Pro video mori

di Walter Frank Moudy

 

 

Titolo originale: The Survivor 

Traduzione di Mario Galli

© 1965 Ziff-Davis Publishing Company

 

 

 

Un artista avrebbe trovato armoniose le strutture architettoniche dell’arena. Le pareti curve di granito che si alzavano fino a novanta metri da terra erano lucide e levigate come l’interno di una coppa di cristallo. Una mosca, forse una lucertola, avrebbero potuto arrampicarsi su quelle barriere lucenti, non certo un uomo. Le mura circondavano un’area ovale che, nei diametri maggiori, misurava tremila metri di lunghezza e duemila di larghezza. Due grandi colline si ergevano identiche, in coincidenza dei fuochi dell’ellisse e al centro sorgeva una terza collina, coperta d’alberi, con un piccolo lago dalle acque limpide sulla cima. Se si fosse tagliata l’arena trasversalmente, le due parti sarebbero state identiche in ogni più piccolo particolare, come fossero ciascuna l’immagine speculare dell’altra.

Un contadino avrebbe notato il fertile terreno pianeggiante che si stendeva tra le due colline e il lago. Un pittore sarebbe rimasto in contemplazione delle sfumature di verde e di mattone delle piante che coprivano il colle nelle vicinanze del lago. Uno sportivo, osservando il lago cristallino alle prime luci del giorno, si sarebbe sentito prudere le dita dal desiderio di stringere una canna da pesca e di calzare gli stivali di gomma. I ragazzi, specialmente i ragazzi di città, avrebbero provato l’ardente desiderio di salire in cima alle due colline, perché sembravano facili da scalare, ma non troppo. Dalla vetta della collina centrale si dominava il lago e tutte le pianure circostanti.

C’era un’atmosfera idilliaca nell’arena in quelle ore del mattino. Il primo sole filtrava attraverso la nebbia leggera per sfiorare la collina centrale e spandersi sui campi umidi di rugiada. Gli alberi erano rivestiti di nuove foglie verdi, e le foglie frusciavano ritmicamente al soffio dolce del vento. C’erano uccelli su quelle piante, e gli uccelli cantavano, perché era primavera, e godevano la gioia di vivere e lo splendore del mattino. Un gufo, con l’appetito soddisfatto da una recente preda, appollaiato su un ramo morto di un gran sicomoro, sprofondò il becco tra le penne preparandosi a dormire per tutta la giornata. Un crotalo lucente, sentendo l’avvicinarsi del sole e pregustando il dolce calore, scivolò da sotto la roccia piatta che gli aveva offerto riparo durante la notte per andarsi a distendere sul sasso preferito. Uno scoiattolo rosso squittì nervosamente osservando gli uomini che entravano nell’arena dalla porta nord e poi, temendo un pericolo, saettò verso un albero vicino per cercare rifugio nella sua tana.

Erano in cento, alti e fieri nelle loro uniformi. Un movimento appena percettibile scuoteva le loro file, simili a spighe di grano sfiorate da una leggera brezza. Se sapevano quanto stava per accadere, non lo dimostravano. Ogni loro gesto mostrava assoluta disciplina. Erano stati semplici uomini, ma li avevano trasformati in belve da combattimento. Il sapore del sangue era come una necessità per le loro bocche. La passione per sopprimere era come una rabbiosa marea che li travolgeva. Erano armi appuntite e affilate, pronte a uccidere.

 

Il generale compì l’ultima ispezione. Mentre passava in rivista le file dei soldati, i comandanti di squadra impartivano secchi ordini e gli uomini si irrigidivano nell’assoluta immobilità. Il soldato Richard Starbuck sentì gli stivali del generale che si stava avvicinando battere contro i sassi del terreno. Non si udivano altri suoni, neppure il respiro degli uomini. La lunga disciplina lo costrinse a mantenere lo sguardo fisso sul punto lontano che si era scelto e tenne gli occhi immobili anche quando il generale gli passò di fronte. Non lo vide neppure.

Il soldato Richard Starbuck non stava pensando alla morte, anche se sapeva che, con ogni probabilità, le sue ore erano contate. Pensava al fucile che si sentiva pesare sulla spalla e all’impellente desiderio di scaricare le pallottole nella carne umana. La necessità di uccidere lo dominava, tuttavia si sentiva leggermente sollevato all’idea di non essere stato assegnato alla squadra d’assalto (squadra suicidio la chiamavano gli uomini), e aveva una possibilità, minima, di rimanere in vita. La squadra d’assalto era destinata a morte sicura.

Venne dato un ordine, e il soldato Starbuck impose al proprio corpo irrigidito di distendersi. Guardò l’orologio. Le cinque e venticinque. Aveva un’ora e trentacinque minuti di attesa. In lui c’era una tensione che il corpo rilassato non riuscì a scacciare. Durante il corso di addestramento gli avevano insegnato come fare a distendersi. Gli avevano insegnato una infinità di cose in quel periodo.

 

L’enorme schermo TV permetteva primi piani quasi a grandezza naturale. Il colore era perfetto, e le immagini tridimensionali. Per qualche istante gli obiettivi zoom inquadrarono la parte deserta e silenziosa dell’arena. Il sistema sonoro era tanto sensibile e acuto da produrre il fruscio delle zampe di uno scoiattolo contro la corteccia di un vecchio albero. Oltre cento obiettivi scrutavano l’arena, tuttavia la congiunzione tra una inquadratura e l’altra era tanto perfetta che un osservatore aveva l’impressione di essere sospeso sopra l’arena. Si sentì il rumore dei passi in marcia e le telecamere si spostavano rapidamente verso nord dove i cento uomini stavano schierati in formazione perfetta. Cento tacchi d’acciaio percuotevano la terra come un solo tacco. Per qualche istante gli obiettivi inquadrarono gli stivali, e il sonoro registrò il tuono dei cento uomini in marcia verso la guerra. Subito dopo apparve sulla schermo il volto marziale del generale, poi le espressioni decise degli uomini, infine, ancora una volta, gli stivali tuonanti. Il campo visivo si allargò per inquadrare la colonna degli uomini, che si arrestava in un secco alt, poi comparve per un attimo il primo piano del volto aquilino del generale, e si vide il generale passare in rivista le squadre degli uomini irrigiditi sull’attenti e scrutare il volto di ogni soldato.

Quando venne ordinato il “riposo” le macchine da ripresa mostrarono una veduta aerea dell’arena e fecero una lenta carrellata panoramica per fissarsi su una delle torri di controllo allineate in cima alla muraglia. L’immagine venne lentamente portata in primo piano e gli spettatori ebbero l’impressione di entrare nella torre di controllo stessa. All’interno della torre un uomo dall’aspetto distinto, di circa quarantacinque anni, con tutti i capelli grigi, sedeva accanto a un individuo sui cinquant’anni dalla faccia grassa e gioviale. Guardavano con espressione d’attesa, poi l’uomo dai capelli grigi prese la parola.

— Buon giorno, signore e signori, io sono John Ardanyon...

— Ed io Bill Carr — si presentò l’uomo dalla faccia grassa.

— Questo... sì, gentili signore e signori, questo è il grande momento. I Giochi Olimpici di Guerra del 2050 stanno per incominciare. Il giorno che tutti aspettavamo. Signore e signori, ancora un’ora e trentadue minuti di attesa. Per assistermi nella descrizione della gara c’è qui con me Bill Carr, che voi perfettamente conoscete, sportivi di tutto il mondo. Infine, per questa speciale trasmissione, abbiamo convocato alcuni tra i più stimati esperti del ramo. Bill?

— Proprio così, John. Quest’anno la NSB non ha badato a spese pur di assicurare al pubblico dei suoi telespettatori una ripresa delle gare del 2050 non seconda a nessuna. Quindi, per una più completa e immediata osservazione di ogni particolare, vi consiglio di tenere i vostri apparecchi allacciati al nostro canale. John?

— Sono d’accordo con te, Bill. Quest’anno la NSB, per inquadrare ogni più piccolo angolo dell’arena, ha installato oltre cento telecamere zoom appositamente studiate. E usiamo il più moderno equipaggiamento sonoro, tanto sensibile da registrare il battito del cuore di un uomo a mille metri di distanza. I nostri operatori sono particolarmente addestrati all’uso delle nuove macchine e delle nuove tecniche, cosa di cui vi sarete resi conto osservando le inquadrature iniziali. Penso di potervi promettere che questa volta nessuna stazione potrà superare la NSB nella qualità e nella immediatezza delle immagini.

— Molto bene, John. E ora, a poco meno di un’ora e mezzo dall’inizio delle operazioni, la NSB è fiera di potervi trasmettere la registrazione di un messaggio del Presidente degli Stati Uniti. Signore e signori, il Presidente degli Stati Uniti.

