CAPITOLO SECONDO L’ANTENATO?

 

Ricordi!

Sempre presenti, certo, ma di solito nascosti. Poi, a volte, bastava la giusta sollecitazione perché emergessero all’improvviso, ben definiti, vividi, mobili e vivi.

Era di nuovo giovane, più giovane dell’uomo di fronte a lei; abbastanza giovane da soffrire di dolore e d’amore... con la sua esistenza opaca su Solaria giunta all’apice con l’amara fine del primo che lei avesse considerato come marito. (No, nemmeno ora avrebbe pronunciato il suo nome, nemmeno nell’intimità del pensiero.)

Più vicini al presente, i mesi di emozione intensa accanto al secondo compagno... non umano. Jander, il robot umanoide, le era stato dato, e lei lo aveva fatto interamente suo finché, come il primo marito, anche lui all’improvviso era morto.

Poi, finalmente, c’era stato Elijah Baley, che non era mai diventato suo marito, che lei aveva incontrato solo due volte, a due anni di distanza, e ogni volta per poche ore. Elijah, al quale una volta aveva toccato il viso con mano non guantata, infiammandosi... il cui corpo nudo in seguito aveva stretto tra le braccia, ardendo infine costantemente.

E quindi un terzo marito, con cui lei aveva conosciuto la pace e la quiete; niente trionfi, ma neppure infelicità. E grazie ad un oblio voluto con fermezza, il sollievo dal rivivere il passato.

Finché un giorno - non sapeva con certezza in che data si fosse spezzato l’equilibrio di quegli anni sonnolenti e sereni - Han Fastolfe le aveva chiesto il permesso di farle visita dalla sua residenza attigua...

...Gladia lo guardò con una certa ansietà, perché non si poteva socializzare alla leggera con un uomo così impegnato. Erano trascorsi appena cinque anni dalla crisi che aveva insediato Han come statista leader di Aurora. Era il Presidente del pianeta, di fatto se non d; nome, e il vero capo dei mondi spaziali. Gli rimaneva pochissimo tempo per essere un essere umano.

Quegli anni avevano lasciato il loro segno... e avrebbero continuato a farlo fino alla sua morte, una morte triste, perché Han si considerava un fallito anche se non aveva perso una sola battaglia. Kelden Amadiro, lo sconfitto, continuava a vivere caparbio, prova evidente del prezzo altissimo che a volte bisognava pagare per vincere.

Fastolfe aveva mantenuto il suo atteggiamento pacato, paziente, stoico, ma perfino Gladia, nonostante fosse al di fuori della politica e non nutrisse alcun interesse per le interminabili macchinazioni del potere, sapeva che Han riusciva a controllare Aurora solo a costo di uno sforzo assiduo e logorante che lo privava di

tutte quelle cose per cui valeva la pena di vivere, e che stringeva i denti solo per il bene di...? Di Aurora? Degli Spaziali? O si trattava semplicemente di un vago concetto di bene idealizzato?

Lei non lo sapeva, né intendeva fare domande.

Ma a cinque anni dalla crisi Han dava ancora l’impressione di essere un uomo giovane e speranzoso, e il suo viso di una bruttezza simpatica era ancora capace di sorridere.

«Ho un messaggio per te, Gladia.»

«Un messaggio piacevole, spero,» disse lei garbata.

Fastolfe aveva portato con sé Daneel. Era un segno che le vecchie ferite stavano cicatrizzandosi del tutto, il fatto che lei riuscisse a guardare Daneel con sincero affetto e senza alcun dolore, anche se era una copia quasi perfetta dello scomparso Jander. E riusciva perfino a parlargli, sebbene Daneel le rispondesse con una voce praticamente identica a quella dell’altro robot. Cinque anni avevano rimarginato la piaga, attutendo la sofferenza.

«Me lo auguro,» disse Fastolfe sorridendo. «È da parte di un vecchio amico.»

«Mi fa piacere avere vecchi amici,» commentò Gladia, sforzandosi di non apparire sardonica.

«Di Elijah Baley.»

I cinque anni svanirono, e Gladia avvertì la brusca stilettata dei ricordi che tornavano. «Sta bene?» chiese con voce strozzata dopo lunghi secondi di silenzio

«Benissimo. E, soprattutto, è vicino.»

«Vicino? Su Aurora?»

«In orbita attorno ad Aurora. Sa che non può ottenere il permesso di atterrare, anche se io dovessi usare tutta la mia influenza. Gli piacerebbe vederti, Gladia. Si è messo in contatto con me perché crede che io possa organizzare un incontro tra voi due sulla sua astronave. Immagino non sia un’impresa impossibile, questa... ma solo se tu lo desideri. Lo desideri?»

«Io... non so. È una cosa troppo improvvisa per pensare.»

«E per agire d’impulso?» Fastolfe attese, quindi disse: «Onestamente, Gladia... come va con tuo marito, Santirix?»

Lei lo fissò stralunata, afferrando un attimo dopo il motivo di quel cambio d’argomento. «Andiamo d’accordo.»

«Sei felice?»

«Non... non sono infelice.»

«Non parrebbe una situazione estatica.»

«Ammesso che esista, quanto può durare l’estasi?»

«Intendi avere figli, un giorno?»

«Sì.»

«Intendi cambiare il tuo stato coniugale?»

Lei scosse il capo decisa. «Per ora, no.»

«Allora, mia cara Gladia, se vuoi un consiglio da un uomo piuttosto stanco che si sente vecchio, rifiuta l’invito. Ricordo quel poco che mi hai detto dopo la partenza di Baley da Aurora e, francamente, credo di aver capito più di quanto

forse tu pensi. Vedendolo, potresti restare delusa, constatare che i dolci ricordi non corrispondono più alla realtà. E se non rimarrai delusa, peggio ancora, perché sconvolgerai in modo irreparabile una situazione piuttosto fragile.»

