Ora, ho notato che ogniqualvolta cambio pelle, subito dopo aver fatto la muda mi viene una gran fame. Perciò, lucente, luccicante, splendente e scintillante, liscio e colorito nella mia pelle nuova, mi misi in giro a cercare per l'isola qualcosa da mangiare. Passai oltre un'altura e attraverso una foresta e dall'altra parte di una valle, senza mai vedere niente. Poi giunsi a un fiume e ne rimontai a nuoto la corrente. Era un fiumicello, tortuoso per di più, e se mi voltavo a guardare indietro vedevo soltanto me stesso scomparire dietro un'ansa. Comunque, rimontai quel fiume e t'assicuro che i pesciolini credettero che fosse venuto il loro anno mille.
Capitai assai presto a una città: una città con tuguri di mota e gente di pelle scura. Stavano tutti oziando presso la riva del fiume, ad ascoltare uno dei loro stregoni che raccontava, non ne ho alcun dubbio, qualche atroce bugia. Giunsi nell'acqua bassa vicino a loro, che si misero a strillare e a fuggire. Come i polli, fuggivano in cerchio e, anche se ti sembrerà incredibile, alcuni saltarono addirittura in acqua per cercare di attraversare a nuoto.
Io li osservai, li guardai ben bene e individuai quello che desideravo per pietanza. Scelsi un bambinetto grasso color caffè. Ah, era così bello grassoccio che sono pronto a scommettere che sua madre l'aveva nutrito d'uova d'anatra e di banane arrostite. Col pancino tondeggiante e prominente che aveva, perbacco, non vedeva le proprie ginocchia.
A ogni modo, pensò di arrampicarsi su un albero. Sai come codesti indigeni si arrampicano sugli alberi, intrecciando i piedi di dietro e salendo su per un tronco inclinato con stupidi salti della rana. È ciò che fece quel marmocchio. Lasciai che arrivasse proprio in cima, su tra le fronde e le noci di cocco. Mi guardava di lassù come una scimmietta, e da come berciava si sarebbe creduto che stesse per accadergli qualcosa di terribile.
Be', signor mio, io salgo davvero piuttosto facilmente, sai, mollandomi su lungo il tronco, adagio, adagio, con la pelle che s'increspa e ondula mentre con morbido sforzo do maggiore altitudine alla mia testa. E la mia cara lingua che fa tanta paura alla gente, perché crede che sia un pungiglione... Be', signor mio, tiravo fuori e rientravo la lingua continuamento, un diavolo di roba, te l'assicuro. Dio buono! Credevo che quel negretto si facesse scoppiare le corde vocali quando ha visto la mia vecchia lingua guizzante verso di lui, in quel modo del diavolo.
Be', signor mio, lo acchiappo per la gamba e... Gesù, se si mette a berciare! Ma io tengo buona presa, dicendo fra i denti: "Vieni fuori di lì, mascalzoncello!" e gli do un diavolo di strattone che gli fa mollare presa, così che io barcollo indietro con lui in bocca, perdo l'equilibrio, e tutt'e due piombiamo al suolo con un diavolo di botto. Per poco non ci rimango secco, dannazione!
L'ho ingoiato più o meno come tu ingoieresti un'ostrica e con assolutamente altrettanto diritto, se mi consenti una digressione etica. Giusto mentre lo stavo mandando giù fra le mandibole, così che avevo la testa tutta sformata e gli occhi che strabuzzavano come globi di lampada, ch'io sia dannato, perbacco, se il buon paparino del bimbetto non se ne viene brandendo il suo arpione da pesca, e si mette a dar fastidio. Be', col bambino incuneato in bocca a quel modo, non potevo fare gran che in quanto a mordere; ma, credimi pure, amico, ho provveduto senz'altro al paterno genitore. Con circa l'ultimo terzo del mio corpo ho fatto una gassa intorno a lui e al suo dannato arpione; e quando ho finito di spremerlo, era pronto per gridare pietà, solo che non poteva a causa dei polmoni acciaccati.
ETAOIN: Il tuo racconto è molto colorito. Che n'è stato del padre del bambino?
IL SERPENTE: Oh, ho pappato anche lui. E ho cercato in giro la vecchia, ma non l'ho trovata e perciò mi sono soltanto pappato la prima vahine in cui mi sono imbattuto. Ma il bambinetto grasso è stato il migliore.
ETAOIN: Sei un raconteur di raro pregio. Raccontami di qualche altro tuo pasto.
IL SERPENTE: No. Adesso tocca a te. Raccontami una storia.
