Grani di spazio e spettro dell’area
Durante gli anni in cui ho vissuto negli Stati Uniti, tornavo ogni estate in Italia e spesso mi accompagnavano anche Abhay Ashtekar e Lee Smolin, che erano diventati i miei amici e principali collaboratori. Lavoravamo insieme in Italia e per loro era anche una vacanza.
Il secondo passaggio importante, nello sviluppo della nostra teoria, è stato raggiunto in Italia, durante una di queste visite. C’era qualcosa di essenziale, infatti, che ancora non riuscivamo a comprendere: matematicamente, questi loop che costituivano lo spazio dovevano potersi intersecare, passare uno attraverso l’altro in certi punti. Non capivamo cosa rappresentassero queste intersezioni.
Verso la metà degli anni ’90, mentre Lee era a Verona, affrontammo un calcolo abbastanza standard di meccanica quantistica, che ci chiarì il significato dei punti di intersezione. In meccanica quantistica molte quantità sono, appunto, “quantizzate”. Questo significa che possono assumere solo certi valori, discreti, e non un valore qualunque. Per esempio, l’energia di un atomo non può avere qualsiasi valore, ma solo certi valori particolari, che vengono chiamati livelli energetici dell’atomo. Per calcolare i valori che una quantità può avere, si usa una tecnica denominata “calcolo dello spettro di un operatore”. Noi ci interessammo a una quantità fisica particolare: il volume.
Che cos’è il volume? È la misura di quanto spazio c’è. Il volume di questa stanza è la quantità di spazio che c’è dentro la stanza. Poiché lo spazio è il campo gravitazionale, il volume misura il campo gravitazionale. Trattandosi di teoria quantistica, c’era la possibilità che il volume avesse valori discreti. Il calcolo risultò complicato, ma riuscimmo a risolverlo, grazie anche all’aiuto di un grande matematico inglese, Roger Penrose, che andammo a consultare nel momento in cui eravamo più confusi. Risultò che il volume, in effetti, non è una variabile continua, ma discreta, e che quindi lo spazio è costituito da quanti di volume, o quanti di spazio. Ora questi quanti di volume, scoprimmo, risiedono esattamente sulle intersezioni dei loop. In altre parole, il volume è composto di quanti, di grani di spazio, e le intersezioni dei loop rappresentano proprio questi grani di spazio. Sono i grani di spazio che cercavamo fin dall’inizio.
Questi risultati cambiarono un po’ la nostra immagine iniziale. I punti di intersezione divennero più importanti delle linee. Non parlavamo più di un insieme di loop che si intersecano in punti, ma di un insieme di punti collegati tra loro da linee, cioè di una rete. Siccome matematicamente queste reti sono anche caratterizzate da certi numeri semi-interi, o spin, associati alle linee, le reti si chiamano anche “reti di spin” o, in inglese, spin-networks.
L’immagine risultante dello spazio quantistico è notevole: i punti di una rete di spin sono i quanti di spazio. Le linee che uniscono i punti l’uno all’altro rappresentano le relazioni spaziali tra di essi. Cioè esprimono quale grano è vicino a quale altro grano. Questo è illustrato nella Figura 4.

Figura 4: Una “rete di spin” (a sinistra) è formata dalle linee di Faraday quantistiche del campo gravitazionale; i punti di intersezione, indicati dai pallini neri, sono i “nodi” della rete. Essi rappresentano “grani di spazio” (a destra). I segmenti della rete rappresentano le relazioni di vicinanza fra i grani di spazio.
Quando diciamo che il volume di questa stanza è, per esempio, 100 metri cubi, in realtà stiamo contando quanti grani di spazio, o meglio quanti “quanti di campo gravitazionale” ci sono in questa stanza. Questi quanti sono molto piccoli, ovviamente. In una stanza di 100 metri cubi, ce ne sono un numero con circa cento cifre.
