7. Il negozio di impermeabili

 

«Jef Schrameck, detto il Clown, detto anche l'Acrobata, nato a Riquewhir. Alto Reno, sessantatré anni fa.»

Tutto eccitato dal successo dell'azione, l'ispettore Neveu presentava la sua preda come si trattasse di un numero da circo.

«Si ricorda adesso, capo?»

Risaliva ad almeno quindici anni prima, forse anche di più, e il fatto non era avvenuto molto lontano dal boulevard Saint-Martin, da qualche parte tra rue de Richelieu e rue Drouot.

«Sessantatré anni?» ripeté Maigret guardando l'uomo, che gli rispose con un gran sorriso lusingato."

Forse perché era così magro, non li dimostrava affatto.) Più che altro pareva di un'età indefinibile. Era soprattutto l'espressione del volto a far sì che non lo si considerasse un adulto. Persino spaventato come doveva essere, sembrava ancora burlarsi degli altri e di se stesso. Per lui far le smorfie era diventato quasi una specie di tic, un bisogno continuo di provocare il riso.

La cosa più sorprendente era che avesse già più di quarantacinque anni quando la faccenda dei Boulevards lo rese celebre per qualche settimana.

Maigret abbassò la voce e sollevò il telefono interno.

«Vorrei il dossier Schrameck, Jef Schrameck, nato a Riquewhir, Alto Reno.»

Non ricordava com'era cominciata la storia. Era sera, verso le otto, e c'era parecchia gente lungo i Grands Boulevards. I tavolini all'aperto dei caffè erano gremiti. Si era appena agli inizi della primavera, perché faceva già buio.

Qualcuno aveva forse visto una luce fioca andare avanti e indietro in un ufficio di qualche stabile? Fatto sta che venne dato l'allarme. La polizia accorse. I curiosi, come sempre, si ammassarono, benché quasi tutti ignorassero di cosa si trattasse.

Nessuno sospettava che lo spettacolo sarebbe durato circa due ore, alternando momenti drammatici e comici, e che alla fine ci sarebbe stata tanta di quella gente che la polizia avrebbe dovuto fare dei cordoni.

Vistosi braccato, il ladro aveva aperto una finestra e incominciato ad arrampicarsi lungo la facciata della casa, tenendosi a una grondaia. Quando mise un piede sul cornicione della finestra del piano superiore, un agente non tardò ad affacciarsi, obbligandolo a proseguire la sua scalata. Di sotto le donne urlavano dallo spavento.

Era stato uno degli inseguimenti più movimentati della storia della polizia, con gli agenti che correvano all'interno della casa, salivano sempre più in alto e aprivano tutte le finestre, e l'uomo che sembrava compiere, per puro divertimento, un numero da circo.

Era arrivato sul tetto per primo, un tetto scosceso sul quale tutti gli agenti avevano esitato ad avventurarsi. Lui, invece, insensibile alle vertigini, era saltato sul tetto vicino e così, di tetto in tetto, era arrivato all'angolo di rue Drouot, dov'era sparito dentro un abbaino.

Lo si perse di vista per poi ritrovarlo, un quarto d'ora dopo, su un altro tetto. Alcuni indicavano col dito e gridavano: «Eccolo, è là!».

Non si sapeva se fosse armato e cos'avesse combinato. Era cominciata a correr voce che avesse assassinato diverse persone.

Per colmo della gioia popolare, arrivarono anche i pompieri con le loro scale e, un bel po' dopo, vennero puntati dei fari sui tetti.

Quando infine lo arrestarono, in rue de la Grange-Batelière, non era nemmeno affannato. Fiero di sé, si faceva beffe degli agenti. E, nel momento stesso in cui stavano per chiuderlo in macchina, sfuggì come un'anguilla dalle mani di coloro che lo tenevano, e riuscì, Dio sa come, a scomparire tra la folla.

Quell'uomo era Schrameck. Per parecchio tempo i giornali non parlarono d'altro che dell'Acrobata, che venne catturato, per puro caso, alle corse.

Giovanissimo, aveva debuttato in un circo che girovagava per l'Alsazia e la Germania. Poi, a Parigi, aveva sempre lavorato nelle fiere, tranne nei periodi passati in prigione per furto.

«Non avevo dubbi» disse l'ispettore Neveu «che prima o poi sarebbe finito nel mio quartiere.»

