5.
Londra, febbraio
Non era che Patrick detestasse i bambini, tutt’altro. Non era neppure che non avesse mai pensato di avere dei figli, anzi, ma mentalmente gli sembrava un discorso remoto e posticipava l’eventualità di almeno una decina d’anni. In realtà, l’idea pur vaga di procreare non gli era mai parsa tanto vicina come da quando frequentava Futura, con cui – già sapeva – avrebbe avuto la certezza di mettere al mondo bambini che non avrebbero ereditato la malattia di cui lui soffriva dalla nascita: l’emofilia.
Eppure, proprio a causa dell’emofilia nascevano i suoi patemi. Due anni prima, a seguito di un’aggressione, era stato a lungo in coma per via di un’emorragia cerebrale. Se fisicamente aveva reagito molto bene, era un ragazzo complessivamente in salute e con sane abitudini, psicologicamente ne era uscito distrutto. Gli era parso di aver perso totalmente il controllo del proprio corpo e per molti mesi aveva sofferto di attacchi di panico, vivendo con la sensazione perenne di non aver più il comando della propria vita.
Pian piano, assumendo farmaci e seguendo una psicoterapia, si era rasserenato, aveva ritrovato un equilibrio interiore, aveva testato con mano che il suo corpo non era poi così devastato e incontrollabile e, incoraggiato anche dalla relazione stabile che aveva instaurato con Futura, aveva ritrovato la forza interiore necessaria per stare bene.
Ora che viveva con la sua ragazza e che aveva un bel lavoro stimolante, gli sembrava di avere nuovamente in mano il controllo di tutto ed era soddisfatto.
L’idea di un figlio, tanto più di un figlio arrivato all’improvviso, lo aveva lasciato spiazzato. Un bambino avrebbe completamente destabilizzato l’equilibrio pressoché perfetto che tanto faticosamente aveva raggiunto. Un pargolo avrebbe rimesso in discussione tutte le sue certezze.
Al contrario di altri, Patrick non temeva che la paternità avrebbe potuto sottrargli divertimenti e svago. Certo, anche quel pensiero gli si era affacciato nella testa, ma non era in verità la sua angoscia prioritaria. Temeva che piuttosto un bambino bisognoso di tutto sarebbe stato per lui ingestibile psicologicamente: gli avrebbe sottratto la calma interiore.
Nel suo cervello vigeva una sola equazione: “Bambino = Casino” e, pur non avendo mai esplicitato in forma chiara le sue paure, si domandava continuamente come fosse possibile che Futura non si accorgesse di quella sua difficoltà. Non capiva come mai la sua donna non si rendesse conto di quale totale perdita di controllo comportasse l’arrivo della creatura.
Per tale motivo continuava a nutrire un certo risentimento verso di lei e neppure aveva del tutto accantonato il dubbio che la responsabilità della gravidanza fosse da imputarsi a qualche sua leggerezza. Futura era una pasticciona di prima categoria, quando ci si metteva.
Patrick non aveva raccontato della gestazione neppure alla propria madre, ma ne aveva parlato brevemente con alcuni colleghi, in particolare con Claire, dato che apparteneva all’universo femminile. Quest’ultima aveva addirittura insinuato che Futura avesse cercato di rimanere incinta di proposito e poi aveva concluso con una po’ di disappunto che, indubbiamente, i bambini sono fonte di enorme sconvolgimento.
Che Futura avesse cercato di incastrarlo era una teoria che Patrick non riuscì ad abbracciare. Futura non avrebbe avuto alcun motivo per fare una cosa del genere. Non erano una coppia in crisi e lei non avrebbe avuto ragione per cercare di legarlo a sé più di quanto lui non lo fosse già. Oltretutto anche la sua ragazza aveva parecchi impegni importanti di studio e di lavoro che sarebbero saltati irrimediabilmente in caso di una gravidanza.
Tuttavia Patrick rimaneva dubbioso e parecchio angosciato: i pareri dei colleghi non erano stati incoraggianti, a partire da quelli di Claire.
6.
Londra, febbraio
Le nausee della gestazione si erano manifestate in tutto il loro vigore e Futura si trascinava mollemente tra casa e università. Si rendeva perfettamente conto che con Patrick le cose non erano più come prima, ma non riusciva a farci niente. Quando lui la trattava freddamente, lei si impermaliva – in ciò era abilissima – e si chiudeva a sua volta nel silenzio. Quando era stanca e in difficoltà, anziché chiedere aiuto al suo compagno si ingegnava per cavarsela da sola.
Nel comunicargli della gravidanza, si era immaginata che Patrick non avrebbe reagito subito gioiosamente, se non altro per l’effetto sorpresa, ma il comportamento che lui aveva messo in atto successivamente andava ben al di là delle sue aspettative. Patrick la trattava con una diffidenza e un’ostilità che le erano del tutto nuove. Non le aveva imposto un aborto e neppure le stava facendo esplicite pressioni in tale senso, ma la faceva comunque sentire in colpa e vivere a disagio. Anche se stava per lo più zitto, sembrava che lui le imputasse la gravidanza e anche la successiva decisione di tenere il bambino. Sembrava che lui gioisse a farla sentire responsabile per tutto quello che stava accadendo. Patrick pareva non accorgersi in alcun modo che la prima vittima era Futura: era innanzitutto lei che stava subendo le conseguenze di qualcosa di non voluto, che aveva già iniziato a pagare fisicamente per quello che era successo e che avrebbe pagato ancora compromettendo carriera e lavoro una volta che il bambino fosse nato.
E pensare che Futura aveva scelto di portare avanti la gravidanza memore di tanti discorsi sul senso della vita e sulle grandi sorprese che l’esistenza riserva, che aveva affrontato, proprio con Patrick, subito dopo l’aggressione da lui subìta. Avevano discusso a lungo, all’epoca, e si erano confrontati molto sull’opportunità di rimanere insieme nonostante la malattia del ragazzo, ma dopo numerose conversazioni e scambi di lettere appassionate avevano convenuto che valeva la pena affrontare la strada rimanendo uniti e che insieme avrebbero superato le brutte sorprese del destino e gioito invece di quelle belle. Insieme avrebbero accolto ciò che sarebbe arrivato, qualunque cosa fosse. Dove erano finite adesso tutte quelle promesse?
Se, poi, Futura si figurava una tipica “brutta sorpresa del destino”, le venivano in mente fior di malattie (in primis le emorragie di Patrick) ed incidenti, non certo una gravidanza. Un bambino poteva richiedere un certo riassestamento, ma nella sua testa non poteva definirsi una sciagura. Lei e Patrick non erano né così poveri né così disperati da dover rinunciare ad una nuova creatura per paura di non riuscire a sfamarla e crescerla, anzi. I genitori di Futura non se la passavano poi così male. I genitori divorziati di Patrick erano entrambi decisamente benestanti. Senza dover ricorrere a mamme e papà, Patrick stesso aveva un ottimo lavoro: avrebbero potuto permettersi una nanny a tempo pieno e per giunta ben qualificata. Per lei rinunciare al bambino significava disprezzare tutte le fortune che la vita aveva loro donato.
Eppure lui, con il suo malumore perenne, le sembrava di parere diverso, e questo a Futura non piaceva neanche un po’. Era convinta di avere dato molto a Patrick, quando era stato lui ad avere bisogno. Ora che era lei ad avere necessità di sostegno, morale e anche fisico, riceveva solo ingratitudine.
Futura cominciò addirittura a mettere in dubbio il suo rapporto con il compagno. Forse, se le premesse erano quelle, se l’arrivo di un bambino doveva essere il preludio dell’inferno, non era il caso di continuare la relazione.
7.
Londra, febbraio
Nonostante le perplessità e nonostante si sentisse un po’ deluso da lei, Patrick non aveva affatto considerato l’ipotesi di intraprendere una vita senza la presenza di Futura come sua compagna. In verità lui non aveva alcun piano. Non aveva idea di come e quando le tensioni con la sua ragazza si sarebbero risolte, né tantomeno si impegnava seriamente per smussarle. Non aveva momentaneamente intenzione di rivedere il suo punto di vista. Tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi molto legato alla fidanzata, sebbene lei avesse con ostinazione intrapreso un percorso che lui non sentiva di condividere. Quando al mattino la vedeva alzarsi, pur senza forze, per trascinarsi in Facoltà, e quando la sera la osservava, pur esausta, spadellare in cucina per entrambi senza proferire parola, Patrick era colto da un sentimento di tenerezza. In un paio di occasioni aveva provato ad avvicinarsi, a darle un bacio, ad abbracciarla, ma Futura aveva reagito freddamente, l’aveva allontanato senza fornirgli ulteriori spiegazioni. Lui si era a maggior ragione impermalito e non aveva controbattuto: il suo orgoglio ferito gli aveva fatto alzare un muro ancora più alto tra loro.
