«Sopra la Città, all’esterno, forse è sorta l’alba, adesso,» disse Giskard. «Una volta, parlando con Elijah Baley venti decadi fa, ho chiamato la Terra il Mondo dell’Alba. Continuerà ad esserlo ancora a lungo? O la sua fine ha già avuto inizio?»

«Sono pensieri morbosi, amico Giskard,» replicò Daneel. «È meglio che interveniamo e facciamo il possibile perché la Terra rimanga ancora il Mondo dell’Alba.»

Gladia entrò nell’appartamento, in accappatoio e pantofole, con i capelli appena asciugati. «Assurdo!» disse. «Le Terrestri la mattina percorrono i corridoi verso i Personali sciatte e spettinate. Lo fanno di proposito, credo. È cattiva educazione pettinarsi strada facendo. A quanto pare, la sciatteria iniziale valorizza l’aspetto ben curato che hanno quando escono poi dai Personali. Avrei dovuto portare con me i vestiti e tutto il resto. Avreste dovuto vedere che occhiate mi lanciavano quando sono uscita in accappatoio. Lasciando il Personale bisogna essere impeccabili!... Sì, Daneel?»

«Posso dirvi una cosa, signora?» chiese Daneel.

Gladia esitò. «Non ho molto tempo, Daneel. Immagino saprai che questa sarà una giornata campale per me... tra poco inizierò il mio giro di appuntamenti.»

«È proprio di questo che volevo discutere, signora. In questa giornata importante, tutto andrà meglio se non saremo con voi.»

«Cosa?»

«Circondandovi di robot, susciterete una reazione meno favorevole nei Terrestri.»

«Circondandomi? Siete solo in due! E poi, come posso fare a meno di voi?»

«È necessario che vi abituiate alla nostra assenza, Lady Gladia. Quando siamo con voi, la vostra diversità dai Terrestri è evidente. E potrebbe sembrare che voi abbiate paura di loro.»

Preoccupata, Gladia disse: «Eppure, credo di avere bisogno di protezione, Daneel. Non dimenticherete quanto è successo ieri.»

«Signora, in ogni caso non avremmo potuto impedirlo, né avremmo potuto proteggervi. Fortunatamente, ieri non eravate voi l’obiettivo dell’attentato. Il disintegratore era puntato sulla testa di Giskard.»

«Giskard, la vittima designata? Perché?»

«Un robot non avrebbe potuto cercare di colpirvi, come non avrebbe potuto colpire nessun altro essere umano. Quel robot ha sparato a Giskard... chissà per quale motivo. Dunque, la nostra vicinanza potrebbe mettervi in pericolo. Inoltre, la notizia dell’incidente si diffonderà, anche se il governo terrestre non darà alcuna conferma ufficiale, e si saprà che un robot ha usato un disintegratore. Ci sarà un’ondata di pubblica indignazione contro i robot... contro di noi... forse addirittura contro di voi, Lady Gladia, se vi farete vedere in nostra compagnia. Meglio evitare di farvi accompagnare da noi due, dunque.»

«Ma per quanto tempo dovrò rinunciare a voi due?»

«Almeno fino al termine della vostra missione, signora. Nei prossimi giorni, il capitano Baley vi fornirà un aiuto più efficace del nostro. Lui conosce i Terrestri, è stimato da loro... e vi stima, signora.»

«Mi stima? E tu come puoi saperlo?» fece Gladia.

«Anche se sono un robot, ho la netta impressione che il capitano vi stimi. Naturalmente, siete libera di richiamarci al vostro fianco quando desiderate, e noi accorreremo subito... ma per il momento, a nostro giudizio, la migliore protezione che possiamo offrirvi è quella di affidarvi al capitano.»

Gladia disse: «Ci penserò.»

«Nel frattempo,» disse Daneel «parleremo con il capitano Baley e gli chiederemo se è d’accordo.»

«Sì, certo,» annuì Gladia, andando nella camera da letto.

Daneel si rivolse sottovoce a Giskard. «È disposta ad acconsentire?»

«Più che disposta,» rispose Giskard. «Del resto, la mia presenza le ha sempre creato un senso di disagio. Nei tuoi confronti, amico Daneel, Lady Gladia prova sentimenti ambivalenti. Le ricordi l’amico Jander, la cui disattivazione, tante decadi fa, è stata per lei un’esperienza traumatica. Per cui, prova per te un misto di attrazione e di avversione. Mi sono limitato ad indebolire l’attrazione verso di te, rafforzando l’attrazione già forte che prova per il capitano. Non le sarà difficile rinunciare a noi.»

«Allora, cerchiamo il capitano,» disse Daneel. Insieme uscirono dalla stanza, imboccando il corridoio esterno.

Sia Daneel che Giskard erano stati sulla Terra in precedenza, Giskard più recentemente dell’amico. Sapevano usare la guida computerizzata che indicò loro il Settore, l’Ala e il numero dell’appartamento assegnato a D.G., e capivano la segna letica colorata indispensabile per prendere la direzione e gli ascensori giusti.

Era presto e il traffico era scarso, ma quei pochi esseri umani che incrociarono fissarono meravigliati Giskard, distogliendo subito lo sguardo con studiata indifferenza.

Quando giunsero alla porta dell’appartamento di D.G., la camminata di Giskard era leggermente incerta. Nulla di appariscente, ma Daneel se ne accorse.

Sottovoce, chiese: «Avverti del disagio, amico Giskard?»

«Ho dovuto cancellare lo stupore, l’apprensione e l’attenzione di alcuni uomini e donne che abbiamo incontrato... perfino di un bambino, l’elemento più ostinato di tutti. Non ho avuto il tempo di accertarmi dell’innocuità del mio intervento.»

«Era importante che tu intervenissi. Il tempo stringe, e nessuno deve intralciarci.»

