Il derby dell’Est
I destini incrociati delle due squadre di Berlino Est: la Bfc Dynamo che dominava i campionati della Ddr oggi arranca nelle serie minori, mentre l’Fc Union è arrivata per la prima volta in Bundesliga, la serie A tedesca. Alla scoperta dell’identità delle due squadre dell’Est tra passato e futuro.
ALINA
SCHWERMER
Traduzione di Lucia Ferrantini
ALINA SCHWERMER — Laureata in Giornalismo e attualmente responsabile della sezione sportiva del quotidiano taz, die tageszeitung, scrive anche per il settimanale Jungle world. Nata a Colonia e tifosa del Bayern Monaco, è berlinese d’adozione.
I berlinesi non si considerano abitanti di una città calciofila. Eppure, nella capitale ci sono un sacco di squadre, molte delle quali con una tipologia di fan specifica. L’Hertha Bsc, il grande club dell’Ovest, divide gli animi e viene considerata arrogante ed eternamente alla ricerca di se stessa. Ci sono compagini di quartiere che nel loro piccolo vantano molti tifosi, per esempio il «sinistrorso» Tennis Borussia Berlin, o il Türkiyemspor Berlin, squadra di migranti nota alle cronache per il suo lavoro di integrazione. E poi, com’è ovvio, ci sono i club dell’ex Ddr: la Bfc Dynamo, più volte campione di Germania Est ma attualmente decaduta, e l’1. Fc Union Berlin che nel 2019 è riuscita a raggiungere la Bundesliga, la serie A tedesca.
Una delle caratteristiche della marca Union, ormai quasi un cliché, è la quiete. Quando uno va a una partita dell’Union, infatti, non attraversa il solito maggese di parcheggi ingrigiti e fanghiglia, bensì un boschetto, come se oltre gli alberi ci fosse un’oasi di pace o una terra di nessuno. Lo stadio dell’Alte Försterei è dominato dall’opprimente silenzio di una monocoltura che si risveglia solo nei giorni dei match. Per strada non c’è nessuno, si annaffia il prato, in sede la segretaria chiacchiera con il postino. In occasione delle partite, invece, si contano in media 22mila persone, mentre il progetto di ristrutturazione ne prevede 37mila. La maggior parte dei tifosi arriva ancora da Köpenick, quartiere a sudest della città e in tram si parla dialetto berlinese stretto, ma di recente girano parecchi hipster e il Tagesspiegel parla di fan che sbarcano all’Alte Försterei addirittura dall’Inghilterra. Questo stadio ha qualcosa di speciale, e l’immagine ne beneficia.
L’Union Berlin è arrivata veramente in alto, in Bundesliga, un luogo carico di valore simbolico in cui concorrono 17 squadre dell’Ovest più l’Rb Leipzig, la sola squadra dell’Est, creata però dal nulla dalla Red Bull. Nel business milionario del calcio la disparità tra le due Germanie emerge in maniera più grossolana ed evidente che altrove. Il giorno della promozione dell’Union, per esempio, l’opinione pubblica si è commossa: un club dell’Est nella massima serie! Già, trent’anni dopo la caduta del Muro quest’etichetta esiste ancora, con un’ovvietà irritante.
Quasi in contemporanea al grande successo dell’Union, non lontano dall’Alte Försterei la Bfc Dynamo invece è stata retrocessa in quella che potremmo definire la serie E. I vecchi campioni della Ddr sono precipitati così in basso che anche nel loro malridotto quartier generale, stranamente isolato all’interno di una Prenzlauer Berg tirata a lucido, si è tornati a condizioni un po’ primitive. Lo Jahn-Sportpark è un mondo a parte. La storia dei due nemici giurati Bfc e Union potrebbe essere un dramma shakespeariano. Due club berlinesi, non proprio di pari fama, uniti dalla reciproca avversione. In verità, però, questa storia ha anche molte zone d’ombra.
COSA SIGNIFICA PER I TIFOSI L’EST OGGI?