 

Sullo schermo apparve per un attimo la Casa Bianca; l’immagine si dissolse, poi si vide il presidente, in primo piano.

— Miei cari concittadini, quando sentirete queste mie parole starà per cominciare il quinto confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica nei Giochi Olimpici di guerra. Spero e prego che il nostro Paese conquisti la vittoria. Con l’aiuto di Dio, noi vinceremo.

«Ma nel nostro desiderio di vittoria non dobbiamo dimenticare il principale scopo di queste gare. Non ci si batte soltanto per ottenere la vittoria. Noi, miei cari connazionali, dobbiamo ricordare che questi giochi vengono svolti per evitare che il pauroso spettro della guerra possa calare ancora una volta sulla nostra Patria. Conviene lasciar decidere il destino da pochi uomini piuttosto che due nazioni mobilitino tutte le loro risorse per distruggersi a vicenda.

«Amici, molti di voi ignorano gli orrori della Guerra Finale del 1998. Io li ricordo. In quella guerra ho perso il padre e due sorelle. Ho trascorso due mesi interi in un rifugio... come molti altri. Non ci dovrà mai più essere una guerra simile. Non possiamo... non dobbiamo permetterlo.

«I Giochi Olimpici di Guerra sono la soluzione, l’unica soluzione. Grazie ai Giochi Olimpici di Guerra possiamo vivere nella Pace. Oggi i nostri cento migliori combattenti s’incontreranno con cento soldati russi per decidere se dobbiamo essere i vincitori o se dobbiamo subire la disfatta. Il perdente dovrà pagare una riparazione di dieci miliardi di dollari. La posta è quindi altissima.

«Altissima. Tuttavia, miei cari connazionali, il costo di una guerra totale sarebbe centinaia di volte maggiore. Questa guerra in miniatura è una convenienza finanziaria. E inoltre, grazie ai Giochi Olimpici di Guerra, possiamo assicurare la Pace.

«Ed ora, per mantenere la tradizione introdotta dal Presidente Goldstein dichiaro questa giornata festa nazionale per tutte le persone non impegnate in servizi di capitale importanza. Da oggi fino alla conclusione delle gare.

«Ai valorosi che compongono la nostra squadra io dico: le speranze e le preghiere di tutta la nazione vi accompagnano. Possiate tornare vincitori.»

L’immagine del Presidente si dissolse e comparve il simpatico volto di John Ardanyon.

— Sono sicuro che tutti noi ci troviamo uniti nell’augurio del Presidente — disse dopo un breve e rispettoso silenzio. — Ed ora ecco a voi il professor Carl Overmann che vi descriverà il sistema di calcoli elettronici studiato dalla NSB per i giochi di guerra del 2050.

— Grazie, signor Ardanyon. Quest’anno, grazie al metodo Englewood per valutare i fattori imponderabili possiamo offrirvi ad ogni istante previsioni esatte al novanta per cento. Ecco, in breve, come funziona il sistema Englewood...

 

Richard Starbuck guardò l’orologio. Doveva ancora aspettare quaranta minuti; controllò che la prima pallottola dal caricatore fosse inserita nella canna del fucile, poi, per la terza volta negli ultimi venti minuti, si spostò di alcuni passi per urinare contro un albero.

Sentì la gola terribilmente secca e tolse il tappo della borraccia per inumidirsi le labbra. Un piccolo sorso soltanto perché il regolamento permetteva una sola borraccia a testa, e il loro piano di attacco non prevedeva una rapida conquista della posizione dominante sulle rive del lago.

Una lucertola attirò la sua attenzione. Sollevò il piede destro e con la punta dello stivale la schiacciò.

Vide che l’animale aveva lasciato una piccola macchia di sangue sul cuoio della calzatura. La vista di quel sangue gli fece scattare qualcosa nella mente, e per la prima volta si rese vagamente conto che esisteva la possibilità di essere ferito. Durante l’addestramento non ci aveva mai pensato. Si era sempre e soltanto domandato cos’avrebbe provato nell’uccidere un uomo. Alla fine si era convinto che uccidere era una necessità. Amava il fucile, come fosse una parte del suo corpo. Se non ne sentiva la confortante presenza aveva la sensazione di essere privo di una parte di se stesso.

Ma gli poteva anche accadere di restare soltanto ferito. Forse non sarebbe morto subito.

Cercò d’immaginare cosa sarebbe stato sentire un pezzo di piombo informe lacerargli lo stomaco. Con tutta probabilità i russi usavano proiettili esplosivi per provocare ferite più gravi.

Forse non sarebbe stata una cosa terribile. Ricordò il giorno, quattro anni prima, in cui si era trovato in punto di morte. Non era stata una sensazione tanto spiacevole. Ricordò che la sua unica preoccupazione era stata quella di sporcare di sangue il letto nuovo dei Martin.

Erano sempre stati molto buoni con lui. Una volta avevano pensato di non poter avere figli, e lo avevano semi adottato, dato che sua madre lavorava ed era troppo impegnata per aver tempo di cucinargli qualche dolce; suo padre non si interessava di lui e quindi non lo portava mai a pesca o a vedere una partita di pallacanestro.

Anche dopo che ai Martin nacque Cassandra continuarono, a considerarlo come il loro nipote preferito. Il signor Martin lo portava a pescare e assisteva alle partite di pallacanestro della squadra in cui aveva cominciato a giocare.

Per questo motivo, quando aveva fracassato il motoscooter e si era spaccata la testa, aveva avuto più terrore di sporcare il nuovo letto dei Martin che non di morire, anche se era certo che sarebbe morto.

Ricordò il suo primo pensiero, quando riprese i sensi. I Martin gli stavano accanto agitati, e la loro figlia Cassandra, di nove anni, fissando il sangue che gli colava dal volto, piangeva disperata. Era stato il momento in cui aveva pensato di essere in punto di morte. Morire gli era sembrato l’unica cosa logica da fare, e aveva sentito la necessità di farlo con stile. Così aveva assicurato a tutti di sentirsi benissimo.

Però questa, con suo lieve disappunto, era proprio la verità.

Richard Starbuck, ex attaccante della squadra di pallacanestro del liceo centrale guardò l’orologio e si domandò, mentre continuava l’attesa, se una pallottola nel ventre poteva dare un’impressione simile a quella che si prova spaccandosi la testa contro il selciato.

Era strano pensare a quelle cose in quel momento. Non aveva più ricordato i Martin da molti mesi. Chissà se avrebbero seguito la trasmissione. E chissà se avrebbero riconosciuto il ragazzo di sedici anni che aveva sporcato di sangue il divano del loro salotto.

Poi si domandò se lui stesso poteva riconoscere in sé il ragazzo di quattro anni prima.

 

Il professor Carl Overmann aveva finito di descrivere le meraviglie del sistema di calcolo adottato dalla NSB. Un piccolo uomo insignificante, sociologo di una università di secondo piano, impiegò dieci minuti per spiegare al pubblico della TV che il più importante effetto psicologico della trasmissione era di soddisfare l’insita sete di sangue di ciascuno, e raccomandò agli spettatori di portare i più giovani davanti allo schermo. Un ministro fece un’apparizione di tre minuti per assicurare che la guerra in miniatura avrebbe fatto comprendere all’umanità quali potevano essere gli orrori di un conflitto. E un professore in economia lesse alcuni dati statistici sulle conseguenze economiche in caso di vittoria o di sconfitta.

— Bene, eccoci ancora a voi, signore e signori — disse Bill Carr appena il professore in economia ebbe terminata la lettura. — Voi tutti sapete che la posta in palio è enorme. Ora... Che c’è? Cosa? Un momento, gentili ascoltatori. Penso che la NSB sia riuscita a ottenere una altra intervista esclusiva, — Girò lo sguardo verso destra. — È arrivato? Sì? Bene, signore e signori, la NSB mantiene sempre il suo primato. Per la prima volta nella storia dei giochi compare sugli schermi... signore e signori, ecco a voi il generale George W. Caldwell, capo addestramento della squadra americana dei Giochi Olimpici di Guerra. Generale, siamo felici di potervi avere con noi.

— Grazie, Bill. Il piacere è mio,

— Generale, i nostri telespettatori già lo sanno, tuttavia è meglio precisarlo ancora una volta. Le due parti non possono assolutamente comunicare con i loro uomini nell’arena. È vero, generale?

— Verissimo, Bill; in caso contrario non potrei essere di fronte a queste telecamere. Una cortina elettronica cinge l’arena e impedisce ogni tentativo di comunicazione. Dal momento in cui entrano in campo gli uomini possono contare soltanto su se stessi.

— Generale, potete anticipare qualche previsione sulle gare che si stanno per svolgere?