ETAOIN: C'era un maiale. Un maiale Duroc-Jersey. Sgambettava nel suo porcile, mangiando la brodaglia del truogolo, e non coltivava conflitti spirituali. Diventò grasso e ancora più grasso. Poi un giorno il suo padrone lo caricò su un carro, lo portò al deposito, lo caricò su un treno merci e lo mandò a un'industria conserviera. Li fu abbattuto, ripulito delle interiora e squartato, come s'usa nei macelli. Alcuni mesi dopo, andai in un ristorante e ordinai braciole di maiale. E le braciole che mi servirono (possa io morire all'istante se mento) erano proprio di quel maiale che dicevo. La morale della storia è che lo scopo unico e solo, autentico e genuino della vita di quel maiale, e delle vite dei suoi progenitori, e delle vite di ciò di cui si nutrirono maiale e progenitori, come pure del clima e dell'habitat che ne favorirono la propagazione e maturazione, e degli uomini che li allevarono, che ne ebbero cura e che li misero sul mercato... l'unico scopo, dico, di tutto ciò, fu quello di farmi avere in quel ristorante, nel momento in cui le desideravo, un paio di saporite braciole di maiale.
IL SERPENTE: La tua opinione non manca di merito. Filosofavo in un ordine d'idee più o meno identico mentre mangiavo il bambinetto marrone. Ah, come mi è caro parlar di mangiare!
ETAOIN: Esiste un solo argomento più interessante di questo.
IL SERPENTE: Presumo che tu ti riferisca all'amore.
ETAOIN: Sì. Infatti. Sì.
IL SERPENTE: Io ricordo ancora il mio primo amore. Dev'essere stato undici secoli fa. Ah, s'era bella! Doveva essere un sei metri più lunga di me, perché io ero di un anno, a quel tempo. E i suoi grandi denti velenosi erano come le lame delle picche. Io ero a occidente, lei a oriente. Ne sentii l'odore da una parte all'altra del mondo. Era la prima volta che lo sentivo, ma sapevo che cosa significava: strano come a volte si sanno le cose senza che nessuno te le dica. Governai attraverso le acque oceaniche verso l'oriente dov'ella dimorava.
ETAOIN: Dev'essere stato un viaggio formidabile.
IL SERPENTE: Tale fu. Vidi il nautilo, il calamaro, l'obelia e lo squalo elasmobranchio. Spiccavano il volo intorno alla mia testa i pesci volanti e sopra di me veleggiava ad ali aperte una fregata. Avendo fame, acchiappai la fregata per aria e la divorai senza mancare nemmeno una palata con la mia coda.
ETAOIN: Che gusto aveva?
IL SERPENTE: Cattivo, di pesce fracido. Non ne ho mai più mangiato, neanche una. I pellicani, però, non sono male; e le anatre delle navi sono quanto mai gustose.
ETAOIN: Hai poi trovato la tua compagna?
IL SERPENTE: Altroché. Lungo le rocce brune in riva a un'isola. Era fredda e riservata. Strusciò su in cima alle rocce e mi si rivoltò sibilando. Io le scivolai dietro; la mia passione la riscaldò, il mio ardore sciolse un poco la sua riservatezza. Dimmi un po': che gli uomini, quando fanno opera di seduzione con le donne, le mordono sulla nuca?
ETAOIN: Qualche volta.
IL SERPENTE: Anche noi. La morsi sulla nuca e lei mi agganciò la mandibola inferiore. Sentii che il suo veleno circolava in me; ma non mi faceva punto male, né il mio faceva male a lei. Poi la trascinai via da quell'isola rocciosa, la avvinghiai con un paio di spire, e lottammo così in corpo a corpo fra le onde nervose e rimbalzanti. Ricordo che il cielo si copri di nubi e che il tuono brontolò, come se le nostre capriole scuotessero gli elementi. Dimmi un po': che gli uomini, dopo avere giaciuto con le donne, se ne stancano?
ETAOIN: Qualche volta.
IL SERPENTE: Anche noi. Mi stancai, la lasciai e tornai a occidente in un luogo tutto pietre vulcaniche e pieno di tartarughe enormi. Quelle tartarughe si nutrono solo di verdura e frutta. Raggiungono delle età fenomenali e, pur non essendosi mai allontanate dalla loro isoletta vulcanica, possiedono una saggezza profonda. Giacendo sulla sabbia parlai con loro. Mi rivolsero delle domande e mi raccontarono molte cose, strane e belle. Hanno i piedi come quelli degli elefanti e una voce bassa e lenta. Ma dimmi un po': che gli uomini, quando è trascorso il periodo di sazietà, concupiscono nuovamente le donne?
ETAOIN: Qualche volta.
IL SERPENTE: Anche noi. L'anno successivo sentii di nuovo il suo. odore, nuovamente all'altro capo del mondo, e rispondendo al richiamo andai da lei. Così pure andai da lei ogni anno da allora in poi, finché...
ETAOIN: Finché che cosa?
IL SERPENTE: Finché non accadde che il dottor Lao mi acchiappò e mi rinchiuse. Dimmi un po': che gli uomini, quando sono in gabbia...?
ETAOIN: Qualche volta.
IL SERPENTE: Anche noi.
ETAOIN: Più e più volte, attraverso tutta la storia marittima, ci sono state delle persone che hanno affermato di averti veduto. È davvero tuo costume, il ficcare la testa fuor dell'onde per spaventare le persone?
IL SERPENTE: Bah, qualche volta, vedendo una barca, la raggiungo a nuoto e ci do dentro un'occhiatina, tanto per il gusto di sentire gli strilli della gente. Poi, capisci, non mi dispiace di tener viva la mia leggenda.
