7.
Lily aveva fatto preparare tutto per bene e la cena si era svolta in un’atmosfera allegra. Tuttavia, quando Éric portò la torta di compleanno, coperta da quarantuno candeline, lei fece una smorfia irritata.
«Non è più necessario precisare la mia età, caro!»
«Siamo in famiglia, la tua età non è un segreto per nessuno. E tu sei splendida…»
La baciò, prima di aiutarla a spegnere le candeline, mentre una delle loro figlie osservava che la cera era colata sulle fragole. L’altra ne approfittò per rivolgersi ad Anne, seduta di fronte a lei.
«Allora? La tua nuova casa?» domandò con voce fintamente innocente. «Léo dice che è fantastica!»
Il ragazzino fulminò la cugina con lo sguardo, ma lei lo ignorò.
«È molto piacevole», rispose tranquilla Anne, «soprattutto d’estate. Dovreste venirci tutti per una grigliata.»
Estelle alzò gli occhi al cielo, come se si trattasse di un invito del tutto sconveniente, ma Gauthier approvò.
«Ottima idea! Passeremo una domenica con voi, preparerò degli spiedini di pesce.»
Anne gli fece un sorriso riconoscente. Se non altro, suo padre non sembrava contro di lei, quando avrebbe potuto essere l’unico ad averne motivo. E non doveva sicuramente aver voglia di rimettere piede alla villa, eppure faceva buon viso a cattivo gioco. Guardandolo, Anne cercò di immaginare il bambino e poi il giovane maestro che Ariane evocava nel suo quaderno. Era impaziente di leggere il seguito, di sapere se, al funerale del padre, fratello e sorella si fossero riavvicinati.
«Torno subito», bisbigliò Suki, che era seduta di fianco a lei.
Pallidissima, la giovane donna si alzò in fretta e si eclissò. Un po’ preoccupata, Anne aspettò un paio di minuti prima di seguirla. Si diresse verso il bagno del pianterreno, che si trovava nel lato opposto della casa, e vide Suki uscire dalla stanza, l’espressione stravolta, gli occhi pieni di lacrime.
«Che succede? Ti senti male?»
Suki le si buttò tra le braccia, aggrappandosi a lei tra i singhiozzi.
«Un’altra delusione! Mio Dio, perché? Perché non ci riesco? Avevo otto giorni di ritardo ed ero quasi certa che… Ma no, è andata male anche stavolta, non aspetto un bambino.»
Si staccò, sfregandosi le guance con rabbia.
«Scusami, Anne, non dovrei infastidirti con queste cose.»
«Non m’infastidisci affatto, non essere sciocca.»
Anne la fece tornare in bagno e la guardò lavarsi le mani e poi rinfrescarsi il viso. Quando Suki rialzò la testa, si fissò allo specchio con una faccia disgustata.
«Non avremo mai un figlio», dichiarò con voce disperata. «Non sono capace!»
«Non puoi saperlo. Sii paziente.»
«Lo sono stata. Ma credo che abbiamo fatto il possibile.»
«E non avete mai pensato… all’adozione?»
«Non ancora. Sembra che sia complicato, un interminabile percorso di guerra e che si debba avere un background inattaccabile.»
Doveva già essersi informata ed era chiaro che ci stava pensando, anche se non ne aveva ancora parlato con Valère.
«Tu hai Léo», aggiunse. «E Lily le sue figlie. Non puoi immaginare fino a che punto vi invidi. In più, ho paura, mi dico che Valère si stuferà di aspettare.»
«Lui ti ama, Suki.»
«Con me voleva formare una famiglia. Ebbene, niente da fare! Sai, non mi ha nascosto niente del suo passato, di tutte le sue avventure, e ha detto che ero la prima donna nella quale vedeva la madre dei suoi figli. Una bella dichiarazione, no? E invece, non riesco a dargliene nemmeno uno perché il mio corpo non vuole. Merda!»
Si colpì con forza sul ventre e Anne le andò subito vicino.
«Non fare così!»
«Nel mio Paese, fino a poco tempo fa, una donna avrebbe fatto harakiri.»
«Per fortuna il mondo è cambiato. Io…»
«Ma che diavolo state facendo?» domandò Lily con voce acuta. «Potreste almeno venire a mangiare la mia torta di compleanno!»
Anne le lanciò un’occhiata furiosa, che Lily interpretò in modo sbagliato.
«Starvene per conto vostro in bagno, non è molto gentile nei miei confronti. Avete dei segreti? Anne ti ha detto che sta per lasciare suo marito? Non è un mistero per nessuno, mia cara!»
Sbalordita, Anne fece un passo verso la sorella.
«Ma sei matta? Dove sei andata a prendere un’idea simile?»
«In una coppia, dormire in stanze separate è decisamente un brutto segno. Figurati in case separate!»
Fece una risatina odiosa, quella che usava già, da ragazza, per deridere la sorella minore. I sei anni di differenza tra di loro le avevano sempre conferito una sorta di superiorità, tranne che adesso Lily si rifiutava di dire quanti anni aveva.
«Tu non hai capito niente», sospirò Anne.
