UN CERTO SIGNOR BERQUIN.

Titolo originale: "Un certain monsieur Berquin". Traduzione di Anna Ferraris.

L'automobile che seguiva era occupata da un uomo, sua moglie e i loro due ragazzi. Il marito era socio di un approvvigionatore delle Halles e la famiglia si recava in un villaggio dei dintorni di Elbeuf per il funerale di una zia. Pioveva già da Parigi, ma pioveva a dirotto da quando erano arrivati in Normandia. Il tergicristallo marciava a scossoni, con fermate che facevano temere che stesse per immobilizzarsi definitivamente, poi ripartiva al rallentatore, infine riprendeva per un momento il suo ritmo. La strada si snodava da un po' di tempo tra boschi fitti. Due o tre volte, quando vi era un tratto rettilineo, avevano visto il fanalino posteriore della prima macchina. Andava a velocità sostenuta, ma non eccessiva. Proprio quando si distingueva bene il fanalino rosso, lontano un chilometro circa, questo parve a un tratto collocarsi in modo anormale in un punto in cui la strada descriveva una curva. Non si ha molto tempo per riflettere in tali circostanze. Il signor Bidus - era il nome del conducente della seconda macchina - pensò che la prima auto avesse sbandato un po' sulla destra per uno slittamento, ma che poi avesse potuto superare la svolta. Sua moglie gli mise istintivamente la mano sul braccio. Non si vedeva quasi niente oltre lo schermo di fitta pioggia. Bisognava passare. Marito e moglie distinsero nello stesso istante, un'auto completamente rovesciata nel fossato, con uno dei fari ancora acceso che illuminava stranamente l'erba raso terra, e questo spettacolo dava l'impressione di qualcosa di assurdo, quasi di sconveniente, come quello di un uomo che si fosse messo i pantaloni in testa. «Sarà meglio che tu continui», disse lei. «A causa dei ragazzi...» Ma lui aveva già frenato. Disse a sua volta: «Resta con loro.» Fuori, sentì subito il fruscio monotono della pioggia e il ronzare del motore che non aveva spento. Esitava ad avanzare. Si sarebbe detto avesse paura. Chiamava come un ragazzo nel buio. «C'è qualcuno?» Si bagnava i piedi e il risvolto dei pantaloni nell'erba alta che alla luce dei fari era di un verde pallido. «Avete bisogno di qualcosa?» Il silenzio, che la pioggia ispessiva invece di romperlo, era impressionante. Il signor Bidus ritornò alla sua macchina per prendere una torcia elettrica e bisbigliò: «Non risponde nessuno.» «Di', papà...»

«Zitto! Dormite voi. Lasciate tranquillo vostro padre.»

Quando la torcia elettrica rischiarò i contorni della macchina, appoggiato al fianco di questa seduto per terra, un uomo guardava

Bidus. Lo guardava tranquillamente con l'aria di riflettere.

«E' ferito?»

L'altro lo fissava sempre senza dire parola, mal contento, si sarebbe detto, di essere disturbato durante la sua meditazione. Il secondo automobilista si avvicinò di più e allora vide che la testa del suo interlocutore aveva una strana forma, qualcosa pendeva sull'orecchio destro, qualcosa che era pelle mista a capelli.

«Soffre?»

Lo sentiva il ferito? Continuava a guardarlo con sovrana indifferenza, con l'aria di seguire un suo sogno interiore.

«Resti qui. Non si muova. Corro a cercare aiuto. Ci sono altre persone nella macchina?»

E' impressionante vedere a ruote in aria un veicolo che si è abituati a incontrare nella sua posizione normale. L'uomo dovette sentire, guardò la macchina intorno a cui scintillavano pezzetti di vetro e alzò le spalle.

«Ritorno subito.»

Il signor Bidus raggiunse sua moglie e mormorò:

«Credo che abbia preso una bella botta.»

Poi ripartì a lenta andatura, finché riuscì a scoprire una casa a duecento metri, sulla sinistra della strada. Faceva freddo, tutto era bagnato e freddo. Le persone della casa tardavano a rispondere, eppure una tendina si muoveva. I bambini facevano domande. Infine il dialogo si avviò attraverso la finestra chiusa.

«Lei ha avuto un incidente?»

«C'è un incidente laggiù, più su...»

Bisognava urlare. Finalmente la porta si aprì mostrando l'interno di un'osteria di campagna. Nel cortile davanti alla casa c'era un distributore di benzina, sul retro una stalla.

«Sempre alla curva!» sospirò l'uomo che era stato appena svegliato.

Finì di vestirsi e si infilò degli stivali di gomma.

«Bisognerebbe telefonare a un medico.»

