2.

 

 

 

 

 

 

 

Dato che nessuno aveva avanzato qualche proposta, Anne aveva deciso che, dopo il funerale, si sarebbero potuti riunire tutti a casa sua. Separarsi all’uscita del cimitero le sembrava davvero triste, era come voler dimenticare subito Ariane.

La casa era troppo piccola per la famiglia al completo, ma Anne aveva preparato tutto la mattina stessa, spostando i mobili e spingendo il tavolo contro il muro in modo che facesse da buffet. Ad attenderli c’erano un piatto di salumi, un altro di formaggi, due torte al limone e qualche bottiglia di vino.

Com’era prevedibile, in chiesa si moriva di freddo, sul cimitero si era abbattuto un acquazzone ed erano tutti intirizziti. In più, Anne era arrabbiata per il modesto funerale che suo padre aveva organizzato per la sorella. Una rapida benedizione, una bara mediocre, una corona di fiori alquanto striminzita, come se non si dovesse spendere troppo denaro per l’ultimo omaggio alla vecchia pazza.

Insieme alla famiglia aveva invitato il notaio, Pierre Laborde, perché era stato un grande amico di Ariane – forse l’unico – e perché aveva fatto lo sforzo di arrivare da Dax per le esequie.

«Pensi di tenere quel mostro?»

La domanda veniva da sua madre, Estelle, e riguardava il povero Goliath.

«Secondo te avrei dovuto lasciarlo alla villa?» replicò Anne in tono aspro. «Sareste capaci di venderlo insieme ai muri!»

«Certo che no. Ma insomma, tuo marito conosce di certo qualcuno, tra i suoi clienti, che potrebbe adottarlo.»

Il cane si era raggomitolato sotto la scrivania di Anne, in un angolo del soggiorno. La testa posata su una zampa, sembrava indifferente a tutta quella agitazione. La sera della morte di Ariane, Anne e Paul ne avevano parlato e avevano deciso di portare Goliath con loro, ritenendo impossibile abbandonarlo lì.

«Ti si addice questo cane, è pittoresco!» esclamò Lily, la sorella di Anne.

«Non incoraggiarla, è abbastanza pazza da tenerlo», ironizzò la madre.

«Oh, smettetela!» esplose Anne. «Prima la pazza era Ariane, e adesso sarei io?»

Sentendo aria di tempesta, Paul corse subito in soccorso della moglie.

«Che cosa le andrebbe di bere Estelle per scaldarsi?» le domandò con un sorriso disarmante.

Condusse la suocera verso il tavolo e le servì un bicchiere di vino. Sollevata, Anne si avvicinò al notaio, che era solo nel suo angolino, l’aria triste.

«Ci mancherà», gli bisbigliò.

«Molto! La conoscevo da così tanto tempo… Una persona fuori dal comune.» Osservò Anne per qualche istante prima di aggiungere: «Tra pochi giorni la convocherò in studio. Anne ha lasciato un testamento».

«Ah sì?» disse la giovane donna. «Ebbene, spero che abbia lasciato la casa alla Protezione animali!»

«Le piacerebbe?» le chiese con un lieve sorriso.

«Diciamo che sono un po’… rattristata dall’indifferenza della mia famiglia. Nessuno ha versato una lacrima, nessuno si è commosso.»

«Non era una donna facile», le ricordò il notaio. «Né molto socievole, negli ultimi anni.»

«Non mi sembra. Mi raccontava un sacco di cose, ridevamo insieme. Grazie a lei, ho imparato molto sui Nogaro, e anche sulle Landes. Era davvero interessante!»

Di nuovo, l’uomo la scrutò con un’attenzione quasi imbarazzante.

«Ariane le voleva bene, Anne», finì per dirle, tendendole la mano. «A presto, e grazie dell’invito.»

Si eclissò con discrezione, lasciando la giovane donna perplessa. E così, Ariane aveva fatto testamento? Forse lei avrebbe avuto diritto agli album di foto che, in ogni caso, non interessavano a nessuno, ma non si faceva nessuna illusione sul destino della casa. Suo padre, il probabile erede, se ne sarebbe sbarazzato il più in fretta possibile.

Cercò i suoi genitori con lo sguardo e li vide chiacchierare con suo marito. Poco prima, Paul aveva colto la sua esasperazione e aveva fatto in modo di distendere l’atmosfera. Dato che i genitori di Paul avevano scelto di andare a vivere a Parigi, li vedeva raramente e aveva adottato quelli di Anne, ma ne conosceva i difetti e supportava la moglie in ogni circostanza.

Un gran sospiro, alle sue spalle, la fece voltare. Goliath, sempre raggomitolato sotto la scrivania, la fissava.

«Non preoccuparti», gli mormorò chinandosi su di lui per accarezzarlo.

