«Tu non sei affatto mio figlio!» tuonò Crouch, gli occhi all'improvviso fuori dalle orbite. «Io non ho figli!»

La strega ossuta accanto a lui trattenne il fiato e si accasciò. Era svenuta. Crouch non parve accorgersene.

«Portateli via!» ruggì ai Dissennatori, sputando saliva. «Portateli via, e che possano marcire laggiù!»

«Padre! Padre, io non c'entro! No! No! Padre, ti prego!»

«Harry, credo che sia ora di tornare nel mio ufficio» disse una voce tranquilla all'orecchio di Harry.

Harry sobbalzò. Diede un'occhiata attorno. Poi di lato. Alla sua destra c'era un Albus Silente che guardava portar via dai Dissennatori il figlio di Crouch - e c'era un Albus Silente alla sua sinistra, che guardava lui.

«Vieni» disse il Silente alla sua sinistra, e lo prese per il gomito. Harry si sentì sollevare a mezz'aria; la segreta si dissolse attorno a lui; per un attimo tutto fu scuro, e poi gli parve di aver fatto una capriola al rallentatore; d'improvviso atterrò in piedi, in quella che sembrava la luce accecante dell'ufficio di Silente inondato di sole. Il bacile di pietra scintillava nell'armadio accanto a lui, e Albus Silente era in piedi al suo fianco.

«Professore» boccheggiò Harry. «Lo so che non avrei dovuto... non volevo... la porta dell'armadio era aperta e...»

«Capisco» disse Silente. Prese il bacile, lo portò alla sua scrivania e si sedette. Fece cenno a Harry di sedersi di fronte a lui. Harry obbedì, fissando il bacile di pietra. Il suo contenuto era tornato allo stato originario, di un bianco argenteo, e vorticava e s'increspava sotto il suo sguardo.

«Che cos'è?» chiese Harry con voce incrinata.

«Questo? Si chiama Pensatoio» rispose Silente. «A volte, e sono certo che conosci questa sensazione, ho l'impressione di avere semplicemente troppi pensieri e troppi ricordi stipati nella mente».

«Ehm...» rispose Harry, che in tutta sincerità non poteva dire di aver mai provato niente del genere.

«Quando mi capita» proseguì Silente «uso il Pensatoio. Basta travasare i pensieri in eccesso dalla propria mente, versarli nel bacile e esaminarli a piacere. Diventa più facile riconoscere trame e collegamenti, sai, quando assumono questa forma».

«Vorrebbe dire... che quelle cose sono i suoi pensieri?» chiese Harry, scrutando la sostanza bianca che vorticava nel bacile.

«Certo» disse Silente. «Ora ti faccio vedere».

Estrasse la bacchetta e infilò la punta tra i propri capelli d'argento, vicino alla tempia. Quando la tolse, parve che dei capelli vi restassero attaccati; ma Harry si accorse che si trattava di una striscia scintillante della stessa strana sostanza bianco-argentea che riempiva il Pensatoio. Silente aggiunse quel pensiero fresco agli altri, e Harry, esterrefatto, vide il proprio volto galleggiare nel bacile.

Silente pose le lunghe mani sui lati del Pensatoio e lo fece ruotare, come un cercatore d'oro che setaccia la sabbia per scoprire frammenti del prezioso metallo... e Harry vide il proprio volto trasformarsi gradualmente in quello di Piton, che aprì la bocca e parlò al soffitto, mentre la sua voce echeggiava appena. «Sta tornando... anche quello di Karkaroff... più forte e nitido che mai...»

«Un collegamento che avrei potuto fare anche da solo» sospirò Silente,

«ma non importa». Sbirciò Harry al di sopra degli occhiali a mezzaluna; il ragazzo guardava a bocca aperta il viso di Piton, che continuava a roteare.

«Stavo usando il Pensatoio quando Caramell è venuto all'appuntamento, e l'ho riposto in gran fretta. È indubbio che non ho chiuso bene lo sportello dell'armadio. Era naturale che attirasse la tua attenzione».

«Mi dispiace» borbottò Harry.

Silente scosse il capo.

«La curiosità non è un peccato» disse. «Ma dovremmo andarci cauti, con la curiosità... sì, davvero...»

Lievemente accigliato, con la punta della bacchetta diede un colpetto alla superficie vetrosa. Immediatamente ne emerse una sagoma, una ragazzina robusta e torva sui sedici anni, che prese a girare lentamente, i piedi ancora dentro la sostanza. Non fece alcun caso a Harry o al professor Silente. Quando parlò, la sua voce echeggiò come quella di Piton poco prima, come se provenisse dal profondo del bacile di pietra: «Mi ha scagliato un incantesimo, professor Silente, e io lo stavo solo prendendo in giro, avevo solo detto che l'avevo visto baciare Florence dietro le serre giovedì scorso...»

«Ma perché, Bertha» disse Silente in tono triste, guardando la ragazza che ora girava senza parlare, «perché ti è venuto in mente di seguirlo?»

«Bertha?» sussurrò Harry, senza distogliere gli occhi. «È... era Bertha Jorkins?»

«Sì» rispose Silente, sfiorando i pensieri con la punta della bacchetta; Bertha vi si immerse di nuovo, e quelli tornarono argentei e opachi. «Quella era Bertha come la ricordo a scuola». La luce che emanava dal Pensatoio riverberò sul viso di Silente, e all'improvviso Harry fu colpito da quanto fosse vecchio. Sapeva, ovvio, che Silente era avanti con gli anni, ma per qualche ragione non pensava mai a lui come a un vecchio.

«Allora, Harry» disse piano il Preside. «Prima di perderti tra i miei pensieri, volevi dirmi qualcosa».

«Sì» rispose Harry. «Professore... poco fa ero a Divinazione, e... ehm... mi sono addormentato».

A quel punto esitò, incerto se aspettarsi un rimprovero, ma Silente si limitò a dire: «Comprensibile, direi. Continua».

«Be', ho fatto un sogno» riprese Harry. «Ho sognato Voldemort. Stava torturando Codaliscia... lei sa chi è Codaliscia...»

«Lo so» disse prontamente il Preside. «Ti prego, continua».

«Voldemort ha ricevuto una lettera via gufo. Ha detto una cosa tipo 'il guaio di Codaliscia è stato rimediato'. Ha detto che qualcuno era morto. Poi ha detto che Codaliscia non sarebbe finito in pasto al serpente - c'era un serpente vicino alla sua poltrona. Ha detto... ha detto che al suo posto gli avrebbe dato in pasto me. Poi ha scagliato la Maledizione Cruciatus su Codaliscia... e la cicatrice ha cominciato a bruciarmi» concluse Harry.

«Faceva così male che mi ha svegliato».

Silente si limitò a guardarlo.

«Ehm... è tutto» disse Harry.

«Capisco» disse Silente piano. «Capisco. Ora, la cicatrice ti ha fatto male ancora quest'anno, a parte quella volta che ti ha svegliato la scorsa estate?»

«No, io... come fa a sapere che mi ha svegliato la scorsa estate?» chiese Harry, sbalordito.

«Non sei l'unico corrispondente di Sirius» disse Silente. «Anch'io sono in contatto con lui da quando se n'è andato da Hogwarts l'anno scorso. Sono stato io a suggerirgli che la caverna sul fianco della montagna era il posto più sicuro dove nascondersi». Silente si alzò e prese a camminare su e giù dietro la scrivania. Ogni tanto si puntava la bacchetta alla tempia, prelevava un altro scintillante pensiero d'argento e lo aggiungeva al Pensatoio. I pensieri là dentro cominciarono a vorticare così in fretta che Harry non riuscì a distinguere nulla; era solo un turbine confuso di colore.

«Professore» mormorò dopo un paio di minuti.

Silente smise di andare avanti e indietro e lo guardò.

«Le mie scuse» disse a voce bassa. Riprese posto alla scrivania.

«Lei... lei sa perché la cicatrice mi fa male?»

Silente guardò intensamente Harry per un istante, poi disse: «Ho una teoria, niente di più... È mia convinzione che la cicatrice ti faccia male sia quando Voldemort si trova vicino a te, sia quando prova un moto d'odio particolarmente violento».

«Ma... perché?»

«Perché tu e lui siete legati dalla maledizione fallita» spiegò Silente.

«Quella non è una ferita normale».

«Quindi lei crede... che quel sogno... sia successo davvero?»

«È possibile» disse Silente. «Direi... probabile. Harry... hai visto Voldemort?»

«No» rispose Harry. «Solo lo schienale della sua poltrona. Ma... non ci sarebbe stato niente da vedere, no? Voglio dire, non ha un corpo, vero?

Ma... ma allora come faceva a tenere la bacchetta?» aggiunse lentamente.

«Già. come?» mormorò Silente. «Come...»

Per un po' né Silente né Harry parlarono. Silente guardava fisso attraverso!a stanza; ogni tanto avvicinava la bacchetta alla tempia e aggiungeva un altro lucente pensiero argenteo alla massa fremente contenuta nel Pensatoio.

«Professore» disse Harry alla fine, «crede che stia diventando più forte?»

«Voldemort?» chiese Silente, guardando Harry al di sopra del Pensatoio. Era il tipico sguardo penetrante che Silente gli aveva rivolto in altre occasioni, e che faceva sempre provare a Harry la sensazione che il Preside vedesse attraverso di lui, in un modo impossibile perfino per l'occhio magico di Moody. «Ancora una volta, Harry, posso solo rivelarti i miei sospetti». Silente sospirò di nuovo, e parve più vecchio e stanco che mai.

«Gli anni dell'ascesa al potere di Voldemort» disse. «furono segnati dalle sparizioni. Bertha Jorkins è scomparsa senza lasciar traccia nell'ultimo luogo in cui si è avuta notizia di Voldemort. Anche Crouch è scomparso... e proprio qui al castello. E c'è stata una terza sparizione, che il Ministero, mi rammarica dirlo, non considera di alcuna importanza, perché riguarda un Babbano. Si chiamava Frank Bryce, viveva nel villaggio in cui è cresciuto il padre di Voldemort, e non è più stato visto dallo scorso agosto. Vedi, io leggo i giornali Babbani, a differenza di gran parte dei miei amici al Ministero».

Silente rivolse a Harry uno sguardo molto serio. «A me queste sparizioni sembrano collegate. Il Ministero non è d'accordo... come forse hai sentito mentre aspettavi fuori dal mio ufficio».

Harry annuì. Tra i due cadde di nuovo il silenzio; ogni tanto Silente si sfilava dei pensieri. Harry sentiva che era ora di andarsene, ma la curiosità

lo trattenne sulla sedia.

«Professore» disse di nuovo.

«Sì, Harry?»

«Ehm... posso chiederle... di quel tribunale in cui sono stato... nel Pensatoio?»

«Puoi» rispose Silente con gravità. «Vi ho preso parte molte volte, ma alcuni processi mi tornano in mente più nitidi di altri... soprattutto ora...»

«Sa... sa il processo in cui mi ha trovato? Quello contro il figlio di Crouch? Be'... parlavano dei genitori di Neville?»

Silente lanciò a Harry un'occhiata penetrante.

«Neville non ti ha mai detto perché è cresciuto con sua nonna?» chiese. Harry scosse la testa, chiedendosi come mai non gli era mai venuto in mente di domandarlo a Neville, in quasi quattro anni che lo conosceva.

«Sì, parlavano dei genitori di Neville» disse Silente. «Suo padre, Frank, era un Auror proprio come il professor Moody. Lui e sua moglie furono torturati per estorcere loro informazioni su dove si trovava Voldemort dopo aver perso i suoi poteri, come hai sentito».

«Quindi sono morti?» chiese Harry molto piano.

«No» rispose Silente, con un'amarezza che Harry non gli aveva mai sentito prima, «sono pazzi. Si trovano tutti e due all'Ospedale di San Mungo per Malattie e Ferite Magiche. Credo che Neville vada a trovarli, con la nonna, durante le vacanze. Loro non lo riconoscono».

Harry rimase lì seduto, impietrito dall'orrore. Non aveva mai saputo... mai, in quattro anni, si era dato la pena di scoprire...

«I Paciock erano molto famosi» riprese Silente. «Furono aggrediti dopo la caduta di Voldemort, quando ormai tutti credevano di essere al sicuro. Ciò che subirono provocò un'ondata di rabbia senza precedenti. Il Ministero fu sottoposto a forti pressioni per la cattura dei responsabili. Sfortunatamente, viste le loro condizioni, la testimonianza dei Paciock non era molto affidabile».

«Ma allora può darsi che il figlio del signor Crouch non vi fosse coinvolto?» chiese Harry lentamente. Silente scosse la testa. «Quanto a questo, non ne ho idea». Harry rimase ancora una volta seduto in silenzio, gli occhi fissi al turbolento contenuto del Pensatoio. C'erano altre due domande che moriva dalla voglia di fare... ma riguardavano le colpe di persone viventi...

«Ehm» disse, «il signor Bagman...»

«... non è mai stato accusato di attività Oscure da allora» concluse tranquillo Silente.

«Bene» disse Harry in fretta, tornando a scrutare il contenuto del Pensatoio, che vorticava più lentamente ora che Silente aveva smesso di river-sarvi altri pensieri. «E... ehm...»

Ma il Pensatoio parve formulare la domanda al suo posto. Il volto di Piton affiorò di nuovo. Silente gli gettò un'occhiata, poi alzò lo sguardo verso Harry.

«E nemmeno il professor Piton» disse.

Harry scrutò gli occhi azzurro chiaro di Silente, e la domanda cruciale gli sfuggì di bocca prima che riuscisse a fermarsi. «Che cosa le ha fatto credere che avesse davvero smesso di sostenere Voldemort, professore?»

Silente sostenne lo sguardo di Harry per qualche secondo, e poi rispose:

«Questa, Harry, è una faccenda tra il professor Piton e me». Harry seppe che la conversazione era finita. Silente non sembrava arrabbiato, ma una nota definitiva nel suo tono di voce suggerì a Harry che era ora di andare. Si alzò, e cosi fece Silente.

«Harry» disse, mentre il ragazzo si avvicinava alla porta. «Ti prego di non raccontare a nessuno dei genitori di Neville. Ha il diritto di essere lui a parlarne, quando si sentirà pronto».

«Si, professore» disse Harry, e si voltò per andarsene.

«E...»

Harry si voltò.

Silente era in piedi davanti al Pensatoio, il viso illuminato dal basso dalle macchie di luce argentea, e sembrava più vecchio che mai. Fissò Harry per un attimo, e poi disse: «Buona fortuna per la terza prova».

CAPITOLO 31

LA TERZA PROVA

«Anche Silente crede che Voi-Sapete-Chi stia diventando di nuovo più

forte?» sussurrò Ron.

Tutto ciò che Harry aveva visto nel Pensatoio, quasi tutto quello che Silente gli aveva raccontato e mostrato dopo, l'aveva confidato a Ron e Hermione: e naturalmente a Sirius, al quale aveva spedito un gufo nell'istante in cui era uscito dall'ufficio di Silente. Quella sera Harry, Ron e Hermione rimasero di nuovo alzati fino a tardi in sala comune a ridiscutere il tutto finché a Harry non cominciò a girare la testa, e capì che cosa intendeva Silente parlando di una mente cosi affollata di pensieri che sarebbe stato un sollievo riversarli altrove.

Ron fissò il fuoco della sala comune. A Harry parve che tremasse, anche se la serata era tiepida.

«E si fida di Piton?» chiese Ron. «Si fida veramente di Piton, anche se sa che era un Mangiamorte?»

«Sì» disse Harry.

Hermione non parlava da dieci minuti. Era seduta con la fronte tra le mani, a guardarsi le ginocchia. Anche lei sembrava avere urgente bisogno di un Pensatoio.

«Rita Skeeter» borbottò alla fine.

«Come fai a preoccuparti di lei in questo momento?» esclamò Ron incredulo.

«Non mi preoccupo di lei» disse Hermione alle sue ginocchia. «Sto solo pensando... ricordate quello che mi ha detto ai Tre Manici di Scopa? 'So cose a proposito di Ludo Bagman che vi farebbero arricciare i capelli'. È a questo che alludeva, no? Ha fatto la cronaca del suo processo, sapeva che aveva passato delle informazioni ai Mangiamorte. E anche Winky, ricordate... 'Il signor Bagman è un mago cattivo'. Il signor Crouch dev'essere stato furente che se la sia cavata, deve averne parlato a casa».

«Sì, ma Bagman non ha passato informazioni di proposito, no?»

Hermione alzò le spalle.

«E Caramell crede che Madame Maxime abbia aggredito Crouch?» chiese Ron.

«Sì» rispose Harry, «ma lo dice solo perché Crouch è scomparso vicino alla carrozza di Beauxbatons».

«A lei non abbiamo mai pensato, vero?» disse Ron lentamente. «Badate, è chiaro che ha sangue di gigante, e non vuole ammetterlo...»

«Certo che no» sbottò Hermione, alzando gli occhi. «Guarda cos'è successo a Hagrid quando Rita ha scoperto di sua madre. Guarda Caramell, che salta alle conclusioni su di lei solo perché è in parte gigante. Chi vuole quel genere di pregiudizio? Anch'io probabilmente direi che ho le ossa grandi se sapessi quel che ci guadagno a dire la verità». Guardò l'orologio.

«Non abbiamo fatto esercizio!» esclamò, agitata. «Dovevamo fare l'Incantesimo di Ostacolo! Dovremo metterci d'impegno domani! Andiamo, Harry, devi dormire un po'».

Harry e Ron salirono lentamente le scale che portavano al loro dormitorio. Mentre Harry s'infilava il pigiama, guardò verso il letto di Neville. Aveva mantenuto la parola e non aveva raccontato a Ron e Hermione dei genitori di Neville. Mentre si toglieva gli occhiali e si arrampicava sul letto a baldacchino, cercò di immaginare che cosa si prova ad avere i genitori ancora in vita, ma incapaci di riconoscerti. Gli estranei avevano spesso compassione di lui perché era orfano, ma mentre ascoltava Neville russare, pensò che l'amico ne meritava molta di più. Disteso al buio, Harry provò

un moto di rabbia e odio verso quelli che avevano torturato i Paciock... gli tornarono alla mente le grida di scherno della folla mentre il figlio di Crouch e i suoi compari venivano trascinati fuori dal tribunale dai Dissennatori... capiva cos'avevano provato... poi ripensò al viso bianco latteo del ragazzo urlante, e si rese conto con un sussulto che era morto un anno dopo... Era Voldemort, rifletté Harry fissando il baldacchino nell'oscurità, tutto faceva capo a Voldemort... era lui che aveva diviso quelle famiglie, che aveva rovinato tutte quelle vite...

*

Ron e Hermione avrebbero dovuto ripassare per gli esami, che si sarebbero conclusi il giorno della terza prova, ma in realtà pensavano soprattutto ad aiutare Harry.

«Non preoccuparti» disse Hermione bruscamente quando Harry glielo fece osservare dicendo che poteva anche esercitarsi da solo per un po'.

«Almeno prenderemo il massimo dei voti in Difesa contro le Arti Oscure, a lezione non avremmo mai scoperto tutti questi incantesimi».

«Un buon allenamento per quando saremo tutti Auror» disse Ron eccitato, scagliando l'Incantesimo di Ostacolo su una vespa che ronzava nella stanza e immobilizzandola a mezz'aria.

All'inizio di giugno l'atmosfera nel castello si fece di nuovo tesa e agitata. Tutti aspettavano con ansia la terza prova, che avrebbe avuto luogo una settimana prima della fine del trimestre. Harry si esercitava negli incantesimi in ogni momento libero. Si sentiva più tranquillo per questa prova che per le altre; certo, sarebbe stata difficile e pericolosa, ma Moody aveva ragione: Harry era riuscito a cavarsela davanti a creature mostruose e barriere incantate prima d'allora, questa volta lo sapeva in anticipo e poteva prepararsi per ciò che lo aspettava. Stanca di imbattersi nel terzetto in tutti gli angoli della scuola, la professoressa McGranitt aveva dato a Harry il permesso di usare la classe di Trasfigurazione che era vuota all'ora di pranzo. Ben presto Harry padroneggiò

l'Incantesimo di Ostacolo, che rallentava e ostacolava gli aggressori, l'Incantesimo Reductor, che gli consentiva di far saltare in aria oggetti solidi che fossero d'intralcio, e l'Incanto Quattro Punti, un'utile scoperta di Hermione che avrebbe indirizzato la sua bacchetta esattamente a nord, permettendogli di orientarsi all'interno del labirinto. Aveva ancora qualche difficoltà con il Sortilegio Scudo, però. Questo avrebbe dovuto creargli attorno un muro temporaneo invisibile che deviava gli incantesimi minori; ma Hermione riuscì a mandarlo in pezzi con una Fattura Gambemolli ben piazzata. Harry si aggirò barcollando per dieci minuti prima che lei riuscisse a scoprire la controfattura.

«Però vai molto bene, davvero» disse Hermione in tono incoraggiante, scorrendo la lista e cancellando gli incantesimi che avevano già imparato.

«Alcuni di questi si riveleranno utili».

«Venite un po' a vedere» disse Ron, che era alla finestra e guardava giù

nel parco. «Che sta facendo Malfoy?»

Harry e Hermione si avvicinarono. Malfoy, Tiger e Goyle erano all'ombra di un albero. Tiger e Goyle erano intenti a far la guardia; entrambi avevano un sorriso perfido. Malfoy si teneva la mano vicino alla bocca e vi parlava dentro.

«Sembra che stia usando un walkie-talkie» disse Harry incuriosito.

«Non è possibile» disse Hermione. «Ve l'ho detto, quelle cose lì non funzionano a Hogwarts. Andiamo, Harry» aggiunse in tono pratico, allontanandosi dalla finestra e tornando al centro della stanza, «riproviamo il Sortilegio Scudo».

*

Sirius spediva gufi tutti i giorni, ormai. Come Hermione, sembrava deciso a concentrarsi su come far superare a Harry l'ultima prova, prima di pensare ad altro. In ogni lettera gli ricordava che qualunque cosa stesse accadendo al di fuori delle mura di Hogwarts non era sua responsabilità, né

era in suo potere modificarla.

Se Voldemort sta davvero ritornando in forze, scrisse, il mio primo pen- siero è accertarmi che tu sia al sicuro. Non può sperare di mettere le mani su di te finché ti trovi sotto la protezione di Silente, ma comunque non cor- rere rischi: concentrati su come uscire sano e salvo da quel labirinto, e poi potremo rivolgere l'attenzione ad altre faccende.

Il nervosismo di Harry crebbe man mano che il 24 di giugno si avvici-nava, ma non era paragonabile allo stato d'animo con cui aveva atteso la prima e la seconda prova. Primo, questa volta era sicuro di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per prepararsi. Secondo, era l'ostacolo finale, e che ne uscisse bene o male, finalmente il Torneo si sarebbe concluso, con suo enorme sollievo.

*

La mattina della terza prova la colazione al tavolo di Grifondoro fu molto rumorosa. Comparvero i gufi postini e consegnarono a Harry una cartolina di auguri da parte di Sirius. Era solo un foglio di pergamena piegato in due con stampata davanti un'impronta fangosa, ma Harry la gradì comunque. A Hermione arrivò un barbagianni con l'edizione del mattino della Gazzetta del Profeta, come al solito. Lei aprì il giornale, diede un'occhiata alla prima pagina e sputacchiò una sorsata di succo di zucca.

«Cosa c'è?» dissero Harry e Ron in coro, fissandola sbalorditi.

«Niente» rispose frettolosamente Hermione, cercando di far sparire il giornale, ma Ron lo afferrò.

Fissò il titolo e disse: «Non è possibile. Non oggi. Quella vecchia vac- ca» .

«Cosa?» disse Harry. «Di nuovo Rita Skeeter?»

«No» rispose Ron, e come Hermione cercò di allontanare il giornale.

«Parla di me, vero?» disse Harry.

«No» rispose Ron, in tono nient'affatto convincente.

Ma prima che Harry potesse impuntarsi per vedere il giornale, Draco Malfoy gridò dal tavolo di Serpeverde:

«Ehi, Potter! Potter! Come va la testa? Ti senti bene? Sei sicuro che non ci farai a pezzi?»

Anche lui brandiva una copia della Gazzetta del Profeta. I Serpeverde seduti a tavola ridacchiavano, agitandosi sulle sedie per riuscire a vedere la reazione di Harry.

«Fammi vedere» disse Harry a Ron. «Dammelo».

Con molta riluttanza, Ron gli tese il quotidiano. Harry lo voltò e si ritrovò a fissare la propria foto sotto un titolo a caratteri cubitali:

HARRY POTTER È «DISTURBATO E PERICOLOSO»

Il ragazzo che ha sconfitto Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è in- stabile e potenzialmente pericoloso, scrive Rita Skeeter, inviato speciale. Sono venute alla luce testimonianze allarmanti sullo strano comportamen- to di Harry Potter, che insinuano seri dubbi sull'opportunità che partecipi a una gara impegnativa come il Torneo Tremaghi, e perfino che frequenti la scuola di Hogwarts.

Potter, come la Gazzetta del Profeta è in grado di rivelare in esclusiva, sviene regolarmente durante le lezioni, e spesso lo si sente lamentare un dolore alla cicatrice che porta sulla fronte (ricordo della maledizione con la quale Voi-Sapete-Chi cercò di ucciderlo). Lunedì scorso, nel corso di un lezione di Divinazione, il vostro inviato della Gazzetta del Profeta può

testimoniare che Potter è uscito di gran fretta dalla classe, sostenendo che la cicatrice gli faceva troppo male per continuare a studiare. È possibile, spiegano i massimi esperti dell'Ospedale di San Mungo per le Malattie e Ferite Magiche, che il cervello di Potter sia stato danneggia- to dall'aggressione di Voi-Sapete-Chi, e che la sua insistenza nel sostenere che la cicatrice gli fa ancora male sia una manifestazione del profondo stato confusionale in cui versa.

«Potrebbe anche fingere» ha dichiarato uno specialista, «la sua potreb- be essere una richiesta di attenzioni».

La Gazzetta del Profeta, intanto, ha scoperto fatti preoccupanti a propo- sito di Harry Potter che Albus Silente, Preside di Hogwarts, ha accurata- mente tenuto nascosti al pubblico mago.

«Potter parla il Serpentese» rivela Draco Malfoy, uno studente del quarto anno di Hogwarts. «Un paio di anni fa si sono verificate parecchie aggressioni ai danni di studenti, e tutti pensavano che dietro ci fosse Pot- ter: aveva perso la testa al Club dei Duellanti e aveva aizzato un serpente contro un altro ragazzo. Ma è stato tutto messo a tacere. Lui però ha an- che fatto amicizia con lupi mannari e giganti. Siamo convinti che farebbe qualunque cosa per un briciolo di potere».

Il Serpentese, la capacità di parlare ai serpenti, da molto tempo è consi- derato un'Arte Oscura. In verità, il più celebre conoscitore del Serpentese dei nostri giorni è nientemeno che Voi-Sapete-Chi in persona. Un membro della Lega di Difesa contro le Arti Oscure, che preferisce conservare l'a- nonimato, ha dichiarato che riterrebbe ogni mago in grado di parlare Serpentese «passibile di indagini. Personalmente, nutrirei gravi sospetti su chiunque sapesse conversare con i serpenti, poiché questi rettili sono spesso usati nella Magia Oscura della peggior specie, e sono storicamente legati ai malfattori». Parimenti, «chiunque cerchi la compagnia di creatu- re malvagie come lupi mannari e giganti parrebbe nutrire inclinazioni vio- lente».

Albus Silente dovrebbe senza dubbio chiedersi se a un ragazzo del gene- re debba essere permesso gareggiare nel Torneo Tremaghi. C'è chi teme che Potter possa ricorrere alle Arti Oscure nel suo folle desiderio di vin- cere il Torneo, la terza prova del quale avrà luogo questa sera.

«Mi ha un po' strapazzato, vero?» commentò Harry in tono leggero, ripiegando il giornale. Al tavolo di Serpeverde, Malfoy, Tiger e Goyle ridevano di lui, si picchiavano la testa con le dita, facevano grottesche smorfie da matti e dardeggiavano la lingua come serpenti.

«Come ha fatto a sapere che ti faceva male la cicatrice a Divinazione?»

disse Ron. «Non è possibile che fosse là, non c'è modo che possa aver sentito...»

«La finestra era aperta» disse Harry. «L'ho aperta per respirare».

«Eri in cima alla Torre Nord!» esclamò Hermione. «La tua voce non può

essere arrivata fin giù nel parco!»

«Be', sei tu quella che doveva indagare sui metodi magici di spionaggio!» disse Harry. «Devi dirmelo tu come ha fatto!»

«Ci sto provando!» replicò Hermione. «Ma io... ma...»

Una strana espressione rapita pervase all'improvviso il volto di Hermione. Alzò lentamente una mano e si fece scorrere le dita tra i capelli.

«Ti senti bene?» chiese Ron, guardandola accigliato.

«Sì» rispose Hermione in un sussurro. Fece scorrere di nuovo le dita tra i capelli, e poi avvicinò la mano alla bocca, come se parlasse in un walkietalkie invisibile. Harry e Ron si guardarono stupiti.