La mollò lì, abbandonando Suki al suo dolore, ma non voleva litigare con la sorella il giorno del suo compleanno. E, soprattutto, non per via di Paul. Certo, le cose tra loro non andavano benissimo, ma la sua famiglia doveva restarne fuori. La domenica precedente Paul non si era fermato a dormire, infastidito per tutta la cena dalle battute equivoche di Jérôme e dall’espressione da cane bastonato di Léo. Il ragazzino aveva capito perfettamente che i suoi genitori non erano d’accordo sulla villa e che c’erano poche possibilità che ci vivessero tutti insieme. Da bravo figlio, non aveva detto niente della sua delusione, tuttavia era percepibile e aveva contribuito a esasperare Paul.
Invece di tornare dagli altri, Anne uscì di casa. Situata non lontano dal lago, era una villetta nello stile tipico della regione, che rappresentava tutto l’orgoglio di Lily e che a Éric doveva essere costata parecchio. Tuttavia, Hossegor era fin troppo turistica per Anne, lei non avrebbe mai vissuto lì, in quella che i dépliant definivano la «capitale del surf, il paradiso del golf». Quando Paul aveva scelto Castets, era stata felice che si trattasse di un paese dell’entroterra, fuori dalle rotte dei vacanzieri. Non le piacevano molto la folla e la confusione, forse questo era uno dei motivi del suo colpo di fulmine per la villa di Ariane. Ce n’erano degli altri, però, che non era ancora riuscita a identificare. Al di là della storia di Ariane consegnata alle pagine del quaderno, Anne aveva la sua da scrivere.
«Che succede?» bisbigliò Paul alle sue spalle. «Non vuoi tornare a tavola? Ti ricordo che Éric fa un ottimo caffè…»
Dato che le aveva passato un braccio intorno alla vita, Anne si lasciò andare contro di lui con un lungo sospiro. Finalmente un gesto di tenerezza e delle parole pronunciate con voce conciliante! Provò il desiderio di abbandonarsi, di mollare la presa.
«Lily racconta delle cose orribili su di noi, Paul.»
«E tutti ci osservano con curiosità, lo so. Senti, ho qualcosa da proporti.»
Anne sentiva il suo respiro nei capelli, il suo calore contro la schiena. Si appoggiò a lui, felice che Paul fosse lì con lei, forte e rassicurante.
«Visto che ti piace, rimani tranquillamente per tutta l’estate alla villa con Léo, ne sarà contento. Io verrò tutti i weekend e anche qualche sera durante la settimana, se non finisco troppo tardi. In cambio…»
La baciò vicino all’orecchio, stringendola più forte, ma lei si era già irrigidita.
«In cambio?»
«Mi prometti che prenderai in considerazione l’idea di metterla in vendita in autunno. Non di farlo per forza, Anne, solo di pensarci.»
Ci mancò poco che accettasse. Per fare pace, perché ritrovassero la complicità di prima, per far tacere tutta la famiglia, per godere di quella proroga. Ma sarebbe stato disonesto. L’idea di separarsi dalla villa le ripugnava e la irritava che si cercasse di forzarle la mano.
«Oh Paul…» sospirò lei, delusa.
Lui attese che Anne aggiungesse qualcosa, che si mostrasse un po’ accomodante perché credeva di averle fatto una grande concessione.
«Intendo tenerla», finì per dire lei, sapendo che mentire sarebbe solo servito a rimandare il problema, a peggiorarlo.
«Mi fai pensare a una bambina aggrappata al suo giocattolo!»
Anne si voltò, fissando il marito dritto negli occhi.
«A parte te e nostro figlio, non ho mai tenuto tanto a qualcosa come a questa casa. Puoi trovarlo puerile o egoista, ma per me è davvero importante. Non puoi cercare di capirmi? Finora ho fatto del mio meglio per aiutarti, ho rispettato le tue scelte, le tue ambizioni, i tuoi desideri. Ma ci sono anche i miei.»
«Ritieni di esserti sacrificata?»
«No, mi andava tutto bene, camminavamo mano nella mano e lo consideravo normale. Oggi, perché per la prima volta non faccio quello che vuoi tu, gridi al tradimento. Ti allontani da me come se volessi punirmi. In ogni caso, sembra che vogliano punirmi tutti per questa eredità di cui sarebbe meglio se me ne disfacessi il prima possibile. Mi viene ordinato di rientrare nei ranghi e di non esagerare. Ebbene, sono stufa di essere la brava ragazza che deve far piacere agli altri e conformarsi a quello che ci si aspetta da lei!»
Paul distolse lo sguardo, arrabbiato.
«Da quanto non mi dici: “Ti amo”?» proseguì lei con voce sommessa. «Da mesi non faccio che sentire: “Vendi, vendi, vendi!” Non hai cercato di capire se la cosa mi addolorava, né perché. Quello che provo non sembra avere importanza, sono solo una bambina aggrappata al suo giocattolo…»
Anne si allontanò da lui, d’un tratto stanca. Non aveva più voglia di discutere e di giustificarsi. Sentendosi nel giusto, Paul non le rivolgeva più parole gentili, non la chiamava più tre volte al giorno, restava nel suo angolino a fare il broncio, e il contratto che le aveva appena proposto era squallido. Le avrebbe fatto dono della sua presenza se avesse accettato le sue condizioni? Quello non era Paul! L’uomo che aveva sposato e che conosceva non contrattava. Non rifiutava, non esigeva, non minacciava. Che cosa gli era successo?