Di fatto, i due conviventi non avevano mai litigato per il bambino: semplicemente evitavano di parlare nel timore di dirsi cose che non avrebbero mai voluto.
8.
Torino, febbraio
Da quando aveva iniziato il suo servizio come volontaria presso la Casa di Accoglienza per donne in difficoltà gestita da Massimo, Manuela aveva dovuto rivedere tutte le sue certezze sulla definizione “aiutare il prossimo”. All’inizio supponeva che si trattasse di un lavoro stimolante, di un’attività che l’avrebbe fatta sentire una “eroina dell’umanità”, nonché una salvatrice del mondo. Ora, invece, era più depressa e demotivata che mai.
Aveva immaginato che fior di donne bisognose si sarebbero rivolte a lei con fiducia: a quel punto lei avrebbe elargito il suo consiglio, trovato per loro la giusta soluzione, eventualmente di natura legale (Manuela studiava Giurisprudenza) e che quelle donne se ne sarebbero andate via entusiaste, soddisfatte e al colmo della loro gratitudine nei suoi confronti.
Nulla di più lontano dal vero.
9.
Torino, febbraio
Ljuda cominciava ad essere stanca. La notte non dormiva quasi mai per più di tre ore consecutive. Il suo lavoro da commessa la costringeva a stare in piedi per mezze giornate e al suo ritorno ritrovava due pargoli piangenti e smoccolanti che le si attaccavano alle ginocchia e che non le lasciavano fare assolutamente nulla. Per quanto si impegnasse, lo stipendio era sempre un pelo sotto la sufficienza. Certo Massimo in casa le dava indubbiamente una grossa mano, guardava i bambini al pomeriggio quando lei lavorava, riordinava, preparava loro le pappe, ma non era comunque abbastanza. Ljuda amava il marito e non lo avrebbe mai lasciato, se non altro perché, dopo aver speso quattro lunghi anni per conquistarlo, non avrebbe avuto senso mandare tutto a monte. Però c’era quella questione degli anticoncezionali che rimaneva irrisolta. Massimo sembrava pronto per mettere al mondo anche una dozzina di figli, tanto la Provvidenza ci avrebbe pensato, ma lei proprio non ce la poteva fare. Eppure, con il suo ciclo sballato, prima o poi sarebbe capitato di nuovo.
Caterina era arrivata al primo tentativo, alla prima vaga idea di “lasciare la porta aperta”. Ljuda non si era rifiutata, anche perché un secondo figlio a Massimo lo aveva promesso, in cuor suo. Sperava però che ci avrebbe messo un po’ di più a concepire la creatura: all’epoca stava ancora allattando Sergio, che aveva tre mesi, e non le era arrivato nemmeno il capoparto. Si era accorta di essere rimasta incinta solo perché, dovendo prendere una medicina, aveva eseguito, per mera precauzione, un test di gravidanza. Era già alla sesta settimana.
Adesso i bambini erano indubbiamente la gioia della sua vita, ma Ljuda aveva ben chiaro che, per barcamenarsi, le sarebbero servite tre cose: un lungo periodo di astinenza per non correre altri rischi, un bel po’ di soldi e magari una vacanza da sola per riprendersi.
Dopo avere letto l’annuncio sul giornale, pensò che forse la Provvidenza stava strizzandole un occhio per aiutarla a risolvere, in un colpo solo, tutti i suoi problemi.
10.
Torino, febbraio
Quando Manuela si era presentata la prima volta nella Casa di Accoglienza aveva supposto che Massimo le dicesse: “Abbiamo questi problemi da risolvere, queste donne da aiutare, queste questioni da affrontare: aiutaci tu”. Invece Massimo le aveva detto: “Ci sarebbe da pulire i gabinetti”.
Manuela, in preda all’entusiasmo iniziale, non si era tirata indietro. Per quel giorno era finita così.
La volta successiva Massimo le aveva dato una lista della spesa, dei soldi in mano e l’aveva spedita in farmacia a comprare una serie di medicine che servivano per la Casa, più un gran bel pacco di pannolini per i bambini ospiti.
Le donne problematiche Manuela non le aveva ancora neppure viste.
La solfa si era ripetuta a lungo: una volta al supermercato a ritirare i prodotti-quasi-in-scadenza per non dire scaduti che le grandi catene di distribuzione elargivano puntualmente alle strutture come la loro; un’altra volta ai caselli dell’autostrada a distribuire depliant informativi. E via di quel passo.
Dopo circa un mese Manuela, con bel garbo, affrontò la questione con Massimo. Gli disse che in realtà lei avrebbe voluto un ruolo più attivo nella Casa di Accoglienza. Se era una questione di disponibilità oraria, ne avrebbe concessa di più. Però voleva rendersi conto di quali erano davvero i problemi, voleva provare l’esperienza umana di aiutare veramente le persone bisognose.
Massimo era caduto dalle nuvole:
- Non è quello che hai fatto finora?
Tuttavia, se proprio Manuela ci teneva ad essere ancora più partecipe della vita della Casa, avrebbe potuto affiancarlo durante i colloqui con le donne che chiedevano ospitalità. Magari, più in là nel tempo, avrebbe potuto gestirli anche da sola, se si fosse reso conto che lei aveva una buona attitudine a quel genere di approcci.
Manuela uscì abbastanza soddisfatta da quel confronto. Solo non capiva perché lui facesse tanto il difficile: non era ovvio che lei era la persona perfetta per aiutare le donne in difficoltà?
Quando Dio vuole punire gli uomini, esaudisce (certe) loro preghiere.
11.
Torino, febbraio
Il giornale parlava chiaro: provini per il Reality più famoso d’Italia a Torino la settimana successiva.
Ljuda considerò che avrebbe potuto provare. Il Reality in questione era quello dove una serie di persone non famose che non si conoscono tra loro se ne stavano chiuse in una casa piena di telecamere da cui tutta Italia le poteva guardare ventiquattro ore su ventiquattro: obbrobrio ispirato al romanzo di George Orwell, “1984”. Ogni settimana veniva eliminato, con televoto del pubblico, il concorrente che piaceva di meno: meccanismo ispirato a “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. Chi rimaneva per ultimo vinceva un premio in denaro di centinaia di migliaia di euro.
Ljuda, che peraltro ignorava le derivazioni orwelliane e christiane del Reality, focalizzò. Soldi, tanti soldi, tutti in un colpo solo, tanti da mandare all’università i figli.
Un lasso di almeno qualche settimana lontano da casa, nel peggiore dei casi, se l’avessero eliminata subito.
Un periodo di astinenza considerevolmente lungo, nel migliore dei casi, se fosse piaciuta al pubblico.
Speranze di entrare nella casa: poche, infinitesime, i pretendenti erano sempre migliaia.
Problemi se il provino fosse andato male: nessuno, bastava non dirlo a Massimo.
Tanto valeva tentare.
12.
Londra, marzo
La guerra fredda tra Futura e Patrick si stava protraendo da diverse settimane. Al mattino lei usciva di casa il prima possibile, smentendo il fatto che, tra i due, il più mattiniero era sempre stato lui. Patrick, dal canto suo, rientrava a casa il più tardi possibile: si fermava al lavoro più che poteva, si era buttato anima e corpo sul progetto che stava seguendo pur di non pensare ad altro. Quando rincasava, talvolta, trovava la cena fredda e constatava che la sua ragazza era già andata a dormire.
Si incrociavano in casa quasi come due estranei e cercavano di non parlarsi neppure per sbaglio.
Futura era sempre più perplessa per la piega che la relazione aveva preso.
Della sua gravidanza erano al corrente tre persone: sua madre Ornella e la sua amica Elettra, con cui comunicava su webcam poiché costoro vivevano rispettivamente in Piemonte e a New York, e la sua compagna di studi Sally, una biondina slavata e occhialuta con cui aveva stretto amicizia appena arrivata a Londra.