Ovvio che l’avrebbe tenuto! Né sua sorella né i suoi fratelli avevano degli animali, e non ne avevano avuti nemmeno quando era piccoli. Gauthier ed Estelle ritenevano che crescere quattro figli rappresentasse un compito sufficiente senza aggiungervi l’obbligo di un cane o di un gatto. Per tutta la sua infanzia, Anne ne aveva chiesto uno inutilmente. Perciò, non appena sposati, Paul le aveva regalato un adorabile labrador che era morto l’anno prima, con grande disperazione di Léo.

«Mi dispiace se ti sei sentita attaccata, volevo solo scherzare.»

Sua sorella Lily l’aveva raggiunta, rivolgendole un sorriso. Era una florida quarantenne con una decina di chili di troppo, ma un viso privo di rughe. Essendo la primogenita, i loro genitori l’avevano pomposamente chiamata Élisabeth, che non era servito a niente perché, da sempre, usavano il diminutivo Lily. Aveva sposato un dentista e viveva a Hossegor, dove si trovava bene nonostante l’adolescenza tumultuosa delle due figlie. Anne sospettava che, di tanto in tanto, avesse avuto qualche breve avventura, tuttavia non ne avevano mai parlato apertamente. I sei anni di differenza che le dividevano non le avevano rese complici da bambine e, con l’età adulta, non era cambiato niente.

«La morte di Ariane ti ha davvero colpito? Avevi l’aria sconvolta al cimitero… Io, a essere sincera, la trovavo un po’ matta e neanche tanto divertente. Però non la conoscevo bene, non la vedevo mai. In quella grande casa in mezzo alla foresta, anche no, grazie!»

«Abiti a soli cinquanta chilometri di distanza», le fece notare Anne.

«Avevo altro da fare, che tu ci creda o meno. Perché io non ho spedito le mie figlie in collegio, io ce le ho sul groppone.»

«Léo ha deciso da solo di andare in collegio, non ce l’ho “spedito”.»

«Sì, in ogni caso, sei tranquilla, hai del tempo libero. E un marito sempre molto disponibile! Nel mio caso, Éric non fa che invitare gente a casa e vuole che sia tutto perfetto. In più, non ha per niente pazienza con le sue figlie. Ti assicuro che ho mille problemi al giorno da gestire.»

A parte il fatto che non lavorava. Una volta che le ragazze erano a scuola e il marito nel suo studio, lei faceva quello che voleva delle sue giornate e non era sommersa d’impegni, contrariamente a quanto affermava. Anne si chiese se, in fondo, sua sorella non si annoiasse e se, per questo motivo, non cercasse di distrarsi in un altro modo. Una volta l’aveva beccata sulla spiaggia di Saint-Girons in compagnia di uno sconosciuto. Saggiamente, non si era avvicinata, ma da allora aveva cominciato a farsi delle domande a proposito della sorella maggiore.

«Le tue figlie non sono venute», osservò con una punta di delusione che fece scattare Lily.

«I funerali non sono fatti per la gioventù! Si ricordano a malapena di quella lontana prozia che avranno visto un paio di volte in vita loro. E poi, se non altro, oggi non le ho tra i piedi…»

Léo era presente, Anne era andata a prenderlo la sera prima. Lo avrebbe riaccompagnato in collegio la mattina dopo, ma riteneva giusto che suo figlio rendesse un ultimo omaggio ad Ariane, un membro della sua famiglia.

«Senti, cara, penso sia ora di rientrare!» dichiarò Éric, comparendo al loro fianco.

Aveva cominciato a perdere i capelli qualche anno prima e adesso era quasi del tutto calvo. Anne lo trovava più simpatico del ritratto che ne faceva Lily, e sapeva che lavorava come un pazzo per garantire una vita agiata a moglie e figlie.

«Grazie di averci accolto in casa tua», disse ad Anne. «Ho fissato una data con Paul perché veniate a cena da noi.»

Lily alzò gli occhi al cielo prima di abbracciare la sorella.

«Hai visto?» le bisbigliò all’orecchio. «Invita gente in continuazione senza consultarmi.»

Anne abbozzò un sorriso, divertita all’idea di essere semplicemente della «gente» per la sorella, poi si diresse verso i genitori, che aveva un po’ trascurato dopo lo sgradevole commento su Goliath.

«Che giornataccia, eh?» esordì suo padre prendendola per le spalle. «Si direbbe che ai funerali piova sempre di proposito. Ti sei scaldata, tesoro?»

Al cimitero, vedendola tanto triste, le aveva dato delle pacche sulla schiena nel tentativo di un gesto affettuoso, lui che era così poco espansivo.

«Povera Ariane», aggiunse, «che sensazione strana…»

Un’orazione funebre un po’ breve per i gusti di Anne, ma non disse nulla.

«Immagino che mi ritroverò la sua stamberga tra i piedi», riprese, con aria preoccupata. «E non sarà facile sbarazzarsene, i compratori non faranno a gara tra di loro! Per prima cosa, è in pessimo stato, poi è troppo grande, troppo difficile da riscaldare, troppo isolata.»

