Corsa a ostacoli

di Robert Sheckley

 

 

Titolo originale: The People Trap 

Traduzione di Delio Zinoni

© 1968 Fantasy & Science Fiction

 

 

 

Era il giorno della Corsa per la Terra: un’occasione di millantata speranza e di inalleviabile angoscia, una giornata in cui si compendiava tutta l’infelicità del 21° secolo.

Steve Baxter aveva tentato di raggiungere per tempo la Linea di Partenza, come gli altri concorrenti, ma aveva mal calcolato il tempo necessario per arrivarci. Adesso era nei guai. Il suo distintivo di partecipante l’aveva portato senza incidenti attraverso lo strato più esterno dell’esofolla. Ma non c’era da fare affidamento né sul distintivo né sui muscoli per riuscire a passare attraverso l’impenetrabile magma di umanità che costituiva l’endofolla.

Baxter stimò che la densità di quella massa interna fosse di 8,7: poco meno del livello pandemico. Da un momento all’altro poteva verificarsi un punto d’esplosione, benché le autorità avessero appena nebulizzato l’endofolla con i tranquillanti. Con più tempo a disposizione, si sarebbe potuto fare il giro di quella muraglia; ma Baxter aveva a disposizione solo sei minuti.

Nonostante il rischio, si aprì direttamente un varco tra quei ranghi. Si era stampato sulla faccia il sorriso fisso assolutamente essenziale, quando si affrontava un conglomerato umano di altissima densità. Vedeva la linea di partenza, ora; una piattaforma rialzata nel Glebe Park di Jersey City. Gli altri concorrenti erano già sul posto. Altri venti metri, pensava Steve. Purché tra questi bruti non avvenga un improvviso parapiglia. 

Ma, bene addentro nel centro della folla, gli mancava ancora da superare il nucleo di quella turba, lo strato definitivo. Questo era composto di individui corpulenti, dalla mascella cascante e gli occhi senza sguardo: isterofiliaci agglutinanti, li definiva il gergo dei pandemiologi. Ammassati insieme come sardine, quegli uomini reagivano come un singolo organismo, ed erano incapaci di qualsiasi cosa che non fosse cieca resistenza e furia irrazionale contro qualsiasi cosa che tentasse di insinuarsi tra i loro ranghi.

La turba nucleare, più pericolosa dei favolosi bisonti del West, gli lanciava occhiate di fuoco, dilatando le narici e pestando minacciosamente i piedi pesanti.

Senza concedere a se stesso il tempo di riflettere, Baxter si tuffò in quella calca. Senti colpi sul dorso e sulle spalle, udì i terrificanti arrrr emessi dall’endoturba impazzita. Corpi informi si pigiavano contro di lui, soffocandolo, schiacciandolo inesorabilmente sempre più da vicino. 

Poi, provvidenzialmente, le autorità misero in funzione il Muzak. Quella musica antica e misteriosa, che per di più di un secolo aveva placato i più intrattabili forsennati, produsse ancora una volta il suo effetto. L’endoturba venne incantata e ridotta a una temporanea immobilità, e Steve Baxter si creò un varco fino alla linea di partenza.

Il giudice-capo aveva già cominciato a leggere il regolamento. Ogni partecipante, e buona parte degli spettatori, conoscevano a memoria il contenuto del documento. Ciò nonostante, per legge, i termini dovevano essere resi noti.

— Signori — lesse il giudice, — siete qui riuniti per partecipare a una corsa per l’acquisizione di terreni di dominio pubblico. Voialtri cinquanta fortunati siete stati scelti per estrazione a sorte tra cinquanta milioni di residenti iscritti nei registri della regione del Sud Westchester. La gara si svolgerà da questo punto di partenza fino alla linea di registrazione, ovvero l’Ufficio Terriero di Times Square, a New York: una distanza approssimativa di soli nove chilometri. Ai partecipanti è permesso di scegliere il percorso che preferiscono; spostarsi in superficie, al di sopra o al di sotto del suolo. Si richiede soltanto di concludere la gara di persona, poiché le sostituzioni non sono ammesse. I primi dieci...

La folla divenne mortalmente immobile.

— ... riceveranno ciascuno un acro di terra completamente deserta, completo di casa e di attrezzature agricole. A ciascuno di questi dieci viene inoltre garantito il trasporto a spese del governo fino alla sua libera tenuta, per sé e per i suoi parenti più prossimi. E il suddetto acro gli apparterrà, libero ed esente da ogni obbligo, perpetuamente inalienabile, finché il sole splenderà e le acque scorreranno, e ad esso avranno ugualmente diritto i suoi eredi fino alla terza generazione!

La folla sospirò, nell’udire quelle parole. Nessuno, tra le maree di spettatori, aveva mai visto un acro completamente deserto, e meno che mai aveva sognato di possederlo. Un acro di terreno completamente per sé e per la propria famiglia, un acro intero da non dover dividere con nessuno andava oltre le fantasie più stravaganti.

— Si rende inoltre presente — continuò il giudice — che il governo non si riterrà responsabile dei decessi che dovessero verificarsi nel corso della gara. È mio dovere informarvi che il tasso di mortalità per le corse terriere si aggira su una media del sessantotto e nove. Chiunque tra i partecipanti lo desideri, è ancora in tempo a ritirarsi senza andare soggetto ad alcuna penalità.

Il giudice tacque, aspettando, e per un attimo Steve Baxter fu tentato di lasciar cadere l’intero proposito suicida. Senza dubbio, tanto lui che Adele, i bambini, lo zio George e la zia Flo potevano continuare a tirare avanti in qualche modo nel loro raccolto appartamentino di una sola stanza nell’Arnia Residenziale Medio Reddito del Fred Allen Memorial di Larchmont... In fin dei conti, lui non era un uomo d’azione, non era un atleta muscoloso o un duro dai pugni pelosi. Era uno stimato consulente della Deformazione dei Sistemi. Ed era inoltre un mite ectomorfo dai muscoli striminziti e dal fiato decisamente corto. Perché, in nome del Cielo, avrebbe dovuto avventurarsi nel cuore più buio di New York, la più malfamata di tutte le città-giungla?

