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Dopo il misterioso incontro alle catene di prua, quello interrotto da Billy in modo tanto brusco, non accadde nulla di particolarmente collegato a questa storia fino agli avvenimenti che saranno narrati.
È stato detto altrove che in mancanza di fregate (velieri naturalmente migliori delle navi da linea di battaglia) nella squadra oltre lo Stretto, in quel periodo la Bellipotent 74 veniva a volte impiegata non soltanto come sostituto disponibile di una nave da ricognizione, ma a volte distaccata per missioni di maggiore importanza. Questo avveniva non soltanto per le ottime caratteristiche veliche, non comuni in un vascello di quella stazza, ma probabilmente anche per il temperamento del suo comandante che – si riteneva – lo rendeva particolarmente adatto a tutti quegli incarichi in cui, per impreviste difficoltà, potesse insorgere l’esigenza di pronte iniziative in circostanze dove fossero imprescindibili competenza e capacità, oltre a tutte le altre doti insite nel valente uomo di mare. Fu in una spedizione di quest’ultimo tipo, piuttosto in alto mare, mentre si trovava quasi nel punto di massima distanza dalla flotta, che la Bellipotent, sul finire di una guardia pomeridiana, inaspettatamente avvistò una nave nemica. Era una fregata. Quest’ultima, scorgendo attraverso il cannocchiale che l’impatto degli uomini e degli armamenti le sarebbe stato gravemente svantaggioso, affidandosi alla leggerezza, si diede alla fuga a vele spiegate. Dopo una caccia intrapresa sfidando quasi tutte le speranze e protrattasi fino alla metà circa del turno di guardia notturno, la fregata riuscì a effettuare un’esemplare fuga.
Non molto dopo che si era rinunciato all’inseguimento, e prima che ne svanisse l’eccitazione, il maestro d’armi, emergendo dai suoi cavernosi gironi, comparve, berretto in mano, presso l’albero maestro in rispettosa attesa che di lui si accorgesse il capitano Vere, allora intento a passeggiate da solo sul lato sopravvento del ponte di comando, indubbiamente un po’ in collera per il fallito inseguimento. Il punto in cui stava Claggart era destinato a uomini di grado inferiore desiderosi di un colloquio privato con un ufficiale di coperta o con il capitano stesso. Ma a quest’ultimo non accadeva spesso che in quei tempi un marinaio o un ufficiale inferiore chiedesse udienza; l’avrebbero giustificato, secondo una inveterata consuetudine, soltanto circostanze eccezionali.
Subito, proprio mentre, assorto nei suoi pensieri, stava per girare e proseguire la sua passeggiata, il comandante percepì la presenza di Claggart e notò il berretto levato in atteggiamento di deferente attesa. Sia qui detto che capitan Vere conosceva di persona questo ufficiale inferiore soltanto da quando la nave era salpata dalla madrepatria: allora; infatti, Claggart, trasferito da una nave trattenuta per riparazioni, aveva preso il posto a bordo della Bellipotent del precedente maestro d’armi, invalido e rimasto a terra.
Non appena il comandante ebbe posato lo sguardo sull’uomo, che, deferente, aspettava di essere notato, gli si disegnò sul volto una particolare espressione. Non era dissimile da quella che guizza incontrollata sul volto di chi inaspettatamente incontra una persona che, pur nota, non si frequenta da abbastanza tempo per conoscerla a fondo, ma nel cui aspetto qualcosa, ora per la prima volta, suscita un vago senso di disgusto e di ripulsione. Ma fermandosi e riprendendo l’abituale maniera ufficiale, tranne che per una specie di impazienza indugiante nel tono della parola di esordio, disse:
— Allora? Che c’è, maestro d’armi?
Con l’aria del subalterno avvilito dalla necessità di essere messaggero di cattive notizie, tuttavia coscienziosamente deciso a essere franco e altrettanto risoluto a evitare ogni esagerazione, Claggart, a questo invito, o piuttosto comando, a sgravarsi del fardello, parlò. Quello che disse, espresso in un linguaggio da uomo non incolto, stava a significare, se non proprio detto con queste parole, che durante l’inseguimento e i preparativi per un eventuale scontro, aveva visto abbastanza per convincersi come almeno un marinaio a bordo fosse una persona pericolosa su una nave dove si raccoglievano uomini, che non solo avevano avuto una parte colpevole nei recenti gravi disordini, ma anche altri, come l’individuo in questione, entrati nel servizio di Sua Maestà in forme diverse dall’arruolamento.
