Capitolo 11

«Tesoro, Beatrice e io ci sentiamo molto meglio. Forse non si trattava d’intossicazione alimentare» mentì Elsie Renfrew, gli occhi fissi in quelli di Sarah.

Sarah guardò le due vecchiette sedute nell’ambulatorio e si morse un labbro per non scoppiare a ridere. Beatrice ed Elsie avevano chiesto un appuntamento urgente, quando l’urgenza, evidentemente, era solo quella di placare la curiosità che le stava divorando.

Si era resa conto che non era nulla d’importante nel momento in cui le aveva viste entrare insieme con aria colpevole. Avevano i visi arrossati per il caldo di quel pomeriggio e un aspetto sanissimo.

«Niente più mal di stomaco?» domandò, calma.

Due teste grigie fecero di no all’unisono.

«Niente più nausea?»

Con un sorriso radioso sulle labbra, le vecchiette scrollarono di nuovo il capo.

Sarah chiuse le cartelle mediche e le ripose nello schedario. «Bene, signore… che domande volete farmi? Siete due terribili bugiarde. Mi sono preoccupata quando ho sentito che stavate entrambe male.» Lanciò loro un’occhiata che sperò essere di rimprovero, ma dubitava di esserci riuscita. Le due le sorridevano con tanta innocenza che era difficile far loro una ramanzina.

«Abbiamo sentito cos’è successo a casa sua ed eravamo in pensiero» confessò Beatrice, contrita. «È da un po’ che non la vediamo in giro né l’abbiamo sentita suonare prima della solita partita di bingo. In genere c’è sempre.» Con gli occhi sgranati, la vecchietta pareva davvero in ansia.

Sarah s’intenerì. Certo, continuavano a essere una coppia di seccatrici, ma la loro preoccupazione la commosse. Persino Elsie non riusciva a nascondere un velo di allarme nei suoi occhi acuti. «Sto bene. Ho solo avuto molte cose da fare. Attualmente abito da amici.» Non poteva dir loro tutta la verità. Meglio che nessuno sapesse dello stalker, per evitare pettegolezzi.

«Non capisco perché fare una cosa del genere. Di solito Amesport è una cittadina tranquilla» commentò Elsie, quasi spaventata.

Sarah le circondò le spalle con un braccio. «Non si preoccupi. Non è successo nient’altro. Probabilmente si è trattato di un turista ubriaco.» L’ultima cosa che desiderava era che le due vecchiette s’intimorissero. Entrambe vivevano da sole e non era il caso di metterle in ansia. Era lei e lei soltanto il bersaglio di quel criminale.

«Non sono preoccupata» rispose Beatrice in tono quasi feroce. «Se sapessi chi è stato, gli darei un calcio nelle palle, proprio come mi hanno insegnato a fare al corso di autodifesa.»

«Beatrice, il termine esatto è “testicoli”» la corresse l’amica. «Sarah è una dolcissima ragazza. Non esprimerti con tanta rudezza.»

Era trascorso un bel po’ dall’ultima volta in cui Sarah era stata definita una “ragazza”. Quanto a Elsie, si stupì che considerasse volgare la parola “palle”. Aveva lavorato nell’ospedale di una grande città e visto molti incidenti tra gang rivali. Probabilmente al mondo non esistevano parole rudi che non avesse già sentito almeno un centinaio di volte. «Apprezzo la vostra preoccupazione ma, come potete vedere, sto benissimo. La prossima volta non inventatevi una scusa per farvi ricevere. Passate semplicemente dall’ambulatorio.» Aprì la porta dello studio e le due vecchiette si alzarono.

«Ho sentito dire che non è più il medico curante di Dante Sinclair. Peccato. È proprio un tipo sexy» disse Beatrice uscendo dalla stanza. «A letto con lui avrebbe potuto fare scintille.»

«Dopo il matrimonio, Beatrice» intervenne l’amica.

«Suvvia, Elsie, dovresti modernizzarti un po’. Ormai non si aspetta più fino alle nozze» mormorò l’altra.

