33

Il sub indicò freneticamente il relitto mezzo disseppellito, poi scrisse qualcos’altro sulla lavagnetta.

QUANDO AVETE ATTACCATO, LORO HANNO INNESCATO LA BOMBA.

Kurt cominciava a capire lo schema. Questi uomini volevano i reperti, ma nel caso in cui non fossero riusciti a impossessarsene erano determinati a impedire a chiunque altro di farlo.

«Fammi vedere.»

Il sub esitò.

«Fammi vedere!»

Anche se con riluttanza, il sub cominciò a nuotare, muovendo lentamente le gambe e guidando Kurt verso il relitto. Quando arrivarono, il sub illuminò la nave con la sua torcia. La squadra aveva usato l’escavatore a risucchio per rimuovere un’enorme quantità di sedimento, dal quale aveva estratto vari oggetti, scartando tutto ciò che non sembrava egizio. Moschetti, fusti marci e vecchi stivali giacevano sul fondale come un ammasso di rifiuti.

Della nave era rimasta soltanto l’ossatura. La maggior parte del fasciame esterno non c’era più e si erano conservate solo le coste, fatte di legno più spesso. Nuotandovi sopra, Kurt capì di cosa stava parlando il sub. Non una bomba, ma due blocchi di C-4 collegati a timer, proprio come quelli che avevano cercato di usare nel magazzino. Il problema era che questi esplosivi erano stati piazzati nello scheletro della nave come pezzi di carne lanciati nella gabbia di un animale.

Kurt manovrò per avvicinarsi, aggrappandosi al legno incrostato del vascello così da guardare meglio. Sui timer digitali era visualizzato un numero allarmante – 2:51 – che continuava a scendere.

Kurt tentò di infilarsi attraverso il relitto per prendere le bombe, ma non ci passava. Allungò il braccio per afferrarle, ma le sue dita non ci arrivavano. Le bombe erano almeno a mezzo metro dalla sua mano.

«Joe», chiamò. «Un po’ d’aiuto potrebbe farmi comodo.»

Joe e il Turtle lo raggiunsero proprio quando il timer arrivò a 2:00. Il ROV aveva un braccio manipolatore, che Joe allungò rapidamente, ma anche quello era troppo corto.

«È meglio che ce la filiamo», disse Joe. «Posso trascinare via questa gente.»

«Troppo tardi», rispose Kurt. «Non riusciremo mai ad allontanarci abbastanza. Considerando la quantità di C-4 che c’è qui sotto, sono piuttosto certo che finiremmo schiacciati dall’onda d’urto come un sottomarino colpito da una bomba di profondità. Ci serve un’altra opzione.»

Quando qualcosa lo urtò, Kurt si voltò e vide il sub che aveva salvato con in mano il tubo dell’escavatore a risucchio.

«Ottima idea», disse.

L’aspiratore era ancora acceso e stava risucchiando una piccola quantità d’acqua. Kurt lo fece passare nell’intelaiatura della nave e aprì la valvola.

Al primo tentativo il tubo aspirò il primo grande blocco quadrato di esplosivo, che si incastrò nel bocchettone. Kurt tirò fuori l’aspiratore e, quando fu lontano dal relitto, Joe disinnescò la carica.

Fu piuttosto semplice staccare i cavi elettrici. Joe fermò anche il timer, giusto per sicurezza.

«Quaranta secondi», disse, fissando il numero fermo sul display. «Facciamo in fretta con la seconda.»

Kurt stava già abbassando di nuovo l’aspiratore. Lo puntò verso la seconda bomba ma, invece di incastrarsi all’estremità del bocchettone come aveva fatto la prima, la carica grossa quanto una pallina da baseball svanì all’interno del tubo.

Sia Kurt sia Joe guardarono verso l’alto, seguendo con gli occhi il tubo verso la superficie.

«Dove pensi che andrà a finire?» domandò Joe.

Kurt non rispose, ma conoscevano entrambi la risposta. L’unica domanda era se la carica esplosiva sarebbe riuscita ad arrivare fino in superficie entro quaranta secondi o se si sarebbe bloccata da qualche parte lungo il percorso. Kurt mantenne l’aspirazione alla massima potenza nella speranza che il pacco arrivasse a destinazione.

In superficie, il rumoroso compressore che faceva funzionare l’escavatore a risucchio passò dal girare al minimo all’emettere un potente rombo. L’addetto, un uomo di nome Faruq, ne sembrava contento. Aveva cominciato a pensare che là sotto i lavori si fossero fermati.

Fino a quel momento avevano recuperato qualche gingillo, ma niente di importante. Iniziava a preoccuparsi. Ogni volta che un’imbarcazione passava in lontananza, si domandava se fosse la NATO o una nave pattuglia proveniente da Malta.

Si spostò nel punto in cui il foro di scarico dell’escavatore puntava verso la lastra di metallo, dove osservò felice il rivolo che fluiva sulla grata diventare un torrente composto per lo più di acqua, con poco sedimento. Ma la cosa poteva cambiare da un momento all’altro. Alla fine fuoriuscì un’ondata di limo, seguita da qualcosa di solido che si bloccò sulla grata. Uno degli uomini si allungò per prenderlo.

«No!» gridò Faruq.

L’esplosione soffocò il suo grido e colpì in pieno l’addetto e l’altro uomo, che volarono giù dalla chiatta. Il resto dell’esplosione investì la grata, il compressore e una grossa porzione dello scafo.

L’acqua cominciò a turbinare, riversandosi nell’imbarcazione, e la poppa si inabissò rapidamente.

