8.
Jérôme rilesse per la quarta volta l’sms che aveva ricevuto un’ora prima, allo spuntare dell’alba. Come aveva fatto a essere così stupido da rivelare la sua destinazione? «Sei arrivato bene nelle Landes? Credimi, ti conviene regolare il conto in sospeso con noi entro l’estate. Ti pensiamo tutti.» In quel messaggio non c’era niente di amichevole. Jack non scherzava in fatto di debiti, Jérôme avrebbe dovuto saperlo. E a Londra aveva lasciato un debito troppo grosso per essere cancellato. «Ti pensiamo tutti…» Che eufemismo! Jérôme se n’era andato in fretta e senza lasciare un indirizzo preciso, gli altri dovevano averlo maledetto.
D’accordo, non si era comportato in modo corretto, lo sapeva. In ogni caso, vivere sotto lo stesso tetto con altra gente finiva sempre per creare problemi. Quanto gli doveva esattamente? Qualche mese di affitto e mille euro prestatigli direttamente da Jack. Più un debito d’onore perché aveva avuto la pessima idea di provarci con il suo ragazzo. Jack non aveva voglia di scherzare anche per questo.
Dopo essere rimasto seduto a lungo sui gradini del portico a fissare il cellulare, Jérôme si alzò. Gli uccelli si stavano dando alla pazza gioia quella mattina, e all’orizzonte non s’intravedeva nemmeno una nuvola. Attraversò la radura, imboccando il sentiero che portava al cancello. Preferiva andare a prendere la posta di persona, in caso di cattive notizie. E comunque, le Landes erano una regione vasta, anzi immensa! Certo, il nome di Ariane Nogaro doveva apparire ancora sull’elenco telefonico. Avrebbero fatto in fretta il collegamento con Nogaro Jérôme. Jack avrebbe avuto la faccia tosta di andare fin lì? Non avrebbe di certo fatto il viaggio per mille euro, né per il solo piacere di mollargli un pugno.
La cassetta delle lettere conteneva solo un dépliant pubblicitario, era ancora troppo presto per il passaggio del postino. Ed era inutile farsela sotto, non aveva che da pagare il suo debito! Anne avrebbe accettato di fargli un prestito? Doveva convincerla, a costo di raccontarle qualsiasi cosa tranne la verità. Perché, nonostante le sue ampie vedute, non avrebbe apprezzato il resoconto delle sue avventure londinesi. Sarebbe stato difficile raccontare di Jack mentre scopriva William nel suo letto, poi la rissa omerica nel corso della quale Jérôme aveva involontariamente rotto la chitarra di Jack, una Castelluccia di straordinaria bellezza con la quale Jack si cimentava con successo nel flamenco. Vederla andare in pezzi lo aveva fatto impazzire. Jérôme aveva dovuto darsela a gambe in piena notte e dormire per strada al riparo di un lurido androne. Era tornato all’appartamento dopo che Jack era andato al lavoro, trovando William in lacrime – che smidollato! – e aveva preso un po’ delle sue cose, tra cui il passaporto. Seguendolo di stanza in stanza, William gli aveva chiesto se poteva andare con lui. Era impazzito? Jack li avrebbe seguiti fino all’inferno se fossero partiti insieme. E, comunque, Will era stato per Jérôme solo un’avventura. Pur se bello, invitante come un frutto, Jérôme non voleva farsene carico per niente al mondo. Se l’era data a gambe, ma per non perdere del tutto la faccia, aveva spiegato, spavaldo, che tornava a casa sua in Francia, nelle Landes. Da lì l’sms di Jack, l’ultima persona di cui Jérôme desiderava avere notizie. Perché ai mille euro doveva aggiungere i mesi di affitto e, soprattutto, il costo della Castelluccia. Circa tremila euro in tutto. O quattro, perché, anche se d’occasione, quella chitarra costava molto. Come ottenerli da Anne entro la fine dell’estate?
Tornato indietro, osservò la casa addormentata. Se si fosse reso davvero utile, Anne sarebbe stata meglio disposta nei suoi confronti. Ma da che parte cominciare? Era tutto un disastro in quella baracca! Dopo averci pensato su, decise di iniziare dalla cucina, una stanza necessaria alla vita di tutti i giorni, che avrebbe reso visibile il suo lavoro. Lavare le pareti, ridipingerle, strofinare le piastrelle del pavimento con l’olio di lino: il locale sarebbe diventato lindo e sua sorella gliene sarebbe stata riconoscente. Proprio come doveva farle piacere avere compagnia. Dopo la partenza di Léo per la Spagna, Anne si sarebbe ritrovata da sola se Jérôme non fosse stato lì, e questo doveva valere di sicuro un piccolo bonus.
Prese di nuovo il cellulare dalla tasca del pigiama, rilesse il messaggio un’ultima volta e lo cancellò.
Sentendo il naso bagnato di Goliath sul collo, Anne aprì gli occhi. Seduto accanto al letto, il cane la fissava, la coda scodinzolante. Al risveglio, era sempre eccitato come un cucciolo, non vedeva l’ora di iniziare la giornata, qualsiasi tempo facesse, e aveva preso l’abitudine di buttar giù dal letto la sua padrona con dei colpetti sulla testa. Faceva lo stesso con Ariane? Anne tirò fuori una mano da sotto le coperte e gli diede una grattatina dietro alle orecchie.
«È troppo presto…» borbottò, prima di girarsi pigramente dall’altra parte.
Sdraiata di traverso sul letto, si stiracchiò, mugugnò, spalancò le braccia. In fondo, non era male avere tutto lo spazio per sé. E Goliath non le chiedeva se aveva dormito bene, non le faceva l’elenco degli impegni che l’aspettavano, non le ricordava di chiamare l’idraulico.
