Parte Seconda

 

27.

Torino, marzo, lunedì

 

Alla Casa di Accoglienza Massimo non riusciva a stare dietro alle rimostranze di Manuela: aveva già troppi pensieri per conto suo.

La ragazza era scoraggiata e affranta, non sapeva come gestire Maria e Nezhat. Le due ragazze, con le loro storie diverse nel contesto, ma simili per quanto dolorose, sembravano sempre sull’orlo di piangere e non manifestavano il minimo interesse per il suo cosiddetto corso di italiano. Manuela aveva già speso ore ed ore con il verbo “essere” ed il verbo “avere” in tutte le loro coniugazioni, ma le sue allieve, che l’avevano ascoltata con noia, da una volta all’altra non mostravano il minimo progresso, anzi, sembrava che non cogliessero neppure la differenza tra un ausiliare e l’altro.

Manuela voleva qualche dritta da Massimo, non capiva cosa non stesse funzionando a dovere.

Massimo minimizzò, disse che era normale che donne che uscivano da storie così terribili provassero apatia, se non depressione, per un certo periodo. Di fatto, però, non fornì alla sua collaboratrice nessun suggerimento pratico per venirne a capo.

Manuela, tenace come sempre, non voleva demordere:

  • Sì, va bene, la depressione post traumatica è fisiologica, ma io cosa devo fare, però?

Massimo era quasi spazientito:

  • Prega e chiedi un’ispirazione a Dio.

Manuela si sentì presa in giro. Perché doveva essere Dio a darle un’ispirazione, quando lei la stava domandando direttamente ad un professionista del volontariato? Perché Massimo, che pur faceva quel mestiere da anni, non sapeva o non voleva suggerirle la risposta che cercava?

Alzò gli occhi al cielo e pensò:

  • Scusa, Dio, ma visto che Massimo non si smuove, mi sa tanto che l’ispirazione me la devi dare proprio tu. E se mi dai anche un aiuto, diciamo che non ci sputo sopra.

Dopodiché, con il morale sotto le scarpe, si recò all’appuntamento settimanale con le sue due allieve.

All’inizio le sembrò che fosse tutto come sempre. Maria che storceva il naso e si distraeva in ogni momento: non la guardava neppure negli occhi. Nezhat che faceva finta di applicarsi, ma il verbo “essere” proprio non le entrava in testa.

Erano già passati venti lunghissimi minuti quando, improvvisamente, Nezhat, incurante della lezione, si rivolse a Manuela con uno sguardo luminoso ed esclamò, nel suo italiano penoso:

  • Bela, tua giacca!

Maria, stranamente entusiasta, le fece eco:

  • Sì, molto bela!

Manuela si bloccò. Certo che la sua camicetta era bella. Settanta euro all’outlet di Serravalle Scrivia, era un pezzo firmato. Menomale che qualcuno se ne accorgeva. D’altronde, le due poverette che aveva di fronte, avevano ben motivo di invidiargliela: portavano dei vestiti veramente deprimenti. Nezhat, di origine musulmana, fino al giorno prima aveva indossato il chador, mentre ora, pur senza velo, continuava a tenersi addosso quegli orrendi camicioni e pantaloni larghi e informi che non mettevano in risalto nulla del suo fisico armonioso. Maria, quando era giunta in comunità, sfoggiava abiti succinti e stivali volgarissimi, e tutto il suo guardaroba si riduceva a top leopardati, giacchette ridicole piene di paillettes e minigonne vertiginose. Ovviamente il suo vestiario era stato prontamente sostituito con altri tipi di indumenti procurati dai volontari, ma si trattava di orribili camicette fuori moda, gonne senza personalità e maglie sdrucite. Manuela aveva anche chiesto a Massimo di attingere dal budget della Casa per comperare qualcosa di più consono da fare indossare a Maria, ma Massimo era stato irremovibile: i vestiti arrivati erano della taglia giusta, quindi andavano più che bene. I soldi bisognava tenerli per acquistare cibo, medicine e pannolini. Manuela, pur contrariata, aveva dovuto attenersi all’ordine.

Ora però, erano le ragazze stesse che mostravano un interesse, assai vivo, per giunta, per i capi di abbigliamento alla moda.

  • Vi piace? – domandò Manuela indicando lusingata quello che aveva indosso.

Maria e Nezhat annuirono entusiaste.

  • Però non è una “giacca”, – specificò Manuela, – è una “camicetta”.
  • Camicetta! – ripeterono in coro Maria e Nezhat.

In quell’istante Manuela realizzò che l’ispirazione domandata direttamente a Dio le era appena arrivata.

 

28.

Torino, marzo, mercoledì

 

La troupe televisiva era arrivata e ripartita in mezza giornata: il videoclip di presentazione di Ljuda era pronto. Per tutto il pomeriggio Massimo e la moglie avevano litigato. Lui, oltre a mostrarsi contrariato dall’invasione dei tecnici televisivi in casa, i quali avevano creato un gran trambusto e svegliato i bambini, non voleva assolutamente prestare il proprio consenso affinché i piccoli comparissero nel filmato. Alla fine, a forza di tira e molla, Ljuda l’aveva spuntata. I bambini servivano ad evidenziare il suo aspetto materno e a intenerire il pubblico nei confronti della concorrente mamma. Massimo alla fine dovette cedere, ma era arrabbiatissimo. Per ripicca rispose che lui, invece, non si sarebbe fatto riprendere neanche morto, ma la Produzione gli rispose soavemente che non era affatto necessario e che, anzi, il suo atteggiamento schivo da “eroe senza volto” che non vuole mostrarsi in televisione sarebbe stato un’ottima propaganda per la sua “Casa di Accoglienza”, su cui la Produzione stessa si riservava di fare uno speciale, magari in seguito.

Massimo si imbufalì ulteriormente.

Quando la troupe se ne fu andata, Ljuda proseguì con i preparativi per l’ingresso nella Casa. Le sembrava di partire per un lungo viaggio, una lunga vacanza meravigliosa.

Trascorse molte ore a riempire una grossa valigia che Ketty le aveva prestato per l’occasione. Ci mise dentro creme idratanti profumate, un sacco di cosmetici e tutti i vestiti che riuscì a farci stare. Rendendosi conto che il suo guardaroba da casalinga ormai non era molto alla moda, uscì più volte per fare shopping, facendosi ancora anticipare i soldi da Ketty, che per la causa fu lieta di darglieli, insieme ad alcuni capi in vendita presso il suo negozio.

Massimo la guardava con disapprovazione mentre lei si provava scarpe con tacco da dodici e le ficcava nella valigia. Intanto che effettuava tutte quelle operazioni, Ljuda non solo era perfettamente indifferente alle rimostranze del marito, ma appariva dimentica pure dei figli: Caterina frignava, Sergio le girava intorno alle gambe, ma lei non dava retta a nessuno dei due.

 

29.

Torino, marzo, lunedì

 

La sera prima della partenza, Massimo espresse nuovamente il proprio disappunto:

  • Te lo dico per l’ultima volta, Ljuda: lascia perdere questa storia. È una tentazione satanica, non porterà nulla di buono. Non abbiamo necessità di alcun reality per essere felici. Abbiamo tutto quello che ci serve: la casa, i bambini e il lavoro. La Provvidenza ci darà tutto quello di cui abbiamo bisogno.

