— Nessuno sa che cosa è accaduto?
— No, ma naturalmente il buon senso suggerisce che è stato il Carnefice. Lui non era di servizio nel parco e neanche in un luogo nei dintorni. Stava ancora cercando di verificare l'affermazione che Carvell era al concerto, dove voi l'avete mandato. — I suoi occhi continuavano a non distogliersi da quelli di Pitt. — Può darsi che abbia trovato qualcosa, dopotutto.
Non c'era una risposta a questo. Pitt si alzò in piedi. — Dov'è?
— L'hanno portato al Samaritan Free Hospital, in Manchester Square. È a meno di un chilometro da dove è stato trovato. — Inspirò a fondo e lasciò uscire il fiato lentamente. — Volete che arresti di nuovo Carvell?
— No, fino a quando non avrò visto Bailey.
— Non può dirvi niente.
Pitt non si prese il disturbo di rispondere, ma oltrepassò Tellman senza guardarlo, e uscì, senza prendere né cappello né soprabito. Fece i gradini a due alla volta, oltrepassò il bancone senza parlare e raggiunse la strada. Gli ci vollero quasi cinque minuti per trovare una carrozza, alla quale diede l'indirizzo di Manchester Square.
Si sentiva infelice. Ora non c'era più alcun ragionevole dubbio che si trattasse di Carvell. Era la presenza, o l'assenza, di Carvell al concerto che Bailey stava controllando. Ma il pensiero lo faceva star male. Carvell gli piaceva, provava un istintivo rispetto per lui e comprensione per il suo dolore, che lui continuava a ritenere reale. E altrettanto profonda era la sua disillusione, un terribile senso di sconfitta, per essere stato ingannato a quel modo. Il suo giudizio era stato fatalmente invalidato.
Era colpevole del ferimento di Bailey, e se l'agente fosse mancato, della sua morte.
Come poteva essere stato così stupido, così incosciente? E anche ora, mentre viaggiava nella vettura a nolo, continuava a non vedere le cose con chiarezza; solo l'evidenza non gli consentiva più di sfuggire la realtà.
La carrozza si fermò, e lui scese, dicendo al conducente di aspettarlo. All'interno trovò la lunga barella su cui Bailey era disteso rigido, la faccia bianca e immobile. Indossava una lunga camicia da notte bianca di ruvido calicò ed era coperto da un lenzuolo e da una coperta grigia. Accanto al suo letto c'era un giovane dottore, accigliato e con le labbra contratte.
— Come sta? — chiese Pitt, paventando la risposta.
Il dottore lo guardò seccato. — Chi siete?
— Il sovrintendente Pitt, di Bow Street. Come sta?
— Difficile dirlo. — Il dottore scosse la testa. — Non si è mosso da quando l'hanno portato qui, ma almeno la sua temperatura è salita abbastanza. Il respiro è quasi normale e il cuore batte forte.
— Si riprenderà? — Era più una speranza che una convinzione.
— Non si può dire. È possibile.
— Quando sarà in grado di parlare?
Il dottore scosse la testa e finalmente alzò gli occhi su Pitt.
— Non posso dirlo, sovrintendente. Non posso neppure dire con sicurezza se lo farà. E anche se lo farà, potrebbe non ricordare nulla. Qualche funzione cerebrale potrebbe essere rimasta lesa. Dovrete prepararvi a questo. Io continuerei con le investigazioni senza fare affidamento su di lui, se fossi in voi.
— Capisco. Farete tutto il possibile per lui, vero? Non preoccupatevi delle spese.
— Certo.
Pitt se ne andò ancora più infelice e scoraggiato, e con un acuto senso di colpa.
Quando tornò in Bow Street trovò Giles Farnsworth nel suo ufficio, la faccia pallida, le mani contratte a pugno sui fianchi.
— Avete lasciato libero Carvell — disse tra i denti. — Ora lui, maledizione, ha quasi assassinato uno dei vostri uomini. — Camminò fino al caminetto e tornò indietro. — Ho sempre temuto che questo incarico fosse troppo gravoso per voi, ma Drummond era irremovibile. Be', ha sbagliato. Il peggiore sbaglio della sua carriera. Mi dispiace, Pitt, ma la vostra incompetenza è inaccettabile.
