Capitolo ottavo: La grande notte dell'ispettore Janvier
I due rappresentanti di commercio se n'erano andati per primi. Come aveva detto il padrone a Maigret, mentre stava finendo di cenare, la sua vera clientela si trovava in campagna o al mare, e, con i turisti, "non si sapeva mai". Un giorno il locale era pieno, senza ragione, "perché uno seguiva l'altro come le pecore", un altro giorno, come oggi, non c'erano che "due gatti", che, dopo aver rimandato indietro dei piatti che non gli piacevano, ora discutevano il conto al centesimo.
Martine Chapuis aveva finito il suo caffè prima di Maigret ed aveva aperto la borsa per rimettersi un po' di rossetto.
Poi aveva guardato verso il fondo della sala, dov'erano il padrone e la cameriera, come per chiedere il conto.
Maigret, che fumava la pipa a piccoli sbuffi, la schiena appoggiata alla panca, l'osservava e si domandava se avrebbe osato... A volte si divertiva così, a cercare di prevedere cosa le persone avrebbero fatto, e provava sempre una certa soddisfazione quando non si sbagliava.
La ragazza avrebbe alzato la mano per chiamare la cameriera? Cominciava il gesto, dava un'occhiata al commissario. Bene! Cambiava idea, guardava Maigret con più insistenza, spalancando un po' gli occhi come per fare una domanda.
Da parte sua, Maigret sbatté le palpebre, con l'aria quasi paterna.
Si erano capiti. Piuttosto goffamente lei si alzò, si diresse verso la tavola del poliziotto, che si alzò per farla sedere.
Fu lui a chiamare la cameriera, ma non per il conto.
«Due calvados, figliola. Dalla bottiglia del padrone».
E a Martine, sorpresa:
«Deve averne bisogno. È lunga, vero?»
«Quello che non capisco» ammise lei «è perché lei non sia là di fronte. Ho letto i giornali e ho ascoltato la radio».
«Sono davvero in vacanza».
«A Parigi?»
«Sst! È un segreto. Mia moglie e io abbiamo deciso di passare le ferie a Parigi per essere più tranquilli, e nemmeno Janvier lo sa. Perciò, come vede, mi nascondo».
«Ma si è occupato del caso lo stesso?»
«Da dilettante, come tutti. Ho letto i giornali, e poco fa, per caso, in un bar, ho sentito le notizie alla radio».
«Crede che l'ispettore Janvier sarà in grado di capire?»
«Di capire cosa?»
«Che Gilbert non ha ucciso quella donna».
Il ristorante, ora, era calmo come un acquario. Il padrone e la padrona, una donna piccoletta e paffuta, rossa in viso come suo marito, mangiavano al tavolo più vicino alla cucina e la cameriera li serviva.
Sull'altro Lungosenna, di fronte, avevano visto ripassare i giornalisti, che probabilmente avevano abbondantemente innaffiato la loro rapida cena, perché anche da lontano si capiva che erano esuberanti.
Quasi tutte le luci della Polizia Giudiziaria si erano spente. Al primo piano erano rimaste accese solo quella dell'ufficio di Maigret e quelle dell'ufficio attiguo degli ispettori.
Il commissario se la prendeva comoda, e aveva ritrovato la sua espressione bonaria.
«Lei è sicura che sia innocente?»
Lei arrossì e lui ne fu felice, perché non gli piacevano le donne che non sono più capaci di arrossire.
«Certo».
«Perché è innamorata di lui?»
«Perché so che è incapace di commettere un'azione vergognosa, e a maggior ragione un delitto».
«Lo ha pensato fin dal primo giorno?»
Lei distolse lo sguardo e lui proseguì:
«Confessi che ha dubitato».
«All'inizio mi sono detta che forse era stato un incidente».
«E adesso?»
«Sono convinta che non è stato lui».
«Perché?»
