Epilogo

Questa, dunque, fu la fine – gloriosa oppure meno, a seconda di come la si guarda – delle due settimane di Priscilla. Mi asterrò dall’esprimere la mia opinione al riguardo. Se sia cioè meglio sposare un principe, e a suo tempo diventare una regina, essere a capo di una grande nazione, venire ricoperta di onori, ricchezze, potere e magnificenza fino al giorno in cui la morte, con mano ferma e indifferente ti spoglierà di tutto consegnandoti alla docile semplicità di un sudario; o se ardui cammini, strenue resistenze, duri colpi accettati con coraggio, lotte combattute passo dopo passo, un ideale a cui aggrapparsi disperatamente anche mentre si viene uccisi, non sia piuttosto la via da percorrere per chi voglia raggiungere la gloria delle stelle.

In ogni caso, venuta a sapere com’era finita l’avventura, la dea che aveva piantato in asso Priscilla scoppiò a ridere; e la sua antipatica sorella, senza più nulla da fare a Creeper Cottage, raccolse i suoi stracci e se ne andò, anch’ella col sorriso in faccia. In fondo durante la permanenza i suoi artigli erano riusciti a lacerare carne tenerissima. E sebbene il principe avesse interrotto l’operazione, obbligandola a una momentanea inattività, non poteva dirsi del tutto insoddisfatta dell’opera compiuta.

Priscilla non fece visite di commiato. Scomparve da Symford con la stessa rapidità con cui era apparsa; e Mrs Morrison, nel presentarsi a Creeper Cottage il lunedì pomeriggio per sputare ulteriori rospi, vi trovò solo un signore gentile, uno straniero dai modi melliflui che compilava assegni. Ebbe con lui un colloquio di dieci minuti e tornò a casa molto triste e saggia. Al punto che da quel giorno, essendo il suo lo spirito del prepotente sull’umile, del servile alla corte dei grandi, fu una donna molto diversa. Ne risentirono persino i suoi capelli, che presero a ingrigire in modo incontrollato. Smise di adornarsi con il fiocco di tulle rosa, forse un segno di grazia, o forse no. Smise di ritenersi bella. Quando le descrizioni delle nozze di Priscilla riempirono i giornali, si ammalò al punto da doversi mettere a letto e lasciarsi accudire. Con gran stupore del parroco, a volte, prima di esprimere un’opinione, esitava. E almeno una volta disse di propria spontanea volontà di avere avuto torto. E pur non avendo mai detto a nessuno della conversazione avuta con il signore che compilava assegni, quando Robin tornò a casa per Natale e la guardò in faccia, seppe subito che lei sapeva.

Quanto a lady Shuttleworth: ricevette una lettera da Priscilla; una lettera lunga, con una più breve per Tussie da consegnargli se e quando la madre l’avesse ritenuto opportuno. Il contenuto della lettera non sorprese lady Shuttleworth. L’aveva sospettato fin dal momento in cui Priscilla si era alzata e l’aveva congedata il giorno in cui era andata a farle visita a Baker’s Farm.

Fino al giorno delle nozze con il defunto sir Augustus era stata dama di compagnia di una delle principesse inglesi, e in questo campo lei non si sbagliava mai. Conosceva troppo bene quel genere di cose. Ma non perdonò mai Priscilla. Come avrebbe potuto? Il giorno in cui Tussie era diventato maggiorenne, l’orribile giorno in cui tanto era stato vicino alla morte, era forse cosa che una madre potesse dimenticare? Era stato tutto così ingiustificato, così crudele. Sappiamo come la donna traboccasse del latte dell’umana gentilezza: ma nei confronti di Priscilla era puro fiele.