«Mi è venuta un'idea» disse Hermione, fissando il vuoto. «Credo di sapere... perché così nessuno avrebbe visto... nemmeno Moody... e lei avrebbe potuto salire sul davanzale... ma non è autorizzata... non è assolutamen- te autorizzata... credo di averla incastrata! Datemi solo due secondi in biblioteca... solo per esserne certa!»

E con queste parole, Hermione afferrò la borsa e sfrecciò fuori dalla Sala Grande.

«Ehi!» le gridò Ron. «Abbiamo l'esame di Storia della Magia tra dieci minuti! Accidenti» disse a Harry, «deve proprio odiarla, quella Skeeter, per rischiare di perdersi l'inizio di un esame. Che cosa farai tu alla lezione di Rüf? Continuerai a leggere?»

Dispensato dalle prove di fine trimestre in quanto campione del Tremaghi, durante gli esami Harry sedeva in fondo alla classe, a cercare nuovi incantesimi.

«Immagino di sì» disse a Ron; ma in quel momento gli si avvicinò la professoressa McGranitt.

«Potter, i campioni si riuniscono nella saletta qui accanto dopo colazione» disse.

«Ma la prova comincia stasera!» disse Harry, e si rovesciò addosso le uova strapazzate, temendo di aver sbagliato orario.

«Lo so, Potter» disse lei. «I familiari dei campioni sono invitati ad assistere alla prova finale, lo sai. Questa è solo un'occasione per salutarli». Si allontanò. Harry la guardò a bocca aperta.

«Non si aspetterà che arrivino i Dursley, vero?» chiese a Ron, incredulo.

«Non so» disse Ron. «Harry, è meglio che mi muova, o sarò in ritardo da Rüf. A più tardi».

Harry finì di fare colazione nella Sala Grande che si andava svuotando. Vide Fleur Delacour alzarsi dal tavolo di Corvonero e unirsi a Cedric che entrava nella saletta. Krum avanzò ciondolando e li raggiunse poco dopo. Harry rimase dov'era. Non voleva andarci, proprio no. Non aveva genitori: nessuno della sua famiglia sarebbe venuto a vederlo rischiare la vita, comunque. Ma proprio mentre si alzava, pensando che avrebbe potuto approfittarne per salire in biblioteca a fare un altro rapido ripasso di incantesimi, la porta della saletta si aprì, e sbucò la testa di Cedric.

«Harry, dai, ti stanno aspettando!»

Decisamente perplesso, Harry si alzò. I Dursley non potevano certo essere là dentro, vero? Attraversò la Sala e aprì la porta. Cedric e i suoi genitori erano vicino all'ingresso. Viktor Krum era in un angolo e conversava fitto in bulgaro con il padre e la madre, entrambi scuri di capelli. Aveva ereditato dal padre il naso adunco. Dall'altro lato della stanza, Fleur chiacchierava in francese con la madre che teneva per mano la piccola Gabrielle. Salutò Harry agitando l'altra mano, e lui le rispose. Poi vide la signora Weasley e Bill in piedi davanti al camino, con un sorriso radioso tutto per lui.

«Sorpresa!» esclamò gioiosa la signora Weasley, mentre Harry li raggiungeva con un enorme sorriso. «Abbiamo pensato di venire a vederti, Harry!» Si chinò e lo baciò su una guancia.

«Tutto bene?» disse Bill, offrendo a Harry un ghigno e una stretta di mano. «Voleva venire anche Charlie, ma non è riuscito a prendersi un giorno di vacanza. Ha detto che sei stato incredibile contro lo Spinato». Fleur Delacour, notò Harry, studiava Bill con profondo interesse da sopra la spalla della madre. Harry capì che non aveva proprio nulla da obiettare sui capelli lunghi o gli orecchini zannuti.

«È davvero gentile da parte vostra» mormorò Harry alla signora Weasley. «Per un attimo ho pensato... i Dursley...»

«Hmm» disse la signora Weasley, stringendo le labbra. Si era sempre trattenuta dal criticare i Dursley davanti a Harry, ma i suoi occhi lampeggiavano tutte le volte che venivano nominati.

«È magnifico essere di nuovo qui» disse Bill guardandosi attorno (Violet, l'amica della Signora Grassa, gli fece l'occhiolino dalla cornice). «Sono cinque anni che non vedo questo posto. È ancora in giro quel quadro col cavaliere suonato? Sir Cadogan?»

«Oh, sì» disse Harry, che aveva conosciuto Sir Cadogan l'anno prima.

«E la Signora Grassa?» chiese Bill.

«Era già qui ai miei tempi» disse la signora Weasley. «Mi ha fatto la predica una notte che ero tornata in dormitorio alle quattro del mattino...»

«Che cosa ci facevi fuori dal dormitorio alle quattro del mattino?» chiese Bill, guardando la madre stupito.

Lei fece un gran sorriso, gli occhi scintillanti.

«Io e tuo padre eravamo andati a fare una passeggiatina notturna» disse.

«Lui fu sorpreso da Apollon Pringle - a quel tempo era lui il custode: ha ancora i segni».

«Ti va di farci fare un giretto, Harry?» disse Bill.

«Sì, certo» disse Harry, e si diressero verso la porta che dava nella Sala Grande.

Mentre passavano davanti ad Amos Diggory, lui si voltò. «Eccoti qui, allora» sbottò, squadrando Harry da capo a piedi. «Scommetto che non ti senti così tronfio adesso che Cedric ti ha raggiunto, eh?»

«Cosa?» fece Harry.

«Ignoralo» gli disse Cedric a bassa voce, guardando accigliato suo padre. «È arrabbiato da quando è uscito quell'articolo di Rita Skeeter sul Torneo Tremaghi... sai, quando lasciò capire che eri il solo campione di Hogwarts».

«E non si è preso la briga di correggerla, però, eh?» disse Amos Diggory, abbastanza forte da farsi sentire da Harry che stava per uscire con la signora Weasey e Bill. «Comunque... gliela farai vedere, Ced. L'hai già

battuto una volta, no?»

«Rita Skeeter è solo contenta se può fare danni, Amos!» ribatté con forza la signora Weasley. «Credevo che lo sapessi, visto che lavori al Ministero!»

Il signor Diggory aveva l'aria di chi sta per dire qualcosa di feroce, ma sua moglie gli posò una mano sul braccio e lui si limitò ad alzare le spalle e a voltarsi dall'altra parte.

Harry trascorse una mattinata molto piacevole passeggiando per il parco inondato di sole con Bill e la signora Weasley; mostrò loro la carrozza di Beauxbatons e la nave di Durmstrang. La signora Weasley fu incuriosita dal Platano Picchiatore, che era stato piantato dopo che lei aveva finito gli studi, e si lasciò andare a diffusi ricordi del guardiacaccia predecessore di Hagrid, un uomo chiamato Ogg.

«Come sta Percy?» chiese Harry mentre costeggiavano le serre.

«Non bene» rispose Bill.

«È molto turbato» disse la signora Weasley, abbassando la voce e guardandosi intorno. «Il Ministero vuole tenere riservata la notizia della scomparsa del signor Crouch, ma Percy è stato convocato per un interrogatorio sulle istruzioni che Crouch gli spedisce. Sembrano convinti che non siano state scritte di suo pugno. Percy è sotto pressione. Non gli permettono di sostituire Crouch come quinto giudice stasera. Cornelius Caramell prenderà il suo posto». Tornarono al castello per il pranzo.

«Mamma... Bill!» esclamò Ron esterrefatto arrivando al tavolo di Grifondoro. «Che cosa ci fate qui?»

«Siamo venuti a vedere Harry nell'ultima prova!» rispose allegramente la signora Weasley. «Devo dire che è una bella novità, non dover cucinare. Com'è andato il tuo esame?»

«Oh... bene» disse Ron. «Non mi ricordavo i nomi di tutti i goblin ribelli, così ne ho inventati un po'. Non ti preoccupare» aggiunse, servendosi di pasticcio della Cornovaglia, mentre la signora Weasley assumeva un cipiglio severo, «hanno tutti nomi tipo Bodrod il Barbuto e Urg l'Unticcio, non è stato difficile».

Anche Fred, George e Ginny si sedettero vicino a loro, e Harry si sentì

così bene che gli parve quasi di essere tornato alla Tana; dimenticò la prova che lo aspettava, e solo quando ricomparve Hermione a metà pranzo gli venne in mente del suo lampo di genio a proposito di Rita Skeeter.

«Vuoi spiegarci...?»

Hermione lo ammonì con un cenno della testa e lanciò un'occhiata alla signora Weasley.

«Buongiorno, Hermione» disse lei, molto più rigida del solito.

«Buongiorno» rispose Hermione, ma il suo sorriso svanì di fronte davanti all'espressione fredda della signora Weasley. Harry guardò l'una e l'altra, poi disse: «Signora Weasley, non avrà creduto alla robaccia che Rita Skeeter ha scritto sul Settimanale delle Streghe, vero? Perché Hermione non è la mia fidanzata».

«Oh!» esclamò la signora Weasley. «No... certo che no!»

Dopodiché però fu molto più affettuosa con Hermione.

Nel pomeriggio, Harry, Bill e la signora Weasley fecero una lunga passeggiata attorno al castello, e poi tornarono in Sala Grande per il banchetto serale. Ludo Bagman e Cornelius Caramell nel frattempo avevano preso posto al tavolo dei professori. Bagman sembrava piuttosto allegro, ma Cornelius Caramell, che era seduto accanto a Madame Maxime, era torvo e non parlava. Madame Maxime era concentrata sul suo piatto, e a Harry parve che avesse gli occhi rossi. Hagrid continuava a guardarla in tralice. C'erano più portate del solito, ma Harry, che cominciava a sentirsi molto più teso, non mangiò molto. Mentre il soffitto incantato sopra le loro teste cominciava a sbiadire dall'azzurro a un violetto fosco, Silente si alzò al tavolo dei professori e subito cadde il silenzio.

«Signore e signori, tra cinque minuti vi chiederò di scendere al campo di Quidditch per la terza e ultima prova del Torneo Tremaghi. I campioni vogliano per favore seguire il signor Bagman giù allo stadio, adesso». Harry si alzò. Tutti i Grifondoro lo applaudirono; i Weasley e Hermione gli augurarono tutti quanti buona fortuna, e lui uscì dalla Sala Grande con Cedric, Fleur e Krum.

«Tutto a posto, Harry?» gli chiese Bagman mentre scendevano gli scalini di pietra e si addentravano nel parco. «Tranquillo?»

«Sto bene» rispose Harry. Era quasi vero; era nervoso, ma lungo il tragitto continuava a ripetersi le fatture e gli incantesimi che aveva imparato, e scoprire che se li ricordava tutti lo fece sentire meglio. Entrarono nel campo di Quidditch, che ormai era del tutto irriconoscibile. Una siepe alta sei metri correva per tutto il suo perimetro. C'era un'apertura proprio davanti a loro: l'ingresso dell'enorme labirinto. Il corridoio al di là era buio e sinistro.

Cinque minuti dopo, l'aria si riempì di voci eccitate e dello scalpiccio di innumerevoli piedi mentre centinaia di studenti riempivano le tribune. Il cielo era di un intenso, limpido azzurro, e cominciavano a spuntare le pri-me stelle. Hagrid, il professor Moody, la professoressa McGranitt e il professor Vitious si avvicinarono a Bagman e ai campioni. Portavano grosse stelle rosse lucenti sul cappello, tutti tranne Hagrid, che aveva fissato la sua sulla schiena del cappotto di talpa.

«Noi pattuglieremo l'esterno del labirinto» disse la professoressa McGranitt. «Se vi trovate in difficoltà e desiderate essere salvati, sparate in aria una raffica di scintille rosse, e uno di noi verrà a prendervi, avete capito?»

I campioni annuirono.

«Allora andate!» disse allegramente Bagman ai quattro di pattuglia.

«Buona fortuna, Harry» sussurrò Hagrid, e i quattro si allontanarono in direzioni diverse, per disporsi attorno al labirinto. Bagman si puntò la bacchetta alla gola, borbottò 'Sonorus' e la sua voce amplificata per magia echeggiò sugli spalti.

«Signore e signori, sta per cominciare la terza prova del Torneo Tremaghi, la prova finale! Permettete che vi ricordi la situazione del punteggio!

Al primo posto, alla pari, con ottantacinque punti ciascuno... il signor Cedric Diggory e il signor Harry Potter, entrambi della Scuola di Hogwarts!»

Le grida e gli applausi fecero alzare in volo nel cielo sempre più scuro gli uccelli appollaiati sugli alberi della Foresta Proibita. «Al secondo posto, con ottanta punti... il signor Viktor Krum, dell'Istituto Durmstrang!» Altri applausi. «E al terzo posto... Mademoiselle Fleur Delacour, dell'Accademia di Beauxbatons!»

Harry riuscì a scorgere la signora Weasley, Bill, Ron e Hermione che applaudivano educatamente Fleur, a metà altezza delle tribune. Li salutò

con la mano, ed essi gli risposero con grandi sorrisi d'incoraggiamento.

«Allora... al mio segnale, Harry e Cedric!» disse Bagman. «Tre... due... uno...»

Fischiò brevemente e Harry e Cedric scattarono in avanti ed entrarono nel labirinto.

Le siepi torreggianti proiettavano ombre nere sul sentiero, e, fosse perché erano così alte e fitte o perché erano state stregate, il fragore della folla circostante svanì nell'istante in cui misero piede nel labirinto. Harry si sentì

quasi di nuovo sott'acqua. Estrasse la bacchetta, sussurrò « Lumos», e udì

Cedric fare lo stesso alle sue spalle.

Dopo centocinquanta metri, si trovarono a un bivio. Si guardarono.

«Ci vediamo» disse Harry, e prese a sinistra, mentre Cedric prendeva a destra.

Harry udì per la seconda volta il fischio di Bagman. Krum era entrato nel labirinto. Harry accelerò. Il sentiero che aveva imboccato sembrava completamente deserto. Voltò a destra e avanzò rapido, la bacchetta tesa sopra la testa, cercando di vedere il più avanti possibile. Ma non c'era ancora nulla in vista. Il segnale di Bagman suonò per la terza volta in lontananza. Ora tutti i campioni si trovavano nel labirinto.

Harry continuava a guardarsi alle spalle con la sensazione di essere osservato. Il labirinto era sempre più immerso nell'oscurità, man mano che il cielo diventava blu marino. Si trovò a un secondo bivio.

« Guidami» sussurrò alla bacchetta, tenendola piatta sul palmo della mano. La bacchetta roteò una volta e puntò alla sua destra, verso il folto della siepe. Da quella parte c'era il nord, e sapeva di doversi dirigere a nordovest per raggiungere il centro del labirinto. La cosa migliore che poteva fare era prendere il sentiero a sinistra, e girare di nuovo a destra alla prima occasione.

La strada era deserta, e tale rimase anche quando Harry imboccò un sentiero sulla destra. Non sapeva perché, ma l'assenza di ostacoli lo rendeva nervoso. Avrebbe già dovuto incontrarne uno, no? Era come se il labirinto volesse indurlo a una falsa sensazione di sicurezza. Poi sentì un movimento alle sue spalle. Tese la bacchetta, pronto all'attacco, ma il raggio di luce colpì soltanto Cedric, che era appena sbucato di corsa da un sentiero a destra. Sembrava profondamente scosso. La manica della sua veste fumava.

«Gli Schiopodi Sparacoda di Hagrid!» sibilò. «Sono enormi... sono riuscito a fuggire per un pelo!»

Scosse la testa e sparì, imboccando un altro sentiero. Ben deciso a mettere una bella distanza tra sé e gli Schiopodi, Harry riprese a correre. Poi, voltò un angolo e vide...

Un Dissennatore avanzava scivolando verso di lui. Alto tre metri e mezzo, il volto nascosto dal cappuccio, le mani putrescenti e coperte di croste tese davanti a sé, si faceva strada alla cieca verso di lui. Harry ne udì il respiro simile a un rantolo; si sentì invadere da un gelo appiccicoso, ma sapeva che cosa doveva fare... Evocò il pensiero più felice che poté, si concentrò con tutte le sue forze sul pensiero di uscire dal labirinto e festeggiare con Ron e Hermione, levò

la bacchetta e urlò: « Expecto Patronum! »

Un cervo d'argento sbucò dalla punta della bacchetta di Harry e avanzò

al galoppo verso il Dissennatore, che cadde indietro e s'impigliò nell'orlo della veste... Harry non aveva mai visto un Dissennatore inciampare.

«Aspetta!» gridò, avanzando nella scia del suo Patronus d'argento, «tu sei un Molliccio! Riddikulus! »

Si udì un colpo secco e forte, e la figura esplose in un fil di fumo. Il cervo d'argento svanì. Harry avrebbe voluto che restasse con lui, gli avrebbe fatto bene un po' di compagnia... avanzò più rapidamente e silenziosamente possibile, le orecchie tese, la bacchetta di nuovo alta. Sinistra... destra... ancora sinistra... due volte si trovò in un vicolo cieco. Rifece l'Incanto Quattro Punti, e scoprì che stava andando troppo a est. Fece dietrofront, svoltò a destra, e vide una strana nebbiolina dorata aleggiare davanti a lui.

Harry si avvicinò cautamente, la bacchetta puntata. Sembrava una qualche sorta di incantesimo. Si chiese se sarebbe stato capace di sbarazzarsene facendolo saltare per aria.

« Reducto! » esclamò.

La formula magica schizzò nella nebbiolina, lasciandola intatta. Si disse che avrebbe dovuto saperlo; l'Incantesimo Reductor funzionava con gli oggetti solidi. Che cosa sarebbe successo se avesse attraversato la nebbia?

Valeva la pena di tentare, o doveva tornare sui suoi passi?

Era ancora incerto quando un grido lacerò il silenzio.

«Fleur!» gridò Harry.

Silenzio. Si guardò attorno. Che cosa le era accaduto? Il grido sembrava provenire da un punto più avanti. Trasse un profondo respiro e si tuffò nella nebbiolina incantata. Il mondo si rovesciò. Harry penzolava dal suolo, coi capelli dritti, gli occhiali che minacciavano di cadere nel cielo senza fondo. Harry se li ricacciò sul naso e rimase lì a ciondolare, terrorizzato. Era come avere i piedi incollati all'erba. Sotto di lui il cielo scuro trapunto di stelle si stendeva all'infinito. Aveva la sensazione che se solo avesse cercato di muovere un piede, si sarebbe staccato per sempre dal terreno.

Pensa, si disse, mentre gli andava il sangue alla testa, pensa... Ma nessuno degli incantesimi che aveva provato era progettato per opporsi a un improvviso scambio tra cielo e terra. Avrebbe osato spostare il piede? Sentiva il sangue pulsare nelle orecchie. Aveva due possibilità: o cercare di muoversi, o sparare in alto scintille rosse, farsi tirar fuori dal Labirinto ed essere squalificato.

Chiuse gli occhi per non vedere il cielo senza fondo e staccò con deci-sione il piede dal soffitto d'erba. All'improvviso il mondo si raddrizzò. Harry cadde sulle ginocchia, sul terreno meravigliosamente solido. Per un attimo si senti molle dallo spavento. Respirò profondamente per calmarsi, poi si rialzò e corse avanti, guardandosi indietro mentre usciva dalla nebbiolina dorata, che scintillava innocente al chiaro di luna.

Si fermò a un incrocio e si guardò intorno, cercando qualche traccia di Fleur. Era sicuro che fosse stata lei a urlare. In cosa si era imbattuta? Stava bene? Non c'era segno di scintille rosse: significava che se l'era cavata, o che era nei guai al punto da non riuscire a recuperare la bacchetta? Harry imboccò il sentiero a destra con una sensazione di crescente disagio... ma nello stesso tempo non riuscì a non pensare un campione di meno... La Coppa era da qualche parte nelle vicinanze, e a quel che pareva Fleur non era più in gara. Era arrivato fino a lì, no? E se fosse davvero riuscito a vincere? Fugacemente, e per la prima volta da quando si era ritrovato tra i campioni, si vide di nuovo alzare la Coppa Tremaghi davanti al resto della scuola...

Non incontrò nulla per dieci minuti, tranne vicoli ciechi. Due volte prese la stessa direzione sbagliata. Alla fine trovò un nuovo percorso e lo imboccò di corsa. La luce della bacchetta sobbalzava, agitando e deformando la sua ombra sulle pareti di siepe. Poi girò un altro angolo e si trovò davanti a uno Schiopodo Sparacoda.

Cedric aveva ragione: era proprio enorme. Lungo tre metri, sembrava più che altro uno scoipione gigante. Il suo lungo pungiglione era inarcato sopra la schiena. La spessa corazza brillò alla luce della bacchetta di Harry, che gliela puntò contro.

« Stupeficium! »

L'incantesimo colpì la corazza dello Schiopodo, e rimbalzò indietro; Harry si chinò appena in tempo, ma sentì odore di capelli bruciati: gli aveva strinato la testa. Lo Schiopodo emise un lampo di fuoco dalla coda, e gli si scagliò addosso.

« Impedimenta! » strillò Harry. L'incantesimo colpì di nuovo la corazza dello Schiopodo e rimbalzò indietro; Harry arretrò barcollando di qualche passo e inciampò. «IMPEDIMENTA!»

A pochi centimetri da lui, lo Schiopodo si fermò di colpo: Harry l'aveva colpito al ventre molle e indifeso. Ansante, si allontanò da lui e corse nella direzione opposta: l'Incantesimo di Ostacolo non era permanente, lo Schiopodo avrebbe riguadagnato l'uso delle zampe da un momento all'al-tro. Prese un sentiero a sinistra, e finì in un vicolo cieco, uno a destra, e finì

in un altro vicolo cieco: si costrinse a fermarsi, col cuore che martellava in petto, formulò l'Incanto Quattro Punti, tornò sui suoi passi e scelse un sentiero che lo avrebbe portato a nord-ovest. Correva da qualche minuto quando udì qualcosa nel sentiero parallelo oltre la siepe, qualcosa che lo fece fermare di botto.

«Che cosa fai?» urlò la voce di Cedric. «Che cosa diavolo credi di fare?»

E poi Harry sentì la voce di Krum.

« Crucio! »

L'aria si riempì all'improvviso delle urla di Cedric. Atterrito, Harry scattò in avanti, cercando di trovare un passaggio per raggiungere Cedric. Quando capì che non ce n'erano, ritentò con l'Incantesimo Reductor. Non fu molto efficace, ma bruciò un buchetto nella siepe, in cui Harry fece passare a forza la gamba, prendendo a calci i fitti rovi e i rami finché non si spezzarono; s'infilò a fatica nel varco, strappandosi la veste, e guardando a destra vide Krum incombere su Cedric, che sussultava e si contorceva al suolo.

Harry si rialzò e puntò la bacchetta contro Krum proprio mentre questi alzava lo sguardo. Krum si voltò e cominciò a correre.

« Stupeficium! »

L'incantesimo colpì Krum alla schiena; si bloccò all'improvviso, cadde in avanti e giacque immobile a faccia in giù nell'erba. Harry raggiunse di corsa Cedric, che aveva smesso di contorcersi, ed era disteso, col respiro affannato e le mani sul viso.

«Stai bene?» disse Harry in tono brusco, afferrandolo per un braccio.

«Sì» rispose Cedric ansimando. «Sì... non posso crederci... mi è strisciato alle spalle... l'ho sentito, mi sono voltato e aveva la bacchetta puntata contro di me...»

Cedric si alzò. Era ancora scosso da un tremito. Lui e Harry guardarono Krum a terra.

«Non posso crederci... credevo che fosse a posto» disse Harry, fissando allibito Krum.

«Anch'io» disse Cedric.

«Prima hai sentito Fleur urlare?» chiese Harry.

«Sì» rispose Cedric. «Pensi che Krum abbia preso anche lei?»

«Non lo so» disse Harry lentamente.

«Dobbiamo lasciarlo qui?» borbottò Cedric.

«No» disse Harry. «Credo che dovremmo sparare delle scintille rosse. Qualcuno verrà a prenderlo... altrimenti è probabile che finisca in pasto a uno Schiopodo».

«Se lo meriterebbe» mormorò Cedric, ma levò la bacchetta e sparò uno spruzzo di scintille rosse, che rimasero sospese in alto sopra Krum, indicando il luogo in cui si trovava. Harry e Cedric rimasero vicini nell'oscurità per un momento, guardandosi attorno. Poi Cedric disse: «Be'... credo che sia meglio andare avanti...»

«Cosa?» disse Harry. «Oh... sì... certo...»

Fu una sensazione strana. Per un attimo lui e Cedric si erano alleati contro Krum: ora entrambi si ricordarono di essere avversari. Avanzarono lungo il sentiero oscuro senza parlare, poi Harry prese a sinistra e Cedric a destra. Il rumore dei suoi passi ben presto svanì.

Harry avanzò, e ricorse più volte all'Incanto Quattro Punti per essere sicuro di andare nella direzione giusta. Ora si giocava tutto tra lui e Cedric. Il suo desiderio di arrivare alla Coppa per primo era più bruciante che mai, ma non riusciva a credere a ciò che aveva appena visto fare a Krum. L'uso di una Maledizione Senza Perdono su un proprio simile, un essere umano, significava la condanna a vita ad Azkaban, cosi aveva detto Moody. Krum non poteva certo desiderare la Coppa Tremaghi cosi ardentemente... Harry accelerò.

Ogni tanto imboccava altre strade senza uscita, ma l'oscurità sempre più

fitta gli dava la certezza di essere vicino al centro del labirinto. Poi, mentre percorreva un lungo sentiero dritto, colse di nuovo un movimento, e il raggio della sua bacchetta cadde su una creatura straordinaria, che aveva visto solo disegnata nel Libro Mostro dei Mostri.

Era una sfinge. Aveva il corpo di un leone molto grosso, enormi zampe dotate di artigli, e una lunga coda giallastra che terminava con un ciuffo marrone. La testa, invece, era di donna. Puntò gli occhi a mandorla su Harry mentre quest'ultimo si avvicinava. Lui levò la bacchetta, esitante. Non era rannicchiata come per balzare, ma misurava il sentiero a grandi passi, sbarrandogli la strada.

Poi parlò, con voce rauca e profonda. «Sei molto vicino al tuo obiettivo. La via più breve è dopo di me».

«Quindi... quindi puoi spostarti, per favore?» disse Harry, che conosceva già la risposta.

«No» rispose, continuando ad andare avanti e indietro. «A meno che tu non risolva il mio enigma. Se rispondi al primo tentativo, ti lascerò passa-re. Se sbagli, ti attaccherò. Se rimani in silenzio, ti lascerò andar via illeso». Lo stomaco di Harry si contrasse. Hermione era brava in quel genere di cose, non lui. Soppesò le possibilità: se l'enigma era troppo difficile, poteva starsene zitto, andarsene via illeso e cercare di trovare un percorso alternativo per il centro.

«Va bene» disse. «Posso ascoltare l'enigma?»

La sfinge sedette sulle zampe posteriori, proprio al centro del sentiero, e recitò:

La mia prima è la terza di passione,

e tre ne vuole la sottomissione,

la seconda è colei che, amica o amante,

del cuore è la compagnia costante,

la terza è un albero dalla chioma folta,

nobile ramo di foresta incolta.

Ora unisci le tre e dimmi, o tu, viandante:

nero, sei zampe, sporco e ripugnante,

veramente baciarlo è cosa grama.

Sai ora dirmi come esso si chiama?

Harry la guardò a bocca aperta.

«Potresti ripeterlo... più lentamente?» chiese esitante. Lei batté le palpebre, sorrise e ripeté la poesia.

«Tutti gli indizi si sommano dando una creatura che non mi piacerebbe baciare?» chiese Harry.

La creatura si limitò a sorridere il suo sorriso misterioso. Harry lo considerò un sì. Si mise a riflettere. C'erano moltissimi animali che non avrebbe baciato volentieri; il primo che gli venne in mente fu uno Schiopodo Sparacoda, ma qualcosa gli disse che non era quella la risposta. Doveva cercare di risolvere l'enigma un pezzo alla volta...

«La prima è la terza di passione... sottomissione ne ha tre... aspetta... 'S'!

E poi... amica o amante... no... non lo so proprio... puoi ripetermi il terzo indovinello?»

La sfinge gli recitò la terza parte dell'enigma.

«Un albero... nobile ramo... quercia? No, impossibile... tasso? S-tasso?

Non vuol dire niente... E com'era la fine?»

La sfinge, paziente, ripeté gli ultimi quattro versi.

«Nero... ripugnante... Un ragno? No, quello di zampe ne ha otto... Un insetto... baciarlo è cosa grama... Ma sì! Se l'albero è il faggio... Scarafag- gio! »

La sfinge gli rivolse un sorriso più ampio. Si alzò, stiracchiò le zampe anteriori e poi si spostò per lasciarlo passare.

«Grazie!» esclamò Harry, e scattò in avanti, stupito della propria abilità. Ormai doveva essere vicino, doveva... la bacchetta gli diceva che era proprio sulla strada giusta; se non incontrava nulla di troppo orrendo, forse aveva anche una possibilità...