Fin dall'inizio della cena il commissario aveva intuito che la ragazza aveva voglia di parlargli, e che aveva davvero qualcosa da dirgli, qualcosa di difficile. Da come si comportava con lui, credeva di capire che aveva dei rapporti amichevoli con il padre. Era un po' come se, in assenza di quest'ultimo, Martine avesse scelto il commissario per sostituirlo.
Invece di rispondere, lei fece a sua volta una domanda:
«Poco fa, ha telefonato a Concarneau?»
«No».
«Ah!»
Sembrava delusa di essersi sbagliata.
«Mi domando cosa stanno facendo, là di fronte, da tutte quelle ore».
«È meglio che non perda la pazienza, perché potrebbe durare tutta la notte».
«Crede che interrogheranno anche Gilbert?»
«È possibile, ma improbabile. Négrel è già passato per le mani del giudice istruttore e non può più essere interrogato se non in presenza del suo avvocato».
«Papà non arriva che domattina».
«Lo so. Ancora non mi ha detto perché ha la quasi certezza che non è stato il suo fidanzato a uccidere la signora Jave».
Lei accese una sigaretta con un certo nervosismo.
«Permette?»
«La prego».
«È difficile da spiegare. Lei non ha mai visto Gilbert?»
«No, ma credo di essermi fatto un'idea abbastanza esatta del suo carattere».
«E anche del suo comportamento davanti a una donna!»
Lui la guardò, sorpreso, incuriosito.
«Non c'è bisogno che faccia la pudica con lei, vero?
Lei ha capito, dalle mie dichiarazioni, che non abbiamo aspettato di essere sposati per appartenerci. La mamma è furiosa, a causa di quel che dirà la gente, ma papà non me ne vuole. Quando hanno scoperto il corpo di quella donna, era completamente nudo...»
Gli occhi di Maigret si strinsero, si fecero più acuti, perché la ragazza era arrivata a un punto che lo aveva incuriosito fin dall'inizio.
«Non so come dire... è piuttosto delicato... Con certi uomini, sarebbe potuto essere possibile... Capisce?»
«Non ancora».
La ragazza bevve metà del bicchiere per darsi coraggio.
«Se fosse successo qualcosa fra loro quel sabato, e se la signora Jave si fosse spogliata, anche Gilbert si sarebbe spogliato».
Il commissario sentì all'improvviso che era vero. Certi uomini sarebbero stati capaci di agire altrimenti, con più disinvoltura. Non un ragazzo come Négrel, che avrebbe tenuto a trovarsi, in qualche modo, su un piano di uguaglianza con la sua compagna.
«E cosa prova che non si sia spogliato?»
Era una domanda retorica la sua, perché conosceva già la risposta.
«Lei dimentica che il tutto è successo durante le ore di visita, che Josépha poteva far entrare un cliente in qualsiasi momento. Se lo immagina un medico che entra in ambulatorio nudo?»
Riuscì a ridere anche lei. Poi riprese la sua gravità, e diede un'occhiata all'altra sponda della Senna.
«Le giuro, commissario, che è la verità. Conosco Gilbert.
Per quanto possa sembrare strano, è timido, e di una estrema delicatezza nei suoi rapporti con le donne».
«La credo».
«Allora crede anche che non l'ha uccisa?»
Maigret preferì non rispondere e diede a sua volta un'occhiata alle finestre del suo ufficio dove l'ispettore Janvier viveva quella che si poteva chiamare la grande notte della sua vita. I reporter e i fotografi aspettavano nel corridoio. I giornali e la radio avevano annunciato che l'interrogatorio definitivo era cominciato.
O di lì a poco il caso di boulevard Haussmann sarebbe stato risolto e Janvier avrebbe vinto la partita, o l'indomani mattina ci sarebbe stata nel pubblico una delusione mista a rancore. E non solo nel pubblico. Probabilmente Coméliau da casa sua telefonava ogni mezz'ora, per tenersi al corrente.
«Permette un istante, figliola?»