Similmente, quando diciamo che l’area di questa pagina di questo libro è, diciamo, 200 centimetri quadrati, in realtà stiamo contando il numero di linee della rete, cioè di loop, che attraversa la pagina. Attraverso la pagina di questo libro, ce n’è un numero formato da circa settanta cifre. Questo è illustrato nella Figura 5.

Figura 5: Una superficie Σ è attraversata da un loop, nel punto P. L’area della superficie è determinata dal numero di loop come questi che l’attraversano. Una pagina di questo libro è attraversata da circa 1070 loop, cioè da un numero di loop formato da circa 70 cifre.
Il calcolo dello spettro del volume fornisce esattamente i valori del volume che possono essere osservati. Si riesce a fare lo stesso calcolo anche per l’area. Cioè si calcola anche “lo spettro dell’area”. La teoria predice dunque con precisione un insieme di numeri, che rappresentano i possibili risultati di misure di area e di volume molto precise. Insomma, la teoria dei loop predice che se misuriamo un’area con precisione, non otterremo un numero qualunque, ma solo uno dei numeri che fanno parte di una lista, che è stata stilata a seguito dell’effettuazione di calcoli.
Purtroppo, la tecnologia non è ancora sufficiente per verificare queste predizioni. Ma è molto importante che una teoria dia predizioni precise e, almeno in linea di principio, verificabili. Se non lo fa, non è ancora una vera teoria scientifica. Ad oggi, la teoria dei loop è l’unica teoria di gravità quantistica che fornisca un insieme univoco e articolato di predizioni, verificabili in linea di principio.
Le reti di spin danno una descrizione matematica precisa della struttura quantistica dello spazio. Più precisamente, poiché si tratta di meccanica quantistica — e dunque di probabilità — la teoria è scritta in termini di probabilità associate a queste reti di spin. Queste rete di spin che costituiscono il mondo, bisogna pensarle fluttuanti, vibranti e pullulanti come i puntini bianchi e neri di una televisione senza antenna, e la matematica della teoria descrive questo pullulare di reti di spin. Questa è una concretizzazione matematica precisa dell’idea intuitiva di John Wheeler, secondo cui lo spazio, su piccola scala, non è più continuo.
Ricordo con grande emozione il giorno in cui John Wheeler, il grande vecchio della gravità quantistica, m’inviò un biglietto pieno di affetto e di entusiasmo per i nostri risultati, e m’invitò a Princeton per esporre la nostra teoria. A Princeton, venne a cercarmi di buon’ora nel Bed and Breakfast dove avevo trovato alloggio, facemmo colazione assieme, e poi mi accompagnò per una lunga passeggiata attraverso il campus. Io raccontavo i risultati dei nostri conti, lui raccontava la sua incredibile storia: Bohr, Einstein, la bomba atomica…
Attualmente, la teoria dei loop viene studiata da molte decine di gruppi di ricerca, sparsi nel mondo, che l’hanno sviluppata in molte direzioni. La teoria trova applicazioni in campi diversi, ad esempio nella cosmologia, per lo studio del Big-Bang, cioè dei primissimi momenti della vita dell’Universo, e delle proprietà dei buchi neri, in particolare delle loro proprietà termiche.
Vicino al Big-Bang l’Universo era molto piccolo, in qualche senso, era fatto solo di pochi grani di spazio. Quindi non si può più approssimare la sua evoluzione con uno spazio continuo, come si fa per l’Universo quando è grande. Bisogna tenere conto esplicitamente della granularità, e per questo si possono usare le equazioni della teoria dei loop. In questo modo si riesce a dare una descrizione degli istanti immediatamente successivi al Big-Bang e perfino del Big Bang. Chiedersi invece cosa sia successo “prima” del Big-Bang, io penso che non abbia senso: è come chiedersi cosa ci sia sulla superficie terrestre due metri più a nord del polo Nord.