In fondo c'era un bivio. « Guidami! » sussurrò di nuovo alla bacchetta, che ruotò sulla sua mano e gli indicò il sentiero a destra. Lo imboccò rapido e vide una luce davanti a sé. La Coppa Tremaghi scintillava eretta su un piedistallo a un centinaio di metri. Harry si era appena messo a correre quando una sagoma scura sbucò

davanti a lui sul sentiero.

Cedric sarebbe arrivato prima. Correva come il vento, verso la Coppa, e Harry capi che non lo avrebbe mai raggiunto. Cedric era molto più alto, aveva le gambe molto più lunghe...

Poi Harry vide qualcosa di immenso torreggiare su una siepe alla sua sinistra, qualcosa che si muoveva rapido lungo un sentiero che incrociava il suo; avanzava così in fretta che Cedric stava per urtarlo, e poiché aveva gli occhi fissi sulla Coppa, non l'aveva visto...

«Cedric!» urlò Harry. «A sinistra!»

Cedric si voltò a guardare appena in tempo per evitare l'urto e gettarsi oltre la cosa, ma inciampò nello slancio. La bacchetta gli sfuggì di mano, mentre un ragno gigantesco calava sul sentiero e avanzava verso di lui.

« Stupeficium! » gridò Harry. L'incantesimo colpì il mostruoso corpo nero e peloso, ma per l'effetto che ebbe avrebbe anche potuto tirargli un sasso; il ragno sobbalzò, si voltò zampettando e puntò diritto su di lui.

« Stupeficium! Impedimenta! Stupeficium! »

Ma non servì a nulla: il ragno era così grosso o così magico che gli incantesimi riuscivano solo a rallentarlo. Harry ebbe un'orrenda visione di otto occhi neri scintillanti e tenaglie come rasoi prima che gli fosse addosso. Il ragno lo afferrò tra le zampe anteriori e lo sollevò in aria. Harry lottò

furiosamente cercando di prenderlo a calci; la sua gamba urtò contro le tenaglie e un attimo dopo provò un dolore terribile. Udì Cedric urlare a sua volta « Stupeficium! », ma il suo incantesimo non ebbe effetto... Poi, mentre il ragno spalancava di nuovo le tenaglie, Harry levò la bacchetta ed esclamò: « Expelliarmus! »

Funzionò. L'Incantesimo di Disarmo costrinse il ragno a lasciarlo andare, ma con questo Harry cadde da un'altezza di quasi quattro metri sulla gamba già ferita, che si piegò sotto il suo peso. Senza fermarsi a riflettere, mirò dritto all'addome del ragno, come aveva fatto con lo Schiopodo, e urlò « Stupeficium! » contemporaneamente a Cedric. I due incantesimi insieme riuscirono dove uno solo aveva fallito: il ragno si rovesciò su un fianco, schiacciando una siepe e invadendo il sentiero con un groviglio di zampe pelose.

«Harry!» gridò Cedric. «Tutto bene? Ti è caduto addosso?»

«No» rispose Harry, ansimando. Si guardò la gamba: sanguinava parecchio. Vide una sorta di spessa sostanza collosa emessa dalle tenaglie del ragno sulla veste strappata. Cercò di alzarsi, ma la gamba gli tremava violentemente e non riusciva a sostenere il suo peso. Si appoggiò alla siepe, cercando di prendere fiato, e si guardò intorno.

Cedric era a pochi metri dalla Coppa Tremaghi, che brillava alle sue spalle.

«Prendila, dai» ansimò Harry. «Avanti, prendila. Ormai ci sei». Ma Cedric non si mosse. Rimase lì a guardare Harry. Poi si voltò verso la Coppa: nel riverbero dorato, Harry lo vide contemplare il trofeo con un'espressione di intenso desiderio. Cedric tornò a guardare Harry, che si era aggrappato alla siepe per rimanere in piedi e sospirò profondamente.

«Prendila tu. Tu devi vincere. È la seconda volta che mi salvi la vita qui dentro».

«Non è così che funziona» rispose Harry. Era arrabbiato; la gamba gli faceva un male tremendo, aveva tutto il corpo dolorante a causa della lotta con il ragno, e dopo tutti i suoi sforzi, Cedric l'aveva battuto, proprio come l'aveva battuto nell'invitare Cho al ballo. «Il primo che raggiunge la Coppa prende i punti. E quello sei tu. Ti assicuro che con questa gamba non vincerò nessuna corsa». Cedric fece qualche passo verso il ragno, allontanandosi dalla Coppa, e scosse la testa.

«No» disse.

«Smettila di essere nobile» disse Harry irritato. «Prendila e basta, così

possiamo uscire di qui».

Cedric osservò Harry raddrizzarsi, tenendosi stretto alla siepe.

«Tu mi hai detto dei draghi» disse Cedric. «Sarei crollato alla prima prova se non mi avessi detto che cosa mi aspettava».

«Anch'io sono stato aiutato, allora» sbottò Harry, cercando di asciugarsi con la veste la gamba insanguinata. «Tu mi hai aiutato con l'uovo... siamo pari».

«Sì, ma qualcuno mi aveva già detto dell'uovo» disse Cedric.

«Siamo sempre pari» insisté Harry, provando con cautela ad appoggiare la gamba ma la sentì tremare violentemente: quando il ragno lo aveva lasciato cadere si era storto la caviglia.

«Tu avresti dovuto prendere più punti per la seconda prova» disse Cedric ostinato. «Sei rimasto indietro per salvare tutti gli ostaggi. Avrei dovuto farlo io».

«Io sono stato l'unico a essere così stupido da prendere sul serio quella canzone!» esclamò Harry amaramente. «Avanti, prendi la Coppa!»

«No» disse Cedric.

Scavalcò le zampe aggrovigliate del ragno per avvicinarsi a Harry, che lo guardò stupito. Cedric diceva sul serio. Stava voltando le spalle a quella gloria che la casa di Tassorosso non conosceva da secoli.

«Vai tu» disse. Sembrava che ciò gli stesse costando fino all'ultima goccia di determinazione, ma aveva il volto risoluto, le braccia incrociate, e sembrava deciso.

Harry spostò lo sguardo da Cedric alla Coppa. Per un luminoso istante, si vide uscire dal labirinto reggendola tra le braccia. Si vide levare in alto la Coppa Tremaghi, udì il ruggito della folla, vide il viso di Cho radioso di ammirazione, più nitido di quanto non l'avesse mai visto... e poi l'immagine sbiadì, e si ritrovò a fissare l'ostinato volto in ombra di Cedric.

«Tutti e due» disse Harry.

«Come?»

«La prenderemo nello stesso istante. È sempre una vittoria di Hogwarts. Finiremo alla pari».

Cedric lo guardò stupefatto. Allargò le braccia. «Sei... sei sicuro?»

«Sì» rispose Harry. «Sì... ci siamo dati una mano a uscirne, no? Siamo arrivati fin qui tutti e due. Prendiamola insieme, e basta». Per un attimo, Cedric parve non credere alle sue orecchie; poi sorrise, raggiante.

«Va bene» disse. «Dai, vieni».

Sostenne Harry e lo aiutò ad avvicinarsi zoppicando al piedistallo che reggeva la Coppa. Quando l'ebbero raggiunto, tesero una mano ognuno verso i manici scintillanti.

«Al tre, d'accordo?» disse Harry. «Uno... due... tre...»

Afferrarono i manici della Coppa.

Immediatamente Harry avvertì uno strappo in un punto imprecisato dietro l'ombelico. I suoi piedi si erano staccati da terra. Non riuscì ad aprire la mano che stringeva la Coppa Tremaghi; il trofeo lo trascinava in alto, in un ululato di vento e in un vortice di colori, con Cedric al suo fianco.

CAPITOLO 32

CARNE, SANGUE E OSSA

Harry sentì i piedi urtare il suolo; la gamba ferita cedette e lui cadde in avanti; la mano lasciò finalmente andare la Coppa Tremaghi. Alzò la testa.

«Dove siamo?» disse.

Cedric scosse la testa. Si tirò su, aiutò Harry ad alzarsi, e si guardarono intorno.

Quel luogo non faceva assolutamente parte del territorio di Hogwarts; era chiaro che avevano viaggiato per chilometri - forse centinaia di chilometri - perché anche le montagne che circondavano il castello erano sparite. Si trovavano in un cimitero buio e abbandonato; il profilo nero di una chiesetta era riconoscibile oltre un grande tasso alla loro destra. Alla loro sinistra s'innalzava una collina, sul cui versante Harry riuscì a distinguere la sagoma di una bella dimora antica.

Cedric guardò la Coppa Tremaghi, poi alzò gli occhi verso Harry.

«A te qualcuno aveva detto che la Coppa era una Passaporta?» chiese.

«No» disse Harry. Stava osservando il cimitero. Era immerso nel silenzio, e vagamente inquietante. «Questo dovrebbe far parte della prova?»

«Non lo so» rispose Cedric. Il suo tono di voce era teso. «Fuori le bacchette, che ne dici?»

«Sì» disse Harry, lieto che a suggerirlo fosse stato Cedric. Estrassero le bacchette; Harry continuava a guardarsi intorno. Aveva di nuovo la strana sensazione di essere osservato.

«Arriva qualcuno» disse all'improvviso.

Aguzzando gli occhi nell'oscurità, videro una sagoma avanzare decisa tra le tombe, verso di loro. Harry non riuscì a distinguerne il viso; ma da come camminava e teneva le braccia, capì che stava trasportando qualcosa. Chiunque fosse, era basso, e indossava un mantello con il cappuccio abbassato per nascondere il volto. E man mano che la distanza tra loro si riduceva, vide che la cosa tra le braccia della persona sembrava un neona-to... o era solo un fagotto di abiti?

Harry abbassò appena la bacchetta e gettò un'occhiata obliqua a Cedric. Cedric gli rispose con uno sguardo interrogativo. Entrambi tornarono a studiare la sagoma che si avvicinava.

Si fermò accanto a un'alta lapide di marmo, a un paio di metri di distanza. Per un attimo, tutti e tre si limitarono a guardarsi. E poi, senza preavviso, la cicatrice di Harry esplose di dolore. Era un male che non aveva mai provato prima; la bacchetta gli cadde dalle dita mentre si portava le mani sul viso; le ginocchia cedettero; cadde a terra accecato dal dolore, la testa stava per spaccarglisi in due. Da molto lontano sopra di lui, una voce fredda e acuta disse: « Uccidi l'altro» .

Un sibilo, e una seconda voce urlò le parole nella notte: « Avada Keda- vra! »

Un lampo di luce verde saettò attraverso le palpebre di Harry, e sentì

qualcosa di pesante cadere a terra accanto a lui; il dolore alla cicatrice raggiunse un tale picco che fu preso da un conato di vomito, e poi diminuì; terrorizzato all'idea di ciò che stava per vedere, apri gli occhi che gli bruciavano. Cedric era disteso a terra al suo fianco, a braccia aperte. Era morto. Per un secondo lungo un'eternità, Harry fissò il viso di Cedric, i suoi occhi grigi aperti, vacui e privi di espressione come le finestre di una casa abbandonata, la bocca socchiusa in un'espressione di vaga sorpresa. E poi, prima che la mente di Harry potesse accettare ciò che aveva davanti agli occhi, prima che potesse provare altro che sorda incredulità, si sentì trarre in piedi.

L'uomo basso col mantello aveva deposto il fagotto, acceso la bacchetta e stava trascinando Harry verso la lapide di marmo. Harry vide il nome inciso tremare alla luce della bacchetta prima che l'uomo lo contringesse a voltarsi e lo scaraventasse contro la pietra.

TOM RIDDLE

L'uomo col mantello legò strettamente Harry con funi apparse dal nulla, assicurandolo da capo a piedi alla pietra tombale. Harry udì un respiro corto e affannato dall'interno del cappuccio; si divincolò, e l'uomo lo colpì - lo colpì con una mano che aveva un dito in meno. E Harry capì chi c'era sotto il cappuccio. Era Codaliscia.

«Tu!» disse, senza fiato.

Ma Codaliscia non rispose: controllava che le funi fossero ben strette, armeggiando attorno ai nodi con dita scosse da un tremito incontrollabile. Una volta sicuro che Harry era legato così bene da non potersi muovere di un centimetro, Codaliscia estrasse un pezzo di stoffa nera dall'interno del mantello e glielo ficcò bruscamente in bocca; poi, senza dire una parola, si voltò e corse via. Harry non riusciva a emettere un suono, né a girarsi per vedere dall'altra parte della pietra tombale; vedeva solo ciò che si trovava davanti a lui.

Il corpo di Cedric era disteso a sei metri di distanza. Un po' più in là, lucente nell'oscurità, giaceva la Coppa Tremaghi. La bacchetta di Harry era a terra, ai suoi piedi. Il fagotto di stoffe che Harry aveva scambiato per un neonato era poco più in là, vicino alla tomba. Sembrava che si agitasse furiosamente. Harry lo osservò, e la cicatrice gli bruciò di nuovo... e all'improvviso seppe che non voleva vedere che cosa c'era lì dentro... non voleva che il fagotto venisse aperto...

Udì dei rumori e guardò in giù: un serpente gigantesco strisciava nell'erba, aggirando la pietra tombale a cui era legato. Il respiro rapido e affannoso di Codaliscia diventava di nuovo più forte. Era come se stesse spingendo qualcosa di pesante. Poi tornò nel campo visivo di Harry, che lo vide spingere un calderone di pietra ai piedi della tomba. Era pieno di quella che sembrava acqua - Harry ne sentì lo sciacquio - ed era più grande di qualunque calderone Harry avesse mai usato; un enorme ventre di pietra abbastanza vasto da contenere un uomo adulto seduto.

La cosa dentro il fagotto si agitava sempre di più, come se cercasse di liberarsi. Codaliscia stava trafficando con una bacchetta alla base del calderone. All'improvviso sotto di esso scoppiettò un fuoco. Il grosso serpente scomparve strisciando nell'oscurità.

Il liquido nel calderone parve scaldarsi molto in fretta. La superficie prese non solo a ribollire, ma anche a emettere scintille ardenti, come se fosse incendiata. Il vapore si addensava, offuscando la sagoma di Codaliscia che alimentava il fuoco. I movimenti sotto il mantello divennero più frenetici. E Harry udì di nuovo la voce fredda e acuta.

« Muoviti! »

Tutta la superficie dell'acqua era coperta di scintille. Sembrava incrostata di diamanti.

«È pronta, mio signore».

«Ora...» disse la voce fredda.

Codaliscia aprì il fagotto per terra, rivelandone il contenuto, e Harry si lasciò sfuggire un urlo che fu soffocato dal tappo di tessuto che gli sigillava la bocca. Era come se Codaliscia avesse rivoltato una pietra per rivelare qualcosa di brutto, viscido e cieco: anzi, peggio, cento volte peggio. La cosa che Codaliscia aveva portato fin li aveva la forma di un bambino rannicchiato, ma Harry non aveva mai visto nulla di meno simile a un bambino. Era privo di capelli e coperto di squame palpitanti, di un cupo nero rossastro. Le braccia e le gambe erano sottili e deboli, e il viso - nessun bambino al mondo poteva avere un viso del genere - era piatto e serpentino, con occhi rossi scintillanti.

La cosa sembrava quasi innocua; levò le braccine e le mise attorno al collo di Codaliscia, che lo sollevò. Nel farlo, il cappuccio gli ricadde indietro, e nel bagliore del fuoco Harry vide l'espressione di disgusto sul volto pallido e debole di Codaliscia mentre portava la creatura fino alla bocca del calderone. Per un istante, Harry vide la malvagia faccia piatta illuminata dalle scintille che danzavano sulla superficie della pozione. E poi Codaliscia vi immerse la creatura. Quella scomparve sotto la superficie con un sibilo; Harry udì il suo corpo fragile cadere sul fondo con un tonfo lieve. Lascialo annegare, pensò Harry, con la cicatrice che gli bruciava insopportabilmente, ti prego... lascialo annegare... Codaliscia parlò. La sua voce tremava, sembrava spaventato più di quanto non potesse tollerare. Levò la bacchetta, chiuse gli occhi e parlò alla notte. « Osso del padre, donato a sua insaputa, rinnoverai il figlio! »

La superficie della tomba ai piedi di Harry si infranse. Paralizzato dall'orrore, Harry vide un sottile filo di polvere levarsi nell'aria all'ordine di Codaliscia, e ricadere dolcemente nel calderone. Lo specchio adamantino dell'acqua s'infranse con un sibilo; sprigionò scintille in tutte le direzioni, e divenne di un intenso blu venefico.

Ed ecco che Codaliscia si mise a piagnucolare. Estrasse un lungo, sottile pugnale d'argento dall'interno della veste. La sua voce si spezzò in singhiozzi impietriti. « Carne... del servo... donata con l'assenso... rinnove- rai... il tuo signore» .

Tese la mano destra davanti a sé: la mano priva di un dito. Strinse forte il pugnale nella sinistra, e lo levò in alto.

Harry capì ciò che Codaliscia stava per fare un secondo prima che accadesse: serrò disperatamente gli occhi, ma non poté fermare l'urlo che squarciò la notte, che lo attraversò come se anche lui fosse stato trafitto dal pugnale. Udì qualcosa cadere a terra, udì gli ansiti angosciati di Codaliscia, poi un tonfo rivoltante, mentre qualcosa veniva gettato nel calderone. Harry non osava guardare... ma la pozione era diventata di un rosso bruciante, la luce splendeva attraverso le sue palpebre serrate... Codaliscia gemeva e si lamentava per il dolore. Harry non capì di averlo di fronte finché non ne avvertì il respiro affannoso sul volto.

« S-sangue del nemico... preso con la forza... farai risorgere... il tuo av- versario» .

Harry non poté far nulla per evitarlo, era legato troppo stretto... attraverso gli occhi socchiusi, lottando invano con le corde che lo avvincevano, vide il lucente pugnale d'argento tremare nella mano rimasta a Codaliscia. Avvertì la punta penetrare nell'incavo del braccio destro, e il sangue scorrere lungo la manica della veste strappata. Codaliscia, sempre ansimando di dolore, si frugò in tasca, estrasse un'ampolla di vetro e la riempì del sangue che scorreva dalla ferita di Harry. Poi tornò barcollando al calderone e lo versò. Il liquido divenne di colpo di un bianco accecante. Codaliscia, compiuta la sua opera, cadde in ginocchio, poi scivolò su un fianco e rimase a terra, a reggersi il moncherino sanguinante, singhiozzando e gemendo.

Il calderone ribolliva, schizzando dappertutto le scintille simili a diamanti, di una lucentezza così abbagliante che trasformava tutto il resto in un unico velluto nero. Non accadde nulla...

Fa' che sia annegato, pensò Harry, fa' che tutto sia andato storto... E poi, all'improvviso, le scintille che emanavano dal calderone si spensero. Al loro posto si levò un'ondata densa che cancellò tutto davanti a Harry, nascondendo Codaliscia, Cedric o altro che non fosse il vapore che fluttuava a mezz'aria... è andata male, pensò... è annegato... per favore... per favore, fa' che sia morto...

Ma poi, con un sussulto di terrore, vide nella nebbia la sagoma scura di un uomo alto e scheletrico, che si ergeva lentamente dall'interno del calderone.

«Vestimi» disse la voce fredda e acuta e Codaliscia, tra lamenti e singhiozzi, reggendosi il braccio mutilato, strisciò a raccogliere da terra la veste nera, si alzò, e con una sola mano la protese al di sopra del capo del suo signore.

L'uomo magro uscì dal calderone, fissando Harry... e Harry a sua volta fissò il viso che da tre anni infestava i suoi incubi. Più bianco di un teschio, con grandi, lividi occhi rossi, il naso piatto come quello di un ser-pente, due fessure per narici... Voldemort era risorto.

CAPITOLO 33

I MANGIAMORTE

Voldemort distolse lo sguardo da Harry, e prese a esaminare il proprio corpo. Le mani erano come grossi, pallidi ragni; le lunghe dita bianche sfiorarono il petto, le braccia, il viso; gli occhi rossi dalle pupille verticali come quelle di un gatto scintillarono ancor più vivi nell'oscurità. Alzò le mani e fletté le dita, l'espressione rapita e trionfante. Non badò affatto a Codaliscia, che giaceva a terra contorcendosi e sanguinando, né al grosso serpente, che era tornato strisciando e girava di nuovo attorno a Harry, sibilando. Voldemort fece scivolare una di quelle sue mani dalle dita innaturalmente lunghe in una tasca profonda, ed estrasse una bacchetta. Sfiorò

anch'essa con dolcezza; e poi la levò, e la puntò contro Codaliscia, che fu sollevato da terra e scagliato contro la pietra tombale a cui era legato Harry, cadde vicino alla base e rimase lì accasciato a piangere. Voldemort rivolse gli occhi scarlatti verso Harry e rise, una risata acuta, fredda, senza gioia.

La veste di Codaliscia in cui aveva fasciato il moncherino ora luccicava di sangue. «Mio signore...» disse con voce soffocata, «mio signore... avevate promesso... avevate promesso...»

«Fuori il braccio» disse Voldemort pigramente.

«Oh, padrone... grazie, padrone...»

Tese il moncherino sanguinante, ma Voldemort rise di nuovo. «L'altro braccio, Codaliscia».

«Padrone, per favore... per favore... »

Voldemort si chinò, e afferrò il braccio sinistro di Codaliscia; gli spinse la manica della veste oltre il gomito e Harry vide qualcosa sulla pelle, qualcosa di simile a un tatuaggio di un rosso vivo - un teschio, con un serpente che sbucava dalla bocca - la stessa immagine che era comparsa nel cielo alla Coppa del Mondo di Quidditch: il Marchio Nero. Voldemort lo studiò attentamente, ignorando il pianto incontrollabile di Codaliscia.

«È tornato» disse piano, «se ne saranno accorti tutti... e ora vedremo... ora sapremo...»

Premette il lungo indice bianco sul segno sopra il braccio di Codaliscia. Harry provò di nuovo una fitta d'intenso dolore alla cicatrice, e Codali-scia emise un altro gemito: Voldemort tolse il dito dal Marchio, e Harry vide che era diventato nero come il giaietto.

Con un'espressione di feroce soddisfazione, Voldemort si rialzò, gettò

indietro la testa e osservò il cimitero nell'ombra.

«Quanti avranno il coraggio di tornare quando lo sentiranno?» sussurrò, i lucenti occhi rossi fissi alle stelle. «E quanti saranno così sciocchi da rimanere lontani?»

Prese a camminare avanti e indietro davanti a Harry e Codaliscia, mentre i suoi occhi percorrevano il camposanto. Dopo un minuto circa, guardò di nuovo Harry, con un sorriso crudele che gli deformava il volto di serpente.

«Tu ti trovi, Harry Potter, sui resti di mio padre» sibilò dolcemente. «Un Babbano e uno sciocco... molto simile alla tua cara madre. Ma entrambi hanno avuto la loro utilità, vero? Tua madre è morta per difenderti quando eri un bambino... e io ho ucciso mio padre, e vedi come si è dimostrato utile, da morto...»

Voldemort rise ancora. Andò avanti e indietro, guardandosi intorno, mentre il serpente continuava a strisciare in tondo nell'erba.

«La vedi quella casa sulla collina, Potter? Mio padre viveva lassù. Mia madre, una strega che abitava in questo villaggio, s'innamorò di lui. Ma lui la abbandonò quando lei gli rivelò chi era... non piaceva la magia, a mio padre...

«La lasciò e tornò dai suoi genitori Babbani prima che io nascessi, Potter, e lei morì dandomi alla luce, e così fui allevato in un orfanotrofio Babbano... ma promisi di ritrovarlo... mi vendicai di lui, di quello sciocco che mi aveva dato il suo nome... Tom Riddle... »

Continuò a camminare, gli occhi rossi che saettavano da una tomba all'altra.

«Ma senti un po', eccomi qui a rievocare la storia della mia famiglia...»

disse piano. «Davvero, sto diventando sentimentale... Ma guarda, Harry!

La mia vera famiglia è di ritorno...»

L'aria si riempì all'improvviso del fruscio di mantelli. Tra le tombe, dietro il tasso, in ogni angolo in ombra, si Materializzavano maghi. Erano tutti incappucciati e mascherati. E uno a uno si fecero avanti... lenti, cauti, come se non credessero ai loro occhi. Voldemort rimase in silenzio, in attesa. Poi uno dei Mangiamorte cadde in ginocchio, arrancò verso Voldemort, e baciò l'orlo della sua nera veste.

«Padrone... padrone...» mormorò.

I Mangiamorte alle sue spalle fecero lo stesso: ciascuno si avvicinò a Voldemort avanzando sulle ginocchia e gli baciò la veste, prima di alzarsi e ritrarsi in un cerchio silenzioso con al centro la tomba di Tom Riddle, Harry, Voldemort, e il fagotto singhiozzante e fremente che era Codaliscia. Però lasciarono dei vuoti nel cerchio, come in attesa di altre persone. Voldemort, invece, aveva l'aria di non aspettarsi l'arrivo di altri. Guardò i volti incappucciati, e anche se non c'era vento, un fruscio parve diffondersi nel cerchio, scosso da un tremito improvviso.

«Benvenuti, Mangiamorte» disse Voldemort piano. «Tredici anni... tredici anni dall'ultima volta che ci siamo incontrati. Eppure rispondete alla mia chiamata come se fosse ieri... siamo ancora uniti sotto il Marchio Nero, allora! Vero? »

Riprese il suo cipiglio orribile e annusò, allargando le narici a fessura.

«Sento l'odore della colpa» disse. «C'è un puzzo di colpa nell'aria». Un secondo brivido percorse il cerchio, come se ognuno desiderasse arretrare ma non osasse farlo.

«Vi vedo tutti, sani e immutati, con i vostri poteri intatti - che apparizione tempestiva, la vostra! - e mi chiedo... perché questa banda di maghi non è mai venuta in aiuto del suo padrone, al quale aveva giurato eterna lealtà?»

Nessuno parlò. Nessuno si mosse tranne Codaliscia, che era a terra e continuava a singhiozzare sul braccio sanguinante.

«E mi rispondo» sussurrò Voldemort «che devono avermi creduto sconfitto, hanno pensato che fossi perduto. Sono tornati nelle file dei miei nemici, e si sono dichiarati innocenti, e ignoranti, e stregati...

«E poi mi chiedo: ma come hanno potuto credere che non sarei risorto?

Loro, che conoscevano le misure che ho preso, tempo fa, per proteggermi dalla morte dei mortali? Loro, che avevano visto le prove dell'immensità

del mio potere, ai tempi in cui ero più grande di ogni altro mago vivente?

«E mi rispondo: forse hanno creduto che potesse esistere un potere ancora più grande, tale da poter vincere perfino il Signore Voldemort... forse ora sono fedeli a un altro... forse a quel paladino dei comuni mortali, dei Mezzibabbani e dei Babbani, Albus Silente?»

Nell'udire il nome di Silente, i membri del cerchio si agitarono, e alcuni borbottarono e scossero il capo.

Voldemort li ignorò. «È una delusione per me... mi confesso deluso...»

Uno degli uomini all'improvviso si gettò in avanti, spezzando il cerchio. Tremando da capo a piedi, si accasciò ai piedi di Voldemort.

«Padrone!» strillò. «Padrone, perdonami! Perdona tutti noi!»

Voldemort scoppiò a ridere. Alzò la bacchetta. « Crucio! »

Il Mangiamorte a terra si contorse e urlò; Harry era certo che la sua voce avrebbe raggiunto le case nelle vicinanze... fa' che arrivi la polizia, pensò

disperato... chiunque... qualunque cosa...

Voldemort levò la bacchetta. Il Mangiamorte torturato rimase a terra, boccheggiante.

«Alzati, Avery» disse dolcemente Voldemort. «Alzati. Tu chiedi perdono? Io non perdono. Io non dimentico. Tredici lunghi anni... voglio essere ripagato di tredici anni prima di perdonarvi. Codaliscia, qui, ha già pagato parte del suo debito, vero, Codaliscia?»

Guardò in giù, verso Codaliscia che singhiozzava.

«Tu sei tornato da me non per lealtà, ma per paura dei tuoi vecchi amici. Ti meriti questo dolore, Codaliscia. Lo sai, vero?»

«Sì, padrone» mugolò Codaliscia, «per favore, padrone... per favore...»

«Però mi hai aiutato a tornare nel mio corpo» proseguì freddamente Voldemort. «Buono a nulla e fedifrago come sei, mi hai aiutato... e il Signore Voldemort ricompensa chi lo aiuta...»

Voldemort levò di nuovo la bacchetta e la fece ruotare in aria. Una striscia di ciò che pareva argento fuso aleggiò lucente nella scia della bacchetta. Per un istante rimase informe, si contorse e poi si addensò nella copia di una mano umana, splendente come la luce della luna, che discese e si innestò sul polso sanguinante di Codaliscia. I singhiozzi cessarono all'improvviso: con il respiro aspro e irregolare, Codaliscia alzò la testa e fissò incredulo la mano d'argento, ora invisibilmente saldata al braccio, come fosse un guanto. Piegò le dita lucenti, poi, tremando, raccolse un rametto dal suolo e lo ridusse in polvere.

