LIBRI E ALTRI ANGELI

 

 

 

Eva progettava di trattenersi un mese: rimase meno di una settimana. Era una tontolona tarchiata, scura di carnagione e coi polpacci ben sviluppati. A Thomas non poteva piacere, ma a Rob apparentemente piaceva. Le stava sempre addosso, sogghigni, sigarette e saltava le cene con Ruby Dietrolangolo per mangiare a casa."Verstehen Sie?" continuava a ripetere."Verstehen Sie?" e lei rispondeva"Ja, Ja..."

"Verstehen Sie?"

"Ja."

"È così imbarazzante," gli confidò Bel dopo una di quelle cene,"lei parla benissimo l'inglese, lui saprà sì e no quattro parole di tedesco e continua a domandarle 'Verstehen Sie?'."

"Ma che vuol dire 'Verstehen Sie?'" chiese Thomas.

"Vuol dire 'Capisci?'"

Eppure tutto era partito bene. Il primo giorno tolsero i fogli di plastica e Bel si trasferì nella camera deprimente. I cani li tenevano in cucina e Rob cominciò a portare un foulard giallo. Anche così era chiaro che Eva non si trovava bene da loro. Thomas l'osservava, tenendola al margine del campo visivo. Non le piaceva sedersi sulle poltrone e guardava attentamente la carne prima di mangiarla. Il terzo giorno la portarono su a conoscere Wol e fu la fine...

Thomas non era presente, era uscito a comprare della carta da pacchi rosa, ma dal bollettino diffuso da sua nonna riuscì a ricostruire l'incidente per il suo diario.

2 maggio: Passata la mattina a installare il tasto del Morse per Walter. Lui dormiva. Nel pomeriggio, nonostante le proteste di mamma, Bel ha portato su Eva per farglielo conoscere. Avevano raccolto qualche fiore in giardino. Walter era fuori combattimento per qualche nuova pillola e pensava fosse una Krankenschwester e, con grande stupore di Bel, ha cominciato a chiacchierare con lei in tedesco. Mabs, poi Ethel (che era appena entrata) hanno dato la colpa di quel farfugliare alle medicine."Gli abbiamo dato un po' di morfina," ha detto Mabs,"per il dolore," e ha provato a spingerle fuori. Bel ha detto:"Sta parlando in tedesco, mamma", era evidente che la frase era diretta a Eva. Lui l'aveva isolata con uno sguardo malizioso e faceva la bicicletta coi piedi. Poi si è messo seduto e ha detto qualcosa che ha fatto allontanare Eva con gli occhi sbarrati."Che sta dicendo?" ha domandato Mabs. Bel ha scosso la testa:"Non te lo so dire", ha risposto. Wol si stava chiaramente divertendo e ha detto qualcos'altro e la tedesca è scappata via di corsa. Bel le è corsa dietro e c'è stato un chiacchiericcio del diavolo sul pianerottolo, che si è risolto nella prima nave per tornare a Dusseldorf.

 

Quella sera, quando Bel tornò dalla stazione, Thomas si chiuse nella camera della sorella.

"Che diceva?"

"Oh, non lo so. Solo sciocchezze."

"Cosa?"

"Non so tradurlo bene."

"Cosa?"

"Ricordi quando le tue braccia erano abbronzate e belle e il tuo cazzo svettava come l'asta di una bandiera?"

"Ha detto questo?"

"Ha detto che il disinfettante glielo fa diventare duro."

"Diventare duro?"

"Einen steifen Schwanz."

Thomas aveva l'impressione che lo sconforto di Bel non sembrasse del tutto sincero.

"Pensava fosse un'infermiera," disse lei.

"Era chiaro."

"Non sapevo che conoscesse il tedesco."

"No?" disse Thomas.

"Tu sì?"

"Oh sì, è un po' che lo so."

Bel non aveva ancora finito di disfare la valigia. Tirò fuori la fotografia incorniciata di Peter di Ramsgate, sennonché non era più lui. Era un giovanotto biondo con i riccioli.

"Che è successo al vegetariano?"

"Ho conosciuto Wolff."

"Lui lo sa?"

"Sì, gli ho scritto per dirglielo."

Appese alcune camicette alle stampelle e tornò alla valigia per prenderne delle altre.

"In effetti, a dire il vero, sono contento che se ne sia andata," disse Bel,"in Germania sono stati tutti meravigliosi, non lasciavano che suo padre mi sbavasse addosso. L'hai visto con la Liebfraumilch? Mi faceva venire voglia di vomitare."

"Lei vuole divorziare, non lo sai?"

"Non lo farà mai, lo sta solo minacciando."

"Non penso," rivelò Thomas,"ha un dossier, lo vuole portare a Canterbury."

"Non ci credo."

"È vero, ho visto le lettere."

"Che lettere?"

"Le buste. Le hanno spedito delle buste, dal tribunale."

Bel sembrava moderatamente sorpresa e, guardandosi da sopra la spalla, svanì di nuovo nell'armadio con calze e calzini.

"Lui la vede sempre?"

"Tutti i giorni."

"Vecchia bagascia."

"Che succederà se lo fa davvero, Bel?"

"Non lo so. È una gabbia di matti."

Thomas si ritirò nel suo padiglione, accese la lampada a petrolio e si sedette alla scrivania per impacchettare con cura il regalo. Prima carta velina rosa, poi carta lucida, sempre rosa. Il rosa era il colore preferito di Gwen. Tentò anche di legarlo con un nastro rosa, ma non riuscì a districarsi tra le meccaniche del fiocco e dovette rimediare con la ceralacca. Non era proprio come voleva ma aveva un bell'aspetto, sembrava una torta fatta in casa con una giuggiola sopra. Prendendo la penna ci scrisse sopra, con lettere nere malferme:"Per la Mia Adorata Gwendolin, buon compleanno, con amore da Thomas".