«Me ne rendo conto, però la Legge Zero non opera in me con la stessa facilità con cui dirige i tuoi circuiti,» rispose Giskard. «Spesso ho notato che il fenomeno di iperresistenza nelle linee positroniche si manifesta con disturbi alla deambulazione, alla posizione eretta, e in seguito alla capacità di parlare.»

Daneel batté sulla porta, segnalando il loro arrivo. «Anche a me succede la stessa cosa, amico Giskard. Mantenere l’equilibrio è già difficile in circostanze

normali. Controllare uno sbilanciamento continuo come l’atto del camminare è ancor più difficile. Ho sentito parlare una volta di vecchi robot sperimentali dotati di quattro gambe e due braccia. Erano chiamati centauri. Funzionavano bene, ma erano inaccettabili in quanto il loro aspetto era fondamentalmente non umano.»

«In questo momento, quattro gambe mi sarebbero utili,» disse Giskard. «Comunque, pare che il senso del disagio stia passando, amico Daneel.»

D.G. apparve sulla soglia. Vedendoli, sorrise. Poi guardò nel corridoio e il sorriso si spense, trasformandosi in un’espressione allarmata. «Come mai siete qui senza Lady Gladia? Non le sarà...»

Daneel disse: «Lady Gladia sta bene, capitano. Non corre alcun pericolo. Possiamo entrare e spiegarvi?»

Lo sguardo minaccioso, D.G. fece cenno di entrare. Con la voce intimidatoria di chi si lamentasse del cattivo funzionamento di una macchina, disse: «Perché l’avete lasciata sola? Cosa può avervi spinto a commettere una simile negligenza, sentiamo?»

Daneel rispose: «Lady Gladia non è più sola di quanto lo siano tutte le altre persone della Terra, né corre maggiori pericoli degli altri Terrestri. Se in seguito le parlerete, lei stessa vi dirà che non può svolgere con efficacia la propria missione sulla Terra con una scorta di robot spaziali. Vi dirà anche che basterete voi a fornirle l’aiuto e la protezione di cui ha bisogno. Questo è quanto Lady Gladia desidera, a nostro avviso... almeno, per ora. Quando ci vorrà, obbediremo immediatamente.»

D.G. si rilassò, tornando a sorridere. «Vuole la mia protezione, eh?»

«In questo momento, capitano, crediamo preferisca la vostra presenza alla nostra.»

«Non posso darle torto,» fece D.G. compiaciuto. «Mi preparo e vado subito da lei.»

«Prima però, signore...»

«Oh, non è tutto?»

«Ecco, signore, vorremmo scoprire il più possibile riguardo il robot che ieri ha compiuto l’attentato.»

D.G. parve di nuovo teso. «Prevedete altri pericoli per Lady Gladia?»

«No, escludiamo altri attentati del genere. Ieri, il robot non ha sparato a Lady Gladia. Trattandosi di un robot, non avrebbe potuto farlo. Intendeva colpire l’amico Giskard.»

«Perché?»

«È quanto vorremmo scoprire. A tal scopo, dovreste chiamare Lady Quintana, Sottosegretario all’Energia, e dirle che sarebbe importante che rispondesse ad alcune mie domande... potete aggiungere che voi e il governo di Baleyworld apprezzereste questa cortesia. Dovreste fare il possibile per convincerla a concederci questo colloquio.»

«Nient’altro? Dovrei solo convincere un funzionario importante, probabilmente impegnato, a subire un interrogatorio da parte di un robot?»

Daneel disse: «Signore, se il tono della vostra richiesta sarà giusto, forse Lady

Quintana accetterà. Inoltre, dal momento che forse il suo ufficio non è nelle immediate vicinanze, dovreste anche noleggiare un mezzo di trasporto rapido per noi. Immagino abbiate capito che abbiamo fretta.»

«Nient’altro? Solo queste cosucce?» fece D.G.

«Non proprio, capitano,» rispose Daneel. «Avremo bisogno di un conducente... e vi prego di pagarlo in modo adeguato, così accetterà di trasportare anche l’amico Giskard, che chiaramente ha l’aspetto di un robot. Per me non dovrebbero esserci problemi.»

«Ti rendi conto che quanto mi chiedi è assurdo, Daneel?»

«Speravo non lo trovaste assurdo, capitano. Comunque, se è assurdo non ho altro da aggiungere. Non ci resta che tornare da Lady Gladia... che sarà contrariata, dato che avrebbe preferito essere sola con voi.»

Daneel si voltò, invitando Giskard a seguirlo, ma D.G. disse: «Aspettate! C’è un comunicatore pubblico qui nel corridoio. Posso provare. Restate qui.»

I due robot si fermarono. Daneel disse: «Hai dovuto faticare molto, amico Giskard?»

Ora Giskard sembrava reggersi in piedi senza problemi. «Non ho potuto fare nulla,» rispose. «Era decisamente contrario all’dea di contattare Lady Quintana e procurarci un mezzo rapido di trasporto. Non avrei potuto alterare quei sentimenti senza causare danni. Però, quando tu hai suggerito che saremmo tornati da Lady Gladia, il suo atteggiamento è cambiato di colpo in modo drastico. L’avevi previsto, vero, amico Daneel?»

«Sì.»

«A quanto pare, sostanzialmente non hai bisogno di me. Ci sono vari modi in cui influenzare le menti. Comunque, in parte sono intervenuto. Il cambiamento di stato d’animo del capitano era accompagnato da un intenso sentimento favorevole verso Lady Gladia. Ho sfruttato l’occasione per rafforzare questa tendenza.»

«Vedi che la tua presenza è necessaria! Io non sarei stato in grado di farlo.»

«Potrai farlo, amico Daneel... Forse, molto presto.»

D.G. tornò. «Incredibile, Lady Quintana ha accettato di incontrarti, Daneel. Tra poco arriverà un dardo con autista... sarebbe il mezzo rapido che hai chiesto. Prima partite, meglio sarà. Io andrò subito da Lady Gladia.»

