Capitolo 8
Era una soleggiata mattina di primavera. Eben Slinger guardò fuori dal suo Emporio della Perla a Stonegate con un sorriso soddisfatto, lisciandosi i baffi. Ancora non si capacitava della fortuna che aveva avuto nel trovare quella bottega nel cuore delle strade di acciottolato che circondavano la Cattedrale. La concorrenza era dura lì in città: c’erano diversi orologiai tedeschi e tanti antiquari, ma lui si era specializzato in perle e giaietto di Whitby, e sperava di farsi presto la fama del miglior commerciante del settore.
La buona sorte, che gli aveva portato quella perla tutta speciale, non l’aveva abbandonato quando era arrivato a York in quel freddo giorno d’inverno, alla ricerca di un modesto alloggio. Aveva passato una settimana vagando per le strade, per scovare il posto giusto da dove avviare i suoi affari. Da una bottega a Low Petergate l’avevano indirizzato verso l’Emporio di Gandel Carswell a Stonegate, proprio quando il vecchio proprietario cominciava a pensare di vendere tutto e andare in pensione. Era bastato uno sguardo allo squisito tesoro di Eben e il vecchio gioielliere aveva capito di avere davanti a sé un giovane capace di riconoscere il valore dei gioielli, in grado di rilevare in fretta la sua attività.
Per incrementare i propri fondi, Eben aveva fatto il giro dei saloni di esposizione in periferia, e aveva messo insieme una raccolta di oggetti preziosi, comprando per lo più da privati o nelle sale d’asta. Non era un lavoro facile, e ancor meno perché lo faceva per il negozio di un altro, ma dopo pochi mesi era riuscito a rilevare l’attività. C’erano tanti debitori che non avevano idea del reale valore di ciò che vendevano, e volevano chiudere in fretta gli affari per non finire in tribunale.
Oltre al negozio, aveva comprato anche la casa a tre piani e il laboratorio adiacente. Cominciò da subito a risistemare la vetrina secondo i propri gusti, spazzando via la polvere e facendo sparire gli articoli meno raffinati. Durante i viaggi in giro per la contea, si era procacciato numerosi gioielli decorati con le perle, diademi, pettinini ed eleganti parure: completi di collane, bracciali e orecchini progettati per essere indossati insieme. Teneva questi articoli sempre ben in mostra nella vetrina illuminata, così da attirare turisti e nobili di passaggio.
C’era sempre un buon motivo per comprare un gioiello impreziosito da una perla; una collana per una ragazza, una spilla per una moglie, un anello per una promessa di matrimonio, un regalo per un anniversario, una sorpresa per placare il senso di colpa, o gioielli di giaietto per elaborare il lutto se la morte faceva visita.
Arthur, il giovane apprendista che aveva acquisito insieme all’attività, aveva un talento speciale per i gioielli da lutto: realizzava anelli, cameo e spille intrecciando crini di cavallo. Erano molto più semplici da lavorare, rispetto alle ciocche di capelli del defunto che i clienti, di solito, volevano usare come ricordo e simbolo del proprio dolore. Purché i crini di cavallo fossero tinti nella maniera corretta, nessuno si accorgeva mai della differenza. Arthur era anche capace di perforare le perle alla perfezione, anche perché sapeva che il minimo errore gli sarebbe stato decurtato dalla paga.
Nessuno però poteva capire cosa provasse Eben per la sua collezione privata di perle. Erano le sue delizie, custodite in una grande teca di mogano, cassetti foderati di seta, vassoi su vassoi disposti secondo le sue severe indicazioni. Era il suo bottino segreto. Ciascuna perla sedeva su un piccolo trono. Ogni notte ne sceglieva una da accarezzare, meravigliandosi della speciale lucentezza. La gemma, di volta in volta eletta, dormiva sotto il suo cuscino o in una tasca cucita all’interno della camicia da notte, vicino al cuore.
