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Alla fine trovarono Lower Tapor dopo essersi persi un sacco di volte. A quanto pareva i cartelli stradali ignoravano l’esistenza di quel luogo. Né Roy né Agatha erano particolarmente abili nella lettura delle carte, e così fu per caso che finalmente si trovarono davanti a un segnale che annunciava Lower Tapor.
Guidarono lentamente tra due file di minuscoli cottage in mattoni rossi e finirono fuori dal villaggio, all’altra estremità.
“Ma porca biscia!” borbottò Agatha, eseguendo malamente un’inversione in otto tempi. Di nuovo indietro. “Cerca qualcuno,” sibilò Agatha.
La strada però era deserta. “Guarda!” disse Roy. “Lì a sinistra c’è una stradina. Da qualche parte deve ben portare.”
Agatha sterzò bruscamente e si tuffò nella via laterale. Arrivarono a un giardino triangolare circondato da case e da un pub che si chiamava La Volpe Pazza.
Agatha parcheggiò davanti al pub. Lei e Roy scesero e rimasero per un attimo fermi a osservare l’insegna del locale, sulla quale era dipinta una volpe in abiti da cacciatore, con il fucile in mano, ritta in piedi con una zampa appoggiata sul cadavere di un uomo.
Il pub era un edificio basso, costruito con la pietra dorata dei Cotswolds. Il villaggio era assai tranquillo. La giornata era perfetta e il sole caldo.
Agatha aprì la porta ed entrò, seguita da Roy. Si fermò, sbattendo gli occhi per lo stupore. Il locale era pieno di gente. Davanti al bancone del bar c’era un tizio con un blocco per gli appunti in mano. Stava parlando rivolto alla folla ma si zittì e fissò Agatha.
“Che cosa vuole?” chiese.
“Vorrei sapere come si arriva alla casa padronale,” rispose secca Agatha.
All’improvviso vi fu un fruscio di carte e di sussurri, il disagio era palpabile.
“Perché?” chiese l’uomo con il blocco degli appunti. Era grande e grosso, con l’aria dell’agricoltore, e gli occhietti gli si fecero improvvisamente minacciosi.
“Perché è lì che sto cercando di arrivare,” ululò Agatha.
“Uscite. Girate a destra e prendete Badger Lane. Vi porta dritti lì.”
“È possibile avere qualcosa da bere?” chiese Roy.
“No,” disse l’uomo. “Questa è una riunione privata. Andatevene.”
“Ma roba da matti!” disse Roy, una volta fuori.
“Oh, lascia perdere questi zotici d’indigeni,” disse Agatha. “Forza, troviamo questa casa.”
Risalirono in macchina e individuarono Badger Lane che partiva da un angolo del giardino pubblico. Agatha guidò lentamente. Il vicolo correva tra alti muri in pietra ed era talmente stretto che lei aveva paura di strusciare la carrozzeria.
“Eccolo,” disse, adocchiando un cancello doppio sul quale era appeso un minuscolo cartello con l’indicazione Manor House.
“Dovresti scendere e aprire il cancello,” disse Agatha.
“Perché io?” si lagnò Roy.
“Perché io sto guidando.”
Roy scese brontolando. Fu di ritorno alla svelta. “È chiuso con il lucchetto. Avremmo dovuto telefonare. Chiamala adesso.”
“No, voglio coglierla alla sprovvista,” disse Agatha. “Voglio scoprire se davvero è suonata. Lasciamo qui l’auto e scavalchiamo.”
“Potrebbe essere una fattoria,” disse Roy, a disagio, guardando i campi di grano che si estendevano al di là del cancello su entrambi i lati della strada. “Potremmo essere costretti a camminare per miglia e miglia.”
“Non fare la piaga. Andiamo.”
Mentre Agatha scavalcava il cancello, avvertì una spiacevole fitta all’anca. Le era stata diagnosticata un’artrite all’anca destra e le avevano prospettato un intervento ricostruttivo. Qualche mese prima, era tornata a seguire i suoi corsi di pilates ma negli ultimi tempi aveva smesso.
Lieta di aver deciso di indossare un completo pantalone e scarpe basse, Agatha cominciò ad arrancare lungo il viale di accesso.