«Mio signore» sussurrò. «Signore... è bella... grazie... grazie... »

Avanzò goffamente sulle ginocchia e baciò l'orlo della veste di Voldemort.

«Che la tua fedeltà non abbia mai più a vacillare, Codaliscia» disse Voldemort.

«No, mio signore... mai più, mio signore...»

Codaliscia si alzò e prese posto nel cerchio, fissando la sua potente mano nuova, il volto ancora lucente di lacrime. Voldemort si avvicinò all'uomo alla destra di Codaliscia.

«Lucius, mio viscido amico» mormorò, fermandosi di fronte a lui. «Mi dicono che non hai ripudiato le vecchie abitudini, anche se davanti al mondo presenti un volto rispettabile. Sei ancora pronto a prendere il co-mando in una battuta di caccia al Babbano, suppongo. Eppure non hai mai cercato di trovarmi, Lucius... le tue imprese alla Coppa del Mondo di Quidditch sono state divertenti, oserei dire... ma le tue energie non sarebbero state meglio indirizzate nel trovare e nel sostenere il tuo padrone?»

«Mio signore, sono stato costantemente all'erta» disse pronta la voce di Lucius Malfoy da sotto il cappuccio. «Se vi fosse stato un segnale da parte vostra, una qualche voce su dove vi trovavate, sarei stato immediatamente al vostro fianco, nulla mi avrebbe potuto impedire...»

«Eppure sei fuggito davanti al mio Marchio, quando un Mangiamorte fedele l'ha inviato in cielo la scorsa estate» rispose Voldemort con voce melliflua, e Malfoy tacque all'improvviso. «Si, so tutto, Lucius... mi hai deluso... mi aspetto un servizio più leale in futuro».

«Ma certo, mio signore, ma certo... siete generoso, grazie...»

Voldemort avanzò, e si fermò a scrutare il vuoto - abbastanza grande da contenere due persone - che separava Malfoy dall'uomo successivo.

«I Lestrange dovrebbero trovarsi qui» disse piano Voldemort. «Ma sono sepolti vivi ad Azkaban. Sono stati fedeli. Sono finiti ad Azkaban piuttosto che rinnegarmi... quando le porte di Azkaban verranno spalancate, i Lestrange riceveranno onori oltre l'immaginabile. I Dissennatori si uniranno a noi... sono i nostri naturali alleati... richiameremo i giganti messi al bando... vedrò tornare a me i miei devoti servitori, e un esercito di creature temute da tutti...»

Avanzò ancora. Oltrepassò in silenzio alcuni dei Mangiamorte, ma davanti ad altri si fermò, e si rivolse loro.

«Macnair... ora fai a pezzi bestie pericolose per il Ministero della Magia, mi dice Codaliscia... Presto avrai vittime migliori, Macnair. Il Signore Voldemort te le offrirà...»

«Grazie, padrone... grazie» mormorò Macnair.

«E qui» Voldemort si avvicinò alle sagome incappucciate più robuste,

«abbiamo Tiger... ti comporterai meglio questa volta, vero, Tiger? E tu, Goyle?»

I due fecero un goffo inchino e borbottarono ottusamente.

«Sì, padrone...»

«Certo, padrone...»

«Lo stesso vale per te, Nott» continuò piano Voldemort oltrepassando una figura curva all'ombra di Goyle.

«Mio signore, io mi prostro davanti a voi, sono il vostro più fedele...»

«Basta così» disse Voldemort.

Aveva raggiunto lo spazio più grande, e si fermò a osservarlo con i rossi occhi vuoti, come se potesse vedere delle persone lì ritte.

«E qui abbiamo sei Mangiamorte assenti... tre morti per servirmi. Uno troppo vile per fare ritorno... la pagherà. Uno che credo mi abbia lasciato per sempre... verrà ucciso, naturalmente... e uno, il mio servo più fedele, che è già rientrato al mio servizio».

I Mangiamorte si agitarono; Harry vide i loro occhi dardeggiare di lato per guardarsi a vicenda attraverso le maschere.

«Si trova a Hogwarts, quel servo fedele, ed è stato grazie ai suoi sforzi che il nostro giovane amico è arrivato stasera...

«Sì» proseguì Voldemort, con un ghigno che gli arricciava la bocca priva di labbra, mentre gli occhi di tutti saettavano verso Harry. «Harry Potter si è graziosamente unito a noi per la festa della mia rinascita. Ci si potrebbe perfino azzardare a definirlo il mio ospite d'onore». Silenzio. Poi il Mangiamorte alla destra di Codaliscia fece un passo avanti, e la voce di Lucius Malfoy risuonò da sotto la maschera.

«Padrone, siamo avidi di sapere... vi supplichiamo di dirci... come siete riuscito a compiere questo... questo miracolo... come avete potuto tornare tra noi...»

«Ah, che gran bella storia è questa, Lucius» disse Voldemort. «E comincia... e finisce... con il mio giovane amico qui». Si avvicinò a passi indolenti a Harry, così che gli occhi di tutti i componenti del cerchio furono puntati su di loro. Il serpente continuò a strisciare intorno.

«Sapete, naturalmente, che hanno definito questo ragazzo la mia caduta?» disse dolcemente Voldemort, gli occhi rossi fissi su Harry. La cicatrice prese a fargli così male che quasi urlò dal dolore. «Sapete tutti che la notte in cui persi i miei poteri e il mio corpo avevo cercato di ucciderlo. Sua madre morì nel tentativo di salvarlo... e senza volerlo gli fornì una protezione che, lo ammetto, non avevo previsto... non riuscii a toccare il bambino».

Voldemort alzò una delle lunghe dita bianche e la avvicinò alla guancia di Harry. «Sua madre lasciò su di lui le tracce del suo sacrificio... è magia antica, avrei dovuto ricordarmela, fui uno sciocco a non pensarci... ma non importa. Ora posso toccarlo».

Harry avvertì la punta fredda del lungo dito bianco che lo toccava, e credette che la testa gli esplodesse dal dolore. Voldemort scoppiò in una risatina dolce al suo orecchio, poi tolse il dito e continuò a parlare, rivolto ai Mangiamorte. «Avevo fatto male i miei conti, amici miei, lo ammetto. Il mio maleficio fu deviato dall'insensato sacrificio di quella donna, e mi rimbalzò contro. Fui strappato via dal mio corpo, diventai meno che spirito, meno del più miserabile fantasma... eppure ero vivo. Che cosa fossi, nemmeno io lo so... Io, che mi sono spinto più in là di ogni altro sul sentiero che conduce all'immortalità. Conoscete il mio obiettivo: dominare la morte. E allora fui messo alla prova, e a quanto pare uno o più dei miei esperimenti funzionarono... perché non ero morto, anche se il maleficio avrebbe dovuto uccidermi. Comunque, ero inerme come la più debole creatura, e non potevo fare nulla... perché non avevo corpo, e qualunque incantesimo in grado di aiutarmi richiedeva l'uso di una bacchetta...

«Ricordo solo di aver costretto infinitamente me stesso, istante dopo istante, senza mai dormire, a esistere... Presi dimora in un luogo remoto, in una foresta, e aspettai... certo uno dei miei fedeli Mangiamorte avrebbe cercato di ritrovarmi... uno di loro sarebbe venuto a compiere la magia a me impossibile, a restituirmi un corpo... ma attesi invano...»

Il brivido percorse di nuovo il circolo di Mangiamorte in ascolto. Voldemort lasciò che il silenzio incombesse spaventoso su di loro prima di riprendere. «Mi era rimasto solo un potere. Potevo impossessarmi dei corpi altrui. Ma non osavo andare dove altri umani erano numerosi, perché sapevo che gli Auror erano ancora all'estero, impegnati a cercarmi. A volte abitavo gli animali - i serpenti, naturalmente, erano i miei preferiti - ma non stavo molto meglio dentro di loro che in forma di puro spirito, perché i loro corpi erano poco adatti a compiere magie... e quando li possedevo ciò

abbreviava loro la vita; nessuno è durato a lungo...

«Poi... quattro anni fa... i mezzi per il mio ritorno parvero assicurati. Un mago - giovane, sciocco e ingenuo - attraversò la mia strada vagando nella foresta che avevo eletto a mia abitazione. Oh, parve proprio l'opportunità

che sognavo... perché lui insegnava alla scuola di Silente... fu facile piegarlo al mio volere... mi riportò in questo paese, e dopo un po' presi possesso del suo corpo, per sorvegliarlo da vicino mentre eseguiva i miei ordini. Ma il mio piano fallì. Non riuscii a rubare la Pietra Filosofale. Non sarei riuscito ad assicurarmi l'immortalità. Fui ostacolato... ostacolato ancora una volta da Harry Potter...»

Di nuovo silenzio; nulla si muoveva, nemmeno le foglie del tasso. I Mangiamorte erano immobili, gli occhi lucenti nelle maschere puntati su Voldemort, e su Harry.

«Il servo morì quando lasciai il suo corpo, e mi ritrovai debole come non mai» riprese Voldemort. «Tornai al mio nascondiglio remoto, e non fingerò con voi di non aver temuto, allora, di non riuscire mai a riguadagnare i miei poteri... sì, quella fu forse la mia ora più cupa... non potevo sperare che mi venisse mandato un altro mago da possedere... e avevo smesso di sperare, ormai, che uno dei miei Mangiamorte si preoccupasse di ciò che era stato di me...»

Un paio dei maghi mascherati in cerchio si mossero, a disagio, ma Voldemort non vi fece caso.

«E poi, nemmeno un anno fa, quando avevo ormai abbandonato ogni speranza, finalmente è successo... un servo è tornato a me: Codaliscia, qui, che aveva finto di essere morto per sfuggire alla giustizia, fu tratto dal suo nascondiglio da coloro che un tempo aveva considerato amici, e decise di tornare dal suo padrone. Mi cercò nel paese in cui da tempo si diceva che mi celassi... aiutato, naturalmente, dai topi che incontrò sul suo cammino. Codaliscia ha una strana affinità con i topi, vero, Codaliscia? I suoi sudici piccoli amici gli dissero che c'era un posto, nel cuore di una foresta albanese, che evitavano con cura, dove piccoli animali come loro avevano trovato la morte a opera di un'ombra oscura che s'impossessava di loro...

«Ma il suo viaggio per tornare da me non fu facile, vero, Codaliscia?

Perché una notte, affamato, proprio sul limitare della foresta in cui aveva sperato di trovarmi, stupidamente si fermò in una locanda per mangiare... e chi incontrò, se non una certa Bertha Jorkins, una strega del Ministero della Magia?

«Ora vedete bene come la sorte favorisce il Signore Voldemort. Quella avrebbe potuto essere la fine di Codaliscia, e della mia ultima speranza di rinascere. Ma Codaliscia - dando prova di una presenza di spirito che da lui non mi sarei mai aspettata - convinse Bertha Jorkins ad accompagnarlo in una passeggiata notturna. La assalì... la portò da me. E Bertha Jorkins, che avrebbe potuto rovinare tutto, si rivelò invece un dono superiore ai miei più folli sogni... perché - certo, fu necessario esercitare un po' di persuasione - divenne un'autentica miniera di informazioni.

«Mi disse che il Torneo Tremaghi si sarebbe tenuto a Hogwarts quest'anno. Mi disse che sapeva di un Mangiamorte fedele che avrebbe avuto una gran voglia di aiutarmi, se solo fossi riuscito a mettermi in contatto con lui. Disse molte cose... ma gli strumenti che usai per esercitare l'Incantesimo della Memoria su di lei erano potenti, e quando le ebbi strappato tutte le informazioni utili, la sua mente e il suo corpo erano entrambi irre-parabilmente rovinati. Ormai era servita al suo scopo. Non potevo possederla. Me ne liberai». Voldemort sorrise il suo orribile sorriso, gli occhi rossi vacui e implacabili.

«Il corpo di Codaliscia, naturalmente, era poco adatto a essere posseduto, poiché tutti lo credevano morto, e avrebbe attirato troppa attenzione se fosse stato visto. Comunque, era il servo robusto di cui avevo bisogno, e, benché come mago sia scarso, riuscì a eseguire le istruzioni che gli diedi, che mi restituirono un corpo rozzo e debole, un corpo che potessi abitare in attesa degli ingredienti essenziali a una vera rinascita... uno o due incantesimi di mia creazione... un piccolo aiuto dalla mia cara Nagini» - gli occhi rossi di Voldemort si soffermarono sul serpente che continuava a strisciare in cerchio - «una pozione ottenuta bollendo sangue di unicorno, e il veleno di serpente fornito da Nagini... ben presto fui restituito a una forma quasi umana, e fui abbastanza in forze da poter viaggiare.

«Non c'era più alcuna speranza di rubare la Pietra Filosofale, perché sapevo che Silente avrebbe provveduto a farla distruggere. Ma anelavo ad abbracciare di nuovo la vita mortale, prima di cercare quella immortale. Moderai le mie ambizioni... avrei cercato di ottenere il mio vecchio corpo, e la mia vecchia forza,

«Sapevo che per ottenere ciò - è un vecchio ritrovato della Magia Oscura, la pozione che mi ha fatto tornare in vita stanotte - avrei avuto bisogno di tre potenti ingredienti. Be', uno era già a portata di mano, vero, Codaliscia? Carne donata da un servo...

«L'osso di mio padre, naturalmente, voleva dire che avremmo dovuto venire qui, dove fu sepolto. Ma il sangue di una vittima... Codaliscia voleva che usassi un mago qualunque, vero, Codaliscia? Un mago qualunque che mi odiasse... e sono ancora in tanti a odiarmi. Ma io sapevo chi dovevo usare, se volevo risorgere più potente di quando ero caduto. Volevo il sangue di colui che mi aveva spogliato del potere tredici anni prima, perché

allora anche ciò che restava della protezione fornitagli da sua madre sarebbe scorso nelle mie vene...

«Ma come arrivare a Harry Potter? Perché è stato protetto meglio di quanto credo sappia lui stesso, protetto in modi architettati tempo fa da Silente, quando toccò a lui provvedere al futuro del ragazzo. Silente invocò

un'antica magia per assicurare la protezione del ragazzo finché è affidato ai suoi parenti. Nemmeno io posso toccarlo quando è là... poi, naturalmente, ci fu la Coppa del Mondo di Quidditch... pensai che laggiù la sua protezio-ne avrebbe potuto essere più labile, lontano dai parenti e da Silente, ma non ero ancora abbastanza forte da poter cercare di rapirlo nel bel mezzo di un'orda di maghi del Ministero. E poi il ragazzo sarebbe tornato a Hogwarts, dove è sotto il naso di quello sciocco filoBabbano da mane a sera. Allora, come fare per catturarlo?

«Be'... ma usando le informazioni di Bertha Jorkins, naturalmente. Usando il mio fedele Mangiamorte, di stanza a Hogwarts, per assicurarmi che il nome del ragazzo venisse inserito nel Calice di Fuoco. Usando il mio Mangiamorte per assicurarmi che il ragazzo vincesse il Torneo - che toccasse la Coppa Tremaghi per primo - la Coppa che il mio Mangiamorte aveva trasformato in una Passaporta, che lo avrebbe portato qui, lontano dall'aiuto e dalla protezione di Silente, tra le mie braccia aperte. Ed eccolo qui... il ragazzo che tutti voi avete creduto fosse stato la mia fine...»

Voldemort avanzò lentamente e si voltò a guardare Harry. Levò la bacchetta. « Crucio

Era un dolore al di là di quanto Harry avesse mai provato. Perfino le ossa erano in fiamme; la testa stava per spaccarsi lungo la cicatrice, lo sentiva; gli occhi gli roteavano folli nella testa; voleva che finisse... che si spegnesse... voleva morire... E poi tutto passò. Si ritrovò abbandonato contro le funi che lo legavano alla pietra tombale del padre di Voldemort, a guardare quegli occhi rosso vivo attraverso una specie di nebbiolina. La notte echeggiava delle risate dei Mangiamorte.

«Vedete, credo, che sciocchezza è stata credere che questo ragazzo sarebbe mai potuto essere più forte di me» disse Voldemort. «Ma io voglio che non ci siano dubbi nella mente di nessuno. Harry Potter mi è sfuggito per una circostanza fortunata. E io ora dimostrerò il mio potere uccidendolo, qui e ora, davanti a tutti voi, ora che non c'è nessun Silente ad aiutarlo e nessuna madre a morire per lui. Gli darò un'opportunità. Potrà battersi, e voi non avrete più dubbi su chi di noi è il più forte. Ancora un po', Nagini»

sussurrò, e il serpente si allontanò strisciando nell'erba, verso il punto in cui i Mangiamorte stavano in piedi, in attesa.

«Ora slegalo, Codaliscia, e ridagli la bacchetta».

CAPITOLO 34

PRIOR INCANTATIO

Codaliscia si avvicinò a Harry, che tentò affannosamente di rimettersi in piedi, di reggersi prima che le corde fossero slegate. Codaliscia alzò la nuova mano d'argento, sfilò il tampone di tessuto che imbavagliava Harry e poi, con un solo colpo, tagliò le funi che lo fissavano alla pietra tombale. Ci fu un rapido istante, forse, in cui Harry soppesò l'idea di darsi alla fuga, ma la gamba ferita tremò sotto il suo peso mentre si alzava sulla tomba ricoperta di erbacce, mentre i Mangiamorte serravano i ranghi, formando un cerchio più stretto attorno a lui e Voldemort, colmando gli spazi lasciati dai compagni assenti. Codaliscia uscì dal cerchio, si avvicinò al corpo di Cedric e fece ritorno con la bacchetta di Harry, che gli ficcò rudemente in mano senza guardarlo. Poi riprese il suo posto nel cerchio di Mangiamorte in attesa.

«Ti è stato insegnato come ci si sfida a duello, Harry Potter?» chiese Voldemort dolcemente, gli occhi rossi scintillanti nell'oscurità. A quelle parole Harry ricordò, come se appartenesse a una vita precedente, il Club dei Duellanti a Hogwarts che aveva frequentato per poco tempo due anni prima... tutto ciò che aveva imparato era l'Incantesimo di Disarmo, Expelliarmus... e a cosa sarebbe servito, anche se vi fosse riuscito, privare Voldemort della sua bacchetta, quando era circondato da Mangiamorte in una proporzione di almeno trenta a uno? Non aveva mai imparato nulla che potesse rivelarglisi utile in quella circostanza. Sapeva di trovarsi di fronte alla cosa contro la quale Moody lo aveva sempre messo in guardia... l'inesorabile Maledizione Avada Kedavra - e Voldemort aveva ragione - sua madre questa volta non era lì a morire per lui... era decisamente inerme...

«Ora ci inchiniamo, Harry» disse Voldemort, curvandosi appena, senza distogliere il viso di serpente da Harry. «Andiamo, bisogna osservare le regole nel dettaglio... Silente sarebbe lieto che facessi sfoggio delle tue buone maniere... inchinati alla morte, Harry...»

I Mangiamorte ridevano di nuovo. La bocca senza labbra di Voldemort era piegata in un sorriso. Harry non s'inchinò. Non aveva intenzione di permettere a Voldemort di giocare con lui prima di ucciderlo... non gli avrebbe dato quella soddisfazione...

«Ho detto inchinati» disse Voldemort levando la bacchetta: e Harry senti la spina dorsale piegarsi come se un'enorme mano invisibile lo spingesse inesorabilmente in avanti, e i Mangiamorte risero più forte che mai.

«Molto bene» disse Voldemort dolcemente, e mentre alzava la bacchetta, si sollevò anche la pressione che schiacciava Harry. «E ora affrontami, da uomo a uomo... diritto e fiero, così come morì tuo padre...

«E ora... duelliamo».

Voldemort alzò la bacchetta, e prima che Harry potesse fare qualcosa per difendersi, prima ancora che potesse muoversi, fu di nuovo colpito dalla Maledizione Cruciatus. Il dolore fu così intenso, così ardente che non seppe più dov'era... coltelli incandescenti gli trafiggevano ogni centimetro di pelle, era certo che la testa gli sarebbe esplosa; urlò più forte che mai... E poi cessò. Harry rotolò a terra e si rimise in piedi a fatica; era scosso da un tremito incontrollabile, come Codaliscia quando gli era stata tagliata la mano; barcollò di lato, contro il muro di Mangiamorte che assistevano alla scena, ed essi lo sospinsero indietro, verso Voldemort, ancora.

«Una piccola pausa» disse Voldemort, le narici a fessura dilatate dall'eccitazione, «una piccola pausa... ti ha fatto male, vero, Harry? Non vuoi che lo faccia ancora, vero?»

Harry non rispose. Sarebbe morto come Cedric, glielo dicevano quegli spietati occhi rossi... sarebbe morto, e non poteva farci nulla... ma non aveva intenzione di assecondare quel mostro. Non avrebbe obbedito a Voldemort... non lo avrebbe supplicato...

«Ti ho chiesto: vuoi che lo rifaccia?» ripeté Voldemort con voce dolce.

«Rispondimi! Imperio! »

E Harry provò per la terza volta nella vita la sensazione che la sua mente venisse svuotata di qualunque pensiero... ah, che immenso piacere, non pensare, era come galleggiare, come sognare... basta che tu dica no... di' di no... rispondi solo di no...

No, disse una voce più forte in fondo alla sua mente, non risponderò... Di' di no...

Non cederò, non lo dirò...

Di' di no...

«MI RIFIUTO!»

E queste parole esplosero sulle labbra di Harry; echeggiarono nel cimitero, e la dimensione di sogno si dissolse all'improvviso, come se gli fosse stata gettata addosso dell'acqua fredda - rapidi fecero ritorno i dolori che l'Incantesimo Cruciatus gli aveva lasciato in tutto il corpo - rapida fece ritorno la coscienza di dov'era, e che cosa stava affrontando...

«Ti rifiuti?» chiese Voldemort piano, e questa volta i Mangiamorte non risero. «Ti rifiuti di dire di no? Harry, l'obbedienza è una virtù che devo insegnarti prima che tu muoia... forse un'altra piccola dose di dolore...»

Voldemort levò la bacchetta, ma questa volta Harry era pronto; con i riflessi sviluppati dagli allenamenti di Quidditch, si gettò a terra di lato, ro-tolò dietro la lapide di marmo del padre di Voldemort, e la udì spezzarsi mentre il maleficio lo mancava.

«Non stiamo giocando a nascondino, Harry» disse la voce gelida di Voldemort, avvicinandosi, mentre i Mangiamorte sghignazzavano. «Non puoi nasconderti da me. Vorrebbe forse dire che sei stanco del nostro duello?

Vorrebbe forse dire che preferisci che vi ponga fine ora, Harry? Vieni fuori, Harry... vieni fuori a giocare, allora... farò in fretta... forse sarà perfino indolore... non saprei... non sono mai morto...»

Harry si rannicchiò dietro la pietra tombale, e seppe che era la fine. Non c'era alcuna speranza... alcun aiuto. E mentre sentiva Voldemort avvicinarsi, seppe una sola cosa, ed era al di là della paura o della ragionevolezza: non sarebbe morto rannicchiato lì come un bambino che gioca a nascondino; non sarebbe morto prostrandosi ai piedi di Voldemort... sarebbe morto in piedi come suo padre, e sarebbe morto cercando di difendersi, anche se nessuna difesa era possibile...

Prima che il viso serpentino di Voldemort spuntasse da dietro la lapide, Harry si rialzò... strinse forte la bacchetta, la tese davanti a sé, e si scagliò

dall'altra parte della lapide, affrontando Voldemort.

Voldemort era pronto. Mentre Harry urlava « Expelliarmus», gridò « A- vada Kedavra! »

Un fiotto di luce verde sgorgò dalla bacchetta di Voldemort mentre un fiotto di luce rossa esplodeva da quella di Harry: s'incontrarono a mezz'aria, e all'improvviso la bacchetta di Harry prese a vibrare come percorsa da una corrente elettrica; la mano gli si serrò attorno; nemmeno volendo l'avrebbe potuta lasciare... e un sottile raggio di luce ora univa le due bacchette, né rosso né verde, ma di un luminoso oro intenso. E Harry, seguendo il raggio con sguardo attonito, vide che anche le lunghe dita bianche di Voldemort stringevano una bacchetta che tremava e vibrava. E poi - nulla avrebbe potuto preparare Harry per ciò che vide - si sentì

alzare da terra. Lui e Voldemort furono entrambi sollevati per aria, le bacchette ancora unite da quel filo di luce d'oro scintillante. Volarono via dalla lapide del padre di Voldemort, e si posarono su un lembo di terreno spianato, privo di tombe... I Mangiamorte urlavano, chiedevano ordini a Voldemort; si stringevano, ricostituivano il cerchio attorno a Harry e Voldemort, e il serpente strisciava ai loro piedi, alcuni estrassero le bacchette... Il filo d'oro che univa Harry e Voldemort andò in mille pezzi; le bacchette rimasero unite, mentre un centinaio di raggi disegnarono archi sopra di loro, incrociandosi tutto attorno, finché i due non si trovarono rinchiusi in una rete d'oro a forma di cupola, una gabbia di luce, oltre la quale i Mangiamorte si aggiravano come sciacalli, le loro urla stranamente soffocate...

«Non intervenite!» urlò Voldemort ai Mangiamorte, e Harry vide i suoi occhi rossi dilatarsi dallo stupore per quanto stava accadendo, lo vide lottare per spezzare il filo di luce che univa ancora la sua bacchetta a quella di Harry; Harry strinse più forte la sua, con tutt'e due le mani, e il filo d'oro rimase intatto. «Non intervenite se non ve lo ordino!»

E poi una musica ultraterrena e bellissima pervase l'aria... veniva da ogni filo della rete intessuta di luce che vibrava attorno a Harry e Voldemort. Era una musica che Harry riconobbe, anche se l'aveva udita solo una volta prima d'allora... il canto della fenice...

Per Harry fu la musica della speranza... la cosa più bella e benvenuta che avesse mai udito... gli parve che la canzone fosse dentro di lui invece che attorno a lui... era la musica che collegava a Silente, ed era quasi come se un amico gli stesse parlando all'orecchio...

Non interrompere il contatto.

Lo so, disse Harry alla musica, lo so che non devo... ma l'aveva appena pensato che la cosa divenne molto più difficile a farsi. La sua bacchetta prese a vibrare più intensamente che mai... e anche il raggio tra lui e Voldemort cambiò... era come se grosse perle di luce scivolassero su e giù per il filo che univa le bacchette. Harry sentì la sua sussultare nella mano, mentre le perle di luce cominciavano a scorrere lente e decise dalla sua parte... ora il raggio di luce si muoveva verso di lui, si allontanava da Voldemort, e sentì la bacchetta vibrare rabbiosa... Mentre la perla di luce si avvicinava alla punta della bacchetta di Harry, il legno tra le sue dita divenne così caldo che temette di vederlo prendere fuoco. Più la perla si avvicinava, più forte vibrava la bacchetta; era certo che non sarebbe sopravvissuta al contatto; aveva l'impressione che stesse per andare in pezzi tra le sue dita...

Concentrò ogni minima particella della mente sullo sforzo di ricacciare la perla indietro, verso Voldemort, le orecchie invase dal canto della fenice, gli occhi ardenti, fissi... e lentamente, molto lentamente le perle si arrestarono tremando, e poi, altrettanto lentamente, presero a muoversi nella direzione opposta... ora era la bacchetta di Voldemort a vibrare foltissimo... era Voldemort ad apparire stupefatto, e quasi impaurito... Una delle perle di luce vibrò a pochi centimetri dalla punta della bac-chetta di Voldemort. Harry non capiva il perché, non sapeva a cosa potesse servire... ma si concentrò più che mai sull'idea di costringere quella perla di luce ad arretrare fino alla bacchetta di Voldemort... e lentamente... molto lentamente... si mosse lungo il filo d'oro... tremò per un attimo... e poi entrò in contatto... All'istante, la bacchetta di Voldemort emise urla di dolore... poi - mentre gli occhi di Voldemort si dilatavano per lo stupore - una densa mano di fumo uscì volando dalla punta e scomparve... il fantasma della mano che aveva creato per Codaliscia... altre urla di dolore... e poi dalla punta della bacchetta prese a sbocciare qualcosa di molto più grosso, un enorme qualcosa grigiastro, che sembrava fatto del più denso e fitto fumo... era una testa... ora un petto, delle braccia... il torso di Cedric Diggory. Harry rischiò di lasciar cadere la bacchetta per lo spavento, ma l'istinto gli disse di tenerla ben stretta in modo da non spezzare il filo di luce, anche se il denso spettro grigio di Cedric Diggory (era uno spettro? Sembrava così concreto) affiorava completamente dall'estremità della bacchetta di Voldemort, come se stesse uscendo a fatica da un tunnel molto stretto... e quell'ombra di Cedric si alzò, e guardò il filo di luce d'oro nella sua lunghezza, e parlò.

«Resisti, Harry» disse.

