essere un’assassina, e che potesse aver ucciso Susan Mason”.

“All’epoca era sembrato un volo di fantasia,” disse Agatha. “Charles, per favore, portami un caffè.”

“Però la signorina mi ha detto che l’idea le è venuta dopo che lei aveva trovato certi indizi.”

“Quali indizi?” chiese Agatha.

“La signora Tamworthy aveva spietatamente strappato Hugh alla legittima fidanzata, non appena lui aveva vinto alla lotteria. Poi c’era quella storia che Phyllis era stata la cocca della maestra, a scuola, e poi la maestra l’aveva sgridata e subito dopo era morta.”

“Ah, quegli indizi,” disse debolmente Agatha. “Sì, io e Toni abbiamo cominciato a pensare che Phyllis dovesse essere stata una persona assai peggiore di quanto non avessimo sospettato. Ecco perché ho incoraggiato la mia assistente a procedere e a scavare dentro quel gabinetto.”

E poi Wilkes pronunciò le parole che Agatha stava cominciando a temere. “Partiamo dall’inizio, signora Raisin.”

Agatha descrisse stancamente il loro viaggio verso nord e riferì i nomi di tutte le persone con le quali avevano parlato e cosa si erano detti, fino al momento in cui Toni aveva trovato lo scheletro.

“Vedete,” finì per dire, “pensavo che l’omicidio potesse essere in qualche modo collegato al passato di Phyllis. Quando avrete i risultati del DNA dello scheletro?”

“Non credo che ne avremo bisogno,” disse Wilkes. “La borsetta di Susan Mason era sepolta vicino a lei nella buca, e dentro c’era il libretto bancario, oltre a frammenti di vestiario, e domani metteremo a confronto gli interventi visibili sui denti dello scheletro con gli archivi del dentista. Cosa vi ha fatto pensare che la colpevole fosse Phyllis? Non potrebbe essere stato Hugh Tamworthy?”

“Se lui era così debole da accettare che Phyllis gli forzasse la mano convincendolo a sposarla, non riesco a immaginare che potesse avere il coraggio o le motivazioni per uccidere Susan, una ragazza di cui a quanto pare era sinceramente innamorato. Oh, e poi quando andava a scuola Phyllis aveva avuto una discussione con la maestra e poco dopo la maestra è morta. Così mi hanno raccontato.”

“Controlleremo. Penso che sarebbe meglio che d’ora in avanti lei si tenga lontana da questa storia, signora Raisin.”

“Ma come sarebbe?!” strillò Agatha. “Non avreste mai trovato quello scheletro se non ci fosse stata quella brillante deduzione.” Agatha si rese conto dello sguardo sardonico di Charles. “… di Toni,” aggiunse. “E come se non bastasse, io lavoro per conto della famiglia.”

“D’accordo. Allora limiti le sue indagini alla famiglia e a chiunque abbia ucciso la signora Tamworthy,” disse Wilkes. “Ma sospenda le sue attività per una settimana circa e lasci che la polizia faccia il proprio lavoro.”

Agatha li accompagnò alla porta. In quel momento arrivò il postino. Aspettò speranzosa finché lui non le porse un mucchietto di corrispondenza. La passò in rassegna e trovò una coloratissima cartolina di Tonga. La girò e lesse: “Sto lavorando sodo al nuovo libro di viaggi. Sarò di ritorno per Natale. Il sole di queste parti ti piacerebbe. Con amore, James”.

Sorrise estasiata. Il Natale sarebbe stato memorabile.

Tornata in cucina, mise la cartolina sul tavolo e guardò il resto. “Pubblicità e bollette,” disse.

“Di chi è la cartolina?”

“James.”

“A-ha. Questo spiega il sorriso sulle labbra e la luce negli occhi. È un caso senza speranza, Aggie.”

“Oh, ma chiudi quel becco. Devo andare in ufficio, anche se dormire ancora un po’ mi farebbe bene.”

“E allora torna a letto. Sei tu il capo.”

“No, adesso non posso dormire. Devo andare in quella maledetta villa per vedere come sta prendendo questi ultimi sviluppi la famiglia. Vieni con me?”

“Perché no?”

“Allora meglio che chieda a Doris di stare qui in casa. La nuova cucina dovrebbe arrivare oggi.”

“La cucina? Lo fai in vista del Natale? Hai deciso di carbonizzare un altro volatile?”