Con loro aveva discusso anche della situazione opprimente che si era creata in casa, aveva raccontato di come Patrick non accettasse in alcun modo la gravidanza e che di conseguenza la trattasse in modo freddamente ostile. Per questo lei non riusciva più nemmeno a rispondergli, anche quando lui le si rivolgeva per le cose più banali, e persino nelle faccende casalinghe lei garantiva solamente un “minimo sindacale”: la cena e i bucati. Anche se non si erano mai scontrati verbalmente in modo diretto e violento, anche se non si erano ancora insultati, la tensione tra loro si tagliava con il coltello e sembrava che dovesse esplodere da un momento all’altro.
Elettra, che adorava Patrick, caldeggiava a più non posso un riavvicinamento. Ornella, che si era fatta una ragione della presenza di Patrick accanto a Futura, raccomandava alla figlia di comportarsi in modo responsabile, qualunque decisione avesse preso sia riguardo la gravidanza, sia nei confronti del fidanzato. Sally, che non amava particolarmente Patrick, si sforzava di essere obiettiva. In ogni caso, tutte e tre le sue confidenti erano concordi nell’affermare che chiudere la comunicazione in modo così drastico non sarebbe stato proficuo per la relazione e non avrebbe portato a nulla.
Una sera, dopo varie riflessioni, Futura aveva finalmente deciso di aprirsi al dialogo col suo ragazzo, di chiedere un chiarimento, di comprendere meglio il suo punto di vista. Lo aveva raggiunto in cucina e lì lo aveva trovato al telefono con Claire. Si parlava, ovviamente, di lavoro, benché fossero le undici di sera, ma lui rideva, scherzava, diceva baggianate in un modo che con lei non faceva più da un bel po’. Allora, anziché sedersi, preparare una tisana e dirgli: “Aiutami a capirti, parliamo di questa situazione, io sto soffrendo, tu anche, è da stupidi continuare così”, Futura si inacidì ulteriormente e troncò semplicemente con un:
- Quella gattamorta ci sta provando con te da un pezzo, tu non fai altro che fare il cascamorto ed io sono veramente stufa.
Patrick fu tentato di rispondere:
- E se anche fosse? Tu prosegui una gravidanza che io non ho desiderato e non hai neppure fatto finta di chiedermi se la cosa mi stava bene. Potrò ben io continuare una telefonata con una ragazza simpatica e divertente?
Invece si morse la lingua, non era in vena di litigare, e quindi rispose:
- Ma figurati! Claire è solo una collega, che per fortuna è anche gradevole da stare a sentire, a differenza di altri che sanno parlare solo di informatica.
Futura girò i tacchi e se ne andò a dormire.
La bomba non era esplosa, la miccia era stata spenta un attimo prima della deflagrazione.
Anche Patrick era dispiaciuto per la tensione che continuava ad accumularsi in casa, ma l’orgoglio gli impediva di dire a Futura: “Chiariamoci, io tengo a te, anche se non sono contento di questa gravidanza”. Aspettava che fosse lei a fare il primo passo. Talvolta cercava di starle vicino in altro modo, facendole trovare il bucato fatto, i piatti lavati, la casa in ordine. Voleva sgravarla di un po’ di lavoro fisico, ma lei sembrava non accorgersene né apprezzava i piccoli gesti con cui lui, peraltro molto timidamente, cercava di andarle incontro.
13.
Torino, marzo
Per partecipare al provino per il Reality, Ljuda si inventò una balla colossale. Era domenica pomeriggio, l’unico giorno in cui potevano stare tutti insieme e portare i bambini ai giardinetti, ma lei doveva assolutamente sgattaiolare via. Disse a Massimo che la madre, che stava fuori Torino, stava male, aveva bisogno di aiuto con urgenza e che lei, di conseguenza doveva raggiungerla. Massimo si offrì di accompagnarla con la macchina e con i figli, ma lei lo anticipò, gli disse che i bambini avrebbero solo generato ulteriore caos: che se li tenesse lui. Lei avrebbe preso il pullman di linea e sarebbe stata di ritorno per la serata.
Preparò uno zaino, ci mise dentro una vecchia minigonna attillata che non riusciva neppure più ad abbottonare bene sul punto vita, un paio di calze a rete, una maglietta aderente e molti cosmetici.
Entrò in un bar, chiese il bagno, si cambiò completamente, si truccò pesantemente e si diresse al provino in versione “Ljuda - vecchia maniera”.
Quando gli organizzatori del casting la videro, notarono subito che era una bella ragazza fotogenica. Quando lei raccontò la sua storia (un marito strappato al sacerdozio, due figli di cui uno solo suo, un lavoro precario), rimasero ad ascoltarla con molta attenzione. Poi le chiesero il numero di telefono e le dissero che si sarebbero fatti vivi.
Ljuda fece il percorso a rovescio e, cambiatasi nuovamente, rincasò. A Massimo che le chiedeva preoccupato come stesse sua madre, Ljuda assicurò che stava molto, molto meglio. Si era trattato solo di una brutta colica renale.
14.
Londra, marzo, martedì
Nonostante il gelo sceso tra loro, Patrick e Futura avevano sempre continuato a dormire nello stesso letto, pur voltandosi le spalle. Un mattino però, al risveglio, constatarono che per una strana alchimia, dovuta forse all’amore non ancora finito, erano uno tra le braccia dell’altro Futura poggiava la testa sul petto di Patrick, il quale la teneva beatamente stretta a sé.
Futura, che si svegliò per prima, quando si accorse con sorpresa di essere abbandonata sul cuore del suo ragazzo, fu trafitta dalla nostalgia e decise di rimanere ad occhi chiusi in quella posizione ancora per un po’, per poter fingere, per un attimo, che fosse tutto come prima.
Quando lui aprì gli occhi e vide la compagna sopra di sé, sorrise sperando che i rancori della sua ragazza verso di lui si fossero finalmente dissolti. Le accarezzò istintivamente i capelli e lei, altrettanto istintivamente, aprì gli occhi.
Si guardarono a lungo senza parlarsi. Morivano dalla voglia di dirsi tante cose, di confrontarsi, ma temevano che una parola di troppo avrebbe fatto degenerare il tutto in un litigio, in una tensione ancora maggiore. Volevano dirsi che si volevano sempre bene, ma non riuscivano a mettere da parte l’orgoglio. Desideravano trovare un punto d’accordo, ma non se ne sentivano in grado. Avrebbero voluto fare l’amore, ma supponevano che non sarebbe servito a risolvere i loro problemi. O invece sì?
Stavano quasi per baciarsi quando la sveglia suonò e ruppe l’incantesimo. Futura si alzò quasi di scatto esclamando:
- Devo sbrigarmi, ho l’appuntamento dal ginecologo per l’ecografia.
Patrick fece un’espressione stupita:
- L’ecografia? Non me lo avevi detto!
- Te lo sto dicendo ora, e comunque pensavo che non ti interessasse.
- È una cosa che riguarda anche me, certo che mi interessa! Ti accompagno, – si impose lui.
15.
Torino, marzo
Quando lo staff del Reality la contattò, Ljuda stava sfamando contemporaneamente i due pargoli ed era nel pieno del casino. Sergio, che già mangiucchiava da solo, si stava strozzando con un biscotto; Caterina, non ancora autosufficiente, quel mattino non riusciva ad apprezzare la pappa lattea che di solito ingurgitava tutti i giorni senza fare storie.
Ljuda raggiunse la telefonata all’ultimo. I bimbi strillavano nel sottofondo. Dall’altra parte le dissero che sì, il primo provino era andato alla grande e che ora la aspettavano per un secondo incontro, più approfondito, nientemeno che a Roma, due giorni dopo. Era interessata? Sì? Benissimo. Le diedero l’indirizzo del posto e due recapiti telefonici.
Ljuda non riusciva a crederci. Era piaciuta, aveva delle chances. Il sogno verso il Reality continuava. Ora doveva solo trovare un modo per raggiungere Roma, i soldi per il biglietto del treno, quelli per una notte in albergo e, soprattutto, una scusa ben plausibile per sgattaiolare da casa per un paio di giorni senza che Massimo si insospettisse.
16.
Londra, marzo, martedì
Finché il ginecologo aveva parlato, Patrick aveva ascoltato solo per metà. Ma poi Futura si era stesa su quel lettino e allora era cambiato tutto. Sul video era comparso un cosino lungo quattro centimetri: all’inizio Patrick non aveva capito bene, ma poi gli era diventato tutto più chiaro. C’era una testa, c’era un corpicino, c’erano delle piccole braccia e delle minuscole gambe, appena abbozzate, ma che si muovevano in continuazione. E, soprattutto, c’era un piccolo cuore che si contraeva velocissimo e che pulsava senza sosta. E pensare che Futura era solo di undici settimane, a conti fatti, era incinta da circa un mese e mezzo.