Ai tempi della Ddr la Bfc Dynamo era considerata la squadra della Stasi perché era il club preferito del suo presidente onorario e allora ministro della Sicurezza di stato, Erich Mielke. E perché, come quasi tutte le società della Germania Est, era parte di un sistema, nel caso specifico quello degli organi della sicurezza interna. L’Union Berlin invece era una compagine «civile» nata per intrattenere i lavoratori e non avere successo mai. Già il club predecessore dell’Union, lo Sc Union Oberschöneweide, si era distinto come squadra vicina all’ambiente operaio, negli anni Venti perfino i giocatori venivano da questo milieu.
Nello stadio dell’Union viene ricordato ancora oggi: prima dell’inno, infatti, un annuncio racconta la storia degli Schlosserjungs, i «ragazzi fabbri», come venivano chiamati i giocatori, e commemora la storica partita contro l’Hertha Bsc in cui per la prima volta si è levato il famoso grido «Eisern Union!», «Unione di ferro!». Tra tifosi ci si saluta ancora dicendo Eisern, «ferro», mentre gli intellettuali idealizzano la mascotte dell’underdog. La Bfc Dynamo invece, all’inizio degli anni Ottanta, anche grazie all’amichevole sostegno del settore arbitrale, vinse un campionato dopo l’altro, solo per precipitare dopo la Riunificazione.
E l’Union, ai tempi della Ddr un club popolare ma spesso nelle zone basse di campionati minori, dopo un lungo periodo di turbolenze post Riunificazione è diventato un club ricco e di culto. Perché è andata così e non è successo il contrario? Cosa significa l’Est per i tifosi di oggi? La storia calcistica è una metafora della storia tedesca e, in questo caso, ci dice soprattutto che tracce ha lasciato l’epoca della Ddr.
Quando arrivò la Riunificazione, il sessantenne Rolf Walter pensò che fosse una cosa «cool», un aggettivo che usa tuttora. «Io la volevo da tantissimo.» Walter allora militava nell’opposizione, tra le altre cose era membro del gruppo evangelico Kirche von Unten e del Friedenskreis Friedrichsfelde. Per questa lotta nel 1988 ha buttato via un permesso d’espatrio.
Oggi Walter lavora come fotografo freelance, all’inizio degli anni Ottanta era ancora ferroviere presso la Deutsche Reichsbahn di Berlino. La prima esperienza di ribellione l’ha fatta alla Bfc Dynamo, il club della Stasi. Chi pensa che sia difficile discutere con dei tifosi del significato del calcio sotto una dittatura, dovrà ricredersi: Walter ne parla in maniera riflessiva e ironica, forse non vedeva l’ora che qualcuno glielo chiedesse.
UN PASSATEMPO PROVOCATORIO
Oggi la tifoseria della Bfc viene spesso associata agli ambienti di destra, ma all’inizio degli anni Ottanta era più variegata. «Il pubblico della Bfc era un curioso miscuglio di sottoculture differenti» racconta Walter. Punk, skinhead, raggruppamenti dai confini indefiniti. Rolf Walter è arrivato alla Bfc per caso, tramite il nonno, un compagno intransigente. Allora allo stadio c’era addirittura un piccolo chiosco di giornali che distribuiva bandierine ai tifosi per «fare squadra». Per i ragazzi ribelli, le partite della Bfc Dynamo diventarono interessanti solo a partire dagli anni Ottanta.
«Cominciammo a fare casino in trasferta, e anche a renderci conto della nostra forza. Quando in duecento ci scagliavamo contro mille tifosi dell’Union pensavamo: “Se restiamo compatti non ci ferma nessuno!”» Anche Walter ha fatto a cazzotti. Non c’era ancora niente di politico, dice, era solo un passatempo provocatorio. Come quando a Dresda i tifosi della Bfc Dynamo si fecero beffe della carenza di generi alimentari lanciando banane verdi contro la curva di casa e gridando: «Vi abbiamo portato qualcosa da mangiare… banane, banane!» Dopo la morte di Lutz Eigendorf, il calciatore fuggito dalla Germania Est e probabilmente ucciso dalla Stasi, nacque un fan club a lui dedicato, fino a quando il ministero per la Sicurezza di stato non sequestrò la bandiera. In trasferta si ascoltavano gruppi punk e musica dell’Ovest, capitava che un uomo dai capelli viola gridasse «Freie Liebe!», «Amore libero!» e la gente allontanasse i bambini. «La Stasi reagiva in maniera relativamente soft perché erano contenti che la Dynamo avesse dei supporter. Solo a metà degli anni Ottanta le cose cambiarono, quando si resero conto che stavano perdendo il controllo, ma in realtà lo avevano già perso» dice Walter. «Più violenza usavano, più la gente assumeva posizioni radicali.»