“No, non solo mi rivolgerò a una società di catering, ma prenderò anche un cuoco. Ho ordinato un tacchino di buona qualità e non voglio rischiare, lasciando fare tutto al catering, di ritrovarmi uno di quei tacchinacci surgelati da supermercato. Lasciami solo telefonare a Patrick e Phil per sapere come se la cavano e poi andiamo.”

“Come sta Phil, a proposito?”

“Non ha avuto conseguenze. Una convalescenza a tempo di record. Quel ragazzo è un duro.”

Partirono diretti a casa Tamworthy in una giornata grigia come l’acciaio. Stormi di uccelli migratori tracciavano frecce nel cielo. Foglie colorate cadevano a spirale davanti alla macchina. “Fa davvero freddo,” disse Agatha. “Forse nevicherà, a Natale.”

“Non nevica mai a Natale. Ti stai facendo fantasie malsane.”

“Andrà tutto bene.”

“A parte la morte definitiva della storia d’amore.”

Agatha non si degnò di rispondere, e intanto oltrepassò i cancelli della villa.

“Non vedo auto della polizia,” disse Charles.

“Forse sono tornati tutti nelle rispettive case,” disse Agatha, “e la polizia li sta interrogando lì.”

Jill, la ragazza delle stalle, sbucò dal lato dell’edificio, mentre Agatha e Charles scendevano dall’auto.

“La famiglia è in casa?” chiese Agatha.

“Sono tutti al funerale. Da un momento all’altro torneranno dal crematorio.”

Agatha disse: “Non sapevo che avessero restituito il corpo per la sepoltura”.

“Sì, circa una settimana fa. Immagino che voi due possiate entrare in casa senza problemi. Alcune signore del villaggio stanno preparando tramezzini e altri generi di conforto.”

“Mi chiedo se sia stata un’idea saggia,” disse Charles, mentre varcavano la soglia di casa Tamworthy. “Non mangiare tramezzini con roba verde dentro. Potrebbe essere cicuta.”

Udirono venire dalla cucina un tintinnare di stoviglie. “Dove li aspettiamo?” chiese Agatha. “Insomma, farsi trovare in salotto come ospiti sarebbe un po’ sfacciato.”

“Specialmente perché sembra che tu abbia smascherato la loro cara mammina, rivelando che era un’assassina.”

“Non ci avevo pensato. Potrebbero anche non saperlo. Voglio dire, la polizia non li metterà al corrente della notizia finché non avrà prove maggiori. E poi all’epoca non era nemmeno nato nessuno di loro. Per quel che ricordo, in quel periodo Phyllis era incinta del primo figlio. Sto cominciando a chiedermi che razza di uomo fosse in realtà Hugh Tamworthy.”

“Malato,” disse laconicamente Charles, aprendo intanto alcune porte. “Guarda, qui c’è uno stanzino.”

“Era il soggiorno. Possiamo aspettare qui.” Agatha lo seguì. “Cosa intendi dire con ‘malato’?”

“La gente malata è attratta da gente malata. Chi da bambina è stata abusata sposa uno che picchia la moglie. Il figlio di un alcolista magari non diventerà alcolista, ma sicuro che ne sposerà uno. Ovunque ci sono vittime professionali e martiri… tipo te.”

“E con questo cosa vorresti dire?” ringhiò Agatha.

“Una persona normale non avrebbe retto James nemmeno per un minuto.”

“Vorrei farti notare che entrambi i miei genitori erano alcolizzati ma io non lo sono, e nemmeno James. Però adesso berrei volentieri qualcosa.”

“Li sento, stanno arrivando.” Charles andò alla finestra. “Gli uomini sono in cravatta nera, ma le donne sono vestite in modo normale. Ci sono solo loro, del villaggio non c’è nessuno a parte le donne in cucina, e quelle sono venute perché pagate.”

Agatha aprì la porta. “Io intercetto Alison. Non fa parte della famiglia, è solo un membro acquisito e Phyllis non le piaceva.”

Uscì nell’atrio. Bert, Jimmy, Sadie, Fran e sir Henry Field la videro, ma le passarono davanti per entrare in salotto, ignorandola. Alison entrò di fretta dopo di loro e, nel vedere Agatha, s’impietrì.