Prima che l'inchiostro asciugasse il kraken si risvegliò, d'impulso gli si impennò in testa per tormentarlo e stavolta, per la prima volta, si sentì dirlo a voce alta."Stai cercando il segreto sbagliato, Tom." Thomas aveva ripensato a questa frase una dozzina di volte al giorno da martedì e non era mai arrivato a niente. Ora stava per analizzarla di nuovo e di nuovo per non arrivare a nulla.

"Lo sai dove hai sbagliato?"

"Dove?"

"Avresti dovuto leggere altre lettere."

"Lo so che avrei dovuto," si disse.

"Potresti tornare là dentro."

"Non posso," cercò di convincersi.

"E che dici del segreto allora, stronzo?"

"Che dico del segreto?"

"Che cos'è?"

"Non lo so," si disse,"non lo so."

Senza dubbio era qualcosa che aveva a che fare con Rob, una colpa ignobile, i cui effetti ancora si facevano sentire? Forse c'erano delle prostitute a Bristol, un branco di donnacce, forse è per quello che non era mai lì. Se Rob passava continuamente da una donna all'altra, era una ragione sufficiente perché Walter non gli parlasse: dopo tutto, Mabs era la sua unica figlia. Ma allora perché menzionare"il ragazzo" nella lettera di Madame Olanda? Che cosa sapeva lei? Seguendo il suo intuito, Thomas sentiva che lui c'entrava qualcosa, ma in che modo? Qual era il suo posto, in quella faccenda? Da qualche parte, pensava, tra l'amore e il rancore, Walter da un lato, Rob dall'altro...

Con quest'ultimo dilemma in mente si alzò e tirò i nuovi chiavistelli, spense la lanterna con un soffio e s'infilò a letto abbracciando un cuscino. Per qualche minuto restò sdraiato a baciarlo."Adorata," sussurrava,"oh, mia adorata," e gli toccò le tette e in un certo senso se lo scopò per un po' finché non si addormentò, desiderando fosse già dopodomani...

Quando arrivò sabato Thomas si svegliò prima dell'alba, aveva regolato la sveglia pochi minuti dopo le quattro e mezza in modo da essere sveglio e pimpante quando suo padre usciva dal letargo alle cinque. Raccontò a Rob che non riusciva a dormire, ma la verità era che non voleva gli piombasse in camera e scoprisse tutte le sue difese. Bevvero il tè e salirono sul Wolsey e quando giunsero alla stazione era già giorno fatto, verde, caldo e illuminato dalle luci a gas. Bill Bing ora era accompagnato da un vecchio sciancato che si chiamava Sailor e che, come Arthur prima di lui, non era adatto a quel tipo di carriera. Come al solito sistemarono due tonnellate di giornali e per le sette Thomas gironzolava sotto il sole lungo Pyson's road, tornando a casa.

Aveva fissato di incontrarsi con Gwen alle undici, in cima alla scogliera che sovrastava la baia. Il giorno non avrebbe potuto essere migliore: aveva il sapore dei giorni di festa passati in città da bambino. La scelta del luogo d'incontro non era priva di significato. Thomas l'aspettava davanti al cancello di un'enorme dimora turrita con rose rampicanti color burro su tutti i muri. Centodieci anni prima, lo scrittore preferito di Thomas era vissuto in quella casa. La gente del luogo la chiamava"Bleak House" (il nome vero era"Fort House") e il biglietto d'ingresso costava uno scellino e sei pence. Al centro della facciata c'era un busto del grande scrittore, malinconici occhi di granito rosa che avrebbero fissato per sempre il mare. Forse erano state proprio delle giornate come quella a portarlo lassù, un refolo di salmastro e catrame dolciastro nell'aria e l'oceano di un azzurro abbagliante.

Thomas si sporse dalla ringhiera e guardò la spiaggia. La marea stava cambiando e la sabbia scintillava come oro opaco. Tornò sui propri passi fino al cancello, rilesse il cartello consumato dalle intemperie."Casa di Charles Dickens. Aperta al pubblico da maggio a ottobre. Tè." Per distrarsi ancora un po' guardò l'orologio, erano passati altri cinque minuti. Erano quasi le undici e mezza e stava diventando un po' paranoico. Forse lei lo aspettava davanti a un'altra casa? Dickens era vissuto in tutta Broadstairs e tutte le altre residenze avevano la loro brava targa - aveva vissuto a York Gate ai tempi del David Copperfield, e giù sul lungomare ai tempi di Barnaby Rudge - così tante altre case e ce n'era addirittura una, in Albion Street, con un cartello che diceva:"Charles Dickens non è vissuto qui". Ma forse, tra tutte quelle, era alla"Casa di Dickens" sul lungomare, che era anche un museo: insomma era convinto che lei lo aspettasse lì davanti, seduta sul muretto e senza bicicletta. Si erano accordati per andare senza biciclette così da poter scendere in spiaggia a piedi. Una puntura di ansia lo spinse lontano dal cancello e, stringendo il regalo, partì e fece qualche passo affrettato quando una voce lo chiamò da dietro...

"Thomas?"

Si voltò e la guardò, sembrava un angelo. Portava un vestito estivo a fiorellini e scarpe bianche col tacco alto. Non riusciva a credere a quanto sembrava cresciuta, a quant'era bella, o al fatto che fosse sua. Aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo, e le sue labbra erano così rosse che quando sorrise gli fece girare la testa.

"Scusa," disse,"sono in ritardo?"

"No, no, per niente. Andavo un minuto laggiù."

"Dove?" domandò Gwen.

"Laggiù c'è un buco nel muro. Andavo a darci un'occhiata."

