Il tempo non esiste

Sino ad ora ho parlato soltanto di spazio; credo sia giunto il momento di parlare del tempo.

Una decina di anni prima di scoprire la relatività generale, Einstein aveva compreso che lo spazio e il tempo non sono due entità separate, bensì due aspetti della stessa entità: questa scoperta si chiama relatività speciale, o relatività ristretta. Più precisamente, la scoperta di Einstein è la seguente. Noi siamo abituati a pensare che due avvenimenti (l’arrivo di Colombo in America e la morte di John Lennon, per esempio) sono sempre ordinati temporalmente, cioè uno accade prima e uno accade dopo. Nello stesso modo, siamo abituati a pensare che il tempo sia una cosa universale, per cui ha senso chiedere che cosa stia accadendo proprio adesso, in qualunque parte dell’Universo. Invece Einstein ha capito che questo non è vero.

Il modo più vivido per mettere in luce questa relatività del tempo è il cosiddetto paradosso dei gemelli. Due gemelli viaggiano a grande velocità, lontano l’uno dall’altro; quando si ritrovano, hanno età diverse. Si chiama paradosso, ma non è un paradosso, ma semplicemente la conseguenza del modo in cui è costituito il mondo. L’unico aspetto paradossale è che noi non siamo abituati ad osservare questi fenomeni, e quindi ci sembrano strani. Ma è così: sono stati effettuati esperimenti precisi (non con gemelli, ma con orologi uguali molto precisi messi a bordo di aerei veloci), e si è verificato ripetutamente e con molta precisione che il mondo è proprio fatto come Einstein aveva capito: due orologi uguali, quando si rincontrano indicano tempi diversi.

Il punto è che, quando due avvenimenti accadono in posti abbastanza lontani l’uno dall’altro, non ha alcun senso dire quale dei due accade prima. Non ha nessun senso chiedersi cosa stia accadendo proprio adesso, per esempio, sulla galassia di Andromeda. Il motivo è che il tempo non scorre nello stesso modo per tutti. Noi abbiamo il nostro tempo e la galassia di Andromeda ha il suo tempo e, in generale, i due tempi non si possono mettere in relazione.

L’unica cosa che si può fare è scambiarsi dei segnali, che comunque impiegheranno milioni di anni per andare avanti e indietro, tra qui e Andromeda. Immaginate che un extraterrestre ci mandi un segnale da Andromeda, noi riceviamo oggi questo segnale e gli rispondiamo subito. Possiamo dire che il momento in cui l’extraterrestre ha mandato il segnale viene prima di oggi e il momento in cui riceve la risposta viene dopo di oggi: ma fra i milioni di anni che trascorrono da quando l’extraterrestre ci ha mandato un messaggio e il momento in cui ha ricevuto la nostra risposta, non esiste un momento particolare che corrisponda a “proprio oggi” su Andromeda.

Tutto questo significa che non dobbiamo pensare al tempo come se ci fosse un orologione cosmico che scandisce la vita dell’universo. Dobbiamo pensarlo come una cosa locale: ogni oggetto dell’universo ha il suo tempo che scorre. Il modo in cui i tempi di ciascuno si mettono insieme quando gli oggetti s’incontrano o s’inviano segnali può essere descritto con precisione. Per fare questo, nella descrizione matematica del mondo, non si parla più di “spazio” e “tempo”, ma di un insieme dei due che si chiama “spaziotempo”.

Ora, tutto questo lo sappiamo da un secolo (più precisamente, a oggi, gennaio 2004, lo sappiamo da 99 anni, visto che il lavoro di Einstein in cui ha chiarito tutto ciò è stato pubblicato nel 1905). Non deve stupire il fatto che una cosa che si sa da un secolo non sia ancora diventata conoscenza comune di tutti: è successo lo stesso per molte grandi rivoluzioni concettuali, come la rivoluzione copernicana. Molta gente era convinta che fosse il Sole a girare attorno alla Terra, e non il contrario, anche parecchio tempo dopo la scoperta di Copernico. D’altra parte, la ricerca del sapere va avanti e non aspetta che ad ogni passo seguano tutti da presso.

Ora, la novità che viene dalla gravità quantistica è che lo spazio non esiste. Esiste solo il campo gravitazionale, che, come ho raccontato, è fatto di probabilità di quanti di spazio collegati in reti. Mettendo insieme le due idee, la non esistenza dello spazio implica anche la non esistenza del tempo.

Il tempo non esiste. È necessario imparare a pensare il mondo in termini non temporali, sebbene questo risulti difficile, sul piano dell’intuizione, perché siamo abituati a pensare il tempo come una cosa a sé stante, che scorre.

Ma cosa significa che il tempo non esiste?

In tutte, o quasi tutte, le equazioni della fisica classica compare il tempo. È la variabile che si indica con la lettera “t”. Le equazioni ci dicono come cambiano nel tempo le cose e ci permettono di predire ciò che succederà in un tempo futuro, se sappiamo ciò che è successo in un tempo passato. Più precisamente, noi misuriamo delle variabili, per esempio la posizione A di un oggetto, l’ampiezza B di un pendolo che oscilla, la temperatura C di un corpo, eccetera, e le equazioni ci dicono come queste variabili A, B, C cambiano nel tempo. Cioè ci predicono le funzioni A(t), B(t), C(t), e così via, che descrivono il cambiamento di queste variabili nel tempo “t”.

È stato Galileo Galilei il primo a capire che il moto degli oggetti sulla terra poteva essere descritto da equazioni per le funzioni del tempo A(t), B(t), C(t), e a scrivere le prime equazioni che queste funzioni dovevano soddisfare.

