24

Passai subito in modalità «allarme massimo».

«Gus!» Gli occhi saettavano per la stanza.

Lui balzò in piedi, passando dal sonno alla veglia in apparenza senza stadi intermedi. Aveva la pistola già in mano.

Poi la vidi, accucciata tra il radiatore e l’armadio.

Dovetti sforzarmi parecchio per non avventarmi su di lei e strattonarla. «Che diavolo stai facendo?»

Kerr spalancò la bocca, come se mi avesse appena visto strappare il cuore a un bambino. Mi resi conto che le stavo puntando al petto la Glock. Bene: potevo approfittare di quella paura.

«Dovrei darti un pugno tanto forte da spedirti dritta dritta a domani, cazzo!» Simulai rabbia. O forse no.

Kerr mi fissò, gli occhi grandi come due frisbee.

«Anzi, no. Dovrei farti la grandissima cortesia di toglierti per sempre ogni sofferenza. Proprio adesso. Proprio qui.»

«Calma.» Seguendo la mia imbeccata, Gus si calò nel ruolo del poliziotto buono.

«Che problema hai? È per questo che mi hanno pagata.»

«Lei non è nella lista della signora Drucker.»

«Ma non mi piace.»

«Non significa che puoi ucciderla.»

«Be’, lei ha provato a uccidere me.» Fulminai Kerr con lo sguardo. «Foster Beach? Il sottopassaggio?»

«Mi hanno costretta loro.» Voce acuta e tremante. Un passerotto tra le unghie di un gatto.

«Chi?»

Kerr non disse nulla. Sapevo che la sua mente stava lavorando, in cerca della risposta giusta.

«Magari non lo sa» commentò Gus.

«Lo sa. E sa anche che Bronco ci farebbe volentieri fuori, se solo non fosse così impegnato a pianificare la morte di altri bambini. Oppure questa volta vuole prendersela con delle vecchine?»

«Potresti aver ragione» ammise Gus.

«E scommetto che lei sa dove si trova quel bastardo. In. Questo. Preciso. Momento.» Piantai degli immaginari punti nell’aria, con la canna della pistola. Davanti alla faccia di Kerr.

«Non so niente» dichiarò. «Devi credermi.»

«Non penso proprio.» Poi mi rivolsi a Gus, senza mai staccare gli occhi da lei. «Dovrei?»

«Non credo.»

«Bronco mi tiene fuori da queste cose» disse Kerr.

«Non sei la sua leale jihadista?»

Sul suo viso scendevano lacrime, che lei cercò di asciugare sollevando le mani tremanti.

«È per questo che ti ha ammanettata al mio lavandino, come un cane che non si vuole più? Legato in strada e chi si è visto si è visto?»

«Sembra un po’ crudele» fece Gus.

Avanzai di un passo. «Chi sono queste persone, dolcezza?»

Kerr scosse la testa lentamente.

«Ci dirai quello che vogliamo sapere?»

Sollevò gli occhi, solo per un istante. Le sue ciglia scintillavano. Erano lunghe e pesanti di lacrime. Fece di nuovo cenno di no con la testa.

«Basta così» annunciai. «Mi sta facendo soltanto perdere tempo.»

«Magari se la facessimo mangiare un po’...» propose Gus.

«Non le do da mangiare!»

«Dev’essere affamata.»

«Perché non vai a fare una bella passeggiata e compri la colazione?» Rinsaldai la presa sulla pistola e feci scorrere un dito sopra la guardia del grilletto. «Per due persone. Quando tornerai sarà tutto risolto.»

«Tutto risolto come ad Atlanta?»

«Dipende da lei.»

«Ti spingeresti a tanto, pur di avere quei nomi?»

«Va’ via.»

«No!» gridò Kerr rivolta a Gus. «Non lasciarmi sola con lei. È pazza!»

«Quella parola non le piace...» fece lui.

