1.
Non c'era modo di essere più lontani dall'avventura e da ogni possibilità d'imprevisto di quanto lo fosse Maigret, quel mattino di luglio, nel suo giardino circondato da muriccioli dietro i quali scorreva la Loira. Da quei muri imbiancati a calce, dalle aiuole annaffiate la sera prima, dai rettangoli di pallida lattuga, dai meloni, da tutto insomma pareva crescere nel sole come un vapore trasparente di caligine e le mosche sembrava che durassero fatica a farsi strada in un'atmosfera troppo calda. La pipa tra i denti, un vecchio cappello di paglia in testa, Maigret pasticciava beatamente in un campo di pomodori così maturi che si schiacciavano, sanguinolenti, al suolo. Alzò la testa, dapprima sorpreso sentendo una macchina che si avviava per il sentiero che non aveva sbocco, poi fu ancora più sorpreso quando la macchina si fermò davanti a casa sua. Si volse verso la cucina, dove, nell'ombra, intravide la signora Maigret, sorpresa come lui per l'avvenimento. Già il martello d'ottone picchiava contro il battente. La signora Maigret, con un gesto che le era familiare, scioglieva i lacci del grembiule e si aggiustava i capelli. Maigret non voleva aver l'aria di affrettarsi incontro al visitatore. Restò lì, nel suo giardino, a sentire le porte aprirsi e chiudersi, ad ascoltare dei passi sulle mattonelle grigie del corridoio, poi nella stanza da pranzo. Finalmente la voce di sua moglie disse: «Lo troverà in giardino...» C'era un rettangolo d'ombra a ridosso della casa e, in questo rettangolo, un tavolino di ferro, una panchina dipinta di verde, una fontanella di smalto e degli asciugamani, per lavarsi le mani quando si era lavorata la terra. Maigret si avvicinò pesantemente, socchiuse gli occhi a causa del sole, vide un uomo tra i cinquanta e i sessant'anni, vestito di nero, di una correttezza fredda, quasi eccessiva, che ricordò al commissario certi alti magistrati. «Sono desolato di disturbare la sua quiete» cominciò lo sconosciuto deponendo la bombetta sul tavolo e asciugandosi la fronte cinta di capelli bianchi e fitti. «Sono il notaio Motte, di Châteauneuf...» E, con un sorrisetto quasi automatico, che Maigret gli avrebbe rivisto spesso in seguito, aggiunse: «Oh! non ha certamente sentito parlare di me, mentre io ho sentito parlare molto di lei...» «Segga, la prego...»
«Grazie... Sono venuto... Ehm!... Tanto vale che glielo dica subito e che mi sbarazzi di questo pensiero. Non è una commissione facile da fare a un uomo che si trova, come un saggio, a fumare la pipa nel suo giardino! Eppure sono qui proprio per chiederle di voler lasciare questo giardino e questa casa per qualche giorno e di venire ad abitare da me.» Aveva avuto ancora lo strano sorriso che non era che un riflesso meccanico delle labbra. Forse tentava così di correggere ciò che di gelido e di solenne aveva il suo aspetto. La signora Maigret se n'era andata senza rumore, e, per ogni evenienza, era salita a mettersi un vestito elegante. Suo marito lo immaginava, poiché sentiva aprirsi l'armadio in camera, la cui finestra era spalancata. «So che lasciando la Polizia Giudiziaria non ha creduto di esercitare la professione di detective privato. Così è a titolo eccezionale che sono venuto a chiedere il suo aiuto. Le esporrò la situazione in maniera semplice e poi deciderà...» Chiuse per un attimo gli occhi, come per riordinare i suoi pensieri, e Maigret percepì l'uomo abituato a spiegarsi chiaramente, ad ascoltarsi con una certa soddisfazione. «Come le ho detto, sono notaio a Châteauneuf-sur-Loire, a una quarantina di chilometri da qui. Non sono ambizioso e l'aspetto di questo giardino, di questa casa, mi fa