Capitolo terzo: L'opinione degli innamorati

 

 

Avevano scelto un ombrellone a righe bianche e blu. Siccome tre caffè si disputavano place du Tertre, e ciascuno spingeva la propria terrasse il più lontano possibile, gli ombrelloni erano come bandiere: quelli color arancio, quelli blu scuro e quelli a righe bianche e blu. Le sedie di ferro erano le stesse, e anche i tavoli, e probabilmente il vino grigio che servivano nei boccali. Era come una festa senza fine, con autobus che sboccavano da una stradina di cui sfioravano i muri, turisti armati di macchine fotografiche, pittori soprattutto donne davanti al loro cavalletto. C'era anche un mangiatore di fuoco che per giunta ingoiava sciabole.

Anche qui Maigret e sua moglie si scambiarono un'occhiata.

Non parlavano mai molto quando erano soli. E negli sguardi che si scambiavano oggi, per esempio, c'erano nostalgia e gratitudine.

Non era più la place du Tertre che avevano conosciuto quando Maigret iniziava la carriera come segretario di un commissariato di polizia, certo, ma era divertente lo stesso, ora era una fiera colorata, rumorosa, di una volgarità più aggressiva. Non erano d'altra parte cambiati anche loro?

Perché esigere che il resto del mondo rimanga immobile mentre noi invecchiamo?

Era più o meno questo che i due si dicevano battendo le palpebre, e si dicevano anche grazie.

Il vino bianco era fresco, un po' acido. La sedia pieghevole scricchiolava sotto il peso del commissario, che aveva l'abitudine di rovesciarsi all'indietro. Accanto a loro, due innamorati, che non avevano quarant'anni in due, si tenevano per mano e guardavano in silenzio l'andirivieni dei turisti. Il ragazzo aveva i capelli troppo lunghi; la ragazza li aveva troppo corti. Le case erano state ridipinte come uno scenario di opera buffa. Una guida su un autobus, con un megafono davanti alla bocca, spiegava qualcosa in inglese, poi in tedesco.

E in quel momento uno strillone fece irruzione, gridando anche lui parole confuse fra cui distingueva soltanto:

"...rivelazioni sensazionali..."

Maigret tese il braccio e fece schioccare le dita, come a scuola. Comprò i due giornali concorrenti del pomeriggio, e gli innamorati, lì vicino, si limitarono a comperarne uno.

Tenne per sé quello a cui collaborava il piccolo Lassagne, e passò l'altro a sua moglie.

Si pubblicava, in prima pagina, la grande fotografia di una ragazza in costume da bagno appoggiata ad una barca.

La ragazza aveva le gambe e le cosce magre, piccoli seni appuntiti, poco formosi. Sorrideva all'obbiettivo con un sorriso goffo e timido.

Perché si aveva l'impressione che fosse una vittima designata dalla sorte? Il giornale aveva ingrandito una istantanea presa su una spiaggia con cattiva luce.

"Eveline Jave" si leggeva nella didascalia "fotografata da suo fratello l'anno in cui ha conosciuto il dottor Jave".

Una signorina di provincia, saggia e malinconica, che doveva essere vissuta in una casa severa e che aspirava ad un'altra esistenza.

Era stato Yves Le Guérec, si spiegava più sotto, a consegnare il documento al piccolo Lassagne.

ABBIAMO PARLATO COL DOTTOR NEGREL.

E così uno dei due uomini aveva accettato di ricevere, se non i giornalisti, almeno uno di loro. Lassagne, magro e rosso di capelli, vivace come una scimmia, doveva aver passato ore piene di trepidazione e Maigret se lo immaginava che tornava al giornale e si precipitava verso la scrivania per redigere il suo articolo che i fattorini dell'ufficio portavano pezzo per pezzo alla composizione.

Anche se non era sensazionale, come sosteneva lo strillone, anche se non si trattava esattamente di rivelazioni, il testo era comunque interessante.

