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Dalle loro finestre nella torre chiamata I-Thula, avvolta dalle nubi, Sigrid Holmen e Alexandra Vukovic potevano facilmente vedere Aro-Hito, Colui che Attende. La guglia levava le sue mura scintillanti e il tetto coperto di bronzo su tutte le case vicine, con le rampe e i contrafforti a spirale tipici dell'architettura eyzka. All'interno non somigliava a nessun altro edificio di Zatlokopa né a quel nucleo di civiltà. La Terran Traders aveva af-fittato l'intero palazzo.

La società non era ancora così estesa da occupare tutti i locali e perciò una parte dell'equipaggio dell' Europa era stato sistemato nell'edificio.

Qualcuna però, come Sigrid e Alexandra, aveva preferito non abitare nello stesso posto in cui lavorava, e aveva preso alloggio in città.

Di tanto in tanto, col crescere d'importanza della società, il lavoro le co-stringeva a uscire. Quella sera Alexandra doveva accompagnare a pranzo un possibile cliente importante. Sotto questo punto di vista gli Sha-Eyzka erano molto umani e spendevano più in pranzi e liquori che in segretarie e in disto-scribi. Se la Terran Traders fosse piaciuta a Taltla di Sha-Oktzu, allora si sarebbe fatto un bel passo avanti.

Sigrid diede un'occhiata all'orologio. Ormai si era abituata al sistema numerico fondato sull'otto. Accidenti! Tra dieci minuti sarebbero arrivati gli altri e lei non aveva ancora pensato ai profumi.

Indugiò un momento, godendosi la carezza dell'aria fresca. Zatlokopa non soltanto era un pianeta di tipo Terra, ma trovandosi a metà di un periodo interglaciale, climaticamente era un vero paradiso per i Terrestri. Le donne avevano rapidamente adottato il modo di vestire degli indigeni, san-dali e pantaloncini, e questi tanto per avere le tasche. Il sole filtrava con i suoi lunghi raggi attraverso le torri: una luce dorata che sembrava riempire l'atmosfera. Che pace!

"Troppa" pensò Sigrid. Un serpente alato attraversò l'orizzonte ma nient'altro si muoveva, non un carro, non un aereo, non una barca sui canali dorati dal tramonto, non una persona per le strade erbose tra le case. La città aveva passaggi sotterranei, tunnel sopraelevati, che correvano come tanti viticci di torre in torre, e aveva gallerie e passaggi per i singoli edifici. Non era la Terra, non lo era mai stata, non lo sarebbe stata mai. Niente poteva essere come la Terra.

Una nave spaziale accelerò silenziosamente in paragravità a chilometri di distanza, ma così imponente che si vedeva la luce solare brillare contro i suoi fianchi. "L'Holdar" si disse Sigrid. "A bordo c'è una nostra partita di merce." Il pensiero la fece tornare al presente: non aveva tempo per l'auto-compassione. Chiuse la finestra, corse in cucina e controllò il cuoco automatico. Tutto a posto; grazie al cielo su quel nucleo civile l'uso dei robot era diffusissimo. Un cuoco terrestre non sarebbe stato in grado di preparare un pranzo apprezzabile per gli Eyzka.

Sigrid ritornò in soggiorno, con i mobili di tipo terrestre che gli dava un aspetto familiare e si perse tra le volte intricate e le fontane in miniatura.

Aprì l'armadio dei profumi e consultò una carta. A Zatlokopa si badava poco agli abiti, ma i profumi erano un vero rito. Per un ospite del rango di Taltla avrebbe usato una miscela di aerosol Numero Cinque. Arricciò il naso. I Numero Cinque le ricordavano tutti un... ecco, il fieno maturo.

Dunque per sé poteva usare... "Vediamo, agli Sha-Eyzka di solito piace la colonia. Ce n'è ancora di quella di bordo..." La mano di Sigrid si chiuse su un minuscolo flacone di cristallo.

La portineria avvertì: «Due persone vogliono salire.»