Gladia, che aveva pensato circa le stesse cose, si rese conto che le bastava solo aprir bocca per respingere tali affermazioni. «No, Han. Devo vederlo, ma ho paura di andare da sola. Verrai con me?»

Fastolfe sorrise debolmente. «Io non sono stato invitato, Gladia. E in ogni caso, non avrei potuto accettare. Il Consiglio si riunisce per una votazione importante. Sai, affari di Stato che richiedono la mia presenza.»

«Povero Han!»

«Sì, povero me. Ma non puoi andare sola. Se non sbaglio, non sai pilotare un astronave.»

«Oh! Be’, pensavo di imbarcarmi su...»

«Un trasporto commerciale?» Fastolfe scosse il capo. «Impossibile. Servendoti di un trasporto commerciale, la tua visita non avrebbe più alcun carattere di segretezza e sarebbe necessario un permesso speciale che richiederebbe settimane di tempo. Comunque, se non vuoi andare, Gladia, non sembrerà che tu non desideri vederlo. La colpa sarà delle lungaggini burocratiche. Sicuramente Baley non può aspettare intere settimane.»

«Ma io voglio vederlo,» ribadì Gladia con fermezza.

«In tal caso, puoi prendere la mia navetta privata. Ti accompagnerà Daneel. Maneggia benissimo i comandi, e anche lui è ansioso di vedere Baley. Vuol dire che questo viaggio rimarrà segreto.

«Ma tu ti creerai qualche guaio, Han...»

«Forse nessuno verrà a saperlo... o fingeranno di non avere scoperto nulla. E se dovessero crearmi qualche complicazione, be’, l’affronterò.»

Gladia piegò un istante il capo, pensierosa, poi disse: «Se non ti dispiace, Han, mi comporterò da egoista e rischierò di metterti nei guai. Sì, voglio andare da Elijah.»

«Bene, ci andrai.»

Era un’astronave piccola, più piccola di quanto Gladia avesse immaginato; intima e confortevole, da un lato, ma inquietante dall’altro. Per le sue dimensioni ridotte, non era dotata di pseudogravità, e la sensazione di imponderabilità, pur stimolandola di continuo ad abbandonarsi ad evoluzioni divertenti, nel medesimo tempo le ricordava di trovarsi in un ambiente anomalo.

Gladia era una Spaziale. C’erano oltre cinque miliardi di Spaziali sparsi su cinquanta mondi, tutti fieri di quel nome. Eppure, quanti di coloro che si definivano Spaziali erano veramente viaggiatori dello spazio? Pochissimi. Probabilmente, l’ottanta per cento di loro non aveva mai lasciato il pianeta di nascita. E del rimanente venti per cento, erano rari quelli che avevano attraversato lo spazio più di due o tre volte.

Lei non era di certo una Spaziale, nel senso letterale del termine, rifletté Gladia

cupa. Una volta sola si era spinta nello spazio, quando da Solaria si era trasferita su Aurora, sette anni prima. Ora stava solcando lo spazio una seconda volta, a bordo di un minuscolo yacht privato, per un breve viaggio appena oltre l’atmosfera, una distanza insignificante. E in compagnia di un’altra persona... no, non era nemmeno una persona.

Lanciò un’altra occhiata a Daneel nell’angusta cabina di pilotaggio. Era seduto ai comandi, parzialmente visibile. Non era mai andata in alcun posto, con un unico robot a disposizione. Su Solaria aveva potuto contare su centinaia, migliaia, di robot. Su Aurora, i robot disponibili di solito erano decine, se non ventine.

Lì, uno solo, invece.

«Daneel!» lo chiamò.

Daneel non distolse l’attenzione dai comandi. «Sì, Lady Gladia.»

«Sei contento di rivedere Elijah Baley?»

«Non saprei come descrivere con precisione il mio stato interiore, signora. Forse è analogo a quello che gli esseri umani definiscono contentezza.»

«Però, proverai pure qualcosa, no?»

«Ho la sensazione di riuscire a prendere le decisioni più rapidamente del solito; sembra che le mie reazioni giungano con maggior facilità, che i miei movimenti richiedano meno energia. Potrei interpretarla complessivamente come una sensazione di benessere. Almeno, ho sentito usare questa parola dagli esseri umani e credo indichi qualcosa di simile a quanto sto provando.»

«E se ti dicessi che desidero vederlo da sola?»

«In tal caso, verrebbe organizzato un incontro a due.»

«Anche se così facendo tu non lo vedresti?»

«Sì, signora.»

«Non ti sentiresti deluso? Cioè, non proveresti una sensazione opposta al benessere? Le tue decisioni non sarebbero più lente, le reazioni meno facili, i tuoi movimenti non richiederebbero più energia, e via dicendo?»

«No, Lady Gladia, perché proverei un senso di benessere eseguendo i vostri ordini.»

«Il tuo senso di piacere equivale alla Terza Legge, l’eseguire i miei ordini alla Seconda. E la Seconda Legge ha la precedenza, vero?»

«Sì, signora.»

Gladia si ritrovò a lottare contro la propria curiosità. Non avrebbe mai rivolto domande del genere a un robot qualsiasi, a una macchina. Ma non riusciva a pensare a Daneel come a una macchina, proprio come cinque anni prima non era riuscita a considerare Jander un semplice automa. Ma con Jander si era trattato solo dell’avvampare della passione, spentasi con la sua scomparsa. Nonostante la notevole somiglianza, Daneel non poteva riattizzare le ceneri. Con lui, c’era spazio soltanto per la curiosità intellettuale.