A questo punto il capitano Vere lo interruppe con una certa impazienza:
— Siate esplicito; dite arruolati a forza.
Con un gesto di ossequio Claggart proseguì. Ultimamente egli (Claggart) aveva cominciato a sospettare che sui ponti di batteria circolasse sotto sotto qualche fremito fomentato dal marinaio in questione, ma pensava di non essere giustificato a riportare il sospetto, finché fosse rimasto vago. Ma, da quanto aveva notato quel pomeriggio, il sospetto che covasse qualcosa di clandestino aveva raggiunto un punto meno lontano dalla certezza. Sentiva profondamente, aggiunse, la grave responsabilità assuntasi nel fare un rapporto, che, oltre ad avere conseguenze così gravi soprattutto per l’individuo in questione, tendeva ad aumentare le preoccupazioni, naturali in ogni comandante dopo le eccezionali rivolte esplose di recente, che, disse accorato, non era necessario nominare.
Ora, al primo accenno all’argomento, capitan Vere, preso di sorpresa, non riuscì del tutto a dissimulare la propria inquietudine. Ma, mentre Claggart procedeva, qualcosa nei modi di quella testimonianza trasformò la prima reazione in riluttanza. Si trattenne, comunque, dall’interromperlo, e Claggart, continuando, così concluse:
— Dio non voglia, vostro onore, che la Bellipotent debba fare l’esperienza della...
— Non preoccupatevi! — intervenne qui il superiore in tono perentorio, il volto alterato dall’ira, intuendo istintivamente quale nave l’altro stesse per nominare, una sulla quale l’ammutinamento del Nore aveva assunto un carattere particolarmente tragico tanto che per un certo tempo era stata in pericolo la stessa vita del comandante. Date le circostanze, l’intento di quell’allusione lo indignava. Quando gli stessi ufficiali superiori andavano sempre cautissimi nello scegliere le parole per riferirsi ai recenti avvenimenti della flotta, l’allusione superflua fatta da un ufficiale inferiore alla presenza del suo capitano lo colpì come un gesto di impudente presunzione. Inoltre, con il suo vigile senso della fierezza, gli parve, in quelle circostanze, quasi un tentativo per allarmarlo. E sulle prime non lo lasciò poco sorpreso che un uomo in grado di comportarsi con molto tatto nelle sue funzioni, come aveva potuto notare fino a quel momento, se ne rivelasse così carente in quella particolare occasione.
Ma a questi e altri pensieri altrettanto dubbiosi che gli balenavano in mente subentrò all’improvviso un intuitivo sospetto che, pur ancora oscuro nella forma, servì in pratica a influenzare il suo atteggiamento davanti alle cattive notizie.
Certo è che, con la sua lunga esperienza di tutti gli aspetti della complessa vita del ponte di batteria, che, come ogni altra forma di vita, ha i suoi versi segreti e i suoi lati ambigui, seppur non ammessi dai più, capitan Vere non si lasciò turbare indebitamente dal tono generale del rapporto del suo subordinato.
Inoltre, se alla luce dei recenti avvenimenti si doveva intervenire con tempestività al primo segno tangibile di una ripresa della rivolta, tuttavia non sarebbe stato saggio – pensò – tenere viva l’idea di uno scontento tuttora serpeggiante, dimostrando eccessiva prontezza nel dare credito a un informatore, fosse pure questi un suo subordinato con l’incarico, fra le altre cose, della sorveglianza di polizia sull’equipaggio. Tale modo di sentire non avrebbe avuto quell’impatto su di lui, se, in una precedente occasione, non lo avesse irritato lo zelo patriottico esibito da Claggart, che gli era parso eccessivo e forzato. Qualcosa inoltre nei modi composti e in qualche modo ostentati dell’ufficiale nel fornire i particolari gli rammentava stranamente un bandista, testimone spergiuro in un processo per un crimine da pena capitale davanti a una corte marziale a terra, di cui egli (capitano Vere) era stato membro.
