XXII.

Ora il lettore si immagini Priscilla scendere le scale il mattino dopo: una dorata domenica mattina piena della calma del giorno del riposo, e una Priscilla con gli occhi pesti e l’animo cupo, gli abiti logori a simboleggiare il logorio dei suoi entusiasmi, la faccia di chi ha perso la pace, gli occhi di chi è in conflitto col futuro, di chi continua a chiedersi: “E adesso cos’altro capiterà?” e rifugge con un brivido e un “Oh, no, questo no!” a ogni schietta risposta.

Fuori la Natura sfoggiava il suo aspetto più mite e benevolo. Già: a lei nulla interessava delle patetiche tragedie dei destini umani. Le colline erano inondate di una luce soffusa; i raggi del sole si posavano caldi sulle facciate dei cottage. Nei giardini le api speranzose, indotte con l’inganno a pensare all’estate, ronzavano attorno ai pallidi malva e porpora degli ultimi astri. Nel cimitero l’esile velo delle ragnatele faceva brillare l’erba. I passerotti cinguettavano, i pettirossi zufolavano. E il genere umano conferì il tocco finale alla scena chiamando i fedeli alla preghiera con un melodioso suono di campane.

Era senz’altro una giornata colma di benedizione, ammesso si trovasse qualcuno disposto a essere benedetto. Il lettore, dicevo, si immagini questa serenità esterna, questa calma divina, questo mondo lieto e inondato di luce e, all’interno delle umide pareti di Creeper Cottage, Priscilla che scendeva a colazione con l’angoscia negli occhi e nel cuore.

Fecero colazione tardi; talmente tardi che la consumarono con l’accompagnamento dell’organo di Mrs Morrison e dei canti del coro del paese filtrati, persino abbelliti, dalle pareti della chiesa e del cimitero. La porta era spalancata perché la via era deserta. Tutti erano in chiesa. Come più tardi ebbe a rimarcare Mrs Morrison, la messa vide un’insolita e nutrita partecipazione. Per gli assoli del servizio religioso, Mrs Morrison scelse le marce funebri, e il parroco fece un sermone che scosse le coscienze.

Era convinto che l’assassino di Mrs Jones fosse uno dei suoi parrocchiani. Era un pensiero doloroso, ma bisognava affrontarlo. Viveva da sempre a tale distanza dal pettegolezzo, sordo al perenne movimento delle malelingue, che si era scordato la velocità con cui viaggiavano le informazioni: mai avrebbe immaginato che la notizia del nascondiglio di Mrs Jones sotto il capezzale potesse uscire dal paesino. In quest’occasione si abbandonò a tutta la commozione possibile per un uomo che aveva ormai da tempo rinunciato a commuoversi; la colpa era dei due giorni spaventosi trascorsi con Mrs Morrison, fin dal momento in cui era rientrata con la notizia dello schiaffo dato al loro unico figlio.

Come il lettore avrà dedotto, visto che il fatto non era stato reso noto, l’uomo si era rifiutato di andare da Priscilla per rimproverarla. Aveva trovato argomenti per giustificarla. Si era schierato con lei contro il figlio. Era stato ostinato nel modo totale ed esasperante di cui fanno talvolta mostra gli animi estremamente buoni. Poi c’era stato l’omicidio di Mrs Jones. Ne era stato terribilmente scosso, ma si era comunque rifiutato di far visita a Priscilla, mettendo in ridicolo l’idea che la giovane fosse responsabile del crimine, nella misura, beninteso, in cui un pio anziano dai modi solenni riesce a mettere qualcosa in ridicolo. A suo parere era priva da colpe. Quando la moglie, con tutta l’enfasi apparentemente inscindibile dalla dialettica di chi è indignato, aveva sostenuto che era suo dovere nei confronti di se stesso, della parrocchia e del paese andare da lei e accusarla, lui aveva asserito che non doveva un bel niente a nessuno, se non l’esortazione ad amarsi l’un l’altro.