Sarah osservò quasi ridendo lo scambio di opinioni delle due.

«Ero convinta che fosse quello giusto» insistette Beatrice contrariata e imboccando il corridoio. «Ne ero certissima. Però c’è sempre quel bel Jared Sinclair, quello che si ferma a parlare con noi ogni volta che ci vede. Mi piace davvero tanto, quel ragazzo.»

Sarah rimase sorpresa da quelle parole e si chiese perché Jared non facesse nulla per liberarsi delle vecchiette. Forse per non essere scortese? Chissà come avrebbe reagito nel sentirsi chiamare “ragazzo”. «Io…»

«Sta già con me.» La voce profonda di Dante risuonò dal corridoio fino allo studio. «Ecco perché non è più il mio medico.»

La bocca spalancata per lo stupore, Sarah lo guardò avanzare e incantare le due vecchiette.

«Non era più possibile, considerato che stiamo insieme» aggiunse lui con un sorrisetto carismatico.

«Lo sapevo! Avevo ragione» cinguettò Beatrice. «Sapevo che avreste fatto coppia. L’ho detto a Sarah ancor prima che lei arrivasse.»

«Davvero?» Dante girò la testa e la guardò con un sopracciglio inarcato.

Sarah si sentì avvampare. Se per la vergogna o per la rabbia non avrebbe saputo dirlo. Gli aveva chiesto di aspettarla senza farsi vedere nell’ambulatorio dall’altro lato del corridoio, per non mettere in imbarazzo i pazienti. Lo faceva da tre giorni ormai. Lei visitava e lui attendeva, armato, trastullandosi con il computer per ammazzare il tempo.

La maggior parte delle ferite superficiali erano ormai guarite, ma non del tutto le costole, che ancora dovevano fargli male benché non si lamentasse mai. Non era più il suo medico, ma almeno si trovava in un ambulatorio, in caso di eventuali problemi.

Nel vedere Dante ingraziarsi il cuore delle due vecchiette, Sarah si lasciò andare a un sospiro. Dal modo in cui Beatrice ed Elsie lo guardavano, era ormai entrato nelle loro grazie. Non lo stava facendo intenzionalmente. Si stava solo comportando come avrebbe fatto in veste di pubblico ufficiale e chiacchierava con le due donne con naturalezza, apparentemente interessato al lavoro che Elsie svolgeva per il giornale e al talento autoproclamato di Beatrice come mezzana.

Una ragione in più per guardarlo con occhi diversi. Vizia il mio cane ed è gentile con le vecchie signore.

«È lei l’amico che ospita Sarah?» chiese Elsie furtivamente, speranzosa di accaparrarsi uno scoop.

Sarah quasi scoppiò a ridere nel vedere lo sguardo pseudo offeso sulla faccia di Dante.

«Certo che no!» rispose lui tentando di fingersi insultato. «Sarebbe assolutamente inappropriato e io rispetto Sarah» aggiunse con enfasi.

Elsie fu scossa da un fremito di felicità. «Che gentiluomo!»

Per Sarah fu difficile trattenere una risatina. Dante aveva detto proprio quello che le vecchiette desideravano sentire e si era assicurato che sapessero di averlo offeso solo al pensiero che potesse commettere un simile atto. Voleva che in giro si sapesse che Sarah era protetta, ma senza svelare dove alloggiava.

Le due chiacchierarono con Dante fin quasi alla porta che immetteva nella sala d’aspetto, dove lui le accompagnò senza che si sentissero indesiderate.

Sarah le salutò con la mano prima che sparissero dietro l’angolo del corridoio e lui chiudesse la porta alle loro spalle.

«Ti rendi conto che adesso tutto il paese penserà che siamo una coppia?» lo rimproverò.

«È perfetto.» Dante la guardò con un sorrisetto. «Spero che lo dicano a tutti, così ogni uomo in paese saprà che non sei disponibile, evitandomi di picchiare chiunque osi toccarti.»

