CAPITOLO SEDICESIMO LA CITTÀ

 

Gladia disse: «Scherzate, D.G.? Intendevate davvero scontrarvi con quella nave?»

«Niente affatto,» rispose lui, indifferente. «Tutto previsto. Mi sono solo scagliato verso di loro, sapendo che si sarebbero ritirati. Quegli Spaziali non avrebbero mai rischiato le loro lunghe, meravigliose vite.»

«Quegli Spaziali? Ah, che vigliacchi sono

D.G. si schiarì la voce. «Continuo a dimenticare che siete una Spaziale, Gladia.»

«Sì, e immagino pensiate sia un complimento. E se fossero stati sciocchi quanto voi... se avessero dimostrato la stessa follia infantile che voi considerate coraggio... se fossero rimasti fermi? Cosa avreste fatto?»

«Li avrei colpiti,» borbottò D.G.

«E saremmo morti tutti.»

«La perdita maggiore sarebbe stata loro, Gladia. Un vecchio mercantile dei Coloni in cambio di una sofisticata nave da guerra del principale mondo spaziale.» D.G. inclinò la sedia contro la parete portando le mani dietro il collo. «Una volta ho visto un iperromanzo storico in cui, verso la fine di una guerra, degli aeroplani carichi di esplosivo si tuffavano deliberatamente su navi oceaniche molto più costose per affondarle. Naturalmente, i piloti degli aeroplani perdevano la vita.»

«Storie inventate,» commentò Gladia. «Non crederete che delle persone civili facciano cose del genere nella realtà, vero?»

«Perché no? Basta farle per una giusta causa.»

«Ah, e cosa avete provato nel tuffarvi verso una morte gloriosa? Esaltazione? Stavate trascinando con voi tutto l’equipaggio, o lo avevate scordato?»

«Lo sapevano. Non potevamo fare diversamente. La Terra ci stava guardando.»

«I Terrestri non sapevano nulla.»

«Parlavo metaforicamente. Eravamo nello spazio terrestre no? Non potevamo comportarci in modo ignobile.»

«Oh, che sciocchezze! E avete messo a repentaglio anche la mia vita!»

D.G. abbassò lo sguardo. «Volete che vi racconti una cosa assurda? Quello era l’unico fatto che mi preoccupasse.»

«Cioè che avrei potuto morire?»

«Non proprio... Che avrei potuto perdervi. Quando gli Auroriani mi hanno ordinato di consegnarvi a loro, ho capito che non lo avrei fatto... anche se foste stata voi a chiedermelo. Preferivo speronarli, così non sareste finita in mano loro. E mentre osservavo la nave di Aurora sempre più vicina ho pensato: “Se non si muovono, la perderò comunque”... E ho cominciato a sudare, ad avere il batticuore. Sapevo che si sarebbero ritirati, eppure la prospettiva di...» D.G. scosse il capo.

Gladia corrugò la fronte. «Non vi capisco. Non eravate preoccupato per la mia morte, ma per il fatto di perdermi? Non sono due cose collegate?»

«Lo so. Sembra un’idea illogica... Vi ho rivista mentre accorrevate verso il supervisore per salvarmi anche se sapevate che avrebbe potuto uccidervi... Vi ho rivista mentre affrontavate la folla a Baleyworld, anche se non avevate mai visto una folla... Ho pensato a quando vi siete trasferita su Aurora, ed eravate molto giovane, e avete dovuto adattarvi ad un nuovo sistema di vita, imparare a sopravvivere... Be’, in quel momento non m’importava di morire... mi sarebbe dispiaciuto perdervi. Avete ragione, è assurdo.»

Meditabonda, Gladia disse: «Avete dimenticato la mia età? Quando siete nato io ero già vecchia. Alla vostra età, sognavo il vostro Antenato. E poi, a un’anca ho un’articolazione artificiale. Il mio pollice sinistro ... ecco, questo che agito... è una protesi. Alcune mie terminazioni nervose sono state ricostruite. E ho i denti finti... implantologia ossea. E voi parlate come se foste sul punto di confessare una passione travolgente. Per cosa? Per chi? Pensateci, D.G.! Guardatemi bene, e cercate di vedermi per quella che sono!»

D.G. raddrizzò la sedia e si strofinò la barba. «D’accordo, vi sembrerò sciocco, ma non mi arrendo. Per quel che riguarda la vostra età, so solo che morirò molto prima di voi, e che anche allora voi avrete un aspetto molto giovanile. Se siete più vecchia di me, non mi interessa. Vorrei che restaste sempre con me... per tutta la vita, se possibile.» Gladia stava per ribattere, ma lui si affrettò ad aggiungere: «O, se preferite, vorrei restare sempre con voi... per tutta la vita, se possibile. E se siete d’accordo.»

Sottovoce, Gladia disse: «Sono una Spaziale. Voi, un Colono.»

«Che importa, Gladia? Ha importanza per voi?»

«Voglio dire, di bambini non se ne parla nemmeno. Ho già avuto i miei.»

«Per me la cosa non fa differenza! Tanto, la stirpe dei Baley non rischia di estinguersi.»

«E ho un compito da svolgere. Voglio battermi per la pace nella Galassia.»

«Vi aiuterò.»

«E il vostro lavoro? Rinuncerete ad arricchirvi?»

«Lavoreremo un po’, insieme. Il minimo indispensabile per accontentare l’equipaggio e per tirare avanti mentre vi aiuterò nel vostro ruolo di pacificatrice.»

«Sarà una vita monotona per voi, D.G.»

«Davvero? Da quando ci siamo incontrati, mi pare sia stata fin troppo eccitante.»

«E probabilmente insisterete perché rinunci ai miei robot.»