Dopo due miglia di cammino, le facevano male i piedi e l’anca malata le pulsava dolorosamente.
“Deve essere qui da qualche parte,” disse, esasperata. “Davanti a noi ci sono degli alberi. Magari è lì.”
Ma quando arrivarono agli alberi trovarono un altro cartello, questa volta inchiodato a un palo, con la scritta MANOR HOUSE in lettere d’oro. Dinnanzi a loro una strada in catrame e ghiaino.
Proseguirono, contenti di essere all’ombra degli alberi. La strada era tortuosa e il bosco fitto su entrambi i lati.
“Camminiamo da ore,” gemette Roy.
Dopo quella che parve un’eternità arrivarono a un casotto e da lì videro la strada allungarsi tra due campi nei quali pascolavano le pecore, e in cima a una salita c’era l’edificio principale.
“Ci siamo quasi,” disse Agatha. Adesso stava rimpiangendo di non aver telefonato, invece di presentarsi di persona. Il completo pantalone di lino stava cominciando a incollarsi alla schiena e capiva di avere la faccia lucida.
“L’unico motivo che mi spinge a proseguire,” disse Roy, “è il pensiero di tutti i chili di ciccia che sto per forza perdendo.”
Oltrepassarono alcune stalle ben tenute, girarono un angolo e finalmente si trovarono di fronte alla casa. Era un edificio georgiano squadrato con l’ingresso a portico e una lunga ala vittoriana su uno dei lati.
“C’è un gran silenzio,” disse Roy. “Non è che magari la signora era al pub, per quella riunione?”
“Ormai siamo qui. Tanto vale provare a suonare.”
Suonarono il campanello e aspettarono. Alla fine la porta fu aperta da una donna piccola e robusta, dall’aria materna, con un antiquato grembiule a fiori sopra un vestito nero.
“Siamo venuti a parlare con la sua padrona,” disse Agatha, con gran pompa.
“E chi sarebbe?”
“La signora Tamworthy, ovvio.”
“L’avete trovata. La signora Tamworthy sono io.”
Agatha arrossì per l’imbarazzo. Una goccia di sudore le scivolò lungo la guancia. “Mi scusi tanto. Io sono Agatha Raisin. Lei mi aveva scritto.”
“Certo. Entrate.”
La seguirono attraverso un atrio e in un grande, arioso salotto che si affacciava su un bel panorama di prati, con un laghetto ornamentale.
“Accomodatevi,” ordinò la signora Tamworthy. “Qualcosa da bere?”
“Con piacere,” disse Agatha. “Un gin tonic, se ce l’ha.”
“Per me birra,” disse Roy, e Agatha lo guardò stupita. Non le risultava che Roy bevesse birra.
La signora Tamworthy andò all’armadietto dei liquori, che era nell’angolo. “Abita molto lontana dal villaggio,” disse Agatha. “Abbiamo camminato un bel po’. I cancelli sono chiusi con il lucchetto.”
“Ma non avrete fatto tutta quella strada! Sareste dovuti passare per Upper Tapor. Il cancello da quella parte è sempre aperto ed è a pochi metri dalla strada.”
Sotto l’armadio dei liquori c’era un piccolo frigorifero. Agatha sentì presto il gradito tintinnare del ghiaccio in un bicchiere.
“Le vostre bevande sono pronte,” annunciò la signora Tamworthy. I due si alzarono, Agatha trasalendo per il dolore.
Una volta tornati tutti a sedere, Agatha chiese: “Chi sta cercando di ucciderla?”.
“Ci proverà qualcuno della mia famiglia, credo. Verranno qui tutti sabato prossimo, per il mio ottantesimo compleanno.”
“Ottanta?! Non li dimostra.”
“È uno dei vantaggi dell’essere grassa, mia cara. Spiana le rughe.”
Agatha notò ciò che prima le era sfuggito, ovvero che i capelli della signora Tamworthy, raccolti in uno chignon a conchiglia, erano tinti di castano. Gli occhi erano circondati da un reticolo di solchi profondi ma le guance erano lisce. Gli occhi erano piccoli e neri, quel tipo di occhi che riesce a tenere ben nascosti i sentimenti di chi li possiede. Era molto piccola, molto tonda, le restava appena un vago accenno di giro vita. I piedi, infilati in pantofole basse, non arrivavano al pavimento.
