Illinois

Intorno al 1830, anno piú anno meno, una lettera raggiunse William Laidlaw nelle Highlands. Era dei suoi fratelli i quali si lagnavano di non avere sue notizie da tre anni, e gli comunicavano che il padre era morto. Non gli ci volle molto, accertata la notizia, per fare i preparativi e andarsene in America. Chiese e ottenne una lettera di credenziali dal suo datore di lavoro, il colonnello Munro (forse uno dei tanti proprietari terrieri delle Highlands che si erano garantiti guadagni sicuri con l’allevamento di ovini, ingaggiando un fattore originario delle terre di confine). Attese che Mary avesse dato alla luce il quarto maschietto – vale a dire Thomas, il mio bisnonno –, poi fece su armi e bagagli e partí. Suo padre e i fratelli avevano parlato di America, ma cosí dicendo in realtà si riferivano al Canada. William si esprimeva con precisione. Si era lasciato alle spalle la valle di Ettrick per le Highlands senza il minimo rimpianto, e adesso era pronto a sottrarsi del tutto alla bandiera britannica: la sua meta era l’Illinois.

Trovarono una sistemazione a Joliet, nella zona di Chicago.

E proprio a Joliet, il 5 gennaio del 1839 o del ’40, William morí di colera, e Mary partorí una bambina. Il tutto lo stesso giorno.

La donna scrisse ai fratelli in Ontario – che altro poteva fare? – e verso tarda primavera, quando le strade furono asciutte e le sementi a dimora, Andrew arrivò con un tiro di buoi e un carro, a prendere lei, i bambini e mercanzie varie per riportarli con sé a Esquesing.

– Dov’è la scatola di latta? – chiese Mary. – L’ho vista giusto prima di coricarmi. È già sul carro?

Andrew disse di no. Aveva appena finito di caricare due rotoli di biancheria, imballati nella tela.

– Becky? – esclamò brusca Mary. Becky Johnson era seduta lí a ondeggiare avanti e indietro su uno sgabello, con la piccola in braccio, perciò poteva dirlo di sicuro se sapeva dove fosse finita la scatola. Ma era di cattivo umore quel mattino; non aveva quasi aperto bocca. E anche adesso si limitò a scuotere appena il capo, come se scatola, bagagli, preparativi e partenza ormai imminente non significassero nulla per lei.

– Ma, capisce? – chiese Andrew. Becky era mezza indiana e l’aveva scambiata per una domestica, finché Mary non gli spiegò che era una vicina.

– Ci sono anche da noi, – aggiunse, come se Becky non fosse fornita di orecchie. – Però non li facciamo entrare in casa e accomodare cosí.

– Mi ha aiutata piú di tutti gli altri, – disse Mary cercando di zittirlo. – Il padre era un bianco.

– Ah… – fece Andrew, come a dire che esistevano due modi di interpretare quel dato.

Mary disse: – Non riesco a capire come ha fatto a sparirmi da sotto agli occhi.

Trasferí lo sguardo dal cognato al figlio, sua fonte di massima consolazione.

– Johnnie, per caso hai visto la scatola di latta nera?

Johnnie era seduto sulla branda bassa dei letti a castello, già spogliata delle lenzuola, impegnato a tenere d’occhio i fratellini Robbie e Tommy, come gli aveva chiesto di fare sua madre. Si era inventato un gioco: lasciava cadere a terra un cucchiaio tra le doghe del letto e vedeva chi arrivava a raccoglierlo per primo. Naturalmente vinceva sempre Robbie, anche se Johnnie gli aveva detto di rallentare e concedere un po’ di vantaggio al fratello piccolo. Ma Tommy era talmente preso dalla gara che sembrava non farci caso. Tanto ci aveva fatto l’abitudine, essendo il minore.

Johnnie scosse la testa, sovrappensiero. Mary non si aspettava di piú. Ma un attimo dopo il bambino parlò, come se gli fosse tornato in mente.

– Ci è seduto sopra Jamie. Fuori in cortile.

Non solo ci stava seduto sopra, constatò Mary precipitandosi fuori, ma l’aveva anche coperta con la giacca del padre, quella che Will indossava il giorno del matrimonio. Doveva averla tirata fuori dal baule degli abiti già sistemato sul carro.

– Che cosa fai? – chiese Mary, come se non lo vedesse. – Ti ho detto che quella scatola non si tocca. Che ci fai con la giacca di tuo padre, dopo che l’avevo già messa via? Ti meriteresti una sberla.

Sapeva che Andrew la stava guardando e probabilmente giudicava il rimprovero troppo blando. Quando gli aveva chiesto di aiutarlo a caricare il baule, Jamie aveva ubbidito, di malavoglia, ma poi se l’era svignata, anziché rimanere nei pressi per vedere se poteva dare ancora una mano. E il giorno prima, all’arrivo di Andrew, il bambino aveva fatto finta di non sapere chi fosse. – In strada c’è un signore con un carro e dei buoi, – aveva detto alla madre, come se non si aspettassero nessuno e la faccenda comunque non lo riguardasse.

Andrew aveva chiesto a Mary se il ragazzino era a posto. Di testa, intendeva.

– La morte di suo padre è stata dura per lui, – aveva risposto lei.

E Andrew: – Ah, già, – ma poi aveva anche aggiunto che ormai c’era stato tutto il tempo per farsene una ragione.