L’unico sopravvissuto sulla chiatta si rialzò da un punto in coperta vicino a prua. Con le orecchie che fischiavano e la testa che girava, vide l’acqua verde travolgere il ponte, sentì l’imbarcazione inclinarsi e non sprecò tempo a preoccuparsi di nessun altro. Si tuffò fuoribordo e cominciò a nuotare verso l’altra imbarcazione.

Quando raggiunse la scaletta, uno degli uomini venne verso di lui per dargli una mano, ma, prima che potesse mettere un piede sul primo piolo, qualcosa di appuntito gli si conficcò nelle gambe, gliele strinse e lo trascinò indietro, buttandolo giù.

Uno squalo, pensò, temendo la peggiore delle morti. Ma quando si guardò indietro, vide una chiazza gialla. Era un sommergibile che si stava muovendo al contrario, con i bracci a pinza attaccati alle sue gambe per tirarlo sott’acqua.

Proprio quando stava per svenire, la presa si allentò, liberandolo. L’uomo emerse in superficie e si ritrovò a cento metri dalla barca per le immersioni, senza riuscire a fare molto di più che tossire e cercare di restare a galla. Si guardò intorno; il sommergibile non si vedeva da nessuna parte.

I due uomini sull’imbarcazione imbracciarono le armi, scrutando l’acqua intorno a loro. Sapevano di essere sotto attacco.

«Vedi qualcosa?» gridò uno di loro.

«No.»

«Controlla dall’altra parte.»

«Là!» rispose il secondo.

Quando aprì il fuoco contro quello che pensava essere il sommergibile, i suoi proiettili bersagliarono l’acqua. Qualunque fosse la cosa contro cui aveva sparato, era svanita in fretta.

«Là!» esclamò il primo uomo, individuando una macchia gialla.

Il ROV si stava spostando appena sotto la superficie e puntava dritto verso di loro, lo scafo ben visibile sotto la luce del sole. Entrambi presero la mira e iniziarono a sparare; i proiettili finivano in mare, sollevando schizzi d’acqua.

Ma la bestia gialla continuava il suo attacco. Lo scafo emerse in superficie, diventando un bersaglio facile. I due uomini gli riversarono addosso una scarica di colpi, ma il ROV proseguì fino a sbattere contro di loro.

L’impatto fece dondolare la barca, ma loro mantennero l’equilibrio mentre il mezzo, spinto di lato, sfrecciava lungo il loro scafo per poi allontanarsi.

Solo in quel momento si resero conto che sul sommergibile non c’era nessuno.

Richiamati da un fischio alle loro spalle, i due capirono chiaramente ciò che stava succedendo. Voltandosi videro un uomo con i capelli argentati, in piedi con indosso una muta da sub, che puntava uno dei fucili APS verso di loro.

Kurt era riemerso dietro di loro ed era riuscito a salire in coperta mentre i due erano indaffarati con il mezzo giallo che li stava attaccando.

«Gettate le armi in mare», ordinò.

Loro obbedirono e poi alzarono le mani.

«A terra a faccia in giù», disse Kurt. «Mani dietro la testa.»

I due eseguirono anche stavolta.

Tenendoli sotto tiro, Kurt si avvicinò lentamente al comandante della barca e usò il coltello per liberarlo e togliergli il fazzoletto che aveva appallottolato in bocca.

«Hanno i miei uomini sott’acqua», disse il capo immersione in un inglese stentato.

«Non preoccuparti», rispose Kurt. «I tuoi uomini stanno bene.»

L’altro scosse la testa. «Quegli uomini sono là sotto dalle prime luci dell’alba e la nostra camera di decompressione era sulla chiatta.»

«Ne abbiamo una noi sulla nostra nave», disse Kurt. «La porteremo qui.» Chiamò la Sea Dragon sul canale radio marino.

«E i D’Campion?» domandò il capo immersione. «Sono i titolari dell’organizzazione di recupero.»

«Che problema c’è?»

«Quella gente li ha presi.»

«Avrei dovuto immaginarlo», disse Kurt. Puntò il fucile verso uno dei criminali. «Radio o telefono?»

«Telefono», rispose l’uomo. «Nello zaino.»

Kurt estrasse un telefono satellitare da uno zaino verde e costrinse il suo prigioniero a digitare il numero.

«Ti ascolto», disse una voce roca. «Che progressi state facendo?»

A quel punto intervenne Kurt. «Sei tu che stai tenendo in ostaggio i D’Campion?»

«Chi parla?»

«Mi chiamo Austin», rispose Kurt. «Con chi ho il dispiacere di parlare?»

«Se non conosci il mio nome, mi sembra prudente lasciare che le cose restino così.»

«Non ci metterò molto a scoprirlo», disse Kurt. «Quando avrò interrogato i tuoi scagnozzi, sapremo tutto di te e di cosa stai cercando.»

La prima reazione fu una risata. «Quegli uomini non sanno niente di importante. Puoi anche torturarli a morte: non scoprirai nulla che tu non sappia già.»

Kurt era in svantaggio e doveva ribaltare la situazione in fretta. «Forse», disse. «Ma scopriremo sicuramente qualcosa dai reperti che hanno recuperato. Le antichità egizie devono essere un hobby entusiasmante. Sono proprio curioso di sapere tutto su questo grosso tizio verde. Pare che abbia il potere magico di far resuscitare le persone.»

Era una mossa azzardata, ma parve funzionare. Invece di una risata, stavolta ci fu silenzio. Una risposta decisamente migliore, pensò Kurt. Capì di aver fatto centro.

«Hai la tavoletta?»

«A dire il vero ne ho tre», mentì Kurt.

«Ti propongo un affare», disse l’uomo all’altro capo del telefono.

«Sono tutto orecchi.»

«Tu mi porti le tavolette e io ti restituisco i D’Campion vivi.»

«Affare fatto», disse Kurt. «Dimmi soltanto dove.»

Il segreto di Osiride
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