Prendendolo per mano lei gli mise un braccio intorno alla vita e alzò il viso per baciarlo. Fu un'esperienza molto diversa dall'ultima volta. Quel bacio era suo, questo apparteneva a lei, fu un caleidoscopio di rossetto e unghie rosse tra i capelli. Sentiva il seno di Gwen che gli premeva contro la camicia e all'improvviso si preoccupò del suo Schwanz. E se lei lo sentiva come lui le sentiva le tette? Sembrava che a Gwen non importasse altro che di baciarlo. E allora se ne disinteressò anche lui. Voleva assorbirla, possederla, schiacciarle i denti bianchi come fossero nocciole. La punta della lingua di lei si spinse tra le sue labbra scatenandogli una tempesta di ormoni, tanto che per un attimo pensò di diventare cieco."Oh, mia adorata, mia adorata," disse, lei lo guardò con occhi che si struggevano e spostò la testa sulla sua spalla. Era immerso nel suo profumo, l'aspirava in una sorta di delirio, e sapeva di qualcosa di straordinario, come rabarbaro in un aceto pregiato...

"Ti sono mancata?" sussurrò lei.

"Oh, sì."

"Sempre e tanto, o soltanto un po'?"

"Sempre e tanto."

Alla fine si separarono, lui le appoggiò l'indice sulla punta del naso, glielo spinse come premesse un pulsante e subito rimpianse di averlo fatto. Perché lo aveva fatto?

"Scusa," disse.

"Sei buffo, Thomas."

Lui si rese conto che quell'indice era il messaggero della sua vulnerabilità e che era impreparato anche per quei suoi baci. Voleva toccarla, ma non sapeva bene come, non sapeva che dire.

"Ti sei messa il profumo?"

"Non ti piace?"

"È meraviglioso."

"È Coty. Me l'ha dato mia sorella."

Questo gli forniva l'occasione per tirar fuori il suo regalo. Glielo porse con cauta modestia.

"Nei miei progetti doveva avere un nastro, ma non sono riuscito a fare il fiocco." Gwendolin sorrise."Non è granché, voglio dire, in verità, non è proprio granché. Non so se ti piacerà."

"Sono sicura di sì."

"È, insomma, una specie... particolare."

"Davvero?"

"Non è quel tipo di cosa che forse pensi che sia."

"Davvero?"

"Forse no."

Lei sbirciò nell'incarto e mise in scena una seducente pantomima di chi si domanda che cosa sia, ci appoggiò sopra l'orecchio, lo scosse un po' e alla fine gli diede un bacio sulla guancia come ricevuta.

"Non riesco a immaginare cosa sia."

"Se non ti piace, ti troverò qualcosa di diverso."

"Certo che mi piacerà," disse lei, sgranando gli occhi in segno di protesta,"l'aprirò sulla spiaggia." E si avviò verso il lungomare, per una passeggiata mano nella mano.

Thomas non ricordava di essersi mai sentito più felice. Si sentiva come i gabbiani e l'aria fresca, era parte di un'enorme festa.

C'erano duecentoquattordici gradini per arrivare alla spiaggia: lo sapevano perché li contarono, dieci per uno. La spiaggia era bella, dovunque posassero lo sguardo: non c'era niente fuori posto se non qualche pappatace che si crogiolava al sole e piccole stupide beccacce di mare dal becco lungo. Gwendolin si tolse le scarpe, volle che se le togliesse anche lui e corsero fino al mare, facendo scappare gli uccelli, e ridevano mentre sfidavano le onde. Lei civettava con loro come faceva con lui, sfiorando quasi la spuma dei frangenti per poi tornare al suo fianco, nascondergli dietro e spingerlo contro il cavallone successivo. I jeans di Thomas si inzupparono, lei si alzò il vestito e ci fu un istante che lui avrebbe ricordato per sempre. Improvvisamente lei si fermò, col sole nei capelli e il mare intorno a sé, tutto proiettato su uno sfondo d'oro.

"Apriamo il mio regalo?"

"Cosa?" domandò Thomas.

"Apriamo il mio regalo?"

Si sedettero l'uno accanto all'altro riscaldandosi i pollici nella sabbia. Era per il sole o per gli occhi di Thomas che il vestito di lei era così negligente? Aveva sollevato le ginocchia per indagare di nuovo sul pacchetto, svelando un'abbondante porzione di cosce. Thomas non sapeva che cosa guardare, se lei, le sue gambe nude o il regalo. Le sue aspettative erano se possibile più grandi di quelle di lei: ogni strappo della carta aumentava il tormento e, appena il regalo fu scartato, lui cominciò a chiedere scusa...

"Sono sicuro che non ti piacerà."

Lei non era nemmeno sicura di cosa fosse, ancora. Sembrava una vecchia scatola sporca. Sollevò il coperchio e la scatola si trasformò in un libro: era un vecchio volume con il frontespizio coperto di macchie.

"David Copperfield, di Charles Dickens. Chapman e Hall, Londra 1850."

"È una prima edizione," disse Thomas, rinnovando le scuse,"la rilegatura è originale."

Lei abbassò gli occhi e sfogliò qualche capitolo, trovò un'illustrazione con dei tizi smagriti su cui qualcuno aveva tirato una tazza di tè.

"Si chiama ingiallimento," disse lui,"è abbastanza normale nei libri antichi."

"Davvero?"

"E per via del ferro nella carta."

Lui restò con gli occhi sgranati, in attesa del verdetto. Anche se lei non disse proprio:"È quello che ho sempre desiderato", disse comunque:"È magnifico".

"Sei sicura?"

"Certo."

"Sei assolutamente sicura che ti piace?"

"L'adoro," lo rassicurò,"adoro le cose antiche," e non avrebbe potuto dire niente di più bello.

" A dire il vero è una prima edizione della prima edizione," spiegò Thomas,"c'è differenza. La prima edizione della prima edizione ha il frontespizio illustrato e datato 1850." Prese il libro e le fece vedere la data."Se tu avessi la prima ristampa della prima edizione non ci sarebbe la data. Ecco come si fa a saperlo. Il 1850 sul frontespizio illustrato rende il libro molto più raro."