La scatola era chiusa. Mary teneva la chiave legata al collo. Si chiese se, non sapendolo, Jamie avesse pensato di guardarci dentro. Le venne da piangere.

– Rimetti la giacca nel baule, – fu tutto ciò che le uscí di bocca.

Dentro la scatola c’era la pistola di Will, e poi certe carte che servivano a Andrew per la casa e il terreno, e la lettera che aveva scritto il colonnello Munro prima che lasciassero la Scozia, e anche un’altra lettera che Mary aveva mandato a Will, prima del matrimonio. Era in risposta a una lettera di lui – il primo cenno che le dava da quando se n’era andato da Ettrick, anni addietro – dove Will diceva che si ricordava benissimo di lei e che si stupiva di non aver ancora ricevuto notizia del suo matrimonio. E Mary gli aveva risposto che se mai si fosse sposata gli avrebbe mandato un invito.

«Tra poco sarò come uno di quei vecchi almanacci rimasti sullo scaffale, che nessuno vuole piú comprare», gli scrisse. (Che vergogna però, quando lui le mostrò quella lettera molto tempo dopo e lei si accorse di aver scritto almanacchi senz’acca. Vivere con lui, tra libri e giornali, aveva fatto un gran bene alla sua ortografia).

In effetti aveva già venticinque anni compiuti quando gli aveva scritto cosí, ma era ancora piuttosto sicura del suo aspetto fisico. Quale donna, incerta su quel fronte, avrebbe azzardato un paragone del genere? E aveva poi concluso addirittura invitandolo, in modo aperto e diretto. Se dovesse venire a farmi la corte, gli aveva detto, se dovesse venire a farmi la corte in una notte di luna, penso che la preferirei a chiunque altro.

Che occasione ti offrivo, commentò Mary quando Will le mostrò la lettera. Non avevo proprio un briciolo di orgoglio.

Neanch’io, disse lui.

Prima di partire, portò i bambini sulla tomba di Will a dirgli addio. Anche la piccola Jane, che non se ne sarebbe ricordata, ma alla quale in seguito avrebbero potuto dire che c’era stata.

– Che ne sa lei? – disse Becky, cercando di tenersi stretta la piccola ancora un momento. Mary però gliela prese dalle braccia e a quel punto Becky andò via. Uscí dalla casa senza neanche salutare. Era stata presente alla nascita della bambina e si era presa cura di entrambe quando Mary era fuori di sé, eppure non aspettò nemmeno che tornassero per salutarli.

Mary obbligò i bambini a dire addio al padre uno alla volta. Gli disse ciao anche Tommy, desideroso di imitare gli altri. La voce di Jamie era fioca e senza espressione, come se gli avessero ordinato di recitare una poesia a scuola.

La piccola si agitava in braccio a Mary, forse sentendo la mancanza di Becky e del suo odore. Sarà stato quello, e il pensiero di Andrew che aspettava, con la fretta di avviarsi, e in piú la vergogna, e l’irritazione suscitata dal tono di Jamie, fatto sta che l’addio di Mary fu lesto e formale come se non ci stesse mettendo il cuore.

Jamie aveva un’idea abbastanza precisa di cosa ne avrebbe pensato suo padre. Di quella sceneggiata di portarli tutti quanti in corteo a salutare una pietra. Suo padre non ci credeva alla frottola di scambiare una cosa per un’altra e avrebbe commentato che un sasso è un sasso e che se c’era modo di parlare con un morto e di sentire quello che lui aveva da dire, di certo non si faceva cosí.

Sua madre era bugiarda, o se non proprio bugiarda, almeno una che nascondeva le cose. Che lo zio sarebbe venuto l’aveva detto, ma che poi sarebbero tornati con lui, non l’aveva detto invece, ne era sicuro. E quando la verità era saltata fuori, pretendeva di far credere che l’aveva avvisato. Ma soprattutto, aveva osato sostenere la falsità ignobile che suo padre avrebbe voluto cosí.

Lo zio ce l’aveva con lui. Era ovvio. Quando la madre aveva detto con quei suoi modi imbecilli e carichi di speranza: «Ecco, adesso è Jamie l’uomo di casa», lo zio aveva replicato: «Eh già», come a intendere che era messa proprio male, se non era riuscita a trovarsi di meglio.

Nel giro di mezza giornata si erano lasciati alle spalle la prateria e le sue pozze basse, ispide di cespugli. E pensare che i buoi procedevano a passo d’uomo. Jamie correva il doppio, scomparendo in avanti per poi riapparire dietro ogni curva e scomparire di nuovo, in eterno vantaggio.

– Non ce li hanno i cavalli, dove abiti tu? – domandò Johnnie allo zio. Ogni tanto i cavalli li superavano, in un turbine di polvere.

– Queste qui sono bestie robuste, – rispose lo zio, dopo un momento. E aggiunse: – Non te l’ha mai insegnato nessuno che non si parla senza permesso?

– È che abbiamo talmente tante cose, Johnnie, – si intromise la madre, con una voce che era al tempo stesso di ammonimento e di supplica. – E quando sei stanco di camminare, puoi montare in cima e farti portare anche tu.

Tommy l’aveva già preso in grembo da una parte, mentre dall’altra reggeva la piccola. Robbie sentí quel che aveva detto la madre e lo prese per un invito, cosí Johnnie dovette sollevarlo e farlo arrampicare dietro, in cima ai sacchi.

– Vuoi salire lassú con gli altri? – chiese lo zio. – Dillo subito, se è cosí.

