SPIAGGIA PARADISIACA

 

 

 

Due venti soffiavano da nord.

Era un giorno di freddo acre, e i vestiti si portavano come armi. Thomas scendeva lungo i fianchi della collina sulla sua bicicletta, oltre le sale da tè deserte e le buie botteghine di York Gate. Non c'era quasi nessuno in giro, soltanto lui e i gabbiani sul pontile. Durante la notte la burrasca ci si era accanita contro, lasciandolo coperto di alghe e di enormi pozzanghere che tremavano come se anche loro avessero i brividi. C'erano nasse, tante, barche a remi rovesciate, e anelli di ferro che arrugginivano sulle pareti del molo. Il pontile si protendeva come un braccio benevolo che abbracciava metà della spiaggia e non aveva fatto niente di diverso da quello per cinquecento anni. Era fatto di legno di quercia, coperto da uno strato di catrame alto quindici centimetri, nero come l'inchiostro e con smalto nero sulle ringhiere. Per effetto della forza di gravità e dal momento che non c'è altro posto dove andare, chiunque visiti Broadstairs finirà qui, appoggiato a questa balaustra a guardare il mare...

La marea stava cambiando, le condizioni erano perfette e Maurice come al solito era in ritardo. Thomas guardò una coppia di cormorani che volavano veloci a pochi centimetri sopra le onde e, mentre sparivano per pescare, il sole all'improvviso sparse il suo oro su tutto il mare. Raggi di luce rosa e azzurri spalancarono come una bomba le porte del paradiso. Ma non durò a lungo. Solo il tempo che i gabbiani tornassero in superficie e le nubi si erano richiuse e il mare era di nuovo grigio.

Tirò fuori le sigarette e il vento la rese un'impresa ardua, dovette riparare il fiammifero sotto la giacca. Accese la sigaretta, alzando lo sguardo. Non molto lontano una ragazza passava su una bicicletta nuova. Era rossa, ovviamente un regalo di Natale. Portava un cappello di pelliccia, e Thomas ne era geloso, e un cappotto con il collo di pelliccia, e lui era geloso anche di quello.

Era Gwen.

Mentre gli pedalava accanto lo guardò. Aveva occhi di un azzurro intenso, azzurri come petali di fiori, e gli facevano pulsare la testa come per effetto di una dolce scarica elettrica. Era la prima volta che lei non guardava da un'altra parte.

Nella crisi del momento fu Thomas che lo fece, buttando giù il fumo prima di tornare a guardarla per poterlo soffiare fuori verso di lei. Però calcolò male il tempo e Gwen se n'era già andata...

 

Mi parli di ardore

Nel turbine del nostro amore

Però, mentre mi ami, è d'uopo

Pensare a chi toccherà dopo?

 

L'aveva scritta una settimana prima e gli piaceva, a parte il fatto che lei non gli aveva parlato di niente, e men che meno lo amava. Però l'aveva guardato. Gironzolò sul pontile fumando la sigaretta e pensando a quello sguardo. Perché l'aveva mantenuto in quel modo? Forse non l'aveva riconosciuto, magari aveva pensato che fosse qualcun altro? Era possibile. Dopo tutto lei a malapena era cosciente della sua esistenza, allora come avrebbe fatto a sapere che era lui? L'ipotesi svanì mentre la formulava. Certo che sapeva che era lui. Anche lui l'aveva guardata a malapena, però aveva subito capito che era lei. Camminava tra le pozzanghere provando a rivivere quel momento. Guardandola dal lato positivo, lei doveva averlo notato prima di lui, così non c'era motivo perché lei lo guardasse affatto. Quanto era durato lo sguardo? Si fermò in cinque centimetri d'acqua per calcolarlo. Sbattendo gli occhi all'inizio e alla fine provò a riprodurre la lunghezza dello sguardo. Non funzionò. Non ricordava altro che gli occhi di lei e quella ciocca di capelli d'oro che il vento le soffiava sul viso...