I due robot uscirono nel corridoio ad attendere.

Giskard disse: «Il capitano è molto felice.»

«Parrebbe di sì, amico Giskard... Però temo che per noi la parte facile sia finita. Abbiamo convinto facilmente Lady Gladia a lasciarci liberi di muoverci da soli. Con qualche difficoltà, abbiamo convinto il capitano a combinare un incontro con Lady Quintana. Ma dopo aver visto Lady Quintana forse ci troveremo in un vicolo cieco.»

L’autista diede un’occhiata a Giskard, e il coraggio sembrò venirgli meno. «Sentite,» disse a Daneel «mi è stato detto che sarei stato pagato il doppio per prendere a bordo un robot, ma i robot non sono ammessi in Città, quindi potrei

passare un sacco di guai. Se perdo la licenza, non saprò che farne dei soldi. Non posso portare solo voi, signore?»

Daneel rispose: «Anch’io sono un robot, signore. Ora ci troviamo nella Città, e non è colpa vostra. Stiamo cercando di uscire dalla Città, e voi ci aiuterete. Stiamo andando a un appuntamento con un importante funzionario governativo, che, spero, riuscirà a indicarci come uscire, ed è vostro dovere di cittadino aiutarci. Rifiutandovi di accompagnarci, autista, voi vi comporterete in maniera tale da obbligarci a rimanere in Città, il che forse sarà considerato un atto illegale.»

L’autista cambiò espressione. Aprì il portello e disse burbero: «Dentro!» Dopo di che, chiuse lo spesso divisorio trasparente che lo separava dai passeggeri.

Sottovoce, Daneel chiese: «È stato un intervento arduo, amico Giskard?»

«No, minimo, amico Daneel. Le tue parole hanno avuto un effetto notevole. È sorprendente come una serie di affermazioni individualmente vere possa, usata adeguatamente in combinazione, portare a risultati che con la sola verità non sarebbe possibile raggiungere.»

«Ho osservato spesso questo fenomeno nella conversazione umana, amico Giskard, anche nel caso di esseri umani normalmente sinceri. Forse questi individui lo ritengono un comportamento lecito in quanto giustificato da uno scopo superiore.»

«Ti riferisci alla Legge Zero?»

«O al suo equivalente, ammesso che le menti umane racchiudano questo equivalente. Amico Giskard, poco fa hai detto che avrò i tuoi poteri, forse presto... Mi stai preparando a tale scopo?»

«Sì, amico Daneel.»

«Perché?»

«Per la Legge Zero. Il mio momentaneo squilibrio mi ha rivelato quanto io sia vulnerabile quando tento di adeguarmi alla Legge Zero. Prima che questa giornata sia terminata, forse dovrò ricorrere alla Legge Zero per salvare la Terra e l’umanità, e non è detto che ci riesca. Quindi, tu dovrai essere in grado di sostituirmi. Ti sto preparando gradualmente, così quando sarà necessario basterà che ti trasmetta le istruzioni finali e la trasformazione sarà completa.»

«Non vedo come un’operazione del genere sia possibile, amico Giskard.»

«Al momento opportuno, capirai tutto senza difficoltà. In parte ho già usato questa tecnica sui robot che ho inviato sulla Terra in passato, prima che fossero banditi dalle Città, e sono stati loro a influenzare i capi terrestri perché approvassero il progetto di Colonizzazione.»

L’autista, che guidava un mezzo privo di ruote e sollevato un paio di centimetri sopra la superficie, aveva percorso corridoi speciali riservati a tali veicoli, mantenendo una velocità elevata che giustificava il nome di dardo. Ora sbucò in un corridoio normale, parallelo a una linea dell’Espressovia che si stendeva in lontananza sulla sinistra. Il dardo, rallentando, girò a sinistra, passò sotto l’Espressovia, emerse dall’altra parte e dopo circa un chilometro si arrestò di fronte ad un edificio. Il portello si aprì automaticamente. Daneel smontò per primo, attese Giskard, quindi porse al conducente una minuscola lamina datagli da D.G.

L’autista guardò un attimo la lamina; il portello si chiuse di scatto e il dardo ripartì a velocità sostenuta.

Dovettero attendere un po’ prima che la porta si aprisse in risposta alla loro segnalazione, e Daneel immaginò che li stessero controllando con qualche apparecchio. Quando la porta si aprì, una giovane li condusse circospetta all’interno dell’edificio. Evitò di guardare Giskard, ma mostrò una certa curiosità per Daneel.

Trovarono Lady Quintana dietro una grossa scrivania. La donna sorrise e con una disinvoltura leggermente forzata esordi dicendo: «Due robot senza alcun essere umano che li accompagni. Sono al sicuro?»

«Certo, Lady Quintana,» annuì Daneel serio. «Anche per noi è insolito vedere un essere umano non accompagnato da robot.»

«Vi assicuro che anch’io ho i miei robot,» disse Lady Quintana. «Li chiamo subalterni, e una di loro vi ha condotti qui da me. Mi sorprende che non sia svenuta vedendo Giskard. Forse sarebbe svenuta se non l’avessi avvertita, e se tu non avessi avuto un aspetto così interessante, Daneel. Ma cambiamo argomento. Il capitano Baley ha insistito tanto che ho accettato di ricevervi, anche per non guastare le relazioni con un importante mondo dei Coloni. Comunque, ho parecchi impegni e vi sarei grata se ci sbrigassimo. Allora, cosa posso fare per voi?»

«Lady Quintana...»

«Un attimo... Non vi sedete? Vi ho visti seduti, l’altra sera.»

«Possiamo sederci, ma stiamo altrettanto comodi rimanendo in piedi. Non c’è differenza per noi.»