D.G. sembrò contrariato. «È questo il motivo per cui cercate di dissuadermi? Nulla in contrario se tenete questi due... perfino Daneel con quel suo sorrisetto malizioso... però, se intendete vivere tra i Coloni...»

«Allora dovrò cercare di trovare il coraggio di accettare.» Gladia rise.

Anche D.G. rise e le strinse le mani.

Gladia disse: «Sei pazzo... Anch’io sono pazza. Ma la vita è diventata così strana dalla sera in cui ho guardato il cielo di Aurora in cerca del sole di Solaria... Essere pazzi è l’unica reazione sana alla realtà, immagino.»

«Continua pure ad essere pazza, a me piaci così.» D.G. esitò. «No... aspetterò.

Mi taglierò la barba prima di provare a baciarti. Sai, per diminuire il rischio di infezioni.»

«No, non farlo! Sono curiosa di scoprire che effetto fa una barba.»

E Gladia lo scoprì subito.

Il comandante Lisiform passeggiava avanti e indietro nella sua cabina. «Era inutile perdere la nave,» disse. «Inutile.»

Il suo Consigliere Politico sedeva tranquillo, senza seguire con lo sguardo i rapidi movimenti dell’altro. «Sì, certo.»

«Quei barbari non hanno mai molto da perdere. Vivono appena qualche decade. Per loro la vita non significa nulla.»

«Sì, certo.»

«Eppure, che io sappia, è la prima volta che una nave dei Coloni si comporta così. Forse è una nuova tattica di quei fanatici, contro cui non possiamo difenderci. E se ci inviassero contro navi radiocomandate ad alta velocità, e con gli scudi in funzione?»

«Potremo robotizzare le nostre navi.»

«Non servirebbe. Le perderemmo ugualmente. Ci occorre lo sfondascudi di cui si parla da tanto tempo... qualcosa capace di penetrare attraverso uno scudo.»

«Loro ne costruiranno uno identico, dopo di che dovremo inventare uno scudo a prova di sfondascudi. I Coloni faranno altrettanto, e ci troveremo al punto di partenza.»

«Allora ci occorre qualcosa di radicalmente nuovo.»

«Be’, forse inventeremo qualcosa,» disse il Consigliere. «Lo scopo primario della vostra missione non riguardava la Solariana e i suoi robot, no? Sarebbe stato soddisfacente riuscire a farceli consegnare dai Coloni, però questo era un obiettivo secondario, vero?»

«Comunque, il Consiglio non gradirà la cosa.»

«E me ne occuperò io. In fondo, questo è il mio compito. L’importante è che Amadiro e Mandamus abbiano lasciato la nave e si stiano dirigendo sulla Terra a bordo di una navetta veloce e sicura.»

«Be’, sì.»

«E voi, oltre a distrarre la nave dei Coloni, avete guadagnato tempo prezioso. Amadiro e Mandamus sono partiti senza essere visti e raggiungeranno la Terra prima del nostro barbaro capitano.»

«Credo di sì. Ma questo che significa?»

«Chi può dirlo? Se si trattasse di Mandamus, non sprecherei tempo a riflettere. Ma trattandosi di Amadiro... Abbandonare le lotte politiche auroriane in un periodo così difficile per andare sulla Terra? Su quel pianeta sta succedendo per forza qualcosa di cruciale.»

«Ma cosa?» Il comandante sembrava seccato per il fatto di essere coinvolto in qualcosa che ignorava, e che per poco non gli era stata fatale.

«Non ne ho idea.»

«Non potrebbero essere dei negoziati segreti per tentare di modificare l’accordo di pace concluso da Fastolfe?»

«Accordo di pace? Se lo pensate, non conoscete Amadiro,» disse il Consigliere sorridendo. «Non andrebbe mai sulla Terra per modificare qualche clausola di un accordo di pace. Amadiro vuole una Galassia senza Coloni e se è andato sulla Terra... be’, posso solo dire che adesso non mi piacerebbe proprio essere nei panni dei barbari.»

«Amico Giskard,» disse Daneel «spero che la nostra assenza non turbi Lady Gladia. Sei in grado di stabilirlo?»

«Percepisco la sua mente in modo debole ma inequivocabile, amico Daneel. Lady Gladia è con il capitano, e avverto uno stato emotivo di eccitazione e di gioia.»

«Ottimo, amico Giskard.»

«Non per me, amico Daneel. Io mi trovo in uno stato di confusione. Sono stato sottoposto a una tensione notevole.»

«Mi dispiace, amico Giskard. Posso sapere il motivo?»

«Siamo rimasti qui per un po’, mentre il capitano trattava con la nave di Aurora...»

«Sì, però ora la nave di Aurora è partita, quindi a quanto pare le trattative del capitano hanno avuto successo.»

«Dunque non sei al corrente del modo in cui il capitano ha condotto le trattative. Io, sì... in parte. Anche se lui non era qui con noi, ho captato senza difficoltà la sua mente. Emanava tensione e ansietà, e in profondità ho colto un senso crescente di perdita.»

«Perdita, amico Giskard? Riferita a cosa?»

«Non sono in grado di descrivere il mio metodo di analisi in questo campo, però a differenza di certe mie esperienze passate in questo caso non si trattava di un senso di perdita collegato a un oggetto inanimato o a qualcosa di generale, indeterminato... sembrava riferito a una persona specifica.»

«Lady Gladia?»

«Si.»

«Naturale, amico Giskard. Il capitano si trovava di fronte alla possibilità di doverla consegnare alla nave di Aurora.»

«No, era un fenomeno troppo intenso... troppo lamentoso.»

«Lamentoso?»

«È l’unico termine a cui riesco a pensare per esprimere quello che percepivo. Collegato al senso di perdita c’era un dolore molto accentuato... come se Lady Gladia potesse venirgli a mancare non temporaneamente, bensì per sempre... cessando di esistere, morendo.»