Ljuda invece rispose con durezza:

  • E basta con questo muso lungo, con questo viso appeso! Le tentazioni sataniche, la Provvidenza! Sembri un disco rotto! Sono anni che ascolto sempre le stesse storie, e dove siamo arrivati? Cosa abbiamo ottenuto? Siamo poveri in canna, abbiamo due bocche da sfamare oltre alle nostre e tu non fai nulla per evitare che ne arrivino altre! Non vado al cinema né a ballare da tre anni, non esco mai a divertirmi, non ho neppure un’amica con cui bere un drink ogni tanto. Che cosa ti fa pensare che la vita che ho mi renda felice? Sono io che te lo dico per l’ultima volta: voglio fare questa cosa per me, voglio vivere questa esperienza e se, come spero, sarà positiva, porterà cose buone per tutta la famiglia: avremo soldi, avremo un po’ di notorietà e persino la tua Casa di Accoglienza ne trarrà vantaggio!

Massimo non aveva ascoltato tutto lo sproloquio per intero, si era fermato a metà:

  • Dunque con me non sei felice? La vita che condividiamo non ti appaga? – era ferito. – Eppure lo sapevi quello che avevo da offrirti, anzi, sei stata proprio tu a chiedermelo.

Ljuda cercò di rimediare, senza troppa convinzione:

  • Massimo, io ti amo, davvero, e so che mi mancherai e che mi mancheranno moltissimo i bambini. Ma essere costantemente senza un soldo e circondata da neonati urlanti non è propriamente uno spasso. Non c’è nulla di male a voler spezzare per un po’ la routine…

Massimo andò a coricarsi con una sensazione sgradevole nel petto. Non era più sicuro che Ljuda fosse la persona giusta per lui.

 

30.

Londra, marzo, lunedì

 

Futura era ospite di Sally ormai da qualche giorno. Non aveva più cercato Patrick e nemmeno era stata da lui contattata in alcun modo. Kenneth, il biondo e atletico fratello architetto di Sally, con i suoi occhiali rotondi e le sue guance rubizze le aveva ceduto il suo letto, trasferendosi sul divano. Futura aveva la sensazione che l’amico sarebbe tornato volentieri nel proprio letto, ma senza sfrattarla. Per carità, le sue attenzioni verso di lei erano discrete e delicate, tanto più ora che la ragazza cercava di uscire da un momento così doloroso. Eppure non vi era dubbio che se lui avesse potuto osare un po’ di più lo avrebbe fatto. Poteva essere solo una questione di tempo.

A Futura Kenneth non dispiaceva, di per sé. Era un tipo simpatico, pieno di interessi. Laureato in architettura, era a Londra per seguire un master che aveva come oggetto i campus universitari: progettazione e riqualificazione. Tuttavia Futura aveva sempre pensato a lui solo come ad un amico: la presenza esclusiva di Patrick nel suo cuore non era stata mai messa in discussione, almeno fino a quel momento.

Quando si sentì fisicamente meglio, Futura cercò di sdebitarsi per l’ospitalità cucinando piatti italiani. Non era così semplice, data la carenza di alcuni ingredienti fondamentali.

Eppure i due fratelli ospiti si prodigarono in complimenti e ribadirono molte volte che lei poteva trattenersi lì con loro finché avesse voluto. Per dividere l’affitto, eventualmente, si sarebbero accordati comodamente più avanti.

 

Patrick, dopo la litigata in ospedale, tornò con grande lena al suo lavoro e con esso cercava di anestetizzare tutto il risentimento e il dolore che provava. Temeva che Futura non volesse più avere nulla a che fare con lui, e questo lo spaventava e lo deprimeva, ma poi pensava anche che la sua ragazza era dannatamente cocciuta, che non lo voleva neppure ascoltare, e questo lo faceva arrabbiare e sentire ferito nell’orgoglio. Se voleva riappacificarsi, era lei che doveva fare il primo passo.

Un giorno le scrisse una breve e-mail:

 

 

 

Da patrick.p@gigmail.com

A futurix@gigmail.com

Alle 7:50 p.m.

 

Ciao Futura,

è così che finisce una storia? È così che finisce la nostra storia? Ma perché finisce? Credimi, non lo capisco. È perché tu sei rimasta incinta e io all’inizio non volevo il bambino? O perché soffri per l’aborto? O perché non vuoi starmi a sentire quando io cerco di spiegarti a mia volta cosa provo?

Accidenti, ma perché non mi vuoi lasciar parlare, perché non mi vuoi ascoltare fino in fondo, prima di decidere se veramente vuoi rompere con me?

Perché non riesci credere che dal giorno dell’ecografia, nella mia testa e nel mio cuore era cambiato tutto? Perché non vuoi convincerti che non sono per nulla felice del fatto che tu abbia perso il bambino, anzi, soffro anche io per questo? Soffro sia per te che per lui.

Comunque sia, se sei decisa ad allontanarti da me, sappi che ho radunato un po’ di cose tue in una borsa. Se vuoi mandare qualcuno a prenderle, ci mettiamo d’accordo.

Intanto spero che tu stia meglio. Stammi bene. P.

 

L’orgoglio gli impedì di aggiungere altro. Nessun “Ti amo”, nessuna ulteriore confidenza, nessuna supplica.

Si aspettava di ricevere una risposta, pur sintetica, entro breve. Invece non ricevette nulla, se non altro perché Futura non consultò per molti giorni la casella di posta elettronica e quindi non vide neppure l’e-mail.

 

31.

Torino, marzo, martedì

 

La settimana successiva Manuela arrivò al corso preparata. Si era riempita la borsa di una serie di riviste di moda, piene di figure.

La lezione, quella volta, fu molto più intrigante. Manuela passò il tempo ad indicare il nome di tutti gli accessori e di tutti i cosmetici che comparivano nelle foto pubblicate. Scrisse anche in stampatello il vocabolo a fianco di ogni figura. Maria e Nezhat erano divertite. Ripetevano tutte le parole con impegno.

Alla fine Manuela regalò loro il “materiale didattico”, affinché si allenassero a ripetere e a memorizzare. La volta successiva avrebbe aggiunto anche gli aggettivi per descrivere ogni elemento visualizzato. Poi avrebbe ulteriormente ampliato il campo.

Manuela tornò a casa soddisfatta. Le due ospiti avevano ancora il volto segnato dal dolore e uno sguardo triste, per lo più. Certi traumi, ripetuti e protratti, non si possono cancellare con un colpo di spugna. Eppure la ragazza sentiva di avere conquistato la loro attenzione e, forse, in parte, la loro fiducia.

 

32.

Torino, aprile, giovedì

 

Ljuda era partita da un paio di giorni. Aveva stretto i bimbi a sé e li aveva baciati. Poi aveva preso la sua valigia e aveva iniziato la sua nuova avventura.

Massimo, da solo con i pargoli, era di umore quantomeno tetro. Non riusciva a gioire per la sua sposa e men che meno a condividere il suo punto di vista.

I bimbi, dopo poche ore, sentivano già la nostalgia della mamma. Sergio la cercava e la invocava senza tregua. Caterina, che ancora non sapeva parlare, frignava senza sosta. Massimo avrebbe dovuto consolarli, ma non era in vena.

 

33.

