PREFAZIONE

L’insopprimibile realtà del passato

di Grado Giovanni Merlo

Il testo che qui presentiamo riproduce quanto Marc Bloch disse, nel corso dell’anno scolastico 1927-1928, «devant les étudiants» che si stavano preparando a «l’agrégation d’allemand», cioè davanti ai futuri insegnanti di tedesco delle scuole di Francia. Si tratta perciò di un testo, destinato a un pubblico francese, dalle caratteristiche didattiche: e come tale va preso. La suddivisione è in due sezioni, dedicate all’«istituzione imperiale» e all’«idea imperiale», sezione a sua volta articolata in due parti, probabilmente corrispondenti ai ritmi delle lezioni. Non si cerchino in esso particolari novità contenutistiche o interpretative. Piuttosto, si rifletta sui procedimenti espositivi e sulla scelta della documentazione utilizzata in senso esemplarmente esplicativo. Fonti e documenti sono considerati sullo stesso piano come testimonianze di un «sistema» e, nel contempo, della «coscienza del sistema». Il sistema è «l’Impero» e la coscienza del sistema è «l’idea di Impero». Ne risulta una trattazione tanto lineare quanto meditata.

Si parte da lontano, dalla «formazione territoriale dell’Impero», risalendo alle sue «origini carolinge», e ci si ferma, come prima tappa, agli inizi del secolo XI, quando «la formazione territoriale dell’“Impero” era compiuta». Si passa quindi dalla dimensione geo-politica a quella politico-costituzionale, affrontando l’evoluzione delle modalità di scelta del Re di Germania, che da «un regime misto, elettivo ed ereditario» diviene esclusivamente «ereditario», a partire dall’imporsi della stirpe degli Hohenstaufen, in Italia detti anche Svevi. Di qui si delinea la netta distinzione con quanto accade contemporaneamente nei regni di Francia e d’Inghilterra, in cui si afferma, con varia efficacia, il «regime ereditario». Le conseguenze nel tempo non saranno poche né irrilevanti; ma vi è una differenza costitutiva nel fatto che il Re di Germania era destinato a ricoprire, anche e soprattutto, la carica di Imperatore, alla quale perveniva soltanto attraverso la consacrazione da parte del Papa: consacrazione che doveva avvenire esclusivamente nella città di Roma.

Papa e Roma rappresentano la fonte di legittimazione e, nel contempo, di complicazione, sul piano sia pratico sia teorico. Marc Bloch non opta per una histoire événementielle, per una narrazione dei fatti riguardanti il complesso e conflittuale operare di Papi e Imperatori di età sveva, dal 1138 al 1250. Si sofferma piuttosto sul non facile tema dell’«idea imperiale», premettendo che «lo studio delle idee e dei sentimenti politici è sempre di un’estrema difficoltà», poiché «in una stessa coscienza, queste rappresentazioni, intellettuali o affettive, formano un tutto ben connesso». Allo studioso di storia il compito di distinguere tra «idee politiche» e «sentimenti politici», mantenendo sempre una prospettiva diacronica. Si sarebbe tentati di affermare che in merito si evidenzia un’innovativa consapevolezza delle distinzioni tra una «storia politologica» e una «storia della mentalità», anche se le direzioni dell’una e dell’altra non sono parallele, bensì circolari, trovando infine la loro ricongiunzione proprio nell’«idea imperiale». Ne riparleremo.

L’idea imperiale pretende di essere di antica origine. Anzi pretende di collegarsi con due possenti tradizioni, quella romana e quella carolingia, anche se la seconda conosce una lenta e inesorabile riduzione nel mondo svevo, mentre è fatta propria dalla monarchia capetingia. Ben più consistente e resistente fu la memoria dell’antica potenza dell’Impero romano, grazie anche alla ripresa dello studio del diritto romano, all’interno del più ampio fenomeno della «grande Rinascita dell’Antichità». Il mito della monarchia imperiale portava con sé un altro elemento determinate: «L’idea di una regalità sacra». A questo punto, non è difficile capire che i rapporti con il papato si presentassero carichi di ambiguità e potenziali, o conseguenti, conflittualità, soprattutto quando i pontefici interpretavano la loro potenza in chiave ierocratica. Ambiguità e conflittualità si dovevano ingigantire allorché la figura sacrale dell’Imperatore venne considerata all’interno di visioni messianiche, attraverso le quali egli entrava di prepotenza nella historia salutis.