— Sì, Bill. Forse vi sembrerò troppo ottimista, ma penso che i nostri ragazzi siano in forma perfetta. E non sono d’accordo con gli scommettitori neutrali che danno gli Stati Uniti perdenti per 6 a 5. Io dico, vinceremo.

— Generale, è stato affermato che la nostra disfatta nei giochi di quattro anni fa sia dovuta a un piano di battaglia meno efficace di quello sovietico. Potete dirci qualcosa?

— No comment.

— Potete spiegare come mai la squadra degli Stati Uniti abbia perso le ultime due gare dopo avere vinto le prime due?

— A questo cercherò di rispondere. La disfatta del Quarantadue può esser dovuta a troppa fiducia. Avevamo vinto i due incontri precedenti con estrema facilità. Ricordo che abbiamo vinto le gare del Trentotto con quattro superstiti. In quanto alla sconfitta del Quarantasei... ecco, siete stati anche voi spettatori come me. Posso dire questo. Molti cosiddetti esperti hanno criticato il generale Hanley per la messa in atto di un piano non adatto. Bene, questi cosiddetti esperti, questi generali da poltrona, hanno sbagliato di grosso. Il piano strategico del generale Hanley era perfetto in ogni dettaglio.

— Forse il programma di addestramento...

— È una critica insensata. Il mio ufficio cooperava con il generale Hanley durante quel periodo. L’addestramento è stato identico, tranne qualche lieve modifica, a quello praticato per le gare di quest’anno.

— Potete anticipare qualche particolare sul piano di battaglia, generale?

— Non vorrei togliere la suspense agli spettatori della TV. Però posso dire che ci saranno diverse sorprese.

— Come pensate che i nostri ragazzi possano reggere al confronto con i russi, generale?

— Bill, sulla base di un confronto fra uomo e uomo, penso che la bilancia penda a nostro favore. Nell’arena sono scesi i migliori uomini di tutte le squadre addestrate. E posso affermare che sono migliori al venti per cento di quelli dei giochi precedenti.

— Generale, quale criterio avete seguito nella scelta degli uomini che dovevano far parte dello schieramento definitivo?

— Bill, potrei dire che sopra ogni altra cosa abbiamo tenuto conto della predisposizione psicologica. Naturalmente un uomo può essere un ottimo atleta, ma se non è animato dall’istinto di uccidere, non possiamo farlo entrare in una squadra. È la predisposizione che conta.

— Potete dirci allora il criterio della scelta degli uomini da addestrare?

— Sì, Bill, penso di sì. Sappiamo che anche i russi usano lo stesso sistema; inoltre, a questo proposito, negli ultimi mesi i giornali hanno già scritto molte cose.

«Si presentano migliaia di volontari, e noi li sottoponiamo tutti a un test molto severo... fisico, mentale e psicologico. La maggior parte degli aspiranti viene eliminata dopo il primo test. Sareste sorpreso nel vedere certi giovani che si presentano. Quelli che vengono prescelti, circa duemila quest’anno, sono ammessi ad un corso intensivo di allenamento che dura sei mesi. Durante questo periodo vengono eliminati i primi uomini. Quelli che pur avendo superato i test di prova dimostrano di non saper resistere alle fatiche. Segue l’anno di addestramento in cui l’istinto viene condizionato.

— Scusate se vi interrompo, generale. Questo condizionamento è di tipo fisico?

— No, Bill, è un tipo di condizionamento speciale... Tanto fisico quanto della mente. Gli uomini vengono condizionati alla guerra. Viene loro insegnato a riconoscere e a odiare il nemico. Viene loro insegnata la reazione istantanea a ogni possibile manifestazione ostile. E imparano ad amare le loro armi e a distruggere tutte le altre.

— Immagino che durante questo periodo di addestramento gli uomini abbiano pochissimo tempo libero.

— Tempo libero? — Il generale parve più scosso che divertito. — Già, tempo libero. Il nostro programma di addestramento non lascia un solo attimo di libertà. Non coccoliamo gli uomini. Devono prepararsi alla guerra, Bill. A nessuno di loro è permesso di dormire più di due ore consecutive. Vengono dati in media quattro allarmi per notte.

«Gli allarmi notturni sono un importante elemento che ci permette la scelta degli elementi adatti quasi quanto il programma stesso di addestramento. Li teniamo costantemente sotto osservazione. Si possono stabilire molte cose dal modo in cui un individuo reagisce a un allarme. Gli uomini sono condizionati a svegliarsi di scatto e a trovarsi con l’arma impugnata. Però, ad esempio i migliori, di istinto, si spostano rotolandosi per terra e puntando l’arma nella direzione da cui è provenuto il segnale d’allarme.

— E negli ultimi sei mesi, generale?

— Bene, Bill, non posso certo svelare quelle astuzie che vengono insegnate durante l’addestramento finale. Posso soltanto vagamente dirvi che il tutto consiste nello sperimentare piani di battaglia su un duplicato della stessa arena.

— I cento uomini che formano la squadra di quest’anno... immagino che siano stati scelti durante questi ultimi sei mesi di addestramento.

— No, Bill, abbiamo fatto la scelta definitiva soltanto la notte scorsa. Per la prima volta, dopo due anni di addestramento, abbiamo concesso agli uomini quello che voi avete chiamato tempo libero. Li abbiamo lasciati per due giorni in assoluto riposo. Le loro reazioni a questa forzata inattività ci hanno permesso di comprendere perfettamente qual era il loro grado di preparazione. Posso assicurarvi che nell’arena sono scesi uomini morsi dall’impazienza di battersi.

— Generale, mancano dieci minuti al momento dell’inizio delle gare. Pensate che i nostri siano nervosi?

— Nervosi? Penso che siano leggermente tesi. Ma è uno stato d’animo che sparirà appena sarà dato il via all’azione.

— Generale, vi voglio ringraziare per essere venuto ai nostri microfoni. Sono sicuro che tutti i telespettatori hanno ascoltato le vostre parole con grande interesse.

— Il piacere è stato tutto mio, Bill.

 

— Rieccomi a voi, gentili spettatori. Avete sentito le parole dell’uomo che dovrebbe conoscere l’esatto pronostico, quelle del generale George W. Caldwell in persona. L’uomo che decide la formazione della squadra degli Stati Uniti. John?

— Grazie, Bill. Lasciatemi anzitutto dire che in queste ultime settimane i neutrali hanno riposto molta fiducia nella squadra degli Stati Uniti. Sono gli uomini che stabiliscono i valori, quelli che giocano i soldi, mai la vita. Ieri sera un allibratore di Stoccolma accettava soltanto scommesse con una quotazione di 6 a 5. In altre parole, a pochi minuti dall’inizio delle gare, le due squadre sono considerate quasi alla pari.

— Proprio così, John, la giornata di oggi si presenta piena di emozioni. Quindi, per godere il più completo spettacolo, restate sintonizzati sulla nostra stazione.

— Vedo le truppe che cominciano a schierarsi. L’inizio dev’essere imminente. Bill, in questi ultimi minuti di attesa, potresti spiegare ai nostri spettatori più giovani cosa significa sopravvivere a questa gara?

— Volentieri, John. Il superstite, o i superstiti, come potrebbe anche verificarsi, verrà, o verranno per sempre considerati “Superstiti”. Un Superstite rimane fuori dalla legge e gode di privilegi illimitati. In altre parole, ogni sua azione non potrà mai essere condannata. Ed è anche per conquistare questo privilegio che gli uomini scesi oggi nell’arena si uccidono a vicenda.

— Grazie, Bill. E ora, mentre le telecamere vi mostrano l’ingresso della squadra russa, lasciate che vi spieghi brevemente il regolamento della gara. Ogni parte schiera cento uomini divisi in dieci squadre di nove soldati e un comandante. Ciascun uomo ha in dotazione una normale carabina automatica, quattro bombe a mano, una borraccia d’acqua, e cibo sufficiente per tre giorni. Tutti gli ufficiali, oltre al fucile, sono armati di una pistola. Due squadre sono armate di mitragliatrice, e una squadra, infine, è addetta a un mortaio con mille proiettili a disposizione. Ogni uomo deve badare a se stesso. Non ci sono altre regole precise, tranne quella che la gara ha termine soltanto quando una delle due squadre non ha più superstiti. John?

— Okay, Bill. Ora, signore e signori, mancano soltanto pochi secondi all’inizio. La NSB porterà sui vostri schermi ogni più eccitante momento delle gare... state quindi sul nostro canale. Stiamo ora aspettando l’inizio delle Gare Olimpiche di Guerra del 2050. Mancano soltanto dieci secondi... Sei... quattro, tre, due, uno... La competizione è iniziata. Ecco il terreno di gara.