— Meglio che lasci perdere, Steve — disse una voce, facendo stranamente eco ai suoi pensieri.

Baxter si voltò e vide Edward Freihoff St. John, il suo ricco e molesto vicino, venuto, come lui, da Larchmont. St. John, alto, elegante e di un’agilità scattante, grazie a una giovinezza passata in palestra. St. John, con il suo aspetto di bel tenebroso, con lo sguardo un po’ torvo che troppo spesso si soffermava sulla bionda grazia di Adele.

— Non potresti mai farcela, Steve — disse St. John.

— Forse hai ragione — ammise Baxter, senza scomporsì. — Mentre tu, immagino, ce la farai.

St. John ammiccò e accostò l’indice al naso, come a dire che lui la sapeva lunga. Da settimane non faceva che buttar là accenni vaghi a informazioni speciali ottenute per aver corrotto un venale Controllore della Gara. Quelle informazioni avrebbero aumentato enormemente le sue probabilità di riuscire ad attraversare il capoluogo di Manhattan: la più densa e la più infida configurazione urbana del mondo.

— Steve, figliolo, stanne fuori — consigliò St. John, con la sua voce stranamente roca. — Stanne fuori, e io farò in modo che tu non debba pentirtene. Che ne dici, amico?

Baxter scosse la testa. Non si considerava un coraggioso, ma sarebbe morto, piuttosto che accettare favori da St. John. E, in ogni caso, continuare come prima non era più possibile, ormai. In base all’ultimo codicillo della legge che regolava l’obbligo di estendere il domicilio ai congiunti, Steve era adesso obbligato a prendersi in casa tre cugine zitelle e una zia vedova, il cui alloggio sotterraneo di una sola stanza, nel complesso industriale di Lake Placid, era stato spazzato via dal nuovo Tunnel Albany-Montreal.

Perfino con iniezioni antishock, dieci persone in una sola camera erano troppe. Era assolutamente indispensabile, per lui, vincere un pezzo di terra!

— Io resto — dichiarò tranquillamente Baxter.

— Come vuoi — ribatté St. John, mentre un cipiglio gli increspava la faccia dura e ironica. — Ma ricordati che io ti avevo avvertito.

Il giudice-capo chiamò: — Signori, ai vostri posti!

I partecipanti tacquero. Ora si disponevano sulla linea di partenza, impazienti, occhi socchiusi e labbra contratte.

— Pronti!

Cento garretti si tesero, mentre cinquanta uomini decisi si tenevano pronti a scattare.

— Via!

E la gara ebbe inizio.

Uno squillo di note supersoniche paralizzò provvisoriamente la turba circostante. I contendenti s’intrufolarono tra quei ranghi immobili, superarono o aggirarono di scatto le lunghe file di automobili bloccate. Poi si dispersero a ventaglio, ma dirigendosi soprattutto verso est, verso il fiume Hudson e la città minacciosa e sinistra che si stendeva sulla sua sponda opposta, seminascosta da un fuligginoso manto di idrocarburi non bruciati.

Solamente Steve Baxter non si era diretto verso est.

Unico tra i concorrenti in gara, si era diretto a nord, verso il ponte George Washington e Bear Mountain City. Si muoveva come un sonnambulo, e aveva le labbra serrate.

Nella lontana Larchmont, Adele Baxter stava seguendo la corsa per televisione. Involontariamente, mandò un’esclamazione soffocata. Tommy, il figlioletto di otto anni, gridò: — Mamma, mamma, si è diretto a nord, verso il ponte! Ma l’hanno chiuso questo mese, non potrà passare da quella parte!

— Stai tranquillo, caro — disse Adele. — Tuo padre sa quello che fa.

Parlava con una sicurezza che era ben lontana dal provare. E mentre la figura del marito si perdeva tra le moltitudini, si dispose all’attesa... e alla preghiera. Davvero Steve sapeva quel che stava facendo?

O la tensione e il panico gli avevano confuso le idee?

 

I semi del problema erano stati gettati nel 20° secolo, ma il tragico raccolto era stato mietuto cent’anni più tardi. Dopo millenni di lenta moltiplicazione, la popolazione mondiale era improvvisamente esplosa, era raddoppiata e poi nuovamente raddoppiata. Ormai le malattie erano sotto controllo, e un minimo di alimentazione era assicurato per tutti, i tassi di mortalità continuavano a decrescere mentre quelli di natalità si ostinavano a salire. Presi nella morsa d’incubo della progressione geometrica, i ranghi dell’umanità si gonfiavano come cancri incurabili.

Sui Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, gli antichi, leggendari castigamatti, era inutile contare, ormai: nessuno più li prendeva sul serio. La fame e le pestilenze erano state bandite e la guerra era un lusso troppo grande per quell’èra impegnata nella sopravvivenza. Restava soltanto la morte: ma molto impoverita, una pallida ombra di se stessa.

La scienza, con splendida irrazionalità, continuava a lavorare insensatamente, avendo come obiettivo maggiori possibilità di vita per una quantità sempre maggiore di gente.

E la gente tirava avanti, in continuo aumento, popolando la terra di un numero vertiginoso di individui, ammorbando l’aria e avvelenando l’acqua, cibandosi di alghe sottoposte a elaborati procedimenti e di pane fatto con farina di pesce, aspettando inconsciamente che una catastrofe venisse ad assottigliare i suoi ranghi compatti, ma aspettando invano.

L’aumento quantitativo del numero produceva mutamenti qualitativi di esperienza. In epoche meno nefaste, l’avventura e il pericolo erano stati prerogativa degli spazi sconfinati e deserti: le alte montagne, i deserti a perdita d’occhio, le giungle sature di miasmi e vapori. Ma nel ventunesimo secolo gran parte di quei luoghi veniva ormai utilizzata dalla ricerca sempre più frenetica di spazio vitale. Avventure e pericoli s’incontravano adesso nelle mostruose, ingovernabili città.