La prima legge fisica terrestre trovata da Galileo, per esempio, descrive come cade un oggetto che scorre lungo un piano inclinato.

Per scoprire e poi verificare questa legge, Galileo aveva bisogno di due misure. Doveva misurare la posizione dell’oggetto lungo il piano inclinato e il tempo “t”. Aveva quindi bisogno di uno strumento che misurasse il tempo. Cioè aveva bisogno di un orologio.

Nel periodo in cui visse Galileo, di orologi precisi non ce n’erano; ma Galileo stesso, da giovane, aveva trovato una chiave per costruire orologi precisi. Aveva scoperto che le oscillazioni di un pendolo hanno tutte la stessa durata. Quindi, si poteva misurare il tempo semplicemente contando le oscillazioni di un pendolo. Sembra un’idea ovvia, ma c’è voluto Galileo per trovarla; prima non ci aveva pensato nessuno: la scienza è così.

Però le cose non sono proprio così semplici. Secondo la leggenda, Galileo ebbe questa intuizione nella meravigliosa cattedrale di Pisa, osservando le lente oscillazioni di un gigantesco candelabro, ancora oggi appeso nella cattedrale (la storia è fasulla, perché il candelabro fu appeso molti anni dopo la scoperta di Galileo, ma è una bella storia). Lo scienziato osservava le oscillazioni del lampadario durante una funzione religiosa, da cui evidentemente non era molto preso, e si misurava i battiti del polso. Emozionato, scopre che vi era lo stesso numero di battiti durante ogni oscillazione. Ne deduce che le oscillazioni duravano tutte lo stesso tempo.

Ora la storia è bella, ma a una riflessione più attenta lascia perplessi, e questa perplessità costituisce il cuore del problema del tempo. La perplessità è la seguente: come faceva Galileo a sapere che i suoi battiti duravano tutti lo stesso tempo? Non molti anni dopo Galileo, i medici hanno cominciato a misurare i battiti del polso dei loro pazienti utilizzando un orologio, che non è altro che un pendolo. Allora usiamo i battiti per assicurarci che il pendolo sia regolare e poi il pendolo per assicurarci che i battiti siano regolari. Non è un circolo vizioso? Che significa?

 

Figura 6: Galileo Galilei scopre che le oscillazioni di un pendolo durano tutte lo stesso tempo, contando i battiti del suo polso durante le lente oscillazioni del candelabro della cattedrale di Pisa.

 

Significa che noi non misuriamo mai il tempo in sé, misuriamo sempre delle variabili fisiche A, B, C… (oscillazioni, battiti, e molte altre), e confrontiamo sempre una variabile con l’altra, cioè misuriamo le funzioni A(B), B(C), C(A)… e così via. È utile tuttavia immaginare che esista una variabile “t”, il “vero tempo”, che non possiamo mai misurare, ma che soggiace a tutto. Scriviamo tutte le equazioni per le variabili fisiche rispetto a questo inosservabile “t”, equazioni che ci dicono come cambiano le cose in “t” (quanto tempo prende ogni oscillazione e quanto tempo prende ogni battito del cuore). Da questo possiamo calcolare come cambiano le variabili l’una con l’altra (quanti battiti in un’oscillazione), e possiamo confrontare questa previsione con quello che osserviamo nel mondo. Se le previsioni sono giuste, ne deduciamo che tutto questo schema complicato sia buono, e in particolare che sia utile usare la variabile tempo “t”, anche se non possiamo mai misurarla direttamente. In altre parole, l’esistenza della variabile tempo è un’assunzione, più che il risultato di un’osservazione.

Newton ha capito che questa era la cosa giusta da fare, e ha chiarito e messo in piedi questo schema. Newton sostiene esplicitamente che il “vero” tempo “t” non lo possiamo misurare, ma che se assumiamo che esiste, abbiamo la possibilità di costruire un efficacissimo schema per comprendere e descrivere la natura.

E finalmente veniamo ad oggi, alla gravità quantistica, e al significato della asserzione “il tempo non esiste” che ho enunciato prima. Il significato di questa asserzione è semplicemente che questo schema newtoniano non funziona più, quando ci occupiamo di cose molto piccole. Era uno schema buono, ma solo per fenomeni macroscopici.

Se vogliamo capire il mondo più in generale, se vogliamo capirlo anche in regimi a noi meno familiari, dobbiamo rinunciare a questo schema, perché non funziona più. In particolare, l’idea di un tempo “t” che scorre da sé, e rispetto a cui tutto il resto evolve, non è più un’idea efficace. Il mondo non è descritto da equazioni di evoluzione nel tempo “t”.

Quello che dobbiamo fare è limitarci a elencare le variabili A, B, C… che effettivamente osserviamo, e scrivere relazioni fra queste variabili, cioè equazioni per le funzioni A(B), B(C), C(A)… che osserviamo, e non per le funzioni A(t), B(t), C(t), che non osserviamo. Nell’esempio, avremo non il polso e il pendolo che evolvono entrambi nel tempo, ma solo equazioni che ci dicono come l’uno e l’altro possono evolvere l’uno rispetto all’altro. Quali valori dell’uno siano compatibili con quali valori dell’altro.

Si tratta di un cambiamento semplice, ma da un punto di vista concettuale, il salto è gigantesco. Dobbiamo imparare a pensare il mondo non come qualcosa che cambia nel tempo, ma in qualche altro modo. A livello fondamentale il tempo non c’è. Questa impressione del tempo che scorre è solo un’approssimazione che ha valore solo per le nostre scale macroscopiche, deriva solo dal fatto che osserviamo il mondo solo in modo grossolano.