«Dunque, il capitano pensava che gli Auroriani l’avrebbero uccisa? Questo è sicuramente impossibile.»

«Sì, impossibile. Infatti non si tratta di questo. Collegato al timore della perdita,

ho colto un vago senso di responsabilità personale. Ho esaminato altre menti a bordo della nave, e sommando i risultati ho concluso che il capitano stava deliberatamente scagliando la propria nave contro lo scafo di Aurora.»

«Anche questo e impossibile, amico Giskard,» disse Daneel sottovoce.

«Eppure ho dovuto accettare il fatto. n mio primo impulso è stato quello di modificare la struttura emotiva del capitano per costringerlo a cambiare rotta, ma non ho potuto. La sua mente era troppo decisa, troppo satura di determinazione, e troppo piena di fiducia nel successo nonostante la tensione, l’ansia e la paura della perdita.»

«Com’è possibile che fossero presenti contemporaneamente il timore della perdita causata dalla morte, e un senso di fiducia nel successo?»

«Amico Daneel, ho rinunciato a stupirmi di fronte ai comportamenti contraddittori della mente umana. Li accetto e basta. In questo caso, se fossi intervenuto sulla mente del capitano con forza sufficiente per indurlo a cambiare rotta, lo avrei ucciso. Non potevo farlo, dunque.»

«Però in mancanza di un tuo intervento, amico Giskard, decine di esseri umani, compresa Lady Gladia, sarebbero morti.»

«Forse no, se il senso di fiducia del capitano era fondato. Non potevo provocare una morte certa per evitare molte morti solamente probabili. È questo il lato problematico della tua Legge Zero, amico Daneel. La Prima Legge riguarda individui specifici e certezze. La Legge Zero, gruppi vaghi e probabilità.»

«Gli esseri umani a bordo delle due navi non sono gruppi vaghi. Sono molti individui specifici presi nel loro insieme.»

«Però, quando devo prendere una decisione, devo considerare soprattutto lo specifico individuo che mi appresto a influenzare. Non posso evitarlo.»

«Cosa hai fatto, allora, amico Giskard? O eri del tutto impotente?»

«Nella mia disperazione, amico Daneel, ho tentato di contattare il comandante della nave di Aurora alla quale ci eravamo avvicinati dopo un piccolo Balzo. Non ci sono riuscito. La distanza era troppo grande. Eppure il tentativo non è stato un fallimento completo. Ho colto qualcosa, una specie di lieve ronzio. Ho riflettuto un po’, poi ho capito che stavo captando la sensazione globale delle menti di tutti gli esseri umani della nave auroriana. Ho dovuto filtrare quel lieve ronzio per separarlo dalle sensazioni molto più intense che provenivano da questa nave... un compito difficile.»

«Quasi impossibile, direi, amico Giskard.»

«Sì, quasi impossibile, comunque ci sono riuscito. Ma senza distinguere menti individuali. Quando Lady Gladia ha affrontato il pubblico di Baleyworld, pur avvertendo la confusione anarchica di una moltitudine caotica di menti, ero riuscito per brevissimi istanti a individuare qualche mente isolata. Questa volta, no.» Giskard si interruppe, quasi stesse rivivendo l’esperienza.

Daneel disse: «Immagino sia analogo al modo in cui vediamo stelle singole in un ammasso di stelle, quando la distanza non è troppo grande. Osservando una galassia lontana, invece, non riusciamo a distinguere stelle singole, ma solo una vaga nebulosità luminosa.»

«Un’ottima analogia, amico Daneel. Comunque, concentrandomi su quel ronzio remoto, mi è sembrato di cogliere in esso un lieve senso di paura. Non ne ero sicuro, ma ho deciso che dovevo cercare di approfittarne. Non avevo mai tentato di intervenire mentalmente da una distanza tanto ampia, soprattutto su qualcosa di vago come quel ronzio... però ho cercato disperatamente di accrescere quel senso di paura, almeno un po’. Non saprei dire se ci sono riuscito o meno.»

«La nave di Aurora è fuggita. Probabilmente ci sei riuscito.»

«Non necessariamente. Forse sarebbe fuggita anche se non avessi fatto nulla.»

«Può darsi. Se il capitano era tanto fiducioso...»

«D’altro canto,» intervenne Giskard «non so se la fiducia del capitano poggiasse davvero su basi razionali. Era collegata a un senso di timore e rispetto per la Terra. La fiducia che ho percepito era simile a quella provata dai bambini nei confronti dei loro protettori adulti, genitori o meno. Ho avuto l’impressione che il capitano credesse di non poter fallire nei pressi della Terra proprio grazie all’influenza del pianeta. Forse non è un sentimento propriamente irrazionale, però mi è parso perlomeno non-razionale.»

«Sono d’accordo con te, amico Giskard. Il capitano ha parlato della Terra in nostra presenza in toni di estremo rispetto. Dato che la Terra non può però determinare il successo di un’azione attraverso qualche influenza mistica, è possibile supporre che la tua influenza sia stata positiva. E inoltre...»

«A cosa stai pensando, amico Daneel?»

«All’ipotesi della concretezza di un individuo contrapposta all’astrattezza dell’umanità. Quando hai captato il lieve ronzio proveniente dalla nave di Aurora, non percepivi un individuo, bensì una parte di umanità. A una distanza adeguata dalla Terra, e con disturbi periferici ridotti, non saresti in grado di captare il ronzio dell’attività mentale della popolazione umana della Terra? E, ampliando il concetto, non è possibile immaginare che nella Galassia presa globalmente sia percepibile il ronzio dell’attività mentale di tutta l’umanità? Dunque, l’’umanità non è un’astrazione. È qualcosa di reale. Collega questo concetto alla Legge Zero, e vedrai che l’ampliamento delle Leggi della Robotica è giustificato... giustificato dalla tua stessa esperienza.»