Traeva una grande gioia per ogni aggiunta a quel catalogo. Ciascuna delle sue bellezze veniva pesata, misurata, riceveva un nome e si vedeva assegnato un posto all’interno dell’harem. Certo, nessuna mai poteva reggere il confronto col suo tesoro più prezioso, la perla scozzese che aveva preso a chiamare Maria, Regina di Scozia, gemma tra le gemme; ma aveva comunque uno splendido gruzzolo di perle di abalone provenienti dalla costa californiana, erano le sue Stelle del mare, poi c’erano le perle di Tahiti, scure come la notte, ed erano le sue Lune nere, e una coppia gemella di perle barocche di color rosa, che aveva battezzato Rose delicate.
Nulla gli dava più soddisfazione che cenare nelle sue stanze sopra il negozio usando posate dai manici di madreperla. Adorava gingillarsi con fermacravatte e gemelli per le camice, dopo averli presi dai loro astucci di madreperla. Se i principi indiani potevano adornarsi con fili su fili di perle prese dalle profondità del mare, perché lui non avrebbe dovuto fare altrettanto in privato? Si rimirava di fronte allo specchio, indossando una camicia di seta tempestata di minuscole perle importate dalle Colonie. Riflettevano la luce delle candele, dandogli fremiti di piacere.
Ciò che mancava alla sua dimora era il raffinato tocco di una donna. La vecchia governante, Eliza Hunt, l’aveva ereditata insieme al negozio e tutto il resto. Era una donna umile, cuoca mediocre, ma affidabile e silenziosa, non beveva… ma trovava ogni giorno più difficile salire le scale dalla cucina nel seminterrato, e stava diventando sempre più lenta. Eben esigeva una casa e un negozio impeccabili, e così la seguiva dappertutto, assicurandosi che pulisse in ogni angolo. La donna aveva occhi deboli, ma per il momento si doveva accontentare.
Uscì in strada, per vedere se sul selciato c’erano polvere o spazzatura. Era ora che il ragazzo si desse da fare con secchio e ramazza per dare una rinfrescata all’ingresso del negozio.
Nessuno doveva dire che il suo emporio non fosse all’altezza delle migliori gioiellerie di York. Eben puntava a diventare il re delle perle di Stonegate. Alcuni suoi concorrenti già gli chiedevano consigli sugli oggetti che riuscivano ad accaparrarsi, e guardavano con brama e invidia i lavori di precisione di Arthur. Il ragazzo però era fin troppo lesto a mettere il broncio, quando gli si diceva di svolgere da capo un compito mal eseguito. Eben si chiedeva quanto ancora sarebbero riusciti a restare insieme, ma non voleva che Arthur gli facesse concorrenza stabilendosi da un altro gioielliere della zona.
Alla luce del mattino, si girò ad ammirare l’insegna dipinta di fresco, che rifletteva i raggi di sole da sopra la vetrina ad arco: L’Emporio della Perla. Stabilirsi a York era stata una delle decisioni migliori della sua vita, e sentiva che quella sarebbe stata una gran giornata.
Ore dopo, con le ombre che strisciavano sull’acciottolato segnando così il tempo di chiudere i battenti, Eben si accorse di un ragazzo dall’aspetto furtivo che si era attardato fuori dal negozio e si guardava intorno come per accertarsi che nessuno l’avesse seguito; un atteggiamento che lui subito riconobbe come losco.
«Signore, ho trovato questo», mormorò il ragazzo, il berretto calcato basso sulla fronte. «L’ho trovato nel vicolo qui dietro una settimana fa, ho messo un annuncio in vetrina. Ma non si è presentato nessuno».
Certo, e mia madre è la regina d’Inghilterra, pensò Eben. «Hai intenzione di venderlo o di portarlo alla stazione di polizia?»
«No, prima volevo giusto capire quanto vale… cioè, per la ricompensa». Il ragazzo farfugliava con un pesante accento gutturale.
«Entra, allora», gli ordinò lui. «Non faccio affari in strada». Si assicurò che il furfantello non avesse con sé dei complici, nascosti dall’altro lato della via.
Il ragazzo mise l’orologio sul bancone. Eben lo esaminò con teatrale attenzione. «Ci sono delle iniziali incise, risale agli inizi del secolo scorso. Un ottimo oggetto, ancora funzionante. Allora, lo vuoi vendere o solo valutare?».
Il ragazzo lo guardò, stupito. «Tanto vale venderlo. Quanto ci si può tirar su?»
«Venti ghinee, forse qualcosa in più». Era un’offerta davvero misera.