Non era disponibile? Erano passati dieci giorni da quando l’aveva ammanettata al letto facendola impazzire. «Non ti sembra di essere un po’ prepotente?»

«Per niente» fu la risposta arrogante che ricevette. «Sono stato io il primo a farti gridare di piacere, il primo ad assaporare la tua…»

Sarah gli coprì la bocca con una mano per mettere fine a quel fiume di parole sconce. «Basta.» Erano nella reception dell’ambulatorio, per l’amor del cielo, e in giro c’era ancora la segretaria. Kristin era stata informata di alcuni dettagli riguardo all’attentato subìto da Sarah ed era a conoscenza della presenza di Dante allo studio. Non sapeva però che lei dormiva con lui ogni notte e sognava, a occhi aperti e anche a occhi chiusi, ogni tipo di fantasia infuocata. Non riusciva a pensare a quanto avvenuto una decina di giorni prima senza eccitarsi.

Chi voglio prendere in giro? Solo a vederlo o a sentire la sua voce mi sciolgo.

Gli occhi nocciola di Dante la stavano fissando con espressione giocosamente vogliosa, e a quello sguardo nessuna donna al mondo avrebbe saputo resistere. Purtroppo, Sarah sapeva come lui fosse consapevole di quanto quel suo modo spinto di esprimersi la coinvolgesse. Si portò lentamente una mano di lei alle labbra e le baciò il palmo prima di lasciarla andare. «Erano le tue ultime pazienti. Andiamo.»

Sarah gli voltò le spalle ed entrò nello stanzino. Prese la borsa, appese il camice bianco e lo stetoscopio e, infine, raggiunse Dante all’ingresso. Per una volta non discusse con lui per fare la sua solita passeggiata. Indossava un paio di scarpe nuove (scelte fra quelle comprate da Emily) e i piedi le dolevano. Otto centimetri abbondanti di tacco? Cosa le era passato per la testa? Adorava la gonna e la camicetta dal taglio professionale, ma quelle scarpe tanto carine quanto poco pratiche erano state un tormento per tutto il giorno. Grazie al cielo erano le uniche così alte.

Si accomodò con slancio sul pick-up di Dante e, con un calcetto e un gemito di sollievo, si liberò delle scarpe.

«Che c’è?» Dante esitò prima di chiudere la portiera dal lato del passeggero.

«Queste scarpe sono una tortura» disse lei, accigliata. «Mi fanno male i piedi.»

Dante chiuse la portiera, fece rapidamente il giro dell’auto e si sedette al volante. «Non ti piacciono?» Accese il motore. «Ne compreremo delle altre.»

«No! Mi piacciono, ma il tacco le rende inadatte a un medico. Forse saranno più comode in altre occasioni meno impegnative.»

Dante imboccò Main Street con un sorrisetto sulle labbra, diretto alla penisola. «Perché dovresti indossare delle scarpe scomode in situazioni piacevoli?»

«Hai capito cosa intendo.» Sarah abbozzò un sorriso. «Sono fatte per andare fuori a cena, o a un matrimonio, non per essere indossate tutto il giorno sul lavoro.»

Proseguirono avvolti per un po’ in un piacevole silenzio, con lei che si massaggiava i piedi per calmare i crampi.

Fu Sarah la prima a parlare e lo fece abbordando un argomento che lui non avrebbe gradito ma che andava comunque affrontato. «Dante?»

«Sì?»

«Sai anche tu che non possiamo vivere così per sempre. Ho bisogno di ritornare alla mia normale routine. Joe sostiene che John potrebbe non farsi vedere se non riprendo i ritmi consueti.»

«Non se ne parla» ringhiò lui. «Non ti lascerò esposta e vulnerabile.»

«Non puoi restare qui in eterno. Quanto a me, sono abituata a un’esistenza solitaria. Ti sono grata per la protezione, ma devo andare avanti, superare quest’ostacolo. Se ritornare alla vita normale aiuterà a catturare John, allora sono disposta a farlo.»