«Non ti infastidisce, Daneel, il fatto di essere limitato dalle Leggi?»

«Non riesco a immaginare nient’altro, signora.»

«Dalla mia nascita mi sono sentita soggetta alla forza di gravità, perfino durante il mio viaggio precedente a bordo di un’astronave, però riesco a immaginare di non

essere soggetta alla gravità. Infatti, eccomi qui, in assenza di gravità!»

«E vi piace, signora?»

«In un certo senso, sì.»

«Non vi crea alcun disagio?»

«Sì, provo anche un certo disagio.»

«A volte, signora, quando penso che gli esseri umani non sono vincolati da Leggi, mi sento a disagio.»

«Perché, Daneel? Non hai mai provato a capire perché il li; pensiero della mancanza di Leggi debba farti sentire a disagio?»

Dopo una breve pausa, Daneel disse: «Ho provato, Lady i. Gladia... E credo che non mi porrei simili domande se non fosse stato per la mia collaborazione con il Compagno Elijah. Lui di solito...»

«Sì, lo so,» annuì Gladia. «Lui si interrogava su tutto. La sua irrequietezza lo spingeva a far domande in continuazione, in ogni direzione.»

«Esatto. E io cercavo di essere come lui. Così mi sono chiesto cosa potesse significare la mancanza di Leggi, e ho scoperto di non riuscire a immaginare una simile condizione, se non in un unico modo... essere come un uomo. Un pensiero che mi ha fatto sentire a disagio. Allora mi sono chiesto quale fosse il motivo di questo disagio, proprio come avete appena fatto voi.»

«E la risposta?»

«Dopo lunghe riflessioni, ho deciso che le Tre Leggi governano il comportamento delle mie linee positroniche. In qualsiasi circostanza, sotto qualsiasi stimolo, le Leggi stabiliscono la direzione e l’intensità del flusso positronico lungo quelle linee, in modo tale che io so sempre cosa fare. Eppure il livello di conoscenza esecutiva non è sempre lo stesso. A volte, il mio imperativo d’azione è meno accennato. Ho notato che più è basso il potenziale costrittivo positronico, più la mia decisione d’intervento è incerta. E con l’aumentare dell’incertezza, aumenta il mio malessere. Decidere un’azione in un millisecondo invece che in un nanosecondo produce in me una sensazione di malessere che io spero sempre cessi quanto prima. “E se fossi del tutto privo di Leggi come gli esseri umani?” mi sono chiesto allora, signora. “Se in una data situazione non sapessi decidere con chiarezza come reagire?” Ebbene, sarebbe una cosa insopportabile, e preferisco non pensarci.»

«Eppure lo fai, Daneel,» commentò Gladia. «Lo stai facendo anche adesso.»

«Solo perché ho frequentato il Compagno Elijah, signora. L’ho osservato in situazioni in cui momentaneamente era incapace di decidere che azione adottare per la natura sconcertante dei problemi da affrontare. Si trovava chiaramente in uno stato di malessere, ed io provavo a mia volta un senso di malessere perché non potevo fare nulla per aiutarlo. È impossibile che io abbia afferrato solo una piccolissima parte di quello che lui provava. Se avessi colto più a fondo le conseguenze della sua incapacità di decidere, forse avrei...» Daneel si interruppe.

«Avresti cessato di funzionare? Ti saresti disattivato?» disse Gladia, pensando per un doloroso attimo a Jander.

«Sì, signora. Può darsi che la mia incapacità di capire a fondo sia un

meccanismo interno di protezione contro eventuali danni al mio cervello positronico. Ma ho notato pure che, per quanto trovasse angosciosa la propria indecisione, il Compagno Elijah continuava a sforzarsi per risolvere il problema. Lo ammiravo moltissimo proprio per questo.»

«Dunque sei capace di ammirazione, vero?»

Daneel disse solennemente: «Uso questo termine così come l’ho sentito usare dagli esseri umani. Non saprei con quale parola esprimere la reazione suscitata in me dal coraggio e dall’abnegazione del Compagno Elijah.»

Gladia annuì, quindi disse: «Eppure, ci sono regole che governano anche le reazioni umane... certi istinti, stimoli, insegnamenti.»

«È quel che pensa l’amico Giskard, signora.»

«Davvero?»

«Però gli sembrano elementi troppo complessi da analizzare. Si chiede se un giorno non verrà sviluppato un sistema di analisi matematica del comportamento umano, da cui ricavare leggi valide che illustrino le regole di tale comportamento.»

«Dubito sia possibile.»

«Anche l’amico Giskard non è ottimista. Crede che passerà molto tempo prima che venga elaborato un sistema del genere.»

«Moltissimo tempo,» concordò Gladia.

«Bene, adesso stiamo avvicinandoci alla nave terrestre e dobbiamo effettuare le operazioni di attracco, che non sono semplici,» annunciò Daneel.

A Gladia sembrò che l’attracco richiedesse più tempo del viaggio stesso per portarsi nell’orbita dell’astronave della Terra.

Daneel rimase calmo durante ogni fase della manovra – del resto, non avrebbe potuto fare diversamente - e le assicurò che tutte le astronavi umane erano in grado di attraccare tra loro indipendentemente dalle differenze di stazza e di costruzione.

«Come gli esseri umani,» commentò Gladia, con un sorriso forzato, ma Daneel non replicò. Era assorto in delicate regolazioni. L’attracco era sempre possibile, forse... ma questo non significava che fosse sempre facile.