ETAOIN: Raccontami come ha fatto, il dottor Lao, a catturarti.
IL SERPENTE: È stato a cagione della sirena. Non avevo mai visto prima nulla di simile. Dimmi un po': è bella?
ETAOIN: Estremamente.
IL SERPENTE: Be', facevo un giretto, al largo, lungo la costa della Cina, quando il dottor Lao se ne venne nella sua vecchia e grande giunca. Quell'affare passò proprio sopra di me, che in quel momento cacciavo le seppie in immersione. Subito dopo, però, affiorai per prendere un po' d'aria e vidi che il dottore stava tirando fuor dell'acqua ciò che allora mi parve un gran pesce splendente. Lui e tutti i coolies ch'erano con lui strillavano da far paura al diavolo, e perciò nuotai fin lungo il bordo per vedere che avessero pescato, per essere così eccitati. Sporsi solo la testa oltre la prua di quella giunca e rimasi a guardar lei con tanto d'occhi. Allora, mentre ero ancora come in trance, il dottor Lao mi gettò un nodo d'anguilla di cavo intorno al collo, e all'altra cima passò il doppino intorno al verricello. Quei cinesini mi presero a bordo, alandomi in coperta come una maledetta gomena. Quel dannato cavo mi strozzava, e persi conoscenza; quando rinvenni ero in una gabbia. Sono in gabbia da allora. È stato nove anni fa. Ma il mio giorno si avvicina. Io non dimentico.
ETAOIN: Che cosa farai?
IL SERPENTE: Pranzerò, e la portata di carne sarà fornita dal dottor Lao.
ETAOIN: Subordinato, s'intende, alla tua evasione da questa gabbia.
IL SERPENTE: Precisamente.
ETAOIN: E dopo il pasto? Che farai?
IL SERPENTE: Oh, prenderò la sirena, me la caricherò sul dorso (credo che possa tenersi aggrappata, se adopera contemporaneamente le mani e la coda di pesce) e poi entrerò nel fiume più vicino e nuoterò fino al mare. E sarà bene che nulla s'attenti a fermarmi.
ETAOIN: Perché prendere la sirena?
IL SERPENTE: E una figlia del mare, esattamente come io stesso ne sono figlio. Si strugge, a suo riguardo, esattamente come me. Inoltre, è bella. L'hai detto tu stesso. La porterò al mare e la libererò. Credi che mi saluterà, agitandomi la mano, quando sarà fuori nella corsa delle onde? Credi che mi manderà un sorriso nel nuotar via?
ETAOIN: Certo che lo farà.
IL SERPENTE: Lo spero. Poi entrerò anch'io nel riflusso e andrò a oriente, fino a quell'isola scura e rocciosa. La mia compagna sarà ancora lì; io so che ci sarà. Andrò a oriente da lei. L'obelia, il nautilo, il calamaro, lo squalo elasmobranchio... li rivedrò tutti.
ETAOIN: Mi piacerebbe accompagnarti.
Nell'attesa che lo spettacolo principale avesse inizio, il signor Etaoin vagò per lo spiazzo del circo. Incontrò la cronista della Tribune, che stava uscendo da un'altra tenda.
— Scommetto che m'invidierai — ella disse. — Ho avuto or ora un'intervista col dottor Lao in persona!
— Quisquilia — disse Etaoin. — Ho avuto or ora un' intervista col suo serpente.
Piacevolmente saturi della buona birra di Harry Martinez, Larry Kamper e il suo compagno se ne stavano seduti al bar, conversando, sorseggiando, fumando. Avevano trovato amicizia e interesse l'uno nell'altro, e innaffiato i semi del loro cameratismo con abbondanti aspersioni di birra fresca e amabile. Dopo aver esaurito l'argomento del clima, dei tempi difficili e della parata, il discorso volse sulla carriera di Larry in Oriente, al servizio della bandiera del suo paese.
— Briscole, ragazzo mio, — disse Larry — ho speso sei fottutissimi anni fra i pagani e torno a casa a ridiventare civile. Cribbio, quando sono arrivato a San Francisco mi sono sentito come un garzoncello di fattoria che va in città per la prima volta.
— Da che parte eri in Cina, Larry?
— In genere, su a Tientsin. Il Quindicesimo è di stanza proprio lì. Abbiamo anche battuto una quantità di altri luoghi in giro, s'intende.
— Che razza di birra ci hanno laggiù? — domandò Harry Martinez.
— Eh! L'Asahi, la Sakura, la Gold Bottle, la Pive Star, la Kupper, la Chess, la Spatenbrau, la Munchen, e un diavolo di altre marche. La migliore, però, era la Kupper. Santoddio, ne ho bevuta tanta e poi tanta da vararci dentro una corazzata. Non c'è che dire, ere una birra coi fiocchi.
— Be', e che razza di donne c'erano?
— Eh! Di tutte le marche. Coreane, manciù, giapponesi, russe, cantonesi, annamite, ebree, lettoni, slave, francesi, alsaziane, filippine. Un diavolo d'una quantità di marche. Le migliori, però erano le mancesi. Ragazzone con gli occhi dolci, da mucca, e dei grandi piedi, perché loro non li legano affatto. Portavano pantaloni e giubbe, come gli uomini, e avevano i capelli come fumo nero, come un fumo grasso e nero.