La sua voce era remota e rimbombante. Harry guardò Voldemort... i suoi occhi rossi dilatati erano ancora colmi di sorpresa... non era più preparato di Harry a ciò che stava accadendo... e poi udì, molto fioche, le urla terrorizzate dei Mangiamorte che si aggiravano attorno al perimetro della cupola d'oro... Altre urla di dolore sgorgarono dalla bacchetta... e poi dalla punta affiorò qualcos'altro... l'ombra densa di una seconda testa, seguita subito da braccia e busto... un vecchio che Harry aveva visto una volta in sogno si spingeva fuori dall'estremità della bacchetta come aveva fatto Cedric... e il suo fantasma, o la sua ombra, o quello che era, cadde accanto a quello di Cedric, e scrutò Harry e Voldemort, e la rete d'oro, e le bacchette unite, vagamente sorpreso, appoggiandosi al bastone da passeggio...

«Allora era davvero un mago?» disse il vecchio, gli occhi su Voldemort.

«Mi ha ucciso, eh sì... stendilo, ragazzo...»

Ma già un'altra testa affiorava... e questa testa, grigia come una statua di fumo, apparteneva a una donna... Harry, con le mani che tremavano mentre cercava di tenere ferma la bacchetta, vide la sagoma cadere a terra e rialzarsi come le altre, guardandosi attorno...

L'ombra di Bertha Jorkins osservò la battaglia a occhi sgranati.

«Non mollare adesso!» gridò, e la sua voce echeggiò come quella di Cedric, come da molto lontano. «Non lasciare che ti prenda, Harry... non mollare!»

Lei e le altre due sagome d'ombra presero a misurare a grandi passi le pareti interne della rete d'oro, mentre i Mangiamorte aleggiavano all'esterno... e le vittime di Voldemort sussurravano girando attorno ai duellanti, sussurravano parole d'incoraggiamento a Harry, e sibilavano parole che Harry non riusciva a udire contro Voldemort.

Ed ecco che un'altra testa spuntava dalla punta della bacchetta di Voldemort... e Harry nel vederla seppe di chi si trattava... lo seppe, come se non avesse atteso altro fin dal momento in cui Cedric era apparso dalla bacchetta... lo seppe, perché la donna che comparve era colei alla quale aveva pensato più spesso quella notte...

L'ombra di fumo di una giovane donna dai capelli lunghi cadde al suolo come Bertha poco prima, si rialzò e lo guardò... e Harry, con le braccia che tremavano follemente, guardò a sua volta il volto del fantasma di sua madre.

«Tuo padre sta arrivando...» disse piano lo spettro. «Vuole vederti... andrà tutto bene... resisti...»

E lui venne... prima la testa, poi il corpo... un uomo alto con i capelli spettinati come quelli di Harry, la sagoma di fumo e d'ombra di James Potter sbocciò dalla punta della bacchetta di Voldemort, cadde a terra e si rialzò come aveva fatto sua moglie. Si avvicinò a Harry, lo guardò e parlò con la stessa voce remota e rimbombante degli altri, però sottovoce, così che Voldemort, il volto livido di terrore mentre le sue vittime si aggiravano attorno a lui, non potesse sentire...

«Quando il contatto s'interromperà, rimarremo qui solo per pochi istanti... ma ti daremo il tempo... devi correre alla Passaporta, ti riporterà a Hogwarts... hai capito, Harry?»

«Sì» disse Harry senza fiato, lottando per mantenere la presa sulla bacchetta che gli scivolava tra le dita.

«Harry...» sussurrò la sagoma di Cedric, «riporterai indietro il mio corpo, vero? Riporta il mio corpo ai miei genitori...»

«Lo farò» disse Harry, il volto contratto nello sforzo di trattenere la bacchetta.

«Fallo ora» sussurrò la voce di suo padre. «Preparati a correre... ora...»

«ORA!» urlò Harry: non credeva di poter resistere un istante di più. Puntò la bacchetta in alto con un potente strattone, e il filo d'oro si spezzò; la gabbia di luce svanì, il canto della fenice si spense... ma le sagome d'ombra delle vittime di Voldemort non scomparvero: accerchiarono Voldemort, nascondendo Harry alla sua vista... E Harry corse come non aveva mai corso in tutta la vita, urtando due Mangiamorte esterrefatti; sfrecciò zigzagando tra le lapidi, avvertì le loro maledizioni che lo inseguivano, li sentì colpire le pietre tombali... scansava incantesimi e lapidi, precipitandosi verso il corpo di Cedric, senza più avvertire il dolore alla gamba, tutto il suo essere concentrato su ciò che doveva fare...

« Schiantatelo! » udì Voldemort gridare.

A tre metri da Cedric, Harry si tuffò dietro un angelo di marmo per evitare gli spruzzi di luce rossa e vide la punta dell'ala andare in pezzi, colpita dall'incantesimo. Tenendo più stretta la bacchetta, sfrecciò fuori da dietro l'angelo...

« Impedimento! » urlò, puntando furiosamente la bacchetta indietro, contro i Mangiamorte che gli stavano alle calcagna. Da uno strillo soffocato credette di aver fermato almeno uno di loro, ma non ci fu il tempo di voltarsi a guardare; balzò oltre la Coppa e si slanciò

in avanti mentre sentiva altri dardi saettare alle sue spalle; altri fiotti di luce gli volarono sopra la testa mentre cadeva, tendendo la mano per afferrare il braccio di Cedric...

«State indietro! Lo ucciderò io! È mio!» strillò Voldemort. La mano di Harry si chiuse sul polso di Cedric; solo una pietra tombale lo separava da Voldemort, ma Cedric era troppo pesante da trasportare, e la Coppa era irraggiungibile...

Gli occhi rossi di Voldemort dardeggiarono nell'oscurità. Harry vide la sua bocca arricciarsi in un sorriso, lo vide levare la bacchetta.

« Accio! » gridò, puntando la sua verso la Coppa Tremaghi. Il trofeo si alzò in volo e planò verso di lui. Harry lo afferrò per uno dei manici.

Udì l'urlo di rabbia di Voldemort nello stesso istante in cui avvertì lo strappo dietro l'ombelico che significava che la Passaporta era in funzione: ed ecco che lo trascinava via in un vortice di vento e colori, e Cedric era con lui... stavano tornando indietro...

CAPITOLO 35

VERITASERUM

Harry si sentì scagliare a terra; aveva il viso schiacciato nell'erba; il suo odore gli riempì le narici. Aveva chiuso gli occhi mentre la Passaporta lo trasportava, e li tenne chiusi. Non si mosse. Sembrava che tutto il fiato gli fosse stato sottratto a forza; la testa gli girava così forte che il terreno sotto di lui gli parve dondolare come il ponte di una nave. Per cercare di restare fermo, si aggrappò più forte alle due cose che teneva ancora strette: il liscio, freddo manico della Coppa Tremaghi, e il corpo di Cedric. Sentiva che sarebbe scivolato via nell'oscurità che si addensava sulla soglia della sua mente se solo avesse mollato la presa dell'uno o dell'altro. Lo spavento e la stanchezza lo trattennero a terra, a respirare l'odore dell'erba, in attesa... in attesa che qualcuno facesse qualcosa... che succedesse qualcosa... e intanto, la cicatrice era un dolore sordo sulla fronte... Una cascata di rumori lo assordò e lo confuse, c'erano voci dappertutto, uno scalpiccio di passi, urla... rimase dov'era, il viso contratto per il frastuono, come se si trattasse di un incubo che sarebbe passato... Poi due mani lo afferrarono bruscamente e lo rivoltarono.

«Harry! Harry!»

Aprì gli occhi.

Si ritrovò a guardare il cielo stellato, con Albus Silente chino su di lui. Le ombre scure della folla premevano attorno a loro, avvicinandosi a spintoni; Harry sentì il terreno vibrare sotto la testa, scosso dai loro passi. Era tornato al limitare del labirinto. Vide le tribune innalzarsi sopra di lui, su di esse le sagome di gente che si muoveva, le stelle in alto. Harry lasciò andare la Coppa, ma strinse ancora più forte a sé il braccio di Cedric. Alzò la mano libera e afferrò Silente per un polso, mentre il volto del mago fluttuava, un attimo nitido, l'attimo dopo sfuocato.

«E tornato» sussurrò. «È tornato. Voldemort».

«Che cosa succede? Che cosa è successo?»

Il viso di Cornelius Caramell apparve sopra Harry, alla rovescia; era pallido, sconvolto.

«Cielo... Diggory!» sussurrò. «Silente... ma è morto!»

Le parole furono ripetute, le sagome in ombra che premevano attorno le mormorarono senza fiato ai loro vicini... e poi altri le urlarono - le strillarono - nella notte: «È morto!» «È morto! » «Cedric Diggory! Morto! »

«Harry, lascialo andare» sentì dire la voce di Caramell, e avvertì dita che cercavano di separarlo dal corpo svuotato di Cedric, ma lui non voleva lasciarlo. Poi il volto di Silente, ancora confuso e nebuloso, si avvicinò. «Harry, ora non puoi aiutarlo. È finita. Lascialo».

«Voleva che lo portassi indietro» sussurrò Harry... gli parve importante spiegarlo. «Voleva che lo riportassi ai suoi genitori...»

«Va bene, Harry... adesso però lascialo...»

Silente si curvò e, con una forza straordinaria per un uomo così vecchio e magro, sollevò Harry da terra e lo rimise in piedi. Harry barcollò. La testa gli pulsava. La gamba ferita non reggeva più il suo peso. Le persone affollate attorno a lui si facevano avanti sgomitando, lottavano per avvicinarsi, incombevano minacciose su di lui... «Cos'è successo?» «Che cos'ha che non va?» « Diggory è morto! »

«Deve andare in infermeria!» disse Caramell ad alta voce. «Sta male, è

ferito... Silente, i genitori di Diggory, sono qui, sono in tribuna...»

«Ci penso io ad accompagnare Harry, Silente, lo porto io...»

«No, è meglio che...»

«Silente, Amos Diggory sta correndo da questa parte... ormai è vicino... non credi che dovresti dirgli... prima che veda...?»

«Harry, rimani qui...»

Strilli e singhiozzi isterici di ragazze... la scena parve guizzare stranamente davanti ai suoi occhi...

«Va tutto bene, ragazzo, ti reggo io... andiamo... infermeria...»

«Silente ha detto di restare» disse Harry con voce incerta. La ferita gli pulsava tanto che credette di essere sul punto di vomitare; la sua vista era sempre più annebbiata.

«Devi stenderti... andiamo, adesso...»

Qualcuno più grosso e forte di Harry un po' lo spingeva un po' lo trasportava di peso attraverso la folla terrorizzata; Harry la udì trattenere il fiato, urlare e gridare mentre l'uomo che lo sosteneva si faceva strada e lo riportava al castello. Su per il prato, oltre il lago e la nave di Durmstrang, Harry non udiva altro che il respiro affannoso dell'uomo che lo aiutava a camminare.

«Che cosa è successo, Harry?» chiese infine l'uomo, trascinando Harry su per i gradini di pietra. Clunk. Clunk. Clunk. Era Malocchio Moody.

«La Coppa era una Passaporta» disse Harry mentre attraversavano la Sala d'Ingresso. «Ha portato me e Cedric in un cimitero... e c'era Voldemort... Voldemort...»

Clunk, Clunk. Clunk. Su per gli scalini di marmo...

«C'era il Signore Oscuro? E poi che cos'è successo?»

«Ha ucciso Cedric... hanno ucciso Cedric...»

«E poi?»

Clunk. Clunk. Clunk. Lungo il corridoio...

«Ha fatto una pozione... si è ripreso il suo corpo...»

«Il Signore Oscuro si è ripreso il suo corpo? È tornato?»

«E sono venuti i Mangiamorte... e poi abbiamo duellato...»

«Hai duellato con il Signore Oscuro?»

«Gli sono sfuggito... la mia bacchetta... ha fatto una cosa strana... ho visto mia madre e mio padre... sono usciti dalla sua bacchetta...»

«Entra qui, Harry... vieni qui, e siediti... ora ti sentirai meglio... bevi questo...»

Harry udì una chiave grattare in una serratura, e sentì che gli mettevano tra le mani una tazza.

«Bevi... ti sentirai meglio... andiamo, ora, Harry, devo sapere esattamente che cos'è successo...»

Moody aiutò Harry a bere; Harry tossì, mentre un sapore pungente gli bruciava la gola. L'ufficio di Moody fu meno sfuocato, e anche Moody... era pallido come Caramell, ed entrambi i suoi occhi erano puntati immobili sul volto di Harry.

«Voldemort è tornato, Harry? Sei certo che sia tornato? Come ha fatto?»

«Ha preso qualcosa dalla tomba di suo padre, e da Codaliscia, e da me»

rispose Harry. La testa gli si snebbiava; la cicatrice non faceva poi così

male; ora vedeva distintamente il volto di Moody, anche se l'ufficio era buio. Udì ancora gemiti e grida dal lontano campo di Quidditch.

«Che cosa ti ha preso il Signore Oscuro?» gli domandò Moody.

«Sangue» rispose Harry, alzando il braccio. La manica era strappata dove il pugnale di Codaliscia l'aveva lacerata. Moody si lasciò sfuggire un lungo, basso fischio. «E i Mangiamorte?

Sono tornati?»

«Sì» disse Harry. «Tantissimi...»

«Come li ha trattati?» chiese Moody piano. «Li ha perdonati?»

Ma Harry all'improvviso ricordò. Avrebbe dovuto dirlo a Silente, avrebbe dovuto dirlo subito... «C'è un Mangiamorte a Hogwarts! C'è un Mangiamorte qui... è stato lui a mettere il mio nome nel Calice di Fuoco, è stato lui a fare in modo che arrivassi fino alla fine...»

Harry cercò di alzarsi, ma Moody lo risospinse indietro.

«Io so chi è il Mangiamorte» disse piano.

«Karkaroff?» esclamò Harry agitato. «Dov'è? L'avete preso? È prigio-niero?»

«Karkaroff?» disse Moody con una strana risata. «Karkaroff è fuggito stasera, quando ha sentito il Marchio Nero bruciargli il braccio. Ha tradito troppi fedeli seguaci del Signore Oscuro per avere voglia di incontrarli... ma dubito che andrà lontano. Il Signore Oscuro ha i suoi metodi per scovare i suoi nemici».

«Karkaroff è sparito? È scappato? Ma allora... non è stato lui a mettere il mio nome nel calice?»

«No» rispose Moody lentamente. «No, non è stato lui. Sono stato io». Harry lo sentì, ma non gli credette.

«No, non è vero» disse. «Non è stato lei... non può essere stato...»

«Ti assicuro di sì» disse Moody, e l'occhio magico roteò e si fermò sulla porta, e Harry capi che stava controllando che fuori non ci fosse nessuno. Nello stesso tempo, Moody estrasse la bacchetta e la puntò contro Harry.

«Allora li ha perdonati?» disse. «I Mangiamorte che sono rimasti in libertà? Quelli che hanno sfuggito Azkaban?»

«Cosa?» disse Harry.

Stava guardando la bacchetta di Moody puntata verso di lui. Era un brutto scherzo, doveva essere così.

«Ti ho chiesto» insisté Moody a voce bassa «se ha perdonato la feccia che non è mai andata a cercarlo. Quei codardi traditori che non sono nemmeno riusciti ad affrontare Azkaban per lui. L'infedele, indegna spazzatura che ha avuto il coraggio di saltellare mascherata alla Coppa del Mondo di Quidditch, ma che se l'è data a gambe alla vista del Marchio Nero quando l'ho sparato in cielo».

« Lei ha sparato... ma che cosa sta dicendo?»

«Te l'ho detto, Harry... te l'ho detto. Se c'è una cosa che odio più di ogni altra, è un Mangiamorte rimasto in libertà. Hanno voltato le spalle al mio padrone, quando aveva più bisogno di loro. Mi aspettavo che li punisse. Mi aspettavo che li torturasse. Dimmi che ha fatto loro del male, Harry...»

Il volto di Moody a un tratto s'illuminò di un sorriso folle. «Dimmi che ha detto loro che io, io solo sono rimasto fedele... pronto a rischiare tutto per consegnargli la cosa che desiderava più di ogni altra... te» .

«Lei non... non... non può essere lei...»

«Chi ha messo il tuo nome nel Calice di Fuoco, sotto il nome di una scuola diversa? Io. Chi ha terrorizzato qualunque persona che pensavo potesse farti del male o impedirti di vincere il Torneo? Io. Chi ha convinto Hagrid a mostrarti i draghi? Io. Chi ti ha aiutato a capire qual era il solo modo per superare il drago? Io».

L'occhio magico di Moody si era allontanato dalla porta. Era puntato su Harry. La bocca obliqua si schiuse in un sorriso più turpe che mai.

«Non è stato facile, Harry, guidarti attraverso queste prove senza suscitare sospetti. Ho dovuto ricorrere a ogni grammo di astuzia in mio possesso, in modo che il mio intervento non fosse riconoscibile nella tua vittoria. Silente si sarebbe alquanto insospettito se tu te la fossi cavata troppo facilmente. Purché tu entrassi in quel labirinto, possibilmente con un vantaggio dignitoso... allora sapevo che avrei avuto una possibilità di sbarazzarmi degli altri campioni e spianarti la strada. Ma ho dovuto anche combattere contro la tua stupidità. La seconda prova... è stato allora che ho più

temuto che non ce la facessimo. Ti tenevo d'occhio, Potter. Sapevo che non avevi risolto l'indovinello dell'uovo, cosi ho dovuto darti un altro suggerimento...»

«Non è vero» disse Harry con voce roca. «È stato Cedric a darmi la chiave...»

«Chi ha detto a Cedric di aprirlo sott'acqua? Io. Contavo sul fatto che ti avrebbe passato l'informazione. Le persone oneste sono così facili da manovrare, Potter. Ero sicuro che Cedric avrebbe voluto restituirti il piacere, visto che gli avevi detto dei draghi, e così ha fatto. Ma anche allora, Potter, anche allora sembrava probabile che avresti fallito. Io sono stato di guardia tutto il tempo... tutte quelle ore in biblioteca. Non hai capito che il libro di cui avevi bisogno è rimasto sempre nel tuo dormitorio? Ce l'avevo messo io parecchio tempo prima, l'avevo dato al giovane Paciock, non ricordi?

Magiche Piante Acquatiche del Mediterraneo e Loro Proprietà. Ti avrebbe detto tutto quello che ti serviva sull'Algabranchia. Mi aspettavo che chiedessi aiuto a tutti, ma proprio tutti. Paciock te l'avrebbe detto in un secondo. Ma invece no... no... quel tuo tocco di orgoglio e indipendenza avrebbe potuto rovinare tutto quanto.

«E allora che cosa potevo fare? Fornirti l'informazione attraverso un'altra fonte ignara. Al Ballo del Ceppo mi avevi raccontato che un elfo domestico di nome Dobby ti aveva fatto un regalo di Natale. Ho chiamato l'elfo in sala professori perché venisse a prendere delle vesti da lavare. Ho inscenato una conversazione a voce alta con la professoressa McGranitt sugli ostaggi che erano stati scelti, e le ho chiesto se era dell'opinione che Potter avrebbe pensato di ricorrere all'Algabranchia. E il tuo amichetto elfo è corso dritto alla dispensa di Piton e si è affrettato a venirti a cercare...»

La bacchetta di Moody era ancora puntata al cuore di Harry. Alle sue spalle, sagome nebulose si muovevano nell'Avversaspecchio appeso alla parete. «Sei rimasto così a lungo in quel lago, Potter, che ho pensato che fossi annegato. Ma per fortuna Silente ha scambiato la tua imbecillità per nobiltà, e ti ha dato un punteggio alto. Ho respirato di sollievo un'altra volta.

«Naturalmente questa sera nel labirinto per te è stato più facile di quanto non avrebbe dovuto» disse Moody. «E questo perché ero di pattuglia attorno al perimetro, potevo vedere attraverso le siepi esterne e sono riuscito a eliminare parecchi ostacoli dal tuo percorso. Ho Schiantato Fleur Delacour quando è passata. Ho scagliato l'Incantesimo Imperius su Krum, in modo che eliminasse Diggory, e ti lasciasse libero il cammino verso la Coppa». Harry fissò Moody, stupefatto. Non riusciva a capire come fosse possibile... l'amico di Silente, il celebre Auror... colui che aveva catturato tanti Mangiamorte... non aveva senso... nessun senso...

Le forme nebulose nell'Avversaspecchio si precisavano, diventavano più

definite. Harry vide la sagoma di tre persone dietro a Moody, tre persone che si avvicinavano. Ma Moody non stava guardando. Il suo occhio magico era puntato su Harry.

«Il Signore Oscuro non è riuscito a ucciderti, Potter, e lo desiderava tanto» sussurrò Moody. «Prova a pensare come mi ricompenserà, quando scoprirà che l'ho fatto io al posto suo. Io ti ho consegnato a lui - tu, la cosa di cui più di ogni altra aveva bisogno per rigenerarsi - e poi ti ho ucciso per lui. Verrò onorato più di ogni altro Mangiamorte. Sarò il suo più caro, il suo più intimo sostenitore... più vicino di un figlio...»

L'occhio normale di Moody sporgeva, l'occhio magico era fisso su Harry. La porta era sbarrata, e Harry sapeva che non sarebbe mai riuscito a raggiungere la bacchetta in tempo...

«Io e il Signore Oscuro» disse Moody, e ormai sembrava completamente folle, chino su Harry con un orrendo sorriso storto sulle labbra «abbiamo molto in comune. Entrambi, per esempio, abbiamo avuto padri molto deludenti... davvero molto deludenti. Entrambi abbiamo subito l'oltraggio, Harry, di prendere il nome da quei padri. Ed entrambi abbiamo avuto il piacere... l'enorme piacere... di uccidere i nostri padri, per assicurare l'ascesa ininterrotta dell'Ordine Oscuro!»

«Lei è pazzo» esclamò Harry, senza riuscire a trattenersi. «Lei è pazzo!»

«Pazzo, io?» disse Moody, la voce che si alzava incontrollabile. «La vedremo! Vedremo chi è pazzo, ora che il Signore Oscuro è tornato, con me al suo fianco! È tornato, Harry Potter, non l'hai vinto... e ora... io vincerò

te!»

Moody levò la bacchetta, apri la bocca, Harry affondò la mano nella veste...

« Stupeficium! » Ci fu un lampo accecante di luce rossa, e con un'esplosione fragorosa la porta dell'ufficio di Moody andò in pezzi... Moody fu scagliato all'indietro e cadde sul pavimento. Harry, che non aveva smesso di fissare il punto in cui un attimo prima c'era il viso di Moody, vide Albus Silente, il professor Piton e la professoressa McGranitt restituirgli lo sguardo dall'Avversaspecchio. Si voltò e vide il terzetto in piedi sulla soglia, Silente in testa, la bacchetta tesa. In quel momento, Harry comprese fino in fondo per la prima volta perché si diceva che Silente era l'unico mago di cui Voldemort avesse mai avuto paura. L'espressione di Silente mentre scrutava il corpo privo di sensi di Malocchio Moody era più terribile di quanto Harry avesse mai potuto immaginare. Non c'era alcun sorriso benevolo sul suo volto, alcun brillio ironico negli occhi dietro le lenti. Una fredda furia era incisa in ogni tratto del suo viso antico; un senso di potere emanava da lui, come se sprigionasse vapore bollente. Entrò, infilò un piede sotto il corpo abbandonato di Moody e con un calcio lo rovesciò sulla schiena, in modo da vederlo in faccia. Piton lo segui, guardando l'Avversaspecchio, nel quale il suo volto era ancora visibile, intento a scrutare torvo la stanza. La professoressa McGranitt andò subito da Harry.

«Vieni con me, Potter» sussurrò. La sua bocca sottile si contrasse come se stesse per piangere. «Andiamo... in infermeria...»

«No» disse Silente seccamente.

«Silente, dovrebbe proprio... guardalo... ne ha passate abbastanza stanotte...»

«Rimarrà, Minerva, perché deve capire» ribatté Silente asciutto. «Capire è il primo passo per accettare, e solo accettando si può guarire. Deve sapere chi lo ha condotto alle sofferenze di questa notte, e perché».

«Moody» disse Harry. Era ancora completamente incredulo. «Come può

essere stato Moody?»

«Questo non è Alastor Moody» rispose piano Silente. «Tu non hai mai conosciuto Alastor Moody. Il vero Moody non ti avrebbe allontanato da me dopo ciò che è successo stanotte. Nel momento in cui ti ha portato via, ho capito... e vi ho seguiti».

Silente si chinò sul corpo afflosciato di Moody e infilò una mano nella sua veste. Estrasse la fiaschetta di Moody e un mazzo di chiavi fissate a un anello. Poi si voltò verso la McGranitt e Piton.

«Severus, per favore, portami la Pozione della Verità più potente che possiedi, e poi scendi in cucina e porta qui l'elfa domestica di nome Winky. Minerva, gentilmente vai alla capanna di Hagrid, dove troverai un grosso cane nero nell'orto delle zucche. Porta il cane nel mio ufficio, digli che lo raggiungerò tra poco, poi torna qui».

Se Piton o la McGranitt trovarono queste istruzioni stravaganti, non lo dettero a vedere. Entrambi uscirono immediatamente dall'ufficio. Silente posò la fiaschetta sulla scrivania, si avvicinò al baule con sette serrature, infilò la prima chiave nella serratura, e lo aprì. Conteneva un gran numero di libri di magia. Silente chiuse il coperchio, infilò una seconda chiave nella seconda serratura, e lo riaprì. I libri di magia erano scomparsi; questa volta conteneva un assortimento di Spioscopi rotti, penne e pergamena, e quello che sembrava un Mantello dell'Invisibilità argentato. Harry guardò

attonito Silente infilare la terza, la quarta, la quinta e la sesta chiave nelle rispettive serrature, riaprendo ogni volta il baule che rivelava ogni volta un contenuto diverso. Poi infilò la settima chiave nella serratura, sollevò il coperchio, e Harry si lasciò sfuggire un urlo di sorpresa. Si ritrovò a guardare in una specie di pozzo, una stanza sotterranea, e disteso al suolo tre metri più in basso, apparentemente immerso in un sonno profondo, magro e affamato, giaceva il vero Malocchio Moody. La gamba di legno era sparita, l'orbita che avrebbe dovuto accogliere l'occhio magico sembrava vuota sotto la palpebra, e gli mancavano ciuffi di capelli grigi. Harry, attonito, spostò lo sguardo dal Moody addormentato nel baule al Moody svenuto disteso sul pavimento dell'ufficio.

Silente entrò nel baule, si calò e si lasciò cadere con un balzo sul pavimento accanto al Moody addormentato. Si curvò su di lui.

«Schiantato... controllato dalla Maledizione Imperius... molto debole»

sentenziò. «Naturalmente avevano bisogno di tenerlo in vita. Harry, buttami giù il mantello di quell'impostore, Alastor è gelato. Madama Chips dovrà occuparsi di lui, ma non sembra in pericolo immediato». Harry eseguì; Silente avvolse Moody nel mantello, e si arrampicò fuori dal baule. Poi prese la fiaschetta dalla scrivania, svitò il tappo e la rovesciò. Un liquido denso e vischioso schizzò sul pavimento dell'ufficio.

«Pozione Polisucco, Harry» disse Silente. «Vedi com'è tutto semplice e geniale. Perché Moody non beve mai se non dalla sua fiaschetta, lo sanno tutti. L'impostore, naturalmente, aveva bisogno di tenere a portata di mano il vero Moody, in modo da poter continuare a prepararsi la Pozione. Hai visto i suoi capelli...» Silente gettò uno sguardo al Moody in fondo al baule. «L'impostore glieli ha continuati a tagliare per tutto l'anno, vedi dove sono irregolari? Ma credo che nell'agitazione di questa notte il nostro falso Moody si sia dimenticato di prenderla tanto spesso quanto avrebbe dovuto... allo scoccare dell'ora... ogni ora... vedremo». Silente prese la sedia da sotto la scrivania e vi sedette, gli occhi puntati sul Moody svenuto sul pavimento. Anche Harry lo fissò. I minuti passarono in silenzio... Poi, sotto gli occhi di Harry, il volto dell'uomo disteso a terra prese a cambiare. Le cicatrici sparivano, la pelle diventava liscia; il naso mozzato tornò intero, e rimpicciolì. La lunga criniera di capelli grigi brizzolati si ritirava nella cute, e diventava color paglia. All'improvviso, con un sordo clunk, la gamba di legno cadde mentre una gamba normale ricresceva al suo posto; un attimo dopo, la pupilla magica schizzò fuori dall'occhio dell'uomo, sostituita da un occhio vero; rotolò sul pavimento e continuò a roteare da una parte all'altra. Davanti a Harry giaceva un uomo pallido, con vaghe lentiggini e un ciuffo di capelli biondi. Sapeva chi era. L'aveva visto nel Pensatoio di Silente, l'aveva visto mentre i Dissennatori lo portavano via e lui cercava di convincere Crouch della sua innocenza... ma ora era segnato attorno agli occhi, e sembrava molto più vecchio...

Nel corridoio si udirono passi affrettati. Piton entrò con Winky alle calcagna. La professoressa McGranitt era dietro di loro.