Ci fu una lunga pausa, infine, lentamente, quasi a costo di uno sforzo notevole, Giskard disse: «Forse hai ragione, amico Daneel. Eppure, ammettendo di poter usare la Legge Zero sulla Terra, continuiamo a non sapere in che modo potremmo usarla. Pensavamo che la crisi comprendesse l’utilizzo di un intensificatore nucleare, ma pare che sulla Terra non ci sia nulla di significativo che giustifichi l’impiego di un intensificatore. Cosa faremo dunque sulla Terra?»

«Per ora, non lo so,» rispose tristemente Daneel.

Rumore!

«Gladia ascoltò stupita. Non le feriva le orecchie. Non era un cozzare di superfici che si scontravano. Non era uno stridore lacerante, o un clangore, o un battito. Non si poteva esprimere con un termine onomatopeico.

Non era assordante, né opprimente, ma cresceva e decresceva in modo irregolare. Ed era continuo.

D.G. notò che Gladia inclinava il capo per sentire meglio, e disse: «Io lo chiamo il Ronzio della Città, Gladia.»

«Non cessa mai?»

«No. Del resto, è normale. Non ti sei mai fermata in un campo ad ascoltare il vento che fa frusciare le foglie, il gorgoglio dell’acqua che scorre, il canto degli uccelli, il rumore degli insetti? Non cessa mai.»

«È diverso.»

«No. È la stessa cosa. Questo suono continuo è la fusione del rumore delle macchine e dei vari rumori prodotti dalla gente, però il principio è lo stesso dei rumori naturali che si sentono in un campo. Ai campi sei abituata, quindi là non noti nulla. A questo rumore non sei abituata, così lo senti e probabilmente lo trovi fastidioso. I Terrestri lo notano solo quando rientrano dalle aree di campagna esterne, e lo accolgono con gioia. Domani, anche tu non te ne accorgerai più.»

Gladia si guardò attorno pensosa. Si trovavano su un piccolo balcone. «Quanti edifici!»

«Vero. Costruzioni in ogni direzione... per chilometri e chilometri. Che si estendono anche verso l’alto e il basso. Questa non è una semplice città come quelle di Aurora o di Baleyworld. È una Città con la C maiuscola.... Città come questa esistono soltanto sulla Terra.»

«Sono gli Abissi d’Acciaio. Lo so... Siamo nel sottosuolo, vero?»

«Sì. Sai, la prima volta che ho visitato la Terra ho impiegato un po’ di tempo ad abituarmi. Dovunque si vada, folle di persone... Passaggi, viali, strade, corsie, e gruppi fitti di persone, e luci fluorescenti che illuminano dolcemente tutto, dando l’impressione che ogni cosa sia rischiarata da una morbida luce solare... ma non è luce del Sole, e non si può sapere se su alla superficie ci sia davvero il Sole, o se sia coperto dalle nuvole, o se sia tramontato lasciando il posto alla notte e all’oscurità.»

«La Città è un ambiente chiuso... Le persone respirano la stessa aria dei loro simili.»

«Capita su qualsiasi mondo.»

«No, qui c’è una diversità... Qui c’è... un odore.»

«Tutti i mondi hanno degli odori. Ogni Città della Terra ha un suo odore caratteristico. Ti ci abituerai.»

«Non sono sicura che l’idea mi piaccia. Ma come mai qui la gente non soffoca?»

«C’è un eccellente apparato di aerazione.»

«E se si guasta?»

«Non succede mai.»

Gladia tornò a guardarsi attorno. «Sembra che tutti gli edifici siano pieni di balconi.»

«È un simbolo di condizione sociale. Sono in pochi ad avere appartamenti affacciati all’esterno, e i pochi fortunati ne approfittano. Perlopiù, la gente vive in

appartamenti privi di finestre.»

Gladia rabbrividì. «Orribile! Qual è il nome di questa Città, D.G.?»

«New York. È la Città più importante, ma non la più grande. In questo continente, Mexico City e Los Angeles sono le più grandi, e in altri continenti ci sono Città più grandi di New York.»

«Come mai New York è la più importante, allora?»

«Per il solito motivo. È la sede del Governo Planetario. Le Nazioni Unite.»

«Nazioni?» Gladia con aria trionfante puntò un dito verso D.G. «La Terra era divisa in numerose entità politiche indipendenti. Giusto?»

«Giusto. Decine di nazioni. Ma questo prima del viaggio iperspaziale... nel periodo pre-iper. Il nome resta, però. È questo il lato meraviglioso della Terra. È la storia bloccata. Tutti gli altri mondi sono nuovi, scialbi. Solo la Terra è l’essenza stessa dell’umanità.»

D.G. Io disse in un mormorio soffocato, poi rientrò nella stanza. Era una stanza un po’ stretta, e arredata in modo approssimativo.

Gladia disse, delusa: «Perché non c’è in giro nessuno?»

D.G. rise. «Non preoccuparti, mia cara. Se vuoi attenzioni e cortei, li avrai. Ho solo chiesto che ci lasciassero in pace per un po’. Ero stanco, e immagino che anche tu abbia bisogno di riposare. Inoltre i miei uomini devono sistemare la nave, pulirla, pensare ai rifornimenti, provvedere ai loro bisogni spirituali...»

«Donne?»

«No, non mi riferisco alle donne, anche se immagino che in un secondo tempo anche le donne avranno un ruolo importante. Con bisogni spirituali, intendo dire che la Terra conserva ancora le sue religioni, e le religioni hanno un effetto salutare I sul morale degli uomini... almeno, qui sulla Terra.»