Agatha bevve una sorsata generosa del suo gin tonic, aprì la borsetta e tirò fuori una penna e un quaderno.
“Perché qualcuno della sua famiglia dovrebbe volerla morta?”
“Perché ho intenzione di vendere questo posto, l’intera baracca, e questo comprende anche il villaggio.”
“Perché mai dovrebbero opporsi?”
“Perché tutti quanti vorrebbero continuare a vivere come i signori del castello. Li vedete i ritratti dei miei antenati, sulla parete?”
Agatha si girò. “Sì.”
“Sono tutti finti. È stata un’idea di mia figlia Sadie. Si vergognava del passato familiare perché adesso è sposata con sir Henry Field. Il mio defunto marito invece i soldi li ha fatti con i mattoni. Aveva cominciato lavorando come operaio, ma poi vinse alla lotteria e si è comprato la fornace che era sull’orlo del fallimento. Poi è venuto il boom dell’edilizia e lui ha fatto fortuna. Abbiamo avuto quattro figli: due maschi, Bert e Jimmy, e due femmine, Sadie e Fran. Hanno frequentato tutti buone scuole. Sadie e Fran le avevamo mandate in un collegio svizzero dove insegnavano le buone maniere ed è stato lì che hanno cominciato a nutrire idee di grandezza. Mio marito, Hugh, per loro avrebbe fatto qualunque cosa, ed è morto di cancro poco dopo aver ceduto alle loro insistenze, e comprato questa tenuta. Io gli sono subentrata nell’attività e sono riuscita a raddoppiare quel che mi aveva lasciato, trovando un bravo amministratore che ha fatto fruttare le fattorie. Mi hanno costretta addirittura a prendere lezioni di dizione. Ma adesso rivoglio la mia vita. Questo posto non mi è mai piaciuto. Voglio un appartamentino che sia tutto mio.”
“E perché non si limita a lasciare la tenuta ai suoi figli?”
“La manderebbero in rovina. Il mio Hugh non si è spaccato la schiena solo perché io potessi lasciare andare tutto in malora.”
“Ma che uno di loro voglia ucciderla!” esclamò Agatha. “È sicura?”
“Sarebbe bene che lei venisse alla mia festa di compleanno, e vedesse con i suoi occhi.”
“Non devo venirci in veste ufficiale di investigatrice, vero?”
“No, si presenti come mia amica. Può portare anche suo figlio, se vuole.”
“Non è mio figlio,” disse Agatha con rabbia. “Lavorava per me.”
“Si porti una borsa per la notte. Sarebbe bene che lei si fermasse per l’intero fine settimana.”
“Le farò spedire dalla mia segretaria un contratto in cui sono specificate le tariffe e le spese,” disse Agatha. “Ma l’altra sua figlia, Fran, è sposata?”
“Lo era, ma non ha funzionato. È divorziata.”
“Come mai non ha funzionato?”
“Suo marito Larry era un agente di cambio. Un idiota pieno di sé. Secondo Fran, lui la trovava ordinaria e la colpa era tutta mia. Mia figlia ha addebitato a me la responsabilità del divorzio.”
“E Sadie?”
“Ha sposato quel presuntuoso di sir Henry Field.”
“E i suoi figli maschi?”
“Bert è un tesoro, ma è un debole. Gestisce il mattonificio. Ha sposato la figlia di un agricoltore, o meglio lei ha sposato lui.”
“Come si chiama?”
“Alison.”
“Che tipo è?”
“Tutta SUV e tweed, e parla che pare la regina. Una bulla.”
“E Jimmy?”
L’espressione di Phyllis Tamworthy si addolcì. “Ah, il mio Jimmy. È tanto caro, lui. Tranquillo e perbene.”
“Quanti anni hanno i suoi figli?”
“Sadie ne ha cinquantotto, Fran cinquantasei, Bert cinquantadue e il mio Jimmy ne ha quaranta. È arrivato quando ormai pensavo di non avere più l’età.”