Era nelle città che s’incontrava l’equivalente moderno delle tribù selvagge, delle belve feroci e dei malanni orrendi e incurabili. Una spedizione nell’interno di New York o di Chicago richiedeva maggiore coraggio e spirito d’iniziativa, maggiori capacità di riuscita che non le spensierate esplorazioni dell’Everest o delle foci del Nilo tentate all’epoca vittoriana.

In un mondo simile a una pentola a pressione, un pezzetto di terra rappresentava la più preziosa e la più ambita delle conquiste. Il governo l’assegnava, via via che essa veniva disponibile, per mezzo di lotterie regionali culminanti nelle corse terriere. Le gare venivano impostate sul modello di quelle che si erano tenute nel 1890, per l’apertura del territorio dell’Oklahoma e della Cherokee Strip.

Le corse terriere erano considerate con molto favore: provvedimento saggio e insieme divertente, appagavano sia la giustizia, sia lo sport. Milioni di spettatori seguivano le gare, e l’effetto tranquillizzante che quell’eccitamento indiretto aveva sulle masse costituiva un altro degli aspetti vantaggiosi. Sarebbe anzi bastato quel terzo aspetto a giustificare l’istituzione delle gare.

In più, l’alto tasso di mortalità tra i concorrenti andava considerato come un altro apporto positivo. In cifre assolute, le perdite umane non assommavano a molto; ma, in un mondo così congestionato, un alleggerimento sia pure infinitesimale era sempre accolto con gratitudine.

La corsa durava ormai da tre ore. Steve Baxter accese la sua radiolina a transistor e ascoltò l’ultimo notiziario.

Apprese così che un primo gruppo di concorrenti era arrivato all’Holland Tunnel, ma era stato costretto a tornare indietro da poliziotti armati. Altri partecipanti, più astuti, avevano intrapreso la lunga marcia fino a Staten Island, e stavano per giungere in vista del ponte di Verrazzano. Freihoff St. John, tutto solo, era riuscito, ostentando un distintivo di vicesindaco, a superare le barricate del Lincoln Tunnel.

Per Steve Baxter, si avvicinava il momento di giocare una carta molto rischiosa. Con grinta decisa e sorretto dalla calma dei forti, Steve si preparava ad entrare nel malfamato Porto Franco di Hoboken.

 

Sulla spiaggia di Hoboken stava calando il crepuscolo. Davanti a Steve, lungo un ampio arco, si stendevano le navi veloci e ben tenute della flotta contrabbandiera di Hoboken, ciascuna con il suo luccicante stemma della Guardia Costiera. Alcune avevano già il carico assicurato sul ponte: casse di sigarette arrivate dalla Carolina del Nord, liquori del Kentucky, arance della florida, fucili del Texas. Ogni cassa portava la stampigliatura ufficiale: CONTRABBANDO: CASSA PAGATA. Sì, perché, in quella difficile èra, il governo, per poter far fronte ai suoi impegni, era costretto a tassare perfino le attività illegali, dando così loro una veste quasi legale. 

Scegliendo il momento con cura, Baxter si arrampicò a bordo di uno splendido bastimento addetto al contrabbando della marijuana e si nascose in mezzo alle aromatiche balle del carico. L’equipaggio si stava preparando a salpare; se lui fosse riuscito a tenersi nascosto durante la breve traversata del fiume...

— Ehi! Chi diavolo c’è, qui?

Un motorista ubriaco, venendo su all’improvviso dal castello di prua, aveva colto Baxter di sorpresa. In risposta a quel grido, il resto dell’equipaggio sciamò sul ponte. Erano una masnada di ceffi patibolari, famosi per l’indifferenza con cui perpetravano i più feroci massacri. Appartenevano a quella stessa specie di cinici assassini che, alcuni anni prima, avevano saccheggiato Weehawken, avevano messo Fort Lee a ferro e fuoco e proseguito, seminando stragi, fino a Englewood. Steve Baxter sapeva che, da loro, non c’era da aspettarsi misericordia.

Ciò nonostante, con ammirevole sangue freddo, disse: — Signori, per favore, ho assolutamente bisogno di essere traghettato sull’altra riva dell’Hudson.

Il capitano della nave, un colosso dai muscoli prominenti e dal volto ricoperto di cicatrici, ruppe in una risata fragorosa.

— E lo vuoi da noi, un passaggio? — chiese, esprimendosi nel gergo semi-incomprensibile di Hoboken. — Per chi ci hai presi, per il ferry-boat di Christopher Street?

— No di certo, signore. Ma avevo sperato...

— Chi vive sperando, muore cantando.

La ciurma rise sguaiatamente di tanta spiritosaggine.

— Sono prontissimo a pagare, per il passaggio — precisò Steve, con tranquilla dignità.

— Pagare? — sghignazzò il capitano. — Sì, qualche volta trasportiamo passeggeri, noi... ma solo fino al centro del fiume, e poi li scaraventiamo giù.

L’equipaggio raddoppiò le sue risate.

— Visto che dev’essere così, pazienza — disse Steve Baxter. — Vi chiedo soltanto di lasciare un messaggio per mia moglie e per i miei bambini.

— Moglie e bambini? — ripeté il capitano. — E perché non dirlo subito! Li avevo anch’io, sai, moglie e bambini, finché dei vagabondi non me li hanno fatti fuori tutti.

— Oh, ma che cosa terribile! — esclamò Steve, con evidente sincerità.

— Proprio così! — La grinta di ferro del capitano si ammorbidì. — tutti, me li hanno fatti fuori!

Poi, l’omaccione diede la stura ai suoi ricordi.

— Doveva essere una famiglia molto felice — mormorò Steve, che faceva una gran fatica a seguire il linguaggio incomprensibile dell’altro.

Il capitano borbottò una specie di sì.

Un marinaio dalle gambe storte si fece avanti. — Ehi, capitano, buttiamolo ai pesci e salpiamo l’ancora prima che ci vada in malora il carico.