Johnnie fece di no con la testa, ma lo zio non doveva averlo visto, perché subito dopo disse: – Voglio una risposta, quando ti parlo.

Johnnie disse: – No, signore, – come gli avevano insegnato a scuola.

– No, zio Andrew, – lo corresse sua madre, confondendogli ancora di piú le idee visto che quello per lei non era lo zio Andrew di sicuro.

Lo zio Andrew emise un verso spazientito.

– Johnnie cerca sempre di fare il bravo bambino, – spiegò sua madre, e Johnnie avrebbe dovuto essere contento, ma non fu cosí.

Si erano inoltrati in una foresta di grandi querce i cui rami si intrecciavano ad arco sulla strada. Fra le chiome spoglie, si sentivano, e a volte si vedevano spiccare il volo, rigogoli, cardinali, e itteri alirosse. Il sommacco aveva messo fuori le sue pannocchie color crema; tossillagini e colombine erano in fiore, e il verbasco innalzava le spighe fiorite, ritte come soldati. Il capelvenere cresceva cosí fitto da formare un tappeto soffice come chiome di belle fanciulle.

– Hai sentito storie di linci? – chiese Mary a Andrew. – Voglio dire, le altre volte che hai fatto questa strada.

– Se anche le avessi sentite non ci avrei badato, – disse Andrew. – Stai pensando al tuo giovanotto, là davanti? Mi ricorda suo padre.

Mary non replicò.

Andrew disse: – Non ce la farà a reggere fino alla fine.

Il che si rivelò vero. Alla curva successiva, non videro Jamie davanti. Mary non parlò, per paura che Andrew la giudicasse stupida. Un altro buon tratto di strada pianeggiante, e il bambino non era neanche lí. Percorsa una certa distanza, Andrew disse: – Girati come se volessi controllare i piccoli sul carro, non guardare sulla strada –. Mary lo fece e scorse una sagoma che li seguiva. Era troppo lontano per vederlo in faccia, ma non ebbe dubbi che si trattava di Jamie, arrancante a passo molto meno svelto.

– Si è nascosto nel bosco e ci ha fatti passare, – disse Andrew. – Meno paura delle linci, adesso?

La sera si fermarono presso il confine con l’Indiana, a una taverna di posta. Il bosco era folto in lontananza, ma lí c’era qualche pascolo cintato, e costruzioni di tronchi e assi di legno, fienili e abitazioni. Jamie se l’era fatta tutta a piedi, avvicinandosi al carro col calare della sera. Si fece buio in fretta sotto l’arco degli alberi; quando sbucarono nella radura fu sorprendente constatare quanta luce ci fosse ancora. I bambini sul carro si erano svegliati – ci era salito pure Johnnie, con il sopraggiungere del buio – e se ne stavano tutti zitti, assorbiti dal posto nuovo e dalla gente intorno. Sapevano che anche a Joliet c’erano delle locande – tre in tutto – ma non avevano mai avuto il permesso di bazzicare nei pressi di luoghi del genere.

Andrew parlò al tizio che era uscito. Chiese una stanza per Mary, la bambina e i due maschietti piú piccoli, e prese accordi per arrangiarsi a dormire sotto il portico con i due piú grandi. Poi, mentre i ragazzini saltavano a terra, aiutò Mary a scendere e portò il carro sul retro dove, secondo il locandiere, la mercanzia sarebbe stata al sicuro. I buoi potevano essere liberati nel pascolo.

E in mezzo a loro c’era Jamie. Aveva gli scarponcini legati intorno al collo.

– Jamie è venuto a piedi, – sentenziò Robbie.

Johnnie si rivolse a Mary: – Quanto ha camminato?

Mary rispose che non ne aveva idea. – Quanto basta a sfinirsi, comunque.

Jamie disse: – Non è vero. Non sono stanco neanche un po’. Potrei rifarla benissimo daccapo.

Johnnie volle sapere se aveva avvistato delle linci.

– No.

Attraversarono il portico, con gli uomini seduti sulle sedie o sulla ringhiera a fumare. Mary disse «Buonasera», e quelli risposero «Buonasera», senza alzare gli occhi.

Procedendo al fianco della madre, Jamie disse: – Ho visto una persona.

– Chi? chi? – chiese Johnnie. – Era l’uomo nero?

Jamie non gli diede retta. Mary disse: – Non spaventarlo, Jamie.

Poi, con un sospiro, aggiunse: – Si suona questo campanello, giusto? – e suonò, e una donna uscí dalla porta sul retro. Li scortò di sopra in una camera da letto e disse che avrebbe portato dell’acqua per Mary. I bambini invece potevano lavarsi giú alla cisterna. C’erano pure gli asciugamani, stesi fuori.

– Su, – disse Mary a Jamie. – Porta anche Johnnie. Io mi tengo qui Robbie e Tommy.

– Ho visto una persona che conosci, – disse Jamie.

La bambina era talmente bagnata che per cambiarla le sarebbe toccato metterla per terra anziché sul letto. Mary era inginocchiata quando disse: – Chi era? In che senso una persona che conosco?

– Ho visto Becky Johnson.

– Dove? – disse Mary, sporgendosi indietro. – Dove? Becky Johnson? È qui?

– L’ho vista nel bosco.

– E dove andava? Cosa ti ha detto?

– Era troppo lontana, non le ho parlato. Lei non mi ha visto.