«Pazza?» Aggiunsi una nota folle alla mia voce.

«Oh, mio Dio!» Kerr sembrava intrappolata in un film dell’orrore di serie B, di quelli pieni di adolescenti che finiscono squartati.

«Va bene, cazzo.» Gus si avvicinò a Kerr e le porse una mano. Lei si rannicchiò ancora di più, chiudendosi nelle spalle e stringendosi le ginocchia con le braccia.

«Si può sapere che cavolo stai facendo?» domandai.

«Mettiti in piedi» le ordinò lui.

«Mi sparerà.»

«Non glielo permetterò.»

«Mi picchierà.»

«Non le permetterò di fare neanche questo.»

«Sul serio?»

«A meno che non sia l’ultima risorsa...»

Kerr continuò a piagnucolare, accucciandosi ancora di più contro le proprie gambe.

«Sei un pappamolle» dissi a Gus, cercando di sembrare il più crudele possibile.

Lui mi diede un colpetto sulla gamba, senza farsi vedere, quindi indicò la ragazza e poi la sedia nera accanto alla scrivania. «Siediti lì.»

«Non voglio» frignò lei.

«Preferisci che esca a prendere delle ciambelle?»

Kerr si raddrizzò e avanzò zoppicando verso il tavolo, lo sguardo che scivolava tra me e Gus. Lui afferrò una sedia accanto alla finestra e la trascinò davanti a quella di Kerr. Io mi misi seduta sul bordo del letto, tenendo ancora in mano la Glock.

«Cominciamo con il tuo nome» propose Gus. «È Jasmine Kerr?»

«Ora sì.»

«Bene. Allora useremo questo. Parlaci del tuo gruppo.»

«È il gruppo di Bronco.»

«Jihad for Jesus, giusto?»

«Io non sono un membro.»

«È per questo che volevi tendermi un’imboscata, a Foster Beach?» Cercai di apparire più minacciosa di quanto mi sentissi in realtà.

«Non ho provato a tenderti un’imboscata!»

«Io ho un ricordo diverso.»

«Bronco mi aveva detto di consegnare una busta al Ritz, e poi di farmi trovare al sottopasso per indicare la persona che l’aveva ritirata.»

«E segui sempre gli ordini di Bronco?»

«Sì.»

«Perché?»

«Lo fanno tutti.»

«Ma perché lo fai anche tu? Hai detto che non sei una del gruppo.»

Le guance di Kerr si accesero. Abbassò lo sguardo sulla scrivania, facendo scorrere un’unghia lungo una scanalatura del legno.

Un’intuizione improvvisa.

«Te lo scopi!» esclamai.

Il rosa sulle guance divenne rosso.

Gesù Cristo.

«Qual è il cognome di Bronco?» scattai.

«Nagurski.»

«Sul serio?» Non avrei saputo dire se era più forte la repulsione o la compassione. «E dove vi siete incontrati, tu e il tuo bello? Hai mostrato il perizoma per rimorchiarlo al bar?»

«Bronco non frequenta i bar.»

Sbuffai.

Gus cercò di riportarci in carreggiata. «Parlami di Jihad for Jesus.»

«I musulmani si stanno impossessando del mondo.»

«Quali musulmani?» chiesi. Sapevo che avrei dovuto lasciare le domande a Gus, ma non riuscivo a trattenermi.

«Cosa?»

«Sunniti? Sciiti? Sufiti? Wahabiti?»

«Tutti quanti, credo. Vogliono costringere l’intero pianeta a seguire le loro regole.»

«Quali regole?»

«Come?»

«Quali regole?»

«Loro non credono nella Bibbia. Bronco li fermerà.»

«Facendo saltare in aria dei ragazzini ebrei?»

«Non doveva succedere.»

«Perché eri a Chicago?»

«Vivo lì.»

«E Bronco era a Chicago quando hanno fatto quel casino alla scuola?»

«No.»