Dante oltrepassò il confine della penisola a una tale velocità che le gomme iniziarono quasi a fumare e tacque fino a quando non parcheggiò il pick-up davanti casa. Sarah attese, come al solito, all’interno della vettura che lui controllasse i dintorni. La portiera si aprì quindi di scatto.

«Scendi.» E le sganciò la cintura di sicurezza con un gesto fluido della mano.

«Non ti stai comportando con razionalità» gli fece notare con calma, prima di smontare dall’auto.

In realtà non avevano mai discusso della possibilità che lei ritornasse a una vita normale per indurre John allo scoperto. Era però necessario fargli aprire gli occhi.

«Non posso nascondermi per sempre. Devo fornirgli un’opportunità per agire.»

«Vai al lavoro ogni giorno» ribatté Dante in tono irritato.

«Sì… con una scorta armata. Senza offesa, ma riesci a essere piuttosto minaccioso anche senza sapere che vai in giro con una pistola.»

Lui girò la chiave nella serratura, disattivò il sistema d’allarme, la fece entrare e chiuse la porta con più veemenza del necessario.

«Non intendo esporti ad alcun rischio, Sarah.» L’occhiata furibonda con la quale la guardò avrebbe intimorito chiunque.

Ma non lei. Ormai conosceva le espressioni di quel viso, le aveva viste tutte, dalla gioiosa all’omicida. Forse non lo conosceva profondamente, ma sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, indipendentemente da quanto fosse seccato. «È una scelta che spetta a me» lo informò, pacata. Lasciò cadere la borsa sul tavolo del soggiorno e salì al piano di sopra per una doccia.

Col cuore in tumulto, si spogliò e gettò gli abiti nel cesto della biancheria sporca del bagno degli ospiti. Di solito si gustava la doccia super moderna di Dante, ma questa volta entrò distrattamente nello spazioso vano piastrellato. L’acqua le cadde addosso da due lati. A contatto con i caldi getti pulsanti iniziò, pian piano, a rilassarsi. Prese lo shampoo e insaponò i capelli.

Non sarà mai d’accordo. Devo prendere la decisione da sola.

Spettava solo a lei stabilire se mostrarsi di nuovo in pubblico; sapeva, però, che dopo tutto quello che Dante aveva fatto per proteggerla, decidere il contrario di quello che avrebbe voluto fare lui lo avrebbe ferito, e questa era l’ultima cosa che desiderava. Il modo in cui si prendeva cura di lei la commuoveva più di quanto non volesse ammettere. Nessuno si era mai preoccupato fino a quel punto per la sua incolumità… e non solo. Negli ultimi tempi, Sarah aveva smesso di analizzare il perché di quei comportamenti, il perché del legame che sembrava unirli, e si godeva la sua compagnia. Questo, però, non toglieva nulla al fatto che la realtà fosse sempre la realtà. Dante non si sarebbe trattenuto per sempre ad Amesport, ormai era quasi guarito, e la decisione di mettere fine al proprio isolamento era sua e soltanto sua.

Sciacquò il balsamo dai capelli e pensò a quanto sarebbe stato triste vederlo tornare a Los Angeles e a quel lavoro che gli era quasi costato la vita. Tutto il suo essere si ribellò a quella prospettiva, e fu allora che capì come si sentiva Dante nel saperla in pericolo, perché lei provava le stesse identiche cose.

Trasalì con un urletto alla vista di lui che, nudo, entrava nella doccia. Senza darle neanche il tempo di formulare un brandello di pensiero, la bloccò contro le piastrelle, le sollevò i polsi sopra la testa e torreggiò su di lei con il suo corpo massiccio, muscoloso.

Sarah sentì il desiderio scorrerle come fuoco liquido nelle vene quando lo guardò in faccia. Dante la fissava con espressione rapace, come un predatore affamato. Quella fierezza fu per lei come un richiamo di accoppiamento; i capezzoli si ersero appuntiti, il sesso si colmò di calore e il resto del corpo iniziò a tremare di desiderio.