Lassagne, come al solito, ambientava prima di tutto la scena.

Nel suo alloggio di rue des Saints-Pères, in un vecchio palazzo a due passi da Saint-Germain-des-Prés, il dottor Négrel ha acconsentito a concederci una intervista esclusiva.

La casa, che un tempo è stata palazzo privato, ha conservato sul frontone lo stemma di una illustre famiglia francese, ma già da tempo i locali, scalcinati, sono occupati da numerose famiglie.

Il cortile è ingombro di motorini, biciclette e carrozzine.

Al piano terra c'è il laboratorio di un falegname, e i gradini della scala, con una importante balaustra di ferro battuto, sono consumati.

Siamo dunque saliti al secondo piano, mansardato, che un tempo era usato dal personale, e, in fondo a un corridoio buio, abbiamo bussato a una porta sulla quale un semplice biglietto da visita è fissato con una puntina.

Avevamo un appuntamento. Quando la porta si è aperta abbiamo trovato un uomo giovane, coi capelli scuri, il colorito opaco, che potrebbe fare il protagonista giovane in un film.

Il dottor Négrel, come lui stesso ci ha detto un po' più tardi, è del Sud della Francia, di Nîmes, dove la sua famiglia è stabilita da numerose generazioni. Questa famiglia ha avuto alti e bassi. Un Négrel è stato medico di marina sotto Napoleone. Un altro era procuratore sotto Luigi Filippo.

Il padre del dottor Négrel, che è ancora vivo, è fotografo, e il dottore ha studiato all'università di Montpellier.

Il dottore...

Maigret interruppe la lettura per tendere l'orecchio. I due innamorati, al tavolo vicino, stavano leggendo lo stesso giornale, più o meno contemporaneamente a lui, e la ragazza mormorava:

«Cosa ti dicevo?»

«Cosa?»

«È una storia d'amore».

«Lasciami leggere il séguito».

Maigret sorrise appena e anche lui proseguì la lettura.

Il dottore, nonostante il fisico prestante, ci è parso un uomo semplice e serio, che gli avvenimenti di questi ultimi giorni sembrano avere profondamente sconvolto.

Il suo alloggio è rimasto quello di uno studente, piuttosto che di un medico la cui carriera, possiamo dire, si annunciava brillante. Ci ha ricevuti in una stanza che serve a un tempo da studio, da salotto e da sala da pranzo.

Attraverso le porte aperte abbiamo intravisto una camera da letto non lussuosa e una minuscola cucina.

"Non capisco nulla di ciò che è successo" ci ha dichiarato all'inizio Négrel sedendosi sul davanzale della finestra, dopo averci indicato un 'antiquata poltrona di pelo rosso. "La polizia, e poi il giudice istruttore, mi hanno interrogato a lungo, e mi hanno fatto domande a cui mi è stato impossibile rispondere. Sembra che mi sospettino di aver ucciso la signora Jave. Ma perché, sì, perché avrei dovuto farlo?"

Le sopracciglia folte, che si congiungono, danno più profondità al suo sguardo. Sulla tavola si trovavano i resti di un pasto freddo che probabilmente la portinaia era andata a comprargli nel quartiere. Non si era rasato, non portava né cravatta né giacca.

Gli abbiamo chiesto:

"Mi permette di farle a mia volta, per i nostri lettori, un certo numero di domande?"

"Risponderò come meglio posso".

"Anche se queste domande sono indiscrete?"

Ha fatto un gesto vago, come uno a cui hanno già fatto le domande più indiscrete.

"Per cominciare, da quanto tempo conosceva i Jave?"

"Conosco il dottor Jave da tre anni. Anche «là» me lo hanno domandato".

"Dove lo ha conosciuto?"

"Al servizio del mio capo, il professor Lebier, di cui sono assistente. Jave ci porta qualche volta dei pazienti per un consulto e, un giorno in cui avevo fretta di recarmi in centro, mi ci ha portato lui con la macchina".

"Siete diventati amici?"