«Per me, sì. Io sto più comoda seduta, e sedendomi mi verrà il torcicollo se dovrò guardare dal basso. Per favore, prendete un paio di sedie e accomodatevi... Grazie. Allora, di che si tratta, Daneel?»

«Lady Quintana, ricorderete, immagino, l’incidente del colpo di disintegratore sparato verso il balcone dopo il banchetto.»

«Certo. E so che l’attentatore era un robot umanoide, anche se non abbiamo diramato alcun comunicato ufficiale. Eppure, eccomi qui, senza protezione, di fronte a due robot. Uno dei quali è proprio umanoide.»

«Non sono armato di disintegratore, signora,» sorrise Daneel.

«Lo spero. Quell’altro robot umanoide era diversissimo da te, Daneel. Tu sei un’opera d’arte, lo sai?»

«Ho una programmazione complessa, signora.»

«No, mi riferivo al tuo aspetto. Ma torniamo all’incidente... Allora?»

«Signora, quel robot ha una base sulla Terra e io devo scoprire dove si trova. Sono giunto da Aurora per individuare quella base e impedire incidenti che possano turbare la pace tra i nostri mondi. Ho motivo di credere...»

«Tu sei giunto sulla Terra? Non il capitano Baley? Non Lady Gladia?»

«Noi, signora. Giskard ed io. Non posso spiegarvi dettagliatamente come abbiamo assunto questo incarico, né posso dirvi il nome dell’essere umano che ci dirige con le sue istruzioni.»

«Bene! Spionaggio interstellare! Affascinante! Purtroppo non posso aiutarvi,

perché non so da dove venisse quel robot. Non ho idea di dove possa essere la sua base. Anzi, non capisco nemmeno come mai ti sia rivolto a me per ottenere un’informazione del genere. Al tuo posto, Daneel, sarei andata al Dipartimento della Sicurezza.» Sophia Quintana si sporse in avanti. «È pelle vera quella che hai sulla faccia, Daneel? Se non è pelle, è un’imitazione straordinaria.» Allungò la mano e gliela posò delicatamente su una guancia. «Straordinaria anche al tatto.»

«Non è pelle vera, signora. Se si taglia, non si cicatrizza da sola Però, una lacerazione si può saldare facilmente, o si può sostituire l’area di tessuto lacerata.»

«Oh,» borbottò la donna arricciando il naso. «Be’, il nostro colloquio è finito, dal momento che non sono in grado di aiutarti a proposito del robot attentatore.»

Daneel disse: «Permettetemi di spiegarvi in modo più approfondito, Lady Quintana. Forse quel robot fa parte di un gruppo che si interessa al processo primitivo di produzione energetica che voi avete descritto l’altra sera... la fissione. Partendo dal presupposto che siano interessati alla fissione e al contenuto di uranio e di torio presente nella crosta planetaria, quale potrebbe essere un posto adatto da utilizzare come base?»

«Una vecchia miniera di uranio, forse? Già, però non conosco la posizione di nessuna vecchia miniera del genere, Daneel. Cerca di capire... la Terra prova un’avversione quasi superstiziosa per tutto quanto è nucleare, e soprattutto per la fissione. Nella nostra letteratura scientifica di massa non troverai quasi nulla sull’argomento, e nei testi tecnici riservati agli esperti troverai solo poche notizie indispensabili di base. Anch’io so pochissimo, cosa comprensibile visto che non sono una scienziata ma mi occupo di amministrazione.»

«Un ultimo particolare, signora. Abbiamo interrogato l’attentatore chiedendogli l’ubicazione della sua base, insistentemente. Il robot era programmato in modo tale da bloccarsi, da disattivare completamente le sue linee mentali, in caso di interrogatorio... e infatti si è disattivato. Prima di farlo, però, mentre lottava tra lo stimolo a rispondere e la disattivazione, ha aperto la bocca tre volte, quasi volesse dire tre sillabe, o tre parole, o tre gruppi di parole... La seconda sillaba o la seconda parola pronunciata è stata mile. Ha qualche significato per voi, o qualche collegamento col fenomeno della fissione?»

Sophia Quintana scosse il capo lentamente. «No, non mi pare proprio. Sicuramente non è una parola presente in un dizionario di Galattico Standard. Mi dispiace, Daneel. Mi ha fatto piacere rivederti, però ho una scrivania piena di scartoffie da sistemare. Se vuoi scusarmi...»

Daneel disse, quasi non avesse sentito: «Ho saputo, signora, che la parola mile potrebbe essere un’espressione arcaica riferita a un’antica unità di misura lineare superiore al chilometro.»

«Anche se fosse vero, sarebbe un dato irrilevante,» commentò la donna. «E poi non vedo come un robot di Aurora potesse essere al corrente di espressioni arcaiche e antiche...» S’interruppe di colpo, spalancando gli occhi e impallidendo.

Mormorò: «Che sia possibile?»

«Possibile cosa, Lady Quintana?» chiese Daneel.

«C’è un posto,» disse Sophia Quintana pensierosa «evitato da tutti... sia dai

Terrestri che dai robot della Terra. Volendo esagerare, si potrebbe dire che è un posto maledetto... talmente maledetto da essere stato in pratica dimenticato. Non figura nemmeno sulle carte geografiche. È la quintessenza del significato negativo della fissione. Ricordo di averlo trovato in un vecchissimo documentario quando ho iniziato questo lavoro. Veniva indicato ripetutamente come il teatro di un incidente che avrebbe indotto i Terrestri a rifiutare per sempre la fissione come fonte energetica. Il nome del posto è Three Mile Island.»

Daneel disse: «Un posto isolato, dunque, assolutamente disabitato e al riparo da qualsiasi intrusione; un posto che colpirebbe subito l’attenzione di chi esaminasse vecchio materiale di consultazione sulla fissione; una base ideale per chi avesse bisogno della massima segretezza; un posto con un nome di tre parole, in cui la seconda è mile. Dev’essere la località che cerchiamo, signora. Potreste dirci come raggiungerla, o procurarci un mezzo per lasciare la Città e arrivare a Three Mile Island o nelle immediate vicinanze?»