E a lei, che cosa stava capitando? Avrebbe voluto andarsene subito, tornare a casa sua, non doversi occupare di Léo e di Jérôme, che doveva riaccompagnare, di Paul che avrebbe ricominciato a tenerle il muso, dello sguardo inquieto di suo padre e dell’aria altezzosa di sua madre. Fuggire, in qualche maniera, cosa ovviamente impossibile. Si passò le dita nei capelli, fece un bel respiro, si obbligò a sorridere, quindi tornò da Paul, che non si era mosso.
«Andiamo a berci quel caffè», gli disse, tendendogli la mano.
Il funerale si rivelò per quello che doveva essere: triste. Erano venuti in pochi, dato che mio padre aveva perso ogni contatto con il suo vecchio ambiente e non si era fatto tanti amici nell’ultima parte della sua vita. Per la bara e i fiori, avevo speso un sacco di soldi, non avevamo niente di cui vergognarci. Mia madre, imbottita di tranquillanti, assistette alla cerimonia con uno sguardo ebete, senza capire dove si trovava e, in ogni caso, non mi riconobbe. Gauthier faceva finta di parlarle in modo normale, senza ottenere alcuna risposta, e la dolce Estelle le si aggrappava a un braccio, mentre un’infermiera la sosteneva con forza dall’altro. Si trattava sicuramente della sua ultima uscita, perché era evidente che ormai sarebbe finita in una casa di riposo. Per assicurarle un posto in una residenza assistita, suggerii a Gauthier di vendere l’orribile casa di Biarritz acquistata dopo la vendita della villa nel bosco. Mio fratello fece una smorfia, perché riteneva di averci trascorso un’adolescenza felice, ma dato che viveva in un alloggio messo a disposizione dallo Stato e non aveva bisogno di un tetto, si rassegnò. Nostra madre fu messa sotto tutela per permetterci di concludere la vendita, e riuscii a convincere Gauthier ad affidarsi a un notaio, Pierre Laborde in questo caso. L’idea mi era venuta ascoltando Estelle dichiarare che desiderava «molti» altri figli dopo la piccola Lily. Lei era libera di mettere al mondo tutta la dispendiosa marmaglia che voleva, ma mia madre avrebbe finito i suoi giorni in modo dignitoso, e la dignità costava cara e in quel modo sarebbe stata pagata in anticipo. Era paradossale pensare che era tutto ciò che restava dell’antica fortuna dei Nogaro! Una volta eravamo ricchi, poi quasi rovinati, e il poco che restava le sarebbe servito a malapena per non finire nell’indigenza.
Durante la mia sosta a Biarritz, non riuscii ad affezionarmi alla piccola Élisabeth, detta Lily, una bambina poco amabile e capricciosa. Quanto a Estelle, la consideravo gretta, noiosa, incapace di avere un’opinione personale. Di conseguenza, abbreviai il mio soggiorno, sgomenta per le scarse affinità – e un vero affetto – tra me, Gauthier e la sua famiglia. Tuttavia, di ritorno a Hossegor, mi domandai per la prima volta in quindici anni se la mia ricerca della felicità non fosse qualcosa di completamente assurdo. Perché anche se avevo trovato leziosi e fuori luogo i piccoli gesti affettuosi di Estelle nei confronti di suo marito, quei due sembravano amarsi sul serio. Io invece non sapevo niente dell’amore. Avevo conosciuto il desiderio con certi uomini – all’infuori dei miei mariti, naturalmente – ma mai la tenerezza, e ancora meno il cuore che batte all’impazzata. E, ne ero consapevole, i muri di una casa non mi avrebbero mai regalato questa emozione. Solo che i muri, con la mia testardaggine, avrei potuto finire per ricomprarli, mentre l’amore… Dove scovarlo?
Mi confidai con Pierre Laborde, che veniva a Dax una volta al mese per pranzare con me. Il suo consiglio fu di «guardarmi intorno». Si stava riferendo a se stesso? Non volevo nessuna ambiguità nei nostri rapporti e non l’avrei incoraggiato in alcun modo. Tuttavia, ascoltai il suo suggerimento e cominciai a valutare gli uomini per quello che erano e non per il loro conto in banca. A mia volta, mi ridimensionai, non volendo nemmeno io essere corteggiata per il mio denaro.
Sei mesi dopo, incontrai Paul-Henri e fu come risvegliarsi alla vita.
Interrotta nella lettura dallo squillo del telefono, Anne mise giù il quaderno. La madre di Charles, che aveva invitato Léo a trascorrere due settimane in Spagna, voleva discutere gli ultimi dettagli del viaggio. Ogni estate, i due ragazzi si organizzavano per restare separati il meno possibile e, in cambio di quel soggiorno in Andalusia, Charles avrebbe passato l’ultima parte delle vacanze nella villa di Ariane con Léo.