“E nipoti?”
“Ne ho solo due. C’è la figlia di Fran, Annabelle. Ha trentasette anni, e la figlia di Sadie, Lucy, che ne ha trentadue.”
“E hanno figli, loro?”
“Solo Lucy. La sua bambina, Jennifer, ha otto anni.”
Agatha scribacchiò veloce sul suo taccuino.
Roy si intromise. “Da chi di loro pensa che verrà uccisa?”
“Non lo so. La mia è solo una sensazione.”
Agatha alzò lo sguardo dagli appunti. “Non ci sta dicendo tutto, signora Tamworthy. In verità un’idea abbastanza precisa ce la deve avere. Lei mi pare una donna razionale. Non è tipa da semplici presentimenti.”
“L’investigatrice è lei. Io l’ho chiamata apposta per scoprirlo.”
Roy, di nuovo: “Siamo entrati nel pub del villaggio a chiedere indicazioni stradali e a quanto pareva era in corso una specie di assemblea”.
“Oh, quelli hanno sempre qualche lamentela. Anche il villaggio è di mia proprietà. Questo posto apparteneva a un certo sir Mark Riptor, prima che lo comprasse mio marito. Quando ho ereditato, mi hanno chiesto di donare trentamila sterline per mantenere in vita il club del cricket, perché sir Mark se ne era sempre fatto carico. Ho rifiutato. Poi pretendevano di fare qui la festa paesana. Sir Mark l’aveva sempre ospitata. Io ho detto di no. Hanno fatto notare che la festa fin dalla notte dei tempi si era sempre svolta nella casa padronale. Io ho detto: ‘Pace e amen’. E così tengono assemblee e brontolano. ‘Benvenuti nel Ventunesimo secolo,’ ho detto. ‘Da voi non mi aspetto che mi facciate la riverenza e vi comportiate da contadini del feudo, quindi non pretendete che io mi comporti da dama del castello. Levatevi dai piedi’.”
Agatha la fissò. “Non pensa che magari uno di loro potrebbe volerle fare del male?”
La signora Tamworthy rise. “No, a loro piace brontolare.”
“Quanto tempo desidera che io dedichi a questo caso?”
“Il fine settimana dovrebbe essere sufficiente. Ho annunciato che avrei messo in vendita il posto subito dopo il mio ottantesimo compleanno.”
“Ma a parte il desiderio di conservare questa villa come casa di famiglia,” disse Agatha, “non erediteranno da lei un mucchio di denaro? Insomma, questa tenuta deve valere una fortuna.”
“Non erediteranno molto. Io ho dovuto reggermi sulle mie gambe e gestire l’azienda. Loro dovrebbero imparare a fare la stessa cosa. Farò costruire un istituto tecnico in memoria del mio povero Hugh.”
“E i suoi figli lo sanno?”
“Sì, li ho informati qualche mese fa.”
“Ha mai fatto un testamento in cui lasciava loro qualcosa?”
“Sì, lasciavo tutto a loro quattro, che se lo dovevano spartire equamente.”
“E ha cambiato quel testamento?”
“Il nuovo testamento lo farò la settimana prossima, per avere la certezza che l’istituto tecnico venga effettivamente costruito. Non appena avrò venduto questo posto, darò l’avvio ai lavori. Godo di buona salute e desidero vederlo finito prima di morire. Se avanzerà qualcosa, i miei figli se lo potranno tenere.”
“Però possono ereditare l’istituto tecnico!”
“No, ho intenzione di lasciarlo allo Stato.”
Agatha fece un respiro profondo. “È stanca di vivere, per caso?”
“Niente affatto.”
“Senta, considerate le circostanze, se lei fosse mia madre sarei tentata anch’io di ucciderla. I suoi figli le vogliono bene?”
“Immagino di sì. Jimmy mi vuole bene.”
“Che cosa fa Jimmy?”
“Ha un’edicola-emporio a Upper Tapor. Gliel’ho comprata io, così è a posto.”
“Ma lui il negozio lo voleva?”