«È la casa della tua infanzia», azzardò Anne.

«Sì, ma ho pochissimi ricordi e non la rimpiangerò. Che idea ha avuto Ariane di riacquistarla! Era comunque una donna un po’…»

Non pronunciò la parola, ma si portò un indice alla tempia in un gesto molto eloquente.

«La sua vita rimane un mistero per me. Ha vissuto in un turbine di lusso e frivolezze, ma non ha mai saputo fare niente. Quanto ai suoi ultimi anni trascorsi sepolta in quella villa, senza vedere nessuno, raschiando il fondo del barile, va oltre la mia comprensione. Avrebbe potuto vivere meglio l’ultima parte della sua esistenza.»

«Dici? A lei piaceva vivere a casa sua, secondo me lì era felice.»

Suo padre si strinse nelle spalle, per niente convinto. Per lui, come gli piaceva ripetere spesso, la vita era iniziata all’età di undici anni arrivando a Biarritz, e non si era mai guardato indietro. Le stramberie della sorella maggiore non lo riguardavano.

«Basta parlare della zia Ariane», intervenne Valère, il fratello di Anne, che fino a quel momento non aveva aperto bocca.

A trentotto anni, Valère conservava tutto il suo fascino. Era da sempre il cocco della madre, oltre che amico di gioventù di Paul. Non molto alto ma atletico, abbronzato sei mesi all’anno, aveva gli stessi occhi verdi dalle pagliuzze dorate di Anne, così come un sorriso irresistibile di cui si serviva spesso. Dopo aver collezionato una serie di conquiste tra i diciotto e i trent’anni, aveva d’un tratto messo giudizio dopo aver incontrato quella che sarebbe diventata sua moglie, una deliziosa giapponesina di nome Suki. Sposati da cinque anni, stavano cercando disperatamente di avere un bambino. Vivevano a Dax, dove Suki gestiva uno straordinario negozio di fiori mentre Valère era un fotografo libero professionista. Appassionato di foto sin dall’infanzia, viveva con un apparecchio fotografico sempre in mano o in tasca. Dopo il diploma professionale, aveva studiato tre anni a Tolosa, poi si era buttato nella professione, sperimentando tutte le sfaccettature di quel mestiere. Alla fine, aveva deciso di lavorare come freelance, talvolta collaborando con dei giornali, altre realizzando dei reportage su un preciso avvenimento. Per guadagnarsi da vivere, gli capitava di occuparsi delle foto di un matrimonio o di fare dei ritratti, ma non era la sua attività preferita.

«Guarda qua», disse ad Anne.

Le mise sotto gli occhi la sua macchina fotografica digitale e fece scorrere una decina di foto di Goliath.

«Ho dovuto usare lo zoom perché non si è lasciato avvicinare. Ma lo trovavo commovente, accoccolato sotto quella scrivania… Ha un muso incredibile, sembra un grizzli! Di che razza è?»

«Difficile a dirsi», rispose Paul. «Secondo me è un incrocio tra un pastore della Beauce e un terranova. Ariane non ha mai spiegato come se l’era procurato. Per fortuna aveva dello spazio per giocare intorno alla casa, ed è anche abbastanza tranquillo.»

In ogni caso, Paul aveva chiesto a Léo di non toccarlo per il momento.

«Ce ne andiamo», disse Suki ad Anne. «Questa sera aspetto una consegna di fiori e abbiamo un po’ di strada da fare.»

Anne fu dispiaciuta della loro partenza. Voleva molto bene a suo fratello Valère e le occasioni per riunirsi non erano così frequenti. Quel giorno, l’unico a mancare all’appello era stato l’altro fratello, Jérôme, il più piccolo. Questi però si era trasferito lontano dalle Landes e si limitava a inviare delle laconiche cartoline dai quattro angoli del pianeta. In famiglia nessuno sapeva bene che cosa facesse nella vita, a parte viaggiare. Ribelle sin dall’infanzia, aveva sempre detto che una volta maggiorenne sarebbe partito all’avventura, ed era stato di parola. Ma che genere di avventure? Refrattario agli studi, ai sistemi, a qualsiasi forma di autorità, era per altri versi un ragazzo molto gentile.

«E così, siamo rimasti tra noi», constatò Gauthier.

Paul rimise le poltrone al suo posto perché fossero più comodi. Si era fatto buio, la giornata stava per concludersi, Léo si appollaiò su un bracciolo del divano, proprio accanto ad Anne, che gli sorrise.

«Dato che sei il parente più prossimo di Ariane», cominciò Estelle, rivolta a Gauthier, «immagino che il notaio ti contatterà.»

«È probabile. Spero solo che mia sorella non avesse accumulato troppi debiti.»