«Crouch!» esclamò Piton, restando immobile sulla soglia. «Barty Crouch!»

«Santo cielo» disse la professoressa McGranitt, fissando l'uomo disteso al suolo.

Sporca e scarmigliata, Winky sbirciò da dietro le gambe di Piton. La sua bocca si spalancò e l'elfa emise uno strillo penetrante. «Padron Barty, padron Barty, che cosa fa tu qui?»

Si gettò sul petto del giovane. «Voi l'ha ucciso! Voi l'ha ucciso! Voi ha ucciso il figlio del padrone!»

«È solo Schiantato, Winky» disse Silente. «Fatti da parte, per favore. Severus, hai portato la pozione?»

Piton consegnò a Silente una bottiglietta di vetro colma di un liquido trasparente: il Veritaserum col quale aveva minacciato Harry in classe. Silente si alzò, si chinò sull'uomo a terra e lo mise a sedere contro il muro dietro l'Avversaspecchio, dal quale le sagome riflesse di Silente, Piton e della McGranitt continuavano a scrutarli, cupe. Winky rimase in ginocchio, tremante, le mani sul viso. Silente aprì a forza la bocca dell'uomo e vi lasciò

cadere tre gocce. Poi gli puntò la bacchetta contro il petto e disse: « Inner- va» .

Il figlio di Crouch aprì gli occhi. Aveva il viso molle, lo sguardo perso. Silente si inginocchiò accanto a lui, in modo da guardarlo dritto in faccia.

«Mi senti?» chiese a bassa voce.

L'uomo sbatté le palpebre.

«Sì» borbottò.

«Vorrei che ci dicessi» disse piano Silente «come mai sei qui. Come hai fatto a fuggire da Azkaban?»

Crouch trasse un profondo respiro tremante, poi prese a parlare in tono piatto e inespressivo. «Mi ha salvato mia madre. Sapeva di stare per morire. Ha convinto mio padre a salvarmi come ultimo desiderio. Lui l'amava come non ha mai amato me. Acconsentì. Vennero a trovarmi. Mi diedero una dose di Pozione Polisucco che conteneva un capello di mia madre. Lei bevve una dose di Pozione Polisucco che conteneva un mio capello. Prendemmo l'uno le sembianze dell'altra». Winky scuoteva il capo, tremante. «Non dire altro, padron Barty, non dire altro, tu mette tuo padre nei guai!»

Ma Crouch trasse un altro respiro profondo e riprese, con la stessa voce piatta: «I Dissennatori sono ciechi. Hanno avvertito una persona sana e una morente entrare ad Azkaban. Hanno avvertito una persona sana e una morente uscirne. Mio padre mi portò fuori di nascosto, travestito da mia madre, nel caso che qualche prigioniero guardasse dalla porta della cella.

«Mia madre morì poco dopo ad Azkaban. Fece attenzione a bere la Pozione Polisucco fino alla fine. Fu sepolta col mio nome e le mie sembianze. Tutti credettero che si trattasse di me». L'uomo sbatté le palpebre.

«E che cosa fece di te tuo padre una volta che ti ebbe riportato a casa?»

chiese Silente piano.

«Inscenò la morte di mia madre. Un funerale privato, discreto. Quella tomba è vuota. L'elfa domestica mi guarì. Poi dovetti rimanere nascosto. Dovevo essere controllato. Mio padre fu costretto a ricorrere a parecchi incantesimi per soggiogarmi. Quando ebbi ripreso le forze, pensai solo a ritrovare il mio maestro... a tornare al suo servizio».

«Come fece tuo padre a soggiogarti?» chiese Silente.

«Con l'Incantesimo Imperius» disse Crouch. «Ero in potere di mio padre. Ero costretto a indossare un Mantello dell'Invisibilità giorno e notte. Ero sempre con l'elfa domestica. Era la mia governante e custode. Le facevo pena. Convinse mio padre a farmi qualche regalino. Come ricompensa della mia buona condotta».

«Padron Barty, padron Barty» disse Winky singhiozzando attraverso le dita. «Tu non deve dirglielo, noi finisce nei guai...»

«Nessuno ha mai scoperto che eri ancora vivo?» chiese piano Silente.

«Nessuno lo sapeva tranne tuo padre e l'elfa domestica?»

«Sì» rispose Crouch, sbattendo di nuovo le palpebre. «Una strega dell'ufficio di mio padre. Bertha Jorkins. Venne da noi con dei documenti da far firmare a mio padre. Lui non era in casa. Winky la fece entrare e tornò

in cucina, da me. Ma Bertha Jorkins la sentì parlare con me. Venne a vedere. Ascoltò abbastanza da indovinare chi si nascondeva sotto il Mantello dell'Invisibilità. Mio padre tornò. Lei lo affrontò. Lui le scagliò un potente Incantesimo della Memoria per farle dimenticare ciò che aveva scoperto. Troppo potente. Disse che le aveva danneggiato per sempre la memoria».

«Perché lei è venuta a ficcare il naso negli affari privati del mio padrone?» disse Winky tra i singhiozzi. «Perché non ci ha lasciati stare?»

«Dimmi della Coppa del Mondo di Quidditch» disse Silente.

«Fu Winky a convincere mio padre» rispose Crouch, con la stessa voce monotona. «Le ci vollero mesi a persuaderlo. Erano anni che non uscivo di casa. Avevo amato il Quidditch. Lo lasci andare, gli disse. Porterà il Mantello dell'Invisibilità. Può vedere la partita. Gli lasci respirare un po' d'aria fresca una volta tanto. Disse che mia madre avrebbe approvato. Disse a mio padre che mia madre era morta per darmi la libertà. Non mi aveva salvato per infliggermi una vita di prigionia. Alla fine lui accettò.

«Fu tutto studiato con la massima cura. Mio padre scortò me e Winky su in Tribuna d'Onore molto presto. Winky doveva dire che stava tenendo il posto a mio padre. Io dovevo star lì seduto, invisibile. Quando tutti fossero scesi dalle tribune, sarebbe toccato a noi. Winky sarebbe stata sola, in apparenza. Nessuno l'avrebbe mai saputo.

«Ma Winky non sapeva che stavo diventando più forte. Cominciavo a contrastare l'Incantesimo Imperius di mio padre. A volte ero di nuovo me stesso, quasi. C'erano brevi periodi in cui mi pareva di sfuggire al suo controllo. Accadde lassù, in Tribuna d'Onore. Fu come svegliarsi da un sonno profondo. Mi ritrovai in pubblico, nel bel mezzo della partita, e vidi una bacchetta spuntare dalla tasca di un ragazzo davanti a me. Non avevo il permesso di tenere una bacchetta da prima di Azkaban. La rubai. Winky non se ne accorse. Winky ha paura delle alte quote. Aveva il viso nascosto».

«Padron Barty, cattivo!» sussurrò Winky, mentre le lacrime le scorrevano tra le dita.

«Cosi hai preso la bacchetta» disse Silente, «e poi che cosa ne hai fatto?»

«Tornammo alla tenda» disse Crouch. «Poi li sentimmo. Sentimmo i Mangiamorte. Quelli che non erano mai stati ad Azkaban. Quelli che non avevano mai sofferto per il mio padrone. Gli avevano voltato le spalle. Non erano finiti in schiavitù come me. Erano liberi di andare a cercarlo, ma non lo fecero. Si limitavano a prendersi gioco dei Babbani. Il rumore delle loro voci mi svegliò. La mia mente non era cosi limpida da anni. Ero furioso. Avevo la bacchetta. Volevo aggredirli per la loro infedeltà al mio padrone. Mio padre era uscito dalla tenda, era andato a liberare i Babbani. Winky ebbe paura, vedendomi così arrabbiato. Usò la magia in suo potere per tenermi legato a lei. Mi fece uscire dalla tenda, mi spinse nella foresta, lontano dai Mangiamorte. Io cercai di trattenerla. Volevo tornare al campeggio. Volevo mostrare a quei Mangiamorte che cos'era la vera fedeltà al Signore Oscuro, e punirli per il loro tradimento. Usai la bacchetta rubata per scagliare in cielo il Marchio Nero.

«Giunsero i maghi del Ministero. Scagliarono Schiantesimi ovunque. Uno attraversò gli alberi e raggiunse me e Winky. Il legame che ci univa fu spezzato. Fummo entrambi Schiantati.

«Quando Winky venne scoperta, mio padre capì che dovevo essere nei dintorni. Frugò nei cespugli attorno a dove era stata ritrovata, e sentì che giacevo li. Attese che gli altri membri del Ministero si allontanassero dalla foresta. Mi pose di nuovo sotto l'Incantesimo Imperius, e mi portò a casa. Licenziò Winky. Lo aveva deluso. Aveva permesso che mi impossessassi di una bacchetta. Mi aveva quasi lasciato fuggire».

Winky emise un gemito disperato.

«Rimanemmo io e mio padre, soli in casa. E allora... e allora...» Crouch roteò il capo, e un ghigno folle gli attraversò il volto. «Il mio padrone venne a prendermi.

«Arrivò a casa nostra nel cuore della notte, tra le braccia del suo servo Codaliscia. Il mio signore aveva scoperto che ero ancora vivo. Aveva catturato Bertha Jorkins in Albania. L'aveva torturata. E lei gli aveva detto molte cose. Gli aveva detto del Torneo Tremaghi. Gli aveva detto che Mo-ody, l'anziano Auror, avrebbe insegnato a Hogwarts. La torturò finché non spezzò l'Incantesimo della Memoria che mio padre aveva scagliato su di lei. Gli disse che ero fuggito da Azkaban. Gli disse che mio padre mi teneva prigioniero per impedire che andassi a cercare il mio signore. E così il mio signore seppe che ero ancora il suo fedele servitore: forse il più fedele di tutti. Concepì un piano sulla base delle informazioni che Bertha gli aveva fornito. Aveva bisogno di me. Giunse a casa nostra verso mezzanotte. Mio padre aprì la porta».

Il sorriso si diffuse sul volto di Crouch, come se stesse rievocando il ricordo più bello della sua vita. Attraverso le dita di Winky si vedevano i suoi occhi marroni impietriti. Sembrava troppo sconvolta per parlare.

«Fu tutto molto rapido. Mio padre fu sottoposto alla Maledizione Imperius dal mio signore. Ora era mio padre a essere imprigionato, sotto controllo. Il mio signore lo costrinse a continuare il suo lavoro come al solito, a comportarsi come se non ci fosse niente che non andava. E io fui liberato. Mi ridestai. Fui di nuovo me stesso, vivo come non lo ero da anni».

«E Voldemort che cosa ti chiese di fare?» domandò Silente.

«Mi chiese se ero pronto a rischiare tutto per lui. Ero pronto. Era il mio sogno, la mia più grande ambizione, servirlo, dimostrargli la mia abilità. Mi disse che aveva bisogno di infiltrare a Hogwarts un suo servo fedele. Un servo che aiutasse Harry Potter a vincere il Torneo Tremaghi senza farsi notare. Un servo che vegliasse su Harry Potter. Che si assicurasse di fargli raggiungere la Coppa Tremaghi. Che trasformasse la Coppa in una Passaporta, che avrebbe portato dal mio padrone la prima persona che l'avesse toccata. Ma prima...»

«Avevate bisogno di Alastor Moody» intervenne Silente. I suoi occhi azzurri fiammeggiavano d'ira, anche se la sua voce rimase calma.

«Fummo io e Codaliscia. Avevamo preparato in anticipo la Pozione Polisucco. Raggiungemmo la sua casa. Moody reagì lottando. Ci fu un'esplosione. Riuscimmo a soggiogarlo appena in tempo. Lo infilammo a forza in un comparto del suo baule magico. Gli prendemmo dei capelli e li aggiungemmo alla Pozione. Io la bevvi e divenni il sosia di Moody. Gli presi la gamba e l'occhio. Fui pronto ad affrontare Arthur Weasley quando venne a sistemare i Babbani che avevano sentito dei rumori. Feci muovere i bidoni della spazzatura nel cortile. Gli dissi che avevo sentito aggirarsi degli estranei, che avevano fatto saltare i bidoni. Poi raccolsi gli abiti di Moody e i Detector Oscuri, li misi nel baule con Moody e partii per Hogwarts. Lo tenni in vita, sotto l'effetto della Maledizione Imperius. Volevo riuscire a interrogarlo. Per sapere del suo passato, imparare le sue abitudini, in modo da poter ingannare anche Silente. Mi servivano anche i suoi capelli per preparare la Pozione Polisucco. Gli altri ingredienti erano facili da trovare. Rubai la pelle di Girilacco dalle cantine. Quando il responsabile delle Pozioni mi trovò nel suo ufficio, dissi che avevo avuto l'ordine di perquisirlo».

«E cosa ne fu di Codaliscia dopo l'aggressione di Moody?» chiese Silente.

«Codaliscia tornò a prendersi cura del mio signore, a casa di mio padre, e a sorvegliare mio padre».

«Ma tuo padre fuggì» disse Silente.

«Sì. Dopo un po' cominciò a contrastare la Maledizione Imperius proprio come avevo fatto io. C'erano momenti in cui capiva ciò che stava succedendo. Il mio signore decise che non era più prudente lasciarlo uscire di casa. Lo costrinse a inviare lettere al Ministero. Gli fece scrivere che era malato. Ma Codaliscia trascurò i suoi doveri. Non lo sorvegliò abbastanza. Mio padre fuggì. Il mio signore suppose che fosse diretto a Hogwarts. Mio padre avrebbe detto tutto a Silente, avrebbe confessato. Avrebbe ammesso di avermi fatto uscire di nascosto da Azkaban.

«Il mio padrone mi informò della fuga di mio padre. Mi disse di fermarlo a ogni costo. Così attesi e vegliai. Usai la mappa che avevo preso a Harry Potter. La mappa che aveva quasi rovinato tutto».

«Mappa?» disse Silente in fretta. «Quale mappa?»

«La mappa di Hogwarts di Potter. Potter mi ci ha visto. Una sera Potter mi ha visto rubare altri ingredienti per la Pozione Polisucco dall'ufficio di Piton. Credeva che fossi mio padre, visto che abbiamo lo stesso nome di battesimo. Quella sera ho preso a Potter la mappa. Gli ho detto che mio padre odiava i Maghi Oscuri. Potter ha creduto che mio padre stesse seguendo Piton.

«Per una settimana attesi l'arrivo di mio padre a Hogwarts. Finalmente, una sera, sulla mappa comparve mio padre che entrava nel parco. Indossai il Mantello dell'Invisibilità, e gli andai incontro. Stava costeggiando la Foresta. Poi arrivarono Potter e Krum. Attesi. Non potevo fare del male a Potter, il mio padrone aveva bisogno di lui. Potter corse a chiamare Silente. Schiantai Krum. Uccisi mio padre».

« Noooo! » gemette Winky. «Padron Barty, padron Barty, che cosa dice?»

«Hai ucciso tuo padre» disse Silente con la solita voce dolce. «Che cos'hai fatto del corpo?»

«L'ho portato nella Foresta. L'ho coperto con il Mantello dell'Invisibilità. Avevo con me la mappa. Vidi Potter correre al castello. Incontrò Piton. Silente si unì a loro. Vidi Potter guidare Silente fuori dal castello. Uscii dalla Foresta, tornai sui miei passi, mi feci loro incontro. A Silente raccontai che Piton mi aveva detto dove andare.

«Silente mi disse di andare a cercare mio padre. Tornai accanto al suo corpo. Guardai la mappa. Quando tutti se ne furono andati, Trasfigurai il corpo di mio padre. Divenne un osso... lo seppellii, indossando il Mantello dell'Invisibilità, nella terra appena smossa davanti alla capanna di Hagrid». Calò un totale silenzio, rotto solo dai singhiozzi irrefrenabili di Winky. Poi Silente disse: «E stasera...»

«Mi sono offerto di portare la Coppa Tremaghi nel labirinto prima di cena» mormorò Barty Crouch. «L'ho trasformata in una Passaporta. Il piano del mio signore ha funzionato. È tornato potente e io sarò onorato da lui al di là dei sogni di ogni mago».

Il sorriso folle gli illuminò di nuovo il viso, e la testa gli ricadde sulla spalla mentre Winky ululava e singhiozzava al suo fianco.

CAPITOLO 36

LE STRADE SI DIVIDONO

Silente si alzò. Per un attimo guardò Barty Crouch, disgustato. Poi alzò

di nuovo la bacchetta e ne volarono fuori delle corde che si avvolsero attorno a Barty Crouch, legandolo stretto. Quindi si rivolse alla professoressa McGranitt. «Minerva, posso chiederti di restare qui di guardia mentre porto Harry di sopra?»

«Ma certo» rispose la professoressa McGranitt. Sembrava nauseata, come se avesse appena visto qualcuno vomitare, ma quando estrasse la bacchetta e la puntò contro Barty Crouch, la sua mano era ferma.

«Severus» Silente si volse verso Piton, «per favore, di' a Madama Chips di venire qui. Dobbiamo portare Alastor Moody in infermeria. Poi vai nel parco, trova Cornelius Caramell e accompagnalo qui. Vorrà certo interrogare Crouch di persona. Digli che se ha bisogno di me mi troverà in infermeria tra mezz'ora». Piton annui in silenzio e uscì dalla stanza.

«Harry» disse Silente con dolcezza.

Harry si alzò e di nuovo barcollò; il dolore alla gamba, che non aveva notato finché ascoltava Crouch, tornò vivissimo. Si accorse che stava tre-mando. Silente lo afferrò per un braccio e lo sostenne lungo il corridoio buio.

«Voglio che tu venga nel mio ufficio, Harry» disse piano, mentre risalivano il corridoio. «Sirius ci sta aspettando». Harry annuì. Si sentiva oppresso da una sorta di stordimento e da un senso di totale irrealtà, ma non gl'importava; ne era perfino contento. Non voleva dover pensare a nulla di ciò che era successo da quando aveva toccato la Coppa Tremaghi per la prima volta. Non voleva dover passare in rassegna i ricordi, freschi e nitidi come fotografie, che continuavano a lampeggiare nella sua mente. Malocchio Moody dentro il baule. Codaliscia, accasciato a terra, che si reggeva il moncherino. Voldemort che sorgeva tra i vapori del calderone. Cedric... morto... Cedric, che gli chiedeva di riportarlo dai suoi genitori...

«Professore» sussurrò Harry, «dove sono il signore e la signora Diggory?»

«Sono con la professoressa Sprite» rispose Silente. La sua voce, che era rimasta così calma per tutto il tempo dell'interrogatorio di Barty Crouch, per la prima volta s'incrinò. «È la direttrice della Casa di Cedric, e lo conosceva meglio di tutti». Erano arrivati davanti al gargoyle di pietra. Silente pronunciò la parola d'ordine, la statua balzò di lato, e lui e Harry si lasciarono trasportare dalla scala a chiocciola fino alla porta di quercia. Silente l'aprì. Dentro c'era Sirius. Aveva il volto pallido ed emaciato come quando era fuggito da Azkaban. Con un rapido movimento attraversò la stanza.

«Harry, stai bene? Lo sapevo... sapevo che qualcosa del genere... che cosa è successo?»

Gli tremavano le mani mentre aiutava Harry a sistemarsi su una sedia davanti alla scrivania e prendeva posto accanto a lui.

«Che cosa è successo?» incalzò.

Silente cominciò a raccontargli tutto ciò che aveva detto Barty Crouch. Harry ascoltava solo a metà. Era tanto stanco che aveva male dappertutto, e voleva solo restare lì seduto, tranquillo, per ore e ore, fino ad addormentarsi e non dover pensare o sentire più niente. Si udì un morbido frullo d'ali. Fanny la fenice si librò dal trespolo, attraversò in volo l'ufficio e atterrò sul ginocchio di Harry.

«Ciao, Fanny» disse piano Harry, accarezzando le belle piume dorate e scarlatte. Fanny strinse placidamente gli occhi. C'era qualcosa di confortante nel suo peso caldo. Silente aveva smesso di parlare. Sedette di fronte a Harry, dietro la scrivania. Lo guardò, e lui evitò il suo sguardo. Silente stava per interrogarlo. Stava per fargli rivivere tutto quanto.

«Devo sapere che cos'è successo dopo che hai toccato la Passaporta nel labirinto, Harry» disse Silente.

«Possiamo aspettare domattina, vero, Silente?» intervenne Sirius con voce roca. Posò una mano sulla spalla di Harry. «Lascialo dormire. Lascialo riposare». Harry provò un moto di gratitudine per Sirius, ma Silente non fece caso a quello che aveva detto. Si protese verso Harry. Con profonda riluttanza, Harry alzò la testa, e guardò quegli occhi azzurri.

«Se pensassi di poterti aiutare» disse Silente con dolcezza, «facendo scendere su di te un sonno incantato, e permettendoti di posticipare il momento di ripensare a ciò che è accaduto stanotte, lo farei. Ma so quello che faccio. Attenuare il dolore per un po' lo renderà più acuto quando alla fine lo sentirai. Ti sei dimostrato coraggioso ben al di là di quanto mi sarei aspettato da te. Ti chiedo di dimostrare il tuo coraggio ancora una volta. Ti chiedo di raccontarci cos'è successo».

La fenice emise un verso dolce e tremulo. Vibrò nell'aria, e Harry avvertì come una goccia di liquido bollente scorrergli dalla gola allo stomaco, riscaldandolo e dandogli forza.

Respirò profondamente e cominciò a raccontare. Mentre parlava, le immagini di tutto ciò che era accaduto quella notte parvero levarsi davanti ai suoi occhi: vide la superficie scintillante della pozione che aveva fatto risorgere Voldemort, vide i Mangiamorte Materializzarsi tra le tombe, vide il corpo di Cedric disteso a terra accanto alla Coppa.

Una o due volte, sembrò che Sirius fosse sul punto di parlare, stringendo la spalla di Harry, ma Silente glielo impedì con un cenno. Harry ne fu felice, perché era più facile andare avanti ora che aveva cominciato. Fu perfino un sollievo, come se qualcosa di velenoso gli venisse sottratto. Continuare a parlare gli costò ogni briciola di determinazione che possedeva, ma capiva che una volta finito si sarebbe sentito meglio.

Quando Harry disse che Codaliscia lo aveva ferito al braccio col pugnale, comunque, Sirius reagì con veemenza; e Silente si alzò così in fretta che Harry sobbalzò: fece il giro della scrivania e chiese a Harry di tendere il braccio. Harry mostrò a entrambi il punto in cui la veste era strappata e il taglio sotto la stoffa.

«Ha detto che il mio sangue lo avrebbe rafforzato più di quello di chiun-que altro» disse Harry. «Ha detto che la protezione che mia... mia madre aveva lasciato su di me... che si sarebbe preso anche quella. E aveva ragione: è riuscito a toccarmi senza farsi del male, mi ha toccato la faccia». Per un rapido istante, Harry credette di aver visto qualcosa di simile a un lampo di trionfo negli occhi di Silente. Ma un attimo dopo fu certo di averlo solo immaginato, perché quando Silente tornò al suo posto, era più vecchio e stanco che mai.

«Molto bene» disse, sedendo di nuovo. «Voldemort ha superato quel particolare ostacolo. Harry, vai avanti, ti prego».

Harry riprese; spiegò come Voldemort era sorto dal calderone e riferì

tutto ciò che ricordava del discorso di Voldemort ai Mangiamorte. Poi raccontò come lo aveva slegato, gli aveva restituito la bacchetta e si era preparato al duello. Ma quando giunse al punto in cui il raggio di luce d'oro aveva unito la sua bacchetta a quella di Voldemort, si ritrovò con la gola bloccata. Cercò

di continuare a parlare, ma il ricordo di ciò che era scaturito dalla bacchetta di Voldemort gli invase la mente. Vide Cedric, vide il vecchio, Bertha Jorkins... sua madre... suo padre...

Fu contento quando Sirius ruppe il silenzio.

«Le bacchette si sono unite?» chiese, guardando Harry e poi Silente.

«Perché?»

«Prior Incantatio» mormorò Silente, con aria assorta.

I suoi occhi fissarono quelli di Harry e fu come se una scintilla scoccasse fra di loro.

«L'Incantesimo Reversus?» disse Sirius bruscamente.

«Proprio così» rispose Silente. «La bacchetta di Harry e quella di Voldemort hanno la stessa anima. Entrambe contengono una piuma della coda della stessa fenice. Di questa fenice, in effetti» aggiunse, indicando l'uccello oro e scarlatto appollaiato tranquillo sul ginocchio di Harry.

«La piuma che c'è dentro la mia bacchetta è di Fanny?» domandò Harry, sbalordito.

«Sì» rispose Silente. «Il signor Ollivander mi ha scritto per dirmi che avevi comprato la seconda bacchetta nell'istante in cui sei uscito dal suo negozio quattro anni fa».

«E che cosa succede quando una bacchetta incontra sua sorella?» chiese Sirius.

«Non funzionano correttamente l'una contro l'altra» rispose Silente. «E

se i loro proprietari costringono le bacchette a scontrarsi... si verifica un ef-fetto molto raro.

«Una delle bacchette costringe l'altra a emettere gli incantesimi che ha operato - al contrario. Prima il più recente... e poi quelli che l'hanno preceduto...»

Rivolse a Harry uno sguardo interrogativo, e Harry annuì.

«Il che significa» disse Silente lentamente, gli occhi fissi sul volto di Harry, «che Cedric dev'essere riapparso sotto qualche forma». Harry annuì di nuovo.

«Diggory è tornato in vita?» chiese Sirius seccamente.

«Non esiste incantesimo che possa ridestare i morti» rispose Silente con gravità. «Tutto quello che può essersi verificato è una sorta di eco. Un'ombra del Cedric vivente che affiora dalla bacchetta... dico bene, Harry?»

«Mi ha parlato» rispose Harry. Che all'improvviso tremava di nuovo.

«Il... il fantasma di Cedric, o quello che era, ha parlato».

«Un'eco» disse Silente, «che ha mantenuto l'aspetto e il carattere di Cedric. Immagino che siano apparse altre forme del genere... vittime meno recenti della bacchetta di Voldemort...»

«Un vecchio» disse Harry, la gola ancora serrata. «Bertha Jorkins. E...»

«I tuoi genitori?» chiese piano Silente.

«Si».

La stretta di Sirius sulla spalla di Harry si fece così forte da fargli male.

«Gli ultimi omicidi compiuti dalla bacchetta» disse Silente annuendo.

«In ordine inverso. Ne sarebbero comparsi altri, naturalmente, se tu avessi mantenuto il contatto. Allora, Harry, questi echi, queste ombre... che cos'hanno fatto?»

Harry raccontò come le sagome spuntate dalla bacchetta si erano spinte al limitare della rete d'oro, come Voldemort sembrava averne paura, come l'ombra di suo padre gli aveva detto cosa fare, e quella di Cedric aveva espresso il suo ultimo desiderio. A quel punto, Harry scoprì di non poter continuare. Cercò lo sguardo di Sirius, e vide che aveva il viso nascosto tra le mani.

Si accorse all'improvviso che Fanny non era più sul suo ginocchio. La fenice si era posata a terra. La bella testa indugiò contro la gamba di Harry, e grosse lacrime simili a perle stillarono dagli occhi sulla ferita inflitta dal ragno. Il dolore svanì. La pelle guarì. La gamba tornò sana.

«Lo dirò ancora» disse Silente, mentre la fenice spiccava il volo e si posava di nuovo sul trespolo vicino alla porta. «Questa notte hai dato prova di un coraggio ben superiore a quanto mi sarei aspettato da te, Harry. Hai dimostrato un coraggio pari a quello di coloro che sono morti combattendo Voldemort al massimo del suo potere. Ti sei fatto carico della responsabilità di un mago adulto e ti sei scoperto pari a lui - e ora ci hai dato ciò che abbiamo il diritto di aspettarci. Vieni con me in infermeria. Non voglio che torni in dormitorio stanotte. Una Pozione Sonnifera, e un po' di pace... Sirius, ti andrebbe di restare con lui?»

Sirius annuì. Si trasformò di nuovo nel grosso cane nero e uscì dall'ufficio con Harry e Silente, scortandoli giù per una rampa di scale verso l'infermeria. Quando Silente aprì la porta, Harry vide la signora Weasley, Bill, Ron e Hermione riuniti attorno a una Madama Chips dall'aria infastidita. A quanto pareva, volevano sapere da lei dov'era Harry e che cosa gli era successo. Tutti quanti si voltarono di scatto all'ingresso di Harry, Silente e del cane nero, e la signora Weasley si lasciò sfuggire un grido soffocato. «Harry!

Oh, Harry!»

Fece per correre da lui, ma Silente si frappose tra i due.

«Molly» disse, con una mano alzata, «ti prego, ascoltami un attimo. Harry questa notte ha vissuto esperienze terribili. Ha appena dovuto riviverle per me. Ora ha solo bisogno di sonno, pace e tranquillità. Se desidera che tutti voi restiate con lui» aggiunse, guardando Ron, Hermione e anche Bill, «potete farlo. Ma non voglio che gli facciate domande finché non sarà

pronto a rispondere, e certo non stasera».

La signora Weasley annuì. Era molto pallida.