Lui rispose serissimo:

«Però è da un bel pezzo che mi comporto bene.»

«Mi avevano detto di un tipo alto e magro, di una certa età, che era stato visto sulle panchine in compagnia del signor Louis.»

Qualcuno non aveva forse parlato a Maigret di “uno di quei tipi che si vedono sulle panchine?"...

Fred il Clown apparteneva al genere di individui che non ci si stupisce di veder passare lunghe ore senza far niente, a guardare i passanti o a dar da mangiare ai piccioni. Aveva la stessa aria grigia dei marciapiedi e l'espressione di coloro che non aspettano nulla né nessuno.

«Prima che incominci a interrogarlo, bisogna che le dica come ho fatto a beccarlo. Ero entrato in un bar di rue Blondel, a due passi dalla porta Saint-Martin. È anche una sala corse. Si chiama Chez Fernand. Fernand è un ex fantino, che conosco bene. Gli ho mostrato la foto del signor Louis e lui l'ha guardata come se lo conoscesse. “È un tuo cliente?" gli ho chiesto. “Lui no. Ma è venuto due o tre volte con uno dei miei più assidui clienti." “Chi sarebbe?" “Fred il Clown." “L'Acrobata? Lo credevo morto da tempo oppure in prigione. “ “È vivo e vegeto, invece, e viene ogni pomeriggio a bersi un bicchierino e a giocare alle corse. A proposito, è da qualche giorno che non si fa vedere." “Quanti giorni?" Fernand ci ha pensato un po' su e poi è andato a chiederlo alla moglie in cucina. “L'ultima volta è stato lunedì." “Era insieme al signor Louis?" Non riusciva a ricordarlo, ma è sicuro di non aver più visto l'Acrobata dopo lunedì. Capisce? Non mi restava che rintracciarlo. Sapevo dove cercare. Ero riuscito a sapere il nome della donna con cui vive da anni, un'ex venditrice ambulante di frutta e verdura che si chiama Francoise Bidou. Soltanto poco fa ho saputo il suo indirizzo: quai de Valmy, di fronte al canale. L'ho trovato a casa sua, nascosto in camera da letto, da cui non si era più mosso da lunedì. Gli ho messo subito le manette perché avevo paura che mi sgusciasse di mano.»

«Purtroppo non sono più così agile!» scherzò Schrameck.

Bussarono. Davanti a Maigret venne posato un voluminoso dossier dalla copertina gialla. Era il curriculum di Schrameck, o, meglio, il curriculum dei suoi precedenti con la Giustizia.

Senza affrettarsi, fumando a piccole tirate, Maigret vi diede un'occhiata.

Era l'ora giusta, quella che preferiva per gli interrogatori di quel genere. Da mezzogiorno alle due, infatti, quasi tutti gli uffici sono vuoti, ci sono meno andirivieni e anche le telefonate si fanno più rare. Si ha la sensazione, come di notte, di avere a propria disposizione tutte le stanze.

«Non hai fame?» chiese a Neveu.

Poiché questi non sapeva cosa rispondere, insistette:

«Ti conviene andare a mangiare un boccone. Forse fra poco dovrai farmi un rapporto.»

«D'accordo, capo.»

Neveu si allontanò di malavoglia, e il prigioniero lo guardò uscire con aria beffarda. Quanto a Maigret, accese un'altra pipa, posò la sua grossa mano sul dossier, guardò Fred il Clown dritto in faccia e mormorò:

«A noi due.»

Preferiva questo interrogatorio a quello di Monique. Prima di iniziare, però, prese la precauzione di chiudere a chiave la sua porta e anche quella che comunicava con l'ufficio degli ispettori. Poi diede un'occhiata alla finestra e Jef mormorò con una smorfia buffa:

«Non abbia paura. Non sono più in grado di camminare sui cornicioni!»

«Immagino che tu sappia benissimo perché sei qui.»

L'altro fece il finto tonto.

«Arrestate sempre gli stessi!» si lamentò. «Mi ricorda i vecchi tempi. Erano anni che non mi succedeva più.»

«Il tuo amico Louis è stato assassinato. Non fare quella faccia meravigliata. Sai perfettamente di chi sto parlando. E sai anche che ci sono tutte le probabilità che tu venga accusato di omicidio.»