"Oh," disse lei, facendo una specie di broncino.

"Ma ti piace, vero?"

Il libro era già chiuso, le dita affusolate strette attorno alla costola. Quelle unghie laccate lo facevano sentire ridicolo ed erano tutte le risposte di cui aveva bisogno. Perché glielo aveva dato? (Aveva pensato di regalarle dei cosmetici e si maledisse.) Era una bella ragazza con le gambe nude e lo smalto anche sulle unghie dei piedi: una cosa del genere per lei non era certo all'ordine del giorno. Gwendolin mise da parte il libro e si accoccolò appoggiata alla sua spalla. Due dita comparvero dal nulla e si dedicarono a una stuzzicante esplorazione del suo orecchio.

"È un regalo meraviglioso. Grazie."

Chiaramente voleva dei baci, ma lui non riusciva a impedire alla sua bocca di blaterare di quel dannato libro pidocchioso.

"È per questo che ho voluto incontrarti quassù," disse,"fuori da 'Bleak House'. Non ci sono mai entrato, ma è il posto dove lui lo scrisse."

"Davvero?" sussurrò lei.

"Nella stanza sul davanti. Non ci sono mai stato, ma l'ho letto."

Lei non ascoltava più e, a dire il vero, nemmeno lui. Le labbra di Gwen erano lontane solo pochi centimetri e si muovevano dolcemente per baciarlo intorno alla bocca. Se l'intenzione era ottenere silenzio, funzionò. Le dita di lei si tuffarono di nuovo tra i capelli di Thomas e l'abbraccio si fece pesante, non proprio in senso romantico, ma nelle sue meccaniche. Lei era quasi seduta su di lui e i talloni di Thomas si erano sollevati dal suolo e combattevano contro la forza di gravità. Non poteva durare e non durò e caddero sulla sabbia, stesi sul fianco. Non per questo Gwen s'interruppe. Sdraiata sulla ghiaia lo riempiva di baci rossi, con le labbra che stuzzicavano quelle di lui come prima aveva stuzzicato il mare. Le sue mani erano in continuo movimento, una sull'orecchio e l'altra che si faceva strada sotto la camicia. Thomas sentì le dita di lei che gli si aprivano sul ventre, il mignolo infilato sotto la cintura, furtivo, fino in fondo. E poi la lingua di lei fu nella sua bocca - sul momento Thomas non era sicuro che lei si fosse accorta di esserci - l'ultima cosa che ci aveva introdotto era stato un uovo. E se lei ne sentiva il sapore? Un uovo al tegamino! Per precauzione cominciò a respirare esclusivamente attraverso il naso. Funzionò, ma era eccitato, e aveva paura di ansimare come un pervertito. Anche Gwen respirava pesantemente, gli occhi semiaperti, in estasi e azzurri come una porcellana Minton.

"Non vuoi toccarmi, Thomas?"

"Dove?"

"Puoi toccarmi dove vuoi."

Per facilitarlo nel più meraviglioso degli inviti lei gli si appoggiò al braccio. Sbirciandole dentro il colletto Thomas intravide una spallina di seta, del suo colore preferito e, Cristo, era anche il suo colore preferito. Gwen aveva alzato le ginocchia e il vestito le si era tutto raccolto in cima alle gambe. Come il reggiseno, anche le mutandine erano rosa. Lui aveva le vertigini dal desiderio. Era tutto suo e non doveva fare altro che prenderselo. Le mise le mani sullo stomaco e cominciò a impastare. Non era quello che aveva in mente e nemmeno quello che voleva lei, che aprì gli occhi. Thomas, con le labbra tese come avesse un'armonica in bocca, risucchiò un terribile bolo di saliva, come un deficiente:"Oh Dio, l'ho smontata!". Invece sembrava di no. Gwendolin gli si accoccolò più vicina e un bottone gli arrivò sotto le dita. Fece un tentativo per slacciarlo ma sembrava enorme, grande come un piatto. Annaspava e, non riuscendo a farlo uscire dall'asola, lo lasciò a dita più esperte. Lei lo sbottonò per lui, poi anche i bottoni sopra, e lui non osava guardare di nuovo giù finché lei non chiuse gli occhi. Senza fiato per il desiderio fece scorrere le dita sul braccio di Gwen e poi gliele fece scivolare dentro al vestito. Lei sospirò. La carezzò sulla schiena e poi di nuovo davanti. Nella desolazione dell'inesperienza la sua mano prese a vagare nei paraggi del reggiseno, finché alla fine, con un grugnito che si sentì benissimo, la costrinse a posarsi su una tetta. La teneva in mano come un componente elettrico. Quel culmine di passione statica continuò per un po' prima che Gwendolin azzardasse un piccolo sospiro.

"Puoi muoverla, tesoro," sussurrò."Che?"

"Puoi spostarla, carezzarmi."

Prese in mano l'altra tetta. Sul serio, era ancora più eccitante dell'altra e, col passare dei minuti, mosse un po' la mano, su e giù. Ormai le aveva carezzate entrambe e stava elaborando una strategia per arrivare alle mutandine.

"Tom?"

"Sì?"

"Che ne dici di un gelato?"

Era tutto finito e Thomas si mise a sedere in una galassia di stelle ferite. Anche Gwendolin si mise seduta, aggiustandosi il vestito per coprire le cosce, poi toccò ai bottoni. Non riusciva a guardarla. C'era uno stronzo sulla costa, ed era lui. Era tutto perduto, gambe, tette, mutandine, era tutto suo e lui non sapeva che farci, punto e basta. Maurice le avrebbe già tolto il vestito: ancora peggio, Shackles l'avrebbe scopata. Oh pensiero malvagio, oh sventura, quel bastardo con l'acne e il collo pieno di lentiggini, forse aveva setacciato proprio questa spiaggia per trovare il suo profilattico!

"Che succede?"