Gladia era sempre più nervosa. I Terrestri avevano una vita breve e invecchiavano in fretta. Erano passati cinque anni da quando aveva visto Elijah. Chissà di quanto era invecchiato. Che aspetto avrebbe avuto? Lei sarebbe riuscita a nascondere il proprio shock o il proprio orrore di fronte a un cambiamento inevitabile?

Ma a parte l’aspetto, lui sarebbe stato ancora l’Elijah al quale Gladia era legata da una gratitudine senza limiti?

Era davvero gratitudine?

Gladia si accorse di avere le mani intrecciate spasmodicamente, al punto di avere le braccia indolenzite. Solo con uno sforzo riuscì a rilassare i muscoli.

Capì che l’attracco era ultimato. La nave terrestre era abbastanza grande da disporre di un generatore pseudogravitazionale e, nell’attimo stesso dell’aggancio, il campo di gravità si espanse, comprendendo pure il minuscolo yacht. Ci fu un lieve effetto rotazionale, mentre la direzione del pavimento diventava di colpo il basso, e Gladia si sentì risucchiata per qualche centimetro provando un senso di

nausea. Le ginocchia le si piegarono all’impatto. Sbilanciata, cadde contro la parete.

Si drizzò con una certa fatica, seccata con se stessa per non avere previsto quel cambiamento ed essersi lasciata cogliere impreparata.

L’annuncio di Daneel era ormai superfluo. «Attracco compiuto, signora. Il Compagno Elijah chiede il permesso di salire a bordo.»

«Certo, Daneel.»

Si udì un ronzio, e una sezione della parete si dilatò formando una specie di vortice. Una figura rannicchiata varcò l’apertura, e un istante dopo la parete si contraeva, richiudendosi.

La figura si drizzò, e Gladia sussurrò: «Elijah!» mentre un senso di sollievo e contentezza si impossessava di lei. Le sembrava che i suoi capelli fossero più grigi, ma per il resto era Elijah. Nessun altro cambiamento degno di nota, nessuna traccia di invecchiamento nonostante quanto aveva temuto.

Lui sorrise, e per un attimo parve divorarla con gli occhi Poi alzò l’indice, quasi invitandola ad aspettare, e si avviò verso Daneel.

«Daneel!» Elijah strinse le spalle del robot, scuotendolo «Non sei cambiato. Giosafatte! Sei la costante delle nostre vite.»

«Collega Elijah. È bello rivederti.»

«È bello sentirmi chiamare di nuovo collega e vorrei che fossimo ancora soci. È la quinta volta che ci incontriamo, ma la prima volta che non ho un problema da risolvere. Non sono nemmeno più un agente investigativo. Ho dato le dimissioni e sto emigrando su uno dei nuovi mondi. Dimmi, Daneel... perché quando il dottor Fastolfe è venuto in visita sulla Terra tre anni fa non l’hai accompagnato?»

«È stato il dottor Fastolfe a decidere così. Ha preferito portare Giskard.»

«Sono rimasto deluso, Daneel.»

«Per me sarebbe stato piacevole rivederti, Compagno Elijah ma il dottor Fastolfe mi ha detto in seguito che il viaggio aveva avuto esito favorevole, quindi forse la sua decisione era quella corretta.»

«Già, il viaggio ha proprio avuto esito favorevole. Prima della visita, il governo terrestre era restio a collaborare al Progetto di Colonizzazione, adesso invece l’intero pianeta ribolle di energia e milioni di persone sono ansiose di partire. Non abbiamo navi sufficienti per accoglierli tutti, nonostante l’aiuto di Aurora, e non abbiamo mondi sufficienti, perché ogni mondo deve prima essere adattato. Sono necessari cambiamenti perché un pianeta possa ospitare una comunità umana. Quello su cui sono diretto ha un’atmosfera povera di ossigeno, e per una generazione dovremo vivere in città chiuse da cupole in attesa che la vegetazione di tipo terrestre si diffonda sul pianeta.» Gli occhi di Elijah si spostavano sempre più spesso verso Gladia, che sedeva sorridente.

Daneel disse: «Un fenomeno prevedibile. Da quel che ho appreso della storia umana, anche i mondi degli Spaziali hanno attraversato un periodo di riconversione ambientale.»

«Certamente! E grazie a tali esperienze, oggi il processo può essere portato a termine più rapidamente... Ora, se vuoi farmi la cortesia di restare un po’ nella

cabina di pilotaggio, Daneel?... Dovrei parlare con Gladia.»

«D’accordo, Compagno Elijah.»

Daneel si ritirò oltre il portello arcuato, e Baley guardò Gladia con un’espressione interrogativa, compiendo un gesto orizzontale con la mano.

· Capendo perfettamente, lei si mosse e toccò il contatto che fece scorrere silenziosamente il pannello divisorio. Erano soli.

Baley tese le mani. «Gladia!»

Lei le strinse, senza nemmeno pensare che era priva di guanti. «Anche se fosse rimasto con noi, Daneel non ci avrebbe disturbato.»

«Fisicamente, no. Psicologicamente, sì!» Baley sorrise mesto. «Perdonami, Gladia. Dovevo parlare con lui, prima.»

«Lo conosci da più tempo... Spetta a lui la preferenza.»

«No, non gli spetta... Il fatto è che Daneel è indifeso. Se sei in collera con me, Gladia, puoi darmi uno schiaffo. Daneel non può. Io posso ignorarlo, ordinargli di andarsene, trattarlo come se fosse un robot, e lui è costretto ad obbedire e ad essere nel medesimo tempo un compagno fedele incapace di lamentarsi.»

«Il fatto è che Daneel è davvero un robot, Elijah!»