«Sarebbe un ennesimo errore giudiziario.»

Maigret sollevò il ricevitore:

«Mi passi il bar Chez Fernand, rue Blondel.»

E, quando Fernand fu all'apparecchio:

«Parla il commissario Maigret. Chiamo a proposito di un suo cliente, Jef Schrameck... l'Acrobata, sì... Vorrei sapere se giocava grosse somme... Come?... Sì, capisco...

E negli ultimi tempi?... Sabato?... La ringrazio... No. Per il momento è tutto...»

Sembrava soddisfatto. Jef, invece, aveva un'espressione inquieta.

«Vuoi che ti ripeta cosa mi hanno appena detto?»

«Si dicono tante di quelle cose!»

«È tutta la vita che perdi i tuoi soldi alle corse.»

«Se il governo le avesse proibite, non mi sarebbe successo.»

«Da molti anni compri i biglietti delle scommesse da Fernand.»

«È una sala corse ufficiale.»

«Ciò non toglie che da qualche parte dovevi pur trovare i soldi da puntare sui cavalli. Ora, fino a circa due anni e mezzo fa, giocavi piccole somme, a volte non ti restava nemmeno di che pagarti la consumazione, e Fernand ti faceva spesso credito.»

«Non avrebbe dovuto. Era un modo per incoraggiarmi a tornare.»

«Poi hai iniziato a giocare più forte. Anche somme grosse. E, dopo pochi giorni, eri di nuovo al verde.»

«E con ciò?»

«Sabato scorso hai giocato un mucchio di soldi.»

«Allora che dire dei proprietari di cavalli, che scommettono anche un milione su un solo cavallo?»

«Dove hai preso quei soldi?»

«Vivo con una donna che lavora.»

«Cosa fa?»

«Le pulizie. E ogni tanto dà una mano in un bistrot vicino a casa.»

«Mi stai prendendo in giro?»

«Non mi permetterei mai, signor Maigret.»

«Ascolta. Cerchiamo di non perder tempo.»

«Oh, per quel che ho da fare...»

«Ti dirò qual è la tua situazione. Molti testimoni ti hanno visto insieme a un certo signor Louis.»

«Un'ottima persona.»

«Questo non ha importanza. Non ti hanno visto recentemente, ma circa due anni e mezzo fa. A quell'epoca il signor Louis era disoccupato e tirava a campare.»

«So cosa significa» sospirò Jef. «Puoi tirare quanto vuoi. che...»

«Di cosa tu vivessi allora, non lo so, ma sono disposto a credere che fosse di quello che guadagnava la tua Francoise. Ti trascinavi da una panchina all'altra. Ogni tanto rischiavi qualche franco su un cavallo e avevi un conto aperto nei bar. Quanto al signor Louis, era stato costretto a chiedere un prestito ad almeno due persone.»

«Questo prova che sulla terra esistono anche i poveracci.»

Maigret non vi badava più. Jef aveva talmente l'abitudine di cercare di far ridere che, per lui, dire le battute era quasi diventata una necessità. Pazientemente, il commissario proseguiva col suo ragionamento.

«Di colpo siete diventati ambedue abbastanza ricchi. L'inchiesta stabilirà le date esatte.»

«Non ho mai avuto memoria per le date.»

«Poi, ci sono stati periodi in cui giocavi forte e altri in cui bevevi a credito. Chiunque ne concluderebbe che tu e il signor Louis avevate un modo per procurarvi il denaro, molto denaro anche, ma non in una maniera regolare. Ma ci occuperemo di questo più tardi.» “

«Peccato. Mi sarebbe piaciuto conoscere il modo.»

«Tra poco non riderai più. Sabato, te lo ripeto, eri pieno di soldi ma hai perduto tutto nel giro di poche ore. Lunedì pomeriggio il signor Louis, il tuo complice, è stato accoltellato in un vicolo del boulevard Saint-Martin.»

«È stata una grave perdita per me.»

«Sei già stato davanti alla Corte d'assise?»

«Solo davanti al tribunale. Più volte.»

«Ebbene, i giurati sono persone che non apprezzano molto gli scherzi, soprattutto se si tratta di una persona che ha la fedina penale sporca come la tua. Ci sono tutte le probabilità che traggano la conclusione che eri l'unica persona a conoscere le mosse del signor Louis e ad avere qualche interesse a ucciderlo.»