Torino, aprile, domenica

 

Quando iniziò la prima puntata della diretta, Massimo accese il televisore.

Ljuda fu tra i primi concorrenti ad entrare nella Casa, varcando la soglia con un gran sorriso. La Presentatrice Bionda la descrisse come “una giovane mamma, che partecipa al Reality con la speranza di garantire un futuro ai suoi figli e di aiutare il marito a gestire l’associazione umanitaria che dirige”. In studio si erano levati gli applausi.

Massimo per un attimo fu colto dal dubbio che la moglie potesse essere nel giusto.

Poi partì il videoclip – della durata di poche decine di secondi, e Massimo si domandò come fosse possibile che per un video così breve una troupe di sfaccendati gli avesse messo sottosopra la casa per quasi un giorno intero – dove si vide che i bambini erano poco più che neonati. Nello studio fioccarono immediatamente le critiche: che razza di madre degenere abbandonava dei figli così piccoli per inseguire il proprio sogno di gloria? Il primo a muovere obiezioni fu un noto giornalista di gossip, il Re del Gossip, che si fece portavoce del disappunto generale.

Massimo, in quel momento, ebbe la certezza di aver sempre avuto ragione.

 

 

34.

Roma, aprile, domenica

 

Varcata finalmente la soglia della Casa, l’adrenalina di Ljuda e degli altri quindici concorrenti era alle stelle. In quel momento tutto sembrava meraviglioso, era l’inizio di una magica avventura. La prima sera trascorse nell’eccitazione collettiva. I concorrenti, che tra di loro non si conoscevano, continuavano a presentarsi a vicenda e a scambiarsi baci e abbracci di benvenuto.

Ljuda non aveva idea dell’ora che fosse quando finalmente andarono tutti a dormire (nella Casa l’orologio non era consentito), ma doveva essere molto tardi.

Siccome la camera da letto, o meglio, il dormitorio comune era stato allestito solo con letti matrimoniali, la ragazza fu costretta a dividere il proprio spazio con una sconosciuta.

Il sonno non arrivò che alle prime ore dell’alba.

Ljuda mandò un pensiero ai suoi bambini e si addormentò illudendosi che tanto, il giorno dopo, non avrebbe avuto assolutamente niente da fare.

Invece quando si svegliò capì che i suoi nuovi problemi erano appena iniziati.

Per colazione non trovò quasi nulla da mangiare: altri inquilini avevano già spazzolato quasi tutto quello che c’era. In compenso la sua valigia, anzi, la valigia di Ketty, piena di bei vestiti e creme idratanti, era stata buttata goliardicamente nell’acqua della piscina da un certo Marco e un tale Pietro, particolarmente vivaci e in vena di scherzi. Ljuda dovette trascorrere l’intera mattina a stendere la propria roba, che non era poca e constatò che la valigia che aveva avuto in prestito era irrimediabilmente rovinata. Le sarebbe toccato ripagarla.

Giunta l’ora di pranzo, supponeva che qualcun altro avesse provveduto a mettere sul fuoco qualcosa. In effetti un paio di ragazze stavano spadellando, ma una certa Donatella fece notare, con un tono vagamente acido, che, essendo Ljuda l’unica sposata e con prole, forse la regina dei fornelli avrebbe dovuto essere lei. Un altro ragazzo, di cui non aveva ancora registrato il nome, le disse, scherzando, ma non del tutto, che si aspettava grandi cose dalle sue performance culinarie.

Ljuda, a momenti, si sentì male. La cucina non era affatto il suo forte, i fornelli non erano il suo regno. Era già stressante per lei fare riscaldare gli omogeneizzati preconfezionati con cui nutriva i suoi figli, figuriamoci mettere insieme una cena intera per quindici persone oltre a lei.

Avrebbe potuto fare una pastasciutta, o una minestra liofilizzata in busta, ma non di più.

Invece quindici ragazzoni di buona forchetta, famelici e annoiati, pretendevano di essere nutriti da lei. Ljuda ebbe improvvisamente nostalgia dei suoi figli, che, con le loro boccucce urlanti, erano solo due e comunque erano piccoli. E non pretendevano nessun gourmet che lei non sapesse preparare. Anche Massimo si era sempre accontentato della sbobba che lei gli serviva.

Ma Ljuda voleva rimanere a tutti i costi nella Casa. Così giocò d’anticipo e, con grande aggressività, dichiarò immediatamente che pretendeva che si facessero i turni e che nessuno doveva coltivare la beata illusione che lei avrebbe spadellato puntualmente per tutti.

Seguì un coro di polemiche, il ragazzo che ancora non aveva un nome le disse che era troppo permalosa, che lui stava scherzando e che, era ovvio, avrebbero fatto i turni. Altri concorrenti lo appoggiarono. Donatella a sua volta asserì che “regina dei fornelli” voleva essere un complimento, chissà com’era brava Ljuda, chissà quanto avrebbe avuto da insegnare agli altri. Ne seguì una bella lite che si protrasse fino all’ora di merenda e che finì immediatamente nella striscia televisiva pomeridiana dedicata al Reality.

Alla fine della giornata Ljuda non era più così sicura di trovarsi in vacanza.

 

35.

Torino, aprile, venerdì

 

Massimo aveva decisamente l’anima per traverso. Ogni volta che poteva accendeva il televisore per cercare di capire cosa stesse combinando la moglie, e ogni volta lo spegneva più depresso e stomacato di prima.

Vedeva una Ljuda che non riusciva proprio a riconoscere come la donna che aveva sposato. La Ljuda della televisione era continuamente in lite con tutti. Veniva accusata da molti coinquilini di essere una pessima cuoca (e su questo il ragazzo non si sentiva di dare loro torto), ma anche una fannullona, una musona e una piantagrane attaccabrighe. La sua Ljuda non era così.

Di fatto Massimo si augurava che sua moglie sarebbe stata per tali motivi “nominata” e quindi esclusa dal gioco in tempi brevi. La faccenda poteva avere un risvolto positivo.

Quello che lo infastidiva maggiormente era il clima di promiscuità in cui la consorte si era andata a cacciare. La questione dei letti matrimoniali, proprio non riusciva a digerirla. La sua sposa costretta a dormire sempre con qualcun altro, che non era lui. All’inizio Ljuda aveva condiviso il letto con una biondina, poi questa si era invaghita di un tamarro muscoloso e, ovviamente, si era data alla pazza gioia con lui. Lei, rimasta spaiata, aveva dovuto dormire con un altro concorrente. Maschio. Per carità, non era successo nulla. Ljuda se n’era stata buona buona in un cantuccio del letto e quell’altro ragazzo pure. Tra di loro c’erano pure dei cuscini. Eppure, per un marito, quello non era un bello spettacolo da gustare.

L’altra cosa che Massimo non digeriva era tutta la nudità che veniva ostentata sullo schermo. Chiunque, da casa, poteva vedere sua moglie farsi la doccia. Ma comunque, abluzioni a parte, tutti i concorrenti giravano sempre parecchio svestiti e succinti. Il ragazzo si domandava se veramente a Roma facesse così caldo. O se, nella Casa, tenessero la temperatura alta per farli svestire ad hoc.