«Per prima cosa, sappi che non me ne andrò fino a quando quel maledetto non sarà in galera o morto. Mi hai capito?» La sua voce era dura, stridente.

«Come potrai…?»

«Non parlare. Non tentare neanche di convincermi. Non sono dell’umore adatto per ragionare. Dimmi solo che hai capito.» Il petto si muoveva come un mantice a ogni respiro affannato.

Stava lottando per mantenere il controllo, Sarah lo intuiva, ma lei desiderava tutto tranne che lo facesse. Gli piaceva quando era così, dominante, imperioso. Non capiva soltanto come Dante avrebbe potuto mantenere la promessa, se quella situazione fosse durata per sempre.

Si limitò ad annuire, consapevole che sarebbe rimasto. Ormai aveva imparato che per lui le promesse erano vincolanti.

«In secondo luogo, non voglio rischiare che ti accada qualcosa. Quando ho perso Patrick ho desiderato morire anch’io. Poi sei arrivata tu e mi hai riportato in vita. Sei mia, Sarah. Credo di averlo saputo sin dall’istante in cui ti ho visto. So che sei pronta a esporti, ma non lo capisci che se ti perdessi ne morirei?»

Sarah annuì per la seconda volta e sentì le lacrime scorrerle sulle guance. L’intensità delle emozioni di Dante l’aveva pervasa tutta, risvegliando quella risposta che sentiva dentro ormai da tanto e che aveva finto di ignorare, timorosa di restarne ferita. Sapeva però che se lo avesse perduto il suo mondo sarebbe sprofondato nel buio.

Le sue difese si sgretolavano col fluire del pianto. Smise di pensare in maniera analitica. Dante la trattava come una donna e lei stava reagendo col cuore. Quando c’era di mezzo quell’uomo, era come se il cervello si spegnesse e il cuore prendesse il sopravvento.

«Terzo, il mio bisogno di scoparti è così intenso che non riesco più a resistere. Basta! Ho bisogno di te. Dormirti accanto ogni notte senza poterti toccare è stata una tortura. Sono guarito adesso. Se non ti ho presa prima e perché dovevo essere in perfette condizioni fisiche per proteggerti ed era necessario che guarissi il più rapidamente possibile. E non volevo soddisfarti solo a metà. Lo capisci?»

Come se fosse stato possibile. Dante riusciva a soddisfarla solo toccandola. Sarah annuì lo stesso, il volto inondato di un pianto ormai incontenibile mescolato all’acqua della doccia.

«Quarto?» lo incitò ad andare avanti dopo un attimo di silenzio. Lo sguardo intenso di Dante la fece letteralmente sussultare di bramosia. Era come se aspettasse da una vita di stare insieme a quest’uomo e non potesse attendere un istante di più.

«Non esiste nessun fottutissimo quarto» ruggì lui impossessandosi della sua bocca.

Sarah tentò di liberare le mani imprigionate mentre la sua lingua incontrava quella di lui con un grido soffocato. Dante aveva il potere di stregarla, di farle dimenticare tutto ciò che le accadeva intorno tranne il calore della sua bocca, la sua lingua che la colmava. Il desiderio di toccarlo era così intenso che gemette senza staccarsi da quelle labbra, scrollando furiosamente i polsi, incapaci di liberarsi da quella stretta d’acciaio.

«Qualcosa non va?» chiese lui ansante, interrompendo il bacio.

«Devo toccarti. Per favore» lo supplicò, desiderosa di esplorare quel corpo adesso che era guarito. La sua voglia era così prepotente da farle male.

«Non durerò un istante» la avvisò. Mollò la stretta e le fece scivolare le mani lungo la schiena per poi afferrarle le natiche. «Ma voglio però che anche tu lo faccia. Toccami, Sarah.»