pensare che ci assomigliamo, almeno nella semplicità dei gusti. «In breve, io sono felice solo a casa mia, nella dimora che fu dei miei genitori e dei miei nonni e le mie gioie più vere mi vengono dalle mie tre figlie, Emilienne, Armande e Clotilde. Emilienne ha ora sedici anni, Armande diciannove, Clotilde ventitré. Una sola di loro, Armande, è fidanzata e il matrimonio dovrebbe aver luogo il mese venturo.» Maigret notò quel "dovrebbe" e continuò a manifestare un'attenzione educata, che non gli impediva di seguire con gli occhi un esercito di formiche che formavano sulla ghiaia una specie di fiumiciattolo. «Ignoro se ha dei figli...» Maigret fece segno di no con la testa e si disse che se sua moglie avesse udito, sarebbe poi stata triste per tutto il giorno, era quello il suo grande dolore. «Da parte mia, ho sempre dato alle mie figlie la più grande libertà. Infatti, voglio poter riporre la mia fiducia in loro. E benché si considerino di solito i notai di provincia come esseri pieni di pregiudizi, c'è un punto sul quale non ne ho: quello della ricchezza. In breve...» Era una delle sue espressioni automatiche sul suo viso. «In breve, io non mi pongo neppure il problema di impedire alle mie figlie di sposare un uomo senza beni di fortuna. L'ho sempre detto e, quando la cosa è avvenuta, quando Armande ha conosciuto Gérard Donavant, non le ho neppure fatto notare che il ragazzo era non solo senza denaro ma senza neppure quella che si chiama una posizione. In breve...» "Ancora!" pensò Maigret. «...è un pittore; ha ventitré anni; ha affittato da un anno un piccolo villino sulla riva della Loira e prepara, per l'inverno prossimo, una personale con la quale conta di farsi conoscere... Armande l'ama... Rifiuta di aspettare questa mostra per sposarlo... Io penso che lei metta la sua vanità nel fatto che il matrimonio abbia luogo prima e vi annetta anche una specie di superstizione...» Si interruppe vedendo Maigret chinato in avanti come un uomo che si addormenta. «L'annoio?» «Niente affatto. Osservavo quella formica che porta un carico dieci volte più pesante di lei. Ma questo non mi impedisce di ascoltare. Era arrivato a "una specie di superstizione...".» In cuor suo però malediva quel seccatore vestito di nero che provava il bisogno di violare l'intimità del suo giardino, venendogli a raccontare, con commovente minuzia, le sue piccole vicende familiari. Emilienne? Armande? Clotilde? Armande e Gérard volevano sposarsi? Tanto meglio per loro! E che la personale di Gérard avesse successo! Maigret era così felice poco prima tra i suoi pomodori. «Permette che le offra un bicchiere di vino bianco?» «Prenderò un bicchiere d'acqua, se permette...» Erano affari suoi, ma Maigret ci teneva al suo vino bianco. «Tra poco avrò finito, non tema. Spero di averle dato l'immagine di una casa felice, di una famiglia unita in cui regna la gioia di vivere. Aggiunga al quadro un tocco un tantino ridicolo e sarà completo: sono un collezionista.» E, dopo queste parole, un sorrisetto, come per scusarsi. «Collezionista di avorio cesellato e scolpito. Posseggo milleottocento pezzi, alcuni dei quali rarissimi... Ora, da un mese, constato due o tre volte alla settimana dei furti in casa... Penserà senza dubbio che sono molto audace a disturbarla per sottrazioni che considererà senza importanza... Ma a parte il fatto che alcuni degli oggetti scomparsi valgono parecchie migliaia e anche parecchie decine di migliaia di franchi, la cosa grave, signor Maigret, sono le conseguenze morali di questi ladrocini. Ho pensato a tutto, come può immaginare. Io non sono un ansioso, e neppure quel che si dice un visionario. La