Alexandra e l'ospite erano in anticipo? Eppure lei aveva avvertito di non arrivare prima. «Fate passare» disse Sigrid senza guardare lo schermo. La porta si aprì.

Si trovò davanti una massa metallica. Non la pelle umana abbronzata dal sole e neanche il pelo verde oro di un Eyzka, ma una lucida superficie metallica. I robot erano umanoidi, alti almeno due metri e mezzo. Lei fissava senza staccare gli occhi i volti senza faccia e le cellule fotoelettriche, di un rosso talmente intenso da far pensare che dentro ardesse una fornace.

« Kors i Herrans mamn! » disse lei. «Che c'è?»

Uno dei robot le passò alle spalle, silenzioso come un gatto. L'altro stese un braccio e le posò le dita metalliche sulla spalla, non brutalmente ma con fermezza. Lei tentò di svincolarsi, indignata. La stretta si fece più forte.

Lei emise un gemito.

Ecco il secondo robot: doveva essersi assicurato che fosse sola. Il primo disse: «Su, non ti faremo niente, ma tu non fare storie.» Parlava in Uru, il linguaggio interplanetario.

«Ma che diavolo volete?» La rabbia era più forte della paura.

Sentendola parlare in Eyzka, anche il robot passò a quella lingua che usava correttamente, ma con un lieve accento straniero. Alzò la mano libera sulla testa di lei, allargando le dita. «Andiamo, prima che stringa.»

La stretta poteva schiacciarle il cranio, come se fosse un guscio d'uovo.

«Nessun grido» l'avvertì il secondo robot, ancora più aspro.

Come intorpidita, Sigrid li seguì. Il corridoio era una specie di tubo con una serie di porte chiuse, e soltanto i ventilatori che spandevano nell'aria odore di erbe, davano un lieve ronzio. Lei si sentì gelare, e strinse le labbra. Avevano aspettato il momento buono per rapirla, quando tutti erano al lavoro o intenti a preparare per il ritorno di chi lavorava. Non c'era nessuno in giro, a quell'ora, a differenza della Terra. "Ma la Terra è cenere a migliaia di anni-luce da qui."

Sentì una trafittura alla mano, e con suo grande stupore si accorse che teneva ancora stretto in pugno il flacone di colonia. Il cristallo le aveva lasciato dei segni rossi sul palmo.

Di colpo alzò il flacone, svitò il tappo e si sparse il profumo sulla testa.

Le dita di acciaio glielo strapparono di mano, scorticandole la pelle. Sigrid si costrinse a non gridare di dolore e si succhiò la mano, mentre i due giganti fissavano i loro sguardi incandescenti sul flacone.

I robot parlavano tra loro in una lingua sconosciuta. Poi si rivolsero a lei, in Eyzka: «Tentativo di suicidio?»

«Il liquido non è corrosivo» osservò l'altro.

"Stupidi imbecilli!" pensò furiosa Sigrid. S'infilò la mano sanguinante in tasca, e lasciò che la spingessero avanti.

Non un rumore di passi, un segno di vita, un movimento, niente, tranne loro. Arrivarono a una galleria. Una slitta pubblica si fermò a un loro cenno. Salirono, e il veicolo accelerò silenziosamente.

"Non sono robot indipendenti" decise Sigrid. Ormai aveva ritrovato il sangue freddo. "Si tratta di meccanismi telecomandati. Non ne ho mai visti finora. È vero però che in questa parte della galassia esistono migliaia di tipi di robot, e io ci abito da un anno scarso. Sì, dipendono certamente da qualcuno."

Ma da chi? E perché?