Non aver tramandato fino al presente le contraddizioni della storia della Bfc è una mancanza del club, e anche della stampa dell’Ovest. Dopo la Riunificazione, la Dynamo divenne l’incarnazione del sistema. Un’assurdità, se si pensa che il suddetto sistema finanziava quasi tutte le squadre. A ogni modo, nell’immagine della Bfc restarono solo i fedelissimi del regime e gli hooligan di destra. Il mucchio selvaggio di un tempo si spostò a destra e il fenomeno fu peggiorato da pesanti pene detentive, nuove leve di violenti e il brivido della massima provocazione. Dal punk al neonazismo la strada era breve. Nell’anarchia della post Riunificazione le violenze e le razzie dei tifosi della Dynamo fecero rabbrividire la gente dell’Ovest. L’umorismo sovversivo di un tempo cadde nel dimenticatoio, la storia dei ribelli buoni passò sulla sponda dell’Union. Nel 1984 anche Rolf Walter venne arrestato e al momento del rilascio decise di votarsi alla resistenza politica: «Se dovevo finire di nuovo dentro, perlomeno volevo fare sul serio, entrare nell’opposizione.» Oggi ogni tanto va ancora alle partite della Bfc, sui cui spalti sventola sempre almeno una bandiera della Ddr. Una mera provocazione, pensa lui, pensano molti. «Non credo sia Ostalgie (nostalgia dell’Est): ai tempi del regime non pochi sono finiti in gattabuia» afferma Walter. «Quelli dell’Union rimpiangono molto di più il passato.» Ma è vero? Una delle contraddizioni di questa storia è dipingere i rivali come Ossis (tedeschi della Germania Est) più accaniti.
UNA SOCIETÀ DI PROTETTI
Quando arrivò la cosiddetta Riunificazione, Lopez ne fu tutt’altro che entusiasta. Lopez è il suo nome per la curva dell’Union, quello vero non vuole che compaia. «Non sono mai stato uno di quei cittadini della Ddr che volevano scappare» dichiara oggi. «Secondo me il socialismo si basava su dei buoni princìpi, ma c’era qualcosa che non andava, ne ero consapevole.» Lopez tifa Union dal 1977, è andato allo stadio per la prima volta a dodici anni. È un tipo allegro, cordiale. Ricorda un pubblico giovane, disobbediente, perlopiù sotto i venticinque anni. Qualche tempo dopo la rivista di satira Eulenspiegel a questo proposito scrisse: «Non tutti i tifosi dell’Union sono nemici dello stato, ma tutti i nemici dello stato sono tifosi dell’Union.» Un motto molto amato nella curva dell’Alte Försterei.
«In questo motto c’è del vero» sostiene Lopez. Anche Götz, all’epoca della Riunificazione custode dello stadio dell’Union, sognava una terza via tra socialismo e capitalismo. A posteriori, la ritiene una cosa molto ingenua. «Ai tempi della caduta del Muro, però, tutto sembrava possibile.» Per un breve periodo anche per i club dell’Est. L’Union Berlin, nato come si è già detto da un club di Schöneweide fondato nel 1906, ha coltivato fin da subito l’immagine di squadra operaia vicina al popolo. Oggi come oggi è difficile dire quanto fosse dissidente allora la sua tifoseria. Secondo Jutta Braun, studiosa del Zentrum deutsche Sportgeschichte, il Centro di storia dello sport tedesco, nei fascicoli della Stasi risultano diversi contatti tra fan dell’Alte Försterei e opposizione. Ciò non toglie che l’Union fosse una società di protetti dal sistema: tutti i suoi presidenti erano membri del partito. Tuttavia, rispetto alla Bfc Dynamo c’è una differenza essenziale nell’uso dei simboli. «Nel 1990 durante una trasferta» ricorda Lopez «portavo una spilletta della Ddr per protesta. Dei tifosi mi hanno subito fermato e mi hanno detto: “Togliti questa merda.”» Götz ci racconta anche della birreria di Köpenick che anni fa aveva la finestra coperta di stemmi dell’Union e della Ddr: «Una combinazione che non funziona» si sarebbero subito lamentati alcuni fan.