Fu sorpreso di averla chiamata così, e l'aveva fatto perché le voleva bene. Se avesse avuto una figlia non gli avrebbe dato fastidio, tutto sommato, che assomigliasse a Martine. La signora Maigret avrebbe reagito come la mamma di Martine, ma lui avrebbe sicuramente reagito come Chapuis.
Si diresse verso il fondo della sala.
«Ha della carta non intestata e una busta?»
«Abbiamo solo carta non intestata. Prenda la cartellina dietro il banco. Ci sono anche una bottiglia di inchiostro e una penna».
«Da quanto tempo ha alle dipendenze il ragazzino che ho visto poco fa lavare i piatti in cucina?»
«Sua madre ce lo ha portato tre settimane fa. Ritorna al liceo in ottobre. Sono persone povere, e durante le vacanze lui cerca di guadagnare un po' di soldi».
«Da tre settimane a questa parte Janvier non è più venuto qui?»
«Non l'ho visto, no. Quando hanno voglia di bere un bicchiere vanno piuttosto alla Brasserie Dauphine, che è più vicina».
Maigret lo sapeva meglio di chiunque altro.
«Non lasci uscire il ragazzo prima che gli abbia affidato una commissione».
«Ne ha ancora per un po', deve riordinare la cucina».
Maigret non tornò al suo tavolo ma si sedette a un altro, abbastanza lontano da Martine Chapuis. Sulla busta scrisse:
DA CONSEGNARE CON LA MASSIMA URGENZA
ALL'ISPETTORE JANVIER.
La ragazza dal suo posto vedeva bene che stava scrivendo a stampatello, e non capiva.
Il testo sul foglio era breve.
JAVE SAPEVA DALLA BAMBINAIA, FIN DAL VENERDÌ
SERA, CHE SUA MOGLIE SAREBBE VENUTA A PARIGI.
Entrò in cucina.
«Come ti chiami?» chiese al ragazzo dalla zazzera scarmigliata che stava mettendo a posto alcuni piatti.
«Ernest, signor commissario».
«Chi ti ha detto chi sono?»
«Nessuno. L'ho riconosciuta dalle foto».
«Vuoi fare una commissione per me? Ti lasci intimidire facilmente?»
«Forse da lei. Ma non da altri».
«Dovrai correre nel palazzo di fronte, alla Polizia Giudiziaria. Conosci?»
«Il portone grande dove c'è sempre un agente di guardia?»
«Sì. Consegnerai questa busta all'agente dicendogli che deve farla portare subito all'ispettore Janvier».
«Ho capito».
«Un momento. Non è tutto. È possibile che l'agente ti dica di salire».
«Devo farlo?»
«Sì. Al primo piano ci sarà molta gente. Dietro un banco, vedrai un vecchio usciere che ha una catena al collo».
«So com'è. Ce ne sono anche nelle banche».
«Gli dirai la stessa cosa. Se nei paraggi c'è un ispettore, forse ti farà delle domande. Ricordati bene questo: tu passavi sul pont Saint-Michel quando un signore ti ha dato cinquecento franchi per portare una lettera alla Polizia Giudiziaria».
«Ho capito».
«Il signore era piccolo e magro...»
Il ragazzo, divertito, aveva fretta di partire.
«Piccolo e magro, abbastanza vecchio...»
«Sì, signor Maigret».
«È tutto. Sarà meglio che tu non torni qui stasera, perché potrebbero seguirti».
«È uno scherzo, che vuole fargli?»
Maigret si limitò a sorridere e tornò al suo posto vicino alla ragazza.
«Succeda quello che deve succedere».
«Cos'ha fatto?»
«Mi sono comportato come il lettore medio, quello che firma i suoi messaggi: "Uno che sa"».
Martine vide Ernest partire con la lettera dopo aver parlato a mezza voce al padrone, e lo seguì con gli occhi sul pont Saint-Michel, dove correva più che camminare.