Nel chiudere la telefonata, Anne rammentò che Léo non aveva abbandonato l’idea del biliardo. Aveva intenzione di chiedere dei soldi per il suo compleanno, che cadeva in agosto, e cercare una buona occasione su Internet. Tuttavia, quel progetto significava una cosa: Léo aveva capito che sua madre sarebbe rimasta in quella casa. Se, per un verso, la villa gli piaceva molto, doveva comunque essere preoccupato di vedere i suoi genitori litigare. In che modo avrebbe reagito un adolescente, preso tra l’incudine e il martello? Come tutti i ragazzi della sua età, voleva proteggere sua madre e non avrebbe tardato a scontrarsi con il padre per affermare la propria virilità. Tutta quella faccenda della casa gliene avrebbe fornito l’occasione e Paul l’avrebbe vissuta male, per forza di cose. Nel frattempo, il resto della famiglia non avrebbe mancato di far notare che Anne aveva messo zizzania tra padre e figlio. Anche se lei avesse deciso di non badare a quei commenti acidi, ne avrebbe comunque sofferto.
Si alzò per andare ad aprire la finestra e il profumo dei pini scaldati dal sole invase la stanza. Aveva finito per sistemarsi nello studio di Ariane, diventato ora il suo. Aveva conservato i due vecchi tappeti dai colori sbiaditi, ma ancora in buono stato, così come l’elegante scrittoio a ribalta in cui aveva stipato gli album fotografici e, naturalmente, la scrivania di rovere della quale aveva finalmente svuotato tutti i cassetti. I graffi sul ripiano erano più o meno nascosti da computer e stampante, ma quei segni lasciati dalle penne nel corso del tempo non le davano fastidio. Tutti i giorni ci passava due o tre ore a lavorare e inviava con regolarità i documenti necessari ai suoi clienti. Aveva invece rimandato a settembre le visite presso le aziende per cui lavorava, anche perché la maggior parte chiudeva per le vacanze.
Abbassando gli occhi sulla radura, constatò ancora una volta che il terreno era coperto da aghi di pino mischiati a un sottile strato di sabbia delle dune portato dal vento. Impossibile far crescere dell’erba là sopra. Chissà com’era la radura una volta!? In una vecchia foto sembrava disseminata di sassolini bianchi con aiuole di fiori per tutta la lunghezza della facciata. I fiori di cui all’epoca si era preso cura il bel giovanotto che Ariane guardava troppo. Quella piccola confidenza all’inizio del quaderno aveva fatto sorridere Anne, ma da quando in quelle pagine si era iniziato a parlare dei suoi genitori, presentati sotto una veste inaspettata, prendeva quella lettura molto più sul serio.
Per quanto… definire Lily una bambina «poco amabile e capricciosa» era abbastanza divertente.
Scorse Jérôme che tornava dal cancello dove, come ogni giorno, era andato a prendere la posta. Si era incaricato di quel piccolo compito, ma era anche una delle poche mansioni che svolgeva. Per il resto, faceva finta di trafficare qua e là senza combinare niente di veramente utile. Anne aveva compilato una lista dei lavori urgenti. Fino a quel momento, non aveva ancora visto quello che il fratello aveva imparato a Londra.
Dopo le vacanze deve trovarsi un lavoro, non può restare con le mani in mano.
C’era qualcosa nel comportamento del fratello che la preoccupava. Sembrava vivere alla giornata, non parlava del futuro, non usciva di casa se non per raggiungere la spiaggia. Sosteneva di aver lasciato la maggior parte delle sue cose in Inghilterra e possedeva solo un paio di jeans bucati, delle scarpe scalcagnate e delle magliette informi. Non aveva nient’altro? Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma Paul non sarebbe stato di certo disposto ad ascoltarla, e in quanto agli altri membri della famiglia, aveva la sensazione di essere diventata la pecora nera. Le restava soltanto Suki con cui affrontare l’argomento, se solo non avesse avuto dei problemi ben più seri. Anne l’aveva chiamata due volte da inizio settimana e l’aveva trovata molto giù.
Chiuse la finestra, spense il computer e andò a prendere la borsa. Pierre Laborde la aspettava nel suo studio a Dax e doveva mettersi in viaggio.
Paul si tolse mascherina e guanti, poi scambiò un’occhiata con Julien.
«Credo che ce l’abbiamo fatta, vecchio mio!»
Si diedero il cinque, un gesto rituale per celebrare gli interventi riusciti. Un’ora prima, il gatto disteso sul tavolo era stato portato lì d’urgenza dal suo proprietario, che lo aveva recuperato in strada, davanti a casa, investito da un’auto.
«Se l’è vista brutta», sospirò Julien, lanciando un’occhiata all’orologio sulla parete.
In sala d’attesa, gli appuntamenti si erano accavallati, dovevano essersi tutti spazientiti, nonostante le spiegazioni di Brigitte. Julien prese delicatamente il gatto e si spostò nella stanza adiacente per metterlo in una gabbia.
«Passerò a controllarlo tra un paziente e l’altro», disse a Paul. «Per allora credo che potremo annunciare al suo padrone che Méphisto ce l’ha fatta per questa volta.»
«E che farebbe meglio a non lasciarlo più uscire!»