Attraversò di nuovo la stanza e si girò per tornare indietro.
— Siete destituito. Completerete il lavoro arretrato su questo caso, poi ritornerete al vostro precedente grado. È meglio che vi trasferiate in un'altra stazione di polizia. Penserò a quale quando avrò tempo. Forse da qualche parte in periferia. — E senza aspettare che Pitt dicesse qualcosa, si diresse alla porta. Esitò con la mano sulla maniglia. — Ho detto a Tellman di arrestare di nuovo Carvell. Dovrebbero averlo fermato in questo momento. Voi potete incominciare a preparare le prove per il processo. Quando avrete finito, potrete prendervi qualche giorno di licenza. Buongiorno. — Uscì, chiudendosi la porta alle spalle, e lasciando Pitt da solo, in preda ai sensi di colpa e terribilmente demoralizzato.
11
Charlotte fu sconvolta quando Pitt le disse che era stato destituito. Forse lei avrebbe dovuto capire quanto potesse essere reale questa prospettiva, ma la sua mente era stata troppo occupata da altre cose: la nuova casa, e naturalmente la vendita di quella vecchia, la candidatura di Jack, gli affari di cuore di Caroline, adesso il suo matrimonio. Non aveva mai veramente creduto che questo potesse accadere... era così ingiusto!
Aveva il cuore straziato per lui, per il suo dolore e la sua umiliazione, ma era furiosa per l'ingiustizia del fatto in sé. E infine era spaventata per se stessa e per i bambini. Che cosa ne sarebbe stato della nuova casa adesso? Come avrebbero potuto permettersela? E la vecchia casa era già stata venduta, non avrebbero potuto tornare a viverci.
Tutti quei pensieri e sentimenti infuriavano dentro di lei e sapeva che le si leggevano in viso. Non era mai stata tanto brava a nascondere le proprie emozioni, ma faceva il possibile per tenersele dentro, anche se le sue guance erano diventate esangui e il suo stomaco era stretto in una morsa gelida.
— Ce la faremo — fu tutto quello che si costrinse a dire, e la sua voce era rauca, la bocca era secca.
Pitt la guardò, pallido in viso, gli occhi addolorati e stanchi.
— Certo che ce la faremo — disse con voce pacata, sebbene non avesse idea di come. Il pensiero di tornare al grado di ispettore di polizia, in un'altra stazione lontana chilometri, era stato finora troppo amaro perché non cercasse di sfuggirlo, ora la realtà lo costringeva ad affrontarlo. Forse avrebbe potuto almeno convincere Farnsworth a mandarlo alla Centrale di Londra, così avrebbe lavorato in una zona che conosceva invece di passare metà del suo tempo ad andare avanti e indietro con gli omnibus. Non avrebbe potuto permettersi una carrozza.
Per un po' di tempo rimasero seduti in silenzio, l'uno accanto all'altra. Le parole non servivano. Non c'era niente da dire che avrebbe potuto farli sentire meglio, eccetto le banalità a cui entrambi avevano pensato, e a cui avevano rinunciato.
Infine Charlotte si scosse un poco e sedette più diritta. Aveva acceso il fuoco nel salotto, non perché facesse freddo ma perché il guizzo delle fiamme era piacevole, e creava per un po' una piccola isola separata dal resto del mondo.
— Carvell ha finalmente confessato? — chiese.
— No. — La sua mente fu invasa di colpo dall'immagine del viso infelice di Carvell, bianco e spaventato, mentre veniva condotto giù alle celle, gli occhi supplichevoli che incontravano quelli di Pitt. — No, ha negato disperatamente.
Charlotte lo fissò.
— Tu gli credi, vero? — disse dopo un momento o due. — Continui a pensare che non sia stato lui!
Thomas rimase seduto in silenzio ancora per parecchi minuti prima di replicare. Il suo viso era contratto dalla tensione, ma non c'era incertezza nella sua voce quando finalmente rispose.