"Gente del posto, no. Gli Sha-Eyzka hanno accolto bene gli umani, bene a modo loro, naturalmente: ci hanno dato libertà di andare e venire per Zatlokopa, ci hanno insegnato usi e costumi e anche la loro storia. Dopo di che ci siamo trovate qui come a casa nostra, nella società capitalistica che domina questo nucleo. Un piccolo trust di investitori locali ha chiesto la nostra collaborazione. Non si parla ancora di concorrenza commerciale, perché le nostre operazioni sono radicalmente diverse da quelle che loro finora hanno usato. Agenti e spedizionieri esistevano anche prima, ma non con l'organizzazione prevista dalla Terran Traders, con innovazioni rivoluzionarie: analisi dei sistemi, divisione degli utili, ricerche motivazionali tra le varie culture ecc. Difficile che i robot siano concorrenti degli Eyzka.

"L'accento poi e il fatto che non abbiano indovinato che cosa ci fosse nel flacone di colonia fanno pensare..."

La slitta si fermò per far salire uno del posto. Balzò su con grazia, bello come potrebbe esserlo un salmone o uno sparviero sulla Terra. Le dita d'acciaio si strinsero intorno a Sigrid tanto da farle scricchiolare le ossa.

Lei non diede un grido. «Non un gesto» mormorò il robot in Uru.

«No, ma lasciami andare» rispose lei.

La pressione delle dita si allentò, e Sigrid si abbandonò contro la spallie-ra del sedile. L'Eyzka le diede un'occhiata, preoccupato, tirò fuori un faz-zoletto profumato e si tenne il più possibile lontano da lei.

Poco dopo Sigrid fu fatta scendere. Giù per un'altra rampa, attraverso un nuovo passaggio, una svolta, un'ultima scala a chiocciola, una galleria buia, con un centinaio di porte tutte uguali, e finalmente una si spalancò davanti a lei. Sigrid avanzò in mezzo ai due robot, e l'uscio si richiuse alle loro spalle.

Davanti a un tavolo sedevano una dozzina di creature, rigidamente acco-vacciate, con aria decisa. Due erano ritte davanti a un quadro in fondo alla stanza: evidentemente in quel pannello c'erano i comandi per i robot. Le creature si girarono verso di lei, e le due macchine ai lati di Sigrid si mu-tarono in statue. L'ambiente, immerso in una luce rossastra, era ombroso e fresco. Un registratore emetteva un lieve fruscio monotono.

"I Forsi" si disse Sigrid. La seconda e più potente razza del nucleo. Avrebbe dovuto capirlo.

Una specie di folletto si piegò verso di lei, e la sua pelle frusciò nel movimento. «Inutile perder tempo» dichiarò. «Sappiamo già che occupi un posto importante tra gli Sha-Terra. Anzi il posto più importante. Adesso collaborerai con noi se non vuoi avere spiacevoli conseguenze. Dunque, le operazioni commerciali forsi non si propongono un utile privato, come a Zatlokopa, ma rientrano in un quadro più vasto. Tu e la Traders Terran avete rotto l'equilibrio economico di questo nucleo e lo squilibrio aumenterà secondo un indice matematico se non verrà controllato. Per poter contro-bilanciare le vostre operazioni, dobbiamo avere informazioni particolareg-giate sui principi razionali e psicologici che sono alla base del fenomeno.

Voi avete sfruttato il fatto che due specie non pensano mai nello stesso modo e che una terza specie, se avveduta, può trarre vantaggio da ciò. Adesso ti porteremo sul nostro pianeta, e poi vedremo.»

Sigrid si sentì mancare le ginocchia.

Dovette irrigidirsi per non cadere.

«Se collabori, non avrai guai» riprese il Forsi. «O almeno, il lavoro non sarà eccessivamente penoso. Non abbiamo cattive intenzioni, anzi, vi am-miriamo e vorremmo soltanto che voi aveste scelto il nostro pianeta anziché Zatlokopa. Ma immagino che il clima abbia influenzato la vostra scelta.»

«E la società.» Nonostante gli sforzi, la voce di Sigrid era rauca di paura.

«Una civiltà che ci permette di vivere in libertà.»

Il Forsi non si sentì insultato. Uno degli altri chiese con curiosità: «Avete cercato molto, prima di trovare questa civiltà?»