"Mi ha detto che gli sarebbe piaciuto che un giorno o l'altro andassi a cena a casa sua".

"E c'è andato?"

"Sei mesi più tardi, per caso. Alla fine di un consulto con il professor Lebier, mi ha chiesto se quella sera ero libero, perché aveva gente interessante a cena, e così sono andato in boulevard Haussmann".

"È stato in quella occasione che ha conosciuto la signora Jave?"

"Sì".

"Che impressione le ha fatto?"

"Ero il meno importante degli invitati e quindi mi trovavo in fondo al tavolo. Non ho avuto alcuna occasione di parlare con lei".

"Sembrava una donna felice?"

"Né felice né infelice. Si comportava da padrona di casa".

"Lei è tornato spesso, come invitato, in boulevard Haussmann?"

"Abbastanza spesso".

"Secondo i suoi colleghi, lei esce poco e cena raramente in città".

A questo punto del nostro colloquio, Négrel è parso un po' imbarazzato. Alla fine ha sorriso.

"I Jave" ha spiegato "ricevevano molto, almeno una volta alla settimana, e avevano sempre una quindicina di persone.

"Qualche volta c'era una donna in più, o una ragazza, e mi telefonavano all'ultimo minuto perché facessi in qualche modo da tappabuchi".

"E lei, perché accettava?"

"Perché erano simpatici".

"Entrambi?"

"Entrambi, sì".

"Cosa pensa di Jave?"

"È un medico eccellente".

"E come uomo?"

"L'ho sempre ritenuto un uomo onesto e anche scrupoloso".

"Eppure lei non deve amare molto i medici mondani".

"Non era solo un medico mondano".

"È diventato più o meno un amico di famiglia?"

"Amico è una parola grossa. Nonostante la differenza di età fra Philippe e me, eravamo buoni compagni".

"Vi davate del tu?"

"Io do del tu a poca gente. Forse per via dell'atmosfera protestante di Nîmes, dove sono nato e dove ho passato l'infanzia".

"E non dava del tu nemmeno a Eveline Jave?"

"No".

Un no piuttosto secco.

"Quali erano i suoi rapporti con lei?"

"Corretti. Potrei dire amichevoli".

"Le faceva delle confidenze?"

"Mi ha soltanto detto, come io già sapevo da suo marito, che non aveva mai avuto una vita come quella delle altre donne".

"Per quale motivo?"

"Per via della sua salute".

"Non stava bene?"

"Non credo di tradire nessun segreto, dato che non ero il suo medico, se dico che soffriva del morbo di Stoker-Adams.

È quel che si chiama comunemente una brachicardia permanente. Il suo cuore, fin dall'infanzia, non batteva a sessanta pulsazioni, com'è più o meno la norma, ma a quaranta o quarantacinque".

"Quali sono gli effetti di questa malattia?"

"Il malato vive apparentemente allo stesso modo degli altri. Solo che rischia in ogni momento una sincope, o delle convulsioni, addirittura la morte istantanea".

"E lei lo sapeva?"

"Dall'età di dodici anni. Dopo una visita da un grande specialista, aveva ascoltato alla porta e aveva sentito tutto".

"Aveva paura?"

"No. Era rassegnata".

"Era comunque allegra".

"Di un'allegria un po' felpata, se posso esprimermi così.

Si sarebbe detto che temesse di provocare una crisi per troppa esuberanza".

"Non ha avuto paura ad avere un figlio?"

"No. Era contenta, anzi, di lasciare qualcosa dietro di sé, anche se doveva costarle la vita".

"Era innamorata di suo marito?"

"Penso di sì, se l'ha sposato".

"E lui era innamorato di lei?"

"L'ho sempre visto molto attento".

"Le è mai capitato di incontrarla in privato, voglio dire in assenza del marito?"

Silenzio. Una ruga sulla fronte del giovane medico.

"Sì e no. Non sono mai andato per vedere lei. Ma a volte, mentre mi trovavo in boulevard Haussmann, Jave è stato chiamato d'urgenza da un malato".