Al di là del tappeto, una chiazza di sole illuminava il parquet. Avrebbe sicuramente fatto caldo anche quel giorno. Come ogni domenica, Julien sarebbe passato a prendere Léo per accompagnarlo a fare surf, ma non ci sarebbero stati molti cavalloni e avrebbero ripiegato sulle immersioni. Che cosa stava facendo Paul in quel momento? Era già in viaggio per Parigi? Da quando gli aveva detto di andare al diavolo, lui non l’aveva richiamata. Anne non sapeva neanche se avrebbe preso il treno o la sua auto, né se avrebbe alloggiato in hotel o dai suoi genitori. Quella vacanza avrebbe modificato il suo atteggiamento? Anne non vedeva cosa avrebbe potuto fargli cambiare idea in pochi giorni. E, naturalmente, non appena la famiglia avesse saputo che lui era andato in vacanza da solo, Anne sarebbe stata bombardata da domande insidiose e consigli ben intenzionati.
S’infilò sotto la doccia, indossò dei pantaloncini, una maglietta e le ballerine. Quando scese in cucina, trovò Jérôme intento a spostare i mobili, tutto felice della sua idea di improvvisarsi imbianchino.
«In cantina ho trovato dei barattoli di pittura. Ci sono il giallo, il bianco e il blu. Probabilmente Ariane aveva dei progetti che non ha fatto in tempo a realizzare!»
«In cantina? Io ho visto solo bottiglie di vino… Che, tra l’altro, ti proibisco di toccare, sono dei Grand Cru.»
«Lo so, ho letto le etichette. Ma dietro gli scaffali dei vini, c’è una porticina che conduce a una seconda cantina piena di cianfrusaglie polverose.»
Anne rammentò la scarsa illuminazione e la sensazione sgradevole provata quando era scesa laggiù.
«Perché sei andato a ficcarci il naso?»
«Per curiosità! No, in realtà cercavo qualcosa, tipo un telo, per proteggere le piastrelle. E dato che non ho paura dei topi né dei grossi ragni pelosi…»
Scoppiò a ridere mentre la sorella si stringeva nelle spalle.
«Dai, Anne, rilassati. Sei talmente possessiva con questa casa che il fatto di scoprire qualcosa che tu non sai ti irrita.»
Una frecciatina per farla sorridere.
«Okay, d’accordo», accettò lei. «Dipingerai tu. Domani andremo a comprare i pennelli.»
«Anche un rullo e dell’acquaragia.»
«Ma ti avviso, se macchi le persiane interne o le ante delle credenze, ti uccido.»
«Intanto, devo lavare il pavimento e le pareti, perciò sposteremo temporaneamente la cucina in sala da pranzo. La macchina del caffè è già di là, puoi usarla.»
«Allora sveglia Léo per farti aiutare.»
«Léo? Julien è passato poco fa, staranno già facendo surf. No, non preoccuparti, affronterò da solo questa sporcizia vecchia di cent’anni!»
Divertita, Anne decise di lasciarlo fare. Per una volta che si rendeva utile, meglio non scoraggiarlo. D’altronde, la cucina aveva davvero bisogno di essere ritinteggiata, sarebbe diventata un ambiente più allegro.
Bevve il caffè seduta al tavolo della sala da pranzo, usando una di quelle tazze del servizio spaiato di porcellana che aveva tenuto. Dopo essersi servita una seconda volta, si portò la tazza nel suo studio al primo piano. Domenica o meno, aveva delle pratiche da sbrigare e, vista la piega presa dalla sua vita, era nel suo interesse tenere il lavoro. Anche senza essere ossessionata dal denaro, si ricordava la frase di Pierre Laborde: «Dovrebbe risultare un saldo a suo favore». Ottimo, ma di quanto? Con i suoi soli guadagni, Anne avrebbe fatto fatica a provvedere alla manutenzione della villa, a scaldarla d’inverno, e pagare le imposte annuali. E dato che era sposata con Paul e che la loro residenza si trovava a Castets, la villa sarebbe diventata una seconda casa. Paul avrebbe urlato nel vedere l’importo delle tasse.
Si accomodò alla scrivania e cominciò ad accarezzare distrattamente la superficie rovinata. In che modo poteva far fronte a tutto questo? Adesso sapeva che ciò che la divideva da Paul non era solo il problema della villa. Anzi, avevano scoperto che tra di loro non era tutto perfetto, e quella presa di coscienza era pericolosa.
«Tu non ci pensi?» s’indignò Valère.
Rivolse a Lily uno sguardo accusatore che, tuttavia, non scoraggiò la sorella maggiore.
«Ma sì che ci penso! Ci abbiamo pensato più o meno tutti, no? Avremmo potuto far invalidare il testamento. Ariane era mezza matta, lo sappiamo, e sono convinta che se papà si fosse dichiarato derubato…»
«Non dire sciocchezze! Non l’avrebbe fatto per niente al mondo. Lo conosci, è un uomo onesto. In ogni caso, a ereditare è stata una delle sue figlie, non è che la famiglia sia stata proprio danneggiata.»
«La famiglia? Soltanto Anne! Papà invece avrebbe diviso il denaro tra noi quattro, così sarebbe stato equo! Riesci a immaginare il valore della proprietà? Anne non ha parlato di cifre, se ne guarda bene, ma basta dare un’occhiata alle vetrine delle agenzie immobiliari o agli annunci per farsi un’idea. Lei è ricca, e noi non abbiamo ricevuto un solo euro.»
Valère si strinse nelle spalle, esasperato dalla sorella. Naturale che anche lui ci avesse pensato. Soprattutto lui, ovviamente, perché aveva dei problemi di soldi. Ma Lily? Era venale o soltanto gelosa della sorella minore? D’accordo, Anne era stata fortunata, però, in definitiva, era stata l’unica a occuparsi un po’ di Ariane, come loro padre faceva notare. Se poi aveva agito per interesse, tanto meglio per lei.
Sistemò meccanicamente le rose bianche a stelo lungo che aveva appena esposto in vetrina. Suki era uscita per delle consegne mentre lui era rimasto in negozio, cosa che non lo disturbava affatto. Sua moglie gli aveva insegnato ad amare i fiori e in sua assenza si cimentava in composizioni abbastanza riuscite. Quando era davvero contento di sé, fotografava il bouquet.
«E», riprese Lily, «l’eredità l’ha resa più pazza di Ariane, si ostina a vivere laggiù come una castellana al punto che Paul ne ha avuto abbastanza e se n’è andato a Parigi!»
Valère lanciò un’occhiata a Lily per cercare di capire se si stesse inventando tutto, ma sua sorella sembrava troppo soddisfatta di sé, perciò doveva essere vero.