«Sì, se avessi il telefono!»

Bevve un sorso di acquavite al banco, accese una lanterna da scuderia e uscì.

«Ci sono morti?»

«Non mi sembra. Be', credo di poter ormai continuare la mia strada.»

«Ah, no, vero! Bisogna che lei mi aiuti o allora li pianto in asso anch'io.»

Mentre si affrettavano lungo la strada, i due uomini parlarono del funerale della zia e poi degli automobilisti che avevano la mania, da anni, di prendere quella curva troppo velocemente.

«Guardi! Quel tizio è rimasto nella medesima posizione.»

E sempre con la stessa aria sognante o intonita. Ora però il viso, coperto di sangue, era tutto rosso, cosa di cui il ferito sembrava non si rendesse conto.

«Crede di poter camminare?»

Si alzò sospirando e dovettero sostenerlo, perché vacillava.

«E'... è...» cominciò con una voce strana.

«Si aggrappi alla mia spalla.»

Un uomo di mezza età piuttosto piccolo, tarchiato, ben vestito.

«Sentite voi altri...»

La voce usciva dalla macchina rovesciata da cui stavano allontanandosi: una voce di donna.

«Mi volete piantare qui? E quel furbo là che non dice niente, che se ne va piantandomi in asso!»

Dalla portiera usciva una lunga gamba: vi era sangue sulla calza di seta e sangue sul vestito.

«Non tirate così forte! Non vedete che mi fate male?»

Quando l'ebbero estratta dall'auto cercò di tenersi dritta, ma ricadde sul fianco brontolando:

«Merde, devo avere qualche cosa di rotto.»

A causa dei bambini, la donna della piccola fattoria-osteria aveva fatto entrare il resto della famiglia Bidus.

Aveva capelli bianchissimi, occhi chiari, seni enormi e flosci. Diceva con voce mesta:

«E' così tutte le settimane.»

I due uomini entrarono portando la giovane donna che era pienamente cosciente e non cessava di apostrofarli.

Con la pelle del cranio su un orecchio e il viso rosso di sangue l'uomo li seguiva, sempre con l'aria di non accorgersi di nulla, come un sonnambulo.

«Non guardate, bambini.»

Parlarono di nuovo del funerale che obbligava i Bidus a ripartire e del dottore che abitava a sei chilometri e nemmeno sulla provinciale; bisognava fare una deviazione di un chilometro su una strada secondaria a destra e il medico non si muoveva più volentieri da quando gli era capitato di non trovare nessuno al suo arrivo, perché i feriti erano già ripartiti con i propri mezzi, lasciandolo in credito del suo disturbo.

«Le prometto di andare a parlargli e se occorrerà ritornerò con lui.»

La giovane donna aveva escoriazioni un po' dappertutto, forse qualche osso rotto o forse lesioni interne. Quando vollero versarle un bicchierino di acquavite per tirarla su, rispose.

«Ah! no grazie! Ne ho bevuta abbastanza con lui!»

Le persone della seconda macchina se ne andarono.

Sbagliarono dapprima strada, ma finirono per trovare il medico.

Continuarono infine il loro viaggio con i due ragazzi sovreccitati per l'avvenimento e la signora Bidus che ripeteva a ogni piè sospinto:

«Vai troppo forte, Victor.»

Frattanto all'osteria, su ordine del dottore, dovettero far scaldare acqua. La giovane svenne quando il medico le diede alcuni punti di sutura.

Quanto all'uomo, bendatagli la testa, lo fece coricare e quello si addormentò subito o forse entrò in coma, non si capiva bene. Li avevano messi tutti e due nello stesso letto, quello del padrone e della padrona ancora tiepido del loro calore.