Tussie: ebbene, non si può fare la frittata senza rompere le uova, e in quell’occasione Tussie fu l’uovo. Un ruolo ben doloroso da ricoprire. Lo trovò squisitamente doloroso, e cercò invano di consolarsi al pensiero di essere stato la frittata di Priscilla. La consolazione si dimostrò inefficace, e per lungo tempo soffrì ogni tipo di tormento noto agli animi sensibili. Ma superò la cosa. È ciò che accade ai più. Col tempo si supera tutto; Tussie era giovane, e di tempo ne aveva in abbondanza. Sopravvisse alla vicenda come tutti sopravvivono a ogni dolore e a ogni gioia; e quando, giunto nella pienezza dell’età, dopo aver vagato apatico per alcuni anni con un cappello floscio di feltro e uno scomodo colletto, si sposò, fu nella capitale di Priscilla che andò in luna di miele. Lei, saputo che si trovava lì, invitò entrambi a corte e fu molto gentile.

Annalise: non ebbe mai i ventimila marchi. Anzi, il vendicativo granduca la denunciò per estorsione, e la ragazza sarebbe rimasta a languire in prigione se Priscilla non fosse intervenuta, rimandandola dai genitori. Anche lei, come Mrs Morrison, si ridimensionò. Smise di essere altezzosa. Smise di cantare.

In realtà smise di cantare nell’istante in cui, sbirciando dalla fessura della porta dalla cucina, aveva visto le ampie spalle del principe occupare il salotto di Fritzing. Da quel momento si sdilinquì in abissi di rispetto e timore reverenziale. Divenne solerte in modo trafelato, docile ai limiti dell’annichilamento. Priscilla tuttavia non poté dimenticare ciò che le aveva fatto patire; e il principe, che aveva pensato a tutto, aveva fatto apparire all’istante la capocameriera da qualche recesso di Baker’s Farm dove aveva anch’ella trascorso la notte. Annalise fu così sostituita, e il suo triste destino fu di essere lasciata a Creeper Cottage, affidata alle cure del gentiluomo col libretto degli assegni – un tipo che seguiva le mode alimentari e lasciava entrare in casa quasi esclusivamente frutta secca e noccioline – finché avesse avuto tempo di farle fare le valigie e spedirla a casa.

Emma: fu rintracciata dal detective che aveva seguito i fuggitivi nel Somersetshire e che tanto utile si era rivelato al principe; e Priscilla, disperatamente desiderosa di fare ammenda laddove era possibile, la prese con sé e la tenne d’occhio personalmente, badando a che neppure una parola sul suo passato trapelasse tra la selva di lingue in movimento; credo finì per sposare un lacchè, uno di quei soggetti magnifici coi polpacci inguainati nella seta bianca che tanto piacevano ad Annalise. Anzi, non escludo si tratti proprio dello stesso lacchè di cui Annalise era stataa innamorata e che avrebbe voluto sposare. Almeno in questa storia, alle rivendicazioni della giustizia poetica verrà data totale soddisfazione; perché con Emma Annalise si era sempre mostrata altezzosa.

La contessa Disthal: sposò il suo medico e fu per sempre infelice, ma la sua infelicità non fu nulla, paragonata a quella di lui.

Fritzing: è Hofbibliothekar alla libreria di corte del padre del principe; una corte più brillante, e una libreria di gran lunga inferiore, rispetto a quelle di Kunitz, da cui era fuggito. Fa vita ritirata nelle sue stanze, ed entra in comunicazione quasi esclusivamente coi defunti.

Perché secondo lui solo i defunti danno soddisfazione. Priscilla gli vuole ancora bene e sempre gliene vorrà, ma è molto occupata e le resta poco tempo per pensare. Non gli permette di insegnare ai suoi figli; in compenso Fritzing gioca con loro, sempre più vecchio e paziente.

Ora che ho concluso la storia non mi resta che farmi da parte e guardare Priscilla e il marito camminare mano nella mano allontanandosi lungo un cammino che immagino sia quello della gloria, dentro a qualcosa di apparentemente roseo e dorato, qualcosa di ardente e pieno di promesse che a un più attento esame risulta essere il loro futuro. All’osservatore superficiale appare di certo abbastanza radioso. Persino io, che ho guardato dentro l’anima di Priscilla e ne ho conosciuto le brame, sono un po’ abbagliata. In ogni caso, non si pensi che una persona sempre sincera come me scivoli in facili bugie proprio alla fine e lasci credere che Priscilla visse per sempre felice e contenta. Perché così non fu. Chi riesce a esserlo per sempre, del resto?