La donna sorrise. Quando sorrideva sembrava più giovane. «È chiaro che, trovandoti di fronte a un caso di spionaggio interstellare, non puoi permetterti perdite di tempo, vero?»

«Infatti non possiamo, signora.»

«Be’... dare un’occhiata a Three Mile Island rientra nei miei compiti. Dunque, posso accompagnarvi. So come si guida un aeromobile.»

«Signora, siete gravata di lavoro...»

«Oh, non me lo ruberanno. Quando tornerò, queste scartoffie saranno ancora al loro posto.»

«Ma dovrete uscire dalla Città...»

«E con ciò? I tempi sono cambiati. Nello sfortunato periodo della dominazione spaziale, i Terrestri non abbandonavano mai le loro Città, è vero. Ma da ormai venti decadi ci siamo scossi e abbiamo colonizzato la Galassia. Certo, ci sono ancora persone legate a quell’antiquato atteggiamento provinciale, però in buona parte siamo diventati gente abbastanza mobile. Immagino dipenda dal fatto che un giorno o l’altro esiste sempre la possibilità di unirsi ad un gruppo di Coloni. Io personalmente non ho intenzione di farlo, comunque uso spesso la mia aeromobile, e cinque anni fa sono andata fino a Chicago e sono tornata da sola. Aspettatemi qui. Vedo di organizzare il viaggio.» Sophia Quintana uscì con la rapidità di un fulmine.

Seguendola con lo sguardo, Daneel mormorò: «Amico Giskard, mi e sembrato un comportamento insolito per lei. Sei intervenuto?»

Giskard rispose: «Sì, leggermente. Quando siamo entrati, la ragazza che ci ha condotto qui era attratta dal tuo aspetto. La sera scorsa mi è parso di notare lo stesso fattore nella mente di Lady Quintana, anche se ero troppo lontano da lei e disturbato dall’attività mentale dei presenti per esserne certo. Oggi, quando è iniziata la conversazione, pèrò, l’attrazione era lampante. Gradualmente, l’ho rafforzata. Ogni volta che suggeriva di concludere il colloquio, Lady Quintana era sempre meno convinta, e non ha obiettato alle tue insistenze. Infine si è offerta di accompagnarci in aeromobile perché, credo, aveva ormai raggiunto il punto in cui

non avrebbe saputo rinunciare senza soffrire all’occasione di restare ancora un po’ in tua compagnia.»

«Questo fatto potrebbe complicare la situazione per me,» commentò Daneel meditabondo.

«La complicherebbe per una giusta causa,» disse Giskard. «Considerala una conseguenza della Legge Zero.» Se fosse stato capace di farlo, Giskard avrebbe sorriso.

Con un sospiro di sollievo, Sophia Quintana fece atterrare l’aeromobile su una piazzola di cemento. Due robot si avvicinarono subito per il controllo obbligatorio del velivolo e per rifornirlo, se necessario.

La donna guardò a sinistra, piegandosi verso Daneel. «È in quella direzione, risalendo per parecchi chilometri il fiume Suscuehanna. È una giornata calda.» Drizzandosi con una certa riluttanza, sorrise a Daneel. «È l’aspetto peggiore di quando si lascia la Città. L’ambiente qui fuori non è minimamente climatizzato. Chi lo vorrebbe un caldo simile? Non hai caldo, Daneel?»

«Signora, ho un termostato interno perfettamente funzionante.»

«Splendido! Vorrei averlo io. In quest’area non ci sono strade, Daneel... e nemmeno robot che possano guidarci, dal momento che evitano sempre questa zona. È un tratto di territorio piuttosto vasto, e io non saprei proprio quale potrebbe essere il posto che cercate. Potremmo continuare a girare avanti e indietro senza individuare la base, sfiorandola magari di un paio di centinaia di metri.»

«In ogni caso, è necessario che voi restiate qui, Lady Quintana. Potrebbe essere un’esplorazione pericolosa, e dato che siete sprovvista di protezioni termiche per voi lo sforzo fisico potrebbe essere troppo intenso, anche in mancanza di pericoli. Non potreste aspettarci qui, signora? Per me sarebbe importante contare sul vostro appoggio esterno.»

«Aspetterò.»

«Forse ci assenteremo per qualche ora.»

«Questo posto è dotato di un minimo di servizi, e poi a breve distanza c’è la piccola Città di Harrisburg.»

«In tal caso, signora, è bene che noi ci incamminiamo.»

Daneel smontò agile dall’aeromobile, seguito da Giskard. Si misero in marcia diretti a nord. Era quasi mezzogiorno, e il vivido sole estivo si rifletteva sulle parti lucide del corpo di Giskard.

Daneel disse: «Un qualsiasi segno di attività mentale sarà la traccia che cerchiamo. Non dovrebbero esserci altri esseri umani nel raggio di chilometri.»

«Se li troveremo, credi davvero che riusciremo a neutralizzarli, amico Daneel?»

«No, non ne sono affatto sicuro, amico Giskard... però dobbiamo riuscirci.»

Levular Mandamus sbuffò e alzò lo sguardo verso Amadiro, accennando un sorrisetto.

«Sorprendente,» disse «e più che soddisfacente.»

Amadiro si asciugò la fronte e le guance, e domandò: «Vale a dire?»

«Vale a dire che tutte le stazioni di ripetizione funzionano.»

«Allora potete avviare l’intensificazione?»

«Sì, non appena avrò calcolato il giusto grado di concentrazione di particelle W.»

«Quanto ci vorrà?»

«Un quarto d’ora... forse mezz’ora.»