«Lui sta sbagliando», sibilò Valère tra i denti.
«Ma non è Paul a sbagliare, poveretto, è lei! Ti ci vedi a lasciare Suki tutta sola a casa? Mi immagini mollare Éric e le ragazze per andare a sistemarmi solo Dio sa dove?»
«A sentirti, uno crederebbe che Anne si sia trasferita a vivere in una yurta! Io la capisco: la villa è bella. Molto più della casa di Castets e anche della tua a Hossegor. È questo che ti dà fastidio, sorellona?»
Difendeva Anne contro Lily, ma non poteva impedirsi di pensare al piccolo appartamento con le finestre sul cortile che lui e Suki occupavano.
«Be’, me ne vado», sbuffò lei in tono altezzoso. «Ho appuntamento con Éric e le ragazze da Une cuisine en ville, adoro quel ristorante.»
«Non ne avete a Hossegor?» ironizzò lui.
«Sono stufa dei turisti in tenuta da spiaggia.»
Lily raccolse la borsa che aveva abbandonato sul bancone, fingendo di accarezzare un’orchidea.
«Mi faresti uno sconto?» gli chiese ridendo.
«Non sono io il capo. Ma te la regalo. E prenditene cura!»
La guardò andarsene, riflettendo sul fatto che indossava un vestito troppo corto e troppo vistoso, in bilico sui tacchi vertiginosi. Sua sorella si vestiva sempre con una certa ostentazione, cercando in tutti i modi di apparire giovane; tra un po’ avrebbe rubato i vestiti alle sue figlie. Éric doveva di certo apprezzarlo, ma da parte sua Valère preferiva i jeans di Suki e le sue camicette di seta. In quel momento, sua moglie era triste, ossessionata dalla sua incapacità di diventare madre. Tuttavia, lui aveva una bella notizia da darle, che forse l’avrebbe rallegrata. Quella mattina presto, quando Suki era appena partita con il furgoncino, il tizio dell’agenzia immobiliare in fondo alla strada era venuto in negozio. Stringeva in mano uno dei biglietti da visita che Valère lasciava un po’ ovunque e stava proprio cercando un fotografo. A suo avviso, delle belle fotografie che presentassero le case in vendita nella loro luce migliore avrebbero facilitato le vendite. Proponendo una bella vetrina, la gente avrebbe preferito andare da lui che nelle agenzie concorrenti, ed era pronto a pagare quanto era necessario per una trentina di scatti delle diverse case della regione. Una fortuna insperata. Valère aveva promesso che si sarebbe messo al lavoro dalla settimana successiva. Per una volta, sarebbe stato lui a guadagnare e a dimostrare ciò che sapeva fare, perché con la sua attrezzatura era in grado di valorizzare qualsiasi cosa.
Ripensando alle parole acide di Lily, si rese conto che avrebbe avuto la possibilità di verificare le dichiarazioni di sua sorella in merito a villa Nogaro. Valeva davvero così tanto? Non avrebbe tardato a scoprirlo grazie alla sua piccola incursione nel mondo immobiliare. Per tutta la famiglia, e da parecchio tempo, quella casa era un rudere sinistro e tenuto male dalla «vecchia pazza». Loro padre non ci aveva mai badato molto, tuttavia era una proprietà magnifica, Valère l’aveva constatato di persona quando aveva fatto visita ad Anne. Forse poteva valere così tanto per la sua vicinanza alle spiagge? Se le cose stavano così, Anne aveva trovato una miniera d’oro e, naturalmente, ciò scatenava l’invidia.
Paul-Henri era un uomo seducente e affascinante. Oggi mi rendo conto che, incontrandomi, aveva trovato esattamente quello che stava cercando. Perché la sua non era una ricerca semplice, lui voleva un’amica, qualcuno che condividesse il suo stile di vita. Sensibile, raffinato, amante dell’arte, era anche molto timido e beneducato. Il modo in cui mi fece la corte incrinò la mia corazza, cancellando il disprezzo che provavo per gli uomini. Paul-Henri mi teneva per mano sotto il chiaro di luna, recitava versi di de Musset davanti all’oceano, mi rivolgeva complimenti con una gentilezza che mi sconvolgeva. Mi trovava bella e il modo in cui me lo diceva mi obbligava a credergli, mi sentivo giovane e desiderabile: finalmente ero viva!
Paul-Henri possedeva due alberghi – due palazzi, dovrei dire – e all’epoca dei miei quindici anni, mio padre lo avrebbe definito un «gestore di bar». Per i Nogaro di quei tempi, contava solo la terra, e soltanto se misurava centinaia di ettari. Ma noi eravamo lontani da quel sogno svanito e consideravo del tutto soddisfacente la professione di Paul-Henri. In ogni caso, non era lui a esercitarla, aveva dei dipendenti che lo facevano al posto suo.
Ogni volta che pensavo ad Albert e alla sua attività vinicola o a Maurice e ai suoi affari loschi, benedicevo il mio incontro con Paul-Henri e i suoi alberghi di lusso. Per circa un anno, mi corteggiò con un pudore molto romantico e senza chiedere niente in cambio, infine si lanciò in una proposta di matrimonio a regola d’arte.
Divorziata due volte, non potevo pretendere una cerimonia fastosa, tuttavia Paul-Henri insistette per fare le cose in grande. Si entusiasmò nel definire dei dettagli del ricevimento e aveva deciso di portarmi a New York in viaggio di nozze.
Innamorata, lo ero di certo, ma non innocente. Per lunghi mesi non avevamo fatto altro che scambiarci baci appassionati. All’inizio, avevo attribuito questo riserbo alla galanteria, poi alla timidezza, finché un dubbio insidioso mi aveva spinto a prendere qualche iniziativa… che Paul-Henri aveva abilmente evitato. Dato che non potevo infilargli una mano nei pantaloni, non avevo insistito.
La nostra prima notte insieme mi spiegò finalmente il motivo di tanta castità. Come avevo intuito – e temuto – ce l’aveva minuscolo. La dimensione ridicola bastava a giustificare tutta la timidezza di Paul-Henri, nata dal complesso che si portava dietro da sempre. Era così infelice che riuscì a commuovermi nonostante l’imbroglio del nostro matrimonio d’amore. Non avrei avuto degli abbracci calorosi, delle notti folli, delle albe languide. E non ero ingenua a tal punto da credere che i miei sentimenti avrebbero resistito a quella prova.
