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Il silenzio che cadde nel momento dell’esecuzione e che si prolungò per qualche attimo, un silenzio acuito dal regolare sciabordio del mare contro la chiglia o dal fremito di una vela – gli occhi del timoniere erano infatti distratti – questo silenzio così acuito fu a poco a poco disturbato da un suono che non è facile rendere a parole. Chiunque abbia sentito l’ondata di piena di un torrente gonfiato dagli acquazzoni scroscianti sulle montagne tropicali, acquazzoni che non toccano la pianura, chiunque abbia sentito il primo mormorio sommesso del suo precipitare attraverso boschi scoscesi, può farsi un’idea del suono che ora si percepiva. Il mormorio indistinto faceva pensare che giungesse da una forza remota, mentre veniva da vicino, dagli uomini ammassati in coperta. Era un brontolio inarticolato, ambiguo, che sembrava indicare un qualche mutamento capriccioso dei pensieri e dei sentimenti, simile a quello delle folle a terra, e nel caso presente forse sottintendeva un’astiosa revoca da parte degli uomini dell’eco alla benedizione di Billy, involontariamente scaturita da loro. Ma prima che avesse il tempo di ingrossarsi diventando un clamore, il brontolio si scontrò con un ordine strategico, tanto più efficace quanto più fu brusco e inaspettato:

— Chiamate giù la guardia di dritta, nostromo; badate a che se ne vadano.

Striduli come il grido del gabbiano, i fischietti d’argento del nostromo e dei suoi aiutanti perforarono quel brontolio basso e sinistro, dissipandolo, e, cedendo al meccanismo della disciplina, la calca si assottigliò alla metà.

Quanto agli altri, la maggior parte venne assegnata a occupazioni temporanee come l’orientamento dei pennoni e così via, compiti facili da trovare per ogni ufficiale di coperta, quando serve.

Ora ogni atto che segue una sentenza capitale pronunciata in mare da una corte marziale è caratterizzato da una prontezza che non diventa percettibilmente concitazione, pur rasentandola. L’amaca – il letto di Billy da vivo – era già stata zavorrata con proiettili e preparata per fare da bara di tela; vennero portati a termine in fretta gli ultimi compiti dei becchini, gli aiutanti del velaio. Quando tutto fu pronto, risuonò una seconda chiamata per gli uomini, resa necessaria dal movimento strategico sopra ricordato, per assistere ora alle esequie.

Non occorre dare i particolari di questa formalità conclusiva. Ma quando la tavola inclinata fece scivolare in mare il suo carico, si sentì un secondo strano mormorio umano, mescolato ora a un altro suono, quello inarticolato emesso dai grandi uccelli marini che; attratti dall’inusitato turbinio delle acque prodotto dal pesante tuffo obliquo dell’amaca gettata in mare, volarono stridendo verso quel punto. Giunsero così prossimi alla chiglia che erano percepibili lo stridio o lo scricchiolio ossuto delle ali scarne a doppia giuntura. Quando la nave spinta da venti leggeri passò oltre, lasciandosi a poppa il luogo delle esequie, continuarono a roteare bassi con l’ombra mobile delle ali spiegate e il gracchiante requiem delle loro strida.

Per marinai superstiziosi come erano quelli dell’epoca precedente la nostra, marinai, per giunta, di una nave da guerra che avevano appena visto il prodigio dell’immobilità nella figura sospesa nell’aria, ora sprofondante negli abissi, per tali uomini il comportamento degli uccelli marini, sebbene dettato esclusivamente dall’avidità animale per la preda, era greve di significati nient’affatto prosaici. Serpeggiò fra loro un movimento incerto e non mancarono gli abusi.

Furono tollerati soltanto per un istante. All’improvviso infatti il tamburo rimbombò richiamandoli ai loro posti, e il suono familiare, che si sentiva almeno due volte al giorno, conteneva in quella occasione un che di perentorio.

L’autentica disciplina marziale protratta a lungo induce nell’uomo comune una specie di impulso che, alla parola ufficiale del comando, agisce con una prontezza simile a una reazione istintuale.

Il rombo del tamburo dissolse la moltitudine, distribuendo quasi tutti gli uomini lungo le batterie dei due ponti coperti. Lì, come di consuetudine, i cannonieri, eretti e in silenzio, si posero accanto ai rispettivi cannoni. A tempo debito il primo ufficiale, ritto, con la spada sotto il braccio, al suo posto sul cassero, ricevette formalmente uno dopo l’altro i rapporti dei tenenti pure armati di spada, che comandavano le sezioni delle batterie sottostanti, e, ricevuto l’ultimo rapporto, consegnò il rapporto riassuntivo al comandante con il saluto di rito. Per tutto questo ci voleva tempo, e questo era, nell’attuale circostanza, lo scopo di chiamare gli uomini ai loro posti un’ora prima del solito. Che tale deviazione dalla consuetudine venisse autorizzata da un ufficiale come il capitano Vere, un pugno di ferro quanto a disciplina come lo consideravano tutti, dimostrava la necessità di un intervento insolito, imposto dall’umore che in quel momento a suo avviso avevano i marinai.

— Con gli uomini, — era solito dire, — le forme, le forme ritmate sono tutto. E questo il significato implicito della leggenda di Orfeo, che con la sua lira incanta i selvaggi abitatori della foresta». Un paragone che una volta aveva applicato al sovvertimento delle forme in corso al di là della Manica e alle conseguenze che ne erano scaturite.

Dopo l’insolito richiamo ai propri posti, tutto procedette come nell’orario regolare. Sul cassero la banda suonò, un’aria sacra, dopo di che il cappellano ufficiò il consueto servizio mattutino. Ciò fatto, il tamburo diede il segnale della ritirata, e al ritmo della musica e dei riti religiosi funzionali alla disciplina e agli scopi della guerra, gli uomini nella consueta maniera ordinata si dispersero verso i luoghi loro assegnati, quando non erano ai cannoni.

Era pieno giorno ormai. Il vello di vapori bassi si era dileguato, assorbito dal sole che prima lo aveva illuminato in tutta la sua gloria. E l’aria circostante, nitida nella sua limpidezza, era come un liscio marmo candido nel blocco levigato, non ancora rimosso dal cortile del marmista.