UNA DISTANZA DALLA DDR COMPATIBILE CON L’OCCIDENTE
E se oggi uno si chiede: «Perché proprio l’Union?» il caso e le coincidenze d’un tratto assumono una certa logica. Una base forte e numerosa, il sostegno del quartiere e questa ostentata distanza dal vecchio sistema compatibile con i valori della Germania Ovest. Un evidente problema di nazisti all’Union non c’è e non c’è mai stato, anche perché «la politica» come dice Götz «si lascia fuori dallo stadio». Niente bandiere della Ddr, niente striscioni nazisti, e le grane si risolvono in famiglia. In tutta sincerità, ricorda più Il padrino che la tifoseria di sinistra dell’Fc St. Pauli cui l’Union Berlin viene spesso paragonata.
La Riunificazione calcistica del 1990 sotto molti aspetti ha rispecchiato quella degli altri settori. Il processo di fusione non è stato proprio all’insegna della parità di diritti. Nella nuova Bundesliga furono ammesse solo due squadre dell’Est, fu questo il compromesso tra la Dfb, la Figc tedesca, e la nuova Lega dell’Est, la Nofv. E a fine stagione, con quattro squadre retrocesse, la cernita fu completa. Al campionato cadetto poterono accedere sei club dell’ex Ddr, sebbene i rappresentanti dell’Est all’inizio volessero piazzare tutte le 14 squadre dell’ex serie A orientale nei due massimi campionati riunificati. Furono esclusioni pregne di conseguenze.
Sia la Bfc sia l’Union mancarono la qualificazione al calcio professionista. Tra strutture al collasso, giocatori che emigravano all’Ovest, campi fatiscenti e la nuova economia di mercato, i club dell’Est si persero, e molti non si sarebbero più ripresi. Sulla media prospettiva le squadre di maggior successo furono compagini dal passato insignificante come l’Hansa Rostock o l’Energie Cottbus. E, dopo anni di sconfitte, anche l’Union.
«SANGUE PER L’UNION»
I fan dell’Union hanno già salvato il loro club dal fallimento con molte iniziative. Una delle più famose è stata «Sangue per l’Union». Nel 2004 la squadra era stata appena retrocessa dalla serie B alla Regionalliga, il campionato regionale. Cronicamente al verde, il club rischiò di sprofondare ancora più in basso, nella Oberliga, perché non aveva i soldi per la licenza necessaria all’iscrizione. Invece andò diversamente. La società incassò 1,46 milioni di euro di donazioni grazie a sponsor, mecenati e partite di beneficenza e l’iniziativa che ebbe più seguito fu appunto la campagna «Sangue per l’Union». I tifosi andarono a donare plasma in massa e i soldi ricevuti li inviarono via bonifico al conto dell’Union Berlin. Il club sopravvisse, ottenne la sua licenza e per anni continuò a trarre beneficio da questo ritorno d’immagine a livello nazionale ottenuto grazie all’amore dei tifosi. Dal 2003 i supporter dell’Union sono protagonisti di un altro happening senza eguali nel mondo del calcio: ogni 23 dicembre si radunano sul campo dell’Alte Försterei, quasi tutti con la maglietta del club, e intonano canzoni di Natale. Ci sono addirittura un direttore di coro, il pastore Kastner, i ragazzi del ginnasio Emmy Noether a dare il la e un’orchestrina di fiati. E anche vin brûlé, biscotti e candele per tutti. Nato come un ritrovo per pochi intimi, negli ultimi anni l’evento fa segnare sempre il tutto esaurito e i biglietti per il Natale successivo s’iniziano a vendere già a gennaio.