— No, no. Non posso credere che lui volesse veramente fare del male ad Aidan Arledge. E se l'avesse ucciso in un accesso di cieca passione, penso che poi sarebbe stato un uomo distrutto, e non avrebbe neppure cercato scampo. Anzi, sono convinto che se fosse stato lui, avrebbe accettato, addirittura accolto con sollievo, la punizione.
— Allora devi scoprire chi è stato, Thomas! Non puoi lasciarlo impiccare! — S'inginocchiò davanti a lui con aria seria, supplicandolo: — Ci deve essere qualcosa. Per quanto scaltro sia, il Carnefice avrà lasciato qualcosa di incompiuto, qualche filo che se noi tiriamo, facendo attenzione, porterà a dipanare la matassa.
— Ecco un bel pensiero — disse lui, sorridendole. — Ma mi sono torturato le meningi per pensare chi potesse essere, e non ho fatto nessun passo avanti.
— Tu sei troppo coinvolto nella faccenda — disse subito lei. — Stai osservando i particolari, invece che il quadro d'insieme. Che cosa hanno in comune tutte le vittime?
— Niente — disse lui con semplicità.
— Devono aver qualcosa! Winthrop e Scarborough erano entrambi arroganti, e tu hai detto che il bigliettaio era un ometto zelante. Forse era anche arrogante.
— Ma Arledge non lo era. A detta di tutti era un uomo molto cortese e gentile.
— Ne sei certo? — Lo guardò con aria dubbiosa.
— Sì, ne sono certo. Nessuno aveva niente di spiacevole da dire su di lui.
Rimase pensierosa per un momento, e lui attese in silenzio.
— È possibile che una persona sia stata uccisa semplicemente per dissimulare la morte di colui che si voleva uccidere in realtà? — disse dopo parecchi minuti. — Forse gli altri delitti erano casuali, e non aveva importanza chi fossero.
— Non ha senso. — Lui scosse la testa, tendendo la mano per spingerle da parte una ciocca di capelli che le era caduta sulla fronte. — Scarborough era stato attirato fuori casa per essere ucciso. Questo non è stato affatto casuale. Yeats era lontano parecchi chilometri da Shepherd's Bush, di Arledge non sappiamo niente, e Winthrop era in barca sulla Serpentine, cosa di per se stessa ridicola. Perché qualcuno avrebbe dovuto andare in barca nel cuore della notte? Nessuno ci sarebbe andato con un estraneo, è già difficile immaginare di farlo con un amico.
— Il Carnefice voleva che si trovasse là, per poterlo uccidere sopra il bordo — rispose lei.
— Ma come avrebbe potuto costringerlo ad andare là? Come è possibile convincere qualcuno a salire su una barca nel cuore della notte?
Lei trasse un sospiro. — Ah... io direi... direi che mi è caduto qualcosa in acqua, giù da un ponte, o qualcosa del genere, e che se non l'avessi recuperata, sarebbe andata perduta — disse con soddisfazione. — Avrei per prima cosa lasciato cadere in acqua il mio cappello, o qualunque cosa mi fosse venuta in mente.
— Cappello! — Lui si mise seduto eretto, colpendola al fianco senza volere.
— Che cosa...? — Charlotte scattò in piedi. — Che cosa c'è? Thomas?
— Il cappello — ripeté lui. — È stato trovato un cappello quando hanno dragato il canale in quel punto. Non era di Winthrop. Non l'abbiamo collegato alla cosa, ma potrebbe esser stato così. Supponiamo che sia stata una ragione per attirarlo nella barca. Sei davvero brillante! È così semplice, e così reale. — La baciò con entusiasmo, e poi si alzò e cominciò ad andare su e giù per la stanza. — Comincia ad avere un senso — continuò, la voce che si alzava per l'eccitazione. — Winthrop era un uomo della Marina. Poteva essere naturalissimo fare appello a lui per recuperare il cappello prima che affondasse. Il Carnefice poteva facilmente dimostrare di essere poco abile con i remi. Molti lo sono.
Agitò le braccia in modo eloquente. — Deve aver richiesto l'aiuto di Winthrop. Winthrop naturalmente gliel'ha dato. Entrambi salgono in barca... e poi il Carnefice indica qualcosa nell'acqua, Winthrop si china sul bordo... e... — Pitt abbassò le braccia con la mano rigida come una spada. — Winthrop viene decapitato.