«Be’, storia bloccata, come hai detto,» commentò Gladia con tono lievemente sprezzante. «Credi che possiamo uscire da questo edificio e camminare un po’?»

«Segui il mio consiglio, Gladia, e non tuffarti subito in questo genere di cose. Ne avrai in abbondanza quando inizieranno le cerimonie.»

«Ma sarà tutto così formale. Non si potrebbero saltare le cerimonie?»

«No, assolutamente. Dato che hai voluto diventare un’eroina su Baleyworld, dovrai diventarlo anche sulla Terra. Comunque, prima o poi le cerimonie finiranno, e quando ti sarai ripresa ci procureremo una guida e vedremo davvero la Città.»

«Avremo problemi portando con noi i miei robot?» Gladia indicò Daneel e Giskard all’estremità della stanza. «Quando sono in tua compagnia a bordo della nave posso fare a meno di loro, però se dovrò trovarmi in mezzo a folle di sconosciuti mi sentirò più sicura accompagnata da loro.»

«Daneel non è un problema. Anzi, anche lui è un eroe. Era il compagno dell’Antenato, e ha un aspetto del tutto umano. Giskard invece, teoricamente, non potrebbe entrare nella Città, ma in questo caso hanno fatto un’eccezione, e spero che continuino ad essere tolleranti. Comunque, è un peccato che dobbiamo aspettare qui e non possiamo passeggiare.»

«Hai detto che è troppo presto perché mi esponga a tutto quel rumore.»

«No, no. Non mi riferisco alle piazze e alle strade. Mi piacerebbe portarti a fare

un giro lungo i corridoi di questo edificio. Ci sono chilometri e chilometri di corridoi, davvero... formano una specie di Città in miniatura... ci sono centri per acquisti, sale mensa, aree ricreative, Personali, ascensori, nastri mobili e così via. Un solo piano di un edificio di una Città terrestre ha più varietà e colore di un’intera città dei Coloni o di un intero mondo spaziale.»

«Immagino sia facilissimo perdersi.»

«Niente affatto. Ognuno conosce bene la propria zona. E agli stranieri basta seguire le indicazioni.»

«E i chilometri che la gente è costretta a percorrere a piedi devono essere un ottimo esercizio fisico,» fece Gladia dubbiosa.

«È un ottimo esercizio anche a livello di contatti sociali. I corridoi sono sempre pieni di gente, e la tradizione vuole che ci si fermi a chiacchierare con le persone che si conoscono e che si salutino perfino gli sconosciuti. E poi, non è proprio indispensabile camminare. Per gli spostamenti verticali ci sono gli ascensori. I corridoi principali sono mobili, per gli spostamenti orizzontali. All’esterno del’edificio, naturalmente, c’è una linea di collegamento con la rete dell’Espressovia. Quello è uno spettacolo da non perdere. Ci salirai anche tu.»

«Ne ho sentito parlare. Ci si sposta su nastri che procedono sempre più veloci, o sempre più lenti, a seconda delle esigenze. Non fa per me. Non chiedermi di provare.»

«Ci riuscirai, invece,» disse D.G. affabile. «Ti aiuterò. Se necessario ti porterò io, ma basta solo un po’ di pratica. I Terrestri usano l’Espressovia indistintamente, dai bambini ai vecchi col bastone. I Coloni, lo ammetto, sono invece piuttosto impacciati. Anch’io non sono un mostro di grazia, ma mi arrangio, e te la caverai anche tu.»

Gladia sospirò. «Be’, proverò, se proprio dovrò farlo. Ma, tra parentesi, D.G., per la notte gradirei una stanza un po’ riparata dal rumore, perché vorrei che il tuo Ronzio della Città fosse attutito.»

«A questo si può provvedere, ne sono sicuro.»

«E preferirei non mangiare nelle sale mensa.»

D.G. assunse un’espressione dubbiosa. «Vedremo di farci portare i pasti in camera, però ti farebbe bene partecipare alla vita sociale della Terra. E non dimenticare che io sarò sempre con te.»

«Forse tra un po’ di tempo... prima dovrò abituarmi, D.G. E vorrei anche un Personale femminile privato.»

«Oh, no, questo è impossibile. Troverai un lavabo e un gabinetto in ogni stanza che ci assegneranno, perché siamo personaggi in vista, però se intendi lavarti bene o fare una doccia dovrai seguire la massa. Una donna ti mostrerà la procedura, e ti assegneranno un separé o qualcosa di simile. E niente imbarazzo. Le donne dei Coloni hanno bisogno che qualcuno mostri loro come si usano i Personali tutti i santi giorni dell’anno.

Può darsi che alla fine trovi addirittura simpatica questa novità, Gladia. Dicono che i Personali delle donne siano un posto pieno di attività e divertimento. In quelli maschili invece guai a chi dice una sola parola. Sono molto noiosi.»

«È terribile,» balbettò Gladia. «Com’è possibile sopportare questa completa mancanza di intimità?»

«Su un mondo affollato, è una necessità,» rispose D.G. disinvolto. «Cosa mai avuta, cosa mai rimpianta. Vuoi qualche altro aforisma?»

«No, grazie.»

«Aveva un’aria abbattuta, e D.G. le cinse le spalle. «Su, non sarà orribile come pensi. Te lo garantisco.»

Non fu esattamente un incubo, ma Gladia ringraziò la sua precedente esperienza su Baleyworld che le aveva dato un assaggio di quello che era adesso un vero e proprio oceano di esseri umani. A New York le folle erano molto più numerose di quanto non fossero state sul mondo dei Coloni ma, d’altro canto, Gladia era più isolata dalle masse che in precedenza.