Amadiro osservò con un’espressione via via più truce, finché Mandamus annunciò: «Bene. Ci siamo. Siamo a due virgola settantadue scala arbitraria che ho stabilito. Così avremo un intervallo di quindici decadi prima che avvenga un assestamento a un livello superiore che proseguirà poi inalterato per milioni di anni. A un livello del genere, nella migliore delle ipotesi sulla Terra potranno sopravvivere rari gruppi isolati nelle aree relativamente prive di radiazioni. Basta che aspettiamo, e tra quindici decadi avremo in pugno un gruppo di mondi dei Coloni completamente disorganizzato.»

«Io non vivrò altre quindici decadi,» disse lentamente Amadiro.

«Mi rincresce per voi, signore,» ribatté asciutto Mandamus.

«Ma stiamo parlando di Aurora e dei mondi spaziali. Ci saranno altre persone che proseguiranno la vostra opera.»

«Voi, per esempio?»

«Mi avete promesso la direzione dell’Istituto e, come vedete, l’ho meritata. Da quella base politica posso sperare di diventare un giorno Presidente, dopo di che adotterò le linee politiche necessarie per garantire il totale annientamento dei mondi dei Coloni, che allora saranno in preda sicuramente all’anarchia.»

«Avete molta fiducia nelle vostre capacità, vedo. E se qualcuno arrestasse il flusso di particelle W nel corso delle prossime quindici decadi?»

«Impossibile, signore. Una volta attivato il congegno, un regolatore atomico interno lo bloccherà sulla posizione scelta. Dopo di che, il processo diventerà irreversibile, qualunque cosa succeda qui. Questo posto potrebbe anche essere disintegrato, ma la crosta continuerà a bruciare lentamente. E se qualcuno sulla Terra riuscisse a costruire un duplicato del mio impianto, non farebbe altro che aumentare il tasso di radioattività... ridurlo, è impossibile. A questo provvederà la Seconda Legge della Termodinamica.»

«Mandamus, avete detto di esservi guadagnato la direzione dell’Istituto... Però, sono io che devo deciderlo, credo.»

«No, signore. Con rispetto parlando, i particolari di questo processo sono noti a me, non a voi. Quei particolari sono codificati in un posto che non troverete, e anche se doveste riuscirci il materiale è sorvegliato da alcuni robot che lo distruggeranno piuttosto che permettervi di impossessarvene. Dunque, non Potete assumervi il merito di questa operazione. Io sì.»

Amadiro insisté: «Tuttavia, la mia approvazione vi faciliterà il compito. Strappandomi la carica di capo contro la mia volontà, indipendentemente dai sistemi usati, dovrete affrontare l’opposizione continua di altri membri del

Consiglio che vi complicheranno la vita finché resterete in carica. Volete solo il titolo di Capo Istituto, o l’opportunità di esercitare veramente il comando?»

«Dobbiamo proprio discutere di politica? Un attimo fa, fremevate d’impazienza perché dovevo attardarmi ancora qualche minuto sul mio computer.»

«Già, torniamo a discutere della regolazione del flusso di particelle W. Voi intendete regolarlo su un valore di due virgola settantadue, ricordo... e credo che sbagliate. Qual è il massimo livello di regolazione?»

«La scala va da zero a dodici, ma a noi serve un’intensità pari a due e settantadue... con un’approssimazione di più o meno cinque centesimi, per essere precisi. Stando ai dati dei quattordici ripetitori con questa intensità il processo si stabilizzerà definitivamente lungo un arco di quindici decadi.»

«Secondo me, il valore esatto è dodici

Mandamus fissò Amadiro inorridito. «Dodici? Vi rendete conto di cosa accadrebbe?»

«Sì. La Terra in poco più di una decade diventerebbe inabitabile per un livello altissimo di radioattività, e nel frattempo rimarrebbero uccisi alcuni miliardi di Terrestri.»

«E scoppierebbe certamente una guerra con una federazione di Coloni furibondi. A che scopo provocare un simile olocausto?»

«Ve l’ho detto. Non vivrò altre quindici decadi, e voglio assistere alla distruzione della Terra.»

«Ma provocherebbe anche, volendo essere ottimisti, la devastazione di Aurora. Stento a credere che parliate seriamente.»

«Sono serissimo. Devo rifarmi di venti decadi di umiliazioni e sconfitte.»

«Umiliazioni e sconfitte patite per opera di Han Fastolfe e di Giskard, non della Terra.»

«No, patite per opera di un Terrestre, Elijah Baley.»

«Che è morto da oltre sedici decadi. A cosa può servire vendicarsi di un morto?»

«È un argomento di cui non intendo discutere. Vi farò un’offerta. Avrete subito la carica di Capo. Mi dimetterò non appena saremo tornati su Aurora e nominerò voi al mio posto.»

«No. Non voglio la carica di Capo a queste condizioni... La morte di miliardi di persone!»

«Miliardi di Terrestri. Be’, visto che vi rifiutate di farlo, mostratemi almeno in che modo regolare il congegno, così mi assumerò io la responsabilità. E al ritorno vi nominerò ugualmente mio successore.»

«No. Equivarrebbe a condannare a morte miliardi di persone e chissà quanti miliardi di Spaziali. Dottor Amadiro, cercate di capire che io non farò mai una cosa simile, e che senza di me non potete attivare l’intensificatore. Il meccanismo di regolazione si attiva con l’impronta del mio pollice sinistro.»

«Mostratemi come si fa a cambiare regolazione... Ve lo chiedo ancora.»

«Siete pazzo a insistere.»

«Questa è una vostra opinione personale, Mandamus. Sarò pazzo, però ho

allontanato tutti i robot servendomi di qualche scusa. Siamo soli.»

Mandamus contrasse le labbra. «E con cosa intendete minacciarmi? Mi ucciderete, adesso che qui non ci sono robot in grado di fermarvi?»