— E per gli altri? — chiese lei. — Per Arledge?
— Non sappiamo. Non sappiamo dove Arledge sia stato ucciso.
— Ma Scarborough? E il bigliettaio dell'omnibus? — insistette lei.
— Scarborough è stato ucciso sul Rotten Row, proprio dove è stato trovato. L'abbeveratoio dei cavalli era pieno di sangue.
— E Yeats?
— Il capolinea vicino a Shepherd's Bush. Poi trasportato su un calesse a Hyde Park.
Lei rimase a riflettere per qualche momento. — Fa sembrare che Arledge fosse quello più importante, vero? — disse finalmente. — A parte il fatto che non era il primo. Quando ci penso, ha un senso... — si strinse nelle spalle, sedendosi di nuovo... — poi non ce l'ha più.
— Lo so. — Si arrestò e tese la mano. — Per adesso è abbastanza. Ricomincerò domani. Vieni a letto.
Lei gli prese la mano e si alzò lentamente, ma il suo viso era ancora concentrato. Anche mentre saliva le scale, la sua mente lavorava, rigirando le idee, cominciando a far piani. Soltanto quando fu in camicia da notte e si tirò le lenzuola fino sul collo e si rannicchiò più vicino a Pitt, si dimenticò finalmente di tutta la questione e pensò ad altro.
Quella mattina Pitt non andò in Bow Street; non ce n'era ragione. La sua mente si affannava attorno ad alcune idee, incerte, molte delle quali informi e basate su fatti e impressioni che doveva ancora verificare. Non sarebbe servito al suo scopo incominciare prima di sera. Passò la giornata in occupazioni banali, controllando e ricontrollando i particolari. Poi alle otto meno un quarto incominciò. Voleva vedere Victor Garrick, ma non aveva il suo indirizzo. Sapeva che Mina Winthrop lo conosceva, di conseguenza prese l'omnibus per Curzon Street e scese sul marciapiede nel crepuscolo primaverile.
— Sì, signore? — disse la cameriera in tono inquisitorio.
— Posso per favore parlare con la signora Winthrop? — chiese lui gentilmente.
— Sì, signore. Se volete avere la cortesia di venire da questa parte, andrò a vedere se è in casa.
Era la solita educata finzione, ma la seguì all'interno e aspettò pazientemente.
Mina arrivò dopo meno di cinque minuti, con un'aria incantevole nella mussolina color lavanda chiaro. Sorrise con aria sorpresa.
— Buonasera, sovrintendente. Sono spiacente che mi abbiate colta di sorpresa. Non sono vestita in modo conveniente. — Era vero. Sembrava di parecchi anni più giovane di quando l'aveva vista subito dopo la morte del marito, vestita completamente di nero e con l'aria spaventata e disorientata. In quel momento le sue guance erano colorite, il suo lungo collo snello era coperto solo da una pesante collana di perle, e soltanto perché lui sapeva che c'era poteva vedere il lieve arrossamento delle contusioni. A qualsiasi altro sarebbero sembrate semplici macchie. I suoi movimenti erano del tutto spontanei, come se avesse acquistato una nuova sicurezza.
— Sono spiacente di avervi disturbato, signora Winthrop — si scusò a sua volta. — Sono venuto perché desidero far visita a Victor Garrick e non conosco il suo indirizzo, so solo che abita qui vicino.
— Oh! Siete stato fortunato a venire — disse in fretta lei. — Abitano due porte più in là, ma comunque avreste fatto un viaggio inutile. Lui si trova da noi.
— Davvero? Sarebbe importuno da parte mia parlare con lui? Non lo tratterrò a lungo.
— No di certo. Sono sicura che se c'è qualcosa che lui possa fare per aiutarvi, ne sarà felice. — Corrugò la fronte. — Anche se ho saputo da mio fratello che avete preso l'uomo. Che cos'altro può esserci?
— Vorremmo sapere alcuni particolari, così non saremo colti impreparati da un avvocato in gamba.
— Allora, per favore, venite nella serra, sovrintendente. Victor sta suonando per noi.