«Un attimo, vale molto di più: il tizio in fondo alla strada me ne ha offerte quaranta». Il ragazzino ebbe almeno il buon senso di indicare la via dove risiedeva un rinomato orologiaio.
«Quale che sia il prezzo, ora non posso pagarti in contanti. Di notte il denaro lo custodisco fuori dal negozio. Dovrai tornare domattina. Trentacinque, è la mia ultima offerta. Come ti chiami? Non faccio affari con gli sconosciuti».
«Bert Ryan, signore». Poi aggiunse: «È un oggetto di valore. Non tratto spazzatura. L’ho trovato dalle parti di Patricks Pool».
«Capisco, e non si sa niente del proprietario?»
«Niente di niente. E al mio vecchio farebbe comodo qualche moneta, visto che non ha un impiego, per intenderci». Ecco la storia strappalacrime.
«Lo lasci qui, o ripassi domani prima che io apra bottega? Ti farò avere le trentacinque sovrane. Potrei trovare un acquirente, ma come vedi io non vendo orologi. Come mai sei venuto da me, dopo esser passato dal vecchio Muller? Ci sono tanti altri negozi». Eben era curioso.
«Lei è nuovo, da queste parti, e ho sentito dire che il vecchio Carswell che stava qui prima non si faceva troppe domande sulla provenienza di certa merce, capisce. Allora, a domani?». Herbert Ryan afferrò l’orologio e se lo cacciò sotto la giacca. «Grazie, signore». Varcò la soglia e corse in strada.
Eben sorrise, recuperò cappello e soprabito, chiuse a chiave il negozio per cautela e si avviò verso Petergate, passeggiando alla luce dei lampioni. La serata andava chiusa con un buon pasticcio di carne e una pinta di birra nel suo locale preferito, mentre decideva come comportarsi riguardo all’intrigante piega che avevano preso le cose.
Greta Costello non era più riuscita a mangiare o dormire, dal giorno della rapina. Poi, due settimane dopo il suo arresto, al mattino un uomo con un soprabito elegante e un cappello nero si presentò alla porta di casa. Lei e la madre stavano facendo il bucato, le braccia immerse nella tinozza di sapone e acqua bollente, e Greta provò imbarazzo a far entrare quel signore nella loro misera abitazione, piena di capi di biancheria ancora zuppi.
«La signorina Margaret Annie Costello? Lavorava presso il defunto signor Saul Abrahams?»
«Sono io, signore». La ragazza si esibì in un saluto formale.
«Questo è per lei».
«È l’orologio. Oh, grazie al Cielo, l’hanno ritrovato, mamma!».
«Non so di quale orologio stia parlando, questo proviene dall’eredità del signor Abrahams. È un dono che le ha lasciato come gratitudine per tutto il suo duro lavoro». L’uomo le mise in mano un astuccio blu ricoperto di pelle. «Mio padre, il signor Joshua Barnett, ha ricevuto istruzioni affinché le venisse recapitato qualora fosse successo qualcosa al suo cliente».
Greta si asciugò le mani sulla gonna e aprì l’astuccio. Era foderato di seta azzurra, e conteneva una perla di grandi dimensioni in un castone di oro rosa, appeso a una spessa collana.
«Ma non può essere per me, è troppo bella». C’era poi un piccolo biglietto.
Cara Margareta,
mia moglie, Adah Joel, ha indossato questa collana per tutta la vita, un dono fattole dal padre in tempi migliori. Non riesco a immaginare una ragazza più gentile di te e degna di portarla addosso. Ti prego, non venderla mai. Portala al banco dei pegni, se devi, ma riscattala appena puoi. Quando sarà il momento, donala a qualcuno con amore, ma non per denaro, e porterà grandi gioie nella tua vita.
Il tuo amico,
Saul Abrahams
«Oh, mio Dio!», esclamò sua madre guardando la perla. «Non la puoi accettare. Cosa penserà la gente di ciò che hai dovuto fare per meritartela? Non puoi, non dopo aver perso il suo orologio, non sarebbe giusto».
«Non posso accettarla perché non me la merito». Greta guardò il giovane signore. «Ho perso il suo orologio e tradito la sua fiducia». Chiuse l’astuccio e fece per restituirlo, ma quello si rifiutò di prenderlo.