«In tal caso», intervenne Anne, «potrai sempre rifiutare. Quando il passivo supera l’attivo…»

«Tu e i tuoi numeri!» esclamò il padre divertito. «In ogni caso, non preoccupatevi, se dovessi avere una bella sorpresa, ognuno di voi avrà diritto a qualcosa.»

Aveva già cominciato a fare le suddivisioni? Anne pensò alla villa di Ariane che veniva svuotata, il cartello VENDESI sulla facciata, i mobili e gli oggetti buttati via, regalati, spediti a una casa d’aste. Tutto l’universo che Ariane si era impegnata a ricostruire saccheggiato. Colta da un brivido, alzò lo sguardo su Paul e si accorse che il marito la stava osservando. Lesse in quegli occhi la sua solita tenerezza, aveva senz’altro capito che sua moglie aveva bisogno di conforto.

«E se accendessi il camino?» suggerì lui. «Mi sa che sarà una delle ultime volte, pare che il bel tempo stia per arrivare.»

«Finalmente!» disse Estelle. «Erano anni che non avevamo un inverno così lungo e freddo.»

Come accadeva spesso, avrebbe cominciato a snocciolare un sacco di banalità. Anne non ricordava di aver mai sentito sua madre esprimere un’idea originale o personale. Si appiattiva sulle ovvietà per sfuggire alle critiche e alle discussioni, lasciando al marito il compito di avere un’opinione e di impegnarsi a difenderla.

Léo era andato ad aiutare il padre ad accendere il camino, approfittando dell’occasione per chiacchierare con lui sottovoce. Gli stava parlando del collegio? Del cane, al quale aveva lanciato delle frequenti occhiate e che avrebbe di sicuro voluto tenere anche lui? A dodici anni, Léo era quasi un adolescente, era al padre che ormai si sarebbe rivolto più volentieri. Una tappa normale della vita, ma Anne preferiva non pensarci. Il suo bambino affettuoso non avrebbe tardato a cambiare voce, ad aspettare con impazienza i primi peli della barba, a rifiutare i baci. Ancora una volta, si pentì di non avergli potuto dare una sorellina o un fratellino, ma dopo la sua nascita non era più rimasta incinta. Tra il tempo dedicato a prendere in esame il problema e quello a cercare dei consulti medici, gli anni erano passati. Di comune accordo con Paul, non aveva voluto iniziare un percorso di cure per aumentare la fertilità. Un figlio in perfetta salute era già un bel regalo dalla vita.

«Anne, non ascolti quando ti si parla!» la rimproverò Estelle.

«Cioè?»

«Parlavamo di Jérôme. Nel caso nel testamento di Ariane compariste tutti e quattro, in qualità di nipoti, dovremo scoprire dove si trova.»

«In base alle ultime notizie, era Londra.»

«Ti ha scritto?»

«Manda spesso delle cartoline.»

«Sei fortunata! Quindi sarebbe in Inghilterra? E che cosa fa?»

«Non ne ho nessuna idea. So solo che sta bene.»

Estelle si accigliò, mentre Anne reprimeva un sorriso. Se Jérôme preferiva scrivere a lei era perché da bambini erano stati abbastanza complici. Tra di loro c’era solo un anno di differenza e andavano d’accordo. Crescendo, Jérôme aveva finito per decretare che, in famiglia, l’unica persona divertente era Anne.

«Be’, basta con le supposizioni», decise Gauthier. «Vedremo chi sarà convocato da Pierre Laborde nel suo studio. Fino a quel momento, pensiamo ad altro.»

Smettere di pensare ad Ariane non sarebbe costato loro nessuno sforzo. Sepolta da due ore e già dimenticata!

«Da parte di papà», le disse Léo porgendole un bicchiere. «Dice che ne hai bisogno.»

Anne prese il bicchiere di Tursan fresco e lo sollevò alla salute di Paul. Quando i loro sguardi s’incrociarono, si sentì più serena.

 

Una settimana dopo, un caldo sole primaverile splendeva su Dax. Diverse persone passeggiavano lungo l’Adour, il cui percorso si snoda fino al parco del Bois-de-Boulogne. La stagione turistica non era ancora iniziata, ma gli ospiti delle terme erano numerosi, come sempre, perché la stazione termale restava aperta tutto l’anno.

Anne aveva fatto una sosta alla pasticceria Valmont, in rue des Carmes. Aveva bisogno di calmarsi e di riflettere, ma né il tè al gelsomino né le deliziose paste davanti a lei le davano il minimo conforto. La notizia l’aveva colta alla sprovvista. Molto sorpresa di essere la sola convocata nello studio di Pierre Laborde, ci si era recata con curiosità ma senza immaginare, nemmeno per un momento, che si sarebbe ritrovata unica erede di Ariane Nogaro. La villa nel bosco e tutto ciò che essa conteneva, così come il denaro sufficiente per coprire la tassa di successione: spettava tutto a lei. Suo padre non era nemmeno nominato nel testamento! Come avrebbe reagito scoprendo che sua sorella l’aveva ignorato, così come tutti gli altri membri della famiglia? E come l’avrebbero considerata d’ora in poi? L’avrebbero giudicata un’opportunista? I bei momenti trascorsi con Ariane sarebbero diventati sospetti?