«Non per me, Gladia. La mia mente sa che è un robot e che non ha sentimenti in senso umano, però il mio cuore lo considera un essere umano, per cui devo trattarlo in quanto tale. Se potessi, chiederei al dottor Fastolfe di lasciarmi portare Daneel con me, ma i robot non sono ammessi sui nuovi mondi dei Coloni.»

«Non hai mai pensato di portare me, invece?»

«Nemmeno gli Spaziali sono ammessi.»

«Pare che voi Terrestri abbiate lo stesso irragionevole atteggiamento esclusivo di noi Spaziali.»

Baley annuì con aria depressa. «Pazzia comune. Ma anche se non fossimo pazzi, non ti porterei con me. Forse sarebbe una vita troppo dura per te, ed io non avrei mai la certezza della piena efficienza dei tuoi meccanismi immunitari. Avrei paura che tu morissi subito di una banale infezione... o che vivessi così a lungo da veder morire intere generazioni... Perdonami, Gladia.»

«Perché dovrei perdonarti, Elijah?»

«Per... questo.» Lui allargò le mani, i palmi rivolti al soffitto. «Per aver chiesto di vederti.»

«Ma sono contenta che tu l’abbia fatto. Anch’io volevo vederti.»

«Lo so. Ho cercato di controllarmi, ma il pensiero di trovar` mi nello spazio e di non fermarmi qui mi lacerava. Eppure questo incontro non gioverà a nessuno dei due, Gladia. Dovremo dirci addio un’altra volta, e anche questo addio mi spezzerà il cuore. È per questo che non ti ho mai scritto, che non ho mai cercato di mettermi in contatto con te via iperonda. Certamente, ti sarai chiesta il perché del mio silenzio assoluto.»

«Non proprio. Sono d’accordo con te... sarebbe stato inutile. Sarebbe servito solo a rendere le cose più difficili. Comunque, io ti ho scritto parecchie volte.»

«Davvero? Non ho ricevuto nessuna lettera.»

«Non le ho mai spedite. Le distruggevo, dopo averle scritte.»

«Perché?»

«Perché nessuna lettera privata può essere spedita da Aurora sulla Terra senza passare tra le mani del censore e le cose che scrivevo non dovevano essere viste da nessuno. E se tu mi avessi scritto, nessuna lettera sarebbe arrivata fino a me, per quanto innocente potesse essere. Credevo di non avere mai ricevuto nulla per questo motivo. Ora che so che eri all’oscuro della situazione, sono felicissima che tu non sia stato così sciocco da cercare di rimanere in contatto con me. Avresti interpretato male il mio silenzio.»

Baley la fissò. «Questo incontro, allora?»

«È illegale, te lo garantisco. Sto usando un mezzo privato del dottor Fastolfe, e solo così ho potuto superare la sorveglianza aerea senza che mi bloccassero. Se questo yacht non fosse del dottor Fastolfe, mi avrebbero fermata e rimandata indietro. Credevo lo sapessi, e che proprio per questo motivo avessi contattato Fastolfe invece di chiamarmi direttamente.»

«No, non lo sapevo. È sorprendente come la mia doppia ignoranza mi abbia aiutato. Anzi, tripla, perché non conoscevo la combinazione iperonda per raggiungerti direttamente, e cercare di scoprirla sulla Terra sarebbe stato troppo complicato. Non avrei potuto farlo privatamente, e i commenti su noi due che circolano in tutta la Galassia sono più che sufficienti, grazie a quello stupido dramma iperonda che hanno diffuso dopo i fatti di Solaria. In caso contrario, ti assicuro che avrei provato. Comunque, avevo la combinazione del dottor Fastolfe, e una volta in orbita attorno ad Aurora non ho esitato a chiamarlo.»

«In ogni modo, eccoci qui, adesso.» Gladia si sedette su un lato della cuccetta e tese le mani.

Baley le strinse e fece per sistemarsi su uno sgabello su cui aveva appoggiato un piede, ma lei lo attirò verso la cuccetta e lo costrinse ad accomodarsi accanto a sé.

Impacciato, Elijah disse: «Come va, Gladia?»

«Abbastanza bene. E a te?»

«Invecchio. Tre settimane fa ho festeggiato il mio cinquantesimo compleanno.»

«Cinquant’anni non sono...» Gladia tacque.

«Per un Terrestre sì, sono molti. Non siamo longevi, ricordalo.»

«No, non sono molti, neppure per un Terrestre. Non sei cambiato.»

«Gentile da parte tua, Gladia, ma le rughe le vedo benissimo, e sono sempre più numerose... Gladia...»

«Sì, Elijah?»

«Devo chiedertelo. Tu e Santirix Gremionis vi...»

Lei annuì, sorridendo. «È mio marito. Ho seguito il tuo consiglio.»

«E ha funzionato?»

«Discretamente, direi. È una vita piacevole.»

«Bene. Spero che duri.»

«Nulla dura per secoli, Elijah, però potrebbe durare anni, forse addirittura decadi.

«Bambini?»

«Non ancora. Ma, e la tua famiglia? Tuo figlio? Tua moglie?»

«Bentley si è trasferito su una delle colonie, due anni fa. Sto per raggiungerlo. È un funzionario importante del mondo su cui sono diretto. Ha soltanto ventiquattro anni, ma è già stimato.» Gli occhi di Baley brillarono «Credo che dovrò rivolgermi a lui chiamandolo Vostro Onore. In pubblico, almeno.»

«Eccellente. E la signora Baley? È con te?»