«È per via di quello che le ho detto io?»
«No».
«Per via della sua telefonata?»
«Sì».
Il padrone e la padrona avevano finito di cenare. Il loro tavolo era sparecchiato.
«Non crede che stiano aspettando che ce ne andiamo per chiudere?»
«Certamente».
«Devono alzarsi presto».
«La seccatura è che poi non sapremmo dove andare».
Non c'erano altri caffè o altri bar aperti di fronte alla Polizia Giudiziaria. Il ragazzo, sull'altro Lungosenna, stava parlando con l'agente di guardia. Subito dopo spariva sotto l'androne.
«Immaginavo che lo avrebbero fatto salire. L'agente non ha il diritto di lasciare il suo posto. Basta che...»
Le cose andarono evidentemente bene, perché Ernest riapparve tre o quattro minuti più tardi e si diresse stavolta verso il Pont-Neuf.
Janvier aveva ricevuto il messaggio anonimo. Anche se non gli avesse attribuito che un'importanza relativa, non avrebbe potuto fare a meno di fare al dottore Jave almeno una domanda al riguardo.
«Non sembra impaziente» osservava Martine mentre lui si accomodava meglio sulla panca, lo sguardo vacuo.
Perché non lo conosceva. Era la prima volta che il commissario viveva questa fase di un'inchiesta al di fuori del suo ufficio, e aveva la stessa sensazione di quando era lui a fare le domande.
Aveva fatto subire centinaia di interrogatori a persone di ogni genere. La maggior parte di essi durava parecchie ore. Alcuni proseguivano, nel fumo della pipa o delle sigarette, per una parte della notte, e gli ispettori erano spesso costretti a darsi il cambio.
Si citava ancora, al Quai, un interrogatorio di ventisette ore, alla fine del quale Maigret era esausto come l'uomo che aveva finito per confessare.
Ora, ogni volta, dopo tanti anni, si manifestava lo stesso fenomeno.
Finché il sospetto, davanti a lui, si dibatteva, rifiutava di rispondere o mentiva, era in qualche modo una lotta pari, su un piano quasi tecnico. Le domande succedevano alle domande, le più impreviste possibili, mentre lo sguardo del commissario rimaneva attento al minimo trasalimento del suo interlocutore.
Quasi sempre, dopo un tempo più o meno lungo, arrivava un momento in cui la resistenza si spezzava all'improvviso e in cui il poliziotto non si trovava più di fronte che un uomo braccato. Perché in quel momento ridiventava un uomo, un uomo che aveva rubato od ucciso, ma comunque un uomo, un uomo che avrebbe pagato, che lo sapeva, un uomo per cui quell'istante segnava la rottura con il suo passato e con i suoi simili.
Come un animale che sta per essere finito e Maigret non era mai riuscito a uccidere una bestia, anche se nociva aveva quasi sempre, per colui che lo costringeva a confessare, uno sguardo stupito che conteneva un rimprovero.
"È proprio così che è andata..." mormorava, allo stremo delle forze.
Non aveva più che un desiderio: firmare la sua deposizione, firmare qualunque cosa e andare a dormire.
Quante volte allora Maigret aveva tirato fuori la bottiglia del cognac dall'armadio a muro, non solo per offrirne alla sua vittima, ma per versarsene un gran bicchiere?
Aveva fatto il suo mestiere di poliziotto. Non giudicava.
Non toccava a lui giudicare, ma ad altri, più tardi, e lui preferiva che fosse così.
A che punto erano lassù, dietro le finestre illuminate dell'ufficio di Maigret? La resistenza di Jave aveva cominciato a cedere, Janvier era giunto al suo grido di vittoria?
Si sarebbe detto che la ragazza, di fronte al commissario, seguisse il suo pensiero.
«È strano» mormorava con una voce sorda. «Non avrei creduto nemmeno il dottor Jave capace di questo.
Ha così poco la faccia di un assassino!»