«Siamo state fortunate» ammise Sigrid. Qualunque cosa, pur di guada-gnare tempo! «Avevamo in testa questo progetto, una libera economia in fase di espansione, ma i nuclei sono talmente numerosi... Ne abbiamo visi-tati due e poi abbiamo sentito parlare del vostro.» Le ritornò un po' di energia, e si raddrizzò. I Forsi erano più tardi degli umani, dunque qualche speranza c'era. «Credete di poterla fare franca?» gridò. «Lasciatemi immediatamente libera, e non vi denuncerò.»

Ridacchiarono.

«Meglio andarcene subito» disse il capo. «Se riusciremo a raggiungere lo spazioporto prima di sera, nessuno ti vedrà, e la nostra nave potrà partire entro un'ora. Altrimenti dovremo aspettare fino a domani.»

Sigrid rabbrividì.

«Ma che cosa vi ho fatto?» protestò. «Noi Sha-Terra non rappresentiamo un pericolo per nessuno. Siamo completamente sole, senza pianeta, senza figli, né...»

Il capo fece un cenno ai due Forsi che si trovavano davanti ai quadri di comando.

«Speravamo di andarcene tra pochi anni» continuò Sigrid. «Non vi rendete conto della nostra situazione? Non ne abbiamo fatto un segreto. Il nostro pianeta è morto. Poche navi con a bordo esseri della nostra specie, dei maschi, sono disperse per la galassia, ma noi non sappiamo dove. Abbiamo dovuto fuggire per evitare il nemico misterioso che ha distrutto la Terra. Non volevamo diventare potenti, né intendevamo stabilirci qui per sempre, volevamo soltanto essere al sicuro. E abbiamo dovuto cercare un mezzo per vivere...»

«E ci siete riuscite con risultati che superano molte previsioni» osservò un Forsi, secco.

«Ma ascoltatemi! Ci siamo proposte di arricchirci, questo sì, e più che potevamo. Non per la ricchezza in sé. Era un mezzo per acquistare le na-vi... per poter andare in cerca dei superstiti in tutta la galassia. Tutto qui, lo giuro!»

«Abbastanza ingegnoso» annuì il capo «e poteva riuscire, dati i tempi.»

«Non volevamo rimanere qui. Questa non è la nostra civiltà. Volevamo vendicare la Terra e tornare a inserirci tra i pianeti. Oppure andare al di là delle frontiere, a colonizzare un nuovo mondo. Non siamo vostre concorrenti. Non lo saremo alla lunga, almeno. Mi capite, ora?»

«Anche se non lo sarete per molto, la cosa a noi non va» ribatté il capo.

«Potete andarvene se volete, ma dovete lasciare a noi quel che avete cominciato, e soprattutto i metodi e le idee che avete introdotto. Forsi non può competere con quelle. Perciò ora tu ci seguirai da questa uscita posteriore, dove ci aspetta una slitta, per portarci allo spazioporto.»

I due operatori infilarono gambe e braccia nei trasmettitori e misero in capo delle cuffie di controllo. Un robot si avvicinò a Sigrid.

Lei si scansò, e il robot le tenne dietro. Attraversò di corsa la stanza. Inutile gridare: tutti gli appartamenti erano acusticamente isolati. Dall'altra parte avanzò il secondo robot. La spinsero in un angolo.

«Attenta!» Il capo si alzò e batté sul tavolo. «Ci sono punizioni...»

Non sentì il resto. Addossata al muro, misurò lo spazio libero tra i due robot e si mosse come se volesse passarci in mezzo. I robot avanzarono.

Sigrid ruotò su se stessa e si buttò a destra. Un braccio le sfiorò i capelli, mentre passava.

I robot ruotarono e si buttarono al suo inseguimento. Lei prese uno sgabello e lo lanciò contro gli automi. L'oggetto rimbalzò indietro. Inutile. Si lanciò verso la porta. Il robot la precedette. Tornò a correre ma un Forsi si alzò e la bloccò.