Gli obiettivi inquadrarono un campo lungo dell’arena per dare una visione generale dei primi movimenti. La squadra americana numero uno uscì di corsa dallo schieramento per portarsi con un ampio giro alle spalle del nemico. Erano armati di fucili e bombe a mano. Le squadre due, tre e quattro si lanciarono direttamente verso la grande collina che sorgeva nel settore americano, e subito, impugnati gli appositi attrezzi, gli uomini incominciarono a scavare trincee. Le squadre cinque e sei avanzarono una dopo l’altra a est della collina e si nascosero in una macchia preparando le postazioni per le mitragliatrici. Le squadre dal sette al dieci vennero tenute di riserva. Alcuni uomini si disposero a nascondere munizioni e rifornimenti in punti prestabiliti, e gli altri presero a scavare una trincea per formare un perimetro difensivo.

Le telecamere inquadrarono il settore russo. Quattro squadre avevano già occupato l’alta collina che si alzava sul loro territorio. Una squadra di fucilieri si stava dirigendo verso la collina che sorgeva sulla linea di confine. Una delle due squadre armate di mitragliatrici stava scavando una trincea sulle rive del lago per formare una base di fuoco a nord della collina.

 

Gli obiettivi tornarono a spostarsi sulle squadre americane cinque e sei, ormai schierate a est della collina centrale. Venne fatta una carrellata in avanti per mostrare il mitragliere appostato nella trincea. Per un attimo gli obiettivi inquadrarono il primo piano della mano stretta al calcio e con il dito fremente appoggiato al grilletto. Poi le telecamere seguirono lo sguardo fisso del mitragliere fino alle pendici avvolte di nebbia della collina centrale, dove l’uomo di punta della squadra russa stava strisciando per iniziare la salita.

— Potrebbe essere il primo — esplose la voce di Bill Carr dai teleschermi. — Potrebbe essere la prima scaramuccia. John, che ne pensi?

— Sì, Bill, probabilmente la prima azione avverrà nel settore centro-orientale dell’area. E questa è anche una sorpresa. Gli esperti di questi giochi avevano previsto un immediato tentativo della squadra americana di conquistare la collina centrale. Invece, da quanto si può capire, sembra che la loro strategia sia diversa. Concedere cioè la prima mossa ai russi, ma facendogliela pagare a caro prezzo. Potete seguire la manovra sui teleschermi, signore e signori. Si può anche vedere che la squadra americana con il mortaio ha preso posizione sul versante settentrionale della collina nord e che è pronta a far fuoco.

— Scusa un attimo, John. Ascoltatori, nella nostra cabina sono entrati in questo momento il commentatore ufficiale americano, il colonnello Bullock, dell’esercito degli Stati Uniti, e il commentatore russo, il generale Vorsilov, che ci potrà dare di tanto in tanto delucidazioni su quella che è la strategia russa. Colonnello Bullock, volete cominciare il vostro commento?

— Bene, io penso, e mi sembra abbastanza ovvio, che...

Le sue parole furono interrotte dal crepitio della mitragliatrice americana. Sullo schermo si videro le scie dei proiettili traccianti che attraversavano l’aria del mattino per andare in cerca di carne umana. Quattro colpi di mortaio, sparati in rapida successione superarono con una parabola la collina e scesero verso terra con un sibilo di morte e distruzione. La squadra dei fucilieri aprì il fuoco con grande precisione. I russi ebbero uno sbandamento e si fermarono, ma subito ricomposero le file per lanciarsi verso la vetta della collina. Soltanto tre uomini riuscirono a nascondersi incolumi dietro i massi della vetta. Lungo i fianchi della collina erano rimasti distesi, morti o moribondi, il capitano che comandava la squadra e sei uomini.

Rapidamente com’era cominciato il fuoco cessò.

— Che ne dite! — esclamò Bill Carr. — Primo sangue a vantaggio della compagine americana. Signore e signori, le gare del 2050 non potevano cominciare in modo migliore. Che ne pensi, John,

— Sì, Bill, sembra proprio che la nostra prima azione sia stata perfettamente studiata e condotta. Una incredibile manovra americana che ha colto i russi di sorpresa. Ti hanno per caso già comunicato l’elenco delle perdite, Bill?

— Cinque morti e due gravemente feriti. Comunque, cari ascoltatori, dovete ricordare che queste cifre non sono ufficiali.

Ed, puoi riprendere in primo piano il fianco sud della collina centrale?

 

Gli obiettivi inquadrarono dapprima la collina in campo lungo, poi si avvicinarono per mostrare tino a uno i corpi distesi sul pendio. Il comandante della squadra russa era certamente morto. Un proiettile lo aveva colpito in mezzo alla fronte. L’uomo che gli stava accanto sembrava tranquillamente dormire. Non mostrava tracce di ferite sul corpo, tuttavia era morto. Quando gli speciali apparecchi sonori vennero diretti sull’uomo disteso non si sentirono i battiti del cuore. Il terzo caduto giaceva a una certa distanza. Era un uomo che sarebbe passato dalla vita alla morte senza accorgersi. Stava disteso a terra privo di sensi, e la vita gli sfuggiva lentamente da un’arteria lacerata sul collo. L’obiettivo si fermò poi sul cadavere crivellato del soldato che era stato l’uomo di punta della squadra russa, il primo bersaglio di tutte le armi americane. Giaceva bocconi e si vedevano chiaramente le nove ferite che gli bruciavano la schiena. La telecamera inquadrò poi il volto di un giovane irrigidito nell’attimo della morte. Occhi azzurri sbarrati e senza vita fissi in una espressione di stupore per quell’ultima realtà della guerra. E la bocca leggermente socchiusa, come fosse sul punto di protestare contro il destino o per chiedere al fato una prova d’appello. Si vide poi il corpo di un uomo rannicchiato quasi in vetta alla collina, a pochi metri dalle rocce dietro cui si erano riparati i tre soldati superstiti. Poi la telecamera discese il pendio alla ricerca dell’ultimo caduto. Lo trovò alla fine disteso su una radura erbosa accanto a una piccola quercia. Una scheggia di mortaio lo aveva raggiunto al ventre e gli intestini erano sparsi sull’erba. Stava gemendo debolmente, e con la mano sinistra sembrava cercare, con un gesto assurdo, quasi grottesco, di rimettere le budella a posto.

— Bene — esclamò Bill Carr — ora il conto è ufficiale. Grazie all’abilità dei nostri tecnici, ogni spettatore è stato in grado di constatare personalmente le perdite subite dai russi. Sette morti certi. Non credo che gli americani abbiano subìto una sola perdita. È vero, John?

— Nemmeno un ferito. La squadra russa è stata colta in assoluta sorpresa.

— Colonnello Bullock, vi spiacerebbe commentare quanto avete visto fino a questo momento?

— Certo, Bill. Penso che questo primo scontro abbia dato agli americani un decisivo vantaggio. Per non fare affermazioni avventate, dovrei prima vedere i rapporti sulle probabilità; mi sembra comunque che stiano volgendo in nostro favore. Decidendo di non conquistare la collina, il generale Caldwell ha immediatamente portato la squadra americana in vantaggio.

— Generale Vorsilov, vorreste dire il punto di vista russo su questa prima operazione?

— Non sono d’accordo con il collega americano, il colonnello Bullock — disse il generale con spiccato accento inglese. — La vostra quarta squadra aveva il compito di conquistare la collina centrale. E la collina centrale è ora in mani sovietiche. Il possesso di quell’altura permette il dominio del lago e di tutta la pianura circostante. Tutti quelli che hanno studiato tattica militare possono comprendere l’importanza di possedere una posizione simile, specialmente nell’ultima parte delle gare. Ripeto, non sono d’accordo che questa prima scaramuccia sia stata una disfatta. Per la conquista della collina sarebbe valsa la pena di sacrificare una dozzina di uomini.

— Qualche commento, colonnello Bullock?

— Anzitutto, non posso affermare che i russi abbiano il possesso della collina. Hanno tre uomini sulla cima, questo è vero, ma sono armati soltanto di fucili e bombe a mano... inoltre non sono trincerati. La collina centrale è ancora aperta alla conquista. Io...

— Scusate se vi interrompo, colonnello, ma in questo momento ricevo il primo rapporto delle probabilità. Eccolo! In questo momento la squadra americana ha il 57,2 per cento di probabilità di vittoria. Che ne dite, cari spettatori? Nelle prime ore di questo primo giorno, la compagine americana, partita quest’anno con lo svantaggio del pronostico, si porta decisamente alla testa.

Il colonnello Bullock lo interruppe.

— Bill, vorrei farvi notare l’uomo che si vede alla destra del vostro teleschermo. Si potrebbe osservarlo in primo piano? È un messaggero. La maggior parte degli spettatori non nota particolari di questo genere. Tutti vogliono vedere i mitraglieri o le squadre di assalto. Invece quell’uomo può avere un’importanza decisiva nello svolgimento di queste gare.