L’applicazione della teoria dei loop ai buchi neri riguarda una strana scoperta teorica fatta negli anni ’70 da Stephen Hawking, il fisico teorico divenuto celebre perché riuscì a continuare il suo lavoro di scienziato nonostante fosse costretto da una terribile malattia a vivere su una sedia a rotelle e a comunicare solo per mezzo di un computer che riusciva ad azionare con le dita. Stephen ha scoperto che i buchi neri sono “caldi”, cioè si comportano esattamente come i corpi caldi: emettono radiazione termica a una certa temperatura. Ora noi sappiamo che in generale gli oggetti sono caldi perché i loro costituenti microscopici si muovono. Un pezzo di ferro caldo è un pezzo di ferro in cui gli atomi di ferro vibrano molto in fretta intorno alle loro posizioni di equilibrio. Se un buco nero è caldo, quali sono i suoi “atomi” elementari che vibrano? La teoria dei loop offre una risposta a questa domanda. Gli “atomi” elementari del buco nero che vibrano, e che sono responsabili della sua temperatura sono proprio i singoli loop che stanno sulla superficie del buco nero. Usando la teoria, è stato possibile comprendere il risultato di Hawking in termini delle “vibrazioni” microscopiche dei loop.
È importante dire, però, che, nonostante questi risultati e nonostante l’interesse che la teoria dei loop suscita, per il momento si tratta solo di una teoria ipotetica. Giusta o sbagliata, è una possibile soluzione del problema, ma fino a quando non si arriverà ad effettuare delle misure che confermino le sue predizioni quantitative, non sappiamo se è la soluzione giusta.
Parlando di scienza contemporanea, è molto importante fare una distinzione chiara tra quello che si sa e quello che si suppone. Quello che si sa oggi sul mondo fisico riguarda le equazioni di Maxwell, la meccanica di Newton, la meccanica quantistica, la teoria delle particelle elementari del cosiddetto modello standard e la relatività generale. Queste sono teorie fondamentali accertate, che nel loro ambito funzionano benissimo. Poi ci sono le teorie ipotetiche, come la teoria dei loop, che un giorno potrebbe diventare una teoria accertata, se verrà verificata sul piano sperimentale. Penso che un grave danno alla scienza viene fatto da divulgatori che danno per accertate delle teorie solo ipotetiche, come purtroppo avviene. Il pubblico si deve poter fidare degli uomini di scienza, e per questo essi devono essere molto cauti prima di annunciare che “hanno capito” davvero qualcosa di nuovo del mondo.
In effetti, la parte più difficile di un lavoro come il mio è che, da un lato c’è l’entusiasmo di formulare una teoria nuova, si è forse sulle tracce della comprensione di un nuovo aspetto del mondo; ma dall’altro c’è la frustrazione di lavorare tutta una vita su teorie che potrebbero alla fine rivelarsi sbagliate o, ancor peggio, il rischio di poter restare senza sapere se siano giuste oppure no.
Esistono anche altre teorie ipotetiche, oltre quella dei loop, che cercano di risolvere il problema della gravità quantistica. L’alternativa più studiata è la “teoria delle stringhe”, che ipotizza che le particelle elementari non siano particelle, ma piccole cordicelle. Nonostante un’apparente somiglianza fra stringhe e loop, la differenza è molto grande: le stringhe sono delle cordicelle che si muovono nello spazio, a differenza dei loop che, invece, sono essi stessi lo spazio. Il vantaggio della teoria delle stringhe è che oltre a fornire una possibile soluzione al problema della gravità quantistica è anche un tentativo di una teoria unificata di tutte le forze e tutte le particelle. Il vantaggio della teoria dei loop è che essa incorpora a fondo ciò che la relatività generale ci ha insegnato sul mondo: cioè il fatto che non esiste lo spazio-tavola di Newton, su cui si muovono campi e particelle. Se una di queste due teorie sia quella giusta, e quale essa sia, o se alla fine si arriverà a combinarle, non lo sa nessuno, per ora. Il futuro dirà chi ha ragione.