Massimo era consapevole che sua moglie non era una santa. Prima di conoscere lui, ne aveva combinate di cotte e di crude. La paternità biologica di Sergio era ancora un punto oscuro. Ma dal momento delle nozze, aveva sempre rigato diritto. Non aveva mai dato spettacolo con abiti inidonei o con atteggiamenti equivoci verso altri uomini.

Invece, dentro la Casa del Demonio, tutto rischiava di cambiare, di nuovo.

 

Massimo trascorreva i pomeriggi sempre alla Casa di Accoglienza, con Sergio sulle ginocchia e Caterina nel passeggino. Nonostante la presenza dei bambini, era torvo.

Poi, da quando aveva avuto problemi in famiglia, si era un po’ distratto sul fronte della Comunità, ed ora temeva che la situazione gli sfuggisse di mano.

Non aveva ben chiaro, inoltre, che cosa stesse combinando Manuela, ma da quando ci si era messa di mezzo lei, le due nuove arrivate gli sembravano strane. Giravano con riviste di moda sotto il braccio e confabulavano, in qualche modo, parlando di “glamour” e “fashion”. Ma Manuela non doveva insegnare loro l’italiano?

Inoltre vedeva le due ragazze con addosso degli abiti nettamente diversi da quelli con cui erano arrivate o che lui stesso aveva loro procurato.

Sembrava che Manuela stesse trasformando la Casa di Accoglienza in una Casa di Moda.

Ciò non era un bene. Massimo avrebbe affrontato l’argomento con Manuela quanto prima.

 

36.

Londra, aprile, lunedì

 

L’umore di Futura non era in miglioramento, la salute andava poco meglio. Si era recata dal ginecologo per il controllo strisciando quasi i piedi.

Quello le chiese come stava:

  • Ha ancora delle perdite?
  • Qualcosa, poco o nulla.
  • Altri sintomi?
  • Sono sempre stanca, e anche depressa.

Il medico la guardò sotto le palpebre inferiori.

  • Vedo che è anche un po’ anemica, signorina. La stanchezza può derivare da questo. Le prescrivo del ferro, intanto. Come va di corpo?
  • Non tanto bene, veramente. Ho spesso delle coliche. Ma il colon irritabile è sempre stato un mio problema.
  • Ma adesso è peggio?
  • Sì, direi di sì.
  • Uhm… - il medico si fece pensieroso.
  • Ha perso del peso corporeo? È dimagrita, oppure, al contrario, ingrassata?
  • Dimagrita. Ho perso un paio di chili, di recente.

Il medico la squadrò da testa a piedi.

  • Con il trauma che ha subito, signorina, questi sintomi si possono sposare benissimo. Depressione post traumatica, perdita di peso, anemia. La causa del suo malessere potrebbe essere l’aborto. Però… potrebbe essere pure il contrario. Le prescrivo uno screening del sangue specifico. Di solito non si fa dopo un unico aborto, ma nel suo caso…
  • Teme che io abbia qualcosa di grave, dottore?
  • Nulla che non sia assolutamente curabile e risolvibile. Stia tranquilla.

 

Nonostante le rassicurazioni del medico, Futura trascorse la giornata macerandosi sul proprio stato di salute. L’unico dato certo era che tanto in forze non si sentiva.

A cena preparò una vigorosa pastasciutta.

Poi, dopo giorni e giorni di totale astinenza, si accese il computer e aprì la sua pagina di Facebook.

Fino a quel momento non era proprio stata in vena di farlo, non avrebbe saputo cosa scrivere. Non le andava affatto di condividere con amici e conoscenti il dramma che le era capitato.

Consultò i messaggi: ce n’era qualcuno, nessuno da parte di Patrick. Ciò in parte la deluse, benché se lo aspettasse. Quindi aprì le informazioni del proprio profilo.

Nel ventunesimo secolo lo stato civile delle persone non è, o non è solo quello riportato all’anagrafe: è quello che si trova pubblicato su Facebook. Gli utenti hanno la facoltà di aggiornare in tempo reale la propria situazione sentimentale, scegliendo tra alcune voci standard: single, impegnato (con…), fidanzato ufficialmente (con…), sposato (con…).

Futura si domandava se a quel punto, per come si erano messe le cose, non fosse il caso di tramutare il suo “impegnata con Patrick” in un deprimente “single”.

Ma si sentiva davvero single? Era veramente una storia finita, la sua? Patrick sarebbe stato sorpreso di trovare “single” sul suo profilo? O, ormai, si sarebbe stupito piuttosto del contrario? E ancora, Patrick aveva davvero interesse a consultare ancora la pagina di Futura, oppure aveva già chiuso il capitolo?

Nel dubbio, la ragazza curiosò nel profilo del compagno e vide che di fatto non era ancora cambiato nulla. Patrick risultava sempre essere “impegnato con Futura Accardi”. Si domandò se quel dettaglio avesse un significato, oppure se, semplicemente, il ragazzo non avesse più navigato sul social network. In effetti lui non era un accanito di Facebook, e neppure di altre comunità virtuali, pur essendo in contatto con numerose persone.

Futura concluse che comunque, prima di cambiare la propria situazione sentimentale, era meglio che ci fosse un addio ufficiale, che ancora non c’era stato. O meglio, almeno avrebbe dovuto essere sicura che la grossa litigata avvenuta all’ospedale avesse avuto anche per Patrick il significato di un addio. Lei, in effetti, l’aveva intesa così, anche se una parte di lei continuava a sperare in una riconciliazione.

Lui l’aveva fatta soffrire e poi non l’aveva più cercata: l’orgoglio le vietava di compiere il primo passo, ma non le impediva di provare ancora un forte sentimento per il suo ragazzo.

Futura, per principio, aveva in odio le relazioni che si basano esclusivamente su istinti passionali: troppe volte in passato aveva visto amici lasciarsi, perché non si sopportavano, litigavano, erano incompatibili ed egoisti, e poi riprendersi di continuo solo perché mossi da un malsano sentimento di dipendenza. A lei certi quadretti sembravano aberranti, e mai avrebbe voluto trovarsi in un tiramolla di quel genere. Aveva sempre giurato a se stessa che, nel momento in cui con Patrick o con chiunque altro fossero venute a mancare delle motivazioni razionali per continuare la relazione, lei avrebbe troncato. Ora, razionalmente, Patrick l’aveva delusa, quindi, per coerenza, lei avrebbe dovuto chiudere, e stava cercando con tutte le sue forze di farlo. Ma la sua parte emotiva e sentimentale, che lei cercava in ogni modo di ignorare, non era così semplice da zittire.

Ogni cosa le ricordava lui. Anche quando cucinava pensava che “quel piatto” lo aveva preparato per lui in una certa occasione. Abituarsi a dormire da sola era stato durissimo, anzi, Futura non si era ancora abituata affatto. Anche il periodo della gravidanza in cui tra lei e Patrick era sceso il gelo, quando nel letto non c’erano più carezze, ma solo una presenza distaccata, era stato meglio di quello che viveva ora. Una presenza fredda, benché angosciante, era meglio di un’assenza totale.

Futura non riusciva più a negarlo: lui le mancava. Le mancavano i suoi abbracci, i suoi baci, le mancava il suo sorriso e la sua fisicità. In certi momenti avrebbe dato qualunque cosa per riavere tutto come prima, ma poi, riflettendoci, si rendeva conto che nulla sarebbe tornato come un tempo, e che lei avrebbe fatto bene a farsene una ragione.