Scoraggiata, addentò un pasticcino, masticando senza entusiasmo. In realtà, i dolci non le piacevano.

«Non essendo un’erede diretta, in quanto nipote, dovrà versare metà del patrimonio al fisco. Dopo avermi chiesto di stimare il valore della casa, Ariane aveva calcolato che, qualora lei lo avesse desiderato, sarebbe stata in grado di pagare i diritti di successione e tenerla. Ma lei è assolutamente libera di disfarsene.»

Pierre Laborde si era concesso il tempo di spiegarle tutto nei dettagli. Anne poteva scegliere: vendendo la casa, si sarebbe ritrovata con una somma di denaro insperata. Ma ne aveva bisogno? Paul guadagnava bene, lei stessa aveva delle entrate regolari con il suo lavoro di commercialista. Non erano né ricchi né poveri, tuttavia era fuori questione tenere la casa nel bosco per le vacanze! Affittarla? Nessuno avrebbe voluto isolarsi in quella enorme stamberga in cattivo stato. Trasformarla in un bed and breakfast? No, i lavori da fare sarebbero stati troppo costosi e avrebbe dovuto seguirli stando sul posto.

Per qualche istante, Anne lasciò libero corso alla fantasia, proiettandosi a villa Nogaro, immaginandosi di viverci con Paul, Léo… e Goliath. Impossibile, naturalmente. L’idea poteva sembrare allettante, ma priva di fondamento. Nelle sere d’inverno quel luogo faceva paura e… anche d’estate! Eppure Ariane ci aveva vissuto in assoluta tranquillità. Anne stessa si era sentita dire che le veniva voglia di cercare riparo tra quelle pareti.

Lasciando perdere il pasticcino che, in ogni caso, non la tentava, bevve due sorsi di tè, poi lasciò una banconota sotto il piattino. Come avrebbe fatto ad annunciare ai suoi genitori, a sua sorella e ai suoi fratelli, che era l’unica erede della «vecchia pazza»? Nel testamento, Ariane si era limitata a enumerare i suoi beni e a designare sua nipote Anne, senza alcuna frase di spiegazione sul resto della famiglia. Nessun rancore, nessun regolamento di conti, solo indifferenza. Però, a furia di essere disprezzata e trascurata dai suoi, Ariane aveva reso loro la pariglia a titolo postumo. Anne non doveva sentirsi in colpa per quel favoritismo, che non aveva cercato. Il suo interesse per la zia Ariane era stato autentico e niente di venale aveva motivato le sue visite. Non aveva mai sognato un lascito e, soprattutto, di usurpare il posto di suo padre. Perché, in fondo, era sempre stato chiaro a tutti, anche il giorno del funerale, che Gauthier sarebbe stato l’erede legittimo della sorella.

Sempre immersa nei suoi pensieri, Anne recuperò la sua utilitaria in un parcheggio del centro e lasciò Dax in direzione nord. Pierre Laborde le aveva generosamente proposto di chiamare lui stesso suo padre per informarlo delle disposizioni testamentarie di Ariane, ma Anne aveva rifiutato la sua offerta. Avrebbe affrontato le conseguenze di quello sconvolgimento nelle vite di tutti loro e, in ogni caso, voleva prima parlarne con Paul.

La strada per Castets era priva di traffico, tuttavia Anne guidava piano, sia per godersi il paesaggio che per continuare a riflettere. Malgrado qualche dissapore passeggero e gusti molti diversi, Anne era attaccata ai suoi genitori. La prospettiva di addolorarli o di ferire i loro sentimenti le appariva odiosa. Con la sua scelta, Ariane sembrava affermare che Anne era l’unica a meritare il suo affetto. Così come la sua casa, alla quale aveva dedicato tutta la sua esistenza. Ovviamente la villa nel bosco sarebbe stata condannata sin dall’inizio se fosse finita nelle mani di suo fratello Gauthier, e senz’altro Ariane doveva aver detestato quell’idea. Ma non imponeva alla nipote di tenerla o di rinunciare all’eredità. No, Ariane doveva aver ritenuto che Anne, se non altro, non avrebbe svenduto la casa in tutta fretta, non avrebbe buttato via tutto senza degnarlo di uno sguardo. Non aveva nessun altro a cui lasciare ciò che era stata la sua sola passione, e di certo nessuna voglia che fosse lo Stato a impossessarsene. E, ancora meno, quello «stupido di fratello».