Si levarono i camici macchiati di sangue per infilarsene due puliti. Stavano per dirigersi verso i rispettivi ambulatori, quando Julien fermò Paul per un istante.
«Per le vacanze, hai davvero deciso?»
«Sì, mi farà bene, e poi ne ho bisogno!»
Aggirando Julien, Paul si affrettò ad andare a chiamare un cliente, con il quale si scusò del ritardo. Con la testa altrove, proseguì le visite. La decisione di andarsene per qualche giorno gli dava sollievo. Basta litigi con Anne, niente più casa vuota la sera. Doveva solo dirglielo, e contava di farlo per telefono per evitare un ulteriore scontro. Aveva programmato una settimana a Parigi, ne avrebbe approfittato per fare visita ai suoi genitori che, andando in pensione, avevano deciso di stabilirsi nella capitale. E per svuotare la testa, si sarebbe dedicato a quello che non aveva mai tempo di fare: andare per musei, mostre e al cinema. Indirettamente, era stato Julien a suggerirgli l’idea perché era il modo in cui si era distratto dopo il divorzio. Ma quando Paul lo aveva informato che avrebbe seguito il suo esempio, Julien aveva protestato. L’amico insisteva per una riconciliazione, esortando Paul ad andare ad abitare alla villa invece di impuntarsi nel non volerlo fare.
Le sue motivazioni erano sbagliate, sicuramente. Estrema suscettibilità, stupido orgoglio, bisogno di avere ragione e d’imporre la propria volontà: Paul lo ammetteva senza problemi. Tuttavia, e a ragione, non s’immaginava a lavorare come un matto per poi sperperare tutti i suoi soldi nella ristrutturazione di un vecchio edificio. Quando era piccolo, i suoi genitori avevano cercato di mantenere una casa antica piena di spifferi e correnti d’aria, di cui non aveva un bel ricordo. Aveva sempre saputo che un giorno si sarebbe fatto costruire un’abitazione moderna, accogliente, che non gli avrebbe causato nessun inconveniente. D’altronde, il posto in cui viveva non gli interessava granché dato che trascorreva tutto il suo tempo alla clinica. Quindi, doveva rientrare la sera per fare bricolage o studiare i preventivi? No, grazie.
Però, c’era Anne. Anche se lei lo esasperava con quella sua ridicola testardaggine, la amava. Ma non vedeva come ne sarebbero usciti. Forse la lontananza avrebbe permesso loro di calmarsi. Fino ad allora, Anne non aveva dovuto misurarsi con le conseguenze, quando lui la raggiungeva alla villa si comportava come se niente fosse, e si era senz’altro persuasa che si sarebbe tutto sistemato. Troppo facile!
Dopo aver congedato l’ultimo cliente e aggiornato le schede al computer, trovò Julien e Brigitte che chiacchieravano nella sala d’attesa deserta. Il suo ingresso li zittì bruscamente, a dimostrazione che stavano parlando di lui.
«Stavo uscendo», dichiarò Brigitte, «ma volevo augurarle delle buone vacanze. Si riposi e torni con un colorito migliore!»
«Ci proverò. Vuole che le porti una piccola Tour Eiffel, Brigitte?»
Senza prendersela per la battuta, la donna rispose per le rime: «Piuttosto dei macaron di Ladurée. Si diverta e cerchi di tornare di buonumore».
La segretaria se ne andò salutando con la mano, mentre Julien afferrava Paul per una manica.
«Sei sicuro che questo soggiorno solitario sia una buona idea? Forse ad Anne avrebbe fatto piacere accompagnarti, non andate mai a Parigi insieme! Léo sarà in Spagna e Jérôme potrebbe occuparsi di Goliath. Perché non approfittarne?»
Paul lo squadrò senza rispondere.
«D’accordo, mi sto immischiando in faccende che non mi riguardano», si affrettò ad aggiungere Julien, «ma non risolverai niente scappando. Mi rattrista vedere come si stanno mettendo le cose fra voi. Ecco, amico mio, ho detto quello che avevo da dire.»