— Immagino che stia portando un importante messaggio al quartier generale, vero colonnello?

— È così, Bill, un messaggio veramente importante, lo posso assicurare. Un attacco alla collina centrale sferrato da est o da sud porterebbe a un disastro. I russi attestati sulla collina colpirebbero i nostri alle spalle. Il messaggero è stato certamente mandato alla base per informare che sulla collina centrale si sono insediati tre uomini. Immagino che dal nord sferreranno l’attacco appena verrà consegnato il messaggio. Nel frattempo le squadre cinque o sei manterranno la loro posizione nel settore est per impedire l’invio di rinforzi ai russi attestati sulla collina.

— Vi ringrazio, colonnello, per questa vostra chiara analisi dei fatti. E ora signore e signori... — s’interruppe nel veder cadere a terra l’uomo indicato dal colonnello. — Un momento! Il messaggero è stato colpito! Lo avete potuto vedere tutti, grazie all’abilità dei nostri operatori! Stupendo! Che ne dici, John,

— Una inquadratura splendida, Bill. Quasi incredibile. Ed, potresti ritrasmettere al rallentatore l’intera sequenza? Eccola a voi, telespettatori. Come si chiama, colonnello? Ted Krogan? Grazie... Eccolo... Soldato Ted Krogan, di Milwaukee, Wisconsin. Ha superato l’ultima macchia... e ora osservatelo bene... si trova al centro di una piccola radura... e in questo momento potete osservare la pallottola che gli attraversa la gola... un colpo di precisione estrema. Questo primo piano vi ha permesso di vederlo morire di fronte ai vostri occhi. Cade a terra... e rimane immobile. Deve essere morto all’istante. Bill, qualche telecamera ha inquadrato il punto da cui è partito il colpo?

— Sì, John, I russi hanno mandato due franchi tiratori sul nostro fianco sinistro. Può essere una faccenda molto seria. Con tutta probabilità i nostri non sanno che il messaggero è stato colpito.

— Soltanto il tempo ci potrà dare una risposta. Soltanto il tempo. Ora interrompiamo momentaneamente la cronaca per trasmettere alcuni comunicati commerciali.

 

Il primo giorno di gara non fu per Richard Starbuck quello che si era aspettato.

Faceva parte della seconda squadra, una delle tre che si erano appostate sulla collina nord. Dopo essersi scavato una trincea era rimasto per tutta la giornata in osservazione della collina sud e di quella centrale. Aveva sentito gli echi del primo scontro avvenuto sulle pendici della collina di centro, ma fino a quel momento non aveva visto un solo soldato russo. Era talmente concentrato nell’osservazione che ogni tanto gli si annebbiava la vista. Per due volte la mente diede movimenti a ombre lontane. E una volta imbracciò il fucile per sparare in direzione di una lepre in fuga nel bosco. Il desiderio di vedere il nemico era irresistibile.

Ricordò la prima volta che il signor Martin lo aveva portato a pescare sul lago. Aveva soltanto tredici anni. Ed era rimasto a fissare il sughero bianco, immobile sull’acqua, per un periodo di tempo che gli era sembrato durare ore. Ricordò di aver pregato Dio che gli mandasse un pesce capace di tirare il sughero sott’acqua. Anche in quel giorno la sua mente gli aveva giocato strani scherzi, e diverse volte aveva avuto l’impressione di veder oscillare il sughero, quando era immobile.

Ora logicamente non stava pregando... ma il suo desiderio intenso era simile a una preghiera.

Trascorse l’intera prima giornata disteso nella trincea, senza vedere niente di rilevante e sentendo soltanto il crepitio lontano delle armi. Quando il sole tramontò tolse una razione dallo zaino e consumò ottocento calorie. Al calare della notte la sua squadra doveva discendere il pendio sud e appostarsi ai piedi della collina. Sapeva che i russi avrebbero previsto una manovra simile. E c’era da impazzire al pensiero che il nemico si sarebbe trovato a tiro di carabina, ma protetto dalla cortina di buio. 

Quando l’oscurità fu completa il comandante della squadra diede il segnale, e tutti gli uomini raggiunsero le posizioni stabilite in precedenza ai piedi della collina. Poi ricominciarono a scavare. Fino a quel momento avevano seguito il piano di battaglia alla lettera. Scavò la sua trincea con cura, e costruì a mezza altezza un gradino su cui sedersi. Ricoprì il sedile di foglie per proteggersi dalla umidità, poi si sedette in attesa.

Si sentiva meglio di notte. E desiderò che non venissero. Aveva scoperto di saper aspettare.

 

Riuscì anche a dormire. Non seppe per quanto tempo. Comprese soltanto che era stato svegliato da un sibilo che lacerava l’aria seguito da uno schianto che fece tremare il terreno. Il suo primo istinto fu di scattare in azione, poi comprese che non c’era niente da fare. E si rannicchiò sul fondo della buca.

In quel momento conobbe la paura. Quel tipo di paura che nessun addestramento o condizionamento può eliminare. Era un essere vivente il cui istinto era di continuare a vivere. Non voleva morire in fondo a una buca scavata nel terreno. Si sentì percorrere la spina dorsale dal brivido di allarme che precede la caduta dei colpi di mortaio. Sentiva la morte vicina. La sentiva con il corpo e con la mente.

Un proiettile cadde a poca distanza e gli giunse alle orecchie un grido acuto, come uno strillo di donna. Bill Smith era stato colpito. La sua prima reazione fu di sollievo. Era stato colpito un compagno, non lui. Ma perché aveva gridato in quel modo? Bill Smith era stato uno degli uomini migliori della squadra. Avrebbe potuto morire con maggior dignità. Poi pensò se non ci fosse altro da fare che aspettare immobile la morte seminata a caso dai colpi di mortaio sparati da lontano da un soldato sconosciuto.

Durante l’addestramento, durante le esercitazioni più rischiose, aveva imparato a fidare nella solidarietà della squadra. Affrontavano il pericolo insieme, e insieme avrebbero potuto vincere il mondo. Ora, però, comprendeva che in fondo la guerra era un problema strettamente personale. Non poteva strisciare da una buca all’altra per far coraggio ai compagni, né gli riusciva di conforto il pensiero che anche tutti gli altri correvano il suo stesso pericolo. La paura che aveva scoperto in se stesso era una reazione che doveva vincere da solo, e sapeva anche che, se fosse stato colpito, avrebbe dovuto morire da solo.

 

— Qui è Bill Carr, che continua la cronaca dei Giochi Olimpici di Guerra del 2050. John Ardanyon si è concesso qualche ora di pausa, ma sarà di nuovo con voi alle quattro.

«Per gli spettatori che si fossero messi di fronte agli schermi in ritardo, voglio ripetere che la NSB trasmette la competizione per ventiquattro ore su ventiquattro. Sì, signori, grazie alle nostre speciali telecamere notturne, possiamo riprendere con notevole chiarezza anche le azioni che si svolgono nella oscurità più completa.

«E ora, il punto della situazione: le gare si stanno ormai svolgendo da diciotto ore; accanto a me, per leggervi l’ultimo bollettino delle perdite, c’è il vecchio amico Max Sanders. Max?

— Salve, Bill, e buonasera a voi, signore e signori. L’ultimo bollettino ufficiale riporta ventidue morti e otto feriti gravi per la squadra russa, e solo diciassette morti e sei feriti gravi nella squadra americana.

— Grazie Max. Spettatori, viene consegnato in questo momento l’esito del nuovo calcolo delle probabilità, che sono esattamente... come? Telespettatori, questa è una vera sorpresa, Una spiacevole sorpresa. Quarantacinque minuti fa le probabilità di vittoria americane erano del 62,1 per cento. Le probabilità sono ora a 43,0. Temo di non riuscire a comprendere. Professor Overmann, che cosa significa questa diminuzione?

— Credo che il cervello del calcolatore abbia tenuto conto del piccolo scontro avvenuto nel settore sud-ovest. Come ho spiegato all’inizio, il calcolatore prende in esame ogni fattore... e il numero delle perdite è solo uno dei tanti. Ed, potreste inquadrare la collina centrale? Grazie. Potete vedere uno degli elementi che deve aver influenzato il nuovo calcolo delle probabilità. La squadra russa è riuscita a portare una squadra armata di mitragliatrice in vetta alla collina. Questo successo è dovuto alla morte del messaggero americano che nelle prime ore di questa mattina doveva portare l’ordine del contrattacco.

«Potreste ora inquadrare la squadra americana d’assalto? Vorrei un campo leggermente più grande, Ed. Grazie. Ecco! Lo temevo. È accaduto, Bill, che per un motivo a noi ignoto la squadra russa di riserva ha avvistato la squadra americana. Può preludere a gravi conseguenze.