“Sono stupita che lei abbia deciso di presentarsi qui in un’occasione del genere,” disse.

“Ma non ha saputo?”

“Non ho saputo cosa?”

“Venga in soggiorno. Ci sono nuovi sviluppi.”

Alison entrò, salutò sir Charles con un cenno del capo e chiese: “Che cosa c’è?”.

Agatha le parlò del ritrovamento dello scheletro e della possibilità che Phyllis potesse aver ucciso Susan.

Alison si sedette con la testa tra le mani. “Ma è orribile,” mormorò.

“Quindi nessuno vi aveva ancora informati?” chiese Charles.

“No, ed è meglio che io ne parli con gli altri. Aspettatemi qui.”

Si alzò barcollando. Charles le offrì un braccio per sostegno, ma quella sorrise flebilmente. “Me la caverò.”

Si richiuse la porta alle spalle.

“È strano,” disse Agatha. “Sto cominciando a sentirmi davvero dispiaciuta per loro. Che razza di madre! Speriamo che la notizia non circoli nel villaggio, altrimenti verremo invasi da tutti i giornalisti possibili e immaginabili.”

“Santo cielo,” disse Charles. Spalancò di scatto la porta. Due donne del villaggio, dall’altra parte dell’atrio, stavano con l’orecchio incollato al pannello della porta del salotto. “Ma che cosa state facendo?” gridò Charles. “Tornatevene in cucina!”

Si rivolse ad Agatha. “È meglio restare qui nell’ingresso, nel caso tentino di tornare. È un bel disastro. Inutile chiedere loro di tacere. E non abbiamo nessun elemento con cui minacciarle.”

In salotto qualcuno stava singhiozzando. Agatha e Charlesaspettarono a lungo. Un paio di volte la porta della cucina si aprì appena e poi si richiuse.

Alla fine Alison uscì. “Vogliono che ve ne andiate. Jimmy sembra sull’orlo di un crollo nervoso. Io di questa storia non so nulla, quindi non posso esservi di aiuto. Non credo che dovreste stare qui in un giorno del genere. Se avrò novità, passerò da voi in ufficio.”

In agenzia la signora Freedman disse: “È venuto Phil. L’ho rispedito a casa. Spero che non le dispiaccia. Gli ho detto che il suo rientro era prematuro”.

“Pover’uomo,” esclamò Agatha. “Devo proprio passare a trovarlo. Cosa stanno facendo Toni e Patrick?”

“Patrick sta lavorando su un caso di divorzio e Toni è in giro a cercare un’adolescente scomparsa.”

“Io ho da fare,” disse Charles. “Ti lascio al compito di badare a Phil. Dammi un passaggio fino al cottage, recupero la mia auto.”

Quando Agatha arrivò al cottage di Phil a Carsely, ci trovò la signora Bloxby.

“Ho appena portato al signor Witherspoon un po’ della mia minestra di pollo,” disse la moglie del pastore.

“Io non le ho portato nulla, Phil,” disse Agatha. “Però aspettate di sentire gli ultimi sviluppi. Ma prima di tutto, lei come si sente, Phil?”

“Sto bene. Vorrei proprio tornare al lavoro.”

“Domani, magari. Ora sentite questa…”

Quando Agatha ebbe finito di raccontare la storia dello scheletro, la signora Bloxby esclamò inorridita: “Quella donna era un vero demonio!”.

“Dopo tutti questi anni, la polizia dovrà sudare sangue per riuscire a provare che è stata stata lei, e con il carico di lavoro che hanno di questi tempi può darsi che non ci si mettano con troppo impegno. Insomma, il delitto è opera di Phyllis o di Hugh o di entrambi. Però Hugh era in giro, a fare una commissione per conto di Phyllis e…”

Le squillò il telefonino. Era Doris Simpson. “Potrebbe tornare a casa? Gli uomini sono qui con la cucina, ma per farcela entrare bisogna spostare tutto.”

“Arrivo subito,” rispose Agatha. Chiuse la telefonata. “Devo andare.”

Uscita Agatha, la signora Bloxby disse: “La signora Raisin ha bisogno di uno psichiatra”.

“Signora Bloxby!”

“No, non dico per lei. Volevo dire che dovrebbe parlare con uno di quegli esperti di psichiatria della polizia, e raccontargli tutto quello che sa su Phyllis Tamworthy e i suoi figli.”