nostra vecchia cuoca è nata come me, in quella casa; suo marito, il giardiniere, vive da noi da più di quarant'anni. Quanto alla cameriera, l'ho sorvegliata e sono convinto che è incapace di rubare oggetti di cui, per di più, non saprebbe che cosa fare. Ho pensato anche al mio giovane di ufficio, che vedrà tra poco...» Maigret trasalì, ma non protestò. «Ho un altro impiegato che pure vedrà e capirà che i miei sospetti non possono convergere su di lui... Rimane, lo ha già capito, Gérard Donavant ed è per questo che sono qui... Io non ho il diritto, a causa di certe idee che mi sono fatto, di distruggere la felicità di mia figlia e di questo giovanotto... Ma non ho neppure il diritto di lasciare che Armande sposi un ladro... Per concludere, capirà che non mi è possibile immischiare la polizia ufficiale in questa faccenda...» «Dove sono questi famosi avori?» domandò Maigret. E questa volta, il sorriso del signor Motte fu meno fuggevole, perché capì che il suo compito, d'ora in avanti, sarebbe stato più difficile. «Nel mio ufficio... Voglio dire nel mio studio privato, al primo piano, e non nello studio che si trova al pianterreno. Le mostrerò le precauzioni che ho preso, le trappole che ho teso...»
«E che non sono servite a niente?»
«... Che non hanno impedito ai furti di aver luogo con un ritmo sempre più accelerato.»
«Questi oggetti sono facili a smerciare?»
«Per così dire, impossibile. Fino dai primi furti, ho messo sull'avviso tutti i mercanti che avrebbero potuto trattare oggetti del genere e ho scritto ad alcuni collezionisti che conosco a Parigi e a
Londra... Mi permetto di ripeterle che il matrimonio avrà luogo entro un mese, per l'esattezza ventinove giorni, e che la mia angoscia aumenta man mano che la data si avvicina...»
«Ha parlato di questi furti alla sua famiglia?»
«Soltanto il primo, perché allora credevo che qualcuno avesse spostato l'oggetto per inavvertenza... Poi, non ho detto altro...»
«Questi oggetti sono voluminosi?»
«Ce ne sono di misure diverse, ma ciò che mi interessa sono soprattutto le miniature... Alcuni avori cinesi non sono più grossi di una noce e tuttavia comportano diversi personaggi finemente intagliati...»
«Ancora una domanda: il suo ladro sceglie i pezzi di maggior valore?»
«Sì.»
«E' facile valutarli?»
«Al contrario, è molto difficile determinare se un dato avorio è di grande valore oppure se è un pezzo banale. Ora, mi resta da dirle...»
Maigret pensò: "Ora parlerà di quattrini!"
E invece no! Il notaio di Châteauneuf seguiva la sua idea, senza lasciarsi distrarre.
«... da dirle come, a mio parere, vada trattata la faccenda.
Evidentemente, è necessario che lei viva in casa mia per un periodo più o meno lungo. Occorre anche che non desti alcun sospetto e, di conseguenza, non la posso presentare come il famoso commissario
Maigret.»
Capitava di rado a Maigret di burlarsi della gente ma questa volta non poté resistere al desiderio di uno scherzo. Erano senza dubbio il sangue freddo, la gravità del signor Motte che lo ispiravano. Mormorò, con aria severa:
«Potrei mettermi una barba finta?...»
Ma l'altro non si lasciava smontare e finse di non aver inteso.
«La presenterò quindi ai miei come un vecchio compagno d'armi, che viene da una città un po' lontana e che passerà qualche giorno con noi. Che città conosce bene?»
«Bergerac le va bene?» propose Maigret.
«Sì! Sarà dunque un amico di Bergerac... Il signor?...»
«Legros?»
La cosa curiosa era che Maigret non prendeva tutta questa faccenda sul serio. Rispondeva gravemente, ma ridendo dentro di sé del progetto che stava prendendo forma.
«Sa guidare?»
«Una macchina? No!»
«E' un vero peccato!»