– Eravamo ancora vicini a casa? – chiese Mary. – Pensaci bene. Piú vicini a casa o a qui?

– Piú vicini a qui, – rispose Jamie, pensoso. – Perché la chiami casa, se tanto non ci torniamo piú?

Mary ignorò la domanda. – Dove stava andando?

– Veniva di qua. È sparita subito –. Scosse la testa con un gesto da vecchio. – Faceva piano piano.

– Gli indiani fanno cosí, – disse Mary. – Non hai provato a seguirla eh?

– Camminava e si nascondeva in mezzo agli alberi e poi non l’ho piú vista. Altrimenti sí che le sarei andato dietro. L’avrei seguita per chiederle che cosa si era messa in testa.

– Non fare mai una cosa del genere, – disse Mary. – Tu non conosci il bosco come loro, potresti perderti, cosí… – E schioccò le dita prima di tornare a occuparsi della piccola. – Avrà avuto da fare, – disse. – Gli indiani fanno un mucchio di cose che noi non sappiamo. Non ci dicono mica tutto. Neanche Becky. Perché dovrebbe, del resto.

La donna della locanda entrò con una grossa caraffa d’acqua.

– Beh, che c’è? – chiese, rivolta a Jamie. – Hai paura che ci siano dei ragazzacci là fuori? Sono solo i miei figli, non ti fanno niente.

L’allusione sortí l’effetto di spedire Jamie di corsa giú dalle scale seguito da Johnnie. A quel punto si precipitarono fuori anche i piccoli.

– Tommy! Robbie! – chiamò Mary, ma la donna disse: – C’è suo marito là fuori, li terrà d’occhio lui.

Mary non ebbe voglia di dirle niente. Non era il caso di spiegare a un’estranea che non aveva nessun marito.

La bambina le si addormentò al seno e Mary la sdraiò sul letto, con un cuscino per parte in caso si fosse girata. Scese a cena, con il braccio indolenzito finalmente libero dal peso sorretto per tutta la giornata. Da mangiare c’era carne di maiale, cavolo e patate lesse. Erano le ultime patate del raccolto passato, e la carne aveva intorno un bello strato di grasso sodo. Mary si saziò di verdura e ravanelli e pane appena cotto molto buono, e tè carico. I bambini mangiavano a un tavolo a parte ed erano cosí allegri che non la guardavano neppure, Tommy compreso. Lei era talmente stanca da sentirsi crollare, e si chiedeva come avrebbe retto sveglia il tempo necessario per metterli a dormire.

Oltre alla locandiera che portava i piatti, in sala c’era solo un’altra donna. Costei non alzò mai la testa e ingollò la cena come se stesse morendo di fame. Si tenne il berretto in testa e aveva un’aria da forestiera. Il marito straniero le rivolgeva ogni tanto qualche grugnito risoluto. Altri fra i presenti conversavano fitto, perlopiú con quel tono duro da castigatore americano che i figli stessi di Mary stavano imparando a imitare. Quegli uomini erano pieni di informazioni e di contraddizioni, e agitavano in aria coltelli e forchette. In realtà le conversazioni in corso erano due o tre, una sulla questione dei tumulti in Messico, un’altra sul percorso della strada ferrata e una terza sulla scoperta di un giacimento d’oro. Certi uomini fumavano il sigaro a tavola e se le sputacchiere non erano a tiro, si giravano e sputavano per terra. Il tale seduto accanto a lei cercò di iniziare un discorso piú adatto a una signora chiedendole se era stata al campo per il raduno. In un primo tempo Mary non capí che si riferiva a un incontro revivalista, ma quando ci arrivò disse che non aveva tempo per cose del genere, al che quello chiese scusa e non aprí piú bocca.

Dopo pensò che aveva fatto male a mostrarsi cosí brusca, visto che le sarebbe toccato chiedere proprio a quel tizio di passarle il pane. D’altro canto era consapevole del fatto che Andrew, seduto accanto a lei dall’altra parte, non avrebbe gradito sentirla chiacchierare. Non con uno del genere, e forse con nessun altro. Andrew se ne stava a testa bassa e rispondeva a monosillabi. Esattamente come quando da ragazzo andava a scuola.

Era sempre stato difficile stabilire se disapprovasse, o fosse semplicemente timido.

Will era un tipo piú libero. A lui forse sarebbe piaciuto sentir parlare del Messico. A patto che a tenere banco fosse gente bene informata. Spesso, secondo lui non era cosí. Se uno considerava quella vena del suo carattere, Will in fondo non era stato poi tanto diverso da Andrew, o dal resto della famiglia, non quanto pensava almeno.

Su un argomento nessuno fiatava lí dentro: la religione, a meno di voler considerare religioso il raduno revivalista, e Mary non la pensava cosí. Niente accese discussioni in materia di dottrina. Non una parola su spettri e visitatori misteriosi, come accadeva a Ettrick ai vecchi tempi. Qui era tutto terra terra, si cercava di capire che cosa ci fosse da trovare, da fare e da imparare del mondo reale che si aveva sotto i piedi, e Mary immaginò che Will avrebbe approvato: era quella la vita verso la quale pensava di essere diretto.

Sgattaiolò fuori dal proprio posto, dicendo a Andrew che era troppo stanca per mangiare altro, e raggiunse l’ingresso.