— Chi è che dà gli ordini, qui, verme sdentato? — ruggì il capitano. — Io lo mando anche in malora, il carico, se così mi garba! E quanto a buttarlo ai pesci... no! Voglio fare un bel gesto in ricordo dei miei marmocchi, e mi facciano a fette se non lo farò! — Il tutto era stato detto con espressioni semi-intelligibili. Poi, il capitano si rivolse a Baxter. — Ti porteremo dove vuoi tu, ragazzo mio, e per niente!

Così, senza volerlo, Steve Baxter aveva saputo destare nel capitano ricordi patetici, e ne aveva guadagnato il favore. I contrabbandieri della marijuana levarono l’ancora e, poco dopo, lo svelto naviglio solcava le basse onde grigio-verdastre del fiume Hudson.

Ma il sollievo di Steve Baxter fu di breve durata. A mezza strada, proprio mentre la nave si addentrava nelle acque federali, un potente riflettore prese a inviare segnali nella penombra malinconica della sera e una voce, attraverso un megafono, ordinò ai contrabbandieri di virare. Per loro sfortuna, avevano proprio tagliato la rotta di un incrociatore in ricognizione sull’Hudson.

— Maledizione a loro! — imprecò il capitano. — Tassare e rompere le scatole, non sanno fare altro! Ma stavolta li manderemo a quel paese! Forza, alle armi!

Rapidissimi, quelli della ciurma tolsero le incerate alle mitragliatrici calibro so, e i due diesel gemelli della nave rombarono, forzati al massimo. Procedendo a zig-zag, la nave contrabbandiera correva verso New York e verso la salvezza. Ma l’incrociatore, lanciato all’inseguimento, la tallonava da vicino, e le mitragliatrici non potevano niente contro i suoi cannoni. Colpi diretti e precisi già smantellavano la murata del piccolo scafo, esplodevano nella cabina di comando, fracassavano le attrezzature.

Arrendersi o morire, sembrava non esserci altra alternativa. Ma il capitano, vecchio lupo di mare, già annusava l’aria. — Calma! — urlò. — Tenete duro! Sta arrivando la nebbia dall’ovest.

Le granate piovevano tutte attorno. Poi, dall’ovest, un banco di nebbia immenso e impenetrabile prese ad avanzare, coprendo ogni cosa con i suoi neri tentacoli. Il piccolo vascello malconcio poté. sottrarsi al nemico; e la ciurma, indossati in tutta fretta i respiratori, mandò entusiastici evviva all’indirizzo delle grandi distese di Secaucus, dove in permanenza bruciavano i rifiuti.

Mezz’ora dopo, attraccavano al Molo della 79ª Strada. Il capitano abbracciò Steve con trasporto e gli augurò buona fortuna. E Steve Baxter si rimise coraggiosamente in cammino.

Si era lasciato alle spalle il grande Hudson. Gli restavano ora da coprire una trentina di isolati periferici e forse una decina di quelli del centro. Secondo le ultime notizie ascoltate alla radio, si trovava in testa a tutti gli altri concorrenti, in vantaggio perfino rispetto a St. John, che ancora non era emerso dal labirinto all’estremità newyorkese del Lincoln Tunnel. Tutto considerato, si stava conducendo proprio benino.

Ma l’ottimismo di Baxter era prematuro. New York non si conquistava tanto facilmente. Baxter ancora lo ignorava, ma la parte più pericolosa del percorso restava davanti a lui.

 

Dopo qualche ora di riposo sul sedile posteriore di una macchina abbandonata, Steve ricominciò ad avanzare verso sud lungo la West End Avenue. Spuntò ben presto l’alba: un’ora magica in città, quando a qualsiasi crocicchio s’incontravano al massimo poche centinaia di individui mattinieri. In alto, sopra di lui, si levavano le torri merlate di Manhattan e, al di sopra di quelle, i grappoli di antenne televisive intessevano una trama fatata contro un cielo color grigio e ocra. Vedendola così, Baxter poteva quasi immaginare che cosa doveva essere stata New York un centinaio d’anni prima, nei giorni sereni, placidi, prima dell’esplosione demografica.

Venne scosso bruscamente dal suo fantasticare. Come sbucato dal nulla, un drappello di uomini armati gli sbarrava ora il passo. Portavano tutti la maschera, cappelli neri a tesa larga e bandoliere di munizioni a tracolla. Il loro aspetto era a un tempo truce e pittoresco.

Uno di essi, evidentemente il capo, si fece avanti. Era un vecchio dai lineamenti che sembravano scolpiti nella pietra, con enormi baffi neri e occhi dall’espressione lugubre, cerchiati di rosso. — Straniero — disse — mostraci il tuo lasciapassare.

— Non credo di averlo — rispose Baxter.

— Credo bene che tu non l’abbia — disse il vecchio. — Sono Pablo Steinmetz, e li rilascio io, i lasciapassare, qui attorno; ma non ricordo d’averti mai visto, da queste parti.

— Non sono di qui — spiegò Baxter. — Mi trovo di passaggio.

Gli uomini dai cappelli neri sogghignarono e si diedero l’un l’altro di gomito. Pablo Steinmetz si grattò la mascella ispida di barba. — Be’, ragazzo mio, si dà il caso che tu stia cercando di passare attraverso una strada privata, a pedaggio, senza il permesso del proprietario, che in effetti sono io; perciò debbo considerarti un passante abusivo.

— Ma... com’è possibile che qualcuno possegga una strada proprio nel cuore di New York? — chiese Baxter.

— La strada è mia perché dico che è mia — replicò Pablo Steinmetz, passando le dita sulle incisioni intagliate nel calcio del suo Winchester 78. — È così perché è così, straniero; perciò dico che farai meglio a pagare o a stare al gioco.

Baxter mise subito mano al portafogli, ma... si accorse di non averle più. Evidentemente, il capitano della nave contrabbandiera, nel separarsi da lui, aveva ceduto ai suoi bassi istinti e gli aveva sfilato il portafogli.

— Non ho denaro — disse Baxter. Rise, a disagio. — Forse mi converrà tornare indietro.