— Capisco. È la spiegazione dell’improvviso calo delle probabilità. Ora la domanda è questa. Riuscirà la squadra americana d’assalto a superare lo svantaggio in cui si trova? Terremo le telecamere puntate su di loro fin quando non avremo ottenuto la risposta. In tutti gli altri settori la situazione è tranquilla, tranne qualche sporadica azione di fuoco dei mortai.

 

Per la prima volta, dopo l’azione del mattino, gli operatori furono in grado di concentrare quasi tutte le telecamere su una piccola parte dell’arena. La squadra di assalto avanzava con cautela muovendo da uno all’altro dei cespugli disseminati nella pianura del settore sud-ovest. Erano riusciti con successo a superare le linee del nemico. Poi si vide la sentinella russa che li aveva avvistati fare rapporto al comandante della sua squadra. Vennero impartiti ordini, e in pochi minuti fu richiamata la squadra di mitraglieri attestata sulla riva del lago e formato uno schieramento difensivo per accogliere gli americani che stavano avanzando. Altre due squadre russe di riserva si disposero ai margini della pianura in modo da poter bloccare gli americani col fuoco incrociato.

Per i soldati nell’arena l’oscurità doveva esser quasi completa. E anche le telecamere notturne non riuscivano a riprendere con grande chiarezza i volti degli uomini il cui destino era stato segnato dall’imprevisto allarme dato dalla sentinella. Sarebbe stata una fine rapida per tutti se uno degli uomini della squadra russa non avesse sparato con anticipo. Al termine della raffica il comandante e sei uomini giacevano morti a terra. Ma i tre superstiti avevano istantaneamente reagito e si erano tuffati in mezzo ai cespugli. Uno di loro morì subito dopo in seguito alla tremenda ferita al petto riportata durante l’imboscata. Il secondo fu abbattuto dopo aver lanciato una bomba a mano e aver ucciso due russi.

Ingannato dall’oscurità, e nella confusione del momento, il capitano russo mandò un messaggero per informare il generale che l’intera squadra americana era stata distrutta. Il generale volle ispezionare personalmente il luogo dello scontro e venne immediatamente ucciso dall’unico superstite della squadra d’assalto. Dopo una serie di circostanze avverse, gli americani erano riusciti a compiere la loro missione. Il generale era morto e due secondi dopo anche il soldato che lo aveva ucciso.

— Avete potuto assistere all’intero dramma. In queste ore notturne una squadra americana è riuscita a uccidere il generale nemico. Quelli di voi che hanno assistito alle precedenti edizioni delle gare sanno che le azioni più importanti avvengono col favore delle tenebre. Fra qualche minuto dovremmo avere il nuovo calcolo delle probabilità. Nell’attesa vogliamo chiedere il parere del colonnello Bullock. Colonnello?

— Penso che la squadra si sia comportata nel modo migliore. I nostri sono stati scoperti e accerchiati dal nemico, tuttavia sono riusciti a portare a termine il compito loro assegnato. Hanno ucciso il generale russo. Le probabilità in nostro favore dovrebbero essere aumentate.

— Generale Vorsilov, qual è il vostro commento?

— Penso che il vostro calcolatore dovrà riconoscere che tre perdite contro dieci sono uno scambio conveniente, anche se si dà il caso che uno dei tre è il generale. E per di più, è stato uno sfortunato incidente che uno dei nostri uomini abbia scaricato l’arma con un certo anticipo. In caso contrario non avremmo subìto alcuna perdita. Quanto al generale Sarlov, nessun generale è mai uscito vivo dall’arena in cui si svolge la competizione, e mi sento in grado di predire che nessun generale avrà mai questa fortuna. Ora il comando della squadra russa verrà assunto dal capitano più anziano in campo.

— Grazie, generale. Mi è stato consegnato in questo momento l’ultimo calcolo delle probabilità. Creerà certamente delusione in tutti voi. Le probabilità di vittoria americana sono scese a 49,1 per cento. Naturalmente, bisogna ammetterlo, un simile scarto a questo punto dell’incontro è del tutto insignificante.

«Sembra ora che sul campo ci sia un momento di tregua. Mentre le telecamere scrutano i vari settori dell’arena vi voglio ricordare che ogni mattina la NSB trasmetterà una sintesi registrata delle fasi salienti della lotta durante le ore notturne.

«In questo istante in tutta l’arena regna la tranquillità più assoluta, ma non vi allontanate dai teleschermi: Gli scontri più importanti avvengono sempre all’improvviso. Durante l’ultima azione abbiamo perso dieci uomini. A questo proposito vi voglio ricordare che quest’anno la NSB offrirà in omaggio ai genitori dei caduti la registrazione filmata dell’azione in cui sono morti i loro figli, con relativa colonna sonora, e un proiettore. In questo modo tutti i parenti potranno rivedere l’attimo in cui i loro cari cadono. È un omaggio, ne sono sicuro, che verrà gelosamente custodito per molti anni.

«La NSB è lieta di cogliere l’occasione per ringraziare tutte le ditte che hanno rinunciato ai loro programmi pubblicitari per concederci di trasmettere l’intero spettacolo senza interruzioni...

 

Richard Starbuck vide sorgere l’alba. Aveva dormito soltanto due ore e si sentiva a disagio. Quando rispose all’appello, la sua voce impersonale lo sorprese. 

— Soldato Richard Starbuck, incolume: munizioni usate: zero.

Tre uomini non risposero all’appello. Uno di questi era il comandante della squadra.

Per la lunga abitudine che si era fatta durante gli addestramenti prese automaticamente la colazione, e si sforzò di mangiare benché non ne avesse voglia. Poi ricominciò l’attesa.

Sparò il primo colpo nella tarda mattinata. Aveva visto un movimento sulla collina centrale, non un’ombra questa volta, e aveva rapidamente sparato. Mancò il bersaglio che scomparve alla vista.

Più tardi ci fu un fuoco sostenuto nel settore centro-est, ma non si preoccupò di quanto stava accadendo, né si prese il disturbo di girare la testa per guardare.

Per tutto il giorno sparò ogni volta che vedeva qualcosa muoversi sulle due coline tenute dai russi. E alcune volte sparò anche senza veder niente, soltanto per sentirsi meglio.

I russi risposero al fuoco, ma nessuna delle due parti fece danni all’altra, tanto lontani e ben trincerati si trovavano tutti quanti.

Prima di sera il capitano Collins gli diede ordine di trasferirsi nella postazione di Bill Smith. Era una cosa ridicola farlo in piena luce e considerando che due ore dopo avrebbe potuto eseguire l’ordine senza alcun pericolo. Il capitano voleva evidentemente costringere i russi a scoprirsi nel tentativo di abbatterlo. Esitò un attimo, sentendo dentro di sé un profondo odio per Collins. Poi afferrò il fucile, balzò fuori dal buco e si lanciò in direzione della trincea di Smith.

Gli parve che improvvisamente la collina di fronte a lui fosse diventata viva. Si lanciò a tuffo, e cadde sul corpo di quello che era stato il valoroso Bill Smith. Sentì il sangue scorrergli lungo un braccio e per un attimo pensò di esser stato ferito. Ma era soltanto il graffio prodotto da una roccia tagliente.

I suoi compagni avevano risposto al fuoco dei russi con poderose scariche. A un tratto sentì uno di loro che gridava:

— Ne ho preso uno! L’ho preso!

Si rigirò nella buca preoccupandosi di tenere la testa sotto il livello del terreno, e in quel momento comprese il motivo del grido acuto di Bill. Il colpo di mortaio gli aveva tagliato il braccio all’altezza del gomito; l’arto era trattenuto soltanto da un brandello di camicia e da un sottile pezzo di pelle.

Afferrò il corpo e lo sollevò al di sopra della testa. Al termine della complicata operazione lo accostò all’orlo della trincea e lo scaraventò fuori.

Sentì il crepitio dei fucili che sparavano al corpo rotolante lungo il pendio della collina.

Si accorse in quel momento che nelle contorsioni aveva finito per staccare completamente il braccio dal corpo. Raccolse il moncone e lo scagliò lontano.

Ora quel piccolo pezzo di terra gli apparteneva. Gli piaceva molto di più del suo. Sentiva di averlo conquistato.

Con il buio, riprese il fuoco dei mortai. Ma questa volta non se ne preoccupò. E riuscì a dormire, anche se aveva la guancia sinistra scossa da un tremito nervoso.

Si svegliò ogni due ore, senza alcun particolare motivo.

 

— Buon giorno, signore e signori. John Ardanyon vi annuncia l’inizio del terzo giorno di gara.