«La scorsa settimana?» Non le stavo dando tregua, in cerca di un cedimento.

«No.»

«Chi ha posizionato la bomba?»

«Non lo so.»

«Chi mi ha aggredita al Ritz?»

«Non lo so.»

«Perché sei andata a Los Angeles?» Un cambio repentino. Un vecchio trucco per spiazzare la persona interrogata.

«Me lo ha ordinato Bronco.»

«Perché?»

«Non lo so.»

«Lui vive là?»

«Vive in molti posti.»

«Chi è l’uomo che è stato ucciso a Venice Beach?»

«Non lo so.»

«Non hai mai sentito il suo nome?»

«Penso di aver sentito qualcuno chiamarlo Jano.»

«Esiste una cellula anche a Washington?»

«Credo di sì.»

«Bronco si trova qui, adesso?»

Lei annuì, abbassando gli occhi. Fece di nuovo scorrere l’unghia sul legno del tavolo.

«Perché?»

«Sta pianificando qualcosa.» Sollevò la mano, con il palmo rivolto in alto. «Non ho idea di cosa sia, né del luogo o del giorno.»

«Alloggi a Mount Pleasant?»

«Sì.»

«Chi è il proprietario dell’appartamento?»

«Non lo so.»

«Chi altro vive lì con te?»

«Landmine.»

«Chi è Landmine?»

«Un tipo disgustoso.»

«Una caratteristica che difficilmente ci aiuterà a individuarlo.»

«Ci sto provando.»

«Provaci di più.»

«Il suo vero nome è Landon. Crede di essere un gran scopatore, e bagna le mutande quando lo chiamano Landmine.»

Per un istante provai quasi pena per lei. Era carente in modo pietoso e patetico, su troppi fronti. «Descrivimelo» la incitai.

«Grosso. Muscoli massicci. Come uno che si allena molto. Lo hai visto.»

«L’altro tipo che è stato colpito a Venice Beach?» Avvertii una strana sensazione, come se nel petto mi si stesse sollevando una spirale di fumo freddo.

«Sì. Lui.»

«Qualcuno ci ha visti, ieri, su Mount Pleasant?»

Lei annuì. «Bronco. Quando siete andati via, siamo scappati tutti.»

«Dove?»

«In un appartamento vicino a Dupont Circle.»

«Bronco ti ha portata in camera mia mentre noi tenevamo d’occhio il palazzo?»

Arrossì di nuovo.

«Come ha fatto a mettere fuori uso il sensore?» Non che m’interessasse davvero, ero solo arrabbiata per non aver captato il suo ultimo segnale, inviato mentre stavo vagando per Mount Pleasant.

«È bravo a sbarazzarsi di quegli aggeggi.»

«Dove si trova di preciso l’appartamento su Dupont?»

«Non ci troverete nessuno dentro.»

Agitai la Glock.

«20th Street, vicino a R Street. Non conosco l’indirizzo esatto. C’è un bar al pianterreno.»

Guardai Gus. Lui si alzò in piedi, allacciò alla spalla la fondina, ci infilò la Glock, indossò la giacca a vento e uscì.

«Adesso» ricominciai, «parliamo un po’ tra ragazze.»

Kerr sembrò accartocciarsi su se stessa.

«Fino a ieri ti sei scopata Bronco. Sono sicura che ti ha confidato qualcosa mentre eravate a letto.»

«No.»

«Niente?» E non lo chiesi in maniera gentile.

«No.»

«E tu non sei mai stata curiosa di sapere cosa fanno lui e i suoi compari? Non hai mai ascoltato di nascosto le loro riunioni, o le sue conversazioni telefoniche? Magari hai dato una sbirciatina ai suoi messaggi... Sappiamo che sei brava con le e-mail.»

Lei mi guardò con una luce diversa negli occhi. Diffidenza. Colpa. Paura. «Non è il suo modo di fare.»

«E qual è il suo modo di fare?»