Maigret non disse niente. A che sarebbe servito spiegarle che in tutta la sua carriera, a parte qualche professionista, non aveva mai conosciuto un omicida con la faccia da criminale?
«Cosa le devo, capo?»
«Le due cene?»
«Ci tengo a pagare la mia» protestò Martine Chapuis.
Lui non insistette.
«I calvados li pago io».
«Come vuole».
Uscirono insieme, e non erano ancora arrivati al pont Saint-Michel che già il padrone chiudeva le imposte.
«Va là?»
«No. Aspetto».
Fortunatamente il Quai des Orfèvres era mal illuminato.
Se rimanevano sul marciapiede dalla parte della Senna erano nell'ombra e l'agente di guardia non poteva riconoscerli.
«Crede che confesserà?»
Maigret si limitò ad alzare le spalle. Non era Dio onnipotente.
Lui aveva fatto quello che aveva potuto. Il resto riguardava Janvier.
Camminavano in silenzio; da lontano dovevano scambiarli per innamorati, o piuttosto per una coppia che viene a respirare l'aria della sera sul Lungosenna prima di andare a dormire.
«Quasi mi spiace» borbottò all'improvviso il commissario «che non sia stato Négrel».
La ragazza sussultò e gli lanciò uno sguardo improvvisamente duro.
«Cosa vuole dire?»
«Non si arrabbi. Non ho niente contro il suo Gilbert, anzi. Ma se fosse stato lui, si sarebbe potuto trattare di un incidente. Capisce?»
«Credo di cominciare a capire».
«Prima di tutto il suo fidanzato non aveva un motivo sufficiente per uccidere. Specialmente perché lei era informata della sua relazione con Eveline Jave. Perché lei ne era informata, vero?»
«Sì».
Maigret smise di camminare, e chiese senza guardarla:
«Perché mente?»
«Non mento. Cioè...»
«Continui».
«Sapevo, perché me l'aveva confessato, che aveva avuto dei rapporti con lei. Lo aveva quasi costretto. Sapevo anche che continuava ad inseguirlo...»
«Ma non che sabato sarebbe venuta da Cannes per vederlo?»
«No».
«Né che era andata a casa sua da quando voi due vi conoscevate?»
«No. Vede che sono sincera. Non me ne ha parlato per delicatezza. Questo cambia qualcosa?»
Prese tempo per riflettere.
«Ora non più. In ogni modo, il movente non sarebbe stato sufficiente. E, come le ho detto poco fa, nel caso di Négrel sarebbe stato un incidente, un errore di fiala».
«Pensa ancora che sia possibile?»
«Temo di no».
«Perché?»
«Perché Jave sapeva, fin dal venerdì sera, che sua moglie sarebbe venuta a Parigi in aereo il sabato. Lui non è venuto per visitare Antoinette. Non ha perso l'aereo su cui si trovava Eveline. Ha preso l'aereo per Londra apposta, e sono convinto che conoscesse gli orari già da prima».
Le finestre lassù erano sempre illuminate. Due o tre volte si vide passare una sagoma, probabilmente Janvier, troppo eccitato per rimanere seduto alla scrivania di Maigret.
«Trova che il dottor Jave invece avesse dei motivi sufficienti?»
«Quello che si è venuto a sapere di Eveline non era un motivo sufficiente?»
«Per ucciderla?»
Ancora una volta, Maigret alzò le spalle.
«Quello che non mi piace» confessò quasi con rimpianto «è che l'abbia spogliata».
«Cosa vuole dire?»
«Questo fatto indica che voleva far ricadere i sospetti su qualcun altro».
«Su Gilbert!»
«Sì. Ha creduto di agire da uomo intelligente. Ora, per strano che possa sembrare, sono sempre gli uomini intelligenti che si fanno prendere. Certi delitti turpi, commessi da un teppistello qualunque, o da uno squilibrato, rimangono impuniti. Il delitto di un intellettuale, mai.