"Niente," disse lui, evitando il suo sguardo.

Lei raccolse le gambe e si inginocchiò vicino a lui, mettendogli un braccio intorno alle spalle.

"Che c'è che non va?"

"Niente, davvero."

"Dai, c'è qualcosa che non va?"

Ciò che non andava era che lui voleva ingropparla, violentarla, abusare di lei, ma non glielo poteva dire e allora le disse qualcos'altro.

"Mi sa che sono preoccupato," disse.

"Per cosa?"

"Non lo so, ne ho tante che è difficile metterle in ordine. Ne ho almeno dieci di preoccupazioni gravi."

"E quali sono?" domandò Gwen.

Lui scosse la testa e tornò a guardarla. A tratti, la brezza le spostava ciocche di capelli selvaggi sulla fronte. Quando gli rivolse un'altra domanda, fu introdotta da una pausa piena di comprensione.

"È per via dei tuoi genitori?"

"Loro che c'entrano?" ribatté Thomas.

"Maurice ha detto che forse stavano divorziando."

In quelle circostanze non gli piacque molto come suonava - non la parte sul divorzio - quella su Maurice.

"Quando l'hai visto Maurice?"

"Ieri."

"A letto?"

"Era in bicicletta."

Stringendo due manciate di ghiaia tornò a guardare il mare. Molto lontano i cormorani pescavano.

"Già, loro sono una delle preoccupazioni," disse Thomas,"e anche Maurice, non è grave, ma è anche lui sulla lista."

"Perché?"

Si sedette comodo e l'informò del disastro in parrocchia, di Potts, della signora Potts e del nero coi conigli, condensandoli tutti insieme alla sua preoccupazione principale, che era la morte imminente di suo nonno, circostanza a sua volta collegata con la seconda preoccupazione principale, il"segreto" che poteva morire con lui.

"Cos'è questo segreto?"

"È tutto molto complicato. Non credo che tu voglia davvero saperlo."

"E invece sì," affermò lei e sembrava dicesse sul serio,"lo so che probabilmente non ti posso aiutare, ma a volte aiuta anche parlarne."

"Non posso, perché è un segreto."

"Non lo dirò a nessuno, mai, lo prometto."

"Voglio dire, non te lo posso dire perché non lo so nemmeno io cos'è. Tutto quello che so è che ha qualcosa a che fare con me. L'unica persona con cui ne posso parlare è mio nonno, e non glielo posso domandare perché è il suo segreto."

Gwen non capiva del tutto quella dinamica e glielo disse. Thomas espose prima l'intreccio principale e poi quello secondario, le raccontò della valigetta nascosta sopra l'armadio, della dimensione divina, di Um e del segreto della lettera."Ha qualcosa a che vedere anche con mio padre," disse lui,"mio nonno non vuole parlare con mio padre, non l'ha mai fatto e io so che forse il segreto è la ragione di quel comportamento."

"Non puoi domandarlo a tua madre?"

"Mia madre?" L'idea stessa gli fece aggrottare le sopracciglia come una tettoia."Con mia madre non posso parlare di niente."

Era tempo di essere altrove: raccolse le scarpe e le porse la mano."Vieni, voglio offrirti un gelato."

Tornarono sui loro passi lungo la spiaggia, si pulirono la sabbia dai piedi e Gwendolin risalì sui suoi tacchi alti. Le scale si inerpicavano a zig-zag su una muraglia di gesso massiccio, venti gradini per rampa e, dopo la seconda, Thomas si sentiva già mancare il fiato.

"Vorrei che scendendo non li avessimo contati."

Si appoggiò alla ringhiera per riprendersi. Si mise sui gomiti anche lei, fissando lo stesso mare.

"È una giornata così bella."

"È il tuo compleanno," disse,"non oserebbe essere diverso."

"Grazie per il regalo, Thomas."

C'era un bacio nell'aria ma lui non lo colse: non ne poteva più di parlare del regalo. Invece la prese per mano e la condusse sulla rampa successiva.

"Ne mancano ancora centosettanta," disse.

"Posso farti una domanda?"

"Certo."

"Non devi rispondere se non vuoi."

"Che c'è?"

"Non sono affari miei, lo so," disse lei.

"Cosa?"

"È molto sconvolgente, il fatto dei tuoi genitori?"

"Sconvolgente?"

"Lo è?"

Non era la domanda che si era aspettato. C'erano due modi per rispondere, ambedue disonesti. Poteva dire che non gliene importava, il che era una bugia, o dire che gliene importava, che era una bugia ancora più grossa. La verità era che lo interessava in modo molto parziale, perché quel matrimonio aveva rovinato sua madre, l'aveva fatta diventare grassa e le faceva apprezzare i cani più degli esseri umani. Gwendolin avrebbe potuto capire tutto ciò? No, pensava di no. Arrivando al pianerottolo successivo decise di risponderle semplicemente con dei dati di fatto.

"Non si sono mai amati," affermò.

"Mai?"

"Non che io sappia. Non li ho mai visti baciarsi."

"Nemmeno quando eri piccolo?"

"Allora era peggio," ribatté Thomas,"beh, in verità andava meglio perché lui non c'era mai. L'unico ricordo che ho di mio padre è di quanto mi faceva paura. Le uniche volte che mi toccava era quando mi picchiava."

"Perché ti picchiava?"

"Non lo so, mi dava sempre addosso, sembrava la Terza guerra mondiale."

"Terribile," replicò Gwen.

Thomas sorrise e faceva sul serio.

"Non mi da più fastidio, onestamente non lo fa più. Una volta mi faceva venire l'asma, ma abbiamo salito cento gradini e sto bene."

"Non riesco a immaginarli i miei genitori che mi picchiano," disse lei. E bastava guardarla per capire il perché. Era un angelo. Thomas la guardò e si sentì orgoglioso.