«Perché? E' necessario che il signor Legros possegga un'automobile?»
«E' indispensabile. Adesso capirà. Io guido. Tutte le mie figlie guidano, compresa la minore, che non ha ancora la patente. Il mio sostituto si serve spesso dell'auto, come Gérard...»
«E dovrei poterlo seguire...» brontolò Maigret, al quale dolevano gli occhi a forza di fissare la sfilata delle formiche.
«Disporremo le cose altrimenti. Dato che non sa guidare, avrà un autista. Il mio vecchio amico Legros può benissimo avere un autista.
Venendo al dunque, quale sarà la sua professione?»
«Per me è lo stesso...»
«Una professione della quale possa parlare con competenza...»
«Commerciante all'ingrosso di legname? Ho sempre sognato di essere un commerciante all'ingrosso di legname, per l'odore che emana da legna segata di fresco...»
«Va bene!... La condurrò dunque a Orléans... Prenderemo in affitto una macchina con autista... Arriverà un quarto d'ora dopo di me e...»
Fu soltanto in quel momento che Maigret si domandò se non stava sognando. Esaminò con stupore, come se lo vedesse solo allora, il curioso individuo che in pochi minuti aveva disposto di lui con una tranquillità allucinante. Poi si chiese se sua moglie, che era ridiscesa in cucina, aveva ascoltato la conversazione. Infine, per guadagnare tempo, vuotò il bicchiere, scosse il fornello della pipa contro i suoi zoccoli.
«Ma...» cominciò.
Si rendeva finalmente conto che si era lasciato quasi irretire. E gli sembrava che fosse ormai troppo tardi per distruggere l'edificio abilmente congegnato dal freddo notaio di Châteauneuf.
«Penso» aggiungeva costui, «che non ci metterà troppo tempo per vestirsi. Bisogna che lei porti una valigia col necessario per cambiarsi...»
Lo guardò negli occhi e l'altro dovette sostenere quello sguardo. Fu il momento decisivo. Maigret poteva benissimo dire:
"Mi lasci in pace."
Oppure alzarsi e andarsi a vestire come veniva invitato a fare.
«Il fatto è che...»
«Pensi che Armande si sposa tra ventinove giorni!»
E poi? La conosceva lui quell'Armande innamorata del suo Gérard?
Era lui che collezionava oggetti d'avorio con minuscoli personaggi scolpiti?
Si trovava a casa sua, nel suo giardino, coi suoi zoccoli; il suo cappello di paglia e la linea d'ombra che avanzava lentamente sul suolo, assottigliandosi verso il muro; poi, a mezzogiorno, sarebbe svanita.
«Conosco un'autorimessa che ci darà un autista di fiducia...»
Il signor Motte non aveva dubbi! Rimaneva lì, sulla panchina, a contemplarsi la punta delle scarpe tirate a lucido. Mancava poco che dicesse al suo compagno:
"Che cosa aspetta?"
Così accadde che Maigret si alzò e andò in cucina.
Alla prima occhiata, capì che sua moglie aveva ascoltato, perché cominciò a far dei gran segni negativi con la testa.
"Non andarci!" consigliava con la sua mimica.
E lui, senza ragione, in ogni caso senza una ragione definibile, scosse la testa, ma dall'alto in basso e dal basso in alto.
"Ci vado!" rispondeva.
Poi, ad alta voce:
«Sali con me a preparare la valigia...»
Per le scale, lei brontolò:
«E io che ti avevo preparato un fricandò...»
Ma, in camera, dovette tacere perché, dalla finestra aperta, il signor
Motte poteva udirli. Maigret si chinò a guardarlo. Quell'uomo curioso, così padrone di sé, che sapeva tanto bene misurare le parole ed era minuziosamente educato, lo impressionava, e non sapeva bene il perché:
«Emilienne, Armande e Clotilde...» brontolò.
«E' per questo che ci vai?»