Da donna innamorata, mi trasformai in donna amorevole, e l’amante che non potevo essere divenne per lui un’amica. Me ne fu talmente riconoscente che si prodigò per darmi una vita da sogno. Non avevo praticamente nessuna cultura artistica e mi fece scoprire, passo dopo passo, la musica, la pittura, la letteratura. Ci intendevamo come fratello e sorella – non sto parlando del mio! – e in modo del tutto naturale gli confidai il progetto di riacquistare la casa della mia infanzia. Eccitato dall’idea di compiacermi, prese subito informazioni, ma solo per scoprire che i proprietari attuali non desideravano vendere. «A nessun prezzo», era stata la loro dichiarazione inappellabile. Una volta di più, ci rimasi male. Finché ero stata innamorata di Paul-Henri, finché l’avevo desiderato, la mia ossessione per la villa si era un po’ affievolita, ma da quando eravamo scivolati in una relazione affettuosa ma molto meno travolgente, il pensiero di riscattare la casa nel bosco si era ripresentato con tutta la sua forza.
Paul-Henri aveva avuto un figlio dal primo matrimonio e, sin dalla nostra prima notte di nozze, mi domandai per mezzo di quale miracolo fosse riuscito a generarlo. L’argomento era delicato, non ne parlava volentieri, ma finì per confessarmi che, nel corso di quella unione catastrofica, sua moglie l’aveva tradito spesso e che non era quindi il padre di quel ragazzo che portava il suo nome. Sui vent’anni, il giovane viveva a Madrid con la madre, e Paul-Henri non li vedeva mai. Smisi quindi di pensarci, un grave errore che in seguito avrei pagato caro.
Il rombo familiare della moto di Julien obbligò Anne a mettere giù il quaderno. Si era concessa di leggerne un po’ dopo aver lavorato a lungo su una pratica, e come sempre era stata catturata dal racconto di Ariane.
Avvicinandosi alla finestra dello studio, vide Julien arrivare, con Léo aggrappato alle sue spalle, e notò che nessuno dei due indossava il casco. Arrabbiata per l’imprudenza di Julien, si fiondò giù per le scale, uscendo come un tornado.
«Ma sei pazzo o cosa?»
«Aspetta, mamma…» la implorò Léo.
«Quanto a te, da ora in poi ti proibisco di salire di nuovo su quell’affare! Se Julien vuole ammazzarsi, sono affari suoi e me ne frego, ma tu no. Ti credevo più maturo, Léo, più responsabile. Pensi di commettere delle imprudenze simili in Spagna? Non dovrei nemmeno lasciarti andare, io…»
«Non sgridarlo», la interruppe Julien. «Ci hanno rubato i caschi.»
Le indicò il bauletto della moto che era stato scassinato.
«Non sono riusciti a prendere la moto perché ho un ottimo antifurto, e allora si sono vendicati.»
«Chi è stato?»
«Non lo so. Dei teppistelli, immagino. Siamo rimasti a lungo in acqua.»
Julien parlava in tono freddo, sembrava irritato.
«Adesso devo rientrare», aggiunse.
«Avresti dovuto chiamarmi, sarei venuta a prendervi.»
Léo li guardò, prima l’uno e poi l’altra, e vedendo che sua madre si era un po’ calmata, si eclissò.
«Okay, ho sbagliato», ammise Julien. «Mi ero ripromesso di non usare più la moto durante il soggiorno dei gemelli a casa mia. Ma questa mattina mia madre è venuta a prenderli per trascorrere la giornata al lago di Soustons insieme alla ragazza alla pari, e mi son detto che era l’occasione per fare un giro. In più, tuo figlio adora andare in moto e avevo portato un casco anche per lui, naturalmente.»
«Se aveste avuto un incidente, non te lo avrei mai perdonato.»
«Siamo rientrati a cinquanta all’ora.»
«Ma c’è in giro un sacco di gente che guida ubriaca, soprattutto d’estate.»
«È vero, non si è mai al sicuro. Mi dispiace.»
Anne annuì, ritenendo che l’episodio fosse chiuso, ma Julien mantenne un atteggiamento rigido, sempre contrariato.
«Non parliamone più», propose lei.
«Peccato che hai detto che non te ne fregava niente se mi fossi ammazzato.»
«Ho detto così?»
«Proprio così.»
Davanti alla sua espressione stizzita, Anne finì per mettersi a ridere.
«Ero arrabbiata con te. Rimani a pranzo?»
«No, raggiungo mia madre e i ragazzi. Niente immersioni con loro, ci metteremo a sguazzare con i braccioli!»
Parlare dei figli gli aveva restituito il sorriso.
«Perché sei venuto stamattina? Non avevi voglia di stare con i gemelli?»
«Sì, ma anche mia madre. Da dopo il divorzio, è una nonna molto frustrata, così le ho lasciato qualche ora solo per lei.»
Era generoso da parte sua, e tipico del suo modo discreto di far piacere agli altri.
«E la ragazza alla pari, com’è?»
«Graziosa, sorridente, troppo giovane e dal francese pessimo. Ci sa fare con i bambini, ma in cucina è terribile. Ogni sera chiedevo a Paul delle ricette semplici da preparare al rientro a casa. Adesso che è in vacanza, dovrò improvvisare. A proposito, hai sue notizie?»
«Nessuna.»
Parve stupito della risposta, ma non insistette, sicuramente per non irritarla.
«Si farà di certo sentire con te», sospirò Anne. «Suppongo che chiamerà per sapere se in clinica procede tutto bene. Casomai…»
«Sì, ti avviserò subito, contaci.»
Anne gli fu riconoscente per non averla costretta a chiederglielo e, dopo essersi avvicinata, lo abbracciò con affetto.
«Grazie, Julien.»
La sua maglietta sapeva di iodio e di pini, e gli era rimasto del sale nei capelli.
«Rientri senza casco? E se ti fermano?»
«Spiegherò il problema.»
Julien salì sulla moto e l’avviò con un rombo sordo.