«Se così fosse, sarebbero degli imbecilli.»

«Volevo dirti solo questo. È mezzogiorno e mezzo. All'una il giudice Coméliau arriverà nel suo studio e ti spedirò a vedertela con lui.»

«È un piccoletto, castano, con dei baffetti a spazzola?»

«Sì.»

«Ci siamo già conosciuti a suo tempo. È una carogna. Non sarà più molto giovane, vero? E se io non avessi voglia di rivederlo?»

«Sai benissimo cosa dovresti fare.»

Jef il Clown emise un lungo sospiro.

«Non avrebbe una sigaretta?»

Maigret aprì il cassetto e gliene porse un pacchetto.

«Fiammiferi?»

Si mise a fumare, in silenzio.

«Immagino che non ci sia niente da bere, qui.»

«Parlerai?»

«Non so ancora. Mi stavo chiedendo se ho qualcosa da dire.»

Poteva andare per le lunghe. Maigret conosceva quel genere di personaggi. Per affrettare i tempi andò ad aprire la porta dell'ufficio accanto.

«Lucas! Dovresti andare in quai de Valmy e portarmi una certa Francoise Bidou...»

Subito il Clown si agitò sulla sedia e alzò il dito come a scuola.

«Commissario! Non mi faccia questo!»

«Parlerai?»

«Credo che un bicchierino mi scioglierebbe meglio la lingua.»

«Un attimo, Lucas. Non andare via prima che te lo dica io.»

E a Jef:

«Hai paura della tua amica?»

«Ha promesso di darmi da bere.»

Maigret richiuse la porta, prese dall'armadio a muro la bottiglia di cognac che teneva sempre lì dentro e ne versò un sorso in un bicchiere.

«Non mi tiene compagnia?»

«Allora?»

«Mi faccia lei le domande. Vede che non cerco di ostacolare, come dicono gli avvocati, il corso della giustizia?»

«Dove hai conosciuto il signor Louis?»

«Su una panchina del boulevard Bonne-Nouvelle.»

«Com'è che avete fatto amicizia?»

«Come si fa amicizia sulle panchine. Io gli ho detto che era primavera e lui mi ha risposto che il clima era più mite della settimana precedente.»

«Questo circa due anni e mezzo fa?»

«Più o meno. Non ho segnato la data sulla mia agenda. I giorni seguenti ci siamo rivisti sulla stessa panchina e lui sembrava contento di poter parlare con qualcuno.»

«Ti ha detto che era disoccupato?»

«Ha finito col raccontarmi tutta la sua vita: che aveva lavorato per venticinque anni sotto lo stesso padrone, e questi, senza preavviso, aveva chiuso bottega, che lui non aveva osato dir niente a sua moglie - la quale, detto tra noi, dev'essere una vera e propria arpia - e che le aveva fatto credere che continuava a fare il magazziniere. Era la prima volta, credo, che sputava il rospo e sembrava molto sollevato.»

«Sapeva chi eri?»

«Gli ho detto solo che avevo lavorato nei circhi.»

«Poi?»

«Cosa vuol sapere esattamente?»

«Tutto.»

«Prima vorrei che desse un'occhiata al mio dossier e mi contasse le condanne. Ci tengo a sapere se con un'altra imputazione rischio di finir dentro. La cosa mi seccherebbe.»

Maigret fece quello che gli aveva chiesto.

«A meno che non si tratti di omicidio, puoi cavartela ancora per due volte.»

«Mi pareva. Non ero sicuro che i suoi conti e i miei coincidessero.»

«Furto?»

«È un po' più complicato.»

«Chi ha avuto l'idea?»

«Lui, naturalmente. Io non sono così furbo. Potrei averne ancora un goccio?»

«Dopo.»

«È una storia lunga. Così mi obbliga a raccontarla in fretta e furia.»

Il commissario cedette e gli versò due dita di liquore.

«In fondo, è colpa della panchina.»

«Cosa vuoi dire?»

«A forza di passare il proprio tempo su una panchina, quasi sempre la stessa, Louis si era messo a guardarsi intorno. Non so se ha presente quel negozio d'impermeabili, sul viale...»

«Ho presente.»