Diede a Paul una pacca un po’ maldestra per scusarsi della sua franchezza, poi recuperò il casco che aveva lasciato sul bancone. A suo avviso, Paul aveva torto, si era persino stupito di scoprirgli quel lato inaspettato. Come ovvio, l’esperienza altrui non serviva a niente, per quanto Julien lo avvertisse del pericolo, Paul avrebbe fatto di testa sua. In quel caso, un vero testone. Faceva un sacco di storie perché la sera trovava la casa vuota, ma niente gl’impediva di raggiungere sua moglie. Anche Julien si ritrovava da solo quando tornava a casa, ma aveva avuto il coraggio di domandarsi quanta responsabilità avesse avuto in quel disastro. Se sua moglie l’aveva tradito, se si era innamorata di un altro, poteva anche non essere stato per caso o per colpa del destino. Non si era accorto di niente perché non si era mai preso cura di lei, dei suoi desideri e delle sue frustrazioni, troppo assorbito dal proprio lavoro, troppo sicuro che la loro vita proseguisse sulla strada giusta. Come se fosse stato centrato da un Tir, aveva finito per capire che avrebbe potuto evitare quella botta se si fosse dimostrato più attento. Ricordava le scenate inutili che le aveva fatto, la sua collera ingiusta e, soprattutto, i suoi ricatti: «Vattene, se vuoi, la porta è lì!», che gli si erano ritorti contro. Vedendo Paul commettere lo stesso errore, pur in un contesto diverso, lo rattristava sinceramente. Non voleva che i suoi amici si separassero, non aveva voglia di consolare Paul e di diventare il confidente di Anne. Il modo in cui lei lo aveva guardato, qualche giorno prima nella cucina della villa, non lasciava dubbi. O, meglio, lo sguardo che si erano scambiati, perché anche lui era colpevole. Un uomo, una donna, che si erano piaciuti? Impensabile! Be’, inutile fare l’ingenuo, quell’occhiata era stata più che eloquente. Ciascuno aveva identificato l’altro come qualcuno che in altre circostanze avrebbe potuto piacergli. Anche se si è molto innamorati, non è che si diventi ciechi, e se gli uomini non possono fare a meno di voltarsi a osservare le belle ragazze, loro hanno il diritto di fare altrettanto.
Senza accorgersene, Julien aveva accelerato troppo e rallentò. La sua era una moto potente, scattante, doveva fare attenzione a non cadere nella trappola della velocità. Soprattutto non adesso che avrebbe avuto i gemelli per due settimane. La ragazza alla pari sarebbe arrivata la mattina dopo, sarebbe andato a prenderla in auto alla stazione di Dax e non avrebbe più usato la moto, che avrebbe parcheggiato in garage sotto un telo.
«Non l’ho mai avuto tra le mani, ma sua zia mi aveva parlato di una sorta di diario. Da quello che mi diceva, non avrebbe cercato né di nasconderlo né di lasciarlo in bella vista. Dopo la sua morte, o lei si sarebbe data la pena di passare in rassegna le sue cose trovandolo, oppure avrebbe buttato via tutto, senza interessarsi a niente, e quel quaderno sarebbe finito in fondo a una discarica senza rimpianti e conseguenze per nessuno.»
Pierre Laborde abbozzò un sorriso osservando Anne con aria soddisfatta.
«Ariane la conosceva bene, non si è sbagliata.»
«È una lettura interessante», mormorò Anne. «Sto scoprendo la storia della mia famiglia.»
«Be’, speriamo che siano solo cose belle!»
Anne non ne era certa, ma era poco importante, il resoconto di Ariane era abbastanza lucido da poter essere il riflesso della verità.
«Ha preso una decisione per quello che riguarda la villa?» le domandò in tono neutro. «Forse è ancora un po’ presto, non c’è fretta…»
«Mi ci sono più o meno stabilita, e mi piace. Purtroppo mio marito sembra detestare il posto, e questo rappresenta un problema.»
Nell’ammetterlo, Anne voleva far capire al notaio tutte le difficoltà che stava incontrando, e sperava che l’uomo l’avrebbe aiutata a vederci più chiaro. Ma il notaio rimase in silenzio, in attesa che proseguisse.
«Questa eredità ha creato un sacco di agitazione», continuò. «Diciamo che la scelta di Ariane non fa piacere a nessuno. Ai miei genitori, a mia sorella… Uno dei miei fratelli ha cercato subito di farsi prestare dei soldi, e l’altro è venuto a farmi compagnia cogliendo al volo la possibilità di avere un tetto sulla testa. Cosa più grave di tutte, Paul e io siamo in totale disaccordo, e nostro figlio è preso tra due fuochi. Per evitare questo caos, dovrei vendere, perché tenendo la casa ho l’impressione di provocarli, di privarli di qualcosa.»
«E se ne attribuisce la colpa? Non deve. Mi occupo di successioni tutto l’anno, e spesso le situazioni degenerano.»
«Perché?»
«Per prima cosa perché, banalmente, ognuno vuole la sua fetta di torta, poi perché i membri di una stessa famiglia hanno quasi tutti delle controversie fra di loro e questa diventa l’occasione per risolverle. Se lei sapesse che cosa mi è capitato di sentire in questo studio, si consolerebbe. Ora, nel caso di Ariane…»
Lasciando la frase in sospeso, picchiettò con le dita la pratica di Anne davanti a sé.
«Credo che sapesse che lei avrebbe avuto delle seccature», finì per ammettere. «Ma non aveva altra scelta. Lasciare che la casa andasse allo Stato era inconcepibile ai suoi occhi e, tra i suoi parenti, lei era di gran lunga la preferita. Contava sul suo carattere per accettare l’eredità, però non deve sentirsi obbligata a tenere la villa. Sua zia ha dedicato la propria vita a questa casa, era una questione personale, non è un passaggio di testimone.»