«Elbeuf non manderà l'ambulanza prima di domani mattina. Teneteli qui fino ad allora. Io ho fatto tutto quello che potevo. Telefonerò alla gendarmeria appena a casa.» L'ambiente, mal rischiarato da lampadine troppo deboli, era impregnato di un odore misto di osteria e di stalla. «Crede che ci sia frattura del cranio?» «Lo sapremo domani mattina. Nell'attesa non devono fare altro che dormire.» La piccola auto del dottore ripartì sotto la pioggia fitta. La padrona andò a dormire nel letto della figlia maggiore, mentre il marito si assopiva su di una poltrona. Alle due del mattino bussarono ad una imposta. Erano due gendarmi in bicicletta: bisognò servirli subito di qualche bicchierino perché avevano le labbra livide dal freddo, grondavano pioggia e camminando per la casa lasciavano solchi di acqua. «Vi ha detto chi era?» «Non ha pronunciato parola.» L'uomo dormiva con la testa avvolta in una fasciatura che sembrava un turbante orientale. «Puzza d'alcol», disse uno dei gendarmi che aveva appena finito di vuotare due bicchieri. «Può darsi. Glielo abbiamo fatto bere quando è arrivato.» Frugarono nelle sue tasche e trovarono un portafoglio e una carta d'identità intestata al signor Joseph Berquin geometra a Caen, Calvados. I gendarmi, a scarico di coscienza, andarono a vedere l'auto rovesciata e, presa nota del numero di targa su un taccuino cui la pioggia ammollava le pagine, se ne andarono. Il padrone dell'osteria, esausto, era andato a stendersi vicino a sua moglie nel letto dove ora erano in tre con la figlia maggiore che tutto quel trambusto non aveva turbato. Nella camera grande aveva lasciato accesa soltanto una lampada a petrolio, quella che serviva quando in casa c'era un malato. Tutti dormivano saporitamente. Il dottore si era coricato di nuovo, dopo aver telefonato alla gendarmeria e all'ospedale a Elbeuf. Uno dei gendarmi, che guadagnava qualche soldo supplementare dando informazioni al giornale locale, aveva telefonato quello che sapeva al "Nouvelliste d'Elbeuf". A che ora l'uomo uscì dalla sua prostrazione? Non certo prima delle quattro o delle cinque di mattina. Quanto tempo restò seduto su quel letto sconosciuto, dove c'era una donna addormentata, a contemplare uno scenario che gli sembrò forse allucinante? Pensò ad un'altra camera dove avrebbe dovuto trovarsi, ad un altro letto, a un'altra donna il cui posto era di diritto al suo fianco sotto le coperte? Certo è che non fece alcun rumore. La lampada non rischiarava a sufficienza perché potesse vedersi nello specchio appeso sopra il cassettone. Se si tastò la testa, dovette trovarsela mostruosamente ingrossata dalla fasciatura che gli impediva di mettersi un cappello. Ad ogni modo riuscì a rivestirsi da solo, a scendere senza rumore le scale di legno di cui almeno due gradini scricchiolavano e a tirar il chiavistello della porta. Prima di partire si era forse soffermato in camera a contemplare quella giovane donna bionda che aveva due strisce di cerotto sulle guance e un'altra sulla tempia e che nel sonno mostrava candidamente un seno? Il padrone scoprì la cosa quando si alzò, poco dopo le cinque, per andare a mungere le mucche. «E' filato via» corse ad annunciare alla moglie e alla figlia che si stavano vestendo. Svegliarono la bionda. «Senta, c'è suo marito che...» «Mio marito?» «Ma sì, l'uomo che...» «Oh! Dio, che male di testa! Ho bisogno di dormire. Lasciatemi in pace a proposito di quel tizio...» Era meglio far uscire la figlia più grande, perché ci sono cose che una signorina non deve sentire anche se le capita di dover portare le vacche al toro. «Non lo conosceva?» «Soltanto dalle dieci di ieri sera. Se l'avessi saputo! E pensare che avevo un buon treno alle undici e trentatré.» E li avevano ficcati nello stesso letto, nel letto matrimoniale! «E' successo a Nantes. Mancava un'ora alla partenza del mio treno per Caen dove sono assunta come ballerina alla "Boule Rouge". Stavo mangiando un boccone in un piccolo ristorante vicino alla stazione quando quel tipo...» Un piccolo ristorante dalle pareti dipinte in un lilla violento, con un bancone di zinco e il padrone in maniche di camicia. «Era tutto eccitato. Veniva da Parigi dove era andato a prendere in consegna una nuova macchina. Credo che avesse già bevuto qualche bicchierino. Ha visto la mia valigia e mi ha chiesto dove andavo e quando gli ho detto Caen... Vorrei tanto che mi lasciaste dormire!» Avrebbe raccontato tutto più tardi: le donne che ballano in locali come la "Boule Rouge" se ne intendono di uomini più di chiunque. Era eccitato, felice, in piena euforia. Per la macchina nuova certamente, ma anche perché per una volta era solo. Se non fosse stato solo non sarebbe entrato a cenare in quella trattoria dalle pareti lilla, ma sarebbe andato al ristorante della stazione o a un altro di tutta fiducia. E se non avesse bevuto qualche bicchierino... Cosa aveva raccontato per strada?... Un mucchio di cose.. A sentirlo era un tipo straordinario, allegrone... Mentre guidava si comportava come un collegiale a tal punto che bisognava rimettergli continuamente la mano sul volante... «Ha pure preso una gran botta!» diceva il padrone dell'osteria mungendo una mucca nella stalla, mentre moglie e figlia mungevano le loro. «Mi domando dove può essere andato.» Lo seppero più tardi. L'uomo, con la grossa fasciatura sulla testa, aveva camminato tutto solo lungo la strada. L'avevano incontrato alcuni operai della fabbrica di calce, poi un impiegato che passava in bicicletta. Camminava diritto davanti a sé sotto la pioggia senza guardare nessuno. A sette chilometri c'era un villaggio e un caffè di fronte alla stazione che apriva di buon'ora.