Eppure, tutti quei motivi non avrebbero evitato l’acredine da parte della sua famiglia. Valère e Suki arrivavano a malapena a fine mese, fortemente indebitati per l’acquisto del negozio in cui Suki realizzava delle composizioni floreali magnifiche. Lily sarebbe stata invidiosa e non avrebbe mancato di trovare ingiusto che fosse sua sorella a ereditare. Quanto ai loro genitori… che cosa avrebbero pensato? Le loro due pensioni parevano bastargli, ma avrebbero di certo saputo come impiegare una somma caduta dal cielo. Era il principio di un’ipotetica vincita al lotto: ognuno conosceva in anticipo un ottimo modo per spenderla. A dire il vero, Anne li avrebbe avuti tutti alle calcagna nel momento in cui la notizia fosse stata diffusa. Tutti, tranne Paul. O, almeno, lo sperava! Le avrebbe naturalmente chiesto che cosa pensava di fare, e lei non ne aveva la minima idea.

All’improvviso, senza riflettere, decise di superare Castets e d’imboccare la strada verso la villa nel bosco invece di rientrare. Pur avendo restituito a suo padre il mazzo di chiavi di Ariane, possedeva sempre il suo, dimenticato in fondo alla borsa. Sbadataggine o dimenticanza, lo aveva tenuto, e adesso se ne sarebbe servita per fare, da sola, quella che avrebbe potuto essere la sua ultima visita.

Le stradine provinciali attraversavano le Landes in direzione dell’oceano. Ovunque, alberi, centinaia di migliaia di ettari di pini. Un paesaggio che si poteva trovare monotono o affascinante a seconda dell’umore, ma che suscitava una forte sensazione di solitudine perché non s’incrociava anima viva per diversi chilometri.

Anne deviò prima di Lit-et-Mixe, svoltando in una strada stretta che sembrava non condurre da nessuna parte. Quante volte l’aveva percorsa in quegli ultimi anni? Quasi ogni settimana telefonava ad Ariane e si accordavano su un pomeriggio. In quelle occasioni, lavorava di più al mattino, pranzava con un po’ di prosciutto per conservare l’appetito in previsione dei dolci che avrebbe comprato. Non era mai andata a trovare Ariane per senso del dovere, ancora meno per interesse, era solo un momento piacevole e insolito. La zia le raccontava la storia della famiglia, in particolare il capitolo riguardante la villa nel bosco. La sua costruzione risaliva al 1865, decisa dal bisnonno di Ariane, che voleva vivere nel cuore delle sue foreste. Tre generazioni di Nogaro, proprietari forestali, si erano dunque succedute, fino al fallimento. Ariane sosteneva che suo padre, che non era stato un buon amministratore, avesse affrettato la rovina. Da allora non si era più ripreso, uscendo anche un po’ di testa verso la fine della sua vita. L’ultimo ricordo che Ariane conservava di lui era quando aveva percorso al suo braccio tutta la navata centrale della chiesa, il giorno del suo matrimonio sfarzoso, un’unione che le avrebbe permesso di tornare tra «la gente che conta» e di abbandonare il suo ambiente senza rimpianto: «Ero egoista come lo si può essere a vent’anni, e con tanta fretta di ritrovare la mia vita di prima. Con il pensiero, chiuso in un angolino della mente, ma sempre presente, rivolto a questa casa che mi era stata confiscata e di cui ero determinata a riappropriarmi un giorno».

Emergendo dalla foresta, Anne sbucò nella radura e fermò l’auto a poca distanza dalla casa. Attraverso il parabrezza, la contemplò con rinnovato interesse, quasi con curiosità. La pietra bianchissima dei muri non aveva patito molto il clima marino che portava talvolta dall’oceano un vento carico di sale e di sabbia. Il tetto sembrava più o meno in buono stato, mentre gli infissi erano abbastanza malmessi. L’ampio portico sostenuto da travi a vista proteggeva la porta d’entrata e dava un certo stile alla facciata, proprio come le decorazioni di marmo utilizzate per incorniciare le finestre. L’assenza di persiane, dato che si trovavano all’interno, accentuava la sensazione di sobrietà, se non addirittura di austerità, della casa.

«È molto, molto bello…» mormorò Anne, pensierosa.

Scese dall’auto e cercò le chiavi in fondo alla borsa. Il sole stava sparendo dietro alle cime degli alberi, proiettando grandi ombre striate di bagliori arancioni. Con un tuffo al cuore, girò la chiave ed entrò senza chiudersi la porta alle spalle. L’arredamento, per quanto familiare, le sembrò nuovo mentre lasciava vagare lo sguardo per l’ampio atrio. Fuori, gli uccelli continuavano a cantare, ma tra quelle mura il silenzio aveva qualcosa di opprimente. Paul le aveva confessato di avere provato la stessa sensazione la sera della morte di Ariane.

Per abitudine, s’incamminò per il lungo corridoio che portava alla cucina, là dove passava a posare i dolci al suo arrivo. Poi, si metteva a cercare Ariane in giro per la casa, e Goliath le andava incontro. Quel giorno, tuttavia, non c’era più la zia e non c’era il cane, solo il rumore dei suoi passi sul pavimento, in una casa disabitata.