“In questo potrei essere d’aiuto,” disse Phil. “C’è uno psichiatra in pensione che si occupava di criminali. Abita a Bourton-on-the-Water. Si chiama dottor Drayton. Spero che sia ancora vivo.”

Agatha fu costretta a sprecare una giornata, o almeno così le parve. In effetti considerava perso tutto il tempo dedicato a questioni domestiche. Si dovettero chiamare elettricisti e idraulici per spostare il frigorifero e la lavastoviglie e risistemarli in modo da fare spazio alla grossa cucina. Quando fu tutto finito, la cucina troneggiava lì, squadrata, lucida e imponente, assolutamente fuori posto.

I tecnici finalmente se ne andarono e subito dopo squillò il telefono di casa. Era la prima di una lunga serie di testate giornalistiche. La storia era uscita. Agatha avrebbe tanto voluto attribuirsi il merito di aver trovato quello scheletro e l’unica cosa che la tratteneva era che Charles le avrebbe fatto un predicozzo e Toni l’avrebbe bollata come una vecchia megera gelosa.

La ragazza era a casa e stava prendendo il tè in compagnia di George Pyson quando Agatha le telefonò. George era appena venuto a portarle una poltrona in pelle assai comoda e un robusto tavolo rotondo in legno di pino, e si era caricato sulla Land Rover i mobili vecchi, quindi Toni gli aveva preparato un tè.

“Toni,” disse Agatha, “mettiti l’abito della festa, truccati di tutto punto e vieni a Carsely. La stampa sarà qui tra poco per intervistarti.”

“Ma devo proprio?” la scongiurò Toni. “Potrebbe occuparsene lei.”

“Vogliono te,” disse Agatha con tono scontroso. “Quindi spicciati.”

Toni raccontò a George cos’era successo. Lui osservò con occhio critico l’abbigliamento della ragazza. Era come al solito in jeans e maglietta.

“Ce l’hai un paio di scarpe con i tacchi e una gonna?”

“Sì.”

“Tu cambiati, io ti aspetto in macchina. Non hai bisogno di truccarti molto, bastano un po’ di rossetto e di mascara.”

Agatha aprì loro la porta un’ora dopo e fissò Toni con sguardo tetro. La ragazza aveva gambe che sembravano arrivare alle ascelle, e con le ciglia scurite gli occhi parevano ancora più grandi.”

“I giornalisti, alcuni di loro, sono in salotto.”

Toni entrò e trasalì. Assiepati nel salotto di Agatha, c’erano cronisti, fotografi e troupe televisive.

Agatha ascoltò amareggiata mentre Toni raccontava la storia, dapprima con esitazione e poi con sempre maggiore disinvoltura.

Quando le fu chiesto: “Come ha fatto a indovinare che lì ci poteva essere un corpo? Che cosa l’ha fatta arrivare a questa conclusione?”, Toni sorrise: “Lavoro per la signora Agatha Raisin, probabilmente una delle investigatrici più brillanti del nostro paese. Mi ha insegnato lei tutto quello che so. La signora Raisin mi incoraggia a usare l’immaginazione. Avrebbe potuto tranquillamente dire: ‘Non essere sciocca’, invece mi ha invitata ad andare avanti”.

Dio benedica questa ragazza, pensò Agatha mentre la stampa cominciava a chiedere fotografie di loro due insieme.

Quando la sessione, a Dio piacendo, finì, Agatha accompagnò i giornalisti alla porta e a quel punto notò la presenza di George Pyson seduto sulla Land Rover davanti al cottage.

Si girò e chiese a Toni: “Che ci fa lui qui?”.

“Mi ha dato un passaggio.” Per qualche motivo Toni percepì che non sarebbe stato saggio parlare ad Agatha dei mobili. Agatha, a quanto pareva, non approvava George.

“Ma certo. Tu non possiedi un’auto,” disse Agatha. “Domani ne prenderemo una. Invita George a entrare, stapperò una bottiglia di vino.”

Terry Gilmour vide il servizio sulla sorella nell’ultimo telegiornale della sera. Era amareggiato e incattivito dalla gelosia. La casa sembrava una discarica, disseminata di bottiglie, lattine e cartoni della pizza vuoti. Sua madre era improvvisamente comparsa il giorno prima. Tremula, ma perfettamente sobria, gli aveva annunciato di essere in procinto di trasferirsi a Southampton, a casa di una vecchia compagna di scuola che era riuscita a staccarsi dalla bottiglia e che le avrebbe dato una mano a fare lo stesso.