Il treno di Elbeuf era appena arrivato e una pila di giornali freschi di stampa era posata su una sedia. L'uomo era là. Beveva un caffè corretto. Tutti quelli che entravano a bere il caffè lo guardavano per quella sua testa così voluminosamente fasciata e lui, lugubre, pareva non accorgersene. «Posso prendere un giornale?» aveva chiesto timidamente posando la mano sul mucchio ancora fresco del "Nouvelliste d'Elbeuf". In quel momento la bionda dormiva, il dottore stava aprendo l'ambulatorio, un'ambulanza si fermava sul luogo dell'incidente. «Ha letto il giornale, ha pagato ed è uscito. Si è diretto a sinistra.» Fu facile trovare le sue tracce a cagione della grossa testa bianca. Camminava per il paese girando qua e là. Non rivolgeva parola a nessuno, Il giornale spuntava dalla sua tasca e nel giornale c'era un trafiletto frutto delle elucubrazioni del gendarme: "Questa notte una macchina proveniente da Parigi ha sbandato sulla strada di Méchin. La vettura si è rovesciata completamente, ferendo più o meno gravemente due rispettabili cittadini di Caen, il signor Joseph Berquin, geometra, e sua moglie signora Berquin che raccolti da..." Dopo l'ambulanza arrivò un taxi, da Caen questa volta, con una signora che faceva domande su domande in tono ora aggressivo ora sospettoso. «Siete sicuri che è andato da questa parte?» Sicuri o non sicuri bisognava pure sbarazzarsi di lei. Le persone che stanno vivendo un dramma hanno tendenza a dimenticare che gli altri hanno le loro faccende quotidiane da sbrigare e che le mucche continuano a fare latte a dispetto di chi viene a fracassarsi la testa nella curva e che approfitta di quando tutti dormono per tagliar la corda. «Sì, è andato da quella parte, signora.» «Aveva bevuto, vero?» «Non so, signora.» «Non avete notato se puzzava d'alcol?» Era una persona ben decisa! Non perse la pista un solo momento. La seguì in taxi, facendo fermare l'autista di tanto in tanto. «Sentite, buona gente, non avete visto un uomo che...» Ritrovava la traccia della fasciatura lungo tutto il cammino. «Un tipo eccitatissimo» diceva la bionda «e che non doveva avere l'abitudine. Scommetto che era la prima volta che portava in macchina una donna che non fosse sua moglie.» Cercavano sempre l'uomo dalla testa di mummia che non aveva aperto bocca, dopo l'incidente, che per chiedere un caffè corretto e per comperare il giornale. La gendarmeria si era messa alla ricerca, ma il taxi della signora Berquin manteneva il suo vantaggio e vinse la partita: a cinquanta metri dal villaggio presso un mulino, vide che estraevano dal fiume una forma scura. «E' proprio lui», dichiarò la donna. E vedendo un lieve trasalire della palpebre dell'annegato, con altro tono di voce proseguì: «Joseph, Joseph, mi senti? Non hai vergogna?» Fece ancora il morto fino all'ospedale dove lo trasportò l'ambulanza che finalmente poteva servire a qualcosa. «Per piacere, lo lasci tranquillo signora» supplicavano i medici. Potevano ancora supporre che avesse una frattura del cranio e lui poteva ancora sperare di averla la frattura e li guardava fare con sguardo quasi implorante. Invece, secondo i termini del rapporto, non c'era che una ferita lacero-contusa al cuoio capelluto. Così lo restituirono a sua moglie che nel frattempo aveva telefonato all'avvocato a Caen e all'assicuratore a proposito del risarcimento danni reclamato dalla bionda. Quando più tardi qualcuno, alludendo all'annegamento, parlava di choc conseguente all'incidente automobilistico, la signora Berquin rispondeva in modo categorico: «Già, già... Dica pure semplicemente che ha avuto vergogna!» Forse l'uomo, più semplicemente ancora, aveva avuto paura. In ogni caso fu abbastanza prudente da non confessarlo mai accontentandosi di dondolare la grossa testa che restò deformata. Insomma, aveva avuto la sua notte dopotutto! E ci sono tanti uomini che non l'hanno mai...