«Bronco non condivide mai nulla con nessuno. Quando arriva il momento, dice alla gente cosa fare. Impartisce le istruzioni sempre all’ultimo minuto, mai in anticipo.»

Presi il telefono e feci scorrere le foto finché non trovai quella della donna con il cervello spappolato. Poggiai il cellulare sul tavolo. Kerr lanciò un’occhiata all’immagine. Trattenne il fiato e distolse subito lo sguardo.

«Chi è?»

Nessuna risposta.

«Chi è?» ripetei, più dura.

«Tibby Icard.» Deglutì. «Vive a Chicago.»

«Dove?»

«Non ne ho idea.»

«Che sai dirmi di lei?»

«Niente. Non ci frequentiamo. L’avrò vista sì e no una volta.»

«Dove?»

«Insieme a Bronco.»

«Eppure conosci il suo cognome.»

«Deve avermelo detto lei.»

«Be’, Bronco l’ha fatta uccidere.»

«Non ci credo.»

«Io invece ne sono certa.» Era tempo di spiazzarla di nuovo. «Chi altro c’era nell’appartamento a Venice?»

«Cosa vuoi dire?»

«Non fare giochetti con me. Ho sentito le voci di altre donne provenire dal corridoio.»

Mi fissò a lungo con sguardo inespressivo. Le restituii l’occhiata con la stessa intensità.

«Una non la conosco» annunciò. «L’altra era Selena.»

Stella?

Sinapsi che si attivano.

«Cosa intendevi quando hai detto che siete “scappati tutti”? Chi altro c’era nell’appartamento di Mount Pleasant?»

«Selena.»

«E poi?»

«Nessun altro.» La sua voce riprese colore. «A ogni modo, dubito siano ancora lì.»

«Qual è il cognome di Selena?» Le pulsazioni accelerarono.

Kerr si strinse nelle spalle.

«Che aspetto ha?»

«Pallida e strana.»

«Giovane? Vecchia?»

«Giovane.»

«Puoi fare meglio di così.»

«Credo abbia più o meno la mia età.»

«Parlami di Stella Bright.»

Un lampo nei suoi occhi? «Chi?»

«Non prendermi in giro.»

Spostò appena il peso, non disse nulla.

Feci scorrere le foto di Bronco finché non arrivai all’ultima. «È lei?»

Kerr trascinò gli occhi sull’immagine. Trattenne di nuovo il fiato, lo sguardo fisso mentre cercava di controllare le emozioni. Di soppesare le opzioni. Di prendere delle decisioni.

«Non si riesce neanche a vedere il viso.»

«Potrebbe essere Selena?» Oh, se mi stavo trattenendo.

«Non lo so.»

Cercai la foto del tizio biondo con i baffi, ospite dell’obitorio di Chicago. Quindi poggiai ancora una volta il cellulare davanti a Kerr.

«Chi è lui?»

«Lew. Lewinoski. È il suo cognome, ma non conosco il nome.»

La colsi di nuovo alla sprovvista cambiando argomento.

«Perché dici che Bronco non si trova più nell’appartamento di Dupont Circle?»

«È molto cauto. Sarà andato via già da tempo.»

«Perché ti ha abbandonata nella mia stanza?»

«Era necessario. Per la causa.»

«Averti ammanettata al mio lavandino servirà a sventare la dominazione islamica?»

Le mani di Kerr si sollevarono, chiudendosi a pugno. La fronte si abbandonò sulle nocche sporgenti, bianche ed esangui per la forza con cui stringeva. Dopo pochi secondi, le sue spalle cominciarono a sollevarsi e abbassarsi in piccoli singhiozzi. Le lacrime iniziarono a cadere, disegnando lune scintillanti sul legno nero del tavolo. Una. Due. Tante.

«Io lo so che era dispiaciuto» sussurrò.

Un drammatico balzo sul letto. Poi si disperò.