Steinmetz scosse la testa. — Tornare indietro è lo stesso che andare avanti. La strada è a pedaggio in tutti e due i sensi. Ti ripeto, non c’è che pagare o stare al gioco.

— Be’, allora dovrò per forza starci — concluse Baxter. — Che cosa debbo fare?

— Tu corri — spiegò Pablo — e noi facciamo a turno a spararti addosso, mirando soltanto alla parte superiore della tua testa. Il primo che riesce ad abbatterti vince un tacchino.

— Ma è un’infamia!

— Capisco che per te non è divertente — ammise in tono bonario Steinmetz — ma non so cosa dirti. Le regole sono regole, perfino in regime anarchico. Ragion per cui, se vuoi essere tanto gentile da metterti a correre per cercare scampo nella fuga...

I banditi sghignazzavano, sempre scambiandosi gomitate. Già avevano sfilato le pistole dalle fondine e si erano spinti sulla nuca i cappellacci neri.

Baxter si preparava a spiccare la corsa mortale.

In quel momento, una voce gridò: — Alt!

Era una donna, quella che aveva parlato. Baxter si girò di scatto e vide una ragazza alta, con i capelli rossi, che avanzava decisa attraverso le file dei banditi. Indossava calzoni da torero, soprascarpe di plastica e una camicia hawaiiana. L’esotico abbigliamento metteva in risalto più che mai la sua spavalda bellezza. C’era una rosa di carta, tra i capelli, e un filo di perle coltivate alla base del collo slanciato. Mai, in vita sua, Baxter aveva visto una grazia più vistosa e seducente.

Pablo Steinmetz aggrottò la fronte. — Fiamma! — tuonò. — Che intenzioni hai, si può sapere?

— Sono venuta a interrompere il tuo piccolo passatempo, papà — rispose la ragazza con molta calma. — Voglio prima parlare io, con questo tipo.

— È una faccenda che riguarda noi uomini — protestò Pablo. — Straniero, preparati a correre!

— Straniero, non muoverti! — gridò Fiamma, e nella sua mano apparve una pistola a canna corta.

Padre e figlia si squadrarono, minacciosi. Il vecchio Pablo fu il primo a rompere il quadro.

— Maledizione, Fiamma, non puoi farmi un dispetto simile! — scattò. — Le regole sono regole, perfino per te. Questo violatore di confini non può pagare, perciò è giusto che ci lasci almeno divertire a sue spese.

— Se il problema è tutto qui, lo risolviamo subito — dichiarò Fiamma. Si frugò dentro la camicetta ed estrasse dalla scollatura un lucido doppione d’argento. — Ecco — disse, gettando la moneta ai piedi di Pablo. — Il pedaggio l’ho pagato, ora può darsi che con costui mi diverta io. Straniero, seguimi!

Prese Baxter per mano e lo trascinò via. I banditi li guardarono allontanarsi, sempre sogghignando e dandosi gomitate l’un l’altro, finché Steinmetz, guardandoli con cipiglio, non li fece tornare seri. Poi, il vecchio Pablo scrollò la testa, si grattò l’orecchio, si soffiò il naso e borbottò: — Maledizione a quella ragazza!

Le parole erano dure, ma il tono era decisamente tenero.

 

La notte scese sulla città, e i banditi si accamparono sull’angolo tra la 69ª Strada e West End Avenue. Gli uomini dai cappellacci neri si distesero in atteggiamento rilassato attorno a un fuoco scoppiettante. Un succoso arrosto di manzo venne infilato sullo spiedo, e razioni di verdura surgelata gettate in un capace calderone nero. Il vecchio Pablo Steinmetz, massaggiandosi la gamba di legno, beveva lunghi sorsi da un boccale di martini premischiato. Nell’oscurità, al di là del bivacco, un barboncino solitario ululava per chiamare la sua compagna.

Steve e Fiamma sedevano un po’ appartati dagli altri. La notte, silenziosa salvo il rombo distante dei camion della spazzatura, esercitava il suo incanto su entrambi. Le loro dita s’incontrarono, si sfiorarono, si strinsero.

Finalmente, Fiamma disse: — Steve... io ti piaccio, vero?

— Sì, mi piaci molto — disse Baxter, e passò un braccio attorno alle spalle di lei. Il gesto era fraterno, ma poteva essere anche frainteso.

— Bene, ho riflettuto a lungo — disse la figlia del bandito. — Pensavo che... — Tacque, improvvisamente timida, poi continuò: — Steve, perché non rinunci a questa gara suicida? Perché non resti qui con me! Io ho della terra, Steve, terra vera: cento metri quadri nel parco di smistamento della stazione centrale di New York! Tu e io, Steve, potremmo coltivarla insieme!

Baxter era tentato: chi non lo sarebbe stato, al posto suo? Non aveva mancato di accorgersi dei sentimenti che la bella fuorilegge nutriva per lui, né era rimasto completamente indifferente al fascino della ragazza. La sfolgorante bellezza di Fiamma Steinmetz, la sua fierezza, avrebbero conquistato il cuore di qualsiasi uomo, anche senza l’attrazione costituita dal pezzo di terra. Per una frazione di secondo Steve esitò, e il suo braccio strinse più forte le morbide spalle della ragazza.

Poi, però, le fondamentali doti di lealtà ebbero in lui il sopravvento. Fiamma era l’essenza della passione, il bagliore d’estasi che ogni uomo sogna per tutta la vita. Ma Adele era la compagna della sua adolescenza, la sua sposa, la madre dei suoi figli, la paziente collaboratrice di dieci anni di vita in comune. Per un uomo del carattere di Steve Baxter poteva esserci una sola scelta.

L’imperiosa ragazza non era abituata a subire rifiuti. Furente come un puma inferocito, minacciò dapprima di strappare il cuore a Baxter con le sue stesse mani e di farlo arrostire a fuoco lento. Il balenio dei grandi occhi, l’ansare del bel seno, mostravano che quelle minacce non erano semplici chiacchiere.