Nulla poteva smuoverlo. Ma non era stato insensibile a quelle scenate, e fu un parroco commosso come non mai a salire sul pulpito quel giorno per ripetere la domanda: «Chi è stato?» con una tale insistenza, un tale magnetismo, e con tali sguardi scrutatori ai volti sulle panche, che la congregazione, irrequieta e a disagio, si lanciava furtive occhiate di sospetto e avversione. Mentre proseguiva in un crescendo accalorato e insistente, notò almeno una dozzina di parrocchiani con la colpa stampata in faccia. Balzava fuori come un rospo nascosto nella palude privata dei recessi dell’animo di ognuno, affacciandosi su un volto dopo l’altro. C’era un certo giovane che andava prendendo un’aria sempre più colpevole, la fronte sempre più imperlata di sudore e gli occhi ormai fuori dalle orbite: solo in virtù di un supremo autocontrollo il parroco riuscì a trattenersi dal puntargli contro l’indice e a gridare: «Sei stato tu!»

Intanto l’assassino aveva preso a nolo una carrozza e stava portando la moglie a fare una piacevole gita in campagna.

Priscilla scese a colazione per tranquillizzare Fritzing. Fosse stato per lei, non avrebbe mangiato nulla. Per farlo contento bevve persino dell’altro latte, ma nessuna quantità di latte sarebbe stata in grado di lavare via la nera cupezza del suo animo. Lui, vedendola a capo chino, notando il suo sguardo triste fissato su niente in particolare, balzò in piedi e, preso un libro dallo scaffale, cominciò prontamente a leggere a voce alta. «È per aiutarvi a non cedere allo sconforto» commentò brevemente guardandola da sopra gli occhiali.

Priscilla volse su di lui uno sguardo indifferente. «Come posso non sentirmi sconfortata?» chiese.

«Sì, capisco. Ma nessuno dovrebbe versare in questo stato d’animo già a colazione. Perché altrimenti tutto il giorno ne sarà rovinato».

«Sarebbe rovinato in ogni caso» replicò Priscilla col capo sempre più chino.

«Sentite, vostra altezza».

E con una fetta di pane imburrato in mano, da cui staccava rapidi, occasionali morsi, e l’altra impegnata in una serie di opportune gesticolazioni, Fritzing lesse ad alta voce alcuni passi dei Persiani di Eschilo, prima in greco per la gioia delle proprie orecchie, poi in inglese per l’edificazione di Priscilla. Dopo la prima riga prese il largo pure lui, veleggiando per remoti mari dorati e gloriosi, luoghi dove le parole erano sublimi e le gesta eroiche, luoghi impervi e meravigliosi, diversi da Creeper Cottage nel modo più ammirevole e distensivo possibile. Faceva rotolare le frasi sulla lingua, le assaporava, riluttante a lasciarle andare. Priscilla lo fissava, chiedendosi come riuscisse anche per un solo istante a dimenticare la realtà, il presente.

«“Serse condusse, Serse distrusse, Serse imprudente, al mar che tutto sugge, mal sue navi affidò...”» declamava Fritzing.

«Probabilmente assomigliava a noi» mormorò Priscilla.

«“O Dario l’incolume, il protettore! Mai donna patì lutto per sua mano”».

«Che carino» mormorò Priscilla. «“O Dario!”»

«Vostra altezza, come posso leggere se mi interrompete? E un così bel passo, poi».

«Ma anche noi abbiamo bisogno disperato di un Dario...» gemette Priscilla.

«”Le navi avanzarono, navi dalla faccia grigia, una somigliante all’altra come si somigliano gli uccelli. Insieme agli equipaggi che trasportavano furono distrutte per mano dei greci. Persino il re sgusciò a fatica, abbiamo udito dalle pianure di Tracia. E dietro di sé lasciò i primi morti, marinai senza sepoltura sulle rive di Salamina. Piangi, roso dalla sventura, grida, e sia un grido profondo, un dolore che salga fino al cielo, estenua in un grido, lungo come un ululato, la tua voce infelice. Macerati dal mare tremendo, spolpati dai silenziosi figli delle acque incorruttibili. È in lutto ogni casa, priva del suo padrone...”»