«Sii prudente!» gli gridò, mentre faceva marcia indietro.
Pensierosa, lo seguì con lo sguardo. Julien cercava di fare le cose per bene, era venuto di sua iniziativa quella mattina per stare con Léo perché il padre l’aveva piantato in asso nella sua ultima domenica prima della partenza per la Spagna. Si occupava dei suoi figli come poteva quando li aveva con sé, pagava gli alimenti alla ex moglie mentre lei se n’era andata con un altro. Un uomo molto gentile, serio e brillante nel suo lavoro, secondo Paul, un amico leale.
Qual è il suo tallone d’Achille? Troppo gentile? Troppo serio? Troppo sentimentale?
Lo conosceva da tanto tempo, da quando era diventato socio di Paul e si era lanciato con lui in quell’avventura della clinica veterinaria lontano da una grande città, ma non si era mai fatta troppe domande su di lui. Quando aveva divorziato, aveva lasciato che fosse Paul a risollevargli il morale, evitando di schierarsi contro sua moglie. Come avrebbe fatto a immaginare che, un anno dopo, si sarebbe ritrovata a sua volta sull’orlo della separazione?
No, noi non siamo a quel punto!
Tuttavia, Paul aveva giocato la carta della distanza e del silenzio. La trattava con arroganza, era andato in vacanza senza di lei, si faceva desiderare. O forse, era così infelice da aver avuto bisogno di isolarsi. Ma a questo non credeva. Infelice? No, Paul era soltanto contrariato e scontento perché lei non cedeva. Non c’era niente di nobile nel suo atteggiamento, non assomigliava più al vecchio Paul, il ragazzo adorabile che si era dato da fare per conquistarla. In che momento si era trasformato in censore, in un capo di famiglia intransigente? Non si era accorta di niente perché Paul prendeva sempre le sue parti, sorridendo con indulgenza davanti ai suoi sogni.
Indulgenza… La parola le girò per la testa fino a esasperarla. Non aveva bisogno né d’indulgenza né di autorizzazione, non era più una bambina.
Paul si svegliò con un mal di testa lancinante che gli stringeva le tempie in una morsa. Avendo lasciato la finestra aperta, il rumore proveniente dalla strada gli sembrò insopportabile. E quasi all’istante, le immagini del patetico spettacolo di strip-tease visto la sera prima tornarono ad assalirlo. Ingenuo come un turista, si era lasciato convincere dal procacciatore di clienti di un locale di Pigalle. La serata gli era costata una fortuna e aveva bevuto oltre misura guardando con occhio apatico delle donne nude che gli ispiravano nient’altro che una vaga compassione. Senza entusiasmo, aveva svuotato la bottiglia di champagne posata sul suo tavolo, sapendo in anticipo che se ne sarebbe pentito.
Ordinò la colazione al telefono, chiedendo anche una scatola di aspirine, poi entrò in bagno per una lunga doccia tiepida. Se proprio voleva divertirsi come un single, avrebbe fatto meglio a regalarsi uno spettacolo al Lido, con le sue scenografie, i costumi e le bellissime ragazze. In ogni caso, quel giorno avrebbe cercato di seguire un programma più intelligente, serata compresa. Per dimenticare il suo conflitto con Anne, Parigi gli offriva un sacco di distrazioni, non era obbligato a scegliere le più mediocri!
Di fatto, non riusciva a divertirsi perché era sempre stato troppo serio. Persino dopo la laurea, non aveva fatto follie, anzi si era subito indebitato per aprire la clinica. I suoi ricordi «spassosi» risalivano al periodo del liceo e, anche in quel caso, in quinta si era dedicato solo allo studio per avere dei buoni voti. Aveva vissuto la conquista di Anne come qualcosa di molto importante e il loro matrimonio come un impegno coscienzioso. Non c’era stata nessuna leggerezza in tutto questo. Solo obiettivi, raggiunti grazie al buon senso.
Di ritorno in camera, trovò ad aspettarlo il vassoio della prima colazione. Inghiottì due compresse di aspirina insieme alla sua prima tazza di caffè e, benché non avesse fame, si sforzò di piluccare un croissant. Era in vacanza. Non dovendo occuparsi di suo figlio né di dare l’esempio, poteva fare quello che voleva. Sì, ma cosa? In altri tempi, avrebbe cercato un regalo per Anne, solo che un regalo non avrebbe risolto la loro situazione.
Preso da un conato di vomito, fu sul punto di rigettare il boccone. Aveva davvero bevuto tutta la bottiglia di champagne da solo, dopo una cena al ristorante già accompagnata da un buon vino? Quel giorno avrebbe fatto visita ai suoi genitori, a casa loro durante i pasti si beveva acqua, e si sarebbe fatto coccolare senza raccontare niente dei suoi problemi di coppia. Sfogarsi non faceva parte del suo carattere e suo padre sarebbe stato addirittura capace di dargli torto. In fondo, gli avrebbe detto, se si trattava soltanto di traslocare perché tutto andasse a posto… Purtroppo, era molto più complicato. La prospettiva di vivere a casa di Ariane – perché, per Paul, quella sarebbe sempre rimasta la casa di Ariane – lo irritava. Odiava quel genere di sistemazione, una villa troppo grande e troppo difficile da gestire, lui aveva bisogno di un ambiente semplice, raccolto, pulito. Tuttavia, capiva che Anne potesse provare il desiderio opposto. Perché non ci aveva pensato quando avevano costruito la loro casa di Castets? Certo, le aveva sottoposto i progetti, ma Anne cosa avrebbe potuto suggerire per rendere la loro casetta meno essenziale? E lui ne avrebbe tenuto conto? Forse lei aveva rinunciato a discutere per una causa che considerava persa.
Sin dalla prima notte d’amore con lei, si era meravigliato della loro intesa fisica. Adorava il suo corpo, era riuscito subito a darle piacere, e il loro desiderio reciproco non si era affievolito nel corso del tempo. Ma andare d’accordo a letto non era tutto in una coppia, sarebbe stato sbagliato crederlo. Perché in tutto il resto, lui e Anne avevano aspirazioni, idee e gusti molto diversi. Persino sull’educazione di Léo, lei aveva ceduto senza condividere l’opinione di Paul riguardo al collegio. Lui era convinto di averla persuasa, mentre in realtà Anne si era solo arresa. Come sempre? No, certo che no, non era un tiranno e non aveva la sensazione di imporre sistematicamente il suo punto di vista. E poi, in qualsiasi coppia c’erano divergenze, e non ci si divideva per così poco.
