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«Non è esattamente quello che definirei un look da turista», disse Joe.
Starsene a bordo di una barca sotto il sole rovente, infagottati com’erano in assetto completo da immersione, non era soltanto scomodo e complicato, ma dava proprio una sensazione di claustrofobia. Con quelle spesse mute, nemmeno la brezza riusciva a raggiungerli.
«Meglio che morire soffocati a causa delle esalazioni velenose», rispose Kurt.
Joe annuì, continuando a fare rotta verso riva.
Stavano oltrepassando il frangiflutti per entrare nel pittoresco porto di Lampedusa, punteggiato di piccole imbarcazioni all’ancora che si muovevano su e giù.
«Non c’è anima viva su nessun ponte», osservò Joe.
Kurt guardò oltre l’acqua, verso le strade e gli edifici che costeggiavano il porto. «La via qui di fronte sembra deserta», disse. «Zero traffico, neanche un pedone.»
Anche se Lampedusa contava circa semila abitanti, nell’esperienza di Kurt la metà di loro sembrava trovarsi tutta contemporaneamente sulla via principale, soprattutto quando lui doveva andare da qualche parte. Scooter e piccole auto sfrecciavano in tutte le direzioni, mentre furgoncini delle consegne si infilavano tra gli altri mezzi e si facevano abilmente strada nella mischia, con quell’inconfondibile incoscienza tutta italiana che faceva pensare che la maggior parte degli isolani avesse i requisiti per correre come pilota professionista di Formula 1.
Vedere l’isola così calma gli scatenò un brivido. «Vai a destra», disse. «Gira intorno a quella barca a vela. Possiamo prendere una scorciatoia per il capannone della logistica.»
«Una scorciatoia?»
«Laggiù c’è uno scalo di alaggio privato che è molto più vicino al nostro edificio di quanto non lo sia il molo principale», disse Kurt. «Qualche volta mi sono messo lì a pescare. Ci risparmierà un bel po’ di strada a piedi.»
Joe cambiò rotta e passarono a sinistra della barca a vela. In coperta si vedevano due figure accasciate. La prima era un uomo che sembrava essere caduto, aggrovigliandosi le cime intorno a un braccio. La seconda figura era una donna.
«Forse dovremmo...»
«Non c’è nulla che possiamo fare per loro», disse Kurt. «Proseguiamo.»
Senza rispondere, Joe mantenne la rotta, e di lì a poco stavano attraccando alla piccola banchina menzionata da Kurt.
«Immagino non ci sia da preoccuparsi che qualcuno possa rubare il nostro mezzo.»
Con le loro ingombranti mute, scesero dalla barca e raggiunsero in fretta il vicolo in cima alla banchina. Sulla strada giacevano altri corpi, tra cui quelli di una coppia di mezza età con un bambino piccolo e un cane al guinzaglio. La zona del marciapiede che si trovava sotto due alberi da ombra era disseminata di uccelli morti.
Kurt passò oltre gli uccelli e si inginocchiò brevemente per esaminare la coppia. Fatta eccezione per le botte e i graffi provocati dall’impatto con il terreno, non c’erano segni di emorragie né di traumi. «È come se fossero caduti di peso, all’improvviso.»
«Qualunque cosa abbia colpito queste persone, l’ha fatto in fretta», commentò Joe.
Kurt alzò lo sguardo, si orientò e indicò la strada successiva. «Da questa parte.»
Camminarono per due isolati prima di arrivare al piccolo edificio che la NUMA utilizzava come centro logistico.
La parte anteriore era costituita da una rimessa non molto grande, ora adibita a deposito per le attrezzature e zeppa di oggetti recuperati dalla nave romana affondata. Sul retro della costruzione si trovavano quattro stanze utilizzate come uffici e dormitori.
«Chiuso», disse Joe, provando ad abbassare la maniglia.
Kurt indietreggiò e poi avanzò di nuovo per dare un calcio alla porta con lo stivale. Il colpo fu abbastanza forte da frantumare il legno e spalancarla.
Joe corse dentro. «Larisa?» chiamò. «Cody?»
Anche Kurt gridò i loro nomi, ma non poté non domandarsi quanta voce riuscisse effettivamente a uscire dal casco. Aveva l’impressione che per la maggior parte gli rimbombasse nelle orecchie.
«Controlliamo le altre stanze», suggerì Kurt. «Se qualcuno ha capito che si trattava di un vapore chimico, la migliore difesa sarebbe stata isolare quella più interna e rifugiarsi lì.»
Raggiunsero faticosamente il retro dell’edificio e Kurt entrò in una stanza, trovandola vuota. Joe aprì la porta dell’ufficio di fronte e scoprì qualcos’altro. «Qui.»
Kurt corse da lui. Quattro dei cinque membri della squadra erano accasciati su un tavolo a faccia in giù. Sembrava che stessero studiando una mappa quando erano stati colpiti. Su una sedia lì accanto, rilassato come se stesse semplicemente dormendo, c’era Cody Williams, l’esperto di antichità romane che era alla guida della ricerca.
«Riunione del mattino», commentò Kurt. «Controlla se danno segni di vita.»
«Kurt, non sono...»
«Controlla comunque», rispose severo Kurt. «Dobbiamo esserne sicuri.»
Joe controllò il gruppo intorno al tavolo mentre Kurt si occupava di Cody, alzandolo dalla sedia e adagiandolo a terra. Era un peso morto, una bambola di pezza.
Lo scrollò, ma lui non reagì.
«Non sento il battito», disse Joe. «Non che mi aspettassi di riuscirci attraverso questi guanti.»
Joe fece per togliersene uno. «No», lo ammonì Kurt.
Mentre Joe rinunciava, Kurt estrasse un coltello e tenne la parte piatta della lama sotto il naso di Cody. «Niente», disse. «Non c’è condensa. Non stanno respirando.»
Allontanò il coltello e posò dolcemente la testa di Cody per terra. «Che diavolo stava trasportando quel mercantile?» borbottò ad alta voce. «Non conosco nulla che potrebbe fare una cosa del genere a un’isola intera. Tranne forse agenti nervini per utilizzo militare.»
Joe era altrettanto sconcertato. «E supponendo di essere un terrorista con una scorta di gas nervino letale, perché mai dovresti usarlo qui? Quest’isola non è altro che un puntino sulla mappa nel bel mezzo del mare. Qui ci sono soltanto turisti, pescatori e sub.»
Kurt guardò un’altra volta i corpi dei membri della squadra. «Non ne ho idea. Ma troveremo i responsabili. E, quando l’avremo fatto, vorranno non aver mai sentito nominare questo posto.»
Joe riconobbe il tono di voce del suo amico. Era tutto l’opposto dell’atteggiamento tranquillo e ottimista mostrato solitamente da Kurt. In un certo senso, era il lato oscuro della sua personalità. In un altro senso, invece, la sua era una tipica reazione americana: Non pestatemi i piedi. E guai a chi lo fa.
A volte, quando Kurt faceva così, Joe cercava di calmarlo, ma al momento si sentiva esattamente come lui.
«Chiama la Sea Dragon», disse Kurt. «Spiega loro cosa abbiamo trovato. Io vado a cercare delle chiavi. Dobbiamo raggiungere quell’ospedale, e io ne ho abbastanza di camminare.»