Lei era meno gelosa di quanto a volte volesse sembrare, per fargli piacere. E la prova, che ciò faceva piacere a Maigret, fu che egli sorrise e alzò le spalle. Quando si guardò nello specchio, ebbe una smorfia di malumore pensando che era diventato il signor Legros! Il signor Legros di Bergerac! Il signor Legros commerciante di legnami!
Cercò di raffigurarsi la sala da pranzo dove tra poco sarebbe andato a mangiare in mezzo a gente che non conosceva e che lo avrebbe esaminato con curiosità.
Fu pronto presto, discese, trovò il signor Motte allo stesso posto.
«Suppongo che non ci sia bisogno di darci del tu?» borbottò, come per vendicarsi della sua docilità.
«No... dopo tanto tempo...»
«Dove abbiamo fatto il servizio militare?»
«Io ho fatto il mio a Orange, negli "spahis"...»
Incredibile, ma era così: quel piccolo signore senza sangue aveva portato l'uniforme fiammeggiante degli spahis e caracollato per le vie d'Orange su un cavallo arabo!
«E vada per gli "spahis"» fece Maigret. «Insomma, nulla impedisce che anch'io sia stato uno "spahis"... Tanto, non mi obbligherà a salire a cavallo...»
Queste battute però, a parte il sorriso automatico, non producevano alcuna reazione nel notaio di Châteauneuf, che aspettava educatamente di andar via. La signora Maigret portò la valigia che Maigret si era trascinata dietro durante tante inchieste ufficiali. Ebbe quasi voglia di rivolgersi a quell'oggetto e dirgli:
"Così, vecchia mia, ci fanno fare un mestiere ben curioso... Adesso appartieni al signor Legros e..."
La signora Maigret domandò:
«Quando tornerai?»
«Tra pochi giorni, signora» intervenne il signor Motte. «Le prometto di restituirglielo presto, perché sono convinto che non ci metterà molto a scoprire la verità...»
«Grazie tante!» fece l'ex commissario.
E salì sull'auto del signor Motte che sedette al volante e si credette in dovere di annunciare:
«Non abbia paura.. Io non corro mai troppo...»
«Per me è lo stesso...»
Arrivarono presto a Orléans dove si fermarono nella piazza principale, davanti a un garage. Mentre il notaio vi entrava, Maigret si recò in una birreria che aveva la miglior birra scura di tutto il dipartimento. "Emilienne, Clotilde e Armande..." recitò. "No, è Armande che viene in mezzo... Emilienne, Armande e Clotilde... Sono contento di conoscerle e vedere se assomigliano al loro padre." Perché, in fondo, anche se brontolava e mandava il suo notaio al diavolo, era curioso di vedere quella casa che aveva appartenuto al padre e al nonno del signor Motte, con lo studio al pianterreno, lo studio al primo piano, un giardino, dato che c'era un giardiniere, la cuoca settantenne e la cameriera al di sopra di ogni sospetto... "Guarda un po'!" fece. "Non mi ha detto una sola parola di sua moglie! Sarà morta..." Il signor Motte era uscito dal garage e cercava il suo compagno. Non sapendosi osservato, manifestava una certa inquietudine e dimenticava il suo sorriso nervoso. Finalmente, vide Maigret seduto alla birreria e gli annunciò che la macchina e l'autista sarebbero stati pronti tra un quarto d'ora. L'ex commissario ne approfittò per bere ancora un bicchiere di birra, fumando la pipa al sole, davanti al suo tavolino di marmo. "Se la casa dovesse essere lugubre e le figlie brutte..." Due ore dopo, uscendo dalla sala da pranzo più luminosa che avesse mai visto, per seguire il signor Motte in salotto, dove gli porse una scatola di sigari, non pensava più a scherzare. Sarebbe rimasto molto stupito se qualcuno gli avesse detto che era là da centoventi minuti e che, ancora al mattino, non aveva mai sentito parlare di Emilienne, di Armande e di Clotilde. Fu Emilienne a porgergli una tazza