Vogliono prevedere tutto, mettersi al sicuro dal minimo imprevisto. Sono pignoli. Ed è la loro pignoleria, è qualche particolare "di troppo", a farli prendere, in fin dei conti.
«Sono convinto che Jave si trovava nell'appartamento di fronte mentre sua moglie era col suo fidanzato.
«Quello che Eveline ha detto a Négrel, io non lo so, e, dato il carattere di quest'ultimo, dubito che glielo dica mai».
«Io ne sono certa».
«Non sarei sorpreso se lei lo avesse informato della sua intenzione di divorziare, o anche di andare a vivere subito con lui».
«Crede che lo amasse?»
«Aveva bisogno di almeno un uomo tutto per lei. Ci ha provato tanto! Dall'età di quattordici anni, ha provato invano...»
«Era un'infelice?»
«Non lo so. Si è aggrappata a lui. Gli ha strappato un bottone della giacca».
«Non mi piace immaginare quella scena».
«Neanche a me. Négrel ha preferito andarsene. Noti che se n'è andato alle cinque e trenta, mentre l'orario di visita è dalle due alle sei. Una volta libero il campo, Jave non ha dovuto far altro che attraversare il pianerottolo».
«Stia zitto!»
«Non ci tengo a entrare nei particolari. Sottolineo semplicemente il fatto che poi l'ha spogliata e ha fatto sparire i vestiti».
«Capisco. Non parli più, per favore. E se quelli lassù non capissero?»
La ragazza alzava la testa verso le finestre illuminate.
«Perché non ci va, commissario? Finirebbe subito. Sono sicura che lei...»
Mezzanotte era passata. Il Lungosenna era deserto, come pure il pont Saint-Michel. Si sentivano rumori lontani e Maigret riconobbe quello di parecchie persone nel cortile della Polizia Giudiziaria.
Martine si fermò e gli prese meccanicamente il braccio.
«Cos'è?»
Lui tendeva l'orecchio, seguiva la direzione dei passi.
Infine si rilassò.
«Qualcuno lo ha portato in carcere».
«È sicuro?»
«Riconosco il cigolio del cancello».
«Jave?»
«Suppongo di sì».
Nello stesso momento una delle finestre divenne buia, quella dell'ufficio degli ispettori.
«Venga qui».
La trascinò in una zona d'ombra più fitta, e qualche istante più tardi, infatti, vide uscire Santoni, Lapointe e Bonfils. Lapointe e Santoni si diressero verso il pont Saint-Michel, Bonfils verso il Pont-Neuf.
«A domani».
«Buonanotte».
«È finita» mormorò Maigret.
«È sicuro?»
«Janvier sta dando dei documenti ai giornalisti. Lo vedremo uscire da un momento all'altro».
«E la giovane donna, Antoinette?»
«La trattengono, e c'è qualche possibilità che sia citata per complicità, perché ha fornito un alibi al dottore».
«Anche sua madre?»
«Probabilmente».
«Secondo lei, loro sapevano?»
«Vede, figliola, questo non mi riguarda, perché sono in vacanza. E, anche se fossi al posto di Janvier, non mi permetterei di decidere, perché riguarda i giurati».
«Non rilasciano Gilbert?»
«Non prima di domattina, perché solo il giudice istruttore è abilitato a firmare i documenti necessari».
«Gilbert lo saprà già?»
«Avrà sentito che gli hanno messo un vicino, e giurerei che ha riconosciuto le voci. Cosa le succede?»
La ragazza piangeva, all'improvviso, senza sapere perché.
«Non ho nemmeno il fazzoletto...» balbettava. «Che stupida! A che ora, domattina?»
«Sicuramente non prima delle nove».
Le aveva passato il suo fazzoletto e continuava a spiare il portone della Polizia Giudiziaria.