Davanti alla porta a zanzariera un refolo di brezza le s’insinuò tra gli abiti sudati e polverosi e la pelle, e Mary desiderò ardentemente il silenzio della notte fonda, anche se probabilmente una cosa del genere non era data in una locanda. Oltre al vociare che arrivava dalla sala da pranzo, udiva l’acciottolio in cucina e, fuori sul retro, il tonfo della brodaglia rovesciata nei trogoli per i maiali che accorrevano squittendo. In cortile invece, le grida crescenti dei bambini, compresi i suoi: Novantanove… cento… Chi c’è, c’è, chi non c’è stia e attento.

Batté le mani e urlò.

– Robbie e Tommy! Johnnie, porta dentro i bambini.

Quando capí che Johnnie aveva sentito, non lo aspettò per incamminarsi su per le scale.

Radunando i fratelli nell’ingresso, Johnnie alzò gli occhi e vide sua madre in cima alle scale che lo guardava con terrore raggelante, come se non lo riconoscesse. Scese un gradino, inciampò e si riprese appena in tempo, aggrappandosi al mancorrente. Alzò la testa e lo fissò negli occhi, ma non riusciva a parlare. Johnnie urlò, correndo su per le scale, e la sentí dire, quasi senza emettere fiato: – La bambina…

Intendeva che non c’era piú. I cuscini non si erano mossi, e nemmeno la pezza distesa in mezzo, sulla trapunta. La bambina era stata prelevata con cura e portata via.

L’urlo di Johnnie richiamò, quasi all’istante, una folla. La notizia si diffuse da uno all’altro. Andrew raggiunse Mary e disse: – Sei sicura? – Poi la superò per entrare nella stanza. Thomas, con la sua acuta vocetta infantile, strillava che i cani si erano mangiati la sua sorella piccola.

– Che bugiardo! – gridò la locandiera, come se parlasse con un adulto. – Quei cani non hanno mai fatto del male a nessuno in vita loro. Non ammazzano manco le marmotte.

Mary ripeteva: – No, no –. Thomas le corse addosso e le ficcò la testa tra le gambe mentre lei si accasciava sui gradini.

Secondo lei era chiaro come erano andate le cose. Sforzandosi di riprendere fiato, disse che era stata Becky Johnson.

Andrew stava arrivando dopo aver controllato nella stanza per accertarsi che fosse proprio come sosteneva Mary. Le chiese che intendeva dire.

Mary rispose che Becky Johnson si era presa cura di quella bambina quasi come se fosse sua. Voleva tenersela al punto che doveva essere arrivata fin lí per rapirla.

– È una squaw, – disse Jamie, per spiegare alle persone che gli si erano strette intorno in fondo alla scala. – Oggi ci ha seguiti. Io l’ho vista.

Molti dei presenti, ma soprattutto Andrew, vollero sapere dove l’aveva vista e se ne era certo e come mai non ne avesse fatto parola con nessuno. Jamie rispose che a sua madre l’aveva detto. Quindi ripeté grossomodo quel che aveva riferito a Mary.

– Non ci ho fatto abbastanza caso quando me l’ha detto, – fece lei.

Un tale osservò che le squaw sono famose per il loro vizio di prendersi le neonate bianche come se niente fosse.

– Le allevano come piccole indiane, dopodiché se le vanno a vendere a un capotribú in cambio di un bel mucchio di wampum.

– Non è che non sappia occuparsene come si deve, – disse Mary, senza manco averlo sentito. – Becky è un’indiana onesta.

Andrew chiese dove pensava potesse essere diretta e Mary rispose, a casa, probabilmente.

– A Joliet, intendo, – aggiunse.

Il proprietario della locanda disse che era impossibile mettersi sulla strada di notte, nessuno ce l’avrebbe fatta, tranne un’indiana. La moglie si dichiarò d’accordo. Aveva portato a Mary una tazza di tè e ora accarezzava con delicatezza la testa di Tommy. Andrew disse che sarebbero tornati indietro appena faceva chiaro.

– Scusa, – disse Mary.

E lui rispose che nessuno poteva farci niente. Per quella come per tante altre cose, sottintendeva.

Il tale che aveva aperto la segheria nella zona possedeva una mucca: la lasciava libera di vagare nei prati e poi mandava la figlia Susie a recuperarla e mungerla, la sera. Susie era quasi sempre accompagnata dall’amica Meggie, figlia del maestro del posto. Le ragazzine, rispettivamente di tredici e dodici anni, erano legate da un intenso rapporto, carico di rituali segreti, parole d’ordine speciali e un senso della lealtà che sfiorava il fanatismo. Vero è che non avevano nessun altro con cui stringere amicizia, essendo le uniche pressoché coetanee della comunità, ma la circostanza non impediva loro di sentirsi come se si fossero preferite al resto del mondo.

Uno dei loro passatempi era quello di affibbiare alla gente nomi sbagliati. A volte si trattava di semplici sostituzioni, tipo riferirsi a un certo George con il nome di Tom, o a Rachel, chiamandola Edith. A volte sottolineavano una determinata caratteristica – come quando battezzarono il taverniere Dente, a causa del lungo canino che gli affondava la punta nel labbro –, oppure stavano per l’opposto di quello che la persona ambiva a essere, come con la moglie del taverniere che teneva tantissimo ai suoi grembiuli immacolati. E che loro chiamavano la Bisunta.