«La panchina su cui Louis aveva l'abitudine di sedersi era proprio lì di fronte. Perciò, quasi senza volerlo, lui si trovò col conoscere tutti gli orari del negozio e le abitudini dei commessi. Fu così che gli venne l'idea. Quando non si ha niente da fare tutto il giorno si pensa, si fanno progetti, anche progetti che si sa benissimo che non si realizzeranno mai. Un giorno me ne parlò, tanto per passare il tempo. C'è sempre molta ressa in quel negozio. È pieno d'impermeabili di ogni tipo, da uomo, da donna, da bambino. E ce ne sono altri ancora al primo piano. A sinistra dell'edificio c'è, come spesso in quel quartiere, un vicolo che sbocca su un cortile.»

Schrameck propose:

«Vuole che le faccia un disegno?»

«Non ora. Continua.»

«Louis mi ha detto: “Non capisco come mai nessuno abbia mai rubato l'incasso. È un gioco da ragazzi!".»

«Immagino che tu abbia drizzato le orecchie...»

«La cosa m'interessava. Mi ha spiegato che verso mezzogiorno, mezzogiorno e un quarto al massimo, si facevano uscire gli ultimi clienti e i commessi andavano a mangiare. E così anche il padrone, un vecchietto con la barba che pranza sempre lì vicino, alla Chope du Negre. “Basta che qualcuno, fingendosi un cliente, si faccia chiudere dentro” disse. Non faccia quell'espressione. Anch'io, in un primo momento, ho pensato che fosse impossibile. Ma Louis aveva studiato quel negozio per intere settimane. Prima di andare a mangiare, i commessi non si preoccupano di guardare negli angoli o dietro le migliaia d'impermeabili per accertarsi che non ci sia nessuno. Non si va certo a pensare che un cliente rimanga dentro apposta, le pare? Il trucco è tutto lì. E il padrone, uscendo, chiude sempre accuratamente la porta.»

«E tu ti sei fatto chiuder dentro... Poi hai forzato la serratura per uscire con la cassa?»

«Si sbaglia. È qui che la cosa si fa divertente. Anche se mi avessero beccato, non avrebbero potuto denunciarmi, poiché non ci sarebbero state prove contro di me. Ho svuotato la cassa, questo sì. Poi sono andato nei bagni.

Vicino allo sciacquone c'è una finestrella da cui non passerebbe neppure un bambino di tre anni. Ma una fascetta di banconote sì. La finestrella dà sul cortile. Come per caso, Louis è passato di là e ha raccolto le banconote. Quanto a me, ho aspettato che i commessi ritornassero e che ci fossero abbastanza clienti perché nessuno mi badasse. E sono tranquillamente uscito così com'ero entrato.»

«Avete fatto a metà?»

«Da bravi soci. La cosa più difficile è stato prendere la decisione. Louis aveva immaginato tutto per puro piacere personale, si potrebbe dire da artista. Quando gli ho proposto di tentare il colpo, si è quasi scandalizzato. Si è deciso a farlo solo al pensiero della moglie, cui altrimenti avrebbe dovuto confessare di essere senza il becco di un quattrino. Noti che c'è anche un altro vantaggio: mi si può condannare per furto, poiché ho confessato, ma non c'è stato scasso. E ciò significa almeno due anni di differenza. O sbaglio?»

«Verificheremo subito nel Codice.»

«Le ho detto tutto. Louis e io abbiamo vivacchiato decentemente, e non ho rimpianti. Il negozio d'impermeabili ci ha permesso di tirare avanti per più di tre mesi. Per esser sincero, la mia parte non è durata così a lungo per via dei ronzini, ma Louis ogni tanto mi passava qualche bigliettone. Quando sono finiti, abbiamo cambiato panchina.»

«Per preparare un altro colpo?»

«Visto che il metodo funzionava, inutile cambiarlo. Ora che conosce il trucco, basta che vada negli archivi a cercare tutti i negozi nei quali mi sono fatto rinchiudere. Il secondo vendeva lampade e apparecchi elettrici, un po' più in là, sempre lungo lo stesso viale. Non c'era il vicolo, ma il retrobottega dava sul cortile della casa di un altra via È andata allo stesso modo. È raro che i bagni, in quel quartiere. non abbiano un'apertura su un cortile o su un vicolo. Un'unica volta mi sono fatto beccare da una commessa che aveva aperto la porta dell'armadio in cui mi ero nascosto. Ho finto di essere ubriaco fradicio. Lei ha chiamato il padrone e mi hanno cacciato fuori minacciando di ricorrere alla polizia. Vuole spiegarmi adesso che motivo avrei avuto di uccidere Louis? Eravamo amiconi. L'ho persino presentato a Francoise, per rassicurarla, perché si chiedeva sempre come passassi il tempo. Lui le ha portato dei cioccolatini e lei ha trovato che fosse una persona molto distinta.»