"E in quelle occasioni lei non ha mai tentato di farle delle confidenze?"

"No. Non quelle che si definiscono confidenze".

"Di parlarle della sua vita?"

"Come tutti parlano del proprio passato, della propria infanzia".

"Siete quindi diventati buoni amici?"

"Se vuole metterla così".

"Non è mai venuta qui, in questo alloggio?"

Altro silenzio.

"Perché mi chiede questo?"

"Le risponderò francamente. La sua portinaia, a cui ho mostrato la foto di Eveline Jave, sostiene di averla vista almeno due volte salire da lei, la seconda sei settimane fa".

"La portinaia sta mentendo, o ha sbagliato persona".

Al tavolo vicino, la ragazza diceva:

«Tu a chi credi? alla portinaia o al dottore?»

Leggevano allo stesso ritmo. Il suo ragazzo rispondeva:

«Le portinaie sono tutte streghe, ma il dottore non sembra molto a suo agio».

«Te l'ho detto, che è una storia d'amore...»

La signora Maigret, che aveva già finito l'articolo, probabilmente più corto, dell'altro giornale, lo teneva sulle ginocchia e guardava con aria sognante l'andirivieni dei turisti.

Maigret stava dimenticando il suo ruolo alla Polizia Giudiziaria, il mestiere che aveva fatto tutta la vita e si sorprendeva a leggere il giornale come l'uomo della strada.

Grazie a ciò aveva fatto una piccola scoperta che lo riempiva di gioia.

Di solito i moralisti, coloro che pretendono di dare lezione ai loro simili, sostengono che è un gusto malsano, addirittura un istinto perverso quello che spinge i lettori a gettarsi sui resoconti dei crimini e delle catastrofi.

Senza averci riflettuto molto il commissario, solo il giorno prima, sarebbe stato tentato di condividere la loro opinione.

E all'improvviso si rendeva conto che la cosa non era così chiara, e le riflessioni della sua giovane vicina avevano qualcosa a che fare con la sua nuova opinione.

I lettori non si gettano forse altrettanto febbrilmente sui resoconti di azioni eroiche o eccezionali? Si vide mai una folla più fitta e appassionata, sui grandi Boulevards, seppure in piena notte, di quella che si era raccolta all'arrivo di Lindbergh?

Ciò che la gente cerca di sapere non è forse fino a che punto l'uomo può arrivare, nel bene come nel male?

La curiosità della ragazza del tavolo accanto non veniva forse dal fatto di voler conoscere, lei novella innamorata, i limiti dell'amore?

La ragazza sperava che il giornale, che il séguito dell'inchiesta sulla morte di boulevard Haussmann, glielo insegnassero.

Lassagne continuava, sfruttando al massimo la sua esclusiva:

Allora gli abbiamo domandato:

"Riceve molte donne, signor Négrel?"

"Tempo fa mi è capitato di riceverne".

"Cosa intende per «tempo fa»?"

Durante tutto il colloquio, fumava senza interruzione sigarette che poi spegneva sul davanzale della finestra aperta.

"Sono fidanzato da un anno. La polizia lo sa. Probabilmente ha già interrogato la ragazza e perciò è inutile farne mistero".

"Si può sapere il suo nome?"

"Glielo diranno probabilmente al Quai des Orfèvres.

Non sta a me dirlo".

"È una ragazza che vive coi genitori?"

"Sì".

"Lavora?"

"Sì".

"Appartiene alla borghesia?"

"Suo padre è un noto avvocato".

"E veniva a trovarla a casa sua?"

Silenzio.

"Ora sarò più indiscreto e le chiedo di scusarmi. A un certo momento, dottore, è stato l'amante della signora Jave?"

"La domanda mi è già stata fatta".

"E lei cos'ha risposto?"

"No".

"Non ne è nemmeno mai stato innamorato?"

"Mai".