Le restava solo un dubbio: poteva, un ultimo chiarimento con Patrick, essere proficuo, oppure le avrebbe portato solo ulteriore dolore? Valeva la pena incontrarsi per ufficializzare un addio, o sarebbe stata solo una perdita di tempo e di serenità?

 

Mentre rifletteva, aprì la casella di posta elettronica e, finalmente, vide la sintetica mail che il ragazzo le aveva mandato molti giorni prima. Per certi versi era deludente. Era breve, senza troppi complimenti. Ed era stata l’unico modo in cui lui aveva cercato di contattarla. Inoltre Patrick non le chiedeva di tornare sui suoi passi. Non la implorava di restare a Londra. Però continuava a ripetere di avere delle cose importanti di dirle, a proposito del bambino, a proposito dei suoi sentimenti. Asseriva addirittura che dopo l’ecografia “era cambiato tutto”.

A quel punto Futura si sentì più confusa di prima. Una parte di lei continuava a ripeterle che i tentativi di Patrick per trattenerla con sé erano decisamente troppo scarsi per essere presi in considerazione. Un’altra parte invece si domandava se invece, data al ragazzo la possibilità di parlare, tra loro due sarebbe potuto cambiare qualcosa. La sua parte emotiva tifava spudoratamente per la seconda opzione.

 

37.

Londra, aprile, lunedì

 

Nell’ultimo periodo Patrick aveva cercato di ignorare il pensiero di Futura, che pure si affacciava nella sua testa in ogni momento della giornata. Convinto che la ragazza consultasse la posta elettronica tutti i giorni, era in parte rammaricato, in parte contrariato per non avere ricevuto neppure un sms di risposta alla breve e-mail che le aveva mandato. Sembrava che a Futura non importasse più nulla di lui e neppure le interessasse riprendersi le sue cianfrusaglie.

La casa ora era decisamente vuota senza di lei, e pure molto più sporca.

L’unico modo che aveva per tirare avanti senza pensare era dedicarsi alla sua professione anima e corpo. Patrick usciva di buonora, raggiungeva l’ufficio, lavorava come uno schiavo, con poche soste e una misera pausa pranzo, e usciva dopo il tramonto del sole. Solo Claire riusciva a stare dietro ai suoi ritmi. Michael era molto soddisfatto: il progetto aveva fatto passi da gigante nell’ultimo periodo. Persino nel fine settimana Patrick ci si applicava: aveva più volte invitato a casa sua i suoi collaboratori di sabato mattina e tutti insieme, ordinate delle pizze per pranzo, avevano tirato fin quasi all’ora di cena.

Patrick non l’aveva fatto per reale urgenza con il progetto: in verità lui non avrebbe sopportato la casa vuota così a lungo.

La sera, però, quando si ritrovava infine da solo, iniziava a pensare e a non dormire.

Futura era stata chiara con lui: voleva ricominciare una vita da un’altra parte, voleva voltare pagina. Non voleva credere alla sua buona fede, non voleva più neppure ascoltarlo.

Il pensiero di una tale chiusura da parte della sua ragazza lo faceva letteralmente diventare matto. Non si rendeva conto, Futura, che così avrebbe buttato via una storia importante?

Valeva davvero così poco, la loro relazione, da meritare una fine così misera?

A quel punto della riflessione a Patrick, puntualmente, saliva una ondata di rabbia. Lui con Futura aveva messo in conto di rimanere a lungo, addirittura tutta la vita, forse. Invece lei voleva mollare tutto per un’incomprensione. Andasse al diavolo! Poi però Patrick si guardava intorno e si sentiva dannatamente solo. La verità era che aveva perso la sua compagna, aveva perso il suo bambino, aveva perso veramente tutto.

Forse, in fin dei conti, avrebbe fatto bene ad andare oltre pure lui.

 

38.

Torino, aprile, giovedì

 

L’umore di Massimo, per quanto già scarso, era ancora in vorticosa discesa. Ogni volta che accendeva il televisore vedeva la moglie intenta a litigare con qualcuno, o in reggiseno a lavarsi o, che era ancora peggio, a condividere confidenze e abbracci con qualcun altro che, per lui, era assolutamente un estraneo. Infatti, l’aspetto che più di tutti gli altri Massimo trovava incomprensibile, in tutta quella macchina perversa che era il Reality, era la complicità che sembrava crearsi tra i concorrenti, che, nonostante si beccassero di continuo, erano comunque sempre pronti a strusciarsi l’uno con l’altro, nessuno escluso.

Così Ljuda, che pure spendeva buona parte del tempo a strapazzare i coinquilini, non lesinava neppure di dare e ricevere abbracci e palpatine a destra e a manca.

Ma che cosa cavolo aveva per la testa? Sembrava pure essersi dimenticata della sua famiglia e dei suoi figli, non li menzionava mai, non mandava mai neanche un saluto al suo legittimo sposo.

 

Quando Manuela varcò la soglia della Casa di Accoglienza, quel pomeriggio, Massimo era dell’indole idonea per una scenata.

  • Manuela, per cortesia, vieni in ufficio un attimo.

La ragazza invece era di ottimo umore e non vedeva l’ora di iniziare la sua lezione di italiano con le sue due allieve.

  • Dimmi tutto! – cinguettò ingenuamente. Poi guardò l’amico in faccia e intuì che c’era aria di bufera.
  • Adesso mi spieghi per filo e per segno che cosa stai combinando con Maria e Nezhat.

Manuela cadde dalle nuvole:

  • Oh, bella, sto insegnando loro l’italiano.
  • E glielo insegni con questa? – ringhiò Massimo sventolando una rivista di alta moda.
  • Beh, cosa c’è di male? – si inalberò Manuela. - Ho constatato che partendo dalla grammatica classica non ottenevo né interesse né risultati, mentre adesso, con un argomento più interessante, il loro vocabolario si è già notevolmente ampliato!
  • Manuela, io non discuto il metodo, puoi partire dall’abc come da qualunque altra cosa, ma riempire la testa di quelle povere ragazze con le immagini sconce di queste rivistacce non è corretto e neppure morale!
  • Ma per pietà, sembra che io abbia mostrato loro delle riviste porno!
  • E non ti sembrano quasi dei porno, queste robacce? Sono zeppe di immagini inquietanti, di foto ritoccate di modelle anoressiche e immusonite! Che messaggio passiamo alle giovani che stanno qua dentro? Cosa pensi che possano recepire due ragazze come Maria e Nezhat? Una sta scappando dalla prostituzione forzata, l’altra da una vita da schiava in casa: hanno bisogno di rifugiarsi in valori solidi, hanno bisogno di sapere che c’è una rete di persone semplici che le può aiutare a rifarsi un’esistenza. A loro non serve riempirsi la testa di sogni impossibili! Con questi orrendi rotocalchi arriveranno a pensare di poter fare le modelle, oppure che la cosa più bella nella vita è indossare uno di questi gioielli o una di queste borse di pelle di serpente! Quando si renderanno conto che si tratta della ennesima illusione, saranno ancora più deluse!
  • Tu sei completamente fuori strada! Maria e Nezhat sono due donne che hanno sofferto molto, è vero, ma sono anche due ragazze giovani che si divertono a parlare di accessori di moda. Avevano questo interesse già prima, quando la loro vita stava andando in pezzi, e adesso che possono finalmente tirare il fiato, che non sono più delle povere vittime derelitte, manifestano questa loro passione per i bei vestiti. Quanto ai valori, io credo che, con quel che hanno patito, sappiano bene che cosa conta veramente. Tempo fa mi hai chiesto di dare loro amicizia, Massimo, ed io lo sto facendo. Loro apprezzano. A mio modo le sto aiutando a voltare pagina.
  • No. Limitati a spiegare loro la grammatica. Maria e Nezhat hanno bisogno di spiritualità e di sostegno psicologico. Cosa che, è evidente, tu non sei in grado di offrire.
  • Ma tu che cosa pensi? Che per uscire dalla loro situazione di depressione abbiano bisogno solo di razionalizzare quello che è successo e pregare il loro Dio, che per la cronaca non è il tuo? Credi davvero che a loro serva solo questo e il pasto caldo che tu garantisci? La psicologa ce l’hanno già, la incontrano tutte le settimane, la preghiera è un loro fatto personale, Massimo. Poi c’è tutto il resto. Hanno bisogno di distrarsi. Hanno bisogno di un po’ di frivolezza. Loro necessitano di piccole gratificazioni e coccole che rinsaldino la loro autostima, e se per fare ciò ci si può aiutare comperando una borsetta o un paio di scarpe, beh, ben venga. Credi di averle fatte contente con quegli abiti informi che sono arrivati dai volontari? Loro non te lo diranno mai, anzi, asseriranno di esserti grate: non avevano vestiti e ora invece li hanno. Ma non sono contente. Sono depresse, Massimo. Quel pacco di stracci faceva schifo. La gente libera gli armadi zeppi di fondi di vent’anni prima ed è convinta di fare beneficenza. Invece, donando certe oscenità, umilia solo le persone che le riceveranno. Maria e Nezhat, con quegli abiti, si sono sentite ragazze di serie B. Chi glieli ha regalati non si è curato di questo o forse, al contrario, si è sentito persino superiore.
  • Stai criticando il lavoro dei volontari?
  • Sto criticando il modo di fare beneficenza! I cosiddetti benefattori sono quelli che regalano cose che non si sognerebbero mai di usare per se stessi! Cosa dire, più in generale, dei supermercati che si impegnano a cederti le cose in scadenza? Quando vai a prendere i pacchi ti accorgi che in realtà molti cibi sono già anche scaduti. E noi diamo da mangiare queste schifezze alle nostre ospiti! Tu le mangeresti mai?
  • Io le mangio, esattamente come le ragazze qui, e finora non è mai capitato nulla. Sono tutti prodotti confezionati e in buono stato, che legalmente non possono più essere venduti, ma non per questo non possono essere consumati.
  • Beh, io no! Non voglio rischiare un’intossicazione.
  • Allora sei fortunata, vuol dire che non hai mai patito la fame! Manuela, il problema qui è che per mandare avanti questa baracca dobbiamo minimizzare le spese e vivere grazie al contributo che tante persone spontaneamente ci offrono. Benvenuta nella povertà, tesoro. Evidentemente non sei abituata a vivere di Provvidenza. Con la Provvidenza, credimi, non manca mai nulla. Però la Provvidenza non garantisce il superfluo, e qui non c’è niente di superfluo, solo l’essenziale.
  • Bene, spiegami allora il concetto di “essenziale”. È quello che serve per mangiare e dormire e vestirsi? E non è “essenziale” che due ragazze depresse si divertano come possono?
  • Possono divertirsi in mille altri modi, andando a fare una passeggiata, leggendo un libro, cucinando una torta, ascoltando della musica.
  • Ma tu, davvero, che ne sai di quello che piace ad una ragazza? Se tu, nel tuo percorso di vita, sei arrivato a realizzare che la moda, gli accessori, certi hobby, quello che vuoi, sono superflui, e che l’unica cosa che conta sono le necessità di base e la preghiera, questo non significa che altre persone, con percorsi di vita diversi dal tuo, la pensino allo stesso modo. Quello che per te è un punto di arrivo, per gli altri può essere un punto di partenza. Magari, negli anni, giungeranno tutti a pensarla come te, ma adesso, se traggono gratificazioni anche da altro, perché non assecondarle?
  • Manuela, tu dimentichi un concetto fondamentale: il problema non è come vivo io, il problema è che qui non abbiamo soldi da scialare! Non posso mettermi a comprare borsette firmate e scarpette per Maria, Nezhat e le altre ospiti quando devo prima comprare aspirine e pannolini. Non posso assecondare le tue smanie “glamour”, come dici tu, quando le priorità sono comunque altre.
  • Va bene, tu continua a pensare alle necessità di base. Al cosiddetto “glamour” ci penso io. A costo zero, tranquillo. Dimenticavo: a proposito di necessità di base, qualcuno dovrebbe far saltare fuori dal cappello magico un aspirapolvere per questa casa. L’igiene dei pavimenti è oscena.

Manuela uscì sbattendo la porta.

 

39.

Roma, aprile, giovedì

 

Ciò che le piaceva di più, in tutta la Casa, era l’aspirapolvere. Ljuda trascorreva diverse ore al giorno pulendo i pavimenti con quell’aggeggio fantastico. Intanto era silenziosissimo, per forza, il suo rumore non doveva coprire i dialoghi, di solito profondi, che intercorrevano tra i concorrenti. Il pubblico a casa non avrebbe dovuto perdersi neppure una parola pronunciata dai partecipanti al Reality. Poi era veramente ergonomico. Magnifico. Leggero come una piuma, maneggevole e, soprattutto, efficace. Non lasciava neppure un granello di polvere e risucchiava in un soffio tutte le schifezze che i suoi coinquilini maleducati e viziati lasciavano sparse per i pavimenti. Era tutto il contrario del vecchio bidone aspiratore che aveva lei in casa, che sgrossava un po’ di briciole, ma non igienizzava affatto. Perché non ci aveva mai riflettuto, prima? Perché neppure suo marito ci aveva mai pensato? I bambini che gattonavano chissà che cosa non raccattavano. Una volta uscita dal gioco si sarebbe procurata un aspirapolvere esattamente come quello che ora, finalmente, aveva l’onore e il piacere di usare. Se lo sarebbe fatto acquistare da Massimo. Oppure, meglio ancora, avrebbe attinto il necessario direttamente dai soldi della vincita.

Nella Casa, Ljuda, che nella sua vita ordinaria non era propriamente una casalinga modello, si era votata ai lavori domestici. Aveva capito che la aiutavano a scaricare i nervi, e lì dov’era ne aveva davvero bisogno.

I suoi coinquilini erano insopportabili, rozzi, sporchi, molti parlavano con un forte e fastidioso accento. I suoi due bambini, in confronto erano degli angeli.

Non passava giorno che Ljuda non stirasse camicie, non pulisse i lavelli e non si armasse del “suo” (guai a toccarglielo) amato aspirapolvere. La pessima fama che aveva conquistato come cuoca era stata compensata dall’ottima considerazione che avevano tutti di lei come domestica. Per l’opinione pubblica Ljuda continuava a passare dall’essere una pessima madre che non sa cucinare e che abbandona i suoi bambini in fasce ad essere una madre modello, che si sacrifica per i figli e che cura l’igiene in modo maniacale. Il pubblico, su di lei, era quanto mai diviso.