In ogni caso, separarsi era inconcepibile. Paul sentiva già la mancanza di Anne ogni sera e ogni mattina. Talvolta gli mancava al punto di immaginarsi, durante le sue ore insonni, di saltare in macchina per correre a raggiungerla in piena notte. E quella era la vera ragione del suo soggiorno a Parigi, allontanarsi in modo da non soccombere alla tentazione. Non voleva arrivare alla villa con un sorriso mortificato, mentre Goliath abbaiava in cima alle scale e Jérôme ridacchiava dietro la porta della sua stanza. Anne avrebbe considerato il suo arrivo intempestivo come una resa e si sarebbe convinta che la questione fosse chiusa. Invece lui si sarebbe presentato solo per stringerla tra le braccia – per fare l’amore con lei, in realtà – e tutto sarebbe stato rimesso in discussione sin dal risveglio. Irrisolvibile.
Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e vide che su Parigi cadeva una pioggerellina sottile. Un tempo che andava d’accordo con il suo umore cupo. Rifugiarsi in un museo fu la sola idea che gli venne in mente per occupare la giornata.
Gauthier ed Estelle camminavano sulla sabbia mano nella mano. La loro passeggiata mattutina lungo l’oceano era un rito immutabile che avevano iniziato dopo essere andati in pensione. Ovviamente, d’estate Biarritz era invasa dai vacanzieri, ma la cosa non li disturbava, a loro piaceva osservare i bambini che giocavano sulla spiaggia, i bagnanti che saltavano in mezzo ai cavalloni tra urli di gioia e di paura. L’inverno era più tranquillo e talvolta la scarpinata del mattino avveniva tra le folate di un vento gelido, ma per niente al mondo se ne sarebbero privati.
Le abitudini li rassicuravano, ricordando loro i tempi in cui insegnavano nel corso di giornate scandite dalle ore di lezione. Adesso si godevano la pensione e, in teoria, non mancava loro niente. Ma dalla morte di Ariane, Estelle era rosa dal dubbio. L’eredità imprevista di cui Anne aveva beneficiato la amareggiava sempre di più. Perché quella fortuna era capitata alla loro figlia minore? In quella scelta c’era qualcosa di ingiusto, che la urtava. Forse avrebbe dovuto trattare sua cognata con maggior riguardo. Per tanti anni non aveva mai pensato a lei, dando per scontato che Ariane fosse una donna scontrosa e mezza matta, rinchiusa in quella vecchia villa riacquistata per capriccio. Gauthier non aveva alcun affetto per lei, anche se a volte aveva suggerito di andare a trovarla. Occupandosi un po’ di lei, di certo non le sarebbe venuto in mente di fare quel ridicolo testamento che sembrava soltanto una vendetta contro il fratello. A dire il vero, però, prima della sua morte, nessuno immaginava il valore della villa, perché nessuno si era dato la pena di pensarci. Gauthier, che ci era nato, la considerava una baracca, «la mania di grandezza» di un’altra epoca. E poiché Ariane non aveva i mezzi per finanziare dei lavori di ristrutturazione, la casa stava andando a pezzi. Ebbene, baracca o meno, valeva un sacco di soldi! E Anne, incapricciata da quell’incredibile colpo di fortuna, aveva scelto di andarci ad abitare invece di venderla, a costo di far arrabbiare il marito. Che cosa le era successo per comportarsi con così poco criterio? Già da bambina era imprevedibile. Le sue bravate divertivano Gauthier, ma esasperavano Estelle. Quante volte aveva suggerito alla figlia minore di prendere come modello la sorella maggiore? Lily la deliziava con la sua docilità e i suoi sorrisi. Anne accusava la sorella di ipocrisia, incapace com’era di restare tranquilla. Gauthier giustificava Anne dicendo che era spontanea, cosa a cui Estelle non credeva. Tuttavia, nonostante le sue preferenze, cercava di non fare nessuna differenza tra le due figlie.
Quando Lily aveva sposato Éric, Estelle era stata orgogliosa di quella scelta, che faceva della figlia maggiore una persona di spicco. Hossegor non era lontana da Biarritz, tutto andava per il meglio, ed era stata felice di essere diventata presto nonna di due nipotine. Il matrimonio di Anne con Paul, invece, l’aveva coinvolta di meno. Castets era un paesino di soli duemila abitanti, sperduto nell’entroterra, e il mestiere di veterinario del suo nuovo genero non le interessava, perché non aveva mai avuto degli animali domestici. Anne aveva invocato un gatto o un cane per tutta la sua infanzia, senza capire che sua madre non poteva accettare quell’aggiunta di lavoro. E quando Anne non voleva capire, si mostrava tremendamente testarda. Ancora oggi, si ostinava, ignorando il buon senso, e Gauthier continuava a scusarla.
«Come sei pensierosa, mia cara», osservò suo marito quando arrivarono in fondo alla spiaggia.
Proprio in quel momento, Estelle si storse una caviglia nella sabbia, rischiando di cadere.
«Stavo pensando al povero Paul, che si starà annoiando a Parigi.»
Gauthier la fece sedere.
«Perché annoiando?» ribatté. «Ne approfitterà per vedere i suoi genitori e per distrarsi un po’.»
«È infelice, è così chiaro.»
Estelle prendeva le difese di Paul solo per sottolineare l’atteggiamento assurdo della loro figlia.
«Anne non si rende conto. Ha tutto! Un marito innamorato, un figlio adorabile, un lavoro, una bella casa dove le piaceva vivere prima che tutta questa storia le facesse perdere la testa. Tua sorella le ha fatto un regalo avvelenato che le sta rovinando la vita!»
Suo marito la fissò con curiosità, sorpreso dalla sua veemenza.
«Ma no», replicò in tono rassicurante. «Le cose si sistemeranno. Che vadano a stare nella villa o che la vendano, ci guadagneranno comunque.»