Si voltò verso Ron, Hermione e Bill come se stessero facendo baccano e sibilò: «Sentito? Ha bisogno di calma!»

«Preside» disse Madama Chips, fissando il cane nero, «posso chiedere che cosa...?»

«Questo cane rimarrà con Harry per un po'» si limitò a dire Silente. «Le garantisco che è molto beneducato. Harry... aspetterò che tu vada a letto». Harry provò per Silente un moto inesprimibile di gratitudine per aver chiesto agli altri di non fargli domande. Non perché non li volesse lì, ma il pensiero di rispiegare tutto, l'idea di riviverlo un'altra volta era più di quanto potesse sopportare.

«Tornerò a trovarti non appena avrò visto Caramell, Harry» disse Silente. «Vorrei che tu rimanessi qui domani, finché non avrò parlato alla scuola». E uscì. Mentre Madama Chips lo accompagnava a un letto vicino, Harry vide il vero Moody disteso immobile all'estremità della stanza. La gamba di legno e l'occhio magico erano posati sul comodino.

«Sta bene?» chiese Harry.

«Si rimetterà» disse Madama Chips. Diede a Harry un pigiama e tirò le tende. Lui si svestì, s'infilò il pigiama e andò a letto. Ron, Hermione, Bill, la signora Weasley e il cane nero spostarono le tende e sedettero al suo fianco. Ron e Hermione lo fissavano quasi guardinghi, come se avessero paura di lui.

«Sto bene» disse loro. «Sono solo stanco».

Gli occhi della signora Weasley si riempirono di lacrime mentre lisciava senza motivo il copriletto.

Madama Chips, che era sparita alla volta del suo ufficio, tornò con un calice e vi versò una pozione viola da una bottiglietta.

«Devi berla tutta, Harry» disse. «È una pozione che assicura un sonno senza sogni».

Harry prese il calice e bevve qualche sorsata. Gli venne subito sonno. Tutto attorno a lui divenne sfuocato: sembrava che le lampade dell'infermeria ammiccassero attraverso le tende, sembrava che il suo corpo affondasse sempre più giù nel calore del materasso di piuma. Prima ancora di finire la pozione, prima di poter dire un'altra parola, la stanchezza lo fece sprofondare nel sonno.

*

Harry si svegliò così caldo e sonnolento che non aprì gli occhi: voleva riaddormentarsi subito. La stanza era ancora illuminata fiocamente. Doveva essere ancora notte, e aveva l'impressione di non aver dormito molto. Poi udì dei sussurri attorno a lui.

«Lo sveglieranno se non stanno zitti!»

«Perché urlano? Non può essere successo qualcos'altro, vero?»

Hany aprì gli occhi e vide tutto velato. Qualcuno gli aveva tolto gli occhiali. Distinse la sagoma confusa della signora Weasley e di Bill molto vicino a lui. La signora Weasley era in piedi.

«È la voce di Caramell» mormorò. «E questa è Minerva McGranitt, vero? Ma perché litigano?»

Ora anche Harry riusciva a sentirli: gente che gridava e correva verso l'infermeria.

«Increscioso, ma comunque, Minerva...» stava dicendo Cornelius Caramell ad alta voce.

«Non avresti mai dovuto portarlo nel castello!» urlò la McGranitt.

«Quando lo scoprirà Silente...»

Harry udì spalancarsi le porte dell'infermeria. Senza che nessuno di quelli che si trovavano attorno al suo letto se ne accorgesse, Harry si alzò a sedere e inforcò gli occhiali.

Caramell entrò a grandi passi. La professoressa McGranitt e Piton lo seguivano da vicino.

«Dov'è Silente?» chiese Caramell alla signora Weasley.

«Non è qui» rispose lei seccamente. «Questa è un'infermeria, Ministro. Non crede che farebbe meglio a...»

Ma la porta si aprì e Silente avanzò lungo la corsia.

«Che cos'è successo?» chiese in tono brusco, spostando lo sguardo da Caramell alla professoressa McGranitt. «Perché disturbate queste persone?

Minerva, mi meraviglio di te... ti avevo chiesto di fare la guardia a Barty Crouch...»

«Non c'è più bisogno di fargli la guardia, Silente!» strillò lei. «Ha provveduto il Ministro!»

Harry non aveva mai visto la professoressa McGranitt perdere il controllo a quel modo. Aveva le guance chiazzate di rosso e le mani strette a pugno; tremava dalla rabbia.

«Quando abbiamo detto al signor Caramell che avevamo catturato il Mangiamorte responsabile dei fatti di questa sera» disse Piton a bassa voce, «è stato come se fosse a rischio la sua sicurezza personale. Ha insistito per convocare un Dissennatore che lo scortasse dentro il castello. L'ha condotto su nell'ufficio dove Barty Crouch...»

«Io gliel'ho detto che lei non sarebbe stato d'accordo, Silente!» sbottò la professoressa McGranitt. «Gli ho detto che non avrebbe mai permesso a un Dissennatore di mettere piede nel castello, ma...»

«Mia cara signora!» ruggì Caramell, anche lui arrabbiato come Harry non lo aveva mai visto. «In qualità di Ministro della Magia, spetta a me decidere se desidero portare con me una scorta quando interrogo un elemento potenzialmente pericoloso...»

Ma la voce della professoressa McGranitt sovrastò quella di Caramell.

«Nell'istante in cui quel... quella cosa è entrata nella stanza» urlò puntando il dito verso Caramell e tremando tutta, «si è gettata su Crouch e... e...»

Harry provò una sensazione di gelo allo stomaco mentre la professoressa McGranitt si sforzava di trovare le parole per descrivere ciò che era suc-cesso. Non dovette finire la frase. Lui sapeva che cosa doveva aver fatto il Dissennatore. Aveva dato il suo bacio fatale a Barty Crouch. Gli aveva risucchiato l'anima dalla bocca. Era peggio che morto.

«Comunque, non è una gran perdita!» inveì Caramell. «Pare che sia responsabile di parecchie morti!»

«Ma ora non può testimoniare, Cornelius» disse Silente. Fissava Caramell con insistenza, come se lo vedesse chiaramente per la prima volta.

«Non può spiegare il motivo per cui ha ucciso quelle persone».

«Perché le ha uccise? Be', non è certo un mistero, o forse sì?» sbottò Caramell. «Era un pazzo furioso! Da ciò che mi hanno raccontato Minerva e Severus, era convinto di aver agito per ordine di Voi-Sapete-Chi!»

«Voldemort gli ha dato davvero degli ordini, Cornelius» disse Silente.

«La morte di quelle persone è stata solo la conseguenza di un piano per restituire a Voldemort tutto il suo potere. Il piano è riuscito. Voldemort ha riavuto il suo corpo»,

Fu come se qualcuno avesse colpito Caramell in pieno viso con qualcosa di pesante. Stordito, sbattendo le palpebre, guardò Silente come se non riuscisse a credere a ciò che aveva appena sentito.

«Tu-Sai-Chi... di ritorno? Assurdo. Andiamo, Silente...» farfugliò.

«Come certo Minerva e Piton ti avranno detto» disse Silente, «abbiamo ascoltato la confessione di Barty Crouch. Sotto l'effetto del Veritaserum, ci ha raccontato come fu fatto uscire in segreto da Azkaban, e come Voldemort - dopo aver appreso da Bertha Jorkins che era ancora vivo - venne a liberarlo da suo padre e lo usò per catturare Harry. Il piano ha funzionato, ti dico. Crouch ha aiutato Voldemort a tornare».

«Senti, Silente» disse Caramell, e Harry rimase sbalordito vedendogli spuntare un sorrisetto, «tu... non puoi crederci veramente. Tu-Sai-Chi... di ritorno? Andiamo, andiamo... certo Crouch può aver creduto di agire per ordine di Tu-Sai-Chi... ma prendere sul serio la parola di un pazzo del genere, Silente...»

«Quando Harry stasera ha toccato la Coppa Tremaghi, è stato trasportato diritto da Voldemort» disse Silente deciso. «Ha assistito alla rinascita di Voldemort. Ti spiegherò tutto nel mio ufficio».

Poi cercò Harry con lo sguardo e vide che era sveglio, ma scosse il capo e disse: «Temo di non poterti permettere di interrogare Harry stanotte». Quel bizzarro sorriso indugiò sulle labbra di Caramell. Guardò Harry, poi tornò a fissare Silente e disse: «Tu sei... ehm... disposto a credere alla parola di Harry, vero, Silente?»

Ci fu un istante di silenzio, interrotto dal ringhio di Sirius. I peli del collo erano ritti, e scopriva i denti contro Caramell.

«Certo che credo a Harry» disse Silente. Ora i suoi occhi dardeggiavano.

«Ho ascoltato la confessione di Crouch, e ho sentito il resoconto di Harry: le due storie collimano e spiegano tutto ciò che è successo dopo che Bertha Jorkins è scomparsa l'estate scorsa».

Caramell aveva ancora quello strano sorriso. Di nuovo scoccò un'occhiata a Harry prima di replicare: «Sei disposto a credere che Voldemort sia tornato fidandoti della parola di un pazzo assassino e di un ragazzo che... be'...»

Caramell guardò ancora Harry che all'improvviso capì.

«Lei ha letto gli articoli di Rita Skeeter, signor Caramell» disse piano. Ron, Hermione, la signora Weasley e Bill sobbalzarono. Nessuno di loro si era accorto che Harry era sveglio.

Caramell arrossi un po', ma assunse un cipiglio caparbio e insolente.

«E allora?» disse, guardando Silente. «E se avessi scoperto che hai taciuto certi fatti riguardanti il ragazzo? Parla Serpentese, eh? E ha degli strani attacchi ovunque si trovi...»

«Suppongo che tu ti riferisca al dolore che Harry prova alla cicatrice»

disse Silente imperturbabile.

«Allora ammetti che quei dolori li ha avuti e li ha?» disse Caramell in fretta. «Mal di testa? Incubi? Magari... allucinazioni?»

«Ascoltami, Cornelius» disse Silente, facendo un passo verso Caramell, e ancora una volta parve emanare quell'indefinibile aura di potere che Harry aveva avvertito dopo che aveva stordito il giovane Crouch. «Harry è

sano quanto te e me. Quella cicatrice che porta sulla fronte non ha danneggiato il suo cervello. Credo che gli faccia male quando Voldemort è vicino, o si sente particolarmente in vena di uccidere».

Caramell fece un passo indietro, ma non parve meno ostinato. «Mi perdonerai, Silente, ma ho già sentito parlare di una cicatrice da maledizione che si comporta come un campanello d'allarme...»

«Senta, io ho visto Voldemort tornare!» gridò Harry. Cercò di scendere dal letto, ma la signora Weasley lo trattenne. «Ho visto i Mangiamorte!

Posso dirvi i loro nomi! Lucius Malfoy...»

Piton fece un movimento improvviso, ma mentre Harry lo guardava, i suoi occhi tornarono su Caramell.

«Malfoy è stato scagionato!» esclamò Caramell, visibilmente offeso.

«Una famiglia molto antica... donazioni per iniziative eccellenti...»

«Macnair!» continuò Harry.

«Scagionato anche lui! Ora lavora per il Ministero!»

«Avery... Nott... Tiger... Goyle...»

«Stai solo ripetendo i nomi di coloro che furono accusati di essere Mangiamorte tredici anni fa!» esclamò Caramell irato. «Puoi benissimo aver letto quei nomi nelle vecchie cronache dei processi! Per l'amor del cielo, Silente, il ragazzo ci ha rifilato una storia pazzesca anche alla fine dell'anno scorso, le sue frottole stanno diventando sempre più colossali, e tu le bevi ancora! Il ragazzo sa parlare con i serpenti, Silente, e tu credi ancora che sia degno di fiducia?»

«Idiota!» urlò la professoressa McGranitt. «Cedric Diggory! Crouch! La loro morte non è stata l'opera casuale di un pazzo!»

«Non vedo alcuna prova del contrario!» urlò Caramell con uguale rabbia, paonazzo in volto. «A me pare che siate tutti decisi a diffondere un'ondata di terrore che metterà in serio pericolo tutto ciò per cui abbiamo lavorato in questi tredici anni!»

Harry non riusciva a credere alle sue orecchie. Aveva sempre pensato a Caramell come a un uomo gentile, un po' chiassoso, un po' pomposo, ma fondamentalmente buono. E ora davanti a lui c'era un piccolo mago iroso, che si rifiutava categoricamente di accettare l'idea che il suo comodo mondo tranquillo potesse venire turbato... che si rifiutava di credere che Voldemort potesse essere risorto.

«Voldemort è tornato» ripeté Silente, «Se accetti immediatamente questo fatto, Caramell, e prendi i provvedimenti necessari, può darsi che siamo ancora in tempo a salvare la situazione. Il primo passo, il più importante, è sottrarre Azkaban al controllo dei Dissennatori...»

«Assurdo!» urlò di nuovo Caramell. «Destituire i Dissennatori! Mi caccerebbero via solo per averlo suggerito! Metà di noi dormono sonni tranquilli solo perché sanno che i Dissennatori fanno la guardia ad Azkaban!»

«Tutti gli altri dormono sonni meno tranquilli, Cornelius, sapendo che hai affidato i più pericolosi seguaci di Voldemort alla sorveglianza di creature che si uniranno a lui nell'istante in cui lui glielo chiederà!» disse Silente. «Non rimarranno fedeli a te, Caramell! Voldemort può offrire loro molte più opportunità di te, la possibilità di esercitare il loro potere e di divertirsi! Con i Dissennatori dalla sua, e l'appoggio dei suoi vecchi sostenitori, farai molta fatica a impedirgli di riconquistare il potere che aveva tredici anni fa!»

Caramell apriva e chiudeva la bocca come se le parole non riuscissero a esprimere la sua indignazione.

«La seconda misura che devi prendere, e subito» lo incalzò Silente, «è

mandare messaggeri ai giganti».

«Messaggeri ai giganti?» strillò Caramell, ritrovando la favella. «Che follia è questa?»

«Tendi loro la mano dell'amicizia, ora, prima che sia troppo tardi» disse Silente, «o Voldemort li convincerà, come ha fatto in passato, che lui solo tra i maghi potrà restituire loro diritti e libertà!»

«Tu... non puoi parlare seriamente!» esclamò Caramell con voce soffocata, scuotendo la testa e arretrando ancora da Silente «Se la comunità magica avesse sentore del fatto che ho avvicinato i giganti... la gente li odia, Silente... la fine della mia carriera...»

«Sei accecato» disse Silente alzando la voce, l'aura di potere palpabile attorno a lui, gli occhi dardeggianti, «dall'amore per la poltrona che occupi, Cornelius! Dai troppa importanza, come hai sempre fatto, alla cosiddetta purezza di sangue! Non riesci a vedere che non è importante ciò che si è

alla nascita, ma ciò che si diventa! Il tuo Dissennatore ha appena distrutto l'ultimo membro di una famiglia di sangue purissimo e quanto mai antica - e guarda che cos'ha scelto di fare quell'uomo della sua vita! Te lo dico ora: prendi i provvedimenti che ti ho suggerito, e verrai ricordato come uno dei più grandi e coraggiosi Ministri della Magia che abbiamo mai avuto. Scegli di non agire, e la storia ti ricorderà come l'uomo che si è fatto da parte, quello che ha concesso a Voldemort una seconda possibilità di distruggere il mondo che abbiamo cercato di ricostruire!»

«Follia» borbottò Caramell, indietreggiando ancora. «È pazzo...»

E poi calò il silenzio. Madama Chips era immobile ai piedi del letto, le mani sulla bocca. La signora Weasley era ancora accanto a Harry, la mano posata sulla sua spalla per impedirgli di alzarsi. Bill, Ron e Hermione fissavano Caramell, sbalorditi.

«Se la tua ostinazione nel chiudere gli occhi ti conduce a questo, Cornelius» rispose Silente, «allora qui le nostre strade si dividono. Devi comportarti come ritieni giusto. E io... io mi comporterò come ritengo giusto». 602

La voce di Silente non aveva alcun cenno di minaccia, suonava come una pura constatazione, ma Caramell s'irrigidì come se Silente avanzasse verso di lui con la bacchetta sfoderata.

«Ora, senti un po', Silente» disse, agitando un dito minaccioso. «Ti ho lasciato carta bianca, sempre. Ho nutrito molto rispetto per te. Posso anche non essermi trovato d'accordo con alcune tue decisioni, ma sono stato generoso. Non sono molti coloro che ti avrebbero permesso di assumere lupi mannari, o di tenere Hagrid, o di decidere cosa insegnare ai tuoi studenti senza risponderne al Ministero. Ma se hai intenzione di agire contro di me...»

«Il solo contro cui intendo agire» lo interruppe Silente, «è Voldemort. Se sei contro di lui, Cornelius, allora restiamo dalla stessa parte». A questo, Caramell parve non trovare risposta. Oscillò avanti e indietro sui piccoli piedi per un attimo, rigirando la bombetta tra le mani. Alla fine, con un cenno di supplica nella voce, disse: «Non può essere tornato, Silente, non è possibile...»

Piton si fece avanti e superò Silente, sollevando la manica della veste. Tese l'avambraccio e lo mostrò a Caramell, che si ritrasse.

«Ecco» disse Piton con voce roca. «Ecco. Il Marchio Nero. Non è netto come un'ora fa, quando è diventato scuro, ma si vede ancora. Ogni Mangiamorte è stato marchiato a fuoco così dal Signore Oscuro. Era un modo per riconoscerci, e per convocarci a lui. Quando lui toccava il Marchio di qualunque Mangiamorte, dovevamo Smaterializzarci, e Materializzarci immediatamente al suo fianco. È dall'inizio dell'anno che questo Marchio ha cominciato a diventare più evidente. Anche quello di Karkaroff. Perché

crede che Karkaroff sia fuggito stanotte? Abbiamo sentito entrambi il marchio bruciare. Abbiamo capito entrambi che era tornato. Karkaroff teme la vendetta del Signore Oscuro. Ha tradito troppi dei suoi vecchi compagni per essere certo di essere il benvenuto».

Caramell si allontanò anche da Piton. Scosse la testa. Pareva che non avesse capito una parola di quello che Piton aveva detto. Fissò, apparentemente disgustato, l'orrendo marchio sul braccio di Piton, poi alzò gli occhi verso Silente e sussurrò: «Non so a che cosa state giocando tu e i tuoi colleghi, Silente, ma ne ho abbastanza. Non ho altro da aggiungere. Mi metterò in contatto con te domani, per discutere la gestione di questa scuola. Ora devo tornare al Ministero».

Era quasi alla porta quando si fermò. Si voltò, ripercorse la corsia e si fermò davanti al letto di Harry.

«La tua vincita» disse asciutto, estrasse un sacchetto gonfio dalla tasca e lo lasciò cadere sul comodino di Harry. «Mille galeoni. Doveva esserci una cerimonia di consegna, ma date le circostanze...»

Si premette la bombetta in testa e uscì dalla stanza, sbattendo la porta. Non appena se ne fu andato, Silente si rivolse al gruppo che attorniava il letto di Harry.

«C'è del lavoro da fare» disse. «Molly... ho ragione di credere di poter contare su di te e su Arthur?»

«Ma cerco» rispose la signora Weasley. Era pallidissima, ma decisa.

«Lui sa com'è fatto Caramell. È solo per passione per i Babbani che Arthur è rimasto al Ministero per tutti questi anni. Caramell è convinto che ad Arthur manchi il doveroso orgoglio di mago».

«Allora ho bisogno di mandargli un messaggio» disse Silente. «Tutti coloro che riusciamo a convincere della verità devono essere avvertiti immediatamente, e Arthur è in una buona posizione per avvicinare i membri del Ministero che non sono miopi come Cornelius».

«Vado io da papà» disse Bill, alzandosi. «Ci vado subito».

«Ottimo» disse Silente. «Raccontagli cos'è successo. Digli che fra breve mi metterò direttamente in contatto con lui. Dovrà comportarsi con discrezione, però. Se Caramell pensasse che interferisco...»

«Lasci fare a me» disse Bill.

Batté una mano sulla spalla di Harry, baciò sua madre sulla guancia, s'infilò il mantello e uscì rapido dalla stanza.

«Minerva» disse Silente, rivolto alla professoressa McGranitt, «voglio vedere Hagrid nel mio ufficio il più presto possibile. E anche - se acconsente a venire - Madame Maxime». La professoressa McGranitt annuì, e uscì senza una parola.

«Poppy» disse Silente a Madama Chips, «saresti così gentile da scendere nell'ufficio del professor Moody? Credo che troverai un'elfa domestica di nome Winky in uno stato di profonda prostrazione. Fai quello che puoi per lei, e riaccompagnala in cucina. Credo che Dobby si occuperà di lei».

«Molto... molto bene» disse Madama Chips allarmata, e uscì. Silente si assicurò che la porta fosse chiusa, e che i passi di Madama Chips si fossero spenti, prima di parlare di nuovo.

«E ora» disse «è venuto il momento che due di noi si riconoscano per ciò che sono. Sirius... ti prego di riprendere il tuo solito aspetto». Il grosso cane nero guardò Silente, poi, in un attimo, si trasformò in un uomo.

La signora Weasley urlò e fece un balzo indietro.

«Sirius Black!»

«Mamma, zitta!» gridò Ron. «È un amico!»

Piton non aveva urlato né si era ritratto, ma aveva un'espressione di rabbia mista a terrore.

«Lui!» ringhiò, fissando Sirius, il cui volto esprimeva altrettanto disgusto. «Che cosa ci fa qui?»

«È qui dietro mio invito» spiegò Silente, spostando lo sguardo dall'uno all'altro, «come te, Severus. Ho fiducia in tutti e due. È ora che mettiate da parte i vecchi dissapori e vi fidiate l'uno dell'altro». Per Harry, Silente chiedeva quasi un miracolo. Sirius e Piton si squadravano con il più profondo disprezzo.

«Per il momento, mi basterà» disse Silente con un filo d'impazienza

«che evitiate ogni aperta ostilità. Stringetevi la mano. Ora state dalla stessa parte. Abbiamo poco tempo, e se i pochi che sanno la verità non restano uniti, non c'è speranza per nessuno di noi».

Molto lentamente - ma senza smettere di scrutarsi torvi, come se ognuno augurasse all'altro ogni male - Sirius e Piton avanzarono e si strinsero la mano. Si separarono molto in fretta.

«Per andare avanti questo basterà» disse Silente, e si mise di nuovo tra i due. «Ora ho un compito per entrambi. L'atteggiamento di Caramell, anche se non giunge inaspettato, cambia tutto. Sirius, ho bisogno che tu parta subito. Devi avvertire Remus Lupin, Arabella Figg, Mundungus Fletcher - il vecchio gruppo. Nasconditi da Lupin per un po', ti cercherò lì».

«Ma...» intervenne Harry.

Voleva che Sirius restasse. Non voleva dirgli di nuovo addio così presto.

«Mi rivedrai molto presto, Harry» gli disse Sirius. «Te lo prometto. Ma devo fare quello che posso, capisci, vero?»

«Sì» disse Harry. «Sì... certo che capisco».

Sirius gli afferrò la mano, fece un cenno a Silente, si trasformò di nuovo nel cane nero e con un balzo fu alla porta. Abbassò la maniglia con una zampa. Poi sparì.

«Severus» disse Silente rivolto a Piton, «sai che cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto... se sei in grado...»

«Lo sono» disse Piton.

Era un po' più pallido del solito e i suoi freddi occhi neri erano animati da uno strano scintillio.

«Allora, buona fortuna» disse Silente, e con una traccia di preoccupazione sul viso guardò Piton scomparire silenziosamente. Passarono parecchi minuti prima che Silente parlasse di nuovo.

«Devo andare giù» disse alla fine. «Devo vedere i Diggory. Harry... prendi il resto della pozione. Vi rivedrò tutti più tardi». Harry ricadde sui cuscini. Hermione, Ron e la signora Weasley lo guar-davano. Nessuno di loro parlò per parecchio tempo.

«Devi bere il resto della pozione, Harry» disse infine la signora Weasley. Nel prendere la bottiglietta e il calice sfiorò con la mano il sacco pieno d'oro sul comodino. «Dormi. Cerca di pensare a qualcos'altro per un po'... pensa a quello che comprerai con la tua vincita!»

«Non voglio quell'oro» disse Harry con voce inespressiva. «Prendetelo voi. Chiunque può prenderlo. Non avrei dovuto vincerlo. Doveva essere di Cedric».

Quello contro cui aveva lottato fin da quando era uscito dal labirinto minacciava ora di sopraffarlo. Avvertì un bruciore, come un solletico agli angoli interni degli occhi. Sbatté le palpebre e fissò il soffitto.

«Non è stata colpa tua, Harry» sussurrò la signora Weasley.

«Gli ho detto di prendere la Coppa insieme a me» disse Harry. Ora il bruciore gli aveva invaso anche la gola. Si augurò che Ron stesse guardando da un'altra parte.

La signora Weasley posò la pozione sul comodino, si chinò e circondò

Harry con le braccia. Lui non ricordava di essere mai stato abbracciato così, come da una mamma. Il pieno significato di tutto ciò che aveva visto quella notte sembrò precipitargli addosso mentre la signora Weasley lo stringeva a sé. Il viso di sua madre, la voce di suo padre, la vista di Cedric a terra, morto, tutto prese a vorticare nella sua testa, finché non contrasse il viso per cercare di opporsi al grido di dolore che lottava per uscire dalla sua gola.

Si udì un rumore di porte sbattute. La signora Weasley e Harry si separarono. Hermione era in piedi vicino alla finestra. Teneva qualcosa stretto in mano.

«Mi dispiace» mormorò.

«La tua pozione» disse in fretta la signora Weasley, asciugandosi gli occhi col dorso della mano. Harry la bevve in un sorso. L'effetto fu istantaneo. Onde pesanti e irresistibili di un sonno senza sogni gli si rovesciarono addosso. Ricadde nei cuscini, e non pensò più.

CAPITOLO 37

L'INIZIO

Ripensandoci, anche a un mese di distanza, Harry scoprì di ricordare molto poco dei giorni seguenti. Era come se ne avesse passate troppe per riuscire ad accettare altro. I ricordi che aveva erano molto dolorosi. Il peggiore, forse, fu l'incontro con i Diggory che ebbe luogo la mattina dopo. Non lo accusarono di quanto era accaduto; al contrario, lo ringraziarono per aver restituito loro il corpo di Cedric. Il signor Diggory fu scosso dai singhiozzi per gran parte dell'incontro. Il dolore della signora Diggory pareva al di là delle lacrime.

«Allora ha sofferto pochissimo» disse, quando Harry le ebbe raccontato com'era morto Cedric. «E dopotutto, Amos... è morto quando aveva appena vinto il Torneo. Doveva essere felice». Quando si furono alzati, guardò Harry e disse: «Adesso bada a te stesso». Harry afferrò il sacco dell'oro sul comodino.

«Prendete questo» le sussurrò. «Doveva essere di Cedric, è arrivato per primo, prendetelo...»

Ma lei indietreggiò. «Oh, no, è tuo, caro, non potremmo... tienilo tu».

*

La sera seguente Harry tornò alla Torre di Grifondoro. Da quanto gli avevano raccontato Ron e Hermione, Silente aveva parlato a tutta la scuola quella mattina a colazione. Aveva semplicemente chiesto che lasciassero in pace Harry, che nessuno gli facesse domande o insistesse per farsi raccontare ciò che era successo nel labirinto. Moltissimi, osservò Harry, lo scansavano nei corridoi evitando il suo sguardo. Alcuni sussurravano al suo passaggio, nascondendo la bocca con la mano. Immaginò che molti di loro avessero creduto all'articolo di Rita Skeeter su quanto fosse disturbato e potenzialmente pericoloso. Forse stavano elaborando le loro teorie sulla morte di Cedric. Scoprì che non gliene importava granché. La cosa migliore era stare con Ron e Hermione mentre loro parlavano di altre cose, oppure lo lasciavano star lì in silenzio mentre giocavano a scacchi. Era come se tutti e tre avessero stretto un patto che non aveva bisogno di parole. Ciascuno di loro era in attesa di un segnale, una parola su quanto stava succedendo al di fuori di Hogwarts, ed era inutile fare congetture finché non avessero saputo qualcosa di certo. L'unica volta che affrontarono l'argomento fu quando Ron disse a Harry dell'incontro che la signora Weasley aveva avuto con Silente appena prima di tornare a casa.

«È andata a chiedergli se quest'estate potevi venire subito da noi» disse.

«Ma lui vuole che tu torni dai Dursley, almeno per ora».

«Perché?» chiese Harry.

«Ha detto che Silente ha le sue buone ragioni» disse Ron, scuotendo la testa cupamente. «Immagino che dobbiamo avere fiducia in lui, no?»

A parte Ron e Hermione, l'unica persona con cui Harry riusciva a parlare era Hagrid. Dal momento che non c'era più un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, quelle ore di lezione erano rimaste vuote. Usarono quella del giovedì pomeriggio per andare a trovarlo alla sua capanna. Era una giornata limpida e soleggiata; Thor scattò fuori dalla porta aperta sentendoli avvicinarsi, abbaiando e scodinzolando come un matto.