Ciò nonostante, con implacabile imperturbabilità, Steve Baxter mostrava di attenersi alle proprie convinzioni. E Fiamma dovette convincersi, con tristezza, che non avrebbe mai amato quell’uomo, se egli non fosse stato appunto così fedele a quegli alti princìpi morali che rendevano irraggiungibili i desideri di lei.

Così, il mattino dopo, quando il tranquillo straniero disse di volersene andare, lei non oppose resistenza. Arrivò perfino a imporre il silenzio al padre infuriato, il quale imprecava, dicendo che Steve era un imbecille irresponsabile che avrebbe dovuto essere legato e imbavagliato, per il suo stesso bene.

— Ma, papà... non vedi che è tutto inutile? — osservò Fiamma. — Steve deve vivere la propria vita, a costo di rimetterci la pelle.

 

Steve proseguì verso il centro, urtato e sospinto dalla calca fino ad aver voglia di urlare, accecato dai bagliori che il neon accendeva nelle cromature, assordato dai rumori incessanti della città.

Giunse, alla fine, in un tratto dove proliferavano i cartelli indicatori:

 

SENSO UNICO

DIVIETO DI TRANSITO

PROIBITO

SCENDERE DAL MARCIAPIEDE

CHIUSO LA DOMENICA

E NEI GIORNI FESTIVI

CHIUSO NEI GIORNI FERIALI

CHI PROVIENE DA SINISTRA

DEVE SVOLTARE A SINISTRA

 

Nell’aggirarsi per quel labirinto di ingiunzioni contrastanti, capitò per caso in quell’esteso covo di miseria noto come Central Park. Davanti a lui, a perdita d’occhio, ogni metro quadrato di terreno era occupato da squallide tettoie, miserrime capanne e rumorosi postriboli. La sua improvvisa comparsa tra gli abbrutiti abitanti del parco suscitava commenti non certo favorevoli. Chissà come, si era sparsa la voce che Steve fosse un ispettore sanitario, venuto a chiudere i loro malarici pozzi, o a vaccinare i loro scabbiosi marmocchi. Subito Steve si trovò accerchiato da una folla di pezzenti, che agitavano le grucce e imprecavano, minacciandolo.

Per fortuna un tostapane difettoso, nell’Ontario centrale, provocò in tutta l’America un improvviso cortocircuito. Nel panico che seguì, Steve trovò il modo di mettersi in salvo.

Si ritrovò, poco dopo, in una zona dove tutti i cartelli erano stati strappati via, per confondere gli agenti del fisco. Il sole era nascosto dietro una nuvolaglia di un biancore abbagliante. Nemmeno una bussola era possibile usare, a causa della vicinanza di immense quantità di rottami di ferro che rappresentavano tutto quello che restava della leggendaria rete metropolitana della città.

Steve Baxter comprese d’essersi irrimediabilmente e disperatamente smarrito.

Tuttavia perseverò, con un coraggio superato solo dalla sua ignoranza. Per giorni e giorni vagò lungo strade tutte uguali, tra innumerevoli catapecchie, tra cumuli di lastroni di vetro, cimiteri di macchine e altre rovine. I superstiziosi abitanti rifiutavano di rispondere alle sue domande, temendo che potesse essere un agente dell’FBI. Lui proseguiva barcollando, nell’impossibilità di procurarsi da mangiare o da bere, e perfino di riposare, per paura di venire calpestato dalla folla.

Un caritatevole assistente sociale fermò Baxter proprio mentre questi stava per bere da una fontana epatitica. Quel saggio individuo dalle tempie grigie lo portò a casa propria e lo curò, rimettendolo in salute: possedeva una capanna dalle parti delle rovine coperte di muschio del Lincoln Centre, una capanna costruita interamente con rotoli di vecchi giornali. Tentò di convincere Baxter ad abbandonare l’insano proposito e a dedicare la propria esistenza ad assistere le miserrime, abbrutite, superflue masse d’umanità che pullulavano tutt’intorno.

Era un nobile ideale, e Steve fu lì lì per abbracciarlo, ma poi, per buona sorte, gli capitò di udire gli ultimi bollettini sull’andamento della gara attraverso un rudere d’apparecchio di proprietà dell’assistente sociale.

Molti dei partecipanti avevano incontrato la loro fine nell’affrontare gli assurdi rischi rappresentati dall’agglomerato urbano. Frethoff St. John era stato imprigionato per furto di bucce di patate. Quanto al gruppo che aveva attraversato il ponte di Verrazzano, era scomparso fra le fortezze incappucciate di neve di Brooklyn Heights e, da quel momento, non aveva più dato notizia di sé.

Steve Baxter si rese conto, così, di essere ancora in lizza.

 

Aveva il morale molto più alto, quando si rimise nuovamente in cammino. Ora, però, era caduto in preda a un eccesso di fiducia in se stesso, più pericoloso del più acuto stadio di depressione. Nello spostarsi rapidamente verso sud, volle avvantaggiarsi di un momento di sosta nel traffico per montare su una strada-mobile-espresso. Lo fece sbadatamente, senza misurare con cura le possibili conseguenze.

Quando ormai era troppo tardi, scoprì con orrore che quella era una strada a senso unico, con divieto di svolta. La strada, solo ora Steve se ne accorgeva, faceva un percorso diretto, senza fermate intermedie, fino alla terra ignota di Jones Beach, Fire Island, Patchogue ed East Hampton.

La situazione richiedeva un provvedimento immediato. Alla sinistra di Steve, si stendeva un bianco muro di cemento. A destra, una transenna che gli arrivava alla vita, ma con la scritta: DIVIETO DI SCAVALCARE TRA MEZZOGIORNO E MEZZANOTTE DI MARTEDÌ, GIOVEDÌ, SABATO. 

Era martedì pomeriggio: il divieto era in vigore. Ciò nonostante, senza un attimo di esitazione, Steve volteggiò al di là della transenna.

La punizione fu rapida e terribile. Un’auto mimetizzata della polizia sbucò da uno dei luoghi d’imboscamento che la città offriva e puntò contro Steve, sparando intanto all’impazzata sulla folla. In quell’epoca infelice, la polizia era tenuta per legge a sparare all’impazzata sulla folla, mentre dava la caccia a un individuo sospetto.