"La cosa che ci rende diversi," disse lui,"è il danno che ci è stato fatto."

Era un'affermazione soddisfacente da metterle davanti. Salì la scala contento di averlo detto (anche se in realtà non l'aveva pensata lui, era una frase di suo nonno).

Le scarpe di lei gli ticchettavano dietro, un suono piacevole, come un'eco rosa, e si intonava con la sua biancheria.

"Probabilmente ti ha lasciato una cicatrice," disse lei e il suo viso rivelava una preoccupazione che non era assolutamente visibile su quello di Thomas.

"Non credo."

"Voglio dire, dentro?"

"Non penso." E si sforzò di tirar fuori un sorriso."Non è rimasto niente, sono solo giorni andati, ormai. Quando ero piccolo avevo sempre questa fantasia, che quando sarei stato abbastanza grande l'avrei preso e l'avrei pestato. Ma ora non ci penso più. Non mi è rimasto niente di quand'ero bambino, tranne una strana avversione per le buche delle lettere."

Gli rivolse la domanda con gli occhi.

"Non mi piace guardarci attraverso," spiegò,"preferirei guardare attraverso qualsiasi cosa piuttosto che una buca delle lettere."

"Perché?"

"Per un sacco di motivi." Scosse la testa."È una storia noiosa." In più era senza fiato.

"No, non lo è. Io ti amo, Thomas, e la voglio sentire."

"Va bene, te la racconto, te la racconto quando arriviamo in cima."

La salita continuò ma lei non dovette aspettare. Con altri sessanta gradini davanti a loro, Thomas ebbe bisogno di un'altra sosta e si appoggiò alla ringhiera, reggendosi stretto con le mani.

"Lo sai che cosa sono gli scouts?"

"Certo che lo so, io ero una brownie."

"Quando avevo sei anni volevo andare negli scouts e tormentavo mia madre dalla mattina alla sera, per avere l'uniforme. Lei non aveva soldi, ma da qualche parte li prese. Un cappello e un giubbotto invernali. Tutti i martedì sera dovevi andare giù in questa baracca a fare nodi. Ci andai soltanto una volta. La nostra casa era su una collina da cui si vedeva la strada e, ogni martedì, mi mettevo l'uniforme, uscivo di casa, attraversavo la strada, mi nascondevo nella siepe dall'altra parte. E restavo seduto lì dentro per ore, a guardare la casa, soprattutto se c'era mio padre, poi tornavo e facevo finta che ero stato alla baracca."

"Perché?"

"Perché avevo paura che se non li controllavo sarebbero andati via tutti appena mi fossi allontanato. Tornavo dagli scouts e non mi rispondevano, bussavo alla porta e guardavo attraverso la buca delle lettere e tutti i mobili, tutto e tutti non c'erano più."

Thomas avrebbe potuto raccontare quella storia anche al contrario ma era la prima volta che se la sentiva raccontare a voce alta. Gli portò via il sorriso, i suoi sentimenti per quei ricordi schifosi ottennero una reazione speculare da parte di Gwen.

"Sembra così triste," disse lei.

"Non ci penso più tanto a quand'ero bambino." Guardò in alto verso la rampa successiva, poi di nuovo lei finché non gli tornò una smorfia di sorriso."Forza, ti sfido a chi arriva prima. Basta parlare finché non arriviamo in cima e, quando ci arriviamo, basta parlare di questo."

Scattarono e superandosi ora l'uno ora l'altro corsero fino alla spianata. Thomas si lanciò oltre la ringhiera, per riaversi, e Gwendolin si sedette sul primo gradino. Quando lei rifiatò, lo guardò.

"Sai che cosa dovresti fare?" gli chiese.

"A che proposito?"

"A proposito di tuo nonno e del segreto."

"Abbiamo detto che non ne avremmo più parlato."

"Quando fossimo arrivati in cima," replicò Gwen,"mi manca ancora un gradino."

Il suo sorriso era un miscuglio di innocenza e impudenza e un viso come quello ti permetteva di rompere qualsiasi regola.

"Che dovrei fare?" domandò lui.

"Leggere tutte le altre lettere?"

Un'opzione che non era disponibile. Scosse la testa.

"Non posso."

"Perché no?"

"Perché non posso. Una volta l'avrei fatto, ma ora non posso. Mi sembrerebbe di imbrogliare. E anche se lo scoprissi, che ci faccio? Non posso dirgli che ho letto le sue lettere. È come avere dei soldi che non puoi spendere."

Cominciarono a camminare, pensando entrambi al segreto, nessuno dei due metteva a fuoco ciò che in realtà era ovvio. Fu Gwendolin che finalmente ci riuscì, nella biblioteca di"Bleak House". Ma non era ancora successo. Erano ancora mano nella mano in cima alla scogliera e oltrepassavano i grandi cancelli, quando Gwen all'improvviso disse:"Entriamo?".

"Ma vuoi davvero entrare?"

"Sì."

"Perché?"

"Voglio vedere dove ha scritto il mio regalo."

E già saltellava su per il sentiero. Dal botteghino nascosto tra le rose spuntò una testa che apparteneva a una donna estremamente anziana con i capelli dai riflessi arancioni e svariati lividi.

"Sì?" disse.

"Vogliamo entrare."

"Niente ragazzi non accompagnati da adulti."

"Noi siamo adulti," ribatté Thomas, alzando la voce,"tutti e due. Quanto costa il biglietto?"

"Uno e sei," disse la vecchia,"ciascuno."

Thomas contò il denaro e porse alla donna due pile di uno e sei e, in cambio, ottenne un paio di biglietti gialli con scritto sopra"tre pence". Mentre entravano trascinando i piedi la strega svanì, per ricomparire dall'altra parte della porta d'ingresso.

"Biglietti," disse.