“Quel povero passerotto è tanto timido. Non sapeva neanche lui che cosa voleva fare. Io gli avevo detto che un negozio sarebbe stato perfetto. Hai rapporti con il pubblico. Sei costretto a uscire dal guscio. Spero di averle fornito informazioni sufficienti perché adesso sono stanca e vorrei andarmi a coricare.”
“Per caso ha qualcuno che potrebbe riaccompagnarci alla macchina?”
“Nelle stalle troverete Jill, che si occupa dei cavalli. Chiedete a lei. E ora se non vi dispiace…”
Jill era una ragazza allegra. Disse che sì, certo, avrebbe dato loro un passaggio, e di lì a poco si ritrovarono a percorrere il viale a sobbalzi, a bordo di una vecchia Land Rover. “La signora Tamworthy tiene molti cavalli?” gridò Agatha per sovrastare il ruggito del motore.
“No, lei no. Affitta le stalle a gente che partecipa alle cacce locali. Ci fa un sacco di soldi.”
Agatha rimase in silenzio. Continuava a chiedersi perché la signora Tamworthy si fosse ficcata in un pericolo del genere.
Sulla strada per Carsely, con Roy al fianco sul sedile del passeggero, gli chiese: “Che cosa hai intenzione di fare la prossima settimana, mentre io sarò in ufficio?”.
“Condurre una vita sana. Fare passeggiate.”
“Ti annoierai.”
“Ne dubito. Sarò talmente impegnato a riflettere su questa storia della festa di compleanno. È tutto talmente strano. Sembra la trama di un vecchio libro giallo.”
“Non ti preoccupare,” disse Agatha. “Non succederà nulla. Sono giunta alla conclusione che quella donna sia davvero un po’ picchiatella.”
La domenica fu una giornata pesante per Agatha, che più volte fu tentata di andare in ufficio solo per sfuggire allo sdilinquitissimo Roy che aveva comprato dieci copie del “Bugle” e non la finiva di leggere ad alta voce brani scelti dell’articolo che stroncava il Désir Vert.
Il lunedì mattina, Toni si presentò puntualissima al lavoro. Non vedeva l’ora di cominciare. Non si faceva illusioni su quel che le sarebbe toccato fare, però avrebbe potuto gestirsi da sola, come voleva, e questo le andava a genio.
“Allora,” disse Agatha, “qui abbiamo uno strano caso.” Riferì ai colleghi la storia della signora Tamworthy. Poi disse: “Patrick, vorrei che lei andasse in quel pub a Lower Tapor per capire quanto siano davvero arrabbiati gli abitanti del posto, e chi capeggia la protesta. Phil, invece lei dovrebbe andare all’edicola di Upper Tapor per farsi un’idea di che tipo sia questo Jimmy Tamworthy. L’idea di fargli gestire un negozio è stata di sua madre. Se mia madre fosse stata ricca e proprietaria di una grande tenuta, forse avrei considerato umiliante gestire una bottega di paese. Veda se riesce a capirci qualcosa. E dopo vorrei che mi controllaste le richieste di licenze edilizie. Non vedo perché i locali dovrebbero arrabbiarsi così tanto, solo perché la signora Tamworthy intende vendere il villaggio. Potrebbero anche sperare in un benefattore più generoso. Però alla signora Tamworthy fare i soldi piace. E se sperava di ottenere licenze edilizie per costruire altre case? O qualche struttura invisa agli abitanti del luogo? E poi Patrick, già che è al pub, cerchi di capire che opinione hanno i locali della signora Tamworthy. Se c’è stato qualche scandalo. Se pensano che sia pazza. Cose così”.
“Abbiamo anche quel caso di divorzio,” disse Patrick. “Dovremmo proprio chiuderlo. La signora Horrington ci paga un sacco di soldi. E poi c’è quello di cui si sta occupando Phil. Il signor Constable.”
“Del caso Horrington mi occuperò io. Non posso farmi vedere nei pressi di quel villaggio prima del prossimo fine settimana. Al ricevimento mi devo presentare come amica di famiglia.” Agatha si girò e guardò Toni, che era seduta in silenzio sul divano destinato ai clienti. Era vestita con jeans puliti, una maglietta bianca e sandali.
“Toni, la metterò subito alla prova con cose difficili. Le sa fare le fotografie?”