Fredde braccia si strinsero intorno a lei. Sigrid urlò e alzò violentemente un ginocchio. Vulnerabile come un essere umano, la creatura lasciò la presa, con un grido. Sigrid si liberò dalla stretta. Davanti aveva lo sgabello.

Lo sollevò e lo lasciò cadere pesantemente sul cranio pelato. Il tonfo sordo soverchiò il vociare di tutti.

La donna saltò sul tavolo; il capo la afferrò per le caviglie. Sigrid gli sferrò un calcio su uno degli occhi sporgenti. Mentre lui si piegava, impre-cando per il dolore, Sigrid gli salì sulle spalle e si lasciò scivolare al di là.

Ai due lati correvano veloci i robot. Sigrid si buttò sotto il tavolo. I Forsi urlavano e si agitavano. Per più di un minuto ci fu un turbinìo di Forsi e di robot. Lei vedeva le grosse gambe grigie alzarsi e abbassarsi.

Qualcuno gridò un ordine. I Forsi si tolsero di mezzo, e un robot sollevò il tavolo. Sigrid si alzò. Il secondo robot si avvicinava. Lei attese. Quando l'automa cercò di afferrarla, Sigrid si buttò in avanti, piegata in due, e le mani meccaniche si chiusero con un colpo secco sopra la sua testa. In ginocchio, lei si trascinò fino alle gambe del robot. C'era spazio sufficiente per infilarsi in mezzo. Passò, poi si alzò di scatto lanciandosi verso l'uscita posteriore.

Certo non sarebbe riuscita ad aprirla... Per quanto tempo ancora avrebbe resistito? Il suo respiro era diventato un ansito penoso.

Poi dalla porta di fronte si sentì gridare: «Aprite!» Sigrid urlò, prima che qualcuno potesse rispondere. La porta si spalancò.

Comparvero quattro Sha-Eyzka. E Alexandra! Con un'arma in pugno.

I robot girarono su se stessi e si avventarono. Un proiettile rimbalzò su uno dei pettorali. Il viso di Alexandra era contratto in una smorfia. Mentre i giganti si avvicinavano, lei mirò al di là di loro e fece fuoco due volte.

Gli operatori crollarono a terra, e i robot si immobilizzarono, senza più vi-ta.

Il capo Forsi urlò un ordine. Gli altri attaccarono. Due caddero ma i compagni si gettarono su Alexandra e sugli Eyzka.

Sigrid si guardò attorno. Al quadro comandi! Scostò uno dei corpi dal sedile. Gambali e cuffie non le si adattavano bene, e lei non era abituata a comandare un robot. Però non occorreva una grande abilità, bastava la forza. Cominciò a far strappare le forme grigie dai corpi delle loro vittime, e a renderle inoffensive. E in breve la zuffa finì.

Un Eyzka mandò a chiamare la polizia, mentre gli altri riducevano all'impotenza i Forsi sopravvissuti.

«Nascerà un grosso incidente diplomatico per questa storia» ansimò Alexandra. «Ma credo che la Terran Traders ne avrà solo dei vantaggi.»

Sigrid sorrise debolmente. «Sei proprio diventata un'accanita capitalista»

commentò.

«Non avevo altra scelta, non ti pare? Del resto la proposta è stata tua.»

La ragazza jugoslava alzò la sua arma. «Però se la violenza deve diventare una regola di vita, ti darò qualche consiglio. Non che te la sia cavata male.

Quando non ti ho trovata in casa e Tatla mi ha detto che in corridoio c'era profumo di colonia, ho capito che qualcosa non andava. E che dose te ne sei data! Non riuscirai a liberartene neppure con due bagni al giorno per un'intera settimana. Quelli che mi hanno aiutata ti hanno seguita al fiuto.

Facile con la scia di profumo che hai lasciato!» Guardò i prigionieri cupi e accigliati. Scosse la testa e fece schioccare la lingua. «Così credevano di farcela, con noi? Poveracci!»