"E la signora lo è stata di lei?"

"Non ha fatto o detto nulla che possa avermelo fatto pensare".

"Non l'ha vista, sabato scorso?"

"No".

"Non ha visto Jave?"

"Né lei né lui. Ho ricevuto cinque pazienti durante il pomeriggio e le loro schede sono state ritrovate in ufficio.

Me ne sono andato alle cinque e mezzo, dopo aver salutato Josépha e averle raccomandato di chiudere le finestre".

"Chi ha avuto l'idea della supplenza che lei faceva quest'estate?"

"Il dottor Jave".

"Come si regolava gli altri anni?"

"Si serviva di un mio collega, il dottor Brisson, il quale l'inverno scorso ha aperto un ambulatorio ad Amiens e di conseguenza non è più disponibile".

"Un'ultima domanda. Ritiene che Josépha sia particolarmente devota ai suoi padroni?"

"Non me lo sono chiesto".

"Ha appena vissuto varie settimane con lei. Avete avuto contatti frequenti. È il tipo di donna che possa dire falsa testimonianza nell'interesse di uno o l'altro dei suoi padroni?"

"Le ripeto che non lo so".

Lassagne concludeva:

Abbiamo così lasciato un uomo di cui l'onore, l'avvenire e persino la vita sono in gioco. Ne è cosciente. Colpevole o innocente, conosce il peso delle parole e le minacce che gravano su di lui. Ci pare deciso a difendersi, con calma, senza agitazione né collera, e l'ultimo sguardo che ci ha lanciato dalle scale era carico di amarezza.

«Ecco come credo sia andata» diceva la ragazza del tavolo vicino. «Erano amanti, lei e il giovane dottore. La portinaia non ha alcun motivo di mentire e sono convinta che l'abbia davvero riconosciuto. Il marito della signora Jave è più vecchio di lei. La trattava da ragazzina, e alle donne questo non piace. Négrel invece è un bel ragazzo, dagli occhi teneri...»

Maigret sorrise con la pipa in bocca. Dove aveva trovato gli occhi teneri? Dal fatto che il giornale parlava di sopracciglia folte?

«Sono sicura che è un passionale. In tutte le sue risposte, si sente che si controlla. Nota anche il suo modo di spegnere le sigarette sul davanzale della finestra».

«Questo non significa niente».

«Questo significa che mentre si sforzava di mostrarsi calmo, all'interno ribolliva. Lei è stata obbligata ad andare a Cannes con il marito e la figlia. Scommetto che è stata lei a suggerire l'idea della supplenza. Così, Négrel passava una parte del suo tempo in boulevard Haussmann, e fra loro rimaneva un legame».

«Hai una bella fantasia».

Maigret intanto stava pensando che quella coppia non sarebbe durata molto. Il ragazzo era biondo e sembrava serio. Il corpo elastico della ragazza si incollava a lui come per avvilupparlo e lui pareva imbarazzato, sembrava volersi scusare con le persone che li circondavano.

«Non parlare così forte».

«Non dico niente di male. Dopo un mese di separazione, lei non ce l'ha più fatta e ha preso l'aereo con l'idea di tornare a Cannes quella sera. Probabilmente ha raccontato al marito che andava a trovare un'amica sulla Costa.

Lui, che sospettava qualcosa, l'ha seguita.

«Il pomeriggio li ha sorpresi insieme nella stanza dietro l'ambulatorio. Ha lasciato che Négrel se ne andasse.

Se l'è presa con la moglie. L'ha colpita. Lei è svenuta. E allora, decidendo di colpo di farla finita, le ha fatto un'iniezione».

«Perché l'ha messa nell'armadio, se è un delitto passionale?»

La signora Maigret, che stava pure ascoltando, scambiò un'occhiata con suo marito. Era curioso, in quell'atmosfera di kermesse, quel chiacchiericcio leggero, quasi giocoso, a proposito di una tragedia. I personaggi, nel discorso della ragazza, perdevano la loro umanità, la loro verità tragica, diventavano marionette da romanzo popolare.