«Non così in fretta, signorina. Non si rifiuta il dono di un defunto. Porta sfortuna, soprattutto quando si tratta di una perla».
«Dice sul serio? Immagino che questo gentiluomo abbia ragione, Greta. Non voglio che ti capitino altre sventure ancora, dopo che hai perso l’orologio, il lavoro e il caro signore. È stato davvero premuroso, a prenderti a lavorare con sé. Dobbiamo onorare la sua memoria e accettare questo dono. Grazie, signore».
La madre di Greta accompagnò il visitatore alla porta, lasciandola da sola a fissare quella perla a forma di pera agganciata alla collana d’oro come un ciondolo o un crocifisso. Il castone era tempestato di minuscoli diamanti.
«Non la posso indossare». La ragazza scosse il capo, in lacrime. «Non avrebbe dovuto donarmela, ora che sono in disgrazia per aver perso quell’orologio…».
«Magari non ora, tesoro, ma se un giorno dovessi sposarti… Chi immaginava che sarebbe stato tanto generoso. Per ora la metteremo al sicuro, nascosta nella cassettiera. Con un po’ di fortuna, ci porterà bene, e lo sa il cielo se ne abbiamo bisogno, adesso che sei senza un impiego».
Quasi la Provvidenza si fosse messa in azione per quella sua supplica, arrivò un agente di polizia, e le invitò a tornare al commissariato di Silver Street, dove c’erano buone notizie ad attenderle. «A quanto pare è stata scagionata, signorina Costello. Abbiamo beccato un giovane con le mani nel sacco, ieri mattina, mentre cercava di vendere un elegante orologio d’oro a un gioielliere di Stonegate. Il gioielliere è venuto ad avvisarci, ci ha detto che qualcuno stava provando a smerciare un oggetto con ogni probabilità rubato. Siamo andati al suo negozio e vi abbiamo trovato il giovane Bert Ryan insieme al fratello, Michael, catturato anch’egli malgrado il tentativo di fuga. Fanno parte di una rinomata famiglia di borseggiatori. Ovviamente, hanno dichiarato di aver trovato l’orologio dalle parti di Patricks Pool, proprio come ci aveva raccontato lei. La sua testimonianza sarà fondamentale per consegnarli alla giustizia. Quindi, tutto è bene ciò che finisce bene, giovane signora. Ho già informato Erasmus Blake, quacchero e ottimo amico del signor Rowntree, mercante di cacao, nonché persona rispettata. L’orologio gli verrà prontamente restituito».
«Dobbiamo ringraziare questo gioielliere», disse Sadie Costello, scuotendo il capo per il sollievo. «È un bene che ci siano ancora persone oneste al mondo».
«Lo è senz’altro, ma il gentiluomo in questione desidera restare anonimo. Si è trasferito qui da poco, e ha deciso fosse suo dovere assicurarsi che nessuno lo ritenesse un ricettatore di merce rubata. Se riesce a conservare l’anonimato, potrebbe aiutarci ancora qualora altri criminali dovessero fargli visita».
«Oh, che sollievo, ragazza, non avere più questo fardello sulle spalle. Due colpi di fortuna in altrettanti giorni, ma si dice che non c’è due senza tre».
Sadie sorrise, mentre stendeva le lenzuola ad asciugare nel cortile dietro casa. «Forse la nostra sorte sta davvero cambiando».
Dalla morte del signor Abrahams, Greta era tornata a lavorare al mercato: dava una mano dietro alle bancarelle di verdura. Le mancavano davvero tanto quelle serate, seduta al bancone a mettere ordine tra gli oggetti da riparare, ad armeggiare con i bilancini dell’orologiaio e ascoltare le sue istruzioni. Fu così che le venne la brillante idea di far visita al signor Blake nei suoi uffici vicino al fiume, per appurare che il lavoro effettuato sull’orologio fosse poi risultato di sua soddisfazione. Poteva anche chiedergli se conosceva qualche posto dove potesse trovare impiego, fosse anche come addetta alle pulizie.