Senza perdere tempo, lei gli affondò le mani nei capelli bagnati, si perse nella sensazione di quel corpo e attirò di nuovo la sua bocca sulla propria. Gemette quando lui iniziò a morderle delicatamente un labbro per poi leccarlo, vibrò di piacere nel far scorrere le mani sulle spalle, nell’esplorare i muscoli scolpiti della schiena. I glutei marmorei erano la perfezione. Li strinse forte.

«Cristo, tesoro! Mi stai uccidendo» mugolò Dante.

Sarah gli affondò il viso sul collo e lo mordicchiò. «Scopami. Ho bisogno di te» gli sussurrò, roca, in un orecchio.

Il corpo possente di lui fremette. L’attirò in mezzo al getto della doccia, la fece girare tra le sue braccia e se la schiacciò contro il petto. «Presto. Prima voglio farti venire.» Parlò con voce profonda, urgente, che le vibrò nella conca sensibile dell’orecchio. «Lascia che ti mostri in quanti modi può essere soddisfatto il tuo corpo. Ti sei mai toccata sotto la doccia?»

Sarah scosse la testa con enfasi. Quelle domande franche ormai non la imbarazzavano più. Sentiva il corpo bruciare, ardere dal desiderio di lui.

«Mi piace vederti così» le mormorò ancora nell’orecchio. Le fece scivolare le mani a coppa sul seno e le pizzicò i capezzoli quel tanto che bastò a farla vibrare nella sua parte più intima come per una scossa elettrica. «Sei così ardente e così desiderosa di venire!»

«Sì» rispose lei in un sussurro. La bramosia era tale che sarebbe morta di frustrazione se non avesse trovato sollievo. Una mano di Dante le strisciò lungo il ventre per poi indugiare sul sesso e insinuare con lentezza un dito tra le pieghe. «Accarezzati il seno. Fai qualcosa che può darti piacere» la istruì senza smettere di muovere il dito su e giù, senza però accarezzarla dove lo desiderava maggiormente.

Sarah si prese i seni tra le mani e ne sfiorò i capezzoli, desiderosa di qualcosa di più. «Ti prego» lo implorò. Le pareva di stare per morire.

«Mi piace guardare mentre ti tocchi, tesoro. Così, sì. Prova questo, ora.» E la cullò con la voce prima di invaderla con le dita. «Oddio! Sei così calda! Sai cosa provo al pensiero di essere l’unico uomo a vederti in questo modo?»

Sarah era consapevole di quanto la sua parte più intima fosse scivolosa, calda e pulsante sotto le dita di Dante. Sentì il cuore battere forte nelle orecchie quando si appoggiò contro quel corpo muscoloso perché la sostenesse. «Solo tu» concordò con un gemito.

Di più. Voglio di più.

E lui la esaudì. Le aprì le pieghe del sesso ed espose il clitoride pulsante al getto della doccia, spostandole il corpo fino a quando, prigioniera, Sarah dovette arrendersi a quelle carezze liquide e vibranti su quella parte di lei ormai sensibile al minimo contatto.

«Dio!» gridò. Sarah pizzicò con maggior forza i capezzoli e si abbandonò alle sensazioni.

A quel punto Dante la penetrò con le dita muovendole su e giù.

«Troppo! È troppo!» gorgogliò Sarah strusciandoglisi contro ma senza ottenere soddisfazione.

Lui continuò a esplorarla, trovò e titillò il punto G, che lei non immaginava neppure di avere, con i polpastrelli. Sarah appoggiò la testa su una spalla di Dante e inarcò inconsapevolmente la schiena in preda a un piacere quasi intollerabile.

«È davvero troppo» mugolò. La sensazione travolgente di quelle dita, il clitoride che vibrava forte, le carezze delle sue stesse mani sui seni la catturarono in una spirale di eccitazione. Iniziò a dimenarsi, desiderosa solo di soddisfazione.

«Vieni per me, tesoro» le ordinò lui in tono roco.

Priva di scelta, Sarah si lasciò andare. Gridò il nome di Dante nell’istante in cui il corpo esplodeva in mille frammenti e si affidò alla sua presa quando le ginocchia cedettero.