Eppure quel che lei diceva poteva essere la verità. La sua ipotesi, per quel che Maigret conosceva del caso, era plausibile quanto qualunque altra.

«Ma non capisci? Rinchiudendola nell'armadio e ritornando a Cannes, e poi affermando che non era venuto a Parigi, faceva pensare che l'assassino fosse Négrel. La prova è che sospettano ancora lui».

«Li sospettano tutti e due».

«Chi te l'ha detto?»

«Scommetto che la polizia li ha rilasciati per osservarli e aspetta che uno dei due faccia un passo falso».

Nemmeno questa idea era tanto stupida. A conti fatti, il pubblico è meno stupido di quel che si crede.

Il povero Janvier si era trovato di fronte a un dilemma che non si pone spesso un poliziotto. Di solito si trattiene un presunto colpevole e la questione è sapere se è meglio accusarlo o rilasciarlo in attesa di prove sufficienti.

Con un solo colpevole possibile, il giudice Coméliau non avrebbe esitato: avrebbe accusato.

Ma con due? Non potevano aver ucciso entrambi Eveline Jave. Uno dei medici era dunque innocente. Trattenerli contemporaneamente a disposizione della giustizia era ammettere di privare un innocente della libertà.

L'aveva capito persino Coméliau e si era rassegnato a rilasciarli entrambi.

Chi si trovava a sorvegliare la strada, mentre Lassagne procedeva con la sua intervista? Lapointe? Gianini?

C'era comunque qualcuno, come c'era un uomo della Polizia Giudiziaria in boulevard Haussmann.

Uno dei due medici aveva accettato di ricevere la stampa, scegliendo il rappresentante del giornale a più alta tiratura.

L'altro taceva, chiuso nel suo appartamento. Infatti Lassagne aggiungeva:

Abbiamo cercato invano di ottenere un colloquio con il dottor Jave. Da quando ha lasciato la Questura ed è tornato in boulevard Haussmann, egli non ha visto nessuno, tranne Josépha. Deve aver staccato il telefono perché quando si chiama il suo numero si ottiene invariabilmente il tono "occupato".

«Ne prendi ancora?» chiese la signora Maigret vedendo il marito fare un segno al cameriere.

Sì, prendeva dell'altro vino bianco. Aveva sete. E soprattutto non aveva ancora voglia di andarsene.

«Tu che cosa ne pensi?» proseguì lei a mezza voce.

Lui si limitò ad alzare le spalle. A quella domanda aveva l'abitudine di rispondere che non pensava mai, ed era quasi vero. Due personaggi cominciavano a delinearsi sotto i suoi occhi: Eveline Jave e il dottor Négrel.

Non erano più soltanto delle entità. Eveline specialmente prendeva vita, da quando aveva visto la sua fotografia: al posto di Janvier, lui sarebbe andato subito a Concarneau.

La chiave della tragedia non era necessariamente là.

Tuttavia era in quella città che la giovane donna aveva passato la maggior parte della sua esistenza, e gli sarebbe piaciuto conoscerla di più.

Era stata allevata dalle monache? Lo avrebbe giurato, dal modo in cui stava in posa e guardava la macchina fotografica. Immaginava la casa priva di una donna, una casa grigia, probabilmente, che forse aveva odor di pesce, con un padre ed un fratello per i quali esistevano solo gli affari.

Come si era abituata alla vita di Parigi? E quando dava una cena o un ricevimento, continuava a sentirsi goffa?

Anche Négrel era un provinciale, malgrado il fisico da attor giovane. Era uno di Nîmes, un protestante. Finiti gli studi, non aveva cercato di farsi una clientela, ma era diventato l'assistente del suo professore.

Lassagne era riuscito a fargli ammettere che tempo prima aveva ricevuto alcune donne nel suo alloggio di rue des Saints-Pères e Maigret avrebbe scommesso che si trattava di prostitute di Saint-Germain-des-Prés. Avrebbe persino scommesso che avevano fatto solo brevi visite e che nessuna aveva passato tutta la notte nel letto del giovane medico.