Al mattino si vestì con cura, indossando gli abiti della domenica, un completo ricavato dal vestito di lana di Adah. Mise anche la cuffia di paglia, decorata con un bel fiocco rosso, e al collo la nuova collana, per buon auspicio. Certo, veniva pur sempre da Walmgate, ma sicuro sapeva come presentarsi.
«La signorina Costello, per incontrare il signor Blake», dichiarò all’impiegato una volta raggiunto l’imponente studio dell’avvocato. Quando spiegò perché era lì senza un appuntamento, un altro addetto la accompagnò in un corridoio pieno di poltroncine sui due lati, e poi in una stanza con pannelli di legno alle pareti, un bel camino dove ardeva un fuoco caldo.
«Ebbene, lei deve essere la giovane assistente del signor Abrahams, lieto di poterla incontrare di nuovo in circostanze migliori. Come posso esserle d’aiuto?». Il signor Blake sorrise da dietro la scrivania, facendole segno affinché si accomodasse in una delle poltrone.
«Sono venuta a chiedere se l’orologio era in buone condizioni. E anche a esprimere il mio sollievo per il ritrovamento. Mi si è messa in testa l’idea che potesse esser danneggiato».
«È perfetto, funziona e, da quel che ricordo, è pur sempre soltanto un orologio. Lei come sta?»
«Faccio del mio meglio, signore, ma mi manca il vecchio lavoro». Fece una pausa, abbassò lo sguardo sul pavimento, cercò di farsi coraggio. «Mi chiedevo se… forse non è il caso…». Si alzò, per andar via. «Le ho già detto perché sono qui. Le chiedo scusa per aver abusato del suo tempo».
Anche l’avvocato si alzò, per fermarla. «Non credo sia venuta fin qui solo per sapere del mio orologio, è ancora nei guai?»
«Non proprio, ma ho bisogno di un impiego regolare. Mia madre fa quel che può, ma i miei fratelli sono troppo piccoli per poter lavorare davvero. Devo trovarmi un’occupazione».
«Vuole che le cerchi un lavoro?»
«No, no, è soltanto che… qualora conoscesse qualcuno che ha bisogno di una persona con abili mani… Ho imparato il ricamo dalle suore. So stirare, rammendare, fare la piega a gonne e pantaloni, so anche leggere e scrivere e… oh, sì, so lavorare le perle», aggiunse. «Be’, quasi. Il signor Abrahams non aveva ancora finito di insegnarmelo».
«Mi piace la sua onestà, Margaret. Caso vuole che mia moglie abbia bisogno di una mano in casa. Le parlerò, e magari riuscirà a trovare un posto per lei… Le sarebbe d’aiuto?»
«Grazie. Le sarei davvero grata…».
«Dovrebbe trasferirsi da noi. Mia moglie è parecchio esigente. Gradisce che le cose vengano fatte alla vecchia maniera, ma aspettiamo di vedere cosa dice». La accompagnò alla porta, poi si fermò. «E mi permetta di darle un consiglio, prima di salutarci: quando la incontrerà non si agghindi con nulla di simile alla collana che indossa». Lo sguardo si posò sulla perla incastonata. «Per quanto splendida sia».
«Me l’ha regalata il signor Abrahams», rispose lei, con orgoglio.
«Sia quel che sia, ma mia moglie, Serenity, è della vecchia scuola. I quaccheri vivono con semplicità, sono membri della “Società degli Amici” e hanno modi di vestirsi e parlare assai umili. Serenity si aspetta che la sua casa e la sua famiglia rispecchino questi ideali. Le verrà fornita una divisa».
«Grazie, e terrò conto del suo avvertimento… volevo dire consiglio, signore».
«Margaret Costello, lei è davvero una boccata d’aria fresca. Le auguro buona fortuna». Erasmus Blake le sorrise mentre lei lo salutava con un formale inchino. «Torni a casa, adesso».
Greta percorse quasi saltellando Parliament Street e Fossgate, contenta di aver visto coronato dal successo quel suo tentativo. Era un nuovo inizio. Davvero non c’è due senza tre, pensò, sfiorando la collana e sentendo la fredda superficie della perla. Se solo fosse riuscita a scoprire il nome del gioielliere che le aveva salvato la reputazione catturando quei ladri… Sperava, un giorno, di poterlo ringraziarlo di persona.