Eppure con qualcuno ogni tanto doveva pur parlare. Una sigaretta tra una faccenda e l’altra la doveva pure fumare. Qualche confidenza sulla sua famiglia ogni tanto le usciva.

 

40.

Torino, aprile, giovedì

 

Dopo la litigata con Manuela, Massimo rimpianse Ljuda una volta di più. Se sua moglie fosse stata lì, quel giorno, lui avrebbe potuto confrontarsi anche con lei. Era vero che non comprendeva per niente le esigenze delle donne? Voleva capire. Il parere della consorte gli mancava. Davvero l’igiene della Casa di Accoglienza era così penosa?

Accese il televisore. Vide Ljuda che, masticando un chewing-gum, fumava una sigaretta, e che decantava le lodi dell’aspirapolvere della Casa del Demonio, asserendo che ne voleva uno uguale e che lo avrebbe chiesto al marito non appena ritornata, il più tardi possibile, ovviamente.

Ljuda raccontava all’estranea che aveva di fronte che il consorte era una brava persona, un santo, probabilmente, ma che non aveva alcun senso pratico.

Massimo spense con rabbia il televisore e non volle ascoltare oltre.

 

41.

Londra, aprile, sabato

 

Dopo un infinito braccio di ferro mentale, Futura si era convinta che due parole con Patrick forse era il caso di scambiarle. Prima o poi, per un motivo o per l’altro, sarebbe dovuto accadere, fosse anche solo per ripartirsi le quattro cianfrusaglie che si erano comperati insieme. E allora tanto valeva. Inoltre, ogni volta che apriva il computer, la foto che invadeva il desktop ritraendoli insieme felici e sorridenti le dava una stretta al cuore e le faceva scorrere una lacrima di nostalgia. Si era riproposta tante volte di cambiare l’immagine, ma non ce l’aveva fatta.

Ogni giorno rileggeva le quattro righe che lui le aveva scritto via e-mail, e a cui lei non aveva mai risposto, e cercava di trovarci significati nascosti, nuove sfumature che le erano sfuggite. Poi la assaliva il dubbio che lui nel frattempo l’avesse dimenticata del tutto, o che fosse arrabbiato, o che avesse deciso di voltare pagina, o che non avesse più intenzione di farle le rivelazioni che prometteva nella mail, quindi le passava il coraggio di prendere il telefono e chiamarlo. Più trascorreva il tempo, più Futura aveva il timore che Patrick fosse diventato veramente l’estraneo che lei temeva.

Le ci vollero giorni e giorni di tentennamenti, numeri di telefono composti e poi cancellati, e-mail scritte e poi cestinate, per decidersi finalmente a spedire un sms: “Ciao Patrick, come stai? Ho letto solo da poco la tua e-mail di qualche settimana fa e forse hai ragione, dovremmo parlare un po’. Sei a casa oggi pomeriggio? Passerei da te. Avvertimi se non vuoi o non puoi; se ci sei ci vediamo direttamente lì. Ciao, Futura”.

Era un sabato. Premuto il tasto “invia”, Futura si era sentita avvampare. Non era ancora sicura di avere fatto la scelta giusta. La grande voglia che aveva di incontrare il suo ragazzo continuava a fare a pugni con l’orgoglio e con il ricordo della sofferenza che il comportamento di lui le aveva procurato. Ma ormai il dado era tratto e non si sarebbe tirata indietro.

 

42.

Londra, aprile, sabato

 

Quel mattino Patrick aveva invitato nel suo appartamento tutto il suo staff. Il progetto volgeva al termine e lui era quanto mai intenzionato a chiudere tutto il giorno stesso. L’indomani, da solo, avrebbe revisionato il lavoro e confezionato una bella presentazione, e il lunedì avrebbe stupito Michael.

A pranzo avevano ordinato un take-away tailandese. Patrick pensava che tutte quelle pizze e quei take-away di tutte le cucine del mondo cominciavano a stancarlo. I manicaretti di Futura erano un’altra cosa.

Poi Claire iniziò a parlare di una festa a cui avrebbe partecipato in serata in un locale molto noto e assolutamente trendy. Invitò tutti ad accompagnarla e in particolare si rivolse a lui:

  • Voglio assolutamente che tu sia presente! Sarà un evento!
  • Non so… - nicchiò il ragazzo, che aveva sempre il progetto in testa.
  • Dai! Da quanto non metti il naso fuori casa? Un po’ va bene, ma ora stai esagerando, – gli prese una mano. – Le cose non sono andate come volevi, la tua ragazza non abita più qui e tu hai sofferto, ma adesso basta! È tempo di tornare a vivere e a divertirsi! Hai l’età e il modo per farlo! Coraggio!

Patrick non rispose, ma sorrise. Forse Claire aveva ragione. Forse era davvero arrivato il momento di chiudere un capitolo e di aprirne uno nuovo. Forse una festa, come ai vecchi tempi, poteva essere il primo passo. D’altronde, Futura era sparita dall’orizzonte e non si curava più di lui. Non aveva senso tergiversare ancora.

A quel punto Claire esordì con entusiasmo:

  • Allora ragazzi, diamoci dentro! Così questa sera festeggeremo anche la fine di questo lavoro!

Si rimisero tutti all’opera.

 

43.

Londra, aprile, sabato

 

A Kenneth, intento a prepararsi le valigie, non sfuggì che Futura, per la prima volta dopo settimane, si era vestita in un modo carino e stava per uscire. Temette che lei avesse qualche appuntamento galante. Le domandò dove stesse andando. La ragazza non era certa se dirgli la verità: sapeva che l’amico non tifava per una sua riconciliazione con Patrick. Tuttavia non gli mentì. La reazione secca di Kenneth non la stupì:

  • Pensavo che avessi smesso già da un po’ di perdere tempo dietro a quel tipo. Posso trattenerti dall’andare? Temo di no, ma ti avverto: tornerai più delusa di prima. Se fino ad ora non vi siete chiariti, spiegami perché dovreste farlo proprio oggi.

 

Kenneth non aveva tutti i torti, benché fosse spudoratamente di parte. Certo, lui non sapeva della famosa e-mail di Patrick in cui Futura aveva riposto grandi speranze. Però, poteva avere comunque ragione. Il messaggio che lei aveva mandato a Patrick poche ore prima non era stato degnato di risposta. Forse lui aveva dato per scontato il silenzio assenso, certo era che un veloce feedback, anche solo un “Okay, ti aspetto” sarebbe stato gradito.

 

44.

Londra, aprile, sabato

 

A metà pomeriggio Ed e Peter se n’erano andati e Patrick non aveva voluto trattenerli. Era rimasto solo con Claire a terminare il lavoro. L’adrenalina in circolo era alta: sembrava che nel progetto finalmente tutto funzionasse a dovere, con una bella resa grafica, per giunta.

Patrick e Claire stavano effettuando le ultime verifiche, con lo sguardo fisso davanti al pc. Ripetevano all’unisono:

  • Sì!! - ogni volta che un elemento era dato per assodato.

La procedura fu lunga e un po’ snervante, ma ad un certo punto terminò, con esito tutto positivo.

I due ragazzi si guardarono negli occhi, soddisfatti:

  • Batti un cinque! – esclamò lui.