I funzionari governativi erano smaniosi di farsi notare in sua compagnia. C’era una lotta tacita ed educata per conquistare una posizione accanto a Gladia ed essere visti in ipervisione. Gladia si ritrovava separata anche da D.G. e dai suoi robot, e per la prima volta capì cosa volesse dire ricevere spintoni, gomitate e venire sballottata, sempre educatamente, per soddisfare le esigenze dell’obiettivo di qualche ipercamera.

Ascoltò innumerevoli discorsi, tutti fortunatamente brevi, senza sentire in pratica le parole. Di tanto in tanto scoccava sorrisi a destra e a sinistra, mettendo in risalto la sua perfetta dentatura finta.

A bordo di una vettura da superficie, percorse chilometri e chilometri di strade, mentre un formicaio umano si assiepava ai bordi salutando rumorosamente e acclamandola. (Si chiese quando mai un altro Spaziale avesse ricevuto una simile accoglienza dai Terrestri, e concluse che il suo doveva essere sicuramente un caso senza precedenti.)

A un certo punto, scorse delle persone raccolte attorno a un grosso schermo ipervisivo, e per un attimo vide sullo schermo la propria immagine. Era la registrazione del suo discorso su Baleyworld... Chissà quante volte e in quanti posti era stata trasmessa? Chissà quante volte l’avrebbero trasmessa in futuro? E chissà se sui mondi spaziali erano al corrente di quel discorso?

Forse su Aurora l’avrebbero considerata una traditrice, e quell’accoglienza festosa ne sarebbe stata la prova...

Non era da escludere, ma questo a lei non importava. Aveva una missione da svolgere, una missione di pace e riconciliazione, e sarebbe andata fino in fondo senza lamentarsi, avrebbe sopportato pure l’orgia incredibile dei bagni comuni e lo stridulo esibizionismo inconscio dei Personali femminili che aveva sperimentato quella mattina.

Raggiunsero una delle linee dell’Espressovia di cui D.G. le aveva parlato, e lei osservò inorridita l’interminabile serpente di vetture passeggeri che transitavano in continuazione... ognuna col proprio carico di persone troppo indaffarate per soffermarsi a guardare il corteo di macchine, o semplicemente non interessate ai

festeggiamenti in corso.

Poi la vettura di Gladia scese, passando sotto all’Espressovia e imboccò un breve tunnel in tutto identico alla strada soprastante - la Città era un unico tunnel -prima di risalire.

Alla fine, il corteo si arrestò di fronte a un grande edificio pubblico che, fortunatamente, era più interessante esteticamente dei continui isolati che costituivano la zona residenziale della Città.

All’interno del palazzo, l’aspettava l’ennesimo ricevimento, durante il quale furono servite bevande alcoliche e salatini. Gladia, schizzinosa, non toccò nulla. Centinaia di persone si muovevano disordinatamente, e parecchie si avvicinarono a Gladia per parlare. Apparentemente, agli invitati era stato spiegato di evitare di salutarla stringendole la mano... qualcuno però lo fece, e cercando di non mostrare la propria esitazione lei sfiorò con la punta delle dita la mano dell’altro, affrettandosi poi a ritrarle.

Infine, un gruppo di donne si apprestò a uscire per raggiungere il Personale più vicino, e una di loro garbatamente chiese a Gladia se desiderasse accompagnarle. Gladia non aveva alcun bisogno, ma la serata si annunciava lunga e sarebbe stato più imbarazzante doversi assentare in seguito.

All’interno del Personale, le solite risate e il solito chiacchierio eccitato. Gladia, piegandosi alle esigenze della situazione e fortificata dall’esperienza di quella stessa mattina, usò gli impianti igienici in uno dei piccoli scomparti forniti di pareti divisorie laterali ma privi di una parete frontale.

Tutte le donne si comportavano con la massima disinvoltura, e Gladia cercò di rammentare a se stessa che doveva adattarsi alle tradizioni locali. Perlomeno, il posto era ben aerato e sembrava pulitissimo.

Daneel e Giskard finora erano stati ignorati. Una dimostrazione di gentilezza da parte dei Terrestri, si rese conto Gladia. I robot non erano più ammessi nelle Città, anche se nelle campagne esterne ne esistevano ancora a milioni. Qualsiasi commento sulla presenza di Daneel e Giskard avrebbe comportato una discussione sulla legalità di quel caso d’eccezione. Era più facile fingere, con tatto, che i due robot non fossero presenti.

D.G., probabilmente contrariato per il fatto di essere stato relegato al ruolo di sorvegliante dei robot, continuava a lanciare sguardi inquieti in direzione di Gladia, e lei di tanto in tanto gli rivolgeva un cenno con la mano e sorrideva.

Giskard, senza perdere di vista Gladia, ebbe l’opportunità di parlare a Daneel sottovoce, approfittando del vocio generale e dei rumori di posate. «Amico Daneel, in questa sala siedono funzionari importanti. È possibile che qualcuno di loro sia in possesso di informazioni utili al nostro scopo.»

«È possibile, amico Giskard. Sfruttando le tue capacità, non sei in grado di raccogliere indizi preziosi?»

«No. L’attività mentale in questa stanza è priva di qualsiasi reazione emotiva degna di nota. Eppure, sono sicuro che il punto culminante della crisi si sta avvicinando rapidamente, mentre noi siamo seduti qui, in ozio.»

Con aria grave, Daneel disse. «Cercherò di fare quello che avrebbe fatto in un

caso del genere il Compagno Elijah... Stringerò i tempi.»

Daneel non stava mangiando. Osservò gli invitati con calma e individuò la persona che cercava. Adagio, si alzò, accostandosi a un altro tavolo e fissando la donna che riusciva a mangiare velocemente e nel medesimo tempo a conversare fitto con l’uomo alla sua sinistra. Era una donna tarchiata, con capelli corti striati di grigio e un viso simpatico, anche se non troppo giovanile.