«Jessie? No. Non vuole lasciare la Terra, lei. Le ho detto che per parecchio tempo avremmo vissuto all’interno di cupole, che quindi non ci sarebbe stata una grossa diversità rispetto alla Terra, a parte un genere di esistenza più primitiva, naturalmente. Comunque, può darsi che cambi idea. Cercherò di sistemarmi nel miglior modo possibile, poi chiederò a Bentley di andare a prenderla. Forse allora si sentirà abbastanza sola da decidere di venire. Vedremo.»

«Ma, nel frattempo, tu pure sei solo.»

«Ci sono più di cento emigranti sulla nave: proprio solo non sono.»

«Sull’altro lato della parete, comunque... E anch’io sono sola, qui.» Baley lanciò una breve occhiata involontaria verso la cabina di pilotaggio, e Gladia aggiunse: «A parte Daneel, che è dietro quel portello, e che è un robot, per quanto tu lo consideri una persona... E sicuramente non avrai voluto che ci incontrassimo solo per fare quattro chiacchiere sulle nostre famiglie, vero?»

Il volto di Baley assunse un’espressione solenne, quasi ansiosa. «Non posso chiederti di...»

«Allora te lo chiedo io. Questa cuccetta non è stata progettata per raccogliere attività sessuali, ma spero non ti spaventi il rischio di cadere.»

Esitante, lui disse: «Gladia, non posso negare di...»

«Oh, Elijah, non perderti adesso in una lunga dissertazione per soddisfare le esigenze della tua morale terrestre. Sono io che mi offro a te secondo le consuetudini di Aurora. Logicamente, è tuo diritto rifiutare, e io non avrò alcun diritto di contestare il tuo rifiuto... Solo che in questo caso credo che contesterei vivacemente, visto che ho deciso che il diritto al rifiuto spetta unicamente agli Auroriani. Da un Terrestre, non posso accettarlo.»

Baley sospirò. «Non sono più un Terrestre, Gladia.»

«E figuriamoci se posso accettarlo da un misero emigrante diretto su un pianeta barbaro, dove dovrà vivere rannicchiato sotto una cupola... Elijah, abbiamo avuto cosi poco tempo, e può darsi che non ti veda mai più. Questo incontro è talmente inaspettato che sarebbe un crimine cosmico gettarlo via.»

«Gladia, vuoi veramente un vecchio?»

«Elijah, vuoi proprio che ti supplichi?»

«Ma mi vergogno.»

«Chiudi gli occhi, allora.»

«Mi vergogno di me stesso... del mio corpo decrepito.»

«Allora, soffri pure. Il tuo sciocco orgoglio personale non ha nulla a che fare con me.» E Gladia lo cinse con le braccia, mentre il suo abito si apriva.

* * *

Gladia fu consapevole di diverse cose contemporaneamente.

Della meraviglia della costanza, perché Elijah era come lo ricordava. Quei cinque anni non avevano modificato granché. Lei non aveva vissuto nel riflesso di uno splendore intensificato dalla memoria. Quello era il suo Elijah.

Era anche consapevole del rompicapo della differenza. Quel che provava ora le rivelava con grande intensità che Santirix Gremionis, pur non avendo alcun difetto preciso, era un difetto unico. Era affettuoso, gentile, ragionevole, intelligente... e scialbo. Gladia non avrebbe saputo spiegare perché fosse scialbo, ma nulla di quel che il marito faceva o diceva riusciva a stimolarla al pari di Baley, perfino quando quest’ultimo non faceva né diceva nulla. Baley era più avanti negli anni, era molto più vecchio fisiologicamente, non era bello quanto Santirix, e soprattutto portava con sé l’aria indefinibile del decadimento... l’aura di rapido invecchiamento e di scarsissima longevità di tutti i Terrestri. Tuttavia...

Gladia era consapevole della follia degli uomini, di Elijah che le si accostava con esitazione, completamente ignaro del suo effetto su di lei. Era consapevole della sua assenza, perché era andato a parlare con Daneel, cui spettava il privilegio di essere l’ultimo dopo essere stato il primo. I Terrestri temevano e odiavano i robot, eppure Elijah pur sapendo che Daneel era un robot lo trattava da persona. Invece gli Spaziali, che amavano i robot e in loro assenza non si sentivano mai a proprio agio, li consideravano sempre semplici macchine.

E soprattutto Gladia era consapevole del tempo. Sapeva che erano trascorse tre ore e venticinque minuti da quando Elijah era salito sullo yacht di Han Fastolfe, e che il loro incontro non poteva durare ancora a lungo.

Con il protrarsi della sua assenza dalla superficie di Aurora, e della permanenza in quell’orbita dell’astronave di Baley, aumentavano le probabilità che qualcuno notasse qualcosa... o se lo strano volo era già stato scoperto, il che era quasi certo, aumentavano le probabilità che qualcuno diventasse troppo curioso e decidesse di indagare. Dopo di che Fastolfe si sarebbe trovato in una situazione seccante e problematica.

Baley emerse dalla cabina di pilotaggio, guardando Gladia triste. «Adesso devo andare, Gladia.

«Lo so benissimo.»

«Daneel si prenderà cura di te. Sarà tuo amico, oltre che tuo protettore, e tu devi essergli amica... per amor mio. Però voglio che tu dia ascolto a Giskard. Sarà lui il tuo consigliere.»

Gladia aggrottò le ciglia. «Perché Giskard? Non sono certa che mi piaccia.»

«Non pretendo che ti piaccia. Ti chiedo solo di fidarti di lui.»

«Ma, perché, Elijah?»

«Non posso dirtelo. Anche in questo dovrai fidarti di me.»

Si guardarono, senza aggiungere altro. Sembrò che il silenzio potesse arrestare il tempo permettendo loro di aggrapparsi a quegli ultimi secondi e di bloccarne lo scorrere.