Claire lo assecondò. Poi però gli gettò le braccia al collo ed iniziò a baciarlo in modo inequivocabile.

Patrick rimase interdetto per qualche istante, poi si abbandonò a quel bacio liberatorio. Era finito, finito tutto. Era finito il lungo progetto a cui aveva dedicato gli ultimi mesi: quel software era quasi un figlio per lui, il figlio che aveva desiderato e portato a compimento, partorendolo con amore, a differenza di quell’altro, biologico, indesiderato, che non aveva saputo amare se non quando era stato troppo tardi. Era finita la sua storia con Futura, che continuava a snobbarlo, che aveva scelto di soffrire per conto suo, probabilmente in modo diverso da lui, escludendolo completamente dalla sua vita. Era finito davvero tutto quello che aveva contato per lui fino a quel giorno.

Ora invece c’era una Claire da baciare, una Claire che non attendeva altro che poterlo amare. Lei si sarebbe presa cura di lui, ora, se lui glielo avesse permesso. Lo avrebbe fatto in modo diverso rispetto a Futura, ma lo avrebbe fatto.

Futura… chissà cosa stava facendo in quel momento. Chissà se anche lei aveva già baciato un altro, ora. Forse no, forse era ancora alle prese con la sua sofferenza fisica, forse le donne ci mettono più tempo a riprendersi dalla fine di una storia, soprattutto dopo aver preso un bambino. Il bambino… Le labbra di Futura… Le labbra di Futura che accarezzavano il viso di qualcun altro. Possibile? Patrick non ci aveva mai pensato… Le labbra di Futura aperte in un sorriso comprensivo. Le labbra di Futura chiuse in una smorfia di dolore, dopo avere abortito. Il bambino che si muoveva nell’ecografia. Il bambino, con le sue braccine e le sue piccole gambe… Il cuore del bambino che pulsava… Il cuore del bambino… Il cuore del bambino… Il cuore del bambino….

  • Fermati, Claire, fermati! – Patrick si allontanò dalla ragazza con un movimento quasi brusco. Gli sembrò di essersi ridestato di colpo dopo un lungo sonno. – Davvero, non posso!

Quella lo squadrò interdetta:

  • Come sarebbe a dire che non puoi?
  • Scusami, non è una questione personale, ma non posso stare con te, non posso fare l’amore con te. Per favore, rimettiti la camicetta, – le disse porgendole l’indumento ed evitando di guardarla.

La ragazza si sentì quasi offesa:

  • Ti spiacerebbe dirmi il perché? – gli domandò rivestendosi di malavoglia.
  • Claire, tu sei una ragazza molto carina, attraente, di gran carattere… penso che chiunque vorrebbe stare con te. Ma io non posso, perché nel mio cuore c’è un’altra persona. Se adesso tu ed io facessimo l’amore, potrebbe essere piacevole, ma non sarebbe giusto per nessuno.
  • Pensi ancora a… a quella?
  • Si chiama Futura!
  • Ma ormai ti ha scaricato, ti ha escluso dalla sua vita! Non essere patetico, guarda oltre! Se è una questione di tempo posso aspettare… anche se, se tu lasciassi fare a me, sono convinta che la dimenticheresti molto prima… - così dicendo la voce di Claire si era nuovamente addolcita.

Ma Patrick la allontanò ancora:

  • Ci sono cose che tu non sai! Se Futura mi ha escluso dalla sua vita è stato soprattutto perché io mi sono comportato da stupido, ma che dico, da idiota, da vero imbecille. Adesso voglio assolutamente chiarirmi con lei, e lei dovrà starmi a sentire prima di decidere se veramente vuole chiudere la nostra storia.

Claire sbuffò. Patrick proseguì:

  • Ora, ti prego, vattene. Ho una faccenda da sistemare, sperando che non sia troppo tardi.

Poi fu come colto da un flash, gli venne in mente quello che gli aveva detto Sally il giorno dell’aborto:

  • Ancora una cosa, Claire. Quando Futura quel giorno si è sentita male ed ha chiamato in ufficio, sei tu che hai risposto al telefono?
  • Sì, – ammise lei.
  • E perché non mi hai avvertito immediatamente?
  • Pensavo che nessuno ti dovesse disturbare, che la presentazione fosse più importante di qualunque altra cosa! – si giustificò Claire.
  • Più importante della salute della mia ragazza e della vita di mio figlio? – Patrick stesso si stupì di quello che aveva detto. “Mio figlio”. Era la prima volta che pensava al bambino in quei termini. – Ormai quel che è fatto, è fatto. Ma ricordati questo: a ruoli invertiti, Futura si sarebbe comportata diversamente.

Quindi scortò la collega fino alla porta d’ingresso, che trovò socchiusa.

  • L’abbiamo lasciata aperta? – si stupì Patrick.

Poi Claire se ne andò, ma prima sibilò ancora:

  • Non sperare di trovarmi disponibile quando ti sarai reso conto di aver fatto una cretinata.
  • Non preoccuparti, non succederà.

 

Rimasto solo, Patrick tirò il fiato. Andò in bagno a sciacquarsi la faccia e quando si sentì più fresco e più lucido cercò il cellulare. Dove diavolo era finito quell’accidente? Non se ne era curato dalla sera prima. Lo trovò nel cassetto del comodino. Menomale che la casinista in casa era sempre stata Futura. Vide che c’era un sms: Futura lo aveva cercato. Lì per lì sorrise. Forse era veramente destino che loro due si chiarissero, finalmente. Poi lesse il contenuto del messaggio, guardò l’ora, pensò alla porta di casa socchiusa e fu percorso da un orribile sospetto. Prese il cellulare e il portafoglio e si precipitò, così com’era, a casa di Sally.

 

45.

Londra, aprile, sabato

 

Futura aveva aperto la porta del loft con le chiavi che ancora possedeva. Si era accorta con sollievo che Patrick non aveva cambiato la serratura. Era entrata nell’ingresso e aveva udito dei rumori provenire dalla camera da letto. Si era affacciata dalla porta socchiusa e aveva visto.

Patrick era semi sdraiato sul letto, con la camicia aperta e stava baciando quella sua insopportabile collega, la quale insisteva sopra di lui indossando solo il reggiseno.

Futura si era portata una mano alla bocca e aveva resistito a quella vista solo per pochi secondi: quindi era fuggita via senza farsi sentire, così com’era arrivata.

Aveva sceso le scale di corsa, la scena a cui aveva assistito le tornava ossessivamente davanti agli occhi come i fotogrammi di un film dell’orrore.

Patrick e un’altra. Patrick e quella. Forse aveva atteso troppo prima di cercarlo. Forse ora non avrebbe potuto neppure lamentarsi: lui aveva già superato la fine del loro rapporto. Certo che, però, ci aveva messo veramente poco. Forse quella era la prova che il cosiddetto amore di Patrick per lei non era poi un granché. In ogni caso, le cose adesso stavano così.

Forse aver visto era un bene, almeno era tutto chiaro. No, aver visto era stato solo disgustoso. Avrebbe preferito apprendere la notizia in un modo più delicato. Ora sentiva solo più di voler scappare il più lontano possibile: da Londra, dalla sua vita, da tutto.

Quando era rincasata era corsa in bagno a vomitare. Poi era andata da Kenneth e gli aveva detto:

  • Avevi ragione tu.