Ora alla perentoria strigliata a Claggart, che servì a interromperne le allusioni, seguirono subito queste parole:
— Mi dite che c’è almeno un uomo pericoloso a bordo. Fate il suo nome.
— William Budd, un gabbiere, vostro onore.
— William Budd! — ripeté capitan Vere con genuino stupore. — Volete dire l’uomo che il tenente Ratcliffe prese dal mercantile non molto tempo fa, il giovanotto che pare così benvoluto da tutti – Billy, il Bel Marinaio, come lo chiamano?
— Proprio lui, vostro onore, ma, giovane e bello com’è, un individuo che la sa lunga. Non per nulla si intrufola per farsi benvolere dai compagni perché, all’occorrenza, non potranno che dire – lo faranno tutti – una buona parola sul suo conto, in ogni circostanza. Il tenente Ratcliffe ha riferito a vostro onore di quell’abile impennata di Budd, saltato a prua della lancia sotto la poppa del mercantile, mentre veniva portato via? L’aspetto allegro maschera il risentimento che nutre in cuore per l’arruolamento forzato. Voi avete notato soltanto le belle guance. Ma sotto i petali rosati delle margherite si nasconde, chissà, una trappola.
Ora il Bel Marinaio, una figura che si distingueva nell’equipaggio, aveva naturalmente attratto l’attenzione del capitano fin dall’inizio. Sebbene non fosse in generale un uomo espansivo con i suoi ufficiali, si era congratulato con il tenente Ratcliffe per la fortuna di avere scovato un esemplare così bello del genus homo, che nudo avrebbe potuto posare per una statua del giovane Adamo prima della Caduta. Quanto al commiato di Billy dalla Diritti dell’uomo, che il tenente gli aveva si riferito, ma presentandogliela, con tutta la deferenza, più come una storiella divertente che altro, il capitano Vere, pur considerandolo erroneamente un gesto satirico, si era limitato a pensare ancora meglio dell’uomo arruolato a forza, in quanto da buon ufficiale ammirava chi aveva lo spirito di prendere con tanta allegria e buon senso una coscrizione arbitraria. La condotta del gabbiere, inoltre, per quanto il capitano aveva avuto modo di notare, aveva confermato il primo lieto auspicio, mentre le qualità marinare della nuova recluta gli erano apparse tali da pensare di raccomandarlo all’ufficiale in seconda per promuoverlo in un posto che lo avrebbe portato più spesso alla sua attenzione, vale a dire al comando della coffa di mezzana, a sostituire nella guardia di dritta un uomo non più giovane, che, in parte per quella ragione, gli sembrava meno adatto al posto. Sia detto qui tra parentesi che, siccome i gabbieri di mezzana non hanno da maneggiare masse di tela pesante come le vele inferiori dell’albero maestro e di trinchetto, un giovane, se ha la stoffa, non soltanto sembra più adatto al compito, ma di fatto viene in generale scelto al comando di questa coffa, e quelli che ha sotto di sé sono uomini svelti e spesso sbarbatelli. Insomma il capitano Vere fin dall’inizio aveva ritenuto che Billy Budd fosse “un affare da Re” per usare il gergo marinaro del tempo: cioè, un investimento con i fiocchi per la marina di Sua Maestà britannica, ottenuto con poco o nessun esborso.
Dopo una breve pausa, durante la quale questi ricordi gli balenarono vividi nella mente ed egli valutò il peso dell’ultima insinuazione di Claggart, implicita nell’espressione “una trappola sotto le margherite”, e più la ponderava, meno sentiva di doversi fidare della buona fede dell’informatore, si volse all’improvviso verso di lui e a bassa voce gli chiese:
— Voi venite da me, maestro d’armi, con un racconto tanto fumoso? Quanto a Budd, indicatemi un gesto o citatemi una parola che confermino in generale le vostre accuse. Fate attenzione, — e gli si avvicinò, — a quello che dite.
Proprio ora, in casi del genere, c’è un braccio di pennone per il testimone spergiuro.