«È stata una notte movimentata, e fra qualche istante trasmetteremo le registrazioni delle fasi più importanti degli avvenimenti. Prima però Bill Carr vi darà gli ultimi dati statistici.

— Signore e signori, sono felice di annunciare che le ultime azioni della notte hanno riportato gli americani in sensibile vantaggio. Le squadre cinque e sei sono state annientate durante uno scontro avvenuto nelle prime ore di ieri sera nel settore centro-est, ma hanno venduto la pelle a caro prezzo. I russi hanno perso undici uomini e una mitragliatrice. A questo proposito sono felice di annunciare che la mitragliatrice della squadra sei è stata distrutta prima che i sovietici potessero prenderne possesso. Ma le notizie più importanti sono di questa mattina. Riguardano l’attività dei mortai e dei franchi tiratori. I nostri mortai hanno inferto perdite di sei morti e due feriti gravi, contro due morti e un solo ferito grave per opera dei mortai russi. I nostri franchi tiratori, due soltanto in tutto, hanno compiuto una brillante impresa uccidendo cinque nemici, mentre i franchi tiratori sovietici hanno abbattuto un solo americano.

«Ora vi mostreremo la registrazione dell’incredibile impresa compiuta dal soldato Cecil Harding, di Plainview, New Jersey, che ha ucciso a colpi di pietra un capitano russo immerso nel sonno.

— Bill, penso che convenga prima completare i dati statistici. Sono ancora in campo quarantadue soldati americani contro trentasette russi. Il calcolatore elettronico attribuisce il 52,5 per cento di probabilità di vittoria alla squadra americana. Sono sicuro che queste probabilità sarebbero molto più alte se i sovietici non tenessero la posizione sulla collina centrale.

— E ora ecco la registrazione...

 

Il mattino del terzo giorno si sparse la voce che il generale americano era stato ucciso. Ma Richard Starbuck non se ne preoccupò minimamente. Si era reso conto che nemmeno il più capace generale del mondo sarebbe stato in grado di salvargli la vita. Fino a quel momento il caso sembrava essere stato l’unico fattore decisivo. Il fuoco dei mortai si fece intenso e la squadra ricevette l’ordine di tenersi pronta per un attacco. Afferrò il fucile e cominciò l’attesa. Sentì il desiderio di vederli arrivare. Voleva poter finalmente vedere in faccia un nemico. Voleva provare la sensazione che l’uomo ha il potere di determinare il proprio destino.

Poco dopo mezzogiorno incominciò a piovere. Una pioggia fine che lo bagnò fino alle ossa.

Il fuoco del mortaio nemico cessò; subito gli giunse all’orecchio il suono della risata isterica del compagno nella trincea accanto. Poi lo sentì annunciare che i russi avevano sparato ottocento dei loro mille colpi di mortaio. Sembrava improbabile, tuttavia si sentì disposto a credere alla notizia.

Nel tardo pomeriggio il sole fece una rapida apparizione e il mortaio russo riprese a sparare. Questa volta però i colpi erano diretti verso una posizione molto lontana da quella in cui si trovavano.

Il mortaio americano rispose al fuoco. Sembrava un duello idiota quando nessuna delle due parti poteva stabilire con precisione dove si trovava il mortaio avversario. Il duello continuò durante le prime ore della notte. Poi, all’improvviso, il mortaio americano smise di sparare.

Dopo qualche minuto la sua più pessimistica paura ebbe una conferma. Un messaggero venne a portare l’ordine di retrocedere su nuove posizioni. Un proiettile nemico aveva messo fuori combattimento il loro mortaio.

Erano rimasti cinque uomini della sua squadra. Riuscirono a raggiungere le nuove posizioni senza subire altre perdite.

Il nuovo generale, il capitano Paulson, parlò ai comandanti di squadra poco lontano da Starbuck.

La situazione era drammatica. Ma prima di ritirarsi su posizioni di estrema difesa era necessario compiere due importanti missioni. Bisognava assolutamente distruggere la mitragliatrice e il mortaio dei nemici.

Il compito venne assegnato alle squadre sette e otto della riserva, che avevano subìto fino a quel momento il minor numero di perdite. Era un’azione che doveva esser svolta quella notte. Se fossero riusciti a distruggere le due armi pesanti dei nemici conservando il possesso della loro ultima mitragliatrice, si sarebbero venuti a trovare in discreto vantaggio. Le munizioni rimaste del mortaio dovevano immediatamente essere distrutte, per evitare che il nemico se ne impossessasse. Poi, soggiunse il generale dopo essere rimasto qualche istante soprappensiero, all’alba la seconda squadra avrebbe attaccato la collina centrale. Gli uomini sarebbero stati coperti dal fuoco della mitragliatrice leggera. Prima però il mortaio doveva assolutamente essere ridotto al silenzio. Domande? Ce n’erano molte. Ma nessuno ne fece.

— Colonnello Bullock, questa è una situazione imprevista, potete spiegarci il pensiero del generale Paulson?

— Penso che sia ormai ovvio anche agli uomini che si trovano nell’arena. La perdita del mortaio americano ha radicalmente cambiato la situazione. È stata una circostanza sfortunata, veramente sfortunata. Le probabilità di vittoria americana sono scese a 37,6. Logicamente il generale Paulson non ha il calcolatore a disposizione, ma ritengo che sia giunto alle stesse conclusioni.

«Le due squadre... la sette e la otto, credo... quelle che vediamo avanzare sui teleschermi, devono avere il disperato incarico... coraggioso incarico, di mettere fuori combattimento il mortaio e la mitragliatrice dei russi. È una mossa che approvo. Naturalmente sono azioni che non possiamo trovare sui libri di strategia, ma a questo punto delle gare ogni piano stabilito in precedenza diventa di secondaria importanza.

— Generale Vorsilov?

— Gli americani stanno facendo l’unica azione possibile. Tuttavia vi posso assicurare che i russi la stanno aspettando.

— Quindi, cari spettatori, vi consiglio di non abbandonare gli schermi. Le gare non sono ancora finite, e questo può essere il punto culminante dei giochi olimpici. John?

— Mentre stiamo aspettando lo sviluppo dell’azione, i nostri spettatori saranno felici di conoscere i nuovi primati stabiliti fino a questo momento nel quinto incontro tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Il primo record è stato battuto il primo giorno delle gare quando la quinta e la sesta squadra hanno sbalordito il mondo con la potenza di fuoco che ha ucciso sette uomini in...

 

Il mattino del quinto giorno Starbuck avanzò quale uomo di punta della squadra che doveva conquistare la collina centrale. Aveva tentato lo stesso assalto centinaia di volte su un campo di addestramento che riproduceva perfettamente la collina, e conosceva il terreno come il palmo della sua mano. La squadra sette era riuscita a distruggere il mortaio russo. La squadra otto invece aveva fallito la missione, e tutti gli uomini avevano perso la vita.

Starbuck spero che in quel momento la mitragliatrice russa non fosse in posizione adatta per sparare sulla squadra che avanzava.

II primo tratto parve loro una comune manovra addestrativa. La mitragliatrice americana sparava a venti metri di fronte a loro, e i cinque uomini avanzavano di corsa facendo fuoco con le carabine. Erano ostacolati da un fuoco difensivo troppo debole per fermarli, ma quando si trovarono a pochi metri dalla vetta, quando già speravano di poter concludere senza perdite la missione, cadde su di loro una pioggia di bombe a mano seguita da intense scariche di moschetti.

Fu colpito due volte. Prima al fianco, poi alla spalla. Avrebbe voluto alzarsi e riprendere la scalata, ma il capitano Collins gli cadde addosso. Morto. Una granata esplose a pochi metri di distanza. Sentì un dolore alla guancia e comprese di essere stato ferito per la terza volta. Ormai ne aveva abbastanza. Poteva tranquillamente morire. Aveva fatto il suo dovere. Il sangue gli colava sul volto, ma non fece un solo movimento per pulirsi.

Sarebbe morto. Sperò soltanto che accadesse in fretta.

 

— La situazione è grave, cari ascoltatori. Gravissima. La vostra opinione, colonnello Bullock?

— Purtroppo non vi posso smentire. Le probabilità di vittoria americana sono scese a 16,9 per cento. I russi hanno ancora sedici uomini mentre gli americani sono ridotti a nove. Ora la nostra squadra si ritirerà in difesa sulla collina nord. Ma con i russi ancora attestati sulla collina centrale, la nostra situazione appare senza speranza.

 

Il fuoco era cessato, e per alcuni istanti Starbuck non sentì rumori, neppure quello di uno sparo in lontananza. È la morte, pensò. La morte è quando non si sentono più gli spari dei fucili.