— Ho sempre sentito dire — osservò il suo amico — che codeste donne cinesi sono fatte diversamente. È vero?
— Macché, — disse Larry — sono tal quali le altre donne. Cosa strana, però, un mucchio di cinesi pensano lo stesso a proposito delle donne bianche. Chissà com'è nata questa idea?
Né il suo amico né Harry Martinez poterono essergli d'aiuto nella sua perplessità.
— Signoriddio, — disse l'amico di Larry — non c'è che dire, mi piacerebbe tanto viaggiare per il mondo e vedere strana gente e luoghi curiosi, com'è capitato a te. Da sempre, desidero viaggiare, ma credo proprio che non viaggerò mai. Resterò piantato qui ad Abalone con la moglie e i bambini, a tirare la carretta finché muoio. Appunto l'altro giorno pensavo perché non filarmela per occhio e bordeggiare fino alla costa e imbarcarmi come clandestino su una nave che va in Australia, forse. O in qualunque altro luogo, purché sia lontano lontano. Una volta arrivato li, potrei cambiare nome e ricominciare tutto da capo; chissà, spassarmela ancora un po'. Ma credo proprio che non farò altro che restare qui ad Abalone con la moglie e i bambini fino a marcire.
— Hai mai visto fare delle decapitazioni, laggiù, Larry? — domandò Harry Martinez.
— Ma sicuro. Tempo addietro, nel '27, ne hanno fatte un mucchio, quando i banditi erano diventati un flagello. Noialtri andavamo nella città indigena tutte le volte che stava per esserci un'esecuzione, a prendere fotografie di quella fottutissima faccenda. Ne ho alcune buone nel mio baule, che è rimasto impegnato a San Francisco.
«Una volta, in un borgo laggiù, che si chiama Tongshan, dove noi facevamo la guardia mentre era in corso una rivoluzione, dei soldati cinesi accerchiarono un gruppetto di disertori ed ebbero l'idea di fare un'uccisione pubblica. La misero in scena in una cava di pietra, e tutti noi andammo ad assistere.
«Quella volta li, spararono, invece di usare il grande coltello. Prendevano fuori un tizio, lo facevano inginocchiare, e poi si faceva avanti un sottufficiale cinese con una grossa pistola Mauser e gliela scaricava fra le corna.
«C'era una gran folla, un diavolo di gente che stava in piedi tutt'intorno a guardare. Del resto, a Tongshan, non c'era altro da fare che assistere alle esecuzioni, a parte che scavar carbone.
«Be', i cinesini ti tirano fuori l'ultimo tizio, un bischerone grande e grosso, decisi a sparar quello e poi basta per quel giorno. Il sottufficiale, lui, tira indietro il carrello della sua Mauser, vede che ha ancora una pallottola in canna, e si fa avanti per inchiodare il ragazzone. Be', il tizio grande e grosso, lui, è spaventosamente nervoso, e spia quella Mauser con l'angolo dell'occhio. Quasi nell'istante in cui il sottufficiale preme il grilletto, il ragazzone scosta di scatto la testa e il sottufficiale manca il colpo. Era per di più il primo che mancava in tutta la giornata.
«Ma quella fottuta pallottola di Mauser voleva il sangue, e picchiando su una pietra piatta rimbalza tra la folla di spettatori, colpendo un bambinetto dritto nella tempia e lasciandolo stecchito sul posto.
«E che mi dannino se a quei cinesini non è sembrato un diavolo di bello scherzo. Accidenti, hanno riso e riso a crepapelle. Non c'è che dire, sono gente svitata.»
— Io una volta ho visto Pancho Villa mettere al muro un gruppetto di tizi — disse Harry Martinez. — Ma allora nessuno ha riso.
— Be', signor mio, i cinesi sono una robad straordinaria. Ho una certa simpatia per loro, fra l'altro. Ehi! Quel circo! Non è diretto da un cinese?
— Ma sì.
— Be', vieni. Andiamoci. Dovrebbe essere in gamba.
Per tutta la lunghezza di Main Street, Larry continuò a cambiar piede, cercando di andare al passo col suo compagno.
— Ma guarda questa dannata città — si lamentava l'amico. — Sono inchiodato qui fino dal millenovecento-diciannove. Venuto qui per motivi di salute della moglie, e credo proprio che resterò sempre inchiodato qui. Buon Dio! Il resto della mia vita ad Abalone. Questo dannato luogo era morto quando sono arrivato, ed è sempre più morto. Tu sei stato in Cina, in Giappone, nelle Filippine e in tutti quei luoghi, ma io non sono stato da nessuna parte eccetto Abalone (Arizona). Buon Dio!
— Già, è dura, effettivamente — disse Larry.
— Che cosa hai in mente di fare, Larry, quando sfanghi da qui?