Come poteva essere così bella e come poteva la bellezza essere così ingiusta? Quella fantasia stava già deteriorandosi. Non riusciva a pensare a Gwen senza pensare a Shackles con la mano sotto la sua gonna. Era quella la realtà, e non voleva pensarci.

Un'ultima tirata alla sigaretta e la gettò via oltre il bordo del pontile, sul lato esposto al vento. C'era giusto abbastanza marea per portarsela via. La spiaggia che si stendeva da lì a North Foreland non era mai stata tanto squallida. Sporche scogliere di gesso smottavano qua e là sulla sabbia, bianco su verde, e verde sul bruno infinito degli scogli.

Thomas li fissava con un curioso senso di vuoto. Li aveva fatti saltare in aria tante di quelle volte, massacrandoli senza pensarci, ma oggi, per qualche ragione che non riusciva a mettere a fuoco, non era sicuro di voler continuare. Una settimana prima o giù di lì aveva avuto un piccione nel mirino del suo calibro 22. Era una vittima sicura. Ignorava il perché, ma non era riuscito a farlo fuori e il sentimento, che aveva provato allora, era lo stesso genere di riserbo che provava ora.

La stagione della crudeltà-verso-i-granchi era iniziata alcuni mesi prima - a metà ottobre quando cominciavano a vendere i fuochi artificiali - e si esauriva a fine novembre quando tutti i fuochi artificiali erano stati venduti. Durante la stagione le squadre invadevano le spiagge, reggimenti di ragazzini malvagi con tutto l'esplosivo che potevano permettersi. Thomas li disprezzava. Si dedicavano a quell'attività con ridicoli mortaretti da un penny il pezzo - Cannon Crashers, Thunderclaps - tutta robaccia commerciale. E anche così, per un mese e più, atrocità inenarrabili venivano inflitte a tutto ciò che aveva la sfortuna di incappare in quei mocciosi sul bagnasciuga. Stelle marine, patelle, crostacei vari, venivano sistematicamente scovati e distrutti. Le cozze venivano atomizzate sugli scogli, le sogliole sventrate mentre scivolavano in presunta sicurezza nell'acqua bassa...

Ma l'agonia di questi disperati non era niente in confronto ai pogrom che le squadre organizzavano contro i granchi. Il granchio era perseguitato per un intero menu di motivi, non ultimo il suo carattere di nobiltà che sembrava dargli un vantaggio sui suoi colleghi. Aveva le zampe, quindi la possibilità di scappare e di conseguenza poteva essere"cacciato". Nessun gasteropode sarebbe scattato via cercando di fuggire, un granchio invece avrebbe corso e combattuto finché gli restava anche solo una zampa o una chela per farlo.

C'erano altri fattori che giocavano a svantaggio del granchio. Aveva gli occhi e poteva guardarti. Ancora meglio, le sue interiora multicolori reagivano in modo impressionante agli esplosivi. Quando un granchio esplodeva era un vero disastro. Un granchio toro si deformava come un'autoblinda o un carro armato, e persino la fantasia più scarsa riusciva a convertire la sua carcassa fumante in una catastrofe su qualche campo di battaglia. E i granchi erano stupidi. Non lo fossero stati, i deficienti che pattugliavano gli scogli per trovarli avrebbero avuto scarso successo.

Gli animali che sceglievano come bersagli venivano strappati dagli scogli aiutandosi con dei ganci. C'erano due specie di nemici: quelli più piccoli, che si potevano anche mangiare, e quelli grossi, bastardi verdi con chele grandi come cesoie da giardiniere che pesavano anche mezzo chilo. Venivano portati sulla spiaggia dove di solito si beccavano una carica mal sistemata nel basso ventre, seguita dalla mutilazione o, se erano fortunati, da una morte istantanea. Quelli che sopravvivevano con abbastanza membra intatte da tentare la fuga erano le creature più sfortunate al mondo. Una pattuglia di ragazzini isterici avrebbe circondato la vittima stuzzicandone le interiora con iniezioni di fosforo, che le corrodevano.