Ma era un espediente di scarsa efficacia. Infine, Baley disse: «Non ti sei pentita di...».

«E come potrei... dal momento che forse non ti vedrò mai più?» sussurrò lei. Baley fece per ribattere, ma Gladia gli posò sulla bocca la piccola mano stretta a pugno.

«Non mentire inutilmente,» gli disse. «Forse non ti rivedrò mai più.» E non lo rivide. Mai più!

Fu con dolore che si sentì nuovamente trascinata nel presente attraverso la distesa desolata degli anni.

“Non l’ho più rivisto,” pensò. “Mai più!”

Si era protetta così a lungo da quella nostalgica amarezza e adesso vi era ripiombata, perché aveva incontrato Mandamus... perché Giskard le aveva chiesto di farlo e perché lei doveva fidarsi di Giskard. Era stata l’ultima richiesta di Elijah.

Si concentrò sul presente. Quanto tempo era trascorso?

Mandamus la stava osservando, gelido. «Dalla vostra reazione, Lady Gladia, deduco che è tutto vero. Non avreste potuto darmi una risposta più esauriente.»

«È vero cosa? Di cosa state parlando?»

«Che avete visto il Terrestre Elijah Baley cinque anni dopo la sua visita su Aurora. La sua astronave era in orbita attorno ad Aurora; voi l’avete raggiunta, ed eravate con lui nel periodo in cui avete concepito vostro figlio.»

«Che prove avete per affermarlo?»

«Signora, non si è trattato proprio di un segreto. La nave terrestre è stata individuata nello spazio. Lo yacht di Fastolfe è stato individuato mentre la raggiungeva e attraccava a bordo dello yacht Fastolfe non c’era, quindi, logico supporre che il passeggero foste voi. L’influenza del dottor Fastolfe è stata sufficiente a far sì che l’episodio non venisse ufficializzato.»

«Se non c’è nulla di ufficiale, non ci sono prove.»

«Comunque, il dottor Amadiro ha trascorso gli ultimi due terzi della sua vita seguendo i movimenti del dottor Fastolfe con l’occhio di chi detesta. Sono sempre esistiti funzionari governativi d’accordo con la politica del dottor Amadiro, favorevoli a una Galassia riservata agli Spaziali, e pronti a riferirgli confidenzialmente qualsiasi cosa ritenessero potesse interessargli. Il dottor Amadiro ha saputo della vostra scappatella non appena è successa, praticamente.»

«Ma questa non è una prova. La parola non comprovata di un qualsiasi funzionario minore a caccia di promozioni non ha alcun valore. Amadiro non è intervenuto in alcun modo perché si rendeva conto di non disporre di prove valide.»

«Non aveva prove valide per accusare qualcuno di atti illegali, né per causare guai a Fastolfe... ma sufficienti a sospettarmi di discendere da Baley e a rovinarmi la carriera.»

Gladia disse arcigna: «Potete smettere di preoccuparvi. Mio figlio è il figlio di Santirix Gremionis, un vero Auroriano, ed è da lui che voi discendete.»

«Convincetemi di questo, signora. Non chiedo altro. Convincetemi che siete partita con lo yacht e che avete passato qualche ora sola con il Terrestre e che, in

quel lasso di tempo, avete parlato, magari di politica, o avete discusso del passato e dei vecchi amici, o vi siete raccontati aneddoti divertenti, e non vi siete mai toccati. Convincetemi.»

«Quello che abbiamo fatto non ha alcuna importanza, quindi risparmiatemi il vostro sarcasmo. Quando l’ho incontrato, ero già incinta. Avevo in grembo un feto di tre mesi, un feto Auroriano.»

«Potete dimostrarlo?»

«Perché dovrei? La data di nascita di mio figlio è regolarmente registrata, e Amadiro conoscerà senza dubbio la data del mio incontro con il Terrestre.»

«All’epoca gli è stata riferita, certo, però sono trascorse quasi venti decadi e lui non ricorda con esattezza. Come vi ripeto, non esiste documentazione ufficiale dell’incontro. E temo che il dottor Amadiro preferisca credere che sia avvenuto nove mesi prima della nascita di vostro figlio.»

«Sei mesi.»

«Dimostratelo.»

«Avete la mia parola.»

«Non basta.»

«Be’, allora, Daneel, tu eri con me. Quando ho incontrato Elijah Baley?»

«Lady Gladia, lo avete incontrato centosettantatre giorni prima della nascita di vostro figlio.»

«Cioè, circa sei mesi prima della nascita,» disse Gladia.

«Non è sufficiente,» insisté Mandamus.

Gladia alzò il mento. «La memoria di Daneel è perfetta, com’è facilmente dimostrabile, e le dichiarazioni di un robot hanno valore di prova nei tribunali di Aurora.»

«I tribunali non c’entrano, e la memoria di Daneel non ha alcun peso per il dottor Amadiro. Daneel è stato costruito da Fastolfe, che ne ha curato la manutenzione per quasi due secoli. Non possiamo stabilire quali modifiche siano state inserite nel robot, né quali istruzioni possa aver ricevuto per tutto quanto concerne il dottor Amadiro.»

«Allora, provate un po’ a ragionare, Mandamus. Geneticamente, i Terrestri sono abbastanza diversi da noi. In pratica siamo specie diverse. Non c’è fertilità reciproca.»

«È una teoria tutta da dimostrare.»

«In tal caso, ci sono le registrazioni genetiche da consultare... quella di Darrel e quella di Santirix. Basta confrontarle. Se il mio ex marito non fosse suo padre, le differenze genetiche lo indicherebbero in modo inequivocabile.»