Götz è convinto che ogni squadra abbia una specie di dna, qualcosa che sopravvive a tutti gli accadimenti esterni. «Nonostante gli scandali della cattiva gestione dei primi anni della nuova Germania, l’Union non ha mai perso la sua immagine di squadra cool.» Una serie di originali iniziative promosse dai fan tra cui una manifestazione alla Porta di Brandeburgo per salvare il club dalla bancarotta, la campagna «Sangue per l’Union» o il coinvolgimento dei volontari nella ristrutturazione dello stadio ha salvato più volte, in maniera più o meno diretta, il club, dandogli grande visibilità mediatica a livello federale. Sta in questo il segreto del successo dell’Union, nell’essere riuscita a caratterizzare l’Est con la vicinanza e la solidarietà, invece che con la Ddr?
«L’Ostalgie tra le nostre fila non gioca alcun ruolo» dice Lopez deciso, nemmeno nella percezione esterna. I tifosi dell’Union su questo insistono spesso. Il famoso inno cantato da Nina Hagen in cui si grida «Noi dell’Est siamo sempre avanti» e «Chi non si fa comprare dall’Ovest?» a molti supporter non piace; anzi nella curva dell’Union è in corso un acceso dibattito sull’opportunità o meno di cantare questa parte del testo. Alcuni la trovano stupida, antiquata e sbagliata visto che, ironia della sorte, fu proprio un ricco cittadino dell’Ovest a salvare la società nel 1998. Eppure allo stadio si continua a intonare a squarciagola: all’improvviso Est e ribellione diventano compatibili eccome. «Gran parte della tifoseria non considera l’Union una squadra dell’Est» spiega Götz. «In quanto berlinesi, già ai tempi della Ddr ci sentivamo superiori agli Zonis» (termine con cui i tedeschi dell’Ovest indicavano gli abitanti del settore – zone – sovietico; da questa battuta emerge che gli abitanti di Berlino Est si sentivano superiori e lo utilizzavano a loro volta per sbeffeggiare chi non era della capitale). Lopez ricorda che dopo la Riunificazione in molti stadi chi si presentava con una bandiera della Ddr era considerato un cretino di provincia. Un po’ come quando i supporter della Bfc tirarono le banane a Dresda. Berlino è Berlino, il resto è un paesino. Cosa gliene frega ai berlinesi delle chiacchiere su Est e Ovest? L’etichetta di «squadra dell’Est» appare del tutto superata. Secondo molti è solo un’identità regionale.
UN MISCUGLIO CONTRADDITTORIO
Per Janusz Berthold, allora 15enne, la Riunificazione fu una catastrofe. Il suo primo ricordo riguardo alla Bfc Dynamo risale al 1984 – Berthold è stato educato come un fedele alla linea. Veniva da una famiglia comunista, il nonno era membro della resistenza antifascista, il padre era al ministero della Sicurezza di stato. «La Riunificazione era la più grande sconfitta possibile dei loro ideali.» Il padre e il nonno ne uscirono a pezzi.
Ancora marxista convinto, ai tempi Berthold sognava un futuro all’Hva, l’ufficio dello spionaggio estero della Ddr. «Oggi sono contento che sia andata diversamente» dichiara invece ai nostri microfoni. «Realisticamente, la Ddr non aveva futuro.» Berthold è uno di quei soggetti che non penseresti mai di trovare nella curva della Bfc: è uno che va nei pub alternativi e alle manifestazioni di sinistra, e allo stesso tempo uno che parla dialetto berlinese perfino nelle mail. Calcisticamente, lo si collocherebbe a metà tra un club amatoriale di sinistra e l’Union. Per certi versi, la Bfc Dynamo è ancora un miscuglio contraddittorio.
Nei «ruggenti» anni Novanta Berthold smise di andare alle partite della Bfc anche perché per quelli di sinistra non c’era più posto. Cercò invece contatti con la Affi, un gruppo di fan antifascisti. Nel 1999, però, fu tra quelli che tornarono nella vecchia curva. Janusz Berthold divide la storia post Riunificazione della Bfc in periodi: prima lo stigma della Stasi, poi gli hooligan fasci. Nel 2001 quindi la società, che per alcuni anni aveva cambiato nome in Fc Berlin, fallì e precipitò nella Verbandsliga, la sesta categoria del campionato di calcio tedesco.