«Tu fai di tutta l’erba un fascio, mentre Anne no. Lei vuole una cosa, Paul un’altra. Lei decide, risolve… Se lui volesse, potrebbe accusarla di aver abbandonato il tetto coniugale.»
«Ma non ne ha l’intenzione, mia cara. Paul ama Anne.»
«Sicuramente, ma anche lui ha il suo carattere e non accetterà i giochetti di Anne. Pensiamo sempre che Paul sia perfetto, ma sono certa che potrebbe ribellarsi.»
«Vedremo…» sospirò Gauthier.
Poco abituato a essere contraddetto dalla moglie, non aveva molta voglia di discutere. Si sedette accanto a lei sulla sabbia e rivolse lo sguardo all’oceano per osservare i bagnanti.
«Odiavo quella casa da bambino», mormorò dopo un po’. «Mi faceva paura, mi ci sentivo perso, sono stato contento di lasciarla. Al contrario, Ariane ne ha sofferto molto, aveva la sensazione di essere cacciata via. Aveva giurato di tornarci e ha mantenuto la parola. Alla fine, è morta laggiù, al riparo di quelle che chiamava “le sue mura”. Non capivo la sua ossessione, ma non la giudico, ognuno sceglie la sua strada. È possibile che anche Anne si sia innamorata di quel posto. Perché no?»
«Lo hai appena detto», s’innervosì Estelle, «sono solo dei muri!»
Con lo sguardo sempre rivolto all’orizzonte, Gauthier non rispose. Non aveva parlato di denaro, voleva soltanto giustificare Anne e, per convincerlo, Estelle avrebbe dovuto attaccare da un’altra direzione.
«Quando vedo in che situazione si trova Valère… Sempre lì ad angosciarsi, a correre dietro ai soldi anche se Suki si ammazza di lavoro! E Jérôme? Ti rendi conto che, con un piccolo capitale, avrebbe potuto avviare un’attività?»
«Jérôme, figurati! Avrebbe sprecato tutto e si sarebbe ritrovato al punto di partenza.»
Gauthier faceva fatica ad ammettere che il minore dei loro figli non avesse combinato niente nella sua vita. Le sue rare apparizioni erano sempre misteriose, non si sapeva mai da dove venisse o dove andasse.
«Tutto quello che gli abbiamo dato finora non è servito a niente.»
«Ma ogni volta era solo un’elemosina, Gauthier.»
«Tu dici? Gli altri se la sono cavata senza che dovessimo aiutarli fin dopo i trent’anni. Abbiamo il diritto di tirare il fiato.»
«Esatto, proprio così…»
«Non ricominciare, Estelle. Non avremo il denaro di Ariane, fattene una ragione.»
Il tono di voce tradiva il suo nervosismo e, forse, un po’ di risentimento. Per l’insistenza della moglie o per quel dannato testamento che seminava zizzania? Estelle preferì lasciar perdere l’argomento, ma gliene avrebbe riparlato presto. Dopotutto, erano sempre stati una famiglia unita e adesso rischiavano di mettersi gli uni contro gli altri a causa di Anne.
Mi ha sempre creato dei problemi, dei fastidi, ma questo è il colmo!
Ignorando la mano tesa del marito, che si era alzato, Estelle riuscì a rimettersi in piedi da sola. La passeggiata era rovinata e la caviglia le faceva male. Di pessimo umore, voltò le spalle all’oceano.
Anne controllò in fretta la colonna di cifre e archiviò il file. Per una volta, non si trattava del bilancio mensile di un cliente, ma del suo, e le uscite superavano ampiamente le entrate. Doveva fare attenzione se non voleva essere obbligata a chiamare Paul in suo aiuto. Non avevano mai avuto un conto comune, ma lei usava una delle carte di credito di Paul per le spese di casa. Trasferendosi nella villa, aveva deliberatamente lasciato a Castets quella carta e usava soltanto la sua.
Come sfondo sullo schermo del computer, Léo le aveva messo una foto di Goliath che correva lungo il sentiero, con i raggi del sole che s’irradiavano attraverso i pini. Si voltò e vide il cane sdraiato nel suo solito posto, accanto allo scrittoio. Ovunque andasse, lui la seguiva come un’ombra, una presenza rassicurante e tranquillizzante. Si era legato a lei velocemente, pieno di buona volontà, e se a Castets era sembrato triste e spaesato, lì era a casa sua.
«È proprio così», mormorò, «siamo a casa nostra, ragazzone…»
A ogni giorno che passava, Anne si sentiva sempre più attaccata alla villa. Amava attardarsi sul corridoio del primo piano, fermarsi accanto a una finestra per osservare il paesaggio sul retro della casa, le piaceva salire e scendere la grande scalinata, adorava le persiane interne che d’inverno le avrebbero permesso di tapparsi in casa, apprezzava quella stanza luminosa e accogliente che Ariane aveva preparato per lei. Perché ora non aveva più nessun dubbio in merito, la zia aveva previsto tutto quello che sarebbe successo dopo la sua morte. La camera, per quanto bene arredata, non sarebbe bastata a trattenere Anne se lei non avesse avuto voglia, dentro di sé, di venire ad abitarci per un po’. E le settimane rischiavano di trasformarsi in mesi e poi in anni. Il pensiero di tornare a Castets le risultava già sgradevole e avrebbe finito per diventare inconcepibile.
Jérôme spalancò la porta all’improvviso, facendo ringhiare Goliath.
«I nostri genitori hanno deciso di autoinvitarsi a pranzo!» annunciò con una smorfia molto espressiva. «Secondo me, muoiono semplicemente dalla curiosità, ma verranno domani portando tutto il necessario.»
«Domani Léo parte per la Spagna, la madre di Charles passerà a prenderlo tra poco.»
«È proprio quello che mi fa pensare che non sarà una piccola riunione di famiglia. Mamma mi ha chiamato con la sua voce da maestra che legge un dettato: “Ab-bia-mo vo-glia di ab-brac-ciar-vi, di’ a tua so-rel-la che non do-vrà oc-cu-par-si di nien-te”.»
La imitò così bene che Anne scoppiò a ridere. Alla fine, Jérôme era dalla sua parte, contento di avere un tetto sulla testa, complice, non le chiedeva niente, si rendeva utile e la faceva ridere.