— Bah! Credo che pescherò da qualche parte un centro di reclutamento e mi arruolerò nell'11° reggimento Genio, a Panama. Si dice che sia una buona baracca e comunque sarà un cambiamento rispetto alla fanteria. Quando anche questo «passaggio» sarà finito, credo che proverò nell'artiglieria costiera a Hawaii e, dopo di questa, nell'aviazione delle isole. Poi forse tornerò in Cina. Non so. C'è ancora un mucchio di posti che voglio vedere.
— Non sei del parere di stabilirti in un solo posto, vero?
— Diavolo, no! Io non ho mai visto una combinazione di cui non m'è venuta la nausea nel giro di pochi anni. L'esercito ha questo di buono. Finita la ferma, ne puoi uscire come diavolo ti pare e andare da qualche altra parte. Non è affatto come dover conservare un lavoro nella vita civile.
— No, — disse l'amico — per Dio, direi che non lo è affatto.
Raggiunsero il terreno del circo proprio mentre i due studentelli, dopo una capriola per aria, atterravano nel bel mezzo di Main Street. Larry e il suo amico si avvicinarono e li aiutarono a rialzarsi.
— Che succede, ragazzi. Sbattuti fuori?
— Qualcosa del genere — disse Paul Conrad. — Non importa, è un circo schifoso, del resto. — Lui e Slick salirono nella loro vecchia automobile, stentarono un po' a mettere in moto, e poi schizzarono via. Sul retro della vettura era pitturata la scritta:
GIOVENTÙ FIAMMANTE... ATTENTI AL NOSTRO FUMO
— Gran ragazzi, questi vagabondi d'universitari — disse Larry con ammirazione. — Non gliene importa una cicca di niente.
La gente rise, quando il dottor Lao, avvicinatosi a Larry Kemper, gli rivolse la parola in cinese; ma le risate si mutarono in stupefazione quando Larry rispose con la musicalità vocalica e fluida dell'alto mandarino. Emetteva i monosillabi in uno o nell'altro dei quattro toni nello stesso modo stridulo del dottore, e nel parlare essi erano come due che non si conoscono e che incontrandosi in terra straniera sono uniti dal ponte della lingua comune.
Terminata la conversazione, il dottore e Larry fecero l'inchino, strusciarono i piedi e si separarono. Larry tornò dall'amico e disse: — Vieni, il dottore mi ha dato una drizza di qualcosa che scotta. È in quella tenda laggiù. Vieni, rimpiangevi poco fa che avresti voluto vedere delle cose. Questa dovrebbe soddisfarti.
Sgusciarono in una tenda piccola e buia. Il dottore era già dentro. In una gabbia bassa, una gran lupa grigia guaiva e sfiatava.
— Non riesco a capire come può essere successo — disse il dottor Lao. — Di solito, le sue cose le vengono secondo il ciclo regolare. Non doveva averle fino a ottobre. E ora, ecco che si mette a fare la metamorfosi nel bel mezzo dell'esibizione del circo. Sono certo che in qualche modo c'entra l'equinozio.
— Di che cavolo sta parlando? — bisbigliò l'amico di Larry.
— Questa fottutissima lupa sta per tramutarsi in una ragazza — disse Larry. — Guarda bene. Scommetto che non hai mai visto niente di simile.
— Buah, al diavolo! — disse l'uomo. — Stai cercando di darmela a bere?
— Non ti do a bere un bel niente — protestò Larry. — Non hai mai sentito parlare dei lupi mannari? Si trasformano sempre. Questa è una di quelli, e ha deciso di trasformarsi. Succederà da un momento all'altro. Accidempoli! Senti come si lamenta!
— Be', finché non lo vedo non ci credo — disse l'uomo. — E anche allora, non so se ci crederò o no.
Il manto protettivo della lupa, volgendosi in dentro, scivolò sotto il vello. Le sue mammelle si spostarono lungo il ventre fino a unirsi e a formare due grasse poppe. I canini si spuntarono e si ritirarono. La sua coda si ritrasse.
— Perdiana, le sta succedendo qualcosa — convenne l'amico di Larry. — Che ha? È malata?
— No, no — disse il dottor Lao. — Sono soltanto i preliminari soliti. Tra un attimo, vedrete che le sue gambe posteriori subiranno un allungamento radicale. Dopo, la trasformazione è molto rapida. Interessante, se v'interessa la morfologia della mutazione.
La lupa gettava gridi di dolore, ma non simili a quelli che i lupi gettano abitualmente.
— Capite, — disse il dottor Lao — nella metamorfosi, per esempio, di un girino in rana, il processo è lungo e la sua stessa lentezza compensa ogni eventuale dolore fisico inerente al cambiamento. Quando una lupa si tramuta in donna, invece, lo fa in pochissimi minuti e perciò il dolore ne risulta notevolmente intensificato. Notate che, nel mutare, passa fugacemente per l'apparenza di ogni forma animale che costituisce un anello della catena dell'evoluzione tra la sua forma e quella umana. Sono spesso portato a pensare, del resto, che il fenomeno della licantropia non sia altro che un'inversione delle leggi dell'evoluzione.
Ci fu un'esclamazione soffocata, un gemito e un singhiozzo, e sdraiata nella gabbia ci fu una donna tutta tremante.