2008: L’UNION INIZIA A RISALIRE
Gli intrecci di quegli anni tra Bfc, hooligan di destra, rockettari e criminalità organizzata sono entrati nella leggenda. Poi nel comitato direttivo della società arrivò un membro di spicco degli Hell’s Angels. «Fino a dieci anni fa era difficile “uscire dal passato”, adesso la storia della Stasi sta scivolando sempre più in secondo piano. Il problema è l’eredità dell’estremismo di destra, da questo il club non si è mai distanziato con sufficiente nettezza.» Quando si tratta di vecchi tifosi che non si vogliono cacciar via e da fuori non arriva aria nuova, e non è nemmeno benvenuta, lo spazio di manovra è piuttosto ridotto.
Eppure qualcosa è cambiato. Di simboli nazisti allo Jahn-Sportpark non se ne vedono da un bel pezzo. Gli ultimi episodi di violenza grave risalgono al 2011. Ovunque si sente dire che il consiglio direttivo sta investendo moltissimo nel miglioramento dell’immagine. La Bfc vuole ripartire. «Gran parte della clientela dello stadio» dice Berthold «è ancora costituita dai vecchi supporter, molti dei quali adesso sono membri di Pegida, un movimento antislamico fondato a Dresda nel 2014. Allo stesso tempo, però, c’è la base delle squadre giovanili con moltissimi figli di migranti.» A differenza di altre tifoserie di destra, alla Bfc non c’è nessuna fazione giovanile forte. Forse perché la Bfc Dynamo dal punto di vista sportivo non è abbastanza rilevante.
DIRK ZINGLER NEL REGGIMENTO DI GUARDIA DELLA STASI
La Bfc Dynamo è sempre stata bollata come «squadra della Stasi», ma lo scandalo più grosso ha coinvolto il presidente dell’Union, Dirk Zingler, finito nel mirino dell’opinione pubblica nel 2001, quando il giornalista Matthias Wolf ha reso noto che Zingler aveva militato nel reggimento di guardia «Feliks Dzierzynski», agli ordini della Stasi. Il presidente dell’Union, che era arrivato fino al grado di sottufficiale, aveva sempre omesso questa pagina oscura della sua biografia. Solo pochi anni prima la società si era separata con grande clamore da uno sponsor per i passati rapporti con la Stasi. La reazione del club questa volta fu di prendersela con Wolf, il Wessi– uomo dell’Ovest – che aveva puntato il dito contro l’Est. I rappresentanti dell’Union si rifiutavano di rispondere alle sue domande in conferenza stampa. «Noi dell’Est» contro di loro: l’Union enfatizzò questa rottura dicendo che si stava demonizzando il servizio di guardia di un adolescente. Oggi Zingler dichiara che sì, si può condannare dal punto di vista morale il suo servizio di allora, «ma le persone più legittimate a giudicare la mia vita nella Ddr sono coloro che ci hanno vissuto. C’è chi per via della Stasi ha sofferto moltissimo. Quando dicono che l’argomento è tabù, hanno la mia massima comprensione. Anch’io condanno i crimini avvenuti sotto la Ddr». Lo scandalo non lo ha fatto cadere e l’immagine dell’Union non ne ha risentito molto.
Secondo alcuni la Riunificazione calcistica va giudicata con più clemenza. Jutta Braun sostiene che la rapida fusione è stata realizzata proprio su pressione della nuova Lega dell’Est perché le sue strutture stavano crollando. Non c’erano molte alternative. «Non mi sento di affibbiare all’Ovest la parte dell’Uomo nero» dice la studiosa. «Ciononostante, dopo un simile cambiamento il secondo scatto verso la commercializzazione a metà degli anni Novanta per l’Est è stato doppiamente tragico.»