Ora, da un anno, era fidanzato. Questo faceva venire a Maigret una gran voglia di telefonare a Janvier per chiedere il nome della ragazza. La figlia di un noto avvocato.

Significava scandalo in vista.

Gli innamorati se ne stavano andando a braccetto, e, abbandonando il giornale sul tavolino, si diressero verso il Sacré-Coeur. Passando, la ragazza indirizzò uno sguardo divertito al cappello della signora Maigret, che non aveva tuttavia niente di ridicolo. È anche vero che lei non portava cappello, su quei capelli tagliati corti come quelli di un imperatore romano.

«Cosa dicono sul tuo giornale?»

«Probabilmente la stessa cosa del tuo».

Lo aprì meccanicamente. Anche qui c'era una fotografia in prima pagina, non quella di Eveline Jave, ma quella di suo fratello, Yves Le Guérec, appoggiato coi gomiti al bar dell'Hôtel Scribe.

Non somigliava a sua sorella. Era un ragazzo quadrato, tarchiato, col viso ossuto sotto capelli a spazzola che dovevano essere rossi.

Visto che non era riuscito ad arrivare a Négrel o a Jave, il concorrente del piccolo Lassagne era andato a intervistare lui.

Yves Le Guérec, dicevano, era sposato, padre di due bambini, e si era fatto costruire una villa a tre chilometri da Concarneau. Aveva preso il posto del padre, alla morte di questi, nell'industria di prodotti in scatola.

"Da quando si è sposata, mia sorella non è più ritornata al paese, mi chiedo perché, forse perché suo marito voleva allontanarla dalla famiglia".

"Lei non l'ha più rivista?"

"Una volta ogni tanto, quando ero a Parigi, andavo a salutarla. Una volta ho portato mia moglie ed i bambini in boulevard Haussmann, ma ho avuto l'impressione che fossimo di troppo".

"Per quale motivo?"

"Noi siamo gente semplice, che non frequenta lo stesso ambiente del dottor Jave... "

"Lui si è sistemato con la dote di sua sorella?"

"All'epoca del matrimonio non aveva un soldo. Casomai debiti. Li ha pagati mio padre, e sempre mio padre ha pagato tutto quello che si trova in boulevard Haussmann".

"Suo cognato non le piace?"

"Non ho detto questo. Diciamo che non siamo della stessa classe. O piuttosto, vorrebbe farlo credere, perché sua madre non è altro che una maestra... "

Qui si sentivano antichi rancori che risalivano in superficie.

Erano due mondi diversi, in effetti. I Le Guérec, nonostante la loro ricchezza, continuavano, in provincia, a condurre una vita semplice mentre Jave, che aveva sperimentato la vita parigina, si era evoluto.

Ed erano i sardinai che pagavano:

"Mia sorella ha ereditato metà delle azioni della fabbrica e riceveva una somma consistente ogni anno, la prego di credermi".

"Era sposata sotto il regime di comunione dei beni?"

"Purtroppo".

"E lei?"

"Anch'io. Non è la stessa cosa, perché mia moglie è la figlia di un armatore e gli armatori sono della nostra stessa razza".

"Lei crede al delitto?"

"Lei riesce a immaginare che Eveline abbia potuto farsi un'iniezione ipodermica e andare a ficcarsi, piegata in due, in un armadio, per morire lì, dopo aver richiuso la porta a chiave? Dov'è questa chiave? Dove sono i vestiti?"

"Chi crede che l'abbia uccisa?"

Le Guérec ha aperto la bocca per rispondere, poi ha cambiato idea.

"Non ci tengo a tirarmi addosso un processo per diffamazione.