Lui ringraziò e accettò volentieri, seguendola mentre lei si girava e lo guidava lungo il corridoio e poi in una delle più incantevoli sale che avesse mai visto. Le porte-finestre si aprivano direttamente su un giardinetto chiuso, pieno di piante di ogni forma. Tutti i fiori erano bianchi: rose bianche, gigli lanceolati, garofani, alissi odorosi, sigilli di Salomone, e molti altri di cui lui non conosceva il nome.
All'interno, le pareti e le cortine erano verdi con un delicato disegno a fiori bianchi, e un grande vaso era pieno di altri fiori bianchi. Vi splendeva l'ultima tenue luce della sera, che rendeva accogliente la stanza e dava l'illusione che avesse la freschezza di un giardino.
Victor Garrick sedeva nell'angolo con il suo violoncello. Bart Mitchell stava in piedi accanto al caminetto. Non c'era nessun altro.
— Victor, sono così spiacente di interromperti — incominciò Mina. — Ma il Sovrintendente Pitt è appena arrivato per vederti. Sembra che ci siano ulteriori particolari da chiarire in questa spaventosa faccenda, e pensa che tu possa essere in grado di aiutarlo.
— Forse dovremmo togliere il disturbo. — Bart si mosse per uscire.
— Oh, no — si affrettò a dire Pitt. — Per favore, signor Mitchell, sarei lieto se rimaneste entrambi. Mi risparmiereste di dovervi interrogare tutti separatamente. — Un'idea aveva cominciato a formarsi nella sua mente, sebbene confusa e priva degli elementi essenziali. — Sono spiacente di disturbare la vostra musica con una simile angosciosa questione, ma penso che siamo finalmente vicini alla conclusione.
Bart ritornò alla mensola del caminetto e riprese la sua posizione appoggiandosi ad essa, l'espressione fredda. — Se lo desiderate, sovrintendente, ma io penso che nessuno di noi sappia qualcosa che non vi sia già stato detto.
— Si tratta di ciò che potete aver visto. — Pitt si girò verso Victor, che lo guardava con i limpidi occhi di un azzurro profondo spalancati e apparentemente più cortesi che interessati.
— Sì? — disse, visto che il silenzio sembrava invitarlo a un'osservazione.
— Al ricevimento dopo la funzione di Requiem per Aidan Arledge — incominciò Pitt — mi sembra che voi foste seduto nell'angolo vicino all'ingresso della sala.
— Sì. Soprattutto perché non desideravo andare in giro a parlare con la gente — ammise Victor. — E comunque, è molto più importante restare accanto al mio violoncello. Qualcuno potrebbe colpirlo accidentalmente, o addirittura inciamparvici. — Inconsciamente le sue braccia si strinsero intorno al prezioso strumento, accarezzando il legno delicato, che era liscio come raso e altrettanto brillante. Pitt osservò l'ammaccatura e provò una moto di rabbia per quel vandalismo.
— È così che è accaduto con quello? — chiese.
La faccia di Victor s'irrigidì e diventò bianca di colpo. I suoi occhi si fecero duri e troppo brillanti, mentre guardavano fissi in un luogo molto distante, o forse nella sua memoria.
— No — disse tra i denti.
— Che cosa è successo? — insistette Pitt, e si scoprì a trattenere il respiro. Non si accorse che il dolore alle palme delle mani era dovuto alle unghie che si era affondato nella carne.
— Una creatura abbietta mi ha spinto e il violoncello è andato a sbattere contro il corrimano — rispose Victor a voce bassa, lo sguardo ancora perduto lontano.
— Il corrimano? — chiese Pitt.
— Sì.
Bart Mitchell si spostò dal caminetto e aprì la bocca per interromperli, poi cambiò idea.
— Di un omnibus? — chiese Pitt, quasi in sussurro.
— Che cosa? — Victor si guardò intorno. — Oh... sì. La gente come quella non ha nulla... dentro di sé... né sentimenti... né anima!
— È un vandalismo insensato — ammise Pitt, deglutendo a fatica e indietreggiando un poco. — Quello che volevo chiedervi, signor Garrick, era se avete visto il maggiordomo, Scarborough, mentre impartiva ordini agli altri servitori quel pomeriggio.