«Spero tu abbia finito di tinteggiare la cucina. Sarebbe meglio non ricevere i nostri genitori in un cantiere.»
«Ora di stasera si sarà asciugata e domattina rimetterò tutto a posto. Ti ho fatto una reggia!»
Di nuovo, la battuta la divertì. La villa non avrebbe sicuramente mai ritrovato lo splendore di un tempo, ma non con Jérôme come unico operaio.
«Scendo a dare un’occhiata», decise.
La visita inaspettata dei suoi genitori la metteva a disagio. Forse sua madre era davvero spinta dalla curiosità, ma non solo nei riguardi della casa. Le avrebbe fatto delle domande su Paul e sul suo viaggio a Parigi. In ogni caso, Anne non aveva niente da dire, visto che Paul non dava segni di vita. La cosa la rattristava, ma era determinata a non fare il primo passo. Se lui pensava di punirla con il suo silenzio, si sbagliava. Era partito da solo per le vacanze, e le teneva il muso: che se la sbrigasse per conto suo! Anne continuava a rifiutarsi di sentirsi in colpa e non sarebbe tornata all’ovile a testa bassa.
Si alzò per seguire Jérôme, e Goliath le andò dietro.
La parlantina e il carisma di Hugues divertivano Valère. In tutte le case in vendita in cui si erano recati negli ultimi due giorni per scattare delle foto, i proprietari avevano ricevuto l’agente immobiliare come un amico. E mentre Hugues accettava il caffè o il bicchiere di vino che gli veniva sempre offerto, Valère immortalava le facciate e i giardini dalle angolazioni migliori. Tra una visita e l’altra, discutevano animatamente in auto.
«Grazie a una bella foto, la gente comincia a sognare, a fare progetti», dichiarò Hugues. «Si vedono abitare lì, sono presi all’amo.»
«E quando scoprono la realtà?»
«È troppo tardi, si sono già fatti un’idea. Però non ti chiedo di ritoccare le foto, ma solo di mostrare il lato più seducente.»
«Penso di aver colto le atmosfere o le luci particolari, dovresti essere soddisfatto.»
Valère lo diceva senza presunzione, consapevole di avere del talento. E il lavoro svolto con Hugues era un cambiamento rispetto alle solite foto per matrimoni o battesimi di cui era stanco.
«Riesci a venderle in fretta le case per cui ricevi l’incarico?»
«Dipende. Anche qui è arrivata la crisi, ma non per gli immobili di fascia alta. Le Landes restano una regione apprezzata grazie alle sue spiagge immense, alle dune, alle pinete e agli stagni. Le stazioni balneari sono graziose, si possono praticare tutti gli sport acquatici e beneficiamo di un buon clima. Perciò, ci sono sempre degli acquirenti! Però bisogna studiare bene i mercati. Biarritz e Dax non hanno la stessa clientela, che si differenzia tra prime e seconde case. Dato che la concorrenza è tanta, mi sono specializzato nelle case di lusso. Ecco perché sto alle calcagna di tua sorella, la sua villa è davvero interessante. Anche tua sorella, a dire il vero…»
Valère gli lanciò un’occhiata stupita.
«Sì, lo so, è sposata, ho intravisto il fortunato», Hugues si affrettò a precisare, con aria falsamente mortificata. «È uno dei due veterinari di Castets, giusto? Vedi, nel mio mestiere si deve essere al corrente di tutto. Comunque, sposata o meno, è una gran bella donna. E sembra avere carattere, il che mi piace! Ma stai tranquillo, non corteggio le donne sposate.»
«Meglio così, ti manderebbe a quel paese. Mia sorella adora Paul, anche se in questo periodo…»
Ritenne superfluo finire la frase. A suo avviso, Hugues non aveva nessuna possibilità con Anne, qualsiasi cosa fosse successa. O forse, sarebbe stato un modo per vendicarsi della reazione eccessiva di Paul.
«Comunque, quella villa è davvero magnifica», riprese Hugues. «Non se ne vedono spesso proprietà del genere, con così tanto terreno, perché è stato tutto lottizzato da anni.»
«Immagino che tu abbia un’idea del suo valore», si arrischiò a chiedere Valère.
«Sì, abbastanza precisa. Vuoi saperla? Ebbene… un sacco di soldi! Ascolta, non credo che a tua sorella farebbe piacere che gridassi delle cifre ai quattro venti. E poi, è tutto teorico, perché poi bisogna trovare l’acquirente. In ogni caso, per averla ricevuta in eredità, è stata fortunata. È in grado di pagare la successione?»
Con furbizia, Hugues cercava informazioni invece di rispondere, e Valère ne sapeva quanto prima.
«Penso di sì», borbottò,
«E ci si trasferirà per sempre con la sua famigliola?»
«Paul non ne ha molta voglia.»
Subito dopo averle pronunciate, Valère si pentì di quelle parole. Aveva appena fornito a Hugues un’arma a doppio taglio. Sia che Anne rinunciasse a vivere nella villa e Hugues continuasse a sperare nella vendita, sia che sua sorella si intestardisse, litigando con suo marito, e Hugues cogliesse al volo l’occasione, dato che non aveva nascosto il suo interesse per lei, in entrambi i casi l’agente avrebbe potuto continuare a coprire Anne di premure. Pensieroso, Valère si chiese se non si stesse facendo manipolare. Hugues aveva davvero bisogno di quelle foto o erano solo un mezzo per intromettersi ulteriormente e raggiungere i propri scopi? Un uomo come lui sembrava troppo scaltro per giocare su un solo tavolo, aveva preso due piccioni con una fava. E ora Valère gli era debitore, dato che i soldi per quel lavoro era importante per lui.
Si appoggiò comodamente allo schienale del sedile. Hugues guidava veloce ma senza strappi, il viaggio era piacevole. Quella sera avrebbe preparato le prime stampe, poi avrebbe portato Suki al ristorante. Per un istante, si domandò che cosa significasse «un sacco di soldi» in termini concreti. Poi gli venne l’idea di scattare delle foto anche a villa Nogaro. Non si poteva mai sapere. Poteva darsi che alla fine qualcuno ne avesse bisogno.