— Puah, dottore! — disse Larry disgustato. — Perché non ce l'aveva detto che sarebbe stata così maledettamente vecchia? Cribbio! Quella vecchia signora sembra una bisnonna. Diavolo, credevo che stessimo per vedere una pollastrella. Svelto, per l'amor del cielo! Le getti qualche vestito addosso.
— Edonista — disse il dottore. — Dovevo prevederlo che il suo interesse in tutto ciò sarebbe stato unicamente carnale. Ha assistito a una cosa che, secondo ogni metro, sacro o profano, è un miracolo; ma è deluso perché non fornisce stimolo alla sua lubricità.
— Io sono un soldato, non uno scienziato — disse Larry. — Credevo di vedere qualcosa che scotta. Ma che età ha, del resto, questa vecchia figliola? Cent'anni?
— Ha circa trecent'anni — disse il dottore. — I lupi mannari possiedono una notevole longevità.
— Una donna di trecent'anni! All'anima! E io che credevo di vedere una pollastrella. Santoddio, andiamocene, amico.
Il grande gong di bronzo rintoccava e risonava rumorosamente e da tutti i punti del terreno del circo la gente, rossa, nera e bianca, usciva dalle tende del parco dei divertimenti e affluiva scalpicciando nella polvere. Tutti s'imbrancavano verso il tendone e per uno o due minuti il viale principale fu gremito. Poi tutti scomparvero sotto il telone e il viale principale, a parte il polverone, rimase deserto. La risonanza del gong di bronzo si affievolì e si spense.
Il tendone, all'interno, era laccato di uno smorto colore cremoso. Su di esso erano pitturati draghi alati, svastiche nere e occhi di pesce. Non c'erano piste rotonde. Nel centro del pavimento c'era invece un gran triangolo, e ogni suo angolo era munito d'un piedestallo. Il dottor Lao, nella classica tenuta del presentatore da circo, con abito a coda, cappello a cilindro e frusta schioccante, sali in cima a uno dei piedestalli e soffiò in un fischietto. Venne, da un'entrata dalla parte opposta, un subbuglio e un fruscio. Una musica cinese, monotona come quella delle zampogne scozzesi, sussurrò per tutto il tendone. Si scorgeva un ammassamento di figure all'entrata lontana. La gran sfilata si metteva in moto. Lo spettacolo principale era cominciato.
In testa, sbuffante e rampante, veniva l'unicorno. Gli avevano indorato il corno e ravviata la criniera.
— Osservatelo! — gridò il dottor Lao. — Osservate l'unicorno. La giraffa è l'unico animale provvisto di corna caduche, che però non le perde e. non le cambia. L'antilope americana, che poi non è un'antilope, è l'unico animale provvisto di corna persistenti, che però le perde e le cambia. Questi sono casi unici fra le bestie decidue. Ma che dire allora dell'unicorno? Non è un caso più che unico? Il corno persistente è pelo, il caduco è cartilagine od osso; ma quel che l'unicorno ha sulla testa è metallo. Pensateci su, volete?
Veniva poi la sfinge, ponderosa e maestosa, scrollando le sue buccole.
— Di' qualcosa a questi signori — disse il maestro di pista Lao.
— Che cos'è che cammina con quattro gambe, due gambe, tre gambe? — disse leziosamente l'androgino.
Avanzarono Mumbo Jumbo e il suo seguito. Il satiro suonò la sua siringa. Le ninfe danzarono. Il serpente di mare serpeggiò scivolando. Sbattendo le ali, la chimera riempì di fumo il tendone. Due pastore guidarono il loro gregge di pecore. La sirena, portata in braccio da un coso che somigliava a un orso, gettò baci al pubblico. Il bracco delle siepi abbaiò e ruzzò. Apollonio gettò petali di rosa. Passò, con gli occhi bendati e i serpentelli in gran contorcimento, la medusa guidata dal fauno. Pigolando, il pulcino di roc sgambettò. Sull'asino d'oro cavalcava una vecchia donna. Una tartaruga a due teste, incapace di decidersi con l'una o con l'altra, andò vagando qua e là. Era la più dannata accozzaglia che Abalone (Arizona) avesse mai veduto.
Il signor Etaoin, ch'era seduto dietro Larry Kamper, disse alla signorina Agnes Birdsong: — Be', credo che abbiamo visto tutta la baracca. Eccetto il lupo mannaro, però. Chissà dov'è?
Larry si girò: — La vede, quella vecchia in groppa all'asino? Eccole il suo fottutissimo lupo mannaro.