«Le registrazioni genetiche non sono disponibili a chiunque. Lo sapete benissimo.»

«Amadiro non è il tipo da perdersi in considerazioni etiche Con la sua influenza, può consultarle illegalmente. O teme di scoprire che le sue ipotesi sono errate?»

«Quali che siano i motivi, signora, il dottor Amadiro non violerà mai questo diritto auroriano all’intimità.»

«Oh, allora andate nello spazio a respirarvi una boccata di vuoto e soffocate,» sbottò Gladia. «Se il vostro Amadiro non vuole lasciarsi convincere, non è affar mio. Voi, almeno, dovreste esservi convinto, ed è compito vostro cercare di far ragionare Amadiro. Se non ci riuscite, e se la vostra carriera non seguirà gli sviluppi sperati, vi assicuro che la cosa non mi tocca né mi riguarda minimamente.»

«Questo non mi sorprende. Non mi aspettavo diversamente. Comunque, io sono convinto. Speravo solo che mi forniste qualcosa di concreto con cui far leva sul dottor Amadiro. Ma non avete nulla del genere.»

Gladia scrollò le spalle, sdegnosa.

«Userò altri metodi, dunque,» disse Mandamus.

«Sono felice che disponiate di altri metodi,» commentò Gladia gelida.

A bassa voce, quasi rivolto a se stesso, Mandamus aggiunse: «Anch’io lo sono. Quelli che mi rimangono sono metodi molto efficaci.»

«Bene. Io vi suggerisco di provare col ricatto. Amadiro deve avere sulla coscienza parecchie cose sporche con cui ricattarlo.»

Mandamus sollevò lo sguardo, corrugando di colpo la fronte. «Non siate sciocca.»

«Ecco, ora potete andarvene. Credo di avervi già sopportato abbastanza. Fuori dalla mia residenza!»

Mandamus alzò le braccia. «Aspettate! Vi ho detto fin dall’inizio che volevo vedervi per due motivi... una questione personale, e una questione di Stato. Mi sono dilungato troppo sulla prima, ma devo chiedervi cinque minuti per discutere della seconda.»

«Vi concedo cinque minuti esatti.»

«C’è qualcun altro che vuole vedervi. Un Terrestre... o, almeno, un appartenente a uno dei mondi dei Coloni, un discendente della Terra.»

«Ditegli che né i Terrestri né i loro discendenti Colonizzatori possono mettere piede su Aurora, e mandatelo via,» rispose Gladia. «Perché dovrei vederlo?»

«Sfortunatamente, signora, negli ultimi due secoli l’equilibrio del potere è cambiato. Questi Terrestri hanno più mondi di noi... e hanno sempre avuto una popolazione molto più numerosa. Hanno più astronavi, anche se non sono all’altezza delle nostre, e per la brevità della loro vita e la loro fecondità sembrano più disposti a morire di quanto non lo siamo noi.»

«Quest’ultima affermazione mi pare sbagliata.»

Mandamus si concesse un sorrisetto teso. «Niente affatto. Otto decadi significano molto meno di quaranta. In ogni caso, dobbiamo trattarli educatamente... molto più educatamente di quanto non dovessimo fare ai tempi di Elijah Baley. Se può consolarvi, è la politica di Fastolfe che ha creato questa situazione.»

«Di chi siete il portavoce, a proposito? È Amadiro che adesso si vede costretto ad essere cortese con i Colonizzatori?»

«No. Il Consiglio.»

«Siete il portavoce del consiglio?»

«Non ufficialmente però mi è stato chiesto di informarvi... in via ufficiosa.»

«E se acconsentissi? Perché questo Colono vuole vedermi?»

«Non lo sappiamo, signora. Contiamo su di voi perché ci riferiate tutto, in seguito. Dovreste vederlo, scoprire cosa vuole, e poi riferirlo a noi.»

«Noi, chi?»

«Il Consiglio, come vi ho detto. Il Colono sarà qui da voi questa sera.»

«Sembra diate per scontato che io non possa far altro che accettare questo ruolo di informatrice.»

Mandamus si alzò in piedi, indicando chiaramente che la sua missione era terminata. «Non sarete un’informatrice. Non dovete nulla a questo Colono. Darete semplicemente informazioni utili al vostro governo, da fedele cittadino di Aurora. Non vorrete che il Consiglio pensi che i vostri natali solariani influenzino negativamente il vostro patriottismo verso Aurora, vero?»

«Signore, sono cittadina di Aurora da molto più tempo di voi.»

«Indubbiamente, però siete nata e cresciuta su Solaria. Un’anomalia insolita, un’Auroriana di nascita straniera. È difficile dimenticarlo, vedete... soprattutto dal momento che il Colono vuole incontrare proprio voi appunto perché siete nata su Solaria.»

«Come lo sapete?»

«Una facile deduzione. Vi chiama la donna solariana. Siamo curiosi di scoprire come mai questo fatto possa avere un particolare significato per lui... ora che Solaria non esiste più.»

«Domandateglielo.»

«Preferiamo domandarlo a voi... dopo che voi lo avrete domandato a lui. Adesso vi chiedo il permesso di congedarmi, e vi ringrazio per la vostra ospitalità.»

Gladia annuì rigida. «Vi accordo questo permesso volentieri, mentre non vi ho accolto volentieri come ospite.»

Mandamus s’incamminò verso il corridoio che conduceva all’ingresso, seguito dai suoi robot.

Prima di lasciare la stanza, si fermò, si girò e disse: «Quasi me ne dimenticavo...».

«Sì?»

«Il Colono che desidera vedervi ha un cognome curioso... per una strana coincidenza, si chiama Baley.»