— Chi?
— Il maggiordomo, Scarborough.
Victor continuava a guardare nel vuoto.
— Un uomo grande e grosso, con una faccia altezzosa e modi arroganti.
Negli occhi di Victor balenarono la comprensione e il ricordo. — Oh, sì. Era un prepotente, un uomo spregevole. — Trasalì guardando Pitt mentre diceva questo. — È imperdonabile che qualcuno usi il potere che ha per maltrattare coloro che non sono nella posizione di difendersi. Questo mi indigna, e la gente che fa cose del genere è... — sospirò. — Non ho parole per questo. Frugo nella mente ma non trovo niente che possa esprimere la rabbia che provo.
— Ha davvero licenziato la ragazza che cantava? — chiese Pitt, cercando di mantenere un tono indifferente.
Victor alzò gli occhi e lo fissò. Pitt aspettò.
— Sì — disse Victor finalmente. — Stava cantando una breve canzone d'amore, molto dolce, una cosa un po' triste che riguardava la perdita di qualcuno. Lui l'ha licenziata senza neppure ascoltare le sue spiegazioni e le sue scuse. — La faccia di Victor era diventata ancora più bianca mentre parlava e le sue labbra erano esangui. — Non doveva avere più di sedici anni. — Sedeva curvo, e il suo corpo si era completamente irrigidito, tranne le mani ancora posate sul violoncello.
— Anche la signora Radley l'ha udito — disse Pitt, non perché facesse parte del suo piano, ma spontaneamente, per pietà. — Ha offerto un impiego alla ragazza. Non si troverà sulla strada.
Lentamente Victor girò lo sguardo verso di lui, i suoi profondi occhi azzurri si addolcirono e la rabbia lo abbandonò.
— Davvero?
— Sì. Lei è mia cognata, quindi lo so per certo.
— E l'uomo è morto — aggiunse Victor. — Così tutto è a posto.
— È tutto qui quello che volevate chiedere? — chiese Bart, avanzando. — Io non ho visto niente, e non conosco i fatti, e neppure mia sorella.
— Oh, è quasi tutto — rispose Pitt, guardando non lui ma Mina. — L'altra domanda riguardava il signor Arledge. — Alterò il tono della voce perché fosse deliberatamente più dura. — Mi avete detto in precedenza, signora Winthrop, che lo conoscevate molto poco; vi aveva rivolto qualche parola gentile in un momento in cui voi eravate addolorata per la morte di un cucciolo.
Lei deglutì ed esitò. — Sì?
— Mi dispiace, signora, ma non vi credo.
— Vi abbiamo detto ciò è accaduto, sovrintendente — disse Bart, cupo. — Che voi lo accettiate o no, sono spiacente che sia tutto qui. Voi avete il Carnefice. Non c'è nessuno scopo perché continuiate a insistere su una questione che è a dir poco marginale.
Pitt lo ignorò.
— Penso che voi lo conosceste molto più a fondo di così — disse a Mina. — E non credo alla faccenda che eravate addolorata per la morte di un cucciolo.
Lei appariva pallida, e chiaramente sconfortata.
— Mio fratello vi ha già detto che cosa è successo, sovrintendente. Non ho niente da aggiungere.
— So che cosa mi ha detto il signor Mitchell, signora. Quello che vi chiedo è perché non me lo dite voi stessa? È perché voi non siete così svelta a mentire? O forse non ci avete pensato in tempo?
— Signore, voi offendete gratuitamente. — Bart si fece più vicino a Pitt, come se volesse passare alle vie di fatto. La sua voce era bassa e minacciosa. — Devo chiedervi di lasciare questa casa. Voi non siete più il benvenuto qui.
— Se sono il benvenuto o no è una questione del tutto irrilevante — rispose Pitt, continuando a rivolgersi non a Bart ma a Mina. — Signora Winthrop, se io interrogassi la vostra servitù, confermerebbe la vostra storia sulla morte di un cucciolo?
Mina era pallidissima e le sue mani tremavano. Aprì la bocca per parlare, ma non trovava le parole. Aveva le labbra secche.
— Signora Winthrop — disse