Per Patrick era stato uno shock. In così poco tempo quella creatura aveva già assunto delle sembianze pressoché umane. Tecnicamente avrebbero potuto ancora abortire: la legge lo consentiva. Ma a quel punto persino a Patrick sarebbe mancato del tutto il coraggio.
Il ragazzo non aveva la minima idea di quello che avrebbe visto quel mattino. Supponeva che l’ecografia avrebbe evidenziato un grumo di cellule inerte e insensato. Invece no. Ora che lo spettacolo si era concluso, nella sua testa il mondo si era capovolto.
L’idea di avere un figlio lo terrorizzava ancora molto. Eppure, non avrebbe saputo spiegare il motivo, il pensiero di avere un bambino ora lo commuoveva fino alle lacrime.
Dopo l’ecografia Futura chiese al dottore:
- Io prendevo la pillola, com’è possibile che sia rimasta incinta?
Il ginecologo domandò se per caso avesse scordato di prendere qualche pastiglia. Futura negò con veemenza.
- La pillola funziona generalmente molto bene. Se lei signorina non ha saltato nessuna assunzione, la seconda possibilità è che ci sia stata un’interazione con altre sostanze chimiche. Ha preso antibiotici? Antivirali?
- No, assolutamente! Non ho assunto nulla di ciò che il foglio illustrativo elencava alla voce “interazioni”: né antibiotici, né antivirali e nemmeno iperico.
- Pensi bene a qualunque cosa abbia preso nel mese in cui ha concepito il bambino.
Futura meditò per un attimo:
- Un integratore di magnesio…
Il ginecologo scosse la testa.
- E poi un fitoterapico per dormire meglio… Guardi, ho ancora il flacone nella borsa. Contiene diversi principi attivi, valeriana, escolzia, erba di San Giovanni….
Il ginecologo, che si stava sfregando gli occhi, si ridestò di colpo:
- Erba di San Giovanni? Lei sa che l’erba di San Giovanni e l’iperico sono la stessa cosa?
- Oddio! – Futura si portò le mani sulla bocca.
- Per lo meno adesso è chiaro quello che è successo.
Quando uscirono dallo studio del medico, Futura si sentiva sconvolta. Il bambino non era il frutto del suo amore per Patrick, ma solo della sua somma ignoranza.
Patrick invece aveva recuperato parte della sua sensazione di “controllo globale”: adesso era chiaro quello che era andato storto e in futuro non sarebbe successo mai più, a costo di controllare personalmente ogni singolo eccipiente di ogni singola medicina che Futura o chi per lei avesse dovuto assumere.
Però ora c’era un bambino in arrivo. Un bambino vero, con tutto ciò che comportava. Patrick ne era ancora intimorito, ma un po’ meno di prima.
Una volta usciti i due fidanzati si guardarono senza proferire parola. Percepivano il reciproco imbarazzo. Patrick appariva visibilmente confuso. Futura era convinta che il suo ragazzo ce l’avesse con lei per la storia dell’iperico e si sentiva in colpa. Lui, a sua volta, non riusciva a formulare una frase di senso compiuto, aveva nel cervello troppe idee da riordinare.
Così si salutarono velocemente e si separarono, per raggiungere rispettivamente l’università e l’ufficio.
17.
Torino, marzo
Ljuda aveva trovato la soluzione al problema del viaggio a Roma: con la complicità della sua datrice di lavoro, Ketty, avrebbe detto a Massimo che doveva raggiungere la capitale per un corso di aggiornamento sull’allestimento delle vetrine. Ketty le aveva anche anticipato i soldi del viaggio: era una fan scatenata dei reality, di quel Reality in particolare, e nulla le avrebbe fatto più piacere che una sua dipendente vi avesse preso parte. Sarebbe stata tutta pubblicità per il suo negozio e, una volta che Ljuda fosse stata dentro la Casa, magari le avrebbe mandato un videoclip di saluti, così tutta Italia l’avrebbe conosciuta.
Massimo non fu entusiasta di quella “trasferta di lavoro”, tuttavia, se era davvero così importante, se davvero serviva a dare alla moglie delle competenze nuove e quindi delle chance in più per il futuro… lui non si sarebbe opposto e avrebbe tenuto i bambini per un paio di giorni. Magari li avrebbe portati alla Casa di Accoglienza anche al mattino: qualcuna delle ospiti glieli avrebbe accuditi mentre lui stava a scuola a tenere lezione di religione. Per un paio di giorni si poteva fare.
18.
Londra, marzo, martedì
In ufficio Patrick si sentiva con la testa completamente nel pallone. Il suo capo, Michael, lo aveva aggredito appena aveva messo piede nel suo studio: il lavoro era indietro, negli ultimi giorni aveva subito una battuta di arresto: Ed aveva avuto l’influenza e Peter si era rotto un ginocchio, ma nonostante ciò era necessario confezionare qualcosa urgentemente, il committente sarebbe passato l’indomani per valutare lo stato di avanzamento del progetto. Patrick e Claire dovevano darsi assolutamente da fare, entro il pomeriggio dovevano partorire e sottoporgli qualcosa di decente.
Il verbo “partorire” usato da Michael, tuttavia, riportò Patrick ai suoi pensieri personali, facendo passare in secondo piano le minacce del capo. Quella mattina il ragazzo cercò in tutti i modi di concentrarsi sulle mansioni che doveva svolgere, ma la sua mente correva, galoppava e tornava irrimediabilmente all’ecografia che aveva visto poche ore prima. Solo dopo mezzogiorno la nebbia iniziò a diradarsi dal suo cervello, per scendere però al cuore. Patrick percepiva dentro di sé sentimenti contrastanti, amore e un po’ di rabbia verso Futura, estrema paura, ma anche immensa tenerezza nei confronti del bambino. Era quanto mai turbato, ma ormai deciso ad affrontare il problema. Non si sarebbe più tirato indietro, non avrebbe potuto, dopo avere visto l’ecografia.
Alla fine, dopo aver perso la mattinata lavorativa tergiversando, optò per un compromesso con se stesso: quel giorno non avrebbe più pensato né a Futura né al bambino, ma una volta rincasato si sarebbe seduto a cena con la sua compagna e avrebbe parlato con lei, avrebbe detto tutto quello che pensava, le avrebbe confessato tutte le sue ansie, ma anche le emozioni che aveva provato alla vista dell’ecografia, le avrebbe ribadito che le voleva bene e che forse, anzi, sicuramente col tempo ne avrebbe voluto anche al piccolo, che tutto sarebbe andato a posto. A quel punto Futura lo avrebbe rassicurato, avrebbe proposto qualche soluzione sensata e la loro vita sarebbe ripresa dal punto in cui si era interrotta.
Anzi, per non affaticare la sua ragazza già spossata dalla gestazione, quella sera sarebbero usciti a cena fuori. L’avrebbe portata in un posto intimo in cui avrebbero potuto parlare senza essere interrotti da nessuno e senza la preoccupazione di dover sparecchiare e lavare i piatti. Si sarebbero rilassati. Avrebbero fatto il punto della situazione. Patrick teneva a Futura, ci teneva un sacco. Era arrivato il momento di rimettere la loro relazione sui giusti binari.
I pensieri che gli avevano riempito la testa si condensarono malamente in un sintetico quanto sibillino sms che Futura ricevette nel primo pomeriggio mentre si trovava a casa di Sally dove aveva pranzato:
“Stasera ti porto a cena fuori. Dobbiamo assolutamente parlare. Fatti trovare pronta a casa per le 7 p.m. P.”
Dopo avere letto il messaggio, Futura era più dubbiosa di prima. Aveva trascorso la mattinata a macerarsi sull’erba di San Giovanni e a figurarsi nuove e rinnovate ostilità da parte del compagno. Erano settimane che Patrick la guardava con sospetto: ora che aveva avuto conferma che la colpa della gravidanza era da imputarsi alla sua imbranataggine c’era da aspettarsi di tutto.
Futura aveva speso l’intera mattinata a parlare con Sally, e con il fratello di costei, Kenneth, dei suoi problemi sentimentali. Aveva raccontato loro della visita dal ginecologo e dell’esito della consulenza, dei suoi timori nei confronti delle reazioni di Patrick, il quale nelle ultime settimane si era comportato in modo completamente diverso da come lei avrebbe mai immaginato e aveva concluso dicendo che non era più sicura di voler proseguire la relazione con lui, sia perché quello che aveva di fronte non era lo stesso ragazzo con cui si era fidanzata un paio di anni prima, sia perché, se lui non fosse stato in grado di volere bene al bambino, tanto valeva che lui ne prendesse le distanze.