Daneel attese che la conversazione si interrompesse, poi decidendo di non indugiare oltre, con un certo sforzo disse: «Signora, posso disturbarvi?»

Lei sollevò lo sguardo, sorpresa e piuttosto seccata. «Sì... che c’è?» chiese brusca.

Signora, sono desolato per questa interruzione, ma mi concedete di parlare brevemente con voi?»

Lei lo squadrò un attimo, corrugando la fronte, poi la sua espressione si addolcì. «Dalla tua eccessiva cortesia, direi che sei il robot, vero?»

«Sono uno dei robot di Lady Gladia, signora.»

«Sì, però sei quello umano. Sei R. Daneel Olivaw.»

«Mi chiamo cosi, signora.»

La donna si girò verso il tipo sulla sinistra. «Ti prego di scusarmi. Sai, non posso dire di no a questo... robot.»

Il suo vicino di tavolo abbozzò un sorriso e concentrò la propria attenzione sul piatto che aveva davanti.

La donna disse a Daneel: «Se hai una sedia, perché non la porti qui? Sarò felice di parlare con te.»

«Grazie, signora.»

Quando Daneel fu tornato e si fu seduto, la donna disse: «Sei proprio R. Daneel Olivaw, vero?»

«Sì, signora.»

«Cioè, quello che ha lavorato con Elijah Baley tanto tempo fa... Non sei un nuovo modello della stessa serie? Non sei R. Daneel IV o qualcosa del genere, vero?»

«Nelle ultime venti decadi molte mie parti sono state sostituite o rimodernate, ma il mio cervello positronico è lo stesso di quando ho lavorato con il Compagno Elijah su tre mondi diversi. Non è stato modificato.»

«Bene!» Lei lo guardò ammirata. «Sei uno splendido esemplare, questo è certo. Se tutti i robot fossero come te, secondo me il discorso sui robot cambierebbe completamente. Di cosa volevi parlarmi?»

«Quando siete stata presentata a Lady Gladia, signora, prima che tutti si sedessero, ho sentito che eravate il Sottosegretario all’Energia, Sophia Quintana.»

«Hai un’ottima memoria.»

«La vostra carica si riferisce a tutta la Terra o solo alla Città?»

«Sono Sottosegretario Globale.»

«Dunque, siete bene informata per quel che riguarda il campo energetico?»

Sophia Quintana sorrise. Sembrava accogliere di buon grado le domande. Forse trovava la cosa divertente, o forse era attratta dall’aria grave e deferente di Daneel. «Mi sono laureata m scienze energetiche presso l’Università della California. E circa il mio livello di informazione, nutro qualche dubbio. Ho trascorso troppi anni nell’amministrazione, un lavoro che fiacca la mente, te lo assicuro.»

«Però siete a conoscenza degli aspetti pratici delle risorse energetiche attuali della Terra, vero?»

«Sì. Questo, sì. C’è qualcosa che vorresti sapere in fatto di risorse energetiche?»

«C’è qualcosa che stuzzica la mia curiosità, signora.»

«Curiosità? In un robot?»

Daneel piegò il capo. «Se un robot è abbastanza complesso, può avvertire dentro di sé uno stimolo informativo. Un fenomeno analogo a quella che gli esseri umani definiscono curiosità. Io mi prendo la libertà di usare la stessa definizione per descrivere quello che avviene dentro di me.»

«Mi sembra giusto. Cos’è che ti incuriosisce, allora, R. Daneel? Oh, posso chiamarti così?»

«Certo, signora. Se non sbaglio, l’energia utilizzata sulla Terra viene fornita da centrali solari in orbita geostazionaria lungo il piano equatoriale della Terra.»

«Esatto.»

«Queste centrali sono l’unica fonte energetica del pianeta?»

«No, sono la principale fonte energetica, ma non l’unica. Si utilizza anche in modo massiccio l’energia prodotta dal calore interno della Terra, dai venti, dalle onde, dalle maree, dai corsi d’acqua e via dicendo. Abbiamo una rete energetica piuttosto varia e complessa, e ogni fonte presenta vantaggi particolari. Comunque, l’energia solare è la struttura portante del sistema.»

«Non avete parlato dell’energia nucleare, signora. Non sfruttate la microfusione?»

Sophia Quintana inarcò le sopracciglia. «È questo che ti incuriosisce, R. Daneel?»

«Sì, signora. Per quale motivo sulla Terra mancano fonti di energia nucleare?»

«Non mancano, R. Daneel. Su scala ridotta, c’è un modesto utilizzo dell’energia nucleare. I nostri robot... ne abbiamo parecchi all’esterno, sai... sono alimentati a microfusione. E tu, a proposito?»

«Anch’io, signora.»

«Inoltre, ci sono anche altre macchine e apparecchiature alimentate a microfusione,» proseguì Sophia Quintana. «Ma complessivamente, si tratta di un uso limitato.»

«Le fonti energetiche a microfusione non sono per caso sensibili all’azione degli intensificatori nucleari, Lady Quintana?»

«Oh, sì... sì, certo. Un intensificatore nucleare produce un effetto esplosivo in qualsiasi fonte a microfusione.»

«Dunque, qualcuno utilizzando un intensificatore nucleare potrebbe danneggiare seriamente parte delle fonti energetiche della Terra?»