“Sì, a scuola facevo parte del club di fotografia.”
“Phil le darà il fascicolo del caso Constable e una macchina fotografica. L’automobile ce l’ha?”
“Sono troppo giovane per la patente. Ho una bicicletta.”
“Andrà benissimo. Nessuno sospetterà di essere spiato da una ragazzina in bicicletta.”
Phil porse a Toni un fascicolo. Santo cielo che vecchione, pensò Toni. Deve avere più di settant’anni, anche se sembra in forma. “È la solita storia,” disse Phil, sedendosi sul divano accanto alla ragazza. “Il marito, il signor Constable, crede che sua moglie Hetty lo stia tradendo. Avevo appena cominciato a pedinarla alla fine della scorsa settimana. Ecco qui l’indirizzo. È nei sobborghi settentrionali di Mircester, nella zona delle grandi ville. Proprio in fondo alla strada c’è un supermercato con un ampio parcheggio. Se lo attraversa tutto, riuscirà a vedere bene la casa, perché è la più vicina al supermercato. Hetty guida una BMW, quindi mi auguro che lei riesca a starle dietro, con il suo velocipede.”
“A Mircester il traffico è talmente intenso e lento che dovrei riuscire a tenerla a vista,” disse Toni.
“D’accordo. Le darò una macchina fotografica e un teleobiettivo con una custodia. L’attrezzatura è costosa, dunque la tenga da conto. Le darò anche un registratore piccolo ma potente, nel caso riesca ad avvicinarsi a sufficienza per captare qualcosa.”
Il cuore di Toni cominciò a batterle forte contro le costole. La signora Freedman, che si sentiva maternamente vicina alla ragazzetta, quella mattina appena prima che Agatha arrivasse aveva raccontato a Toni che il suo predecessore, Harry, aveva ritrovato un sacco di cani e gatti nei canili, e non aveva mai rivelato ad Agatha il motivo di tali e tanti successi. Quindi Toni si era preparata a un primo giorno assai facile.
Toni pedalava in direzione del supermercato, e intanto si chiedeva con un certo nervosismo come si potesse pensare di passare inosservati appostandosi ai margini di un parcheggio con un teleobiettivo attaccato al corpo macchina.
Ebbe un’idea. Arrivata al supermercato, entrò e comprò una confezione di biscotti con le gocce di cioccolato e una di sacchetti per alimenti. Tornata fuori, rovesciò i biscotti in uno dei sacchetti e lo richiuse ermeticamente. Poi risalì in bicicletta e pedalò fino a casa della signora Constable.
Suonò il campanello. Si sarebbe presentata come una ragazzina che vendeva biscotti per finanziare il proprio gruppo scout. In questo modo sarebbe riuscita a scoprire che faccia avesse la sua preda.
Quando la porta si aprì, Toni fissò la donna che a sua volta la stava fissando. “Signora Mackenzie! Che ci fa lei qui?” La signora Mackenzie era la sua vicina di casa.
“Sto facendo le pulizie, ecco cosa.”
“La signora Constable è in casa?”
“No, è fuori.”
Toni fece un respiro profondo. “Le posso parlare, signora Mackenzie?”
“Stavo proprio per fare una pausa. Entra. Ci beviamo qualcosa di caldo.”
Toni la seguì in cucina. “Non ho mai visto una cucina così, a parte nelle pubblicità,” si stupì. “È grandissima.”
“Fortunatamente per me, la signora non cucina quasi mai. A casa mangia bastoncini di carote, altrimenti cena fuori. Allora dimmi, tesoro, di che si tratta? Come mai la conosci?”
“Non la conosco,” disse Toni, e poi si affrettò a vuotare il sacco, raccontandole del nuovo lavoro di investigatrice e di come dovesse trovare le prove della relazione clandestina della signora Constable.
“Oh, certo che ha una relazione, e roba fortina, anche.”
“Come fa a saperlo?”
“Ho le chiavi di casa. Un giorno avevo dimenticato qui una borsa della spesa e sono tornata indietro. Ho aperto la porta senza fare rumore e sono entrata in cucina. Ci stavano dando dentro, sdraiati sul pavimento.”