Terry cominciò a piangere lacrime da ubriaco. Non aveva nessuno a cui rivolgersi. Perfino i suoi amici stavano cominciando ad accampare scuse pur di non vederlo. Ricordava vagamente di aver preso a pugni in faccia uno di loro, due sere prima, ma il resto della serata per lui era un buco nero.

“Se ne pentiranno tutti quanti!” gridò alla stanza in disordine, che rimase indifferente.

Agatha studiò George con attenzione e l’osservò da vicino mentre lui parlava con Toni, però non riuscì a cogliere alcun segno di interesse romantico. La voce della coscienza, di solito non particolarmente attiva, stava dicendo ad Agatha che quel suo comportamento era da vecchia zitella gelosa. Il telefono squillò e lei andò a rispondere. Era il giovane amico Roy Silver.

“Ma che è successo?” strillò lui. “Uno scheletro, avete trovato. Avresti potuto dirmelo.”

“Come puoi immaginare, sono molto presa. Ci sono orde di giornalisti.”

“Giornalisti?” Roy era sempre alla ricerca di pubblicità. “Posso venire da te nel fine settimana?”

“D’accordo. Ma potresti essere costretto a dormire sul divano, se la stanza degli ospiti è occupata da Charles.”

“A presto, allora.”

George si era alzato per andare via. “Stia attenta,” disse. “Qui fuori si aggira ancora un assassino.”

Dopo che se ne fu andato, portandosi dietro Toni, Agatha ricevette una telefonata da Phil.

“La signora Bloxby ha avuto questa idea formidabile,” disse Phil. “Dice che quello di cui lei ha bisogno, Agatha, è uno psichiatra.”

Agatha rimase ferita. “Mi stupisco…” esordì con rabbia quando Phil la interruppe.

“No, non per lei. Uno psichiatra della polizia, uno in pensione. Se gli riferiamo tutto quello che sappiamo su Phyllis, lui potrebbe riuscire a individuare un tratto del suo carattere tale da renderla probabile vittima di un omicidio.”

“Non ho bisogno di uno strizzacervelli, per capirlo,” disse Agatha. “A quanto pare Phyllis stessa aveva ucciso, quindi è facile immaginare che qualcuno potesse desiderare di uccidere lei. In effetti, dovevano esserci un sacco di persone pronte a farlo; non so neanche da che parte cominciare.”

“Avevo preso un appuntamento,” disse Phil. “Ovviamente lo posso sempre annullare.”

“Tanto vale fare un tentativo,” disse Agatha. “Dove? A che ora?”

“Sta a Bourton-on-the-Water. Domattina alle dieci.”

“Non è distante. Passo a prenderla alle nove e mezza.”

Agatha sbadigliò e si stiracchiò. Era il momento di farsi una bella dormita. Se solo non ci fosse stato sempre il problema di dover mangiare. Stava frugando nel congelatore, quando qualcuno suonò il campanello.

Dev’essere Charles, pensò, e senza prendersi la briga di controllare attraverso lo spioncino, spalancò la porta.

Jimmy Tamworthy era sul gradino, pallidissimo e con gli occhi scintillanti. “Devo dirle due paroline,” sibilò.

“È tardi,” disse Agatha, sbarrandogli il passo. “Venga da me in ufficio domani.”

“No, brutta stronza, adesso mi ascolti subito. Come osi andartene in giro a dire che mia madre era un’assassina? Potrei ucciderti.”

“Un’altra volta,” farfugliò Agatha. Rientrò velocissima e gli sbatté la porta in faccia. Si accasciò su una sedia della cucina, mentre Jimmy si attaccava al campanello e tempestava di calci e pugni la porta. Perché non sto chiamando la polizia? pensò Agatha. Perché sono così smidollata?

Tornò alla porta e gridò: “Ho chiamato la polizia!”.

All’improvviso scese il silenzio. Poi un ultimo calcio alla porta. Si sentì sbattere una portiera, Agatha guardò attraverso lo spioncino e vide l’auto di Jimmy allontanarsi.

Agatha telefonò a Bill Wong a casa, e fu costretta a dire alla terribile madre del sergente che si trattava di una questione di vita o di morte, prima che quella si decidesse a chiamare il figlio.