«Fritzi, smettila, ti prego» lo implorò Priscilla. «Non è meno sconfortante dei pensieri in cui mi arrovellavo un attimo fa».

«Vostra altezza, la differenza è che questo brano è bellissimo, mentre lo sconforto in cui siamo immersi è mero squallore. “I silenziosi figli delle acque incorruttibili...” non lo trovate meraviglioso?»

«Ma se non capisco nemmeno cosa vuol dire» sospirò Priscilla.

«Vostra altezza, è un modo elevato di alludere ai pesci».

«Non mi interessa».

«Signora, è possibile che l’influsso malefico di circostanze passeggere ed esterne si sia insinuato e sedimentato in ciò che dovrebbe restare sublime e inaccessibile, la vostra anima?»

«Dei pesci non voglio sapere nulla» ribadì Priscilla indifferente. E con un movimento brusco spinse indietro la sedia e balzò in piedi. «Insomma» esclamò con un battito di mani, «come puoi parlami di pesci quando non riesco a vedere uno spiraglio di speranza per il futuro?»

Tenendo il dito sulla pagina, Fritzing la guardò. Una metà di lui era ancora sul fondo dei mari classici, con i marinai dilaniati e spolpati. Oh, come avrebbe desiderato restare laggiù, continuare a leggere ancora un po’ di Eschilo, portare Priscilla con sé per un breve interludio sereno in quel rifugio lontano dal presente tormentato, e dimenticare, almeno per lo spazio di un mattino, la necessità, la malinconia, i problemi da affrontare, le decisioni da prendere. Già, bisognava decidere. Ma cosa?

Il pover’uomo non ne aveva idea. Né ce l’aveva Priscilla. Rimanere a Symford sembrava impensabile, ma anche andarsene. E piuttosto che tornare a Kunitz in disgrazia e gettarsi ai piedi paterni, piedi che in tutta probabilità l’avrebbero presa a calci, Priscilla avrebbe preferito morire. Del resto, come poter rimanere a Symford, circondata dai paesani furenti, con Tussie vicino di casa, Robin che tornava per le vacanze, Mrs Morrison che la odiava, lady Shuttleworth che la detestava, il padre di Emma che la aborriva e le mani sporche del sangue di Mrs Jones? Era possibile vivere in pace in un luogo tanto maledetto? D’altro canto, come allontanarsene? Anche ipotizzando di riuscire a calmarsi abbastanza per fare nuovi progetti, non avrebbero comunque potuto metterli in pratica per via dei debiti.

«Fritzi» esclamò Priscilla con più passione di quanta ne avesse mai messa in un discorso, «la vita è troppo, per me. Troppo, ti dico!» E con un gesto delle braccia, come a volersi ributtare tutto alle spalle, come a voler impedire che tutto le piombasse addosso, e la soffocasse, uscì di corsa in strada per rifugiarsi in camera sua e starsene in pace, chiudendosi la porta alle spalle per paura che lui la seguisse per chiarire e consolare. Lo lasciò solo con Eschilo, nella cui lettura lui, uomo invidiabile, si immerse nuovamente con un sospiro. Priscilla corse alla cieca, a precipizio, come corre chi è inseguito da uno sciame di insetti letali che cerca invano tenere a distanza; e nel farlo andò a cozzare contro qualcuno che arrivava dalla direzione opposta, urtandolo in pieno, quasi ruzzolando a terra. Sollevando lo sguardo con la frettolosa angoscia di chi è chiamato a sopportare anche l’ultima goccia, dischiuse le labbra attonita: colui in cui si era imbattuta era il principe – l’ultimo della serie, distintosi da tutti gli altri per avere placato l’impertinente effervescenza del granduca con la semplice parola Stupidaggini – che tanto ardentemente aveva desiderato sposarla.