Kenneth le aveva detto che faceva bene a mollarlo, se quelle erano le premesse. A detta sua lei meritava una persona che la rispettasse di più e che la amasse sul serio. Futura non era rimasta molto impressionata dal commento dell’amico: già da tempo sospettava che lui le facesse il filo e che non perdesse occasione di esprimere un giudizio velatamente maligno su Patrick. La reazione di quest’ultimo alla gravidanza era stata, in quel senso, una manna dal cielo. Da settimane Kenneth continuava a sparare a zero su di lui, insinuando che un fidanzato come si deve (probabilmente alludeva a se stesso) non avrebbe mai e poi mai assunto un atteggiamento così disdicevole.
Sally invece manteneva una linea più neutra, cercava di valutare i pro e i contro di tutto e non attaccava mai l’atteggiamento di Patrick per partito preso, anzi, invitava sempre Futura a cercare di capire quali fossero le motivazioni di fondo di tutto ciò che succedeva. Ma poi le suggeriva anche di guardarsi intorno e di valutare se veramente il gioco valesse la candela.
Quando lesse il messaggio, Futura fu percorsa da un piccolo brivido:
- Suona come una minaccia. “Dobbiamo assolutamente parlare. Fatti trovare pronta a casa per le 7 p.m.”. Non ho davvero voglia di sopportare altro rancore. Sull’iperico ha la sua parte di ragione, ma ormai il danno è fatto… Cosa vorrà Patrick da me? Vorrà rimproverarmi? Vorrà ancora ripetermi che sta gravidanza porterà solo del casino? Non penso di potercela fare… O vorrà scaricarmi?
- Però ti porta a cena fuori. Sembra una cosa carina. Se volesse soltanto dirti qualcosa di brutto non ti pagherebbe una cena! – fu rassicurante Sally.
A Futura venne in mente con terrore di quando la sua amica Martina fu invitata al ristorante dal fidanzato di allora, Giulio, che era un sadico scatenato, il quale, dopo avere impedito alla ragazza di ordinare più di una insalata, prima si ingozzò come un porco e poi le lasciò anche il conto da pagare. Quella sera aveva deciso che voleva umiliarla e ci era riuscito magistralmente. Patrick però era molto diverso da Giulio. Non si era mai spinto fino ad un tale livello di aggressività. Forse davvero la sua era una offerta di pace. Forse la cena sarebbe stata il preludio di un cambiamento in positivo. Forse il suo ragazzo, dopo un periodo di smarrimento, si stava ricredendo sul bambino. Forse…
Futura trascorse la rimanente parte del pomeriggio illudendosi che la sua vita e la sua relazione con Patrick avrebbero ripreso una piega costruttiva.
19.
Torino, marzo
La prima volta che alla Casa di Accoglienza era giunta una ragazza nuova, Massimo aveva coinvolto Manuela, come le aveva promesso.
Era arrivata una nigeriana che parlava a stento l’italiano. Doveva avere circa vent’anni. Era sbarcata in Italia con la promessa di un impiego da badante. Per espatriare le avevano fatto firmare un foglio in cui si impegnava a restituire una somma di denaro che ammontava a circa cinquantamila euro, comprensivi del viaggio e dei documenti. Una volta in Italia però il cosiddetto lavoro non c’era, al contrario le era stato sequestrato il passaporto e lei era stata costretta alla prostituzione. Lei aveva dunque compreso che la promessa del lavoro era stata solo una trappola organizzata da un gruppo malavitoso albanese e che per riavere la libertà avrebbe dovuto prostituirsi fintanto che il debito non fosse stato saldato.
Purtroppo, per quanto si desse da fare, sotto costante minaccia di violenza fisica e sotto la perenne sorveglianza di una “madame”, il debito sembrava non scendere mai.
Alla fine la ragazza, che aveva un nome impronunciabile, ma in Italia era conosciuta come Maria, aveva deciso di scappare e di chiedere aiuto alle autorità, ma adesso doveva trascorrere qualche tempo nascosta. La vita di strada era un compromesso troppo pesante per lei, che voleva campare onestamente e non con il timore perenne delle bande criminali e delle brutte malattie.
La denuncia contro gli sfruttatori le avrebbe garantito protezione e un permesso di soggiorno. Maria aveva paura, ma dopo l’ennesima dose di botte si era finalmente decisa a cercare aiuto.
Manuela si accorse che la ragazza che aveva di fronte era piena di lividi, ben visibili nonostante la pelle scura.
Alla fine dell’incontro Manuela era quanto mai turbata. Fino a quel momento di storie del genere ne aveva lette a centinaia sui giornali, ma trovarsi davanti una persona che aveva vissuto un’esperienza come quella era un altro paio di maniche. Maria aveva circa la sua stessa età, ma non aveva avuto alcuna possibilità di studiare o di pianificare un roseo e appagante futuro. Cosa avrebbe fatto Manuela se fosse stata al suo posto? Cosa avrebbe fatto se fosse stata costretta a prostituirsi, anziché frequentare lezioni all’università?
Manuela guardava anche Massimo con curiosità. Di fronte a quella ragazza non c’erano parole che lei si sentisse di dire o cose che potesse fare per risolvere la situazione. Tutti i buoni consigli e le risposte alle domande che lei si era sentita di dare prima di conoscere Maria erano andati improvvisamente in fumo. Manuela sentiva di avere la testa vuota. Sentiva di non avere più risposte. Sentiva che tutte le sue certezze precedenti erano cretinate colossali.
Massimo, semplicemente, accolse Maria in casa e le diede un letto e un armadietto.
Mentre la nuova arrivata stava sistemando le sue poche cianfrusaglie, Manuela, ancora sotto shock, gli domandò in privato:
- E adesso che cosa bisogna fare? Cosa si dice ad una ragazza così?
- Per adesso Maria ha bisogno di tre cose: un letto, e glielo abbiamo dato, un corso di italiano e un lavoro. Al corso di italiano, se vuoi, puoi pensarci tu. Per il lavoro vedremo. E magari cerchiamo di rimediarle anche di qualche vestito decente. Arriverà un pacco a giorni dai volontari che raccolgono in provincia. Se lì non si trova nulla che vada bene per lei metterò un annuncio specifico sul nostro sito internet. E se ancora non salta fuori nulla puoi accompagnarla a comprare qualcosa tu, dedicheremo una piccola parte del budget ai suoi vestiti.
- Tutto qui?
- Ovviamente la cosa più importante è sottointesa.
- Quale?
- Maria ha bisogno della nostra amicizia.
20.
Londra, marzo, martedì
Futura rincasò molto per tempo. Si fece una doccia, si vestì con un delizioso abitino a palloncino e si truccò anche un po’. Era agitata, ma sempre più speranzosa. Alle sette meno un quarto era già pronta per uscire. Alle sette e venti però non si era ancora visto nessuno: Patrick non era affatto rientrato.
Futura non sapeva se preoccuparsi o pensare male. Il cellulare del ragazzo era staccato. Il telefono del suo ufficio squillava a vuoto. Lei cominciava a percepire anche un certo languore nello stomaco, un senso di vuoto gastrico che in serata si alternava alle nausee, le quali peraltro sarebbero ricomparse non appena avesse introdotto nella pancia qualunque cosa.
Dopo un’ora di attesa iniziò a non poterne più ed il malessere fisico legato alla gravidanza esaltò oltremodo il pessimo umore che il ritardo e l’irreperibilità di Patrick stavano già generando in lei a prescindere.
Alle otto e mezza si preparò un toast. Alle nove si mise il pigiama e si infilò sotto le coperte, arrabbiata nera. Che razza di scherzo era quello? Darle appuntamento in modo così perentorio e poi non presentarsi, non farle neppure una telefonata. Cosa diavolo aveva in mente Patrick? Si stava prendendo gioco di lei? Nell’ultimo periodo lui era diventato irriconoscibile, ma adesso aveva davvero esagerato.
Futura cercò di prendere sonno, ma non ci riuscì. Era talmente nervosa che non poté neppure piangere.
Alle sette meno venti, proprio mentre stava per uscire, Patrick era stato chiamato nell’ufficio di Michael, il suo capo. Sperando che fosse una cosa breve, ci era andato, ma si era immediatamente reso conto che non sarebbe stato nulla di piacevole.