Il ragazzo addetto ai cavalli faceva Fergie di nome, ma per loro era Birdie. La cosa lo irritava in modo assai appagante. Era basso e tarchiato, ricci capelli neri e occhi ingenui molto separati; era arrivato dall’Irlanda all’incirca un anno prima. Quando gli facevano il verso per come parlava, lui le rincorreva. Ma lo scherzo migliore che erano riuscite a inventarsi con lui era stato scrivergli una lettera d’amore firmandola Rose (guarda caso, il vero nome della figlia del taverniere) e lasciandola sulla coperta da cavallo che il giovane usava per tenersi caldo quando si coricava a dormire nella stalla. Non avevano calcolato che il ragazzo, non sapendo leggere, l’avrebbe fatta vedere ad alcuni tizi di passaggio, suscitando grande scandalo e ilarità. Rose fu subito spedita lontano a imparare il mestiere di modista, pur non essendo mai sospettata di essere davvero l’autrice della lettera.

Neanche Susie e Meggie suscitarono sospetti.

Una conseguenza dell’accaduto fu che lo stalliere si presentò alla porta del padre di Meggie chiedendo perentoriamente che gli insegnasse a leggere.

Fu Susie, la piú grande, a sedersi sullo sgabello che avevano portato con sé e a mettersi a mungere la vacca, mentre Meggie vagava nei pressi raccogliendo e mangiandosi le ultime fragoline selvatiche. Quel giorno, la mucca si era scelta per pascolare un posto vicino al bosco, a poca distanza dalla locanda. Tra la porta laterale dell’edificio e la vera e propria foresta c’era un meleto, e tra gli ultimi meli e i primi alberi del bosco, una modesta baracca con la porta sgangherata. Lo chiamavano l’affumicatoio, ma al momento non veniva utilizzato per quello scopo né per qualsiasi altro.

Che cosa spinse Meggie a entrare in perlustrazione? Non lo seppe mai. Forse il fatto che l’uscio fosse chiuso, o comunque tirato il piú accosto possibile. Solo quando cominciò ad armeggiare con la porta per aprirla, sentí il pianto di un bambino.

Lo prese per mostrarlo a Susie; poi intinse il dito nel latte appena munto e l’offrí al piccolo che smise di piangere e prese a succhiare forte.

– Secondo te qualcuno l’ha lasciato lí dopo averlo partorito? – chiese, e Susie la mortificò, come faceva qualche volta, ostentando maggiore esperienza e dicendole che quello non era affatto appena nato, grosso cosí. E poi non era vestito come se qualcuno avesse avuto intenzione di disfarsene.

– Beh, è vero, – disse Meggie. – E adesso che cosa ne facciamo?

Intendeva forse, che cosa dovremmo farne? Perché in tal caso la risposta sarebbe stata, portarlo a casa di una di loro. Oppure alla locanda, che era piú vicina.

Ma la domanda si riferiva a qualcos’altro.

Già. Meggie voleva dire, come possiamo utilizzarlo al meglio? A chi facciamo uno scherzo, con chi ci divertiamo?

Il piano non gli era mai stato chiaro fino in fondo. Lasciando casa, aveva capito che suo padre – il quale non era di certo sotto quella pietra, bensí, invisibile, a spasso per l’aria o sulla strada a chiarire il proprio punto di vista come se gli parlasse a tu per tu –, suo padre era contrario alla loro partenza. Doveva saperlo anche sua madre, che però era disposta ad affidarsi a quel nuovo venuto, simile al padre nel fisico e nella voce, ma assolutamente fasullo. Uno che poteva anche essere davvero il fratello di suo padre, ma restava fasullo lo stesso.

Quando lei aveva cominciato a fare i bagagli lui era ancora convinto che qualcosa l’avrebbe fermata; solo con l’arrivo di zio Andrew si era reso conto che non sarebbe successo piú nulla, che doveva pensarci lui.

Poi, quando correre davanti a tutti l’aveva stancato e s’era messo a nascondersi nel bosco, aveva cominciato a immaginare di essere un indiano, come faceva spesso. L’idea gli era venuta naturale, suggerita dai sentieri piú o meno ben tracciati che correvano paralleli alla strada o se ne allontanavano. Sforzandosi al massimo di seguire il carro senza farsi sentire né vedere, immaginò una compagnia di indiani e si concentrò al punto da riuscire quasi a vederli, e gli venne in mente Becky Johnson, e come lei avrebbe potuto pedinarli aspettando il momento adatto per prendere di nascosto quella bambina che amava forsennatamente. Si era trattenuto nel bosco fino all’arrivo degli altri alla locanda e a quel punto aveva notato una baracca e l’aveva perlustrata prima di incamminarsi sotto i meli. Gli stessi meli che l’avevano riparato da sguardi indiscreti quando se l’era svignata dalla porta laterale con la piccola che gli dormiva fra le braccia, cosí leggera, con un respiro talmente soave che non sembrava neanche un essere umano. Dormiva con gli occhi leggermente socchiusi. Nella baracca erano rimasti un paio di ripiani alle pareti, e la bambina la mise sul piú alto, dove eventuali lupi e linci non l’avrebbero raggiunta.

A cena si era presentato tardi ma nessuno ci aveva fatto caso. Era già pronto a dire di essere stato al gabinetto, ma non gli fu chiesta nessuna spiegazione. Procedeva tutto cosí liscio, come se accadesse ancora nella fantasia.