L’interpretazione che di tutto ciò diede Federico II, in un crescendo di «elevazione» di se stesso fino al punto di presentarsi come Messia, spinse all’eccesso la contrapposizione con il papato. A livello teorico e ideale, il papato non poteva certo accettare un Imperatore «sacralmente» antagonista: tanto più pericoloso in quanto, a livello dell’agire, aveva optato per un politica «italiana» destinata, se vincente, a ridimensionare e controllare la potenza «temporale» della Chiesa di Roma. D’altronde, nell’interpretazione sveva, la potenza imperiale era strutturalmente incompatibile con la ierocrazia pontificia. Non è caso che Marc Bloch ricordi un’affermazione di Federico I Barbarossa decisiva in tal senso: «Noi che, per grazia della clemenza divina, reggiamo il timone sia della Città [Roma] sia del Mondo». Ne consegue che l’Impero potesse perseguire «due ambizioni precise, di portata in apparenza molto differente, ma, ciononostante, strettamente legate: il potere su Roma e il potere sul papato». Così Marc Bloch può giungere ad affermare: «La lotta degli Imperatori e dei Papi occupa l’epoca degli Hohenstaufen. Impossibile descriverla in poche parole. Ma occorre spiegare come essa fosse una conseguenza dell’idea imperiale stessa».

Quella lotta si motivava, in rapida ed efficace sintesi, nell’inconciliabilità della reciproca convinzione, istituzionale e ideologica, che sia l’Imperatore sia il Papa avessero il diritto di rivendicare l’esclusivo patrocinium sulla cristianità intera. Una volta dispiegata, quella lotta implicava un esito chiaro già agli uomini del secolo XIII: essa poteva «finire soltanto con l’annientamento di uno dei due avversari». La conclusione è una: «La guerra tra principi così opposti fra loro era inevitabile. In questa tragedia, l’Impero, quale era stato concepito dagli Hohenstaufen, soccombette». Curiosamente, la sconfitta dell’Impero non significò, come si potrebbe pensare, effettiva vittoria del papato, che non pervenne a realizzare l’agognato «dominio del mondo»: un disegno irrealizzabile nell’Europa tardomedievale degli Stati e delle nazioni. Ma su questa dimensione dell’esito dello scontro Marc Bloch non si sofferma. Lo stesso Impero, dopo il tramonto degli Hohenstaufen, tenderà ad assumere sempre più una fisionomia e una realtà tedesca: a metà del secolo XIV la conferma a Imperatore del Re di Germania fu sottratta al papato. Si trattava del risultato di vicende della durata plurisecolare. D’altronde, Marc Bloch sottolinea come concezioni corrosive dell’universalità dell’Impero fossero operanti, per lo meno, dal secolo XIII: «Gli altri popoli avevano piena coscienza che l’Impero, a dispetto delle sue aspirazioni all’universalità, fosse una cosa tedesca», contribuendo a «fortificare» il «patriottismo tedesco».

A questo punto, con una sorta di volo pindarico, Marc Bloch conclude il suo saggio, arrivando, attraverso un balzo cronologico di molti secoli, fino al secolo XIX, quando assume particolare centralità la «discussione da parte degli intellettuali tedeschi per sapere se i sovrani, nel Medioevo, avessero avuto ragione o torto nel perseguire vaste ambizioni imperiali, al posto di limitarsi al compito più modesto dell’unificazione nazionale, compiuto, per esempio, dai Re di Francia». A questo proposito, il grande storico francese perveniva alla «contemporaneità» dei temi affrontati dal punto di vista storico. Sullo sfondo vi è la contemporaneità dei conflittuali (e irrisolti) rapporti tra Francia e Germania, che, comunque, non potevano far dimenticare il passato, anche lontano: con la sottolineatura che «in Germania, dopo il 1250», l’«idea imperiale […] in definitiva mai è stata dimenticata a diversi livelli, secondo le epoche» e che «forse non sarebbe impossibile, ancora oggi [alla fine degli anni Venti del Novecento], rintracciarne gli effetti in certi tratti, fondamentalmente dominatori, del patriottismo tedesco».

Quindici anni dopo la pubblicazione del saggio su L’Empire et l’idée d’Empire sous les Hohenstaufen, il 16 giugno 1944 Marc Bloch fu fucilato dai nazisti, dopo aver conosciuto violenze e torture da parte della Gestapo: il «patriottismo tedesco» aveva subìto mostruose evoluzioni e metamorfosi. In proposito, non sarà superfluo che ognuno mediti sulle evoluzioni e metamorfosi che sembrano aver avuto le parole dell’Imperatore Federico II di Svevia, indirizzate alla Germania in un manifesto del 16 marzo 1240: «Sollevati, invincibile Germania! Sollevatevi, popoli germanici! Difendete il nostro Impero, che vi è valso, con l’invidia di tutte le nazioni, la dignità suprema e la monarchia del mondo». Idee politiche e sentimenti politici perdurano, dunque, nel tempo, certo modificandosi, ma rimanendo ferma la loro sintesi in miti duraturi: una sorta di eredità «ideologica» che a volte può generare mostri. L’insopprimibile realtà del passato, remoto o prossimo che sia, costringe alla riflessione, con la conseguente presa di coscienza che essa, volenti o nolenti, comunque ci riguarda, se non ci appartiene.