Thomas glieli porse e lei li strappò a metà e buttò i pezzi in un secchio. Aveva una stampella di lega metallica e delle bende sul ginocchio come un tubo coibentato. Forse cadeva spesso? Sul cardigan portava un distintivo con su scritto"Gli Amici di Charles Dickens", e anche a occhio si capiva che avrebbe potuto essere una di loro.

"Seguite le frecce," disse,"e non toccate niente, non sedetevi da nessuna parte, non mangiate nulla. Il suo occhio sgradevole, quello malconcio si posò su Gwen e, per chissà quale motivo, aggiunse: 'C'è un americano al piano di sopra'."

Era un museo che sopravviveva grazie alle sovvenzioni pubbliche, verniciato di marrone e con un gran tanfo di roba da mangiare. Un'enorme scala vittoriana era sotto l'egida della prima freccia, e ci salirono guardando alcuni ritratti in bianco e nero dei personaggi dei libri. Martin Chuzzlewit. Uriah Heep. Ebenezer Scrooge.

"Perché hanno dei nomi così strambi?"

"Perché è tutta gente stramba," rispose Thomas, indicando il ritratto successivo."Questo è un assassino, oppure lo assassinano, non mi ricordo. È nel Mistero di Edwin Drood."

"Mi sorprende che tu non sia mai stato qui," disse Gwen.

Thomas non rispose, ma si rese conto di essere sorpreso anche lui. Quel posto era proprio in fondo alla sua strada. Dickens doveva aver salito e sceso quelle scale un migliaio di volte pensando a Peggotty e alla piccola Emily, dove la scala curvava, eccola lì, che lo fissava da una cornice dorata in un ritratto firmato"Kyd".

"Ecco Emily. È nel David Copperfield."

"Sembra un po' presuntuosa."

"In verità è molto più carina che in questo ritratto."

"Come fai a saperlo?"

"In verità ti assomiglia."

Gwen non era sicura che fosse un complimento, diede un'occhiata a Fagin e continuò a salire. In cima alle scale c'era una serie di stanze, due delle quali con un cartello con scritto sopra:"Privato". In una stanza con vista sul giardino c'erano dei candelabri sopra una credenza rococò, una chaise verde e una confusione di sedie con lo schienale imbottito di qualità disuguale. I muri erano di carta ruvida verde, scoloriti in certi punti dal sole. Poteva essere la carta da parati originale, non era certo la moquette originale. Charles Dickens non ci aveva mai camminato sopra, non più di quanto avesse guardato quei quadri. Una coppia di olii ripugnanti erano appesi da una parte e dall'altra del camino: tori color mogano in un pantano scozzese. Cinque sterline tutti e due, pensò Thomas ed era anche l'impressione generale che aveva della stanza. Su tutto gravava un'atmosfera come di svendita, come se l'asta fosse finita e le cose migliori già vendute. Gwendolin non era per nulla affascinata e gironzolava dalla parte opposta per guardare fuori dalla finestra.

"Quando ha vissuto qui Dickens?"

"Intorno al 1850. Se ne andò per colpa di un italiano che suonava il violino sul molo."

"È un po' deprimente no?"

"Non credo che adesso ci vivrebbe. Se fosse vivo oggi sarebbe sul sedile posteriore di una Jaguar, a tavoletta sull'autostrada."

Lei tornò indietro e lui non sentì i suoi passi sulla moquette finché non furono di nuovo sulle scale. A metà, come una fitta, un pensiero spiacevole: e se Gwendolin pensava che il suo regalo fosse come tutta quella roba, deprimente e consunta e che valeva più o meno uno scellino e sei? Improvvisamente aver scelto quel posto gli parve un errore e si sforzò di separare lo scrittore dal luogo in cui era vissuto, quando lei si voltò con un suo pensiero.

"Hai sentito della recita?"

"Ne vale dieci di sterline," disse Thomas."Che?"

"Niente, niente," disse,"scusa, stavo pensando a qualcos'altro. Pensavo ad alta voce."

Sorrise e lei ripetè la domanda, con l'aria un po' perplessa:"Hai sentito della recita?".

"Che recita?"

"La recita della scuola."

Non aveva sentito.

"Waldron ha avuto la tua parte."

"Waldron?"

"E Margaret Ruther ha avuto la mia."

"Waldron e Margaret Ruther?" Un cartellone terrificante."Come ha potuto scegliere Waldron e Margaret Ruther?"

"Perché sono i più alti, credo."

"Non sanno recitare," disse Thomas,"staranno lì impalati, sembreranno enormi e basta."

"Mi ha offerto la parte di Louka."

"Non accettare. Non la toccherei nemmeno con un bastone. Ci sono un sacco di altre parti."

"Che parti?"

"Parti da professionista. Tu potresti essere un'attrice e recitare qualunque parte tu volessi."

Erano arrivati in una stanza di cui non si erano ancora accorti, con la luce del sole che scendeva a cascata sulla moquette rossa.

"Io voglio fare la receptionist, Tom."

"Cosa?"

"In un grande albergo."

Gli sembrava di vederla dietro al bancone, con le cuffie, che riceveva le ordinazioni per la cena con il contorno e tutto. Certo avrebbe funzionato, ma di sicuro lui pensava che si meritasse di più.

"E tu?" chiese lei.

"Non lo so, non ho ancora deciso. O il poeta o l'antiquario."

Ed era con gli occhi di quest'ultimo che si guardava intorno. Ora si cominciava a ragionare, questa era la biblioteca, stanza di scrittura e c'era della roba decente. Ritratti, orologi e lettere incorniciate. Quasi tutti i muri erano rivestiti dal pavimento al soffitto con le librerie originali, con le ante di vetro e c'era dell'altro vetro in fondo alla stanza con un enorme bovindo finto gotico che forniva una spettacolare vista sul mare.

Anche quello andava dal pavimento al soffitto e di fronte, sopra una pedana rialzata, c'era la scrivania del grande genio. Circa 1830, ben lucidata, era un mobile che lo ipnotizzava, trasudava sacralità come un altare, ma era più importante di qualsiasi altare perché la sua sacralità non era fasulla.