«Lo so, non la sto vivendo in questo modo. In realtà, Ariane mi ha spalancato una porta su… insomma, sulla libertà! Una grossa somma di denaro sarebbe finita in banca, in un piano di risparmio o in altri conti bloccati. Sarebbe stata una sicurezza finanziaria, senza ombra di dubbio, ma che in fondo non avrebbe cambiato nulla. Con la casa, il mio orizzonte si è drasticamente modificato. Sto mettendo in discussione diverse cose, come se il fatto di avere dei muri di pietra dietro ai quali ripararmi mi permettesse finalmente di respirare, di riflettere. Mi prendo il mio tempo. Osservo chi mi circonda con occhi diversi. Ho fatto il bilancio della mia breve esistenza senza provare orgoglio né soddisfazione. Dove sono finiti i miei sogni? Che cos’è successo ai grandi progetti della mia giovinezza? Questa casa è un vero vaso di Pandora, ne ho sollevato il coperchio e non posso più chiuderlo. Oggi vedo la vita sotto un’altra prospettiva. E penso che Ariane avesse previsto anche questo.»
«Era una donna molto intelligente e determinata; infatti, non lasciava mai niente al caso.»
Sembrò rattristarsi rievocando la sua vecchia amica. Anne rammentò la frase di Ariane che aveva letto nel quaderno: «Non volevo nessuna ambiguità nei nostri rapporti e non l’avrei incoraggiato in alcun modo». Cercò di immaginarli giovani entrambi, seduti in un ristorante chic di Hossegor, ma non ci riuscì.
«Diceva che il nome Ariane conteneva il suo», ricordò il notaio emozionandosi, «e che era un segno del destino. Ariane, Anne, la cosa la divertiva… Ma negli ultimi tempi, parlava soprattutto della sua morte, voleva che fosse tutto in ordine.»
Dopo essersi schiarito la voce, riprese in tono più fermo.
«Sto lavorando con l’agenzia delle entrate per sistemare la pratica relativa ai diritti di successione, le tasse arretrate e tutto ciò che ne consegue. Dovrebbe risultare un saldo a suo favore. Nell’attesa, ho qualche documento da farle firmare.»
Le tese dei fogli che non si prese neanche la briga di leggere. Uomo di fiducia di Ariane da tanti anni, doveva agire per forza per il meglio degli interessi di Anne.
«Abbia cura di sé», le disse alzandosi. «Non corra rischi, non ne vale la pena.»
Stava per aprirle la porta, quando si bloccò.
«Vorrei chiederle un favore, Anne. Quando avrà finito di leggere il quaderno, e se non contiene rivelazioni troppo intime o segrete, crede che potrebbe prestarmelo?»
Quella richiesta non la sorprendeva, Laborde doveva sospettare che in quelle pagine Ariane parlasse di lui. Annuendo senza dargli una risposta vera e propria, Anne sorrise e poi gli tese la mano.
«Non esiti a venire a trovarmi. Vedrà, la villa non è cambiata molto, è solo un po’ più… allegra.»
«Lo farò», le promise.
Una volta fuori, Anne si ritrovò nel caldo torrido di Dax. A trenta chilometri dall’oceano, la brezza marina non riusciva ad attraversare la foresta delle Landes e, a meno di non recarsi sulle rive dell’Adour, si aveva la sensazione di soffocare. Anne era incerta se salire in auto, che aveva parcheggiato in pieno sole. Perché non fare un po’ di shopping in centro prima di rientrare? Avrebbe potuto approfittarne per comprarsi un nuovo costume da bagno, una camicia degna di quel nome per Jérôme e anche qualche capo estivo per Léo prima che partisse per la Spagna. Quello sarebbe stato sicuramente l’ultimo anno che suo figlio le avrebbe permesso di scegliere al suo posto! Con passo deciso di diresse verso l’area pedonale, ma fu costretta a fermarsi sentendo squillare il telefono in fondo alla borsa. Vedendo che si trattava di Paul, rispose con un tuffo al cuore. Non si erano rappacificati e, da quando lei aveva rifiutato la sua proposta, il giorno del compleanno di Lily, Paul si teneva a distanza. Scambiarono inizialmente qualche frase prudente, ciascuno chiedendo notizie dell’altro, poi, con fare brusco, Paul le diede la notizia.
«Trascorrerò qualche giorno a Parigi. Sarà l’occasione per fare visita ai miei genitori, e anche per rallentare un po’. Negli ultimi tempi ho lavorato parecchio.»
«A Parigi?» ripeté lei, sbalordita.
«Non prendertela, cara, ma ho bisogno di svuotare la testa. T’impegni così poco perché le cose tra noi si risolvano che preferisco allontanarmi per un po’!»
«Va bene, allontanati», replicò lei con freddezza.
«Ci permetterà di fare il punto, di…»
«Quando parti?»
«Domani.»
«Hai avvisato Léo?»
«No, fallo tu. Non ho voglia di rispondere a delle domande imbarazzanti, tu saprai spiegargli le cose meglio di me.»
«Non credo proprio!»
«In ogni caso, non gliene importa niente, sta per andare in Spagna.»
«Si rende conto di quello che sta succedendo, Paul, non ha più cinque anni.»
«Ascolta, qui non si tratta di Léo, ma di noi due. Non so se ti sei accorta di quello che ci sta capitando!»
«Tu dici?»
Anne era determinata a tenergli testa, a rispondergli per le rime, invece scoppiò a piangere. Paul se ne andava a Parigi, era diventato un estraneo, la complicità era scomparsa, e ben presto anche il loro amore.