Dopo non molto uscì un'auto, un'auto grigia che doveva appartenere a uno dei giornalisti, e in cui erano ammucchiati in quattro o cinque. Due fotografi uscirono a piedi e si diressero verso il Pont-Neuf.
Rimaneva la luce accesa nell'ufficio di Maigret; alla fine anche questa si spense.
«Venga qui...»
Si allontanò un po', cercò l'ombra più fitta. Si sentì il rumore di un motore nel cortile, e poi una delle piccole auto nere della Polizia Giudiziaria fece la sua comparsa.
«Tutto va bene, è solo» mormorò il commissario.
«Chi?»
«Janvier. Se non fosse riuscito, avrebbe fatto riportare a casa Jave, o lo avrebbe riportato lui».
L'auto nera si allontanò a sua volta verso il Pont-Neuf.
«Ecco, figliola. È finita».
«La ringrazio, commissario».
«Di che?»
«Di tutto».
Era sul punto di piangere di nuovo. Lui camminava al suo fianco verso il pont Saint-Michel.
«Non mi riaccompagni. Abito quasi qui di fronte».
«Lo so. Buonanotte».
C'era un caffè aperto, allo Chatelet, e Maigret vi entrò, si sedette a un tavolo nella sala quasi vuota, e bevve lentamente una birra piccola. Poi prese un taxi.
«Boulevard Richard-Lenoir. Le dirò io dove fermarsi».
Il boulevard era deserto. Non vide nessuna sagoma sul marciapiede. Quando salì l'ultima rampa di scale, la porta si aprì, come sempre, perché la signora Maigret riconosceva il passo.
«Allora?» chiese coi bigodini nei capelli.
«È finita».
«Négrel?»
«Jave».
«Non l'avrei detto».
«Non è venuto nessuno?»
«No».
«Non c'erano giornalisti nei dintorni quando sei entrata?»
«Ci ho fatto attenzione. Sono sicura».
«Che giorno è oggi?»
«Sabato. O piuttosto, visto che è l'una e trenta di mattina, è domenica».
«Ti spiacerebbe preparare una valigia con il necessario per qualche giorno?»
«Quando vuoi partire?»
«Non appena sarai pronta. Domani mattina ci rintraccerebbero sicuramente».
«Devo ripettinarmi».
Erano le 2,30 e la notte era calma e dolce quando scesero, con Maigret che portava la valigia che usavano durante i loro rari fine settimana.
«Dove pensi di andare?»
«Dove troveremo posto. Esisterà pure da qualche parte, non troppo lontano da Parigi, un albergo che abbia una stanza libera».
Seguirono la Senna in taxi, in direzione della foresta di Fontainebleau. Un po' dopo Corbeil Maigret si ricordò di un albergo, a Morsang, dove si era fermato durante un'inchiesta.
«Li svegli?»
Non aveva piani. Non sapeva cosa avrebbe fatto. Era in vacanza, ma sul serio questa volta.
E non aveva sbagliato a fidarsi della sua buona stella, perché non ebbe bisogno di svegliare il personale dell'albergo, di cui si vedevano tutte le imposte chiuse al chiaro di luna.
In riva alla Senna, in uno scintillio argentato, un uomo era occupato a preparare delle reti da pesca, e Maigret riconobbe il padrone.
«Abbiamo effettivamente una camera libera, ma è prenotata per domani sera».
Che importanza aveva? L'indomani sarebbero stati liberi di tentare la sorte un po' più in là.
Nell'attesa che il padrone svegliasse la moglie, rimasero seduti tranquillamente sulla terrasse, davanti a un tavolo di ferro, guardando scorrere l'acqua.
Solo quattro giorni più tardi, in un albergo in riva al Loing, Maigret ricevette una cartolina che rappresentava il Quai des Orfèvres. Il nome e l'indirizzo erano scritti in stampatello, e nella parte riservata alla corrispondenza non c'erano che due parole:
GRAZIE, CAPO.
"Golden Gate" Cannes, 13 settembre 1956