“Sa per caso come si chiami quel tizio?”
“No; non l’ho nemmeno visto in faccia, ho visto solo il suo sederone peloso.”
“Se io riuscissi a scattare una fotografia, sarebbe molto utile,” disse Toni.
“A me lei è antipatica, c’è poco da fare,” disse la signora Mackenzie. “Levatemela di torno, così potrò lavorare in santa pace facendo le pulizie solo per il signor Constable. È così carino, lui.”
“Magari potrei nascondermi nel giardino sul retro e sperare che lei e il suo amico scelgano di nuovo la cucina,” disse Toni.
“Ecco, bevi il tuo tè e vai via, così non rischiamo nel caso lei tornasse all’improvviso. Non voglio sapere altro su quello che intendi fare, e io e te non ci siamo mai parlate, bada.”
“Stia tranquilla.”
Toni bevve in fretta il suo tè, ringraziò la signoraMackenzie e uscì. Ma spinse la bici fino al giardino sul retro e la nascose tra i cespugli. Poi si accovacciò sotto la finestra e aspettò.
Fortunatamente il giardino era circondato da un alto steccato e da una bordura di alberi e dunque non era visibile dalle case vicine.
Toni aspettò. E aspettò. In giardino cominciò a fare caldo. Dopo un po’ sentì sbattere la porta d’ingresso. Sperò che fosse la signora Constable di ritorno a casa, ma poi capì che probabilmente era la signora Mackenzie che se ne stava andando. Aprì il sacchetto e tirò fuori un biscotto. Il cioccolato si era sciolto e le si appiccicò alle dita.
Poi, alle due del pomeriggio, quando ormai la sete e il mal di gambe la stavano spingendo a mollare il colpo, Toni sentì arrivare delle voci dalla cucina. “Cristo, che caldo fa, qui dentro,” disse una voce di donna.
Una voce maschile profonda disse: “E allora spogliati, tesoro”.
Toni tirò fuori la macchina fotografica e si alzò lentamente finché non fu in grado di vedere dentro la cucina. Un tizio robusto stava sbottonando la camicetta di una donna alta e bionda, mentre lei armeggiava con la cintura dei jeans del compagno. “Forza. Sbrigati,” disse lui. Caddero a terra.
Il tizio cominciò ben presto a grugnire rumorosamente, coprendo i frenetici clic clicdell’otturatore. Toni tirò fuori anche il registratore e registrò tutte le oscenità che stavano fluendo da quelle bocche.
Lievemente nauseata, Toni recuperò senza fare rumore la bicicletta dai cespugli e girò silenziosamente attorno alla casa.
Le sue compagne di scuola avevano guardato video pornografici sul computer e anche lei aveva visto qualcosina. Però essere testimoni del fatto reale è abbastanza disgustoso, rifletté.
Pedalò più veloce che poté, fermandosi finalmente in un caffè dove ordinò un sostanzioso pasto a base di uova e patatine fritte, e due Coca-Cola.
Poi tornò in ufficio.
Agatha stava leggendo un po’ di corrispondenza. Alzò lo sguardo all’ingresso di Toni. “Troppo caldo?” chiese. “Anche io mi sono arresa.”
“No, ho le fotografie.”
“Santi numi! Le stampi e diamoci un’occhiata. C’è una stampante, lì. Io non sono capace di farla funzionare. E lei?”
“Io sì.” Toni stampò le foto e le porse ad Agatha. “Ho anche una registrazione su nastro.” Accese il registratore. La signora Freedman si coprì le orecchie con le mani.
“Basta così,” disse bruscamente Agatha. “Ben fatto. Ma non immaginavo che una ragazza giovane come lei avrebbe finito per essere esposta a simili sozzure. Mi dispiace. Come ha fatto a procurarsi questa roba?”
Toni glielo disse.
Finito il racconto, Agatha disse: “Per un lavoro del genere in tutta onestà non le posso pagare uno stipendio da tirocinante. Domani discuteremo un contratto. Il resto della giornata se lo prenda pure come riposo. Signora Freedman, telefoni al signor Constable”.
“Che cosa devo fare con la macchina fotografica di Phil?”
“Se la porti a casa e la riporti domani.”