Baxter si rifugiò in una vicina pasticceria. Là, comprendendo di non avere scampo, tentò di arrendersi. Ma arrendersi non era permesso, perché le prigioni di Stato erano sovraffollate. Sventagliate di proiettili lo tenevano inchiodato al suolo, e intanto poliziotti dalla faccia severa montavano mortai lanciafiamme.

Sembrava che fosse arrivata la fine, non solo delle speranze di Steve, ma della sua stessa vita. Sdraiato a terra, fra torroni e liquirizie, Steve raccomandava l’anima a Dio e si preparava a morire dignitosamente.

Ma la sua disperazione era prematura, proprio come lo era stato l’ottimismo di prima. Udì rumori di lotta e, rialzando la testa, vide che un gruppo di uomini armati aveva attaccato alle spalle le forze della polizia. Nel girarsi per far fronte all’attacco, i poliziotti vennero accerchiati e spazzati via dal primo all’ultimo.

Baxter uscì per ringraziare i suoi liberatori e trovò alla loro testa la bella Fiamma Steinmetz. La giovane fuorilegge non era riuscita a dimenticare lo straniero dalla parola suadente. Ignorando le obiezioni bofonchiate da suo padre, completamente sbronzo, aveva seguito tutti i movimenti di Steve e si era lanciata in suo soccorso.

Gli armati dai cappelli neri saccheggiarono l’area con rumoroso entusiasmo. Fiamma e Steve si ritirarono nell’ombrosa solitudine di un ristorante abbandonato. Là, sotto le travature ormai marcite di un’epoca più dolce e più garbata, si svolse tra loro una patetica scena d’amore. Ma fu soltanto un brevissimo interludio dolceamaro. Ben presto, Steve Baxter tornò a immergersi deciso nel turbinoso caos della città.

Avanzando inesorabile, gli occhi chiusi come fessure contro la tempesta di smog, la bocca ridotta a una truce linea bianca nella parte inferiore del viso, Baxter riuscì a conquistare la 49ª Strada e l’8ª Avenue. Là, di punto in bianco, le condizioni cambiarono con la disastrosa immediatezza caratteristica delle giungle cittadine.

Nell’attraversare la strada, Baxter udì un rombo profondo, minaccioso. Si rese conto che il semaforo era cambiato. I guidatori, resi frenetici da giorni d’attesa e incuranti di qualsiasi trascurabile ostacolo, avevano premuto simultaneamente gli acceleratori. Steve Baxter si trovava proprio sulla rotta di un ciclone veicolare.

Avanzare o tornare indietro attraverso l’ampio vialone era assolutamente impossibile. Con rapida decisione, Baxter spalanco il coperchio di un tombino e si ficcò nel sottosuolo. Ci riuscì con un margine di appena mezzo secondo. Sopra di sé, udì stridori di lamiere torturate e un tremendo susseguirsi di urti a catena.

Proseguì la sua marcia attraverso le fogne della città. Quella rete di gallerie era densamente popolata, ma lievemente più sicura delle strade di superficie. Steve si trovò in difficoltà una sola volta, quando un filibustiere di fogna lo aggredì lungo il margine di una cisterna di sedimentazione.

Indurito dalle esperienze patite, Baxter ebbe la meglio sull’uomo delle fogne e riuscì anche a portarsi via la canoa: una necessità indispensabile, in alcuni dei passaggi più bassi. Poi si spinse innanzi, fino all’incrocio tra l’8ª e la 42ª, dove un rigurgito improvviso lo fece tornare in superficie.

Ora, in verità, l’agognato traguardo era quasi a portata di mano. Gli restava un solo isolato da percorrere; un isolato solo, poi sarebbe arrivato all’Ufficio Terriero di Times Square!

Ma proprio in quel momento gli si parò davanti l’ostacolo finale, l’ostacolo insormontabile, quello che metteva la parola fine a tutti i suoi sogni.

Nel bel mezzo della ala Strada, estendendosi senza limiti visibili da nord a sud, c’era un muro. Era una struttura ciclopica, germogliata durante il corso della notte quasi per germinazione spontanea, alla maniera delle costruzioni di New York. Era, come Baxter venne a sapere, un lato di un gigantesco progetto comunale di abitazioni per ceti medi. Durante la sua costruzione, tutto il traffico per Times Square veniva deviato lungo il Queens Battery Tunnel e lo Shunpike della 37ª Strada Est.

Steve calcolò che il nuovo percorso avrebbe richiesto come minimo tre settimane, e l’avrebbe condotto attraverso il Garment District, un quartiere praticamente inesplorato, che significava morte certa.

Il coraggio, la tenacia, l’onestà, niente gli era servito: se non fosse stato un uomo di sentimenti religiosi, Steve Baxter avrebbe di certo contemplato l’idea del suicidio. Con molta amarezza, accese la radiolina e ascoltò le ultime notizie.

Quattro concorrenti avevano già raggiunto l’Ufficio Terriero. Altri cinque erano a poche centinaia di metri dal traguardo, e avanzavano da sud, trovando quasi via libera. Per colmo di scalogna, Steve apprese che St. John, dopo essere stato amnistiato dal governatore, era di nuovo in cammino, e si avvicinava a Times Square venendo da est.

In quel momento di nera disperazione, Steve sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Si voltò e vide che Fiamma era venuta di nuovo in suo soccorso. Pur avendo giurato di non voler avere più niente a che fare con lui, l’orgogliosa ragazza non aveva saputo serbargli rancore. Quell’uomo mite, equilibrato, rappresentava per lei più del suo stesso orgoglio; più della vita stessa, forse.

Come fare per vincere l’ostacolo di quel muro? Problema semplicissimo, per la figlia di un capo di banditi! Visto che non era possibile girare attorno, o passare al di sotto, o attraverso, non restava che passare al di sopra del muro! E a questo scopo lei aveva portato corde, scarponi, chiodi e ramponi, piccozze e asce... tutto un arsenale di attrezzature da scalatori. Era decisa ad accompagnarlo... E stavolta Fiamma O’Rourke Steinmetz non si sarebbe rassegnata ad accettare un rifiuto.