Dopo il trambusto, quando si era scoperto che mancava la bambina, aveva ritenuto opportuno non sparire troppo in fretta, perciò era quasi buio quando si precipitò sotto gli alberi per andare a dare un’occhiata dentro la baracca. Sperava che non avesse già fame, ma aveva pensato che, in caso, avrebbe potuto inumidirsi il dito di saliva e farglielo succhiare nella speranza che non si accorgesse della differenza tra quello e il latte.

Si era deciso di tornare indietro, come previsto, e c’era da sperare, secondo lui, che una volta rientrati a casa sua madre avrebbe capito in qualche modo che ogni tentativo di partenza era destinato al fallimento, e avrebbe quindi detto a zio Andrew di tornare pure a farsi i fatti suoi.

Dal momento che ormai attribuiva a suo padre l’ispirazione di quel piano nella sua mente, supponeva che avesse anche previsto per filo e per segno come sarebbero finite le cose.

Ma c’era un neo. Il padre non gli aveva suggerito nessuna idea riguardo al ritorno della piccola, se non quella di portarla a braccia fino a casa, viaggiando nei boschi come aveva fatto quel giorno per una parte del tragitto. E poi? Quando si fosse saputo che Becky Johnson non l’aveva presa, che anzi non si era mai allontanata da casa?

Qualcosa gli sarebbe venuto in mente. Per forza. Intanto era senz’altro in grado di trasportare la bambina; del resto non aveva scelta. E poteva anche tenersi a una distanza tale dal gruppo da evitare che la sentissero piangere. Perché a quel punto avrebbe avuto fame.

Chissà se c’era modo di rubare un po’ di latte alla locanda?

Ma non poté soffermarsi oltre sul problema, perché all’improvviso notò una cosa.

La porta della baracca era aperta; eppure pensava di averla chiusa.

Non si sentiva piangere; silenzio assoluto.

E della bambina, neanche l’ombra.

Gli uomini perlopiú avevano preso alloggio dentro la locanda, ma qualcuno, come Andrew, con i nipoti James e John, si era coricato per terra sotto il portico, su una stuoia.

Andrew fu svegliato poco prima della mezzanotte dal bisogno di urinare. Si alzò e percorse tutto il portico, diede un’occhiata ai bambini per vedere se dormivano, poi scese e decise, per ragioni di decenza, di portarsi dietro l’edificio, giú fino al prato dove la luna illuminava i cavalli addormentati in piedi e ruminanti in sogno.

James, sentendo i passi dello zio, aveva chiuso gli occhi, ma non dormiva affatto.

I casi erano due: o la bambina era stata rapita davvero questa volta, oppure una belva se l’era trascinata via di forza e probabilmente anche mezza divorata. Non c’era motivo per coinvolgerlo nella vicenda, né per ritenerlo in alcun modo responsabile. Forse, se lui avesse giurato di averla vista nei boschi, si sarebbe scaricata la colpa su Becky Johnson. Lei avrebbe giurato di non esserci mai stata, ma lui l’avrebbe smentita.

Perché era certo che sarebbero tornati indietro. Bisognava seppellire la bambina, sempre che se ne trovasse ancora qualche pezzo, ma anche in caso contrario, il funerale l’avrebbero fatto lo stesso, no? Perciò, alla fine, sarebbe andata come voleva lui. Solo che sua madre sarebbe stata malissimo.

Magari le si imbiancavano i capelli dalla sera alla mattina.

Certo che se quella era l’attuale modalità scelta dal padre per esprimere il proprio volere e per attuarlo, gli pareva assai piú drastica di qualunque cosa si fosse mai immaginato finché era vivo.

E considerando tanta spietata arbitrarietà di azione, sarebbe poi importato qualcosa al padre se la colpa ricadeva su di lui?

Senza contare che sua madre forse avrebbe intuito che le stava nascondendo qualcosa, che c’entrava anche lui nella vicenda. A volte ci riusciva, sebbene si fosse bevuta senza battere ciglio la storia di Becky Johnson. E se avesse saputo o anche solo sospettato qualcosa di analogo alla verità, l’avrebbe odiato per sempre.

Poteva pregare forse, ma valgono qualcosa le preghiere di un bugiardo? Poteva pregare che a prendere la bambina fosse stata davvero un’indiana, anche se non Becky Johnson, e che la crescesse in un accampamento, e che un bel giorno lei venisse a bussare alla porta per vendere qualche gingillo indiano e che fosse bellissima e sua madre la riconoscesse immediatamente e scoppiasse a piangere e tornasse giovane com’era stata prima della morte di suo padre.

Oh, basta. Ma come gli venivano in mente tante stupidaggini?

Andrew entrò nell’ombra della stalla e si mise a urinare. Mentre era lí, udí un gemito tenue, disperato. Pensò a un animale della notte, magari un topo in trappola. Dopo essersi abbottonato, lo sentí di nuovo, e questa volta era abbastanza distinto da poterlo seguire. Dietro la stalla, in fondo al cortile, fino a una costruzione dotata di una porta normale, non da bestiame. Il suono era piú forte adesso e Andrew, padre di parecchi figli, lo riconobbe per quello che era.

Bussò alla porta, una, due volte e, non avendo risposta, provò il chiavistello. Non c’era il fermo; la porta si aprí verso l’interno. La luce della luna, da una finestra, rivelò la presenza di un bambino. Ma certo, un bambino. Sdraiato su una branda stretta con una coperta ruvida e un cuscino piatto, senz’altro il letto di qualcuno. Appesi a certi ganci alle pareti, alcuni capi di vestiario e una lanterna. Doveva essere qui che dormiva lo stalliere. Il quale tuttavia non c’era, non ancora, probabilmente se ne stava all’altra locanda, la piú sgangherata, dove si beveva birra, e whiskey. O forse era in giro a far l’amore con una ragazza.