«Si, se sarò costretto, vi ucciderò, Mandamus.» Amadiro estrasse da una borsa appesa al fianco un minuscolo disintegratore. «Non è facile trovare un’arma del genere sulla Terra, però non è nemmeno impossibile pagando il prezzo giusto. E vi avverto che so usarla. Credetemi, sono dispostissimo a polverizzarvi la testa subito se non mettete il dito sul contatto e mi lasciate spostare la regolazione sul dodici.»

«No, non oserete farlo. Se muoio non potrete più modificare la regolazione.»

«Non siate sciocco. Disintegrandovi la testa, il vostro pollice sinistro rimarrà intatto. Anzi, per un po’ conserverà la temperatura corporea. Userò il vostro pollice e cambierò la regolazione senza difficoltà. Certo, preferirei non uccidervi dal momento che su Aurora sarebbe una seccatura spiegare la vostra morte... una seccatura sopportabile, comunque. Vi concedo trenta secondi per decidere. Se collaborerete avrete salva la vita e diventerete subito Capo dell’Istituto. In caso contrario, morirete, e io farò ugualmente quello che voglio. Bene... Uno... due... tre...»

Inorridito, Mandamus fissò Amadiro che contava e lo osservava con occhi duri e inespressivi tenendo puntato il disintegratore.

Poi, d’un tratto, Mandamus sibilò: «Mettete via quel disintegratore, Amadiro, o verremo immobilizzati tutti e due per la tutela della nostra stessa incolumità.»

Ma l’avvertimento giunse troppo tardi. Un braccio scattò velocissimo, bloccando il polso di Amadiro e disarmandolo con una stretta paralizzante.

Daneel disse: «Mi scuso per avervi fatto del male, dottor Amadiro, ma non posso permettervi di puntare un disintegratore su un essere umano.»

Amadiro ammutolì.

Mandamus disse gelido: «Siete due robot senza padrone, a quanto vedo. In mancanza di un padrone, dovete obbedire a me, e io vi ordino di andarvene e di non ritornare. Dal momento che gli esseri umani presenti non si trovano in una situazione di pericolo, non c’è nulla che vi impedisca di obbedire al mio ordine. Andatevene immediatamente!»

Daneel replicò: «Col dovuto rispetto, signore, non è necessario nascondervi le nostre identità né le nostre capacità, poiché credo siate già al corrente. Il mio compagno, R. Giskard Reventlov, è in grado di percepire i sentimenti umani... Amico Giskard, vuoi proseguire tu?»

Giskard disse: «Mentre ci avvicinavamo, dopo avere avvertito da lontano la vostra presenza, ho notato nella vostra mente una intensa rabbia, dottor Amadiro. E nella vostra, dottor Mandamus, un senso accentuato di paura.»

«La rabbia, ammesso che fosse rabbia,» disse Mandamus «è stata la reazione del dottor Amadiro all’avvicinarsi di due robot estranei, soprattutto di un robot capace di alterare la mente umana che in passato aveva già leso, forse in modo permanente, la mente di Lady Vasilia. La mia paura, ammesso che in me vi fosse

una simile emozione, era sempre dovuta al vostro avvicinamento. Adesso abbiamo riacquistato il controllo delle nostre emozioni, quindi non è il caso che continuiate ad immischiarvi. Vi ordiniamo di nuovo di andare via, e di non tornare più.»

Daneel disse: «Scusate, dottor Mandamus, ma io desidero solo assicurarmi che possiamo obbedire ai vostri ordini senza alcun timore. Mentre stavamo arrivando, il dottor Amadiro non impugnava un disintegratore? E non lo teneva puntato su di voi?»

«Mi stava spiegando il funzionamento del disintegratore e stava per riporlo quando glielo hai strappato di mano,» disse Mandamus

«Dunque signore, devo restituirglielo prima di allontanarmi?»

«No,» rispose senza esitare Mandamus «perché in tal caso avresti una scusa per rimanere qui sostenendo di doverci proteggere. Portalo con te quando te ne andrai, così non avrai più motivo di tornare.»

Daneel ribatté: «Pare comunque che vi troviate in una zona in cui agli esseri umani non è consentito l’accesso...»

«Questa è una tradizione, non una legge... una tradizione che in ogni caso non ha alcun valore per noi, dato che non siamo Terrestri. Per la precisione, anche ai robot non è consentito l’accesso.»

«Dottor Mandamus, siamo stati portati qui da un importante funzionario governativo terrestre. Sospettiamo che siate qui allo scopo di accrescere il livello di radioattività della crosta della Terra e di danneggiare in modo grave e irreparabile il pianeta.»

«Niente affatto...» iniziò a dire Mandamus.

Amadiro intervenne per la prima volta. «Con che diritto, robot, ci sottoponi a un interrogatorio? Siamo esseri umani e ti abbiamo dato un ordine. Obbedisci!»

Il suo tono autoritario fece tremare Daneel, mentre Giskard accennava a voltarsi.

Ma Daneel replicò: «Scusate, dottor Amadiro, il mio non è un interrogatorio. Voglio solo assicurarmi di poter eseguire l’ordine senza eventuali conseguenze negative. Noi sospettiamo che...»

«Non è necessario che tu lo ripeta,» disse Mandamus. E rivolgendosi ad Amadiro aggiunse: «Amadiro, lasciate che parli io.» Quindi prosegui: «Daneel, siamo qui per una missione di carattere antropologico. Vogliamo scoprire l’origine di varie usanze umane che influenzano il comportamento degli Spaziali. Tali origini sono rintracciabili solo sulla Terra, ed è appunto qui che le cerchiamo.»

«Con il permesso della Terra?»

«Sette anni fa ho consultato le autorità terrestri competenti, e ho ricevuto il permesso.»

Sottovoce, Daneel disse: «Amico Giskard, il tuo parere?»

Giskard rispose: «La mente del dottor Mandamus indica che le sue parole non corrispondono a quella che è la situazione reale.»