di caffè, facendogli una piccola riverenza piena di gentilezza e sorridendogli con un sorriso che apparteneva solo a lei. Clotilde chiudeva le tende per attenuare il caldo sole pomeridiano e, nella luce diffusa, Armande era bella, di una bellezza semplice e fresca, senza affettazione. «Se preferisce la sua pipa...» mormorò il notaio. Certo che preferiva la sua pipa! Ma non voleva fumarla a causa delle tre ragazze e della signora Motte, la quale, seduta in una poltrona, sorrideva mollemente. Perché esisteva una signora Motte, una donna dolce, dimessa, che pareva errare nella vita, sorridendo come in sogno. «Due zollette?» «Una sola, se permette...» Cento volte, passando davanti a quelle grandi case sulle rive della Loira, dalle linee di un'armonia così sottile, Maigret si era detto: "La vita qui dev'essere piacevole e facile, in mezzo a cose graziose..." Ora, la casa del notaio di Châteauneuf era, per eccellenza, la casa di provincia come si costruiva una volta, senza meschinità, senza nulla di vistoso, di volgare o di aggressivo. I ciuffi d'erba spuntavano tra le pietre del cortile. Si sentiva a volte una pesante carretta passare lentamente nella stretta via. Le boiseries dei muri erano chiare, con la patina necessaria, e, quando si camminava nel salotto, i cristalli del lampadario facevano sentire un discreto tintinnio.
«Adesso, caro mio, se le fa piacere, Armande suonerà il pianoforte. Ma forse preferisce aspettare l'arrivo del suo fidanzato. Le piace la musica?» Naturalmente! Perché no? Ma non aveva avuto tempo di sentirne molta. «Le piace Schubert?» insisté Armande sfogliando un album. «Certo, signorina...» Non la chiamava ancora Armande, ma sentiva che tra poco l'avrebbe chiamata così, che ben presto avrebbe detto Emilienne, Armande e Clotilde come se anche lui fosse un po' della famiglia. Il suo sguardo cercò la magra figura del signor Motte che si stagliava contro l'oro pallido di una tenda. Sorprese il famoso tic, il famoso sorriso fuggevole. E fu sicuro che in quel modo il notaio di Châteauneuf gli diceva: "Vede che non le ho mentito!" Non gli aveva mentito! Tutta quella perfezione era conturbante! Al punto che Maigret aveva l'impressione di affondare insensibilmente in un mondo troppo perfetto, troppo felice, dove non c'era posto per le piccole e le grandi porcherie della vita di cui si era occupato per più di trent'anni. Fu allora che capì, che trasalì d'un tratto, come se lì, in quell'atmosfera di dolcezza e di pace, avesse scoperto una cosa brutta e ripugnante, uno scorpione, per esempio, o un rettile. Qualcuno aveva rubato! E, quella parola che, al Quai des Orfèvres, aveva un significato benigno, quel delitto che era moneta corrente nella vita di un poliziotto abituato a frugare in ben altre turpitudini, prese qui un diverso significato. Qualcuno aveva rubato! Quello straordinario, piccolo notaio leggeva nel suo sguardo tutto ciò che egli pensava? Maigret scoprì sul suo viso una subitanea espressione di tristezza. Qualcuno aveva rubato! Ed era un po' come se qualcuno avesse sconciato volontariamente una cosa magnifica, avesse attentato, per esempio, il candore di Emilienne, trattandola come una ragazza di strada, oppure avesse insudiciato quei pannelli perfetti, fatto a pezzi il pianoforte a coda, lacerato il tappeto persiano dagli azzurri incredibili. Qualcuno, in quella casa, aveva rubato! E Maigret aveva quasi voglia di chiedere scusa al suo ospite per i suoi scherzi del mattino. Perché stava scoprendo che un semplice furto di un oggetto d'avorio può diventare più patetico, in una determinata atmosfera, di tutti gli assassini di cui si occupava la Polizia Giudiziaria.