Si arrampicarono, l’uno accanto all’altra, su per la estesa e levigatissima parete dell’edificio. Erano innumerevoli i pericoli: uccelli, aerei, franchi tiratori... tutti i rischi di cui era irta l’imprevedibile città. E, giù in basso, Pablo Steinmetz osservava, la faccia simile a granito corrugato.

Dopo immensi pericoli, raggiunsero la cima e iniziarono la discesa dall’altro lato... e Fiamma mise un piede in fallo!

Inorridito, Baxter la vide precipitare verso una fine orribile in piena Times Square: Fiamma morì infilzata sull’aguzza antenna di un’automobile in sosta.

Baxter scese rapidamente e andò a inginocchiarsi accanto a lei, quasi fuori di sé per la disperazione...

Dall’altro lato della parete, il vecchio Pablo sentì che qualcosa di irrevocabile era successo. Rabbrividì, la bocca gli si torse in un’istintiva smorfia di dolore e, brancolando alla cicca, allungò la mano in cerca di una bottiglia.

Intanto, mani robuste rimettevano in piedi Baxter Senza rendersi conto di quanto succedeva intorno a lui, Baxter si trovò a fissare la faccia rossa e bonaria del Funzionario Federale Terriero.

Fece fatica a comprendere d’essere riuscito a portare a termine la gara. Con una strana indifferenza emotiva, ascoltò la storia di come St. John, con la sua protervia e la sua arroganza, avesse fatto scoppiare una sommossa nel quartiere birmano della 42ª Strada Est, e di come fosse stato poi costretto a cercare rifugio nella Biblioteca Pubblica, nascondiglio dal quale ancora non era stato capace di districarsi.

Del resto, gongolare malvagiamente non era nella natura di Steve Baxter, anche quando una reazione del genere sarebbe stata pienamente comprensibile. La sola cosa che gli importava era d’avere vinto, d’aver raggiunto l’Ufficio Terriero in tempo per aver diritto all’assegnazione dell’ultimo acro di terreno messo in palio.

Un acro di terreno che era costato sofferenze e fatiche, e la vita di una giovane fuorilegge.

 

Il tempo è misericordioso e, alcune settimane più tardi, Steve Baxter non pensava più ai tragici eventi della gara. Un jet governativo aveva trasportato lui e la sua famiglia nella città di Cormorant, tra le montagne della Sierra Nevada. Da Cormorant, un elicottero li trasportò sul terreno vinto. Un coriaceo funzionario dell’Ufficio Terriero era sul posto per accoglierli e mostrare loro la proprietà.

La terra di cui erano proprietari si stendeva ora davanti a loro, rozzamente cintata, lungo un pendio montuoso ripidissimo. La circondavano altri appezzamenti cintati allo stesso modo, tutti di un acro, che si stendevano a perdita d’occhio. Il terreno era stato recentemente dissodato a forza di mine; si presentava, per il momento, come una serie di giganteschi squarci aperti in un terriccio grigio e polveroso. Impossibile scorgere un albero, o un filo d’erba. C’era, sì, una casa, com’era stato promesso: per l’esattezza, c’era una capanna. Aveva tutta l’aria di poter durare fino al primo acquazzone.

Per diversi minuti, i Baxter si guardarono attorno in silenzio. Poi, Adele mormorò: — Steve!

— Sì, capisco — disse Steve.

— Questa è la nostra terra — disse Adele.

Steve assentì. — Già. Non è molto... ridente — osservò, esitante.

— Ridente? Che importanza ha, caro? È nostra, Steve, ed è un intero acro, tutto per noi! Qui sì che potremo allevare qualcosa, Steve!

— Non vedo come...

— Lo so, lo so! Ma noi la trasformeremo, vedrai. E poi semineremo e avremo un raccolto! Vivremo qui finalmente, Steve! Non ci pensi?

In silenzio, Steve Baxter guardava la terra vinta a così caro prezzo. I suoi bambini, Tommy e la piccola, bionda Amelia, stavano giocando con un grumo di terriccio. Il funzionario locale si schiarì la gola e disse: — Potete ancora cambiare idea, sapete.

— Come dite? — chiese Steve.

— Dicevo che potete ancora cambiare idea, tornarvene nel vostro appartamentino di città... signor Baxter, molti pensano che questo posto sia un po’ primitivo, un po’ diverso da come se lo immaginavano...

— Oh, Steve, no! — gemette la moglie.

— No, papà, no! — fecero eco i bambini.

— Tornare indietro? — ripeté Baxter. — Non stavo affatto pensando a tornarmene indietro, caro signore, stavo semplicemente contemplando l’insieme. In tutta la mia vita, non avevo mai visto tanta terra deserta in una volta sola!

— Lo so — mormorò rabbonito il funzionario. — Sono vent’anni che sto qui e, non mi crederete, ma ancora non mi sono abituato a questo spettacolo.

Baxter e la moglie si guardarono, estatici. Il funzionario si fregò il naso e mormorò: — Penso che ormai non abbiate più bisogno di me... — e si allontanò, lasciandoli soli.

Steve e Adele lasciavano vagare lo sguardo sulla loro terra. Poi, Adele disse: — Steve, Steve! È tutta nostra! E sei tu che l’hai vinta per noi... tu sei riuscito a far questo da solo!

Baxter serrò le labbra. Poi, con voce sommessa, osservò: — No, amor mio, non da solo. Qualcuno mi ha aiutato.

— Chi, Steve? Chi ti ha aiutato?

— Un giorno ti racconterò tutto — promise Baxter. — Ma, per adesso... vieni, prendiamo possesso della nostra casa.

Tenendosi per mano, entrarono nella capanna. Alle loro spalle, il sole stava calando tra l’opaco smog di Los Angeles. Era un lieto fine, quanto poteva esserlo nella seconda metà del ventunesimo secolo.