Gli oggetti si trovavano dove Anne li ricordava dopo l’intervento del medico e delle pompe funebri. Delle tazze sciacquate e capovolte sul gocciolatoio dell’acquaio insieme alle ciotole di Goliath, l’ultima rivista letta da Ariane abbandonata sul tavolo. Anne aprì il frigorifero e ne tolse il contenuto per buttarlo in un sacco dell’immondizia, poi ispezionò la dispensa che conteneva solo qualche conserva, due confezioni di pasta, delle minestre liofilizzate, un barattolo di marmellata. Ariane mangiava in modo frugale, con l’età era dimagrita.

«Quando vieni a trovarmi, qualche volta per cena mi scaldo una di quelle zuppe pronte.»

Rattristata, Anne uscì dalla cucina e percorse il pianterreno a caso prima di ritrovarsi ai piedi della scala. Con piglio deciso, salì al primo piano, ignorando una vaga apprensione che non aveva ragione di essere. Se lo spirito di Ariane abitava quei luoghi, doveva per forza essere uno spirito benevolo.

Una dopo l’altra, Anne aprì le porte di tutte le stanze. Ce n’erano sei, di cui tre completamente vuote. In queste ultime, la vecchia tappezzeria si stava staccando dalle pareti nonostante l’ottima qualità, e i parquet a spina di pesce erano ricoperti di polvere e insetti morti. Per quanto riguardava le altre tre, una era la stanza di Ariane, zeppa di mobili, suppellettili e incisioni, nella quale sembrava aver ammassato tutti i suoi ricordi. Quella di fianco le era servita da studio, Anne se ne ricordava perché era lì che si trovavano gli album di foto così spesso sfogliati, e i mobili erano pezzi raccattati qua e là. Infine, l’ultima, in cui aveva dato una sbirciatina una sola volta, e che si trovava in fondo al corridoio, era un bell’ambiente molto più illuminato degli altri grazie a tre grandi finestre. Stranamente, quel locale appariva ordinato e accogliente, come se fosse appena stato pulito. Due incantevoli quadri a pastello erano appesi sopra un cassettone tirato a lucido, il copriletto in piqué bianco era impreziosito da qualche cuscino dai colori vivaci, e un soffice tappeto soffocava il rumore dei passi. Lì tutto sembrava pulito e allegro, pronto ad accogliere un ospite atteso. Per chi Ariane aveva preparato la camera?

Anne ebbe l’improvvisa certezza che fosse per lei. Di certo non avrebbe trovato un bigliettino di benvenuto sotto il cuscino, ma… Ma nel caso in cui, per una ragione qualsiasi, avesse avuto bisogno o voglia di passare una notte nella villa nel bosco, per lei c’era il letto fatto. Lo verificò sollevando un angolo del copriletto, scoprendo delle lenzuola nuove. Una camera per gli ospiti sempre pronta non poteva essere stata una delle priorità di Ariane, che non riceveva mai nessuno. Inoltre, non aveva avuto il tempo di pensarsi morta, di anticipare la propria fine. Da quanto tempo la camera aspettava, pulita con regolarità?

Avvicinandosi a una delle finestre, le cui persiane interne erano chiuse, Anne si rese conto che i vetri non mostravano alcuna traccia di pioggia nonostante i numerosi temporali che si erano abbattuti per settimane. Immaginò Ariane su uno sgabello, uno strofinaccio in mano. Ariane con una scopa, con un barattolo di cera… Sembrava incredibile, eppure tutto l’insieme testimoniava una cura attenta. Una fantasia, un’ossessione, un principio di senilità?

Su uno dei comodini, accanto a un abat-jour nuovo di zecca, c’era un libro rilegato in pelle. Anne si avvicinò e vide che si trattava di Contes de la peur et de l’angoisse di Maupassant. Abbozzò un sorriso, divertita dalle idee strambe di Ariane. Quel libro le era stato destinato, al pari della stanza, come un’ultima strizzatina d’occhi della zia dall’aldilà?

Dei chiassosi colpi di clacson la fecero sussultare. Si precipitò a una delle finestre che si aprivano sulla facciata e scorse un furgone per le consegne a domicilio. Si affrettò verso le scale, che scese in tutta fretta per andare ad accogliere l’autista.

«La spesa!» urlò l’uomo, con una scatola tra le braccia.

«Solo un momento, per favore. La persona per cui ha effettuato la consegna è deceduta.»

«La signora Nogaro?»

L’autista spalancò gli occhi, incredulo, e finì per scuotere la testa mentre appoggiava lo scatolone a terra.

«Di solito passo da qui tutti i mesi, quando è successo?»

«Tre settimane fa. Un infarto.»