Bill ascoltò attentamente e disse: “Dovremmo arrestarlo”.

“Non lo so, Bill, non potreste ammonirlo e basta? Non riesco a fare a meno di pensare che, se avessi avuto una madre come Phyllis, sarei anche io fuori di testa.”

“D’accordo. Gli parlerò domani e gli incuterò terrore. Ma aspetta un attimo. Mi sta suonando il telefonino.”

Sembrò assentarsi molto a lungo. Poi finalmente tornò al telefono e disse: “Dovresti andare da Toni. La polizia è già partita”.

“Che cos’è successo?”

“Quel disgraziato di suo fratello si è impiccato.”

“Oddio. Ci vado subito.”

Agatha stava raccogliendo le sue cose, pronta a uscire, quando raggelò inorridita. Nella serratura dell’ingresso stava girando una chiave. Corse in cucina e afferrò un coltello da macellaio.

Quando tornò nell’atrio, brandendo la lama, ci trovò un sorridente Charles.

“Hai intenzione di uccidermi, Aggie?”

“Ma come sei entrato?”

“Ho fatto una copia delle chiavi.”

“Ma porca biscia! Come osi? Oh, lascia perdere. Dobbiamo andare da Toni. Suo fratello si è impiccato.”

Quando arrivarono a casa di Toni, trovarono la ragazza accudita da una poliziotta.

“C’è qualcosa che posso fare?” chiese Agatha.

Toni si alzò dal divano sul quale era seduta con l’amica Maggie, buttò le braccia al collo di Agatha e scoppiò a piangere.

“Su, su,” disse lei, dandole dei colpetti goffi sulla schiena. “Siamo qui noi con te. Sai dove sia tua madre?”

Toni si asciugò le lacrime. “Mi aveva scritto una lettera l’altro ieri. La polizia l’ha contattata. La sua amica la sta portando qui da Southampton.”

Agatha chiese alla poliziotta: “Terry ha lasciato un biglietto?”.

“Fortunatamente sì. E cerca di far sentire tutti in colpa.”

“Avete bisogno della signorina Gilmour, stasera? Vorrei portarla a casa con me.”

“Devo restare qui per mia madre,” disse Toni.

“È proprio necessario che identifichi il corpo già stasera?” chiese Agatha all’agente.

“No, domani andrà bene.” Si rivolse a Toni. “È sicura di non volere che io telefoni a un medico? Le potrebbe dare qualcosa per aiutarla a dormire.”

Toni scosse la testa.

“Quand’è stato trovato?” chiese Agatha.

“Due ore fa.”

“Però Bill Wong mi ha telefonato solo adesso.”

“Non è in servizio. Probabilmente uno dei suoi colleghi della centrale si è reso conto che la signorina Gilmour è coinvolta nell’indagine sull’omicidio che stiamo seguendo e gli ha telefonato.”

Il campanello suonò. “Non può essere tua madre, così presto,” disse Agatha.

“Sarà George,” disse Toni. “Avevo chiesto a Maggie di telefonargli.”

Agatha si sentì lievemente offesa che Toni non avesse pensato di chiamare lei.

George Pyson entrò nella stanza. “Più avanti lungo la strada c’è un bed and breakfast. Ho prenotato una stanza doppia per tua madre e la sua amica. Conosco la proprietaria. È molto gentile. Dice che, se la chiamerò quando le signore saranno prossime all’arrivo, si alzerà per farle entrare.”

“Vuoi che aspettiamo con te?” chiese Agatha, sentendosi superflua.

“No,” disse debolmente Toni. “Penso che George si occuperà di ogni cosa. E la mia amica Maggie dice che starà qui stanotte.”

Lungo la strada del ritorno a casa, Agatha disse a Charles: “Sai, George deve essere interessato a Toni. Però è troppo vecchio”.

“Avrà passato da poco i trenta, ed è un bell’uomo. Non t’impicciare.”

“Ho investito su quella ragazza un sacco di tempo e di soldi,” disse Agatha. “Tra poco la perderemo, perché sarà sposata con George e troppo incinta per lavorare.”

“Non ti avevo mai vista come una schiavista, Aggie.”

“Sono una donna d’affari, t’informo.”

“Lo vedo. Però sei paranoica.”