Sophia Quintana rise. «No, assolutamente. Innanzitutto, sarebbe un po’ scomodo per chiunque trascinarsi dietro un intensificatore nucleare. Pesano tonnellate, e non credo si possa manovrarli lungo le strade e i corridoi di una Città. E se qualcuno ci provasse, non passerebbe certo inosservato. Inoltre, ammettendo che fosse possibile utilizzare un intensificatore, al massimo l’intensificatore riuscirebbe a distruggere qualche robot e qualche apparecchiatura prima di venire disattivato No, in questo senso la Terra può stare tranquilla. Adesso ti senti più tranquillo anche tu, R. Daneel?» Dal tono, sembrava che per la donna il colloquio fosse terminato.

«Mi occorrerebbero ancora un paio di chiarimenti, Lady Quintana. Perché la Terra non utilizza su vasta scala la microfusione? I mondi spaziali e i mondi dei Coloni nel campo energetico si affidano unicamente alla microfusione. È un processo energetico portatile, versatile ed economico, e non richiede la manutenzione, le riparazioni e i costi necessari per una rete di strutture spaziali.»

«Ed è sensibile all’azione degli intensificatori nucleari, come hai appena detto, R. Daneel.»

«Ma voi, Lady Quintana, avete appena detto che gli intensificatori nucleari sono troppo voluminosi e ingombranti per un impiego efficace.»

La donna sorrise, e annuì. «Sei molto intelligente, R. Daneel. Non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei ritrovata seduta in compagnia di un robot a discutere di un argomento del genere. I roboticisti auroriani sono in gamba... troppo in gamba... e forse non mi conviene proseguire questa conversazione. Dovrei preoccuparmi di non perdere la mia carica, sostituita da te. Sai, qui sulla Terra c’è una leggenda a proposito di un robot chiamato Stephen Byerley a cui avrebbero assegnato una importante carica governativa.»

«Una storia immaginaria, Lady Quintana,» disse Daneel serissimo. «I robot non occupano cariche governative sui mondi spaziali. Siamo semplicemente... robot.»

«Mi solleva sentirtelo dire. D’accordo, allora continuerò. La questione delle fonti energetiche ha radici storiche. Quando sono iniziati i viaggi iperspaziali avevamo la microfusione, e così chi lasciava la Terra portava con sé fonti energetiche a microfusione. Era necessaria sulle navi, e anche sui pianeti da adattare all’occupazione umana. Occorrono molti anni per costruire un complesso adeguato di centrali solari, e piuttosto di imbarcarsi in un’impresa di tale portata gli emigranti hanno preferito adottare la microfusione. Questo vale sia per i Coloni che per gli Spaziali.

«Sulla Terra, però, la microfusione e l’energia solare nello spazio sono nate più o meno nel medesimo periodo, e venivano ampiamente sfruttate. Alla fine, ci siamo trovati di fronte ad una possibile scelta: usare la microfusione o l’energia solare, o naturalmente entrambe le cose. E abbiamo scelto l’energia solare.»

Daneel disse: «Mi sembra strano, Lady Quintana. Perché non tutte e due?»

«La risposta è semplice, R. Daneel. Nel periodo pre-iper, la Terra aveva sperimentato una forma primitiva di energia nucleare, e si era trattato di un’esperienza assai poco felice. Al momento di scegliere tra energia solare e microfusione, i Terrestri hanno visto nella microfusione una forma di energia

nucleare e l’hanno respinta. Altri mondi, che non avevano alle spalle alcuna esperienza diretta con quella forma primitiva di energia nucleare, non avevano motivo di accantonare la microfusione.»

«A quale forma primitiva di energia nucleare vi riferite, signora?»

«Alla fissione dell’uranio. È diversissima dalla microfusione. La fissione comporta la scissione di nuclei massicci, nuclei di uranio per esempio. La microfusione comporta l’unione di nuclei leggeri, tipo nuclei di idrogeno. Comunque, sono forme di energia nucleare tutte e due.»

«E l’uranio sarebbe il combustibile adatto per congegni a fissione, presumo.»

«Sì... l’uranio, o altri elementi come il torio o il plutonio.»

«Però sono metalli estremamente rari. Potrebbero sostenere una società che ricorresse alla fissione come fonte energetica?»

«Sono elementi rari su altri mondi. Sulla Terra non sono comuni, ma neppure così rari. L’uranio e il torio sono abbastanza diffusi nella crosta terrestre in piccole quantità, e in alcuni posti anche in quantità notevoli.»

«E adesso esistono congegni a fissione per la produzione di energia sulla Terra, Lady Quintana?»

«No, nel modo più assoluto. Preferiamo bruciare del combustibile liquido o della legna piuttosto che usare la fissione dell’uranio. Anzi, la parola stessa, uranio, è da evitare in una conversazione educata. Se fossi un essere umano, e un Terrestre, non mi faresti queste domande.»

Daneel insisté. «Ne siete certa, signora? Non esiste qualche impianto segreto che sfrutta la fissione e che, per motivi di sicurezza nazionale...»

«No, robot,» disse Sophia Quintana accigliata. «Non esiste niente del genere!»

Daneel si alzò. «Vi ringrazio, signora, e vi chiedo scusa se vi ho fatto perdere tempo e ho affrontato un argomento delicato. Col vostro permesso, ora mi allontanerò.»

Sophia Quintana gli rivolse un gesto noncurante con la mano. «Figurati, R. Daneel.» Quindi tornò a voltarsi verso l’uomo accanto a lei, sapendo che sulla Terra almeno in teoria nessuno cercava mai di origliare le conversazioni altrui, e disse: «Pensa, ho appena finito di discutere di scienze energetiche con un robot! Incredibile, eh?»

Daneel intanto tornò al proprio posto e mormorò a Giskard: «Nulla, amico Giskard. Nessun indizio utile.»

Poi, mesto, aggiunse: «Forse ho fatto le domande sbagliate. Il Compagno Elijah avrebbe fatto quelle giuste.»