«Chi è?» gridò Hagrid, avvicinandosi alla soglia. « Harry! »

Andò loro incontro, abbracciò forte Harry, gli spettinò i capelli e disse:

«È bello vederti, amico. È bello vederti».

Una volta entrati, videro due tazzine grandi come secchi con il loro piattino troneggiare sul tavolo di legno davanti al camino.

«Stavo bevendo una tazza con Olympe» disse Hagrid, «è appena andata via».

«Chi?» chiese Ron incuriosito.

«Madame Maxime, naturale!» rispose Hagrid.

«Voi due avete fatto la pace, vero?» disse Ron.

«Non so di cosa stai parlando» disse Hagrid in tono leggero, prendendo altre tazze dalla credenza. Quando ebbe preparato il tè ed ebbe offerto un vassoio di biscotti pastosi, si abbandonò contro lo schienale della sedia e osservò Harry da vicino con i suoi occhi nerissimi.

«Stai bene?» chiese con voce burbera.

«Sì» rispose Harry.

«No, non è vero» disse Hagrid. «Certo che no. Ma ti rimetterai». Harry tacque.

«Lo sapevo che tornava» disse Hagrid. Harry, Ron e Hermione lo guardarono spaventati. «Lo sapevo da anni, Harry. Lo sapevo che era là fuori ad aspettare l'occasione buona. Doveva succedere. Be', adesso è successo, e dobbiamo andare avanti. Combatteremo. Forse ce la facciamo a fermarlo in tempo. Questo è il piano di Silente, comunque. Grand'uomo, Silente. Finché abbiamo lui, non sono preoccupato».

Hagrid sollevò le sopracciglia cespugliose notando l'espressione incredula stampata sui volti dei tre amici.

«Non serve star qui a preoccuparsi» disse. «Quel che sarà sarà, e lo affronteremo quando è il momento. Silente mi ha detto quello che hai fatto, Harry».

Il petto di Hagrid si gonfiò mentre guardava Harry. «Hai fatto quello che avrebbe fatto tuo padre, e non c'è lode più grande di questa». Harry gli rispose con un sorriso. Era la prima volta da giorni che sorrideva.

«Che cosa ti ha chiesto di fare Silente, Hagrid?» gli chiese. «Ha mandato la professoressa McGranitt a chiedere a te e a Madame Maxime di incontrarlo... quella notte».

«Mi ha trovato un lavoretto per l'estate» disse Hagrid. «Segreto, però. Non dovrei parlarne, neanche con voi tre. Olympe... Madame Maxime forse viene con me. Credo che viene. Credo che l'ho convinta».

«Ha a che fare con Voldemort?»

Hagrid si ritrasse a sentir pronunciare quel nome.

«Può darsi» rispose evasivo. «Ora... volete venire con me a trovare l'ultimo Schiopodo? Stavo scherzando... stavo scherzando!» ripeté in fretta, guardando le loro facce.

*

Fu con il cuore oppresso che Harry preparò il baule la sera prima del suo ritorno a Privet Drive. Temeva il Banchetto d'Addio, che di solito era l'occasione per grandi festeggiamenti e il momento della proclamazione del vincitore della Coppa delle Case. Fin da quando era uscito dall'infermeria aveva evitato di entrare in Sala Grande quando era gremita, e aveva preferito mangiare quando era quasi vuota, per evitare gli sguardi dei suoi compagni. Quando lui, Ron e Hermione entrarono nella Sala, videro subito che mancavano le consuete decorazioni. La Sala Grande di solito era addobbata con i colori della casa vincitrice in occasione della festa di fine anno. Quella sera, invece, c'erano stendardi neri sulla parete dietro il tavolo degli insegnanti. Harry capì subito che erano lì in segno di rispetto per Cedric. Il vero Malocchio Moody era al tavolo degli insegnanti; la gamba di legno e l'occhio magico erano tornati al loro posto. Era estremamente nervoso, e sobbalzava tutte le volte che qualcuno gli rivolgeva la parola. Harry non poté biasimarlo: la sua paura di essere aggredito doveva essere ben aumentata in dieci mesi di prigionia nel proprio baule. La sedia del professor Karkaroff era vuota. Harry si chiese, mentre prendeva posto con gli altri di Grifondoro, dove si trovava in quel momento, e se Voldemort era riuscito a raggiungerlo.

Madame Maxime invece era lì. Era seduta vicino a Hagrid. Parlavano piano. Più in là, vicino alla professoressa McGranitt, c'era Piton. I suoi occhi indugiarono su Harry per un istante, mentre Harry ricambiava lo sguardo. La sua espressione era difficile da interpretare. Sembrava acido e sgradevole come sempre. Harry continuò a osservarlo anche dopo che lui ebbe distolto lo sguardo.

Che cos'era che Piton aveva fatto su ordine di Silente, la notte del ritorno di Voldemort? E perché... perché... Silente era così convinto che Piton fosse davvero dalla loro parte? Era la loro spia, l'aveva detto Silente nel Pensatoio. Piton era diventato una spia contro Voldemort, 'a suo rischio e pericolo'. Era quello il compito che si era assunto di nuovo? Aveva preso contatto con i Mangiamorte, forse? Aveva finto di non essere mai davvero passato dalla parte di Silente, di aver semplicemente, come Voldemort stesso, aspettato l'occasione propizia?

Fu Silente, alzandosi a porre fine alle riflessioni di Harry. La Sala Grande, che era già meno rumorosa di quanto non fosse di solito al Banchetto d'Addio, cadde nel silenzio.

«Siamo alla fine» esordì Silente, facendo scorrere lo sguardo su tutti loro

«di un altro anno».

Fece una pausa, e i suoi occhi si posarono sul tavolo di Tassorosso. Il loro era il tavolo più taciturno già da prima che Silente si alzasse, e i loro volti erano anche i più tristi e pallidi della Sala.

«Ci sono molte cose che vorrei dire a tutti voi stasera» disse Silente,

«ma prima di tutto devo ricordare la perdita di una persona molto bella, che dovrebbe essere seduta qui» - e fece un gesto verso il tavolo di Tassorosso - «a godersi il Banchetto con noi. Vorrei che tutti voi, per favore, vi alzaste e brindaste a Cedric Diggory».

Obbedirono tutti; le panche grattarono per terra mentre tutti in Sala si alzavano e levavano i calici e ripetevano, in un solo, cupo rombo: «A Cedric Diggory».

Harry intravide Cho tra la folla. Le lacrime le rigavano il viso. Fissò il tavolo mentre tutti tornavano a sedere.

«Cedric era una persona che riuniva in sé molte delle qualità che distinguono la casa di Tassorosso» riprese Silente. «Era un amico buono e fedele, un gran lavoratore, credeva nel gioco leale. La sua morte ha toccato tutti voi, che lo conosceste o no. Credo che abbiate il diritto, dunque, di sapere esattamente com'è successo». Harry alzò il capo e fissò Silente.

«Cedric Diggory è stato assassinato da Voldemort».

Un sussurro terrorizzato spazzò la Sala Grande. Tutti fissarono Silente increduli e atterriti. Lui rimase perfettamente calmo a guardarli confabulare, e poi tacere di nuovo.

«Il Ministero della Magia» riprese Silente, «non vorrebbe che ve lo dicessi. È possibile che alcuni dei vostri genitori si scandalizzeranno per ciò

che ho fatto: perché non vogliono credere al ritorno di Voldemort, o perché

sono convinti che non dovrei dirvelo, giovani come siete. È mia convinzione, tuttavia, che la verità sia generalmente preferibile alle menzogne, e che ogni tentativo di fingere che Cedric sia morto in seguito a un incidente, o a un errore da lui commesso, sia un insulto alla sua memoria». Tutti quanti in Sala erano rivolti a Silente, stupefatti e sconvolti... o meglio, quasi tutti. Al tavolo di Serpeverde, Harry vide Draco Malfoy bofonchiare qualcosa a Tiger e Goyle. Harry sentì lo stomaco contrarsi per la rabbia, una rabbia folle e bruciante. Si costrinse a guardare di nuovo verso Silente.

«C'è qualcun altro che dev'essere ricordato in merito alla morte di Cedric» continuò Silente. «Naturalmente sto parlando di Harry Potter». Un mormorio percorse la Sala Grande, mentre poche teste si voltavano dalla parte di Harry prima di tornare rapide a Silente.

«Harry Potter è riuscito a sfuggire a Voldemort» disse Silente. «Ha rischiato la vita per riportare il corpo di Cedric a Hogwarts. Ha dimostrato, in tutti i sensi, il coraggio che pochi maghi hanno mostrato nell'affrontare Voldemort, e per questo io gli rendo onore».

Silente si voltò con gravità verso Harry, e levò di nuovo il calice. Quasi tutti in Sala Grande lo imitarono subito. Mormorarono il suo nome, come avevano mormorato quello di Cedric, e bevvero alla sua salute. Ma da uno spazio vuoto tra le persone in piedi, Harry notò che Malfoy, Tiger, Goyle e molti degli altri Serpeverde erano rimasti seduti al loro posto in segno di sfida, senza toccare i calici. Silente, che dopotutto non possedeva occhi magici, non li vide.

Quando tutti si furono rimessi a sedere, Silente riprese: «Lo scopo del Torneo Tremaghi era di approfondire e promuovere l'intesa tra maghi. Alla luce di quanto è accaduto - il ritorno di Voldemort - questi legami sono più

importanti che mai».

Silente spostò lo sguardo da Madame Maxime e Hagrid a Fleur Delacour e ai suoi compagni di Beauxbatons, a Viktor Krum e ai ragazzi di Durmstrang al tavolo di Serpeverde. Krum, osservò Harry, era guardingo, quasi spaventato, come se si aspettasse che Silente dicesse qualcosa di terribile.

«Tutti gli ospiti di questa Sala» disse Silente, e i suoi occhi indugiarono sugli studenti di Durmstrang, «saranno i benvenuti qui, in qualunque momento, quando vorranno venire. Ripeto ancora una volta a tutti voi: alla luce del ritorno di Voldemort, siamo forti solo se uniti, deboli se divisi.

«L'abilità di Voldemort nel seminare discordia e inimicizia è molto grande. Possiamo combatterla solo mostrando un legame altrettanto forte di amicizia e fiducia. Le differenze di abitudini e linguaggio non sono nulla se i nostri scopi sono gli stessi e i nostri cuori sono aperti.

«È mia convinzione - e non ho mai desiderato tanto di sbagliarmi - che stiamo tutti per affrontare tempi oscuri e difficili. Alcuni di voi in questa Sala hanno già subito terribili sofferenze a opera di Voldemort. Molte delle vostre famiglie sono state distrutte. Una settimana fa, uno studente ci è stato portato via.

«Ricordatevi di Cedric. Quando e se per voi dovesse venire il momento di scegliere tra ciò che è giusto è ciò che è facile, ricordate cos'è accaduto a un ragazzo che era buono, e gentile, e coraggioso, per aver attraversato il cammino di Voldemort. Ricordatevi di Cedric Diggory».

*

I bagagli di Harry erano pronti; Edvige era di nuovo rinchiusa nella sua gabbia, in cima al baule. Nella Sala d'Ingresso affollata, Harry, Ron e Hermione, insieme agli altri del quarto anno, aspettavano l'arrivo delle carrozze che li avrebbero portati alla stazione di Hosgmeade. Era un'altra bella giornata estiva. Harry suppose che quella sera al suo arrivo Privet Drive sarebbe stata calda e fronzuta, le aiuole un tripudio di colori. Ma il pensiero non gli suscitò alcuna gioia.

«Harry!»

Si voltò. Fleur Delacour saliva di corsa i gradini di pietra davanti al castello. Dietro di lei, lontano nel parco, Harry vide Hagrid aiutare Madame Maxime a mettere i finimenti a due cavalli giganti. La carrozza di Beauxbatons era pronta a partire.

« Au revoir, a presto» disse Fleur avvicinandosi con la mano tesa. «Spera di trovare lavoro qui, per ameliorare il mio inglese».

«È già ottimo» intervenne Ron con voce soffocata. Fleur gli sorrise, Hermione s'incupì.

«Arrivedersci, Harry» disse Fleur. «È stato un piascere conoscerti!»

L'umore di Harry non poté non migliorare un po' mentre guardava Fleur correre nel prato verso Madame Maxime, i capelli argentei che scintillavano al sole.

«Chissà come faranno gli studenti di Durmstrang a tornare a casa» disse Ron. «Credete che siano in grado di governare la nave senza Karkaroff?»

«Karkaroff gofernafa un bel niente» disse una voce burbera. «Stava in sua cabina e faceva laforare noi». Krum era venuto a dire addio a Hermione. «Posso con te parlare uno momento?» le chiese.

«Oh... sì... certo» disse Hermione arrossendo, e spari con Krum tra la folla.

«È meglio se ti muovi!» le gridò dietro Ron. «Le carrozze saranno qui tra un attimo!»

Ma lasciò che fosse Harry a sorvegliare l'arrivo delle carrozze, e passò i minuti seguenti allungando il collo al di sopra della folla per cercare di vedere che cosa facevano Krum e Hermione. I due tornarono molto presto. Ron scoccò a Hermione uno sguardo penetrante, ma lei rimase impassibile.

«Mi piacefa Diggory» disse all'improvviso Krum a Harry. «È stato sempre gentile con me. Sempre. Anche se ero di Durmstrang - con Karkaroff»

aggiunse, accigliato.

«Avete già un nuovo direttore?»

Krum alzò le spalle. Tese la mano come aveva fatto Fleur, strinse quella di Harry e poi quella di Ron.

Ron sembrava preda di un doloroso conflitto interiore. Krum aveva già

cominciato ad allontanarsi, quando Ron non si trattenne più: «Mi fai l'autografo?»

Hermione distolse lo sguardo e sorrise alle carrozze senza cavalli che risalivano pesantemente il viale, mentre Krum, sorpreso ma lusingato, firmava un foglio di pergamena per Ron.

*

Durante il viaggio di ritorno a King's Cross, il tempo non avrebbe potuto essere più diverso da quello del viaggio di andata. Non c'era nemmeno una nuvola in cielo. Harry, Ron e Hermione erano riusciti a trovare uno scompartimento tutto per loro. Leo era stato di nuovo nascosto sotto l'abito da sera di Ron, per impedirgli di continuare a ululare. Edvige dormicchiava, la testa sotto l'ala, e Grattastinchi era acciambellato su un sedile vuoto co-me un grosso, peloso cuscino rossiccio. Harry. Ron e Hermione parlarono più a lungo e più liberamente del resto della settimana, mentre il treno li portava sfrecciando verso sud. Era come se il discorso di Silente alla festa di fine anno avesse sbloccato Harry. Era meno doloroso, ora, discutere dell'accaduto. Solo all'arrivo del carrello del pranzo interruppero le loro congetture sui provvedimenti che forse in quello stesso momento Silente stava prendendo per fermare Voldemort.

Quando Hermione tornò dal carrello, rimise il denaro nella borsa dei libri e ne sfilò una copia della Gazzetta del Profeta. Harry la guardò, senza sapere se voleva veramente scoprire che cosa c'era scritto, ma Hermione, intercettato il suo sguardo, disse tranquillamente:

«Non c'è niente qui sopra. Puoi guardare anche tu, ma non c'è niente di niente. Controllo tutti i giorni. Solo un articoletto il giorno dopo la terza prova, che diceva che avevi vinto il Torneo. Non hanno nemmeno fatto cenno a Cedric. Non ne parlano proprio. Secondo me, Caramell li sta costringendo a starsene tranquilli».

«Non riuscirà mai a far stare tranquilla Rita» disse Harry. «Non con una storia del genere».

«Oh, Rita non ha scritto nemmeno una riga dalla terza prova» rispose Hermione, in tono stranamente controllato. «In effetti» aggiunse, e ora la sua voce ebbe un lieve tremito, «Rita Skeeter non scriverà proprio niente per un po'. A meno che non voglia che io vuoti il sacco su di lei».

«Ma che cosa stai dicendo?»

«Ho scoperto come faceva ad ascoltare le nostre conversazioni private quando non avrebbe dovuto nemmeno mettere piede nel parco» disse Hermione tutto d'un fiato.

Harry ebbe l'impressione che Hermione morisse dalla voglia di raccontarlo da giorni, ma che si fosse trattenuta per via dell'accaduto.

«Come faceva?» chiese subito Harry.

«Come hai fatto a scoprirlo?» chiese Ron, fissandola stupefatto.

«Be', sei stato tu, veramente, a darmi l'idea, Harry» rispose lei.

«Io?» chiese Harry, perplesso. «E come?»

«Cimici» disse Hermione allegramente.

«Ma dicevi che non funzionavano...»

«Oh, non cimici elettroniche» disse Hermione. «No, vedete... Rita Skeeter» - la voce di Hermione tremò di tranquillo trionfo - «è un Animagus non iscritto al registro. Sa trasformarsi...» estrasse dalla borsa un barattolino di vetro sigillato. «... in uno scarabeo».

«Stai scherzando» disse Ron. «Non l'avrai... non sarà...»

«Oh, sì, invece» rispose Hermione trionfante, tendendo il barattolo verso di loro.

Dentro c'erano foglie, rametti e un grosso, grasso scarabeo.

«Non è possibile... stai scherzando...» sussurrò Ron. Prese il barattolo e lo avvicinò agli occhi.

«No che non scherzo» disse Hermione, raggiante. «L'ho catturata sul davanzale dell'infermeria. Guardate bene, e vedrete che i segni attorno alle antenne sono identici a quei suoi orrendi occhiali».

Harry guardò bene, e vide che aveva ragione. Gli venne in mente qualcosa. «C'era uno scarabeo sulla statua la notte che abbiamo sentito Hagrid raccontare di sua madre a Madame Maxime!»

«Proprio così» rispose Hermione. «E Viktor mi ha tolto uno scarabeo dai capelli dopo che avevamo parlato vicino al lago. E se non mi sbaglio di grosso, Rita era appollaiata sul davanzale dell'aula di Divinazione il giorno che ti faceva male la cicatrice. È tutto l'anno che ronza in giro in cerca di storie».

«Quando abbiamo visto Malfoy sotto quell'albero...» disse Ron lentamente.

«Stava parlando con lei, e la teneva in mano» spiegò Hermione. «Lui sapeva, naturalmente. È così che lei ha ottenuto tutte quelle belle intervistine con i Serpeverde. A loro non importava che lei facesse qualcosa di illegale, pur di raccontarle cose orribili su di noi e su Hagrid». Hermione sfilò il barattolo dalla mano di Ron e sorrise allo scarabeo, che ronzò rabbioso contro il vetro.

«Le ho detto che la lascerò uscire quando saremo tornati a Londra» disse Hermione. «Ho imposto un Incantesimo Infrangibile sul barattolo, sapete, così non può trasformarsi. E le ho detto che deve tenere la piuma chiusa in borsetta per un anno intero. Vediamo se riesce a perdere l'abitudine di scrivere tremende bugie sulla gente».

Con un sorriso sereno, Hermione rimise il barattolo nella borsa dei libri. Poi la porta dello scompartimento si aprì.

«Davvero brillante, Granger» disse Draco Malfoy.

Tiger e Goyle erano alle sue spalle. Tutti e tre sembravano più compiaciuti, arroganti e minacciosi che mai.

«Allora» disse Malfoy lentamente, avanzando appena nello scompartimento e volgendo lo sguardo su di loro, un ghigno beffardo che gli increspava le labbra. «Tu hai catturato una giornalista patetica, e Potter è di nuovo il cocco di Silente. Magnifico».

Il ghigno si allargò. Tiger e Goyle si scambiarono un'occhiata complice.

«Stiamo cercando di non pensarci, vero?» continuò Malfoy con voce morbida, guardando tutti e tre, uno alla volta. «Stiamo cercando di far finta che non sia successo?»

«Fuori» disse Harry.

Non si era trovato vicino a Malfoy da quando l'aveva visto confabulare con Tiger e Goyle durante il discorso di Silente su Cedric. Udì qualcosa risuonargli nelle orecchie. La sua mano afferrò e strinse la bacchetta sotto la veste.

«Hai scelto il partito sbagliato, Potter! Ti avevo avvertito! Ti avevo detto che dovevi scegliere più attentamente i tuoi amici, ricordi? Quando ci siamo incontrati sul treno, il primo giorno di scuola? Ti avevo detto di non frequentare della plebaglia del genere!» E indicò con un cenno del capo Ron e Hermione. «Ora è troppo tardi, Potter! Saranno i primi a sparire, ora che il Signore Oscuro è tornato! Mezzosangue e Babbanofili saranno i primi! Be'... i secondi... Diggory è stato il p...»

Fu come se qualcuno avesse fatto esplodere una cassa di fuochi d'artificio nello scompartimento. Accecato dal bagliore degli incantesimi che erano schizzati da tutte le parti, assordato da una serie di scoppi, Harry strizzò

le palpebre, e guardò sul pavimento.

Malfoy, Tiger e Goyle erano distesi sulla soglia, privi di sensi. Lui, Ron e Hermione erano in piedi. Ciascuno di loro aveva scagliato un incantesimo diverso. E non erano i soli.

«Avevamo pensato di venire a vedere che cos'avevano in mente quei tre» disse Fred in tono pratico, urtando Goyle per entrare nello scompartimento. Brandiva la bacchetta, e così George, che si premurò di inciampare in Malfoy mentre entrava alle spalle di Fred.

«Un risultato interessante» disse, guardando Tiger. «Chi è stato a usare l'Incantesimo Furnunculus?»

«Io» disse Harry.

«Curioso» disse George con leggerezza. «Io ho usato la Fattura Gambemolli. A quanto pare non bisognerebbe mescolarli. È come se gli fossero spuntati dei piccoli tentacoli su tutta la faccia. Be', non lasciamoli qui, non fanno molto per migliorare l'arredamento».

Ron, Harry e George calciarono, rotolarono e spinsero i corpi svenuti di Malfoy, Tiger e Goyle - tutti e tre assai malridotti, visto il miscuglio di incantesimi che li avevano bersagliati - nel corridoio, poi tornarono nello scompartimento e chiusero la porta.

«Qualcuno vuole giocare a Spara Schiocco?» propose Fred, estraendo un mazzo di carte.

Erano nel bel mezzo della quinta partita quando Harry decise di fare la domanda.

«Allora, ce lo dite?» domandò, rivolto a George. «Chi stavate ricattando?»

«Oh» disse George cupo. « Quello».

«Non ha importanza» disse Fred, scuotendo il capo, spazientito. «Non era niente di importante. Ora non lo è, comunque».

«Abbiamo lasciato perdere» disse George, con una scrollata di spalle. Ma Harry, Ron e Hermione continuarono a interrogarli, e finalmente Fred sbuffò: «Va bene, va bene, se proprio lo volete sapere... era Ludo Bagman».

«Bagman?» esclamò Harry in tono brusco. «State dicendo che era coinvolto nel...»

«Nooo» disse George, tetro. «Niente del genere. Quello sciocco idiota. Non avrebbe avuto abbastanza cervello».

«Be', e allora?»

Fred esitò, poi disse: «Vi ricordate che avevamo scommesso con lui alla Coppa del Mondo di Quidditch? Che avrebbe vinto l'Irlanda, ma Krum avrebbe preso il Boccino?»

«Sì» dissero Harry e Ron lentamente.

«Be', quell'idiota ci ha pagato con l'oro dei Lepricani che aveva preso alle mascotte dell'Irlanda».

«E allora?»

«E allora» ripeté Fred spazientito, «è sparito, no? La mattina dopo non c'era più!»

«Ma... dev'essere stato un incidente, no?» disse Hermione. George scoppiò in una risata molto amara. «Sì, è quello che abbiamo pensato anche noi, all'inizio. Abbiamo pensato che scrivendogli, dicendogli che aveva fatto un errore, avrebbe sganciato i nostri soldi. Ma niente da fare. Ha ignorato la nostra lettera. Abbiamo cercato di parlargli un sacco di volte a Hogwarts, ma trovava sempre qualche scusa per sfuggirci».

«Alla fine, è diventato odioso» aggiunse Fred. «Ci ha detto che eravamo troppo giovani per il gioco d'azzardo, e che non ci avrebbe dato un bel niente».

«Allora abbiamo chiesto che ci restituisse il nostro denaro» disse Geor-ge, arrabbiato.

«Non avrà rifiutato!» disse Hermione senza fiato.

«Proprio così» disse Fred.

«Ma erano tutti i vostri risparmi!» disse Ron.

«Non dirmelo» disse George. «Naturalmente alla fine abbiamo scoperto che cosa stava succedendo. Anche il padre di Lee Jordan ha fatto fatica a ottenere da Bagman il denaro che gli spettava. È venuto fuori che era nei pasticci con i goblin. Ha preso in prestito da loro un sacco di denaro. Una loro banda lo ha assalito nel bosco dopo la Coppa del Mondo e gli ha portato via tutto l'oro che aveva, e non è nemmeno bastato a coprire tutti i suoi debiti. L'hanno seguito fino a Hogwarts per tenerlo d'occhio. Ha perso tutto al gioco. Non ha più un galeone. E lo sapete quell'imbecille come ha cercato di risarcire i goblin?»

«Come?» chiese Harry.

«Ha puntato su di te, amico» disse Fred. «Ha fatto una grossa giocata, scommettendo che avresti vinto il Torneo. Contro i goblin».

«Allora è per quello che cercava di aiutarmi a vincere!» esclamò Harry.

«Be'... ho vinto, no? Quindi può restituirvi il vostro denaro!»

«No» disse George, scuotendo il capo. «I goblin giocano sporco quanto lui. Dicono che tu hai pareggiato con Diggory, e Bagman aveva scommesso che saresti stato il primo assoluto. Cosi è dovuto fuggire. È scappato subito dopo la terza prova».

George sospirò ricominciando a distribuire le carte.

Il resto del viaggio fu abbastanza piacevole. Harry si scoprì a desiderare che continuasse per tutta l'estate, in modo da non arrivare mai a King's Cross... ma come aveva imparato quell'anno nel modo più duro, il tempo non rallenta quando ti aspetta qualcosa di sgradevole, e ben presto - troppo presto - l'Espresso di Hogwarts rallentò e si fermò sul binario nove e tre quarti. Il rumore e la confusione consueti riempirono i corridoi mentre gli studenti cominciavano a scendere. Ron e Hermione scavalcarono con difficoltà Malfoy, Tiger e Goyle, trascinando i bauli. Harry, invece, rimase indietro.

«Fred... George... aspettate un attimo».

I gemelli si voltarono. Harry aprì il baule ed estrasse la vincita del Tremaghi.

«Prendetelo» disse, e ficcò il sacchetto nelle mani di George.

«Cosa?» disse Fred, sbalordito.

«Prendetelo» ripeté Harry con decisione. «Io non lo voglio».

«Sei pazzo» disse George, cercando di restituirlo a Harry.

«No» disse Harry. «Prendetelo voi, e andate avanti con le vostre invenzioni. È per il negozio di scherzi».

«È pazzo» disse Fred, con sgomento.

«Sentite» disse Harry con fermezza. «Se non lo prendete voi, lo butto in un tombino. Non lo voglio e non mi serve. Ma un po' di risate mi farebbero bene. Un po' di risate farebbero bene a tutti. Ho la sensazione che ben presto ne avremo bisogno più del solito».

«Harry» disse George debolmente, soppesando il sacchetto con il denaro, «ci devono essere un migliaio di galeoni qui dentro».

«Sì» disse Harry, con un gran sorriso. «Pensa quante Crostatine Canarine fanno». I gemelli lo fissarono stupefatti.

«Solo una cosa, non dite a vostra madre dove li avete presi... anche se può darsi che non abbia più tanta voglia di farvi entrare al Ministero, adesso che ci penso...»

«Harry» esordì Fred, ma Harry estrasse la bacchetta.

«Senti» disse in tono deciso, «prendilo, o ti sparo un incantesimo. Adesso ne so di belli. Fatemi solo un favore, ok? Comprate a Ron un abito da sera, e ditegli che è un regalo da parte vostra».

Uscì dallo scompartimento prima che potessero aggiungere qualcosa, scavalcando Malfoy, Tiger e Goyle, che erano ancora lunghi distesi, coperti di ammaccature di incantesimi. Zio Vernon lo stava aspettando oltre la barriera. La signora Weasley era lì vicina. Abbracciò stretto Harry quando lo vide, e gli sussurrò all'orecchio: «Credo che Silente ti lascerà venire da noi più avanti. Teniamoci in contatto, Harry».

«Ci vediamo, Harry» disse Ron, dandogli una manata sulla schiena.

«Arrivederci, Harry!» esclamò Hermione, e poi fece una cosa che non aveva mai fatto prima: gli diede un bacio sulla guancia.

«Harry... grazie» borbottò George, mentre Fred annuiva al suo fianco. Harry gli strizzò l'occhio, si voltò verso zio Vernon e lo seguì in silenzio fuori dalla stazione. Non era ancora il caso di preoccuparsi, si disse salendo sul sedile posteriore dell'auto dei Dursley. Come aveva detto Hagrid, quel che sarà sarà... e quando fosse stato il momento, l'avrebbe affrontato.