«Avete fatto un furto anche la settimana scorsa?»

«C'era persino sul giornale. Un negozio di vestiti del boulevard Montmartre.»

«Immagino che Louis, quando è stato ucciso, si stesse accertando che la gioielleria avesse uno sbocco sul cortile...»

«È probabile. Era sempre lui a fare le ricognizioni, perché passava più inosservato. La gente sospetta subito di uno come me. Anche se mi vesto come un damerino, mi guardano sempre storto.»

«Chi lo ha ucciso?»

«E lo chiede a me?»

«Chi aveva dei motivi per ucciderlo?»

«Non lo so. Forse sua moglie.»

«Perché sua moglie avrebbe dovuto ucciderlo?»

«Perché è una carogna. Se si fosse accorta che la stava prendendo per i fondelli da più di due anni e che aveva un'amichetta...»

«L'hai conosciuta quest'amichetta:»

«Non me l'ha mai presentata, ma me ne aveva parlato e l'ho vista da lontano. Le voleva bene. Era un uomo che aveva bisogno d'affetto. Non siamo forse tutti così? Io ho la mia Francoise. E lei, signor commissario, avrà qualcuna anche lei. Louis stava bene con quella donna. Andavano al cinema o a chiacchierare in un caffè.

«Sapeva dei furti?»

«No di certo.»

«Chi lo sapeva?»

«Innanzitutto io.»

«Grazie tante.»

«Forse sua figlia. Era molto preoccupato per sua figlia, diceva che più invecchiava più assomigliava a sua madre. Gli chiedeva sempre dei soldi.

«Sei stato in rue d'Angoulème?»

«Mai.»

«Conosci la casa?»

«Me l'ha mostrata.»

«Come mai non sei entrato?»

«Perché non volevo fargli fare brutta figura. La proprietaria lo considerava una persona per bene. Se avesse visto me...»

«E se ti dicessi che nella sua camera sono state trovate le tue impronte digitali?»

«Le risponderei che è una fesseria.»

Si vedeva che non era preoccupato. Continuava la sua parte, lanciando, di tanto in tanto, un'occhiata alla bottiglia.

«Chi altri sapeva?»

«Senta, signor commissario, sarò quel che sarò, ma non ho mai fatto la spia.»

«Preferisci essere accusato?»

«Sarebbe un'ingiustizia.»

«Chi altri sapeva?»

«Il fidanzato della signorina. E sull'innocenza di quel tipo non metterei la mano sul fuoco. Non so se l'abbia fatto perché gliel'aveva detto la sua amica, ma si è messo a seguire Louis per interi pomeriggi. È andato due volte a trovarlo per chiedergli dei soldi. Louis aveva una paura del diavolo che il ragazzo spifferasse tutto a sua moglie o le mandasse una lettera anonima.»

«Tu lo conosci?»

«No. So che è molto giovane e che di mattina lavora in una libreria. Negli ultimi tempi Louis era preparato al peggio. Diceva che non poteva andare avanti così e che sua moglie prima o poi sarebbe venuta a sapere la verità.»

«Ti ha mai parlato dei suoi cognati?»

«Spesso. La moglie glieli portava sempre a esempio. Si serviva di loro per dimostrargli che lui era un buono a nulla, un fallito, un inetto, e che avrebbe fatto meglio a evitare di metter su famiglia se poi doveva farla vivere nella mediocrità. Per me è stato un duro colpo.»

«Cosa?»

«Aver letto nei giornali che era morto. Soprattutto perché non ero molto lontano da lì, quando è successo. Fernand potrà confermarle che stavo bevendo un bicchiere al banco del suo bar.»

«Louis aveva dei soldi con sé?»

«Non so se li avesse con sé, ma due giorni prima avevamo raggranellato un bel gruzzolo.»

«Di solito li teneva in tasca?»