Thomas era rimasto immobile a fissarla, tutto ciò che poteva fare per evitare di inchinarcisi davanti, e pur riconoscendola come il più importante pezzo d'antiquariato della casa la rifiutava, ne accresceva la magnificenza scegliendo di lasciarla per ultima.

Con Gwendolin nelle vesti di piccola e allegra apprendista, passò in rassegna tutti i libri. Scaffale dopo scaffale. Anche se sembravano in tono con l'ambiente e le rilegature fatiscenti ne proclamavano l'autenticità, tutto l'assortimento era di provenienza dubbia.

"Qui non c'è niente che valga la pena leggere," asserì Thomas.

"Sono molto vecchi, vero?" domandò Gwen.

"Il periodo è quello, ma è robaccia."

"E questi verdi qui?"

"Library Edition," disse Thomas con malcelato disprezzo,"non valgono niente. A Ramsgate li potresti comprare tutti per un paio di sterline."

"Davvero?"

"Parlando di libri, vecchio non significa necessariamente prezioso."

Mentre lo diceva si rese conto delle implicazioni. E allora quell'affare vecchio e sporco di sugo che le aveva regalato?

"C'è solo un libro vecchio che vale qualcosa qua dentro." Non voleva dirlo di nuovo, ma non riuscì a fermarsi. Lei si beccò un'altra menata su date e frontespizi decorati."Sono sicuro che darebbero qualunque cosa per avere il tuo David Copperfield. È molto raro."

"Lo so."

"Scusa, lo so che te l'ho già detto."

"Non importa," disse lei,"mi piace sentirtelo dire."

"Davvero?"

Lei annuì.

"Beh, la cosa stupefacente," proseguì Thomas,"è che lo scrisse proprio lì."

Era lì, spiegò, che Dickens si sedette, mese dopo mese, con i capelli dritti e le dita coperte di inchiostro.

"Gli ci sono voluti due anni."

"Per un libro solo?"

"C'è voluta molta immaginazione."

Gwendolin sembrava sinceramente sensibile alla magia di tutto ciò, sebbene probabilmente non vedesse i suoi stessi fantasmi.

"Chi ti ha insegnato tutte queste cose sulle antichità?"

"Sono un autodidatta. Mi piacciono i mobili."

Andò avanti e si mise a guardare una lettera incorniciata. Era molto fragile, vecchissima e quasi strappata a metà.

"Ho appena pensato una cosa," disse lei,"sai chi ha scritto la lettera?"

"Non c'è scritto?"

"Parlo della lettera segreta, quella di tuo nonno. Lo sai chi l'ha scritta?"

Non aveva mai pensato all'altro corrispondente, ma ora che lo fece gli fu chiaro dove lei stesse andando a parare e la guardò e annuì.

"Allora perché non gli scrivi a quel tizio?" chiese Gwen.

"È una donna."

"D'accordo, una tizia. Perché non le puoi scrivere?"

"Per dirle cosa?"

"Per dirle... non so... dovresti inventarti qualcosa. Farle credere che lo sai già. Se pensa che lo sai già, sei a metà strada per scoprire il segreto."

Thomas ci pensò, domandandosi perché non ci si era soffermato prima. Certo che poteva scrivere a Madame Olanda. Era una buona idea. Ma non avrebbe funzionato.

"Non piaccio a questa persona."

"La conosci?"

"Sì."

"E perché non le piaci?"

"Beh, non si tratta proprio di me, si tratta di mio padre. Lei odia mio padre."

"Perché?"

"È una faccenda complicata."

"Questo può soltanto aiutarti, no?" affermò Gwen."Se a lei non piace tuo padre, probabilmente le farà piacere avere la possibilità di dirti perché e, quel perché, è probabilmente il segreto."

Non lo era e lei era fuori strada. Thomas sapeva perché a Madame Olanda non piaceva Rob. Ma detto questo, l'idea di scriverle stava acquistando credito...

"Ci dovrò pensare," disse.

Lei lo lasciò a riflettere, salì un paio di gradini e fece il giro della scrivania. C'era poco da stupirsi che i libri fossero una tale maratona. Quell'affare non era costruito per i racconti brevi, era lunga tre metri e robusta come una banca. C'era anche la sedia, consumata dagli anni, coi braccioli che riflettevano la luce del sole.

La tirò fuori e guardò Thomas.

"Mi dedichi il libro?"

"Cosa?"

"Siediti dove si sedeva lui e dedicami il libro."

Aprendo il prezioso volume lo posò sulla scrivania. Thomas era riluttante, anche se non sapeva perché. Quell'idea era soltanto deliziosa.

"Va bene," disse e si sedette su quella sedia leggendaria, trovò una penna nel taschino e scrisse:"Per la Mia Adorata Gwendolin, nel giorno del suo compleanno, 26 maggio 1959. Con Amore, per sempre, da Thomas".

"Ci devo mettere i baci?"

"Sì."

Tre baci, e un altro alzandosi. Lei ora non voleva il regalo, voleva lui. Cominciò goffamente, con troppe bocche. Gwendolin si sedette sul bordo della scrivania e lo tirò a sé. Lui era in piedi tra le sue gambe, proprio tra le sue gambe, col suo vestito che saliva e lui che si avvicinava sempre di più. Si toccavano dappertutto, stavolta lei lo sentiva, nessun dubbio, voleva sentirlo e si spinse ancora più avanti."Ti amo, Thomas, ti amo," e lui le sussurrava la stessa cosa. L'amava e lei lo stava eccitando, premendo il sesso contro il suo. Smisero di baciarsi, ma l'abbraccio durò ancora e la volta dopo, la volta dopo, giurò Thomas, quando fosse arrivata la volta dopo, avrebbe fatto l'amore con lei...