Dalla promozione in serie B nella stagione 2008/2009 l’ascesa dell’Union Berlin non si è più fermata. Spettatori sempre più numerosi, un battage mediatico impensabile a livello nazionale a causa dei posti in piedi e dell’atmosfera e dell’approccio un po’ meno commerciale rispetto ad altre società. Nostalgia, sì, ma non dell’Est. La promozione in Bundesliga era l’obiettivo dichiarato da diversi anni, anche se non tutti i fan ne sono entusiasti. Il presunto trascinatore sarebbe Dirk Zingler, presidente dal 2004 e tifoso dell’Union da quando era bambino. Zingler riceve in un ufficio proprio di fronte all’Alte Försterei, una stanza spaziosa con un enorme divano ad angolo, in cui si fuma ancora, cosa quasi antiquata. «L’identità dell’Est per noi non ha alcun valore, quel che conta è avere un’identità» dichiara subito Zingler. Venire dalla parte Est di Berlino, sostiene, per molti purtroppo ha ancora una valenza politica. «Secondo me invece questo tipo di provenienza, ovvero da quale sistema veniamo, non ha importanza. Il fulcro di un legame con un club calcistico è la delimitazione regionale.» Il cavallo di battaglia di Dirk Zingler è il regionalismo, ne parla come se fosse un esperto, lo ripete di continuo.
Forse questa convinzione è dovuta all’esperienza della Riunificazione. «Dopo la caduta del Muro, molte cose nella ex Ddr sono state gestite da forestieri. Sono venuti qui manager dall’Ovest a raccontarci come funzionava il nuovo sistema statale. E noi ad ascoltare con gli occhi sgranati e la bocca aperta. Con il passare del tempo, invece, abbiamo capito che dovevamo badare a noi stessi. Per le squadre di calcio è lo stesso, più lo fanno, meno problemi avranno.»
AL SERVIZIO DELLA STASI
Ovviamente il regionalismo non è l’unica spiegazione del successo dell’Union, una squadra nuova come l’Rb Leipzig sta avendo successo anche senza radici. L’idea, e l’intrinseca promessa, è piuttosto di dire: «Anche tu, amico mio, puoi essere uno di Köpenick.» Durante la nostra conversazione Zingler ci tiene anche a respingere l’etichetta di club dell’Est. Non critica la mancata integrazione delle squadre dell’ex Ddr nella nuova lega della Germania riunificata e sul passato in generale dice: «Non si possono rinnegare le proprie origini, ovvio, l’epoca della Ddr fa parte di noi. Ma è solo un periodo della storia e generazione dopo generazione sta sbiadendo.» È questo il grande vantaggio dell’Union rispetto alla Bfc Dynamo, un costrutto statale che invece ha celebrato successi soltanto sotto la Ddr. L’Union Berlin è nato da una squadra che esisteva già cinquant’anni prima della Ddr e trent’anni dopo la caduta del Muro sta andando a gonfie vele: per questo club, il tempo nel mezzo forse è davvero solo un battito di ciglia, sovrascritto per gradi. O almeno, quasi sempre.
LA BFC E LA QUESTIONE DELL’IMMAGINE
Tempo fa una statistica del Berliner Morgenpost mostrava come Berlino dal punto di vista calcistico resti una città divisa: la gente dei quartieri occidentali in genere tifa Hertha, chi abita nella zona Est Union. Non ha un significato politico, si tratta anche di tradizioni locali. Poi l’Hertha ha grande seguito nell’hinterland. La Bfc Dynamo è ormai una squadra minore con i problemi tipici delle squadre dei campionati regionali: carenza di soldi e sponsor, dirigenti oberati di lavoro, poca attenzione da parte dei media. A muovere i fili e finanziare la Bfc ora c’è Peter Meyer, un ex ultrà, un altro fattore che non attira sponsor. Da sempre nel club anche Rainer Lüdtke, il responsabile dei rapporti con la tifoseria, uno che una volta dichiarò al tageszeitung che i nazisti avevano profanato la bandiera di guerra del Reich e che lui non avrebbe nulla in contrario a una «Giornata dei germani». È così che si strizza l’occhio a una parte dei supporter della Dynamo.