«O in tasca o in camera sua. Il buffo è che la sera, prima di andare a prendere il treno, era costretto ad andarsi a cambiare scarpe e cravatta. Una volta si era dimenticato la cravatta. Me l'ha raccontato lui stesso. Se n'era accorto solo alla gare de Lyon. Non poteva comprare una cravatta qualsiasi. Gli occorreva quella con cui era uscito di casa la mattina. Ha dovuto tornare nella sua camera per cambiarla e raccontare poi alla moglie che un lavoro urgente lo aveva trattenuto in magazzino.»

«Perché da martedì in poi non sei più uscito dalla camera di Francoise?»

«Cos'avrebbe fatto lei al mio posto? Quando ho letto il giornale, martedì mattina, ho pensato che qualcuno poteva avermi visto insieme a Louis e dirlo alla polizia. È sempre sui tipi come me che cadono i primi sospetti.»

«Non hai pensato di andare via da Parigi?»

«Ho preferito starmene buono buono, sperando che nessuno si ricordasse di me. Stamattina ho sentito la voce del suo ispettore e ho capito che ero nei guai.»

«Francoise sa dei furti?»

«No.»

«E da dove pensava che venissero i quattrini?»

«Primo, lei ne vedeva solo una piccola parte, quella che mi avanzava dalle corse. Secondo, crede sempre che io rubi i portafogli nel metrò.»

«Hai fatto anche questo?»

«Non sono mica obbligato a rispondere, vero? Ma lei non ha sete?»

Maigret gli versò un ultimo goccio.

«Hai svuotato tutto il sacco? Sicuro?»

«Sicurissimo.»

Maigret aprì la porta dell'ufficio accanto e disse a Lucas:

«Portalo in camera di sicurezza.»

Poi, guardando Jef Schrameck che si stava alzando in piedi sospirando:

«Meglio mettergli le manette.»

Infine, mentre l'Acrobata si girava verso di lui con un buffo sorriso sulla sua faccia di gomma:

«Di' che non lo trattino troppo male.»

«Grazie, signor commissario. Mi raccomando, non dica a Francoise che giocavo tutti quei soldi. Non credo che la cosa le farebbe molto piacere.»

Maigret prese soprabito e cappello con l'intenzione di andare a mangiare un boccone alla Brasserie Dauphine. Stava scendendo lo scalone grigiastro quando, udendo un rumore sotto di lui, si affacciò sulla rampa.

Un giovanotto dai capelli arruffati si dibatteva tra le mani di un gigantesco poliziotto cui sanguinava una guancia e che gridava:

«Vuoi star fermo, bamboccio? Se continui, ti prendo a sberle.»

Il commissario si sforzò di non ridere. Era Albert Jorisse che gli veniva portato a quel modo e che si dimenava urlando:

«Mi lasci! Le ho detto che ci vado da solo...»

Arrivarono entrambi all'altezza di Maigret:

«L'ho trovato poco fa sul pont Saint-Michel. L'ho riconosciuto subito. Ho tentato di arrestarlo e lui ha cercato di fuggire.»

«Non è vero! Mente!»

Il giovane ansimava, tutto rosso in volto, con gli occhi lucidi, mentre l'agente lo teneva per il bavero, sollevato da terra come fosse una marionetta.

«Gli dica di mettermi giù!»

Diede un calcio che andò a vuoto.

«Ho detto che voglio vedere il commissario Maigret. Stavo andando da lui. Ci stavo andando di mia iniziativa...»

I vestiti erano sgualciti, i pantaloni ancora sporchi della fanghiglia del giorno prima. Aveva due grandi cerchi scuri sotto gli occhi.

«Sono io il commissario Maigret.»

«Allora gli ordini di lasciarmi.»

«Lascialo pure.»

«Come vuole, ma...»

L'agente temeva che il ragazzo gli sfuggisse di mano come un'anguilla.

«Mi ha aggredito...» ansimava Albert Jorisse. «Mi ha trattato come... come...»

E dalla rabbia non trovava le parole.

Sorridendo suo malgrado, il commissario indicò la guancia sanguinante del poliziotto:

«Veramente mi pare che sia lui che...»

Jorisse guardò, vide per la prima volta lo sfregio, un lampo gli attraversò lo sguardo ed esclamò:

«Ben gli sta!»

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