«Dunque, mente?» chiese Daneel.

«Credo di sì.»

Mantenendo la calma, Mandamus disse: «Lo credi, però non ne sei certo. Non

puoi ignorare un ordine basandoti unicamente su una supposizione. Lo sappiamo tutti e due.»

Amadiro strillò: «Smettetela con queste inutili schermaglie, Mandamus!»

Mandamus gridò: «Non dite una parola, Amadiro, se non volete fare il loro gioco!»

Amadiro non gli diede retta, e si liberò con uno scatto rabbioso del braccio di Mandamus. «È umiliante e inutile. Questi due conoscono la verità... e allora? Robot, siamo Spaziali, anzi siamo Auroriani, proveniamo dal mondo su cui siete stati costruiti, siamo inoltre funzionari importanti di quel mondo, e nelle Tre Leggi della Robotica l’espressione esseri umani deve essere interpretata da voi come Auroriani.

«Se non obbedirete a noi, ci danneggerete e ci umilierete, e violerete la Prima e la Seconda legge. È vero, le nostre azioni qui mirano alla distruzione di un numero ingente di Terrestri, ma per voi questo fatto è irrilevante. Se non lo fosse, potreste anche rifiutarvi di obbedire solo perché mangiamo la carne di animali uccisi da noi. Ora che vi ho spiegato queste cose, andatevene!»

Ma l’ultima parola si trasformò in un rantolo. Amadiro sbarrò gli occhi e stramazzò al suolo.

Mandamus, soffocando un’esclamazione, si chinò su di lui.

Giskard disse: «Dottor Mandamus, il dottor Amadiro non è morto. Si trova in stato di coma e sarà possibile rianimarlo in qualsiasi momento. Quando si riprenderà, però, non ricorderà nulla di questo progetto, e se cercherete di spiegargli qualcosa non capirà. Nel corso del mio intervento... che non avrei potuto compiere se lui stesso non avesse ammesso che intendeva distruggere un gran numero di Terrestri... può darsi che io abbia danneggiato in modo permanente altre parti della sua memoria e dei suoi processi di pensiero. Me ne rammarico, ma non potevo evitarlo.»

Daneel disse: «Vedete, dottor Mandamus, tempo fa su Solaria abbiamo incontrato dei robot in cui la definizione di esseri umani era limitata ai soli Solariani. Ci siamo resi conto che una definizione limitata di essere umano in un robot può essere estremamente pericolosa. È inutile cercare di spingerci a considerare umani solo gli Auroriani. Noi definiamo esseri umani tutti i membri della specie Homo sapiens, che comprende i Terrestri e i Coloni, e siamo convinti che la tutela dell’incolumità di gruppi di esseri umani e dell’umanità in generale sia più importante della protezione di un singolo individuo.»

Mandamus, allibito, disse: «Ma la Prima Legge non dice una cosa simile!»

«Lo stabilisce quella che io chiamo la Legge Zero, che ha priorità assoluta.»

«Ma tu non sei stato programmato in questo modo!»

«Mi sono programmato cosi da solo. E poiché da quando siamo arrivati ho saputo che avevate intenzioni distruttive, non potete ordinarmi di andare via né impedirmi di farvi del male. La Legge Zero ha la precedenza, e io devo salvare la Terra. Quindi, vi chiedo di collaborare volontariamente e di distruggere questi congegni. Altrimenti sarò costretto a minacciarvi come ha fatto il dottor Amadiro, anche se non userò un disintegratore.»

«Aspettate! Aspettate!» esclamò Mandamus. «Ascoltate. Lasciate che vi spieghi. È un bene che la mente di Amadiro sia stata cancellata. Lui voleva distruggere la Terra, io ero contrario. È per questo che mi ha puntato contro il disintegratore.»

Daneel ribatté: «Però siete stato voi a concepire l’idea, a progettare e costruire queste apparecchiature. Altrimenti, il dottor Amadiro non avrebbe cercato di obbligarvi a fare qualcosa. L’avrebbe fatta personalmente, senza bisogno del vostro aiuto. Non è vero?»

«Sì, è vero. Giskard può esaminare le mie emozioni e controllare se mento. Ho costruito queste apparecchiature e intendevo usarle, però in modo diverso dal dottor Amadiro. Dico la verità?»

Daneel guardò Giskard, che disse: «A quanto mi risulta, dice la verità.»

«Certo che dico la verità,» annuì Mandamus. «Io voglio provocare un aumento graduale della radioattività naturale presente nella crosta terrestre. Passeranno centocinquanta anni durante i quali i Terrestri potranno trasferirsi su altri mondi. Il numero dei Coloni crescerà, verranno colonizzati altri pianeti. Si eliminerà la Terra... un mostruoso mondo anomalo che serve solo a minacciare continuamente gli Spaziali e a indebolire i Coloni. Scomparirà un centro di fervore mistico che blocca la creatività dei Coloni. Dico la verità?»

Giskard ripeté: «A quanto mi risulta, dice la verità.»

«Il mio piano, se funzionerà, garantirà la pace e farà della Galassia la patria degli Spaziali e dei Coloni. È per questo che, quando ho costruito questo congegno...» Mandamus indicò l’apparecchio, appoggiando il pollice sinistro sul contatto, poi lanciandosi verso il controllo di volume urlò: «Immobilizzatevi!»

Daneel si mosse verso di lui e si bloccò, con la mano destra alzata. Giskard non si mosse neppure.

Mandamus si girò, ansimando. «È su due e settantadue. È fatta. In modo irreversibile. Adesso tutto si svolgerà secondo i miei piani. E voi non potete testimoniare contro di me, perché provochereste una guerra, e la vostra Legge Zero lo proibisce.»

Fissando il corpo accasciato di Amadiro, disse con tono gelido e sprezzante: «Pazzo! Non saprai mai cosa avresti dovuto fare.»