«Hai davvero deciso di distruggere tutto con il tuo fottuto orgoglio?» gli urlò. «Tu, tu, ci sei solo tu! Ma io non sono una tua proprietà, Paul, io non devo fare per forza tutto quello che vuoi. E, tra le altre cose, mi sono stufata delle tue minacce. Perciò, vattene a Parigi, va’ al diavolo!»
Senza fiato, chiuse la telefonata. Poi si appoggiò a una vetrina, cercando di ritrovare il suo sangue freddo. Quell’esplosione di rabbia aveva sorpreso anche lei, e Paul doveva essere rimasto pietrificato. Lo immaginò fissare il telefono stupito. Che cosa si aspettava con quella chiamata ostile? Non lo avrebbe di certo supplicato a restare, né gli avrebbe promesso di tornare a Castets dopo aver affisso il cartello VENDESI davanti alla villa.
Si guardò intorno e si accorse che alcuni negozi stavano chiudendo.
«Me ne torno a casa», dichiarò a voce alta, facendo girare un paio di passanti.
Per la prima volta da anni, provava una sorta di freddezza interiore, di vuoto. Al contrario di Paul, non aveva certezze, nemmeno quella di avere ragione.
«Anne, va tutto bene?»
Stupita di sentirsi chiamare per nome, girò la testa e si accorse di Hugues Cazeneuve in piedi davanti a una vetrina. Guardò meglio e si rese conto di essere dinanzi a un’agenzia immobiliare.
«Stavo per uscire a salutarla quando si è lanciata in una conversazione molto animata e ho preferito aspettare. Vuole entrare un secondo? Posso offrirle un caffè o un bicchier d’acqua.»
«Grazie, è gentile da parte sua, ma non ho tempo.»
Vedendo la sua delusione, si affidò al primo pretesto che le venne in mente.
«Devo ancora passare da mia cognata. Ha un negozio di fiori un po’ più lontano.»
«Suki?» replicò lui. «La migliore fiorista della città! Adoro le sue creazioni, mi rivolgo sempre a lei. La saluti da parte mia.»
«Lo farò. A presto, Hugues.»
Riuscì a sorridergli e riprese a camminare, ma lui la raggiunse.
«Anne, mi piacerebbe invitarla a pranzo o a cena uno di questi giorni. Dato che non ho più un motivo valido per venire a casa sua, né per chiamarla, colgo questa occasione, anche se è un comportamento un po’ sfrontato.»
Sembrava meno sicuro di sé rispetto ai loro incontri precedenti, tuttavia Anne fu sul punto di scoppiare a ridere davanti a quel corteggiamento improvvisato.
«Be’, vedo che la diverto», sospirò l’agente. «Mi dispiace di essere stato così maldestro Dico sul serio, e se uno di questi giorni avesse un paio d’ore a disposizione per venire a Dax, le prometto di farle scoprire un ristorante favoloso. Ci pensi!»
Da bravo giocatore, nonostante il silenzio eloquente di Anne, tornò verso l’agenzia salutandola con la mano. D’istinto, Anne si allontanò nella direzione opposta chiedendosi che cosa fare. Passare da Suki per raccontarle che un agente immobiliare aveva cercato di rimorchiarla? Avrebbero potuto farsi due risate insieme, ma Anne non aveva voglia di ridere. La partenza di Paul, che assomigliava a un ultimatum, ora che la collera era scemata, l’aveva turbata. Non avrebbe dovuto urlare, tantomeno chiudergli il telefono in faccia! Purtroppo erano ormai in un vicolo cieco e non riuscivano più a comunicare. Non riconosceva in lui quell’uomo testardo, freddo, chiuso. Dov’era finito il suo Paul, l’uomo che amava e con il quale aveva costruito una parte della sua vita? Poco prima il notaio le aveva raccomandato di non correre rischi. Be’, ormai lo aveva fatto.
Tagliando attraverso le strade della zona pedonale, riuscì a tornare alla sua auto senza ripassare davanti all’agenzia immobiliare. Pazienza per gli acquisti, se ne sarebbe occupata un’altra volta, non aveva più voglia di fare nulla. Paul se ne andava a Parigi senza di lei e, al suo rientro, non sarebbe probabilmente cambiato niente. E se i suoi genitori lo avessero fatto ragionare? Ma no, sarebbe passato da loro per una visita veloce, senza raccontargli niente. Aveva sempre voluto trasmettere loro l’idea del figlio modello, poi dell’uomo realizzato, che aveva avuto successo sia nella vita privata che in quella professionale.
«Oh Paul! Che cosa stiamo facendo?»
Con un nodo in gola, sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime, ma le bloccò sul nascere inspirando profondamente. Aveva pianto poco prima, in mezzo alla strada, e non ne aveva ricavato alcun sollievo. Disperarsi non serviva a niente. Mise in moto, rimase ad ascoltare il ronzio del motore e abbassò i finestrini. A Dax faceva ancora molto caldo e il pensiero di tornare alla villa accarezzata dalla brezza marina aveva qualcosa di tranquillizzante. Forse quella casa era la fonte di tutti i suoi problemi, ma era anche il suo rifugio.