Girando torno torno al grande triangolo, sotto la direzione del maestro di cerimonie Lao che li guidava dal suo piedestallo, gli animali camminavano, danzavano, caracollavano, svolazzavano e strisciavano. Ruggivano, stridevano e schiamazzavano. La musica cinese suonata su legni e corde sussurrava monotona con ondeggianti piagnucolii. La sfinge, troppo a ridosso dell'ombroso unicorno, gli mise accidentalmente il muso nel posteriore, e l'unicorno reagì con un calcio formidabile, mandando i suoi calcagni a sbattere nel fianco della sfinge. L'ermafrodita strillò. Con le sue grandi zampe colpi e pungolò il collo e la schiena dell'unicorno. Questi balzò come uno stallone imbizzarrito, piroettò e centrò il suo corno nei polmoni della sfinge. Nervosamente, la chimera sgusciava all'intorno, sbattendo l'ale e sollevando nuvole di polvere. Il serpente di mare s'impennò in una S gigantesca, e con un colpo fulmineo da quindici metri acchiappò la chimera da una gamba anteriore e scagliò sette spire intorno alle sue ali e alle sue spalle. Il bracco delle siepi, acciambellatosi tutto stretto a palla, sembrava un monticello d'erba raccolta. Il russo baciava appassionatamente la sirena. Il satiro, approfittando del fatto che Mumbo Jumbo gli volgeva le spalle, abbassò le corna, spiccò una corsettina e gl'infilzò le chiappe. La vecchia, essendosi tramutata di nuovo in lupa, cercava di mangiarsi il pulcino di roc. Il piccolo fauno lanciava sassi al dottor Lao. Le ninfe, le pastore e gli agnellini si nascondevano e belavano. Cadde la benda dal volto della medusa, e undici persone furono tramutate in pietra.
— Oh, sventura! — strillò il dottore. — Perché mai devono azzuffarsi quando non c'è nessun motivo di azzuffarsi? Sono stupidi come gli esseri umani. Fermali, Apollonio, presto, prima che qualcuno si faccia male!
Il taumaturgo lanciò uno sfilza d'incantesimi tra le bestie isteriche. Incantesimi di pace, di mediazione, di raziocinio, di arbitraggio. La calma balenò attraverso l'aria febbrile e cadde come morbida ragnatela sopra i rissosi. Il baccano diminuì. Estraendo il corno dai polmoni della sfinge, l'unicorno trotterellò via e andò a brucare l'erba sparsa. La sfinge si leccava il fianco lacerato. Il serpente di mare mollò la chimera e si fece riandare a posto le mandibole con uno sbadiglio. Scrollandosi, il bracco delle siepi si alzò e uggiolò, La sirena dava qualche amichevole carezzina all'orso. Mumbo Jumbo perdonava il satiro. La lupa mannara si era rimetamorfosizzata. Il fauno aveva cessato di lanciare sassi. Tornavano le ninfe, le pastore e gli agnellini. La medusa si rimetteva la benda.
La quiete dopo la tempesta. La pace dopo la battaglia. Il perdono dopo l'odio. Ansanti, blandendo le loro carni traumatizzate, gli animali se ne stavano inattivi. Ma negli occhi d'uno di loro bruciava ancora il calore del combattimento. La brama d'uccidere che ancora ardeva nel suo corpo fiammeggiò. E il grande serpente fece scattare improvvisamente le sue spire, colpi' come una catapulta e strappò il dottor Lao dal suo posatoio. Oltre tutta l'ampiezza del triangolo, il serpente colpi; né l'occhio poteva seguire la folgore della sua testa.
— Ah, il mio antico e implacabile nemico! — ansò il dottore. — Tu solo non potrai mai essere addomesticato. Tu solo non potrai mai perdonare. Aiutami, Apollonio, presto, che non mi ammazzi!
Intorno al serpente, il mago mandò un alone di freddo; allorché il gelo morse la pelle del rettile, i suoi contorcimenti rallentarono e i suoi occhi infuriati si appannarono. L'alone diventava freddo, sempre più freddo, e il suo sangue s'ispessiva nell'aria gelida, il suo corpo si faceva molle. Alla fine giacque immobile, come un gran nastro grigio, vedendo senza percepire, inerte. La rabbia contorceva ancora le sue spire, ma in modo assiderato, passivo.
Il dottor Lao strisciò via. — Tienilo al freddo finché non lo rimettiamo in gabbia — ordinò. — Sono immunizzato, per fortuna, contro il suo veleno. Ma è un essere traditore e vendicativo. Non avrei dovuto fidarmi a farlo uscire.
Lo spettacolo riprese.
Dopo che tutti gli altri si furono ritirati, rimase nel triangolo la sfinge per esibirsi, da sola, in una danza acrobatica. Gettando per aria la coda, il deretano e le gambe posteriori, danzò sulle zampe anteriori il valzer, lo scottisch, il morris, a tempo con banali musichette da ballo. Facendo la verticale con eleganza, danzava goffamente, canticchiando e sorridendo.
— Se deve ballare dovrebbe avere un compagno — disse qualcuno.
— Eh, eh! — ridacchiò un ispettore della quarantena. — Quell'animale lì non ha bisogno di nessun compagno, vero, Al?
— Eh, già, — disse Al — è Pierrot e Colombina al tempo stesso, perdinci.
Un enorme verro trotterellò nel triangolo.
— Questo, nessuno di voi l'ha visto prima — strillò il cinese. — Il porco gadareno in carne e ossa. Invasato dal demonio cerca la salvezza per tutta la terra, ma non la trova. Bestia biblica, essa è il simbolo che la carne è tutta immonda. Quindi, macellazione sacrificale, per scacciare i diavoli nascosti; questo è il proposito delle pantomime dei macellai sacerdotali.