Poi sentì un rumore di passi. Fissò una nuvola nel cielo e mantenne lo sguardo fermo su quel punto. Desiderò di poter morire in pace, e chi stava arrivando lo poteva disturbare. A poco a poco i passi si allontanarono.

Perse i sensi subito dopo. Quando riprese conoscenza era notte fonda. Non era ancor morto, perché poteva ancora sentire il crepitio dei fucili. Che si uccidessero pure l’uno con l’altro. Lui aveva finito. La morte in fondo non era brutta, se soltanto fosse giunta con maggiore rapidità. Il dolore era sopportabile, ma odiava l’attesa.

E mentre aspettava accadde una strana cosa. Fu come se fosse uscito dal suo corpo per potersi osservare disteso sul pendio di quella montagna. Forse qualcuno avrebbe scritto una poesia su di lui, come avevano fatto quattro anni prima per il sergente Ernie Stevens. No, non meritava poesie. Il sergente Stevens aveva ucciso sei uomini prima di morire. Fino a quel momento lui, per quanto sapeva, non aveva ucciso alcun nemico.

Sul foglio di arruolamento aveva letto che gli eredi avrebbero avuto una somma di centomila dollari, in caso di morte sul campo. Era per questo motivo che aveva firmato? No, voleva morire, ma non per quello, Doveva esserci una ragione migliore, Perché lo aveva fatto? Per essere il “Superstite”? No, neppure questa era la ragione. Improvvisamente comprese quello che i suoi esaminatori avevano capito il primo giorno. Si era arruolato volontario per il semplice motivo che c’era una guerra da combattere, e non voleva perdere l’occasione.

Pensò alle persone che stavano osservando la televisione. Lo avevano visto? Le ragazze, tutte le persone della sua città che lo conoscevano, lo stavano ancora osservando? Suo padre? I signori Martin? La loro figlia? Lo avevano visto quando si era esposto al fuoco nemico per eseguire l’ordine che gli comandava di cambiare trincea?

Verso mattino cominciò a domandarsi se avrebbe potuto aver salva la vita. Lui veramente voleva solo morire in pace. Ma non era facile, e le ferite gli procuravano un dolore indicibile.

Due volte sentì il rumore dei passi di un soldato russo, e per due volte fu costretto a vincere l’impulso di chiamarlo per farsi uccidere.

Ma forse qualcuno lo stava osservando; Starbuck voleva che fossero fieri di lui.

Al mattino sentì un violento crepitio di fucili e di armi automatiche. Poi venne un assoluto silenzio. Ora forse avrebbe potuto morire tranquillamente.

 

— È finita — disse Bill Carr con voce cupa. — È finita. Aspettiamo ora il segnale che dichiara ufficialmente concluse le gare. Ci siamo comportati bene, ma quello che conta, in queste gare, è il risultato finale. La squadra americana ha fatto sperare fino all’ultimo di poter capovolgere la situazione a suo vantaggio. E invece è finita con tre russi superstiti. Vero, John,

— Solo tre, Bill, e uno di loro è ferito al braccio. Bene, gentili spettatori, avete assistito ad un finale emozionantissimo. Ora aspettiamo che venga dato il segnale di chiusura, Ma... un momento! C’è qualcosa di nuovo. Le luci che annunciano la conclusione dei giochi non si accendono. E non credo che l’addetto al segnale si sia addormentato davanti ai comandi. Bill, puoi chiedere qual è la situazione? Il calcolatore delle probabilità continua a dare un rapporto di 4 a 1 a favore dei russi.

— Abbiamo scoperto di che cosa si tratta, John. Il nostro sistema di rilevazione acustica ha localizzato un americano superstite. Potete puntare gli obiettivi sulla collina centrale? Eccolo, signori. Apprendiamo in questo momento che si tratta del soldato Richard Starbuck, di Centerville, Iowa. È orrendamente ferito, ma è in vita. Può ancora combattere? Non si muove, ma il suo cuore continua a battere. Sulla collina centrale c’è ancora un americano vivo.

— Grazie delle informazioni Bill. Scommetto che i tre russi sono rimasti alquanto perplessi. Probabilmente non si rendono conto di che cosa stia accadendo o non capiscono perché le gare non siano state dichiarate chiuse. Due minuti fa gridavano e avevano intonato un canto di vittoria. Ed, vuoi inquadrare la collina nord? Guardateli, telespettatori, i tre superstiti russi si guardano attorno smarriti. Sono sconcertati... e sparano contro i corpi di tutti i caduti in cui si imbattono. Non vi allontanate dai teleschermi...

 

Cominciò a temere di non morire. Il torpore che lo aveva invaso si stava dissolvendo e le ferite ricominciarono a dolergli. Sentì lo schianto degli spari, poi un rumore di passi. Perché non lo lasciavano in pace? La guerra doveva esser finita, e lui non aveva più niente a che fare con quella storia. Il rumore dei passi si avvicinò; comprese che sarebbero venuti a disturbarlo.

Un’improvvisa collera gli fece sparire ogni dolore.

Afferrò la bomba a mano che portava legata alla cintura, e la scagliò senza guardare in direzione del rumore dei passi. Poi, per la vecchia abitudine appresa in anni di addestramento, rotolò su se stesso sparando verso le ombre che vedeva sotto di lui. Non smise di sparare finché le ombre non giacquero immobili. Fino a che uno scatto a vuoto del percussore lo avvertì che il caricatore era vuoto.

E solo in quel momento comprese che le informi sagome prese di mira erano soldati russi.

 

Gli curarono le ferite. La spalla gli sarebbe rimasta per sempre leggermente irrigidita, ma le gambe sarebbero ritornate come prima. Gli sarebbe rimasta una brutta cicatrice sulla guancia, ma in quei tempi la chirurgia plastica faceva miracoli. Dopo l’operazione nessuno si sarebbe accorto che sulla guancia c’era stata una ferita profonda.

Lo fecero entrare in una scuola di ricondizionamento, ma non ottenne risultati apprezzabili.

Lo fecero assistere a parate militari, lo decorarono con medaglie, e gli vennero consegnate le chiavi delle più grandi città. Lo informarono dei pericoli psicologici derivanti dall’essere un superstite. E gli citarono i casi di altri superstiti finiti suicidi o impazziti.

Alla fine lo lasciarono libero.

Per i primi tempi riuscì a godere dei frutti della vittoria. Gli bastava chiedere per ottenere tutto quello che poteva desiderare. Le ragazze gli stavano attorno, gli uomini lo rispettavano, i governi l’onoravano.

Poi si stancò e fece ritorno a casa.

Ma non era più come prima. Lui non era più la stessa persona. Quando camminava per la strada le madri si stringevano le figlie vicine e si allontanavano rapidamente. Se giocava a biliardo, i vecchi amici si comportavano come se avessero paura di vincere. Soltanto i bottegai erano felici di vederlo entrare nei loro negozi. Qualsiasi cosa avesse comprato, il Governo si sarebbe affrettato a saldare il conto.

A casa sua madre lo osservava con apprensione, e il padre cercava sempre i suoi occhi con sguardo indagatore.

Trascorse parecchio tempo rinchiuso in camera. Ma non si sentiva abbandonato. Aveva fatto l’abitudine a vivere solo.

Una sera, stando seduto di fronte alla finestra, vide Cassandra, la figlia quindicenne dei Martin, rientrare dal cinema in compagnia di un coetaneo. Li osservò distrattamente mentre il ragazzo le dava impacciato il bacio della buona notte. L’imbarazzato ragazzo le sfiorò appena la guancia e subito si allontanò, apparentemente soddisfatto, verso casa.

Rimase sprofondato nella poltrona accendendo una sigaretta dopo l’altra. C’era un conflitto nella sua mente. Una volta, con tutta probabilità, lo avrebbe risolto in modo diverso. Schiacciò infine la sigaretta nel portacenere e scese al piano terreno.

Il padre e la madre stavano guardando la televisione, lo videro uscire, ma non dissero una parola.

I Martin erano ancora alzati. Alla vista del giovane che appariva sulla soglia rimasero impietriti.

Starbuck non si fermò, e senza nemmeno un cenno di saluto, salì al piano superiore.

Il signor Martin balzò in piedi, ma si limitò a fissare le scale senza osare un solo movimento. Nei suoi occhi c’era l’espressione della tigre che vede il cacciatore avvicinarsi alla sua tana. Il signor Martin abbassò poi gli occhi sul pavimento.

Per qualche istante ci fu silenzio assoluto.

Poi l’urlo agghiacciante della ragazza annunciò ai Martin che la crudele realtà della guerra non risparmiava nemmeno gli innocenti.

 

 

  1. All’epoca dell’uscita di questo racconto il termine non era ancora di largo uso in Italia, così il traduttore scrive in nota: «Letteralmente, rivista di letteratura popolare e sensazionale». (N.d.R.)