I fatti parlano da soli, no? Quanto a sostenere, come fanno certi, che mia sorella avesse un amante, è una menzogna spaventosa. Ne era incapace. Non aveva carattere. Gli uomini le facevano paura. Quando era ragazza, ai balli, rimaneva seduta tutta la sera in un angolo e accettava di ballare solo con me. Guardi questa foto.

Mi ricordo che si è data gran pena per trovare un costume da bagno che non lasciasse vedere praticamente niente.

Era ridicola".

"Le scriveva spesso?"

"Al mio compleanno, a quello di mia moglie e dei bambini, e per l'anno nuovo".

"Sapeva di essere malata?"

"Ha sempre saputo che non sarebbe vissuta a lungo, ma era rassegnata".

"Era credente?"

"Da noi, era molto credente ed andava a messa ogni mattina. In séguito sono venuto a sapere che suo marito l'aveva influenzata e che lei non praticava più".

"Pensa che non fosse felice?"

"Ne sono certo".

"Su cosa si basa?"

"Queste cose si sentono. Il suo modo di ripetermi, per esempio, con un sorriso vago:

«Non dimenticare di venire a trovarmi ogni volta che vieni a Parigi. E di'ai bambini che la zia pensa a loro...»"

E tuttavia, era nuda quando avevano trovato il suo corpo nell'armadio. L'assassino l'aveva spogliata dopo?

Ancora una volta, l'ipotesi era abbastanza improbabile, tanto più che spogliare un morto è un'operazione difficile.

E perché spogliarla?

Cosa stava facendo Jave, solo con Josépha nell'appartamento di boulevard Haussmann? Cosa aveva risposto alle domande di Janvier e del giudice istruttore riguardo al suo viaggio precipitoso?

Se Coméliau non l'aveva fatto trattenere voleva dire che sussisteva un serio dubbio e che quasi sicuramente le possibilità erano circa uguali fra i due sospetti.

Adesso Maigret aveva voglia di saperne di più su Philippe Jave e sulla sua vita privata. Aveva un'amante, una doppia vita? Oppure era davvero il medico a un tempo mondano e austero che i più vedevano in lui?

«Cosa facciamo?» chiese la signora Maigret, vedendo che il marito chiamava il cameriere per pagare le consumazioni.

Non lo sapeva. Non aveva importanza, ed era proprio questa la cosa meravigliosa.

«Cominceremo col scendere per la scala Saint-Pierre...»

Poi avrebbero passeggiato lungo boulevard Rochecouart.

Poi avrebbero potuto scendere per rue Martyrs, per esempio, di cui amava il brulicare della gente. Amava anche il Faubourg-Montmartre.

Il fatto di non aver nulla da fare gli mostrava Parigi sotto una luce nuova, e aveva deciso di non perderne nemmeno una briciola.

«Stasera dovrò telefonare a Pardon».

«Non ti senti bene?»

«No. Forse ci saranno notizie fresche su quel dottor Jave».

«Ti preoccupa?»

Non lo preoccupava. Ci pensava molto, certo, ma il caso si disegnava come filigrana sulla trama delle sue passeggiate per Parigi.

«Forse domani mattina andrò a fare un giro in rue des Saints-Pères».

Questo era più pericoloso, perché non ci sarebbero stati passanti e rischiava di trovarsi di fronte a uno dei suoi ispettori.

«Mi chiedo se non potremmo andare a vedere il mare a Concarneau».

Dava voce a quei progetti senza crederci, per divertirsi.

Tutta quella roba ora spettava a Janvier e per Maigret era come pregustare in anticipo ciò che sarebbe stata la sua esistenza andando in pensione.

Quel pensiero lo incupì. Accettava per qualche giorno, al massimo per tre settimane, di giocare al bighellone, di far parte del buon pubblico.

Ma quando si sarebbe trattato di mantenere quel ruolo per il resto dei suoi giorni?

Mentre camminava verso il sagrato del Sacré-Coeur strinse all'improvviso il braccio di sua moglie e lei capì che era commosso, le parve persino di indovinarne il perché, ma non disse nulla.