Fiammiferi accesi penetravano in ogni fessura delle loro corazze devastate come proiettili dalla testata esplosiva, rianimando qualunque cosa fosse rimasta lì dentro, per rimetterli in piedi e farli correre o per farli combattere sul posto. Thomas aveva visto granchi fatti esplodere e poi combattere a colpi di chela per cercare di salvarsi la vita anche per mezz'ora, contorcendosi sulla sabbia come molle che si scaricano, afferrando l'aria con chele slogate e trascinandosi per tutto il tempo in cerchi senza speranza, cercando di tornare in mare.

Dopo il trauma di un'esplosione un granchio si attaccherebbe a tutto, tagliandosi via anche le proprie membra, se lo scoppio gli ha spinto una zampa tra le chele. Le squadre più ingegnose sfruttavano questo fenomeno offrendo al povero disgraziato un'inattesa occasione di libertà insieme a un Cannon Crasher da portare a casa a moglie e figli. Con la miccia che sfrigolava e la morte in pugno si sarebbe trascinato verso il rifugio tanto in fretta quanto un paio di zampe potevano spostarlo. Ora non ci voleva poi molta immaginazione: con quella scia che si lasciava dietro come un tubo di scappamento sembrava davvero un carro armato. Alcuni secondi dopo saltava in aria, massacrato seduta stante, le orribili interiora arancioni, marci elastici di gomma, spinti dall'esplosione sulla faccia a prova di bomba.

"Che bello," strillavano quelli," che bello."

Però quei deficienti non sapevano fare molto di più. Usavano la tortura e la brutalità per distruggere le loro vittime, laddove Thomas e, in misura minore, Maurice praticavano una combinazione di tecniche sofisticate, senza dubbio altrettanto crudeli, ma con una certa tendenza verso la strategia e la scienza.

Erano la crema di quel gioco. L'élite.

Maurice si fece vivo una decina di minuti dopo, con un berretto di lana con la nappa bianca, una giacca a vento col cappuccio e uno zaino in spalla da cui spuntavano una mezza dozzina di bastoni. Aveva il naso notevolmente rosso.

"Perderemo la marea," disse Thomas.

"Il mare sembra lento."

"Non lo è, sta salendo."

"Va bene," esortò Maurice,"diamoci da fare."

Appoggiò la bici su quella di Thomas e scesero acciottolando lungo una scalinata di legno che diventava sempre più scivolosa per via delle alghe. Da laggiù il pontile sembrava una nave nera che non era mai andata da nessuna parte. I gabbiani se ne stavano sospesi in aria, immobili, sorretti dal vento. Mentre attraversavano la spiaggia Maurice agganciò la pipa ai denti davanti, sporchissimi: sembrava una specie di talpa.

"Ho dello sherry," disse, e infilò la mano dentro lo zaino da sopra la spalla, tirando fuori una mezza bottiglia di qualche vinello irrobustito.

"Quello non è sherry," disse Thomas.

"E allora che cos'è?"

"Chennesò, ma lo sherry non è rosso."

"No?"

"Tu non bevi?" domandò Thomas.

"Certo che bevo."

"Tu non bevi sherry?"

"Non tanto."

"Lo sherry è giallo."

"Sa di sherry," ribatté Maurice, stappando la bottiglia."E fa comodo con questo cazzo di freddo."

E bevve una sorsata che gli tolse il fiato e passò la bottiglia.

"Io bevo solo gin," disse Thomas,"o il porto, un porto me lo berrei."

"Questo è porto."

"Hai appena detto che era sherry."

"Beh, insomma, mi sono sbagliato, eh? È porto."

Di nuovo glielo offrì e di nuovo lui rifiutò. In realtà a Thomas il sapore degli alcolici non piaceva, gli dava la nausea, e in un giorno come quello non era proprio il caso, non con abbastanza esplosivo nel cappotto da sbriciolarli tutti e due.