Al suo posto, nel letto, c’era quel bambino affamato.

Andrew lo prese senza badare al foglio di carta che gli scivolò dai panni. Non aveva mai fatto gran caso alla piccola di Mary, e non la osservò bene neanche adesso. Era assai poco probabile che fossero scomparsi addirittura due neonati in una stessa sera. Non provò a calmarla: si limitò a prenderla con piglio sicuro e a riportarla in albergo. Aveva comunque smesso di piangere, appena l’aveva tirata su.

Nessuno si mosse sotto il portico quando Andrew salí i gradini e proseguí verso le scale, diretto alla camera di Mary. La cognata gli aprí la porta senza dargli il tempo di bussare, come se avesse sentito il respiro affannato della piccola, e per impedirle di gridare fu lui, pacato, a prendere la parola.

– È questa, che cercavi?

Al suo ritorno, lo stalliere trovò il biglietto per terra. Era in grado di leggerlo, adesso.

REGALINO da una delle tue INNAMORATE.

Del regalino però, nessuna traccia visibile in giro, nemmeno per scherzo.

Jamie aveva sentito lo zio salire i gradini del portico ed entrare nella locanda. Ora lo udí uscirne, udí i suoi passi minacciosi e decisi che venivano verso di lui, anziché allontanarsi. Il cuore gli batteva al ritmo di quei passi. Poi ebbe la certezza che lo zio stava lí in piedi a guardarlo. Scosse la testa e aprí gli occhi a fatica, come se si svegliasse.

– Ho riportato tua sorella di sopra a tua madre, – disse lo zio sbrigativo. – Cosí puoi smettere di stare in pena, no? – Girò sui tacchi e tornò al proprio posto a dormire.

Dunque non c’era piú alcun bisogno di ritornare, e il mattino dopo ripresero il viaggio. Andrew pensò che tanto valeva tener fede alla storia della donna indiana, e avanzò l’ipotesi che si fosse spaventata e avesse lasciato la bambina sul letto dello stalliere. Pensava che lo stalliere non c’entrasse per niente, mentre era convinto che James fosse coinvolto nella vicenda, ma non volle indagare. Quel ragazzino era furbo e piantagrane, ma la notte prima doveva aver imparato la lezione, da come l’aveva guardato.

Mary era stata talmente felice di riavere la bambina che non fece domande sull’accaduto. Che incolpasse ancora Becky? O che avesse sul primogenito molti piú sospetti di quanti volesse lasciar intendere?

I buoi sono bestie instancabili e resistenti; l’unico vero problema è che quando si mettono in testa dove vogliono andare, è un’impresa fargli cambiare idea. Se vedono uno specchio d’acqua e si ricordano che hanno sete e che l’acqua è buona da bere, tanto vale lasciarli fare. Fu quello che accadde intorno a mezzogiorno, dopo aver lasciato la locanda. Lo stagno era piuttosto grande, vicino alla strada, e i due maschi piú grandicelli si spogliarono per arrampicarsi su un albero con un ramo sporgente e tuffarsi decine di volte. I piú piccoli sguazzavano a riva, la bambina dormiva all’ombra nell’erba alta, mentre Mary coglieva fragoline selvatiche.

Una volpe rossa dal muso appuntito li osservò per un tratto dal margine del bosco. Andrew la vide ma non disse nulla, convinto che il tragitto avesse già riservato abbastanza emozioni.

Sapeva meglio di loro che cosa li aspettava. Strade peggiori e locande decisamente piú scomode di quelle mai viste finora, e continue nuvole di polvere, e giornate sempre piú calde. Il sollievo del primo piovasco e subito dopo il peggio: la strada ridotta un fiume di fango e i vestiti fradici addosso.

Ormai di yankee ne aveva visti abbastanza da immaginare che cosa potesse aver spinto Will a stabilire di trasferirsi in mezzo a loro. Gente determinata, chiassosa, grezza, decisa a montare sul carro vincente. Anche se qualche persona perbene c’era, anche se alcuni, magari nemmeno i migliori, arrivavano dalla Scozia. Will aveva dentro qualcosa che l’aveva attirato verso una vita cosí.

E i fatti dimostravano che aveva commesso un errore.

Naturalmente Andrew sapeva benissimo che uno può morire di colera in Canada come nello stato dell’Illinois, e che era stupido dare la colpa della morte di Will al paese che si era scelto per vivere. Figuriamoci. Eppure. Eppure, tutta quella furia di andare via, di sganciarsi completamente da famiglia e passato, quel misto di avventatezza e di sicumera poteva non essere di grande aiuto, poteva anzi esporre un uomo a maggior rischio di un incidente, di un destino del genere. Povero Will.

E fu questo l’appellativo che i fratelli superstiti continuarono a utilizzare parlando di lui fino all’ultimo, e quello adottato anche dai loro figli. Il povero Will. I figli suoi ovviamente lo chiamavano solo papà, ma pure loro, con l’andare degli anni, percepirono forse un velo di tristezza e di ineluttabilità ammantare ogni ricordo che comprendesse quel nome. Mary non ne parlava quasi mai, e i suoi sentimenti sul conto di Will diventarono una faccenda personale, sua e di nessun altro.