— Ah, vostro onore! — sospirò Claggart, scuotendo leggermente la bella testa quasi a esprimere mesta deprecazione per quella immeritata severità di tono. Quindi, mostrandosi offeso ed ergendosi con virtuosa perentorietà, riferì in modo circostanziato certe parole e certi gesti che, nell’insieme, se accettati per veri, portavano a una presunzione di colpa gravissima a carico di Budd. E per alcune di queste asserzioni, aggiunse, erano a portata di mano prove concrete.
Con occhi grigi impazienti e diffidenti che cercavano di scandagliare il fondo dei calmi occhi viola di Claggart, il capitano Vere lo ascoltò di nuovo da cima a fondo. Poi rimase per un attimo fermo a rimuginare. Claggart – sottratto per il momento all’esame scrutatore dell’altro – studiava attento l’espressione del capitano con uno sguardo difficile da definire: uno sguardo curioso delle reazioni provocate dalla sua tattica, uno sguardo simile a quello del portavoce dei figli invidiosi di Giacobbe, che ingannevolmente mostravano allo sconvolto patriarca la veste macchiata di sangue del giovane Giuseppe.
Sebbene ci fosse nella statura morale del capitano Vere qualcosa di eccezionale che, in un rapporto serio con un suo simile, lo rendeva un’autentica pietra di paragone della vera natura di quest’uomo, tuttavia nei confronti di Claggart e di quanto si svolgeva dentro di lui, i suoi sentimenti scaturivano più da forti sospetti attanagliati da strani dubbi che da una convinzione intuitiva. La perplessità da lui dimostrata non discendeva da qualcosa concernente l’accusato – come di sicuro pensava Claggart – ma da considerazioni sul miglior atteggiamento da adottare nei confronti dell’accusatore. In un primo momento, invero, fu tentato naturalmente di chiedere le prove concrete delle accuse che Claggart aveva detto essere a portata di mano. Ma una tale procedura avrebbe finito col diffondere la faccenda, che nella situazione attuale, a suo parere, avrebbe potuto influire negativamente sull’equipaggio. Se Claggart era un testimone falso, l’affare era chiuso. Perciò, prima di verificare l’accusa, avrebbe in pratica messo alla prova l’accusatore, e questo – era convinto – si poteva fare senza chiasso, con discrezione.
Le misure che decise di prendere comportavano un mutamento di scena, uno spostamento in un luogo meno in vista di quanto non fosse l’ampio ponte di poppa. Sebbene infatti i pochi ufficiali di batteria presenti si fossero ritirati sottovento in debito ossequio alle norme dell’etichetta marinara, nel momento in cui il capitano Vere aveva iniziato la sua passeggiata sul lato sopravvento, e sebbene durante il colloquio con Claggart non si fossero naturalmente avventurati a diminuire la distanza, e nel corso dell’incontro la voce del capitano Vere non fosse stata affatto alta e quella di Claggart fosse rimasta bassa e argentina, e il vento fra le sartie e lo sciabordio del mare avessero contribuito a metterli fuori portata d’orecchio, tuttavia il perdurare del colloquio aveva già attirato l’attenzione di alcuni gabbieri in coffa e di altri marinai che si trovavano nella parte centrale della nave o più oltre.
Decise le misure da prendere, capitan Vere le mise subito in atto. Rivolto bruscamente a Claggart, chiese:
— Maestro d’armi, Budd è di guardia in coffa?
— No, vostro onore.
Al che — Signor Wilkes! — chiamò convocando il guardiamarina più prossimo. — Dite ad Albert di venire da me. — Albert era l’attendente del capitano, una specie di valletto nella cui discrezione e fedeltà il suo padrone aveva grande fiducia. Il ragazzo comparve.
— Conosci Budd, il gabbiere?
— Sì, signore.
— Va’ a cercarlo. È fuori servizio. Vedi di dirgli, senza farti sentire, che è atteso a poppa. Attento a che non parli con nessuno. Fallo chiacchierare con te. E finché non arriva qui a poppa, fino ad allora non dirgli che lo voglio nella mia cabina Hai capito? Va’. Maestro d’armi, mostratevi sui ponti inferiori e, quando ritenete che Albert stia ritornando con il suo uomo, tenetevi pronto, senza darlo a vedere, a seguire il marinaio da me.