«Poveretta, era una signora gentile… Le portavo sempre le scatole in cucina e per ringraziarmi mi offriva un buon caffè. A essere sinceri, trovavo curioso che vivesse da sola in questo angolo sperduto, ma per fortuna aveva il suo cane. D’altronde, il grosso della consegna erano dei sacchi di croccantini belli pesanti! A proposito, che ne è stato di lui?»

«Del cane? È a casa mia.»

«Allora lei è la nipote? Senta, li vuole i croccantini? Ci sono anche tre bottiglie di bordeaux, dei succhi di frutta e qualche altra provvista. Però posso riportare tutto in negozio, non c’è problema. Come si suol dire, è un caso di forza maggiore, no?»

«No, tengo tutto», decise Anne. «Può mettermi le scatole nel baule dell’auto?»

Mentre l’uomo eseguiva, Anne prese il libretto degli assegni dalla borsa… Borsa che aveva tenuto appesa alla spalla senza appoggiarla da nessuna parte nella casa durante la visita, diversamente dal solito. Pagò la spesa, convenne con l’addetto alle consegne che non avrebbe più dovuto tornare, poi guardò il furgone lasciare la radura e scomparire in mezzo agli alberi. Si stava facendo notte, portando con sé una dolorosa sensazione di solitudine. Ancora una volta, Anne contemplò la facciata nella luce del crepuscolo. Non aveva più niente da fare lì, ma non aveva molta voglia di andare via. Se avesse deciso di vendere, le ci sarebbe voluto parecchio tempo per fare ordine negli affari di Ariane. Nelle stanze ammobiliate, gli armadi erano pieni e c’era un sacco di oggetti ai quali era legata una storia. Ariane li aveva datati ridendo: primo, secondo o terzo matrimonio. E poi la zia diceva che una vita avventurosa lasciava le sue tracce!

A passi lenti, Anne risalì i gradini del portico. Nonostante il silenzio e l’oscurità sempre più fitta, non si sentiva a disagio. Perché era venuta? Per prendere una decisione prima di discuterne con qualcuno? Non appena avesse annunciato che la casa nel bosco apparteneva a lei, passato lo stupore iniziale, sarebbe stato un diluvio di critiche e consigli.

Invece di chiudere la porta a chiave, entrò e accese la luce. D’accordo, l’illuminazione era scarsa, ma non le importava molto, ai suoi occhi l’ambiente restava famigliare, piacevole. Mancava solo la presenza rassicurante di Goliath. Se fosse tornata, l’avrebbe portato con sé, il cane sarebbe stato sicuramente felice di scorrazzare all’esterno dato che il minuscolo giardino di Castets avrebbe finito per renderlo nevrastenico. Di nuovo in cucina, recuperò il sacchetto della spazzatura; quindi, si guardò intorno un’ultima volta. Per il momento, le cose potevano restare così.

Mentre si sedeva dietro il volante, il cellulare si mise a squillare.

«Tesoro, ero preoccupato!» esclamò Paul non appena rispose. «Dove sei? Ancora a Dax?»

«No, ho fatto un salto a casa di Ariane. Per svuotare il frigo, nient’altro…»

«Avresti potuto chiamarmi, mi sono allarmato trovando la casa vuota.»

La sua voce conteneva una sfumatura di rimprovero che irritò Anne. Doveva forse restare a casa ad accoglierlo obbligatoriamente quando rientrava la sera?

«Non è così tardi. E Pierre Laborde mi ha trattenuto a lungo.»

«Che cosa voleva dirti?»

Ecco, sarebbe stata obbligata a dirgli tutto per telefono, quando avrebbe preferito discuterne con calma durante la cena.

«Sono l’unica erede di Ariane», si rassegnò a rivelargli.

«Cosa?»

«Mi ha lasciato tutti i suoi beni. La casa, e anche i soldi per la successione.»

«Incredibile… Tuo padre ne è al corrente?»

«Lo chiamerò domattina.»

«Non se lo aspetta, si offenderà.»

«Lo so, ma non posso farci niente!»

Perché si sentiva aggredita, già obbligata a difendersi?

«Che ne dici di tornare a casa?» le disse Paul gentilmente. «Immaginarti tutta sola laggiù a quest’ora mi provoca dei brividi lungo la schiena!»

«Stavo per partire, sono in macchina.»

«Sii prudente per strada, mentre ti aspetto preparo la cena.» Rassicurata dalla sua disponibilità, stava per dirgli che lo amava, come sempre alla fine delle loro conversazioni telefoniche, quando lui fece lo sbaglio di aggiungere: «E non angustiarti troppo, riusciremo a sbarazzarci di quella stamberga!»

Proprio quello che non aveva voglia di sentire. Se anche Paul dava per scontata la vendita della casa nel bosco, il resto della famiglia sarebbe stato ancora più bellicoso. Ma, dopotutto, come aveva tenuto a precisare il notaio, lei era libera di decidere. Libera di sognare un po’ prima che tutti cominciassero a ordinarle come doveva comportarsi.

«Arrivo», borbottò chiudendo la comunicazione.