Michael era sufficientemente arrabbiato da dirgli che il lavoro non stava procedendo affatto come sperava, che il committente il giorno dopo non sarebbe stato soddisfatto, che avrebbe potuto anche ritirare l’offerta e ne avrebbe avuti tutti i diritti. Michael pretendeva che la prima parte dell’opera fosse pronta entro l’indomani mattina, altrimenti avrebbe rimosso Patrick dall’incarico.
Quando il capo terminò la rampogna si erano già fatte le sette e mezza. Patrick, rientrando alla sua postazione mortificato dal panegirico, tentò di avvertire Futura dell’imprevisto, ma si accorse di avere il cellulare scarico. Provò anche a farle una chiamata dall’ufficio, ma trovò il numero di lei occupato. Allora iniziò a concentrarsi sul progetto assieme a Claire, che si era offerta di dargli una mano dopo avere acquistato una cena take-away dal cinese di sotto, e quando guardò nuovamente l’orologio erano ormai le dieci e mezza. A quel punto era tardi persino per telefonare.
Il lavoro era praticamente finito, Patrick spense il pc incrociando le dita e sperando che la presentazione, l’indomani, incontrasse il favore del committente e prima ancora del suo capo. Per fortuna Claire era rimasta con lui ad aiutarlo: da solo ci avrebbe messo molto più tempo. Invece lei era una creativa che si intendeva di informatica: quando doveva inserire delle animazioni in una presentazione era un drago. Patrick ringraziò la collega, che si schermì, poi, data l’ora, chiamò un taxi per entrambi.
Quando varcò la soglia del loft si erano fatte ormai le undici. Le luci in casa erano spente e lui non si stupì. Si sentiva mortalmente in colpa nei confronti di Futura: le aveva promesso una cena e poi le aveva dato buca. Era insoddisfatto di se stesso, ma si era sentito senza scelta. Non poteva perdere il lavoro proprio ora: era l’unico aspetto della sua vita che funzionava ancora a dovere, che gli garantiva un minimo di stabilità: non poteva davvero mandare tutto a monte. D’altronde però ci teneva anche ad avere un confronto ben fatto con Futura: lui la amava e voleva risolvere la faccenda civilmente, con lei.
Patrick intuì che la sua ragazza fosse a letto. Si fece una doccia rapida e si infilò a sua volta sotto le coperte. Lei gli voltava le spalle.
- Piccola, stai dormendo?
Futura era ancora ben sveglia, eppure non rispose. Era livida di rabbia e decise di fare finta di dormire. Nonostante ciò lui continuò a parlare, quantomeno per alleggerirsi la coscienza.
- Tesoro, mi dispiace tanto per questa sera. Michael mi ha trattenuto in ufficio fino a trenta minuti fa, non era soddisfatto del mio lavoro, aveva intenzione di togliermi la responsabilità del progetto. Ho dovuto restare. Ho provato ad avvertirti, ma avevo il cellulare scarico e poi il tuo numero era occupato, alla fine ho perso il conto dell’ora. Lo so che non sono giustificabile, ma domani tutto questo casino in ufficio sarà finito, avrò qualche giorno di tregua, e allora tu ed io avremo il tempo per parlare come si deve. Io ci tengo tanto a chiarirmi con te, a stare un po’ con te, ne abbiamo bisogno, piccola. Ti prometto che domani sera usciremo a cena e faremo quello che non abbiamo fatto oggi. Ti prometto che ci prenderemo tutto il tempo necessario. Domani, promesso, domani… Adesso buonanotte, mia piccola cara…
Patrick rimase un attimo in dubbio se abbracciarla o darle una carezza. Poi decise di non disturbarla.
Futura, sempre voltata di spalle, continuava a domandarsi che cosa diavolo avesse in mente il suo ragazzo e che cosa ci tenesse a dirle di così tanto importante, che per quanto importante, lo era sempre meno del suo dannato lavoro. Se gli avesse risposto in quel momento, gli avrebbe detto: “Ma chissenefrega se ti tolgono ‘sto maledetto progetto”, invece preferì tacere. Poco dopo, mentre iniziava a calmarsi un po’, quando sarebbe stata finalmente dell’umore di parlare con lui, percepì che Patrick si era addormentato. Resistette alla tentazione di svegliarlo. In fondo anche lui aveva avuto una giornata pesante. In fondo, qualunque cosa lui volesse dirle, sarebbe stato sufficiente attendere l’indomani. Futura si addormentò, nonostante alcune fitte al bassoventre avessero iniziato a darle noia.
21.
Londra, marzo, mercoledì
Quando Futura si svegliò il mattino dopo, Patrick era già uscito. Le aveva però lasciato la colazione pronta ed un bigliettino sul tavolo. Futura lesse:
“Piccola, sono mortificato per ieri sera…”- bla bla bla bla, Patrick, per iscritto, ripeteva le stesse cose che le aveva già detto poche ore prima nel letto, i problemi al lavoro, i tentativi andati a vuoto per avvertirla del suo ritardo, e, nonostante tutto, la sua necessità di parlarle assolutamente, quindi un nuovo invito a cena per la sera a venire, stessa ora.
Concludeva informandola di essere molto impegnato nella mattinata, ma sarebbe stato felice di sentirla nel primo pomeriggio.
Futura rilesse più volte il messaggio. Continuava a rimanere perplessa. Non sapeva che cosa aspettarsi. Patrick nel messaggio la chiamava “Piccola”, che era il suo modo di dimostrarle tenerezza, ma non scriveva nulla di più esplicito. Nessun “Ti amo”, nessun “Ci tengo, a te”. Era un biglietto, certo, non una dichiarazione. Eppure…
Futura iniziò a mangiare la sua tazza di cereali. La nausea la attanagliava, ma quella mattina aveva qualcosa di diverso. Anche la pancia era diversa, c’erano delle fitte che non aveva mai provato prima, ed erano sempre più dolorose.
La presentazione di Patrick e Claire fu un successone. Il committente era entusiasta e Michael di conseguenza. Claire fece il caffè per tutti. Patrick tirò un respiro di sollievo. Finalmente il progetto aveva preso la giusta direzione e ora, con tutta calma, lui avrebbe potuto rimettere in sesto anche la sua vita sentimentale, per non dire famigliare.
A metà pomeriggio Patrick si ricordò di avere scritto a Futura di cercarlo e gli venne in mente di togliere il “silenzioso” dal cellulare. Quando guardò il display, quindi, fece un balzo sulla sedia.
Il telefono registrava ben sette chiamate perse di Futura e alcune altre provenienti da un numero che non conosceva.
Compose il numero di Futura, ma non ebbe un riscontro. Compose allora l’altro numero e attese che qualcuno rispondesse.
Udì una vocina flebile che gli parve di riconoscere:
- Oh, Patrick, finalmente! Sono Sally, l’amica di Futura.
Il ragazzo rimase interdetto per qualche secondo.
- Sally, ma certo. Ciao. Ho visto che mi hai cercato. È successo qualcosa?
- Oh, cavoli, davvero non so come dirtelo… Futura è in ospedale…
Patrick sentì un nodo in gola.
- Per quale motivo? – riuscì a pronunciare a stento.
- Oh, Patrick… - Sally era imbarazzata. – Mi dispiace tanto… non dovrei neppure essere io a dirtelo… Futura ha perso il bambino.
22.
Londra, marzo, mercoledì
Il seguito della giornata si svolse in maniera convulsa. Dopo essersi fatto dire in quale ospedale e in quale reparto si trovasse Futura, Patrick si precipitò immediatamente sul posto.
Quando arrivò, alla ragazza stavano praticando il raschiamento.
Sally gli raccontò che l’amica si era sentita male già in mattinata, che aveva cercato di chiamarlo più volte sul cellulare e anche in ufficio, ma lì una voce femminile che le aveva risposto che Patrick era in una riunione importantissima e che non poteva essere disturbato. Futura aveva cercato di fare capire a questa persona la gravità del problema, ma non c’era stato nulla da fare.
Allora, in preda al panico, aveva chiamato Sally, che si era precipitata da lei insieme a Kenneth. Valutata la situazione, Kenneth aveva caricato Futura in macchina, sollevandola di peso, e l’aveva condotta all’ospedale.
Purtroppo per il feto non c’era stato più nulla da fare e inoltre Futura aveva perso molto sangue. Era probabile che dovesse rimanere in ospedale per qualche giorno.