«Abbiamo fatto molto per liberarci della vecchia immagine» afferma Lüdtke. «Per esempio, come altri club abbiamo preso giocatori di nazionalità non tedesca, soprattutto nel settore giovanile, dove abbiamo un’alta percentuale di immigrati di seconda generazione. Abbiamo avuto un allenatore turco. Mi spiace doverlo sottolineare perché nessuno se n’è accorto, ma non abbiamo i soldi per grandi campagne d’immagine.» Quello di Lüdtke è un atteggiamento piuttosto comune tra chi cerca di allontanare accuse di razzismo: in questo modo, proprio nel calcio, possono coesistere strutture di destra e personale straniero.
Se gli si chiede dei disordini degli anni passati, Lüdtke si irrita. Dice che l’attuale Bfc è vittima dei media. Allo stesso tempo, in relazione agli anni Novanta parla di «radicalismo», invece che di estremismo di destra. Qualche progresso, però, c’è. Soprattutto nel lavoro contro la violenza e nel rapporto con i fan, e anche alcuni contatti problematici sono stati tagliati. Questi cambiamenti, tuttavia, non ricevono molta attenzione mediatica.
NINA HAGEN
Nina Hagen, Godmother of punk, dal titolo del film del 2011 a lei dedicato, nasce a Berlino Est nel 1955, ma nel 1976 scappa a Londra insieme al patrigno Wolf Biermann, intellettuale dissidente contrario all’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Già famosa nella Ddr come cantautrice del brano Hai dimenticato di prendere il rullino a colori, sottile satira del grigiore del regime, nel 1982 torna in Germania Ovest e fonda la sua band punk rock Locomotive Kreuzberg con cui sbanca le classifiche e domina anche il mercato nero della Ddr. Negli anni Ottanta l’eccentrica e anticonformista «Madonna tedesca» reinterpreta in chiave femminista la hit di Rita Pavone «Se fossi un uomo», nel 1990 dichiara di credere agli ufo e inizia a dedicarsi all’esoterismo. Nel 1998 regala la sua voce al leggendario inno dell’Union Berlin, che diventa l’inno più rock della storia del calcio tedesco. La canzone più famosa della Hagen, però, trasmessa a ripetizione da tutte le radio nell’estate del 1982, resta «Smack Jack», scritta e composta da Ferdinand Karmelk, allora suo compagno, su temi pesanti come la droga e la disperazione umana. Nel video, girato in una discoteca, Nina interpreta quattro persone diverse: Adolf Hitler, una ragazza pazza, una prostituta di colore e la Madonna che cerca inutilmente di scacciare il male dal mondo e di liberare le persone dai loro peccati.
TRE CLUB DELLA EX DDR NELLA SERIE B TEDESCA
Cosa significa quindi l’Est per il club? A differenza dell’Union, secondo molti la tipologia dei fan della Bfc non è cambiata. A far da padroni restano anziani dell’ex Germania Est che tifano Dynamo da sempre. Un biotopo. Tra questi ci sono ancora elementi di destra, che probabilmente in una tifoseria piccola sono più visibili. Da anni la Bfc cerca di attirare pubblico nella nuova Prenzlauer Berg modaiola, ma finora senza successo. All’Union, invece, è toccata proprio l’immagine di squadra hipster. Forse è perché allo Jahn-Sportpark tra bandiere della Ddr, cori che inneggiano alla vecchia Coppa della Germania Est e il grido operaio «Sport frei!», «sport libero!», seppur inteso in maniera ironica, il tempo sembra essersi fermato. Forse in questo caso provocazione e nostalgia si mischiano. E ovviamente mancano soldi e successo per scatenare ondate di entusiasmo.
«Da noi l’identità dell’Est c’è ancora, è sicuro, ma non gioca più un ruolo importante» assicura Lüdtke. «Sì, per tradizione ci consideriamo un club dell’Est, ma oggi la Germania è una sola.» Rispetto all’Union il senso di appartenenza si sente più forte, ma in fondo Lüdtke come clientela non ha mezza Europa, bensì Berlino. E anche lui ha un settore giovanile con ragazzi a cui la divisione Est-Ovest non dice più nulla. L’identità dell’Est con il tempo sbiadisce, i buchi economici restano.
Nella serie A tedesca oggi c’è solo una squadra della ex Ddr, un pezzo di storia del calcio berlinese regionale con background dell’Est.