Grugnendo e borbottando, il verro si fermò a grufolare. Dal suo orecchio sbucò con la testa e le spalle il diavolo che lo abitava. Il piccolo belzebù salutò amichevolmente il dottor Lao agitando il tridente. — Fa un caldo d'inferno in questo tendone — disse.
— Tu devi ben saperlo — riconobbe il dottore.
Venne avanti l'asinello d'oro. Asino e verro danzarono un minuetto.
— Perché mai in questo circo — domandò la signora Howard T. Cassan — tutto e tutti danzano continuamente?
— È la danza della vita, gentile signora — disse il tizio anzianotto con i calzoni da golf. — In proposito, lei potrà trovare una quantità di precedenti, se li cerca abbastanza lontano.
Il triangolo rimase vuoto. Il dottor Lao fischiò, e il bracco delle siepi trotterellò fuori. Camminò in piedi sulle zampe posteriori e poi saltò su quelle anteriori. Fece il morto, e fece di conto, con laconici abbaiamenti. Il dottor Lao, come ricompensa, gli gettò delle foglie di lattuga.
— Diavolo, ho visto dei cani meglio addestrati di questo — commentò un poliziotto.
— Anch'io, mammà — bisbigliò Alice Rogers.
— La mammà lo trova molto intelligente, Alice — disse la signora Rogers, con un'occhiataccia al piedipiatti.
— Perché non ci sono mica gli elefanti? — domandò Edna Rogers.
— Su, Edna, non dire «mica» — disse mammà.
— Ma mi piace vedere gli elefanti che si prendono per la coda l'uno con l'altro — disse Edna.
La signora Rogers disse: — Oh, guardate, bambini, che buffo uccello. Guardate com'è ridicolo.
Il pulcino di roc faceva il funambolo su una corda tesa; ma, imperfettamente allenato, mancava d'equilibrio e di grazia. Possedeva però una forza eccezionale negli artigli. Camminava sulla fune come si camminerebbe con dei morsetti in luogo di piedi. Il dottor Lao, quando quello giunse in cima alla fune, gli gettò dei pezzi di prosciutto. Per afferrare quei brandelli e ritagli, il pulcino cadde in avanti; ma i suoi piedi rimasero aggrappati e così, descrivendo un semicerchio, con le ali che sbattevano a vuoto, il roc si capovolse e rimase penzoloni sotto la fune a testa in giù. Né voleva saperne di lasciar presa. Il dottor Lao gli diede ancora un boccone di prosciutto e lo tentò con altri affinché mollasse; ma i piedoni goffi e rossi, sporgendo come dei nodi intorno alla fune, tenevano duro. L'immenso sgricciolo capovolto piangeva disperato per il suo ribaltamento e per avere altra carne. Le sue aluzze dalle penne rade pendevano malamente e i suoi grandi occhi orlati di rosso consideravano con timore la segatura del triangolo.
— Su, lascia andare, sciocco, — tempestava il dottore — e ti rimetteremo nel nido... Chiedo la vostra indulgenza, buona gente. La riottosità di questo uccello incorreggibile ha sciupato il numero.
— Gli dia un verme da esca — suggerì qualcuno.
— Santo cielo, amico! — disse il dottore. — I roc sono dei rapaci, non vermivori. Non toccherebbero nemmeno un verme da esca.
Mumbo Jumbo venne dai camerini degli attori; il suo nero ultranero poneva un tocco di colore sulla sua nudità. Egli reggeva in una mano un coltello machete. Con l'altra mano afferrò la fune. Col machete tranciò il cavo in due. Il roc cadde sul muso. Mumbo Jumbo lo prese su, come un tacchino, e portò fuori della tenda la creatura starnazzante.
— E ora, signori e signore, — disse il dottor Lao — ho il gran piacere di annunciarvi che Apollonio da Tiana, il più gran mago del mondo intero, vi presenterà, secondo la sua concezione, il Sabba delle Streghe... Ecco a voi, Apollonio da Tiana...
Beccata: — Più forte e più divertente! — proveniente da qualcuno nei posti popolari.
— E che! Quei dannati vagabondi di studenti si sono infilati di nuovo dentro? — domandò Al.
— Apollonio da Tiana — ripeté il direttore di circo. Tutto vestito di nero, sprofondato nei suoi pensieri, il mago camminò adagio fin nel triangolo, facendo tacere con un gesto il debole applauso.
Alzate le mani, con la sinistra che puntava dritta in su e la destra che puntava dritto in giù, intonò con voce cupa: — La tenebra sia.
E un sudario di tenebre cadde nel tendone, un sudario opaco, attraverso il quale non si vedeva nulla, che s'infiltrò in ogni angolo e cantuccio del tendone, così che non avresti saputo dire chi ti sedeva accanto e persino gl'innamorati erano costretti a toccarsi e vezzeggiarsi l'un l'altro per rassicurarsi.
— Chiar di luna — ordinò il mago. — Chiar di luna. Musica dolce del «piccolo».