Patrick andò a prendersi un caffè, da solo. Non aveva ancora del tutto realizzato quello che era successo. Il bambino, quello che soltanto il giorno prima aveva visto muoversi nell’ecografia, non c’era più. A rigor di logica, Patrick avrebbe dovuto sentirsi sollevato: il problema che lo aveva attanagliato per molte settimane era ad un tratto scomparso. Eppure, non era così semplice. Non era sollievo quello che il ragazzo sentiva dentro di sé.
Da un canto Patrick era dispiaciuto e preoccupato per la sua fidanzata. Dall’altro però non riusciva a capacitarsi di come quella piccola vita fosse volata via in un soffio.
Futura fu riportata in camera ancora sotto anestesia. Continuò a dormire per molte ore. Patrick le rimase accanto fino al mattino dopo.
Quando lei si svegliò, lui era appena andato via e al suo posto c’era Sally.
23.
Tra Roma e Torino, marzo
Ljuda sentiva che l’adrenalina che aveva in circolo non accennava a scendere. Era sul treno, di ritorno da Roma. Ci aveva messo addirittura meno di quanto aveva preventivato.
I candidati in attesa di fare il provino erano ancora tanti, c’era una bella ressa, ma sicuramente erano molti meno della prima volta. Ljuda aveva dovuto dichiarare le proprie generalità e il suo nome era stato individuato su una lista.
Le avevano fatto molte domande, per lo più di carattere personale. Mentre la volta precedente l’avevano tartassata con la cultura generale (“Chi è il Presidente della Repubblica?” e lei aveva prontamente risposto “Berlusconi”), questa volta i responsabili del casting avevano insistito per conoscere le coordinate della sua esistenza e la motivazione del suo provino.
Lei aveva raccontato di essere la moglie di un ex-quasi-sacerdote, di avere due figli di cui uno solo suo, ripetendo in parte quanto già esposto durante il primo provino, ma aggiungendo più dettagli. I responsabili del casting le avevano chiesto addirittura il nome dei bambini e persino quello di sua madre, che, come Ljuda aveva asserito, l’aveva partorita in giovane età senza avere un compagno. Poi si erano fatti raccontare per filo e per segno in che cosa consistesse il suo lavoro di commessa, quante ore lavorasse al giorno e quanto prendesse di stipendio al mese. Si erano inoltre interessati alla relazione che lei aveva con il marito (C’era gelosia? C’era un rapporto sportivo? E, loro due, erano una coppia aperta?) e lei non si era tirata indietro neppure quando aveva dovuto narrare che tipo di intimità intercorreva con lui. Anzi, già che c’era, aveva confidato che con Massimo vi erano alcuni problemi proprio a causa della visione nettamente diversa che i giovani sposi avevano della procreazione. In ultimo Ljuda aveva dovuto assicurare di avere una forte motivazione ad entrare nella Casa: voleva vincere i trecentomila euro, voleva assicurare un futuro ai figli e voleva allontanarsi per qualche tempo dalla solita routine. In seguito, chissà, non avrebbe disdegnato neppure di fare del cinema, se l’occasione si fosse presentata. Non aveva problemi a stare sotto le telecamere tutto il giorno, per ventiquattro ore su ventiquattro, assolutamente no. Non aveva neppure paura della lontananza dai bambini: il legame si sarebbe rafforzato al suo rientro. Suo marito avrebbe capito le sue motivazioni, certo. Se avesse vinto il montepremi avrebbe assicurato una vita agiata ai figli, avrebbe aiutato la Casa di Accoglienza e magari si sarebbe concessa un’addominoplastica. Alla fine le avevano fatto firmare un paio di moduli e l’avevano congedata assicurandole che l’avrebbero ricontattata presto.
Ljuda, sul treno, attraversava gli Appennini e intanto sognava ad occhi aperti. Immaginava un futuro roseo, immaginava aperte le porte del cinema, immaginava che tutto sarebbe andato per il meglio.
24.
Torino, marzo
Manuela si domandava che cosa significasse, in concreto, offrire amicizia ad una ex prostituta ventenne che, bistrattata e riempita di botte dai suoi ex sfruttatori, se ne stava ora sempre mogia e in preda alla depressione più nera in un angolo della Casa di Accoglienza.
Manuela era stata incaricata da Massimo di tenere, settimanalmente, alcune lezioni di italiano per le ragazze straniere ospitate. Le sue studentesse erano in sostanza due: Maria, appunto, e Nezhat, un’iraniana giovanissima in fuga da un marito decisamente troppo violento.
Nehzat si era sposata in Iran a quattordici anni per volere della sua famiglia e da quel momento era diventata proprietà del coniuge. Costui, secondo la legge coranica, o forse secondo una sua personale interpretazione, era convinto di avere diritto di vita e di morte sulla moglie e sui figli, per cui non lesinava mai botte e violenze su Nehzat, anche per i pretesti più futili.
Nezhat inizialmente aveva cercato di comportarsi in modo consono, di rispettare il marito e la legge coranica, di essere una buona moglie fedele e devota, ma per quanti sforzi facesse si era resa presto conto che lui era sempre contrariato da qualcosa e che la pestava senza scrupoli anche per motivi insignificanti.
Il secondo tentativo di Nezhat era stato quello di ritornare dai propri genitori: voleva che almeno loro la difendessero, che la aiutassero. Anche quell’esperimento era andato a vuoto. I suoi l’avevano immediatamente rispedita a casa del coniuge il quale, per farle passare del tutto la voglia di alzare la cresta, l’aveva quasi ammazzata.
Trasferitisi in Italia per il lavoro di lui, Nezhat, che viveva reclusa in casa, era rimasta incinta, ma quando l’amniocentesi aveva rilevato che il feto era femmina il marito l’aveva costretta ad abortire.
Era rimasta incinta una seconda volta, ma un giorno lui le aveva elargito tali e tante botte che, prima ancora di conoscere il sesso del nascituro, Nezhat aveva abortito spontaneamente. In ospedale aveva finalmente chiesto aiuto, nonostante il suo italiano stentato, e da lì era stata dirottata nella struttura gestita da Massimo. La ragazza aveva ora diciotto anni.
Manuela sedeva dunque di fronte alle sue nuove studentesse e cercava di coinvolgerle nella lettura e nella scrittura, ma non riusciva neanche a guardarle negli occhi.
Aveva di fronte a sé due volti segnati dal dolore e dalla sofferenza. Non c’erano parole che le sembrassero consone e adeguate, in nessuna lingua.
25.
Torino, marzo
Un paio di giorni dopo, dopo che aveva fatto scongiuri, pregato, formulato voti (avrebbe fatto persino riti magici e la danza della pioggia, se ne fosse stata in grado), Ljuda ricevette la telefonata.
L’avevano presa. Sarebbe stata una titolare del Reality.
Ljuda pensava di toccare il cielo con un dito. Aveva sbaragliato una concorrenza di migliaia di candidati. Tra tutti i pretendenti, i responsabili del casting avevano scelto lei! Già solo questo pensiero le fece impennare l’autostima, che nell’ultimo periodo era stata davvero scarsa. Se l’avevano scelta era perché avevano notato in lei qualcosa di eccezionale, che pochi altri eletti potevano vantare.
Ora non rimaneva che fare la sorpresa a Massimo. Glielo avrebbe detto in serata, sia perché non riusciva a stare più nella pelle, sia perché il giorno dopo una troupe televisiva l’avrebbe raggiunta a Torino per girare un videoclip su di lei e sulla sua famiglia.
Nel pomeriggio Ljuda si diede da fare. Cucinò una cenetta con i fiocchi, o, comunque, al meglio delle sue possibilità. Tentò un purè con patate vere, anziché con il preparato. Vestì i pargoli con le tutine migliori, poi li dovette cambiare perché nel frattempo si erano sporcati irrimediabilmente: Caterina se l’era fatta addosso, Sergio si era imbrattato di pennarello.
Non si perse d’animo, comunque, e li rivestì nuovamente.
Mise persino qualche fiore (finto) sulla tavola.
Quando Massimo rientrò, particolarmente di buon umore, e trovò l’allegra famigliola riunita, sorrise soddisfatto. Era contento di quella quotidianità. Poi notò i tentativi di Ljuda di rendere la serata ancora più gradevole del solito, allora domandò curioso:
- Si festeggia qualcosa?
Ljuda cinguettò tutta contenta:
- Sì, devo darti una magnifica notizia! Presto la nostra vita cambierà in meglio!
Massimo sorrise radioso e speranzoso:
- Mi stai dicendo che sei di nuovo incinta?
Ljuda fece una smorfia disgustata:
- No! Ma per favore, come ti viene?
Massimo era un po’ deluso, ma ancora in attesa di un riscontro positivo:
- Hai ottenuto un aumento sul lavoro? Il corso da vetrinista ha già dato i suoi frutti?
- No! – Ljuda continuava a storcere il naso. - Qualcosa di molto meglio!
- Cioè? – Massimo non era più sicuro che la risposta lo avrebbe soddisfatto.
Ljuda gli gettò le braccia al collo, lo guardò negli occhi e gli disse:
- Sono stata scelta tra migliaia di concorrenti per partecipare al Reality più famoso d’Italia!! Questa è l’occasione che attendevo da tutta la vita!
La litigata che seguì fu pietosa.
- Ljuda, come hai potuto nascondermi i provini, celarmi questa intenzione, mentirmi in modo così spudorato? E come ti è venuto in mente di cacciarti in un’impresa del genere, di partecipare ad una trasmissione così squallida, di prostituirti in questo modo in televisione?
- Ma io lo faccio per la famiglia!
- Come sarebbe a dire che lo fai per la famiglia? E ai nostri figli non ci pensi? Chi li accudirà mentre tu non ci sei?
- Li accudirai tu! Sarà solo per qualche settimana, se va bene per qualche mese! Potresti dire a tua madre di venire a stare un po’ qui in mia assenza. È in pensione, che altro ha da fare?
- Tu non ti rendi conto che stai vendendo l’anima al diavolo! Quelle trasmissioni sono meccanismi inventati dal demonio per rovinare l’esistenza ai cristiani!
- Ma quale demonio e demonio? Massimo, sii concreto, non abbiamo un soldo da parte, non abbiamo un lavoro stabile, abbiamo due figli e tu ne vorresti altri dieci! Sii realista per una volta, se vinco ci portiamo a casa trecentomila euro! Saremmo a posto per la vita: tu, io, i bambini e anche la tua Casa di Accoglienza. E se non vinco sarò comunque convocata nelle trasmissioni, sarò chiamata nei locali, avrò in ogni caso un po’ di popolarità: questo frutterà ben qualche spicciolo, no? Se non è Provvidenza questa!
- La Provvidenza agisce in tutt’altro modo.
- Certo! Come no? La Provvidenza non è stupida come credi tu! Quando c’è di mezzo un irresponsabile come te, che non vuole mettere neppure un preservativo, la Provvidenza ha le mani legate!
- Ah, allora è questo il problema! E comunque, non parlare di queste cose davanti ai bambini!
- Ma cosa vuoi che capiscano! Non hanno tre anni in due! Ad ogni modo, Massimo, non sono qui a chiedere il permesso a te. Parteciperò, costi quel che costi. La vita è mia, la chance è mia e me la sto giocando soprattutto per te e per i bambini. Alla fine mi ringrazierai persino!
26.
Londra, marzo, lunedì
Nei giorni successivi all’aborto, Patrick raggiunse Futura in ospedale tutte le sere dopo il lavoro, trovandola una volta addormentata, una volta così taciturna da non sembrare neanche del tutto in sé. Rispetto alla prima sera, la ragazza aveva ripreso un po’ di colore e provava molto meno dolore al ventre. Eppure era intrattabile.
Patrick intuiva che la sua compagna soffrisse molto, ma non sapeva assolutamente che cosa fare per ovviare.
Futura non rendeva la cosa più semplice, ostinandosi a non parlargli.
Quando il mattino delle dimissioni lui, con un bel mazzo di fiori in mano, si recò in ospedale per riportarla a casa, lei gli rivolse finalmente la parola:
- Potevi risparmiarti la fatica di venire. Non torno a casa con te.
Il ragazzo rimase decisamente interdetto:
- Come sarebbe a dire?
- Ho bisogno di qualcuno che si occupi di me per un po’ e soprattutto ho bisogno di starmene in santa pace. Rimarrò da Sally per qualche giorno, poi si vedrà.
- Da Sally? Ma, se ti serve aiuto, perché non te ne vai un po’ da mia madre? Sarà felice di prendersi cura di te per tutto il tempo necessario!
- Da tua madre? Ma se non ti sei neppure premurato di informarla che ero incinta! Per quel che ne so io a tutt’oggi ignora la mia gravidanza! Cosa dovrei fare, presentarmi alla sua porta e dire: “Ciao Marjorie, potresti aiutarmi a superare la fine di una gestazione di cui nessuno ti ha detto nulla?”. Ma per favore!
- Volevo dirglielo, credimi, però…
Futura ora era furiosa:
- Non è vero! Non volevi dirle proprio nulla! Tu speravi solo che l’incubo di questa gravidanza finisse il prima possibile, e così è stato! Spero almeno che adesso sarai contento! Hai ottenuto esattamente quello che volevi! Come vedi sei fortunato, Patrick.
- Futura, non è così. Non sono felice per come sono andate le cose. Mi dispiace constatare che soffri molto per questo incidente, non vorrei vederti così per nulla al mondo. Lo so che all’inizio ho accolto la notizia della gravidanza con freddezza e non ti ho aiutato in nessun modo, però avevo deciso di rimediare alla situazione. Volevo parlare con te, volevo discuterne, volevo trovare una soluzione. Avremmo anche seguito una terapia di coppia, se fosse stato necessario. Io comunque tenevo e tengo molto a te, non avrei voluto perderti. Quando ti ho invitato a cena era proprio per dirti questo. Volevo rimettere le cose a posto con te. Volevo ritrovare un equilibrio. Poi, è successo tutto così in fretta…
- Patrick, ma per favore! Il tuo invito a cena è stato talmente penoso e sbrigativo che non era assolutamente chiaro che cosa volessi da me. Ora ti fa comodo dire che volevi rimettere tutto a posto, ma per quel che ne so io poteva essere pure il contrario!
- Non ti fidi di me?
- Fidarmi di te? Patrick, i fatti parlano da soli. Mi hai invitato ad una cena a cui non ti sei neppure presentato! Come faccio a pensare che ti importasse veramente qualcosa? Il tuo dannato lavoro era ed è ben più importante di me e del bambino. E comunque sia, anche quello che mi dici adesso non mi impressiona particolarmente. Mi parli di “rimettere le cose a posto”, “ritrovare un equilibrio”, ma che cosa cavolo significa tutto questo? Un figlio o lo ami o non lo ami: è evidente che tu il nostro, anzi, il mio bambino non lo hai mai voluto, non lo hai mai amato. Che altro devi ancora dirmi? La differenza tra noi due è che il piccolo io l’ho amato e tu no: adesso che non c’è più, io sento che mi manca, mentre la tua vita rimane esattamente come prima. Direi che tra questi due concetti c’è uno scarto abissale. Quindi, tornatene al tuo adorato lavoro, vai a fare contento Michael con i tuoi progetti di applicazioni, fai contento anche il committente e sii felice. Io starò un po’ da Sally, giusto il tempo di rimettermi, poi non è escluso che me ne ritorni in Italia, in fondo è là che avevo una vita, prima di impelagarmi in questo casino con te.
Patrick si sentì ferito. Futura non credeva alle sue buone intenzioni verso il bambino e adesso gli diceva anche di volerlo lasciare.
- È vero, il bambino io non l’ho amato da subito. Ma poi qualcosa è cambiato. Se solo tu mi lasciassi il tempo di spiegare…
- Patrick, la mia gravidanza è durata per diverse settimane: in tutto quel tempo a stento mi hai rivolto la parola. Adesso che il bambino non c’è più, dimmi che vorresti “spiegarmi”. La verità è che non c’è più nulla da spiegare, perché non c’è più nessun bambino. Il tempo è scaduto, Patrick. Manderò qualcuno a prendere le mie cose.
Udito ciò, Patrick si indurì. Gettò il mazzo di fiori per terra ed esclamò:
- Va bene, ho capito. Se non vuoi starmi neppure a sentire mi risparmierò la fatica di aggiungere altro. Io però, al contrario di te, nonostante i nostri problemi, ho sempre creduto in noi due. Forse sono io che ho mal riposto la mia fiducia. E allora sai che cosa ti dico? Vuoi andare da Sally? Vacci! Vuoi tornare in Italia? Tornaci. Vai direttamente al diavolo, Futura.
Detto ciò, si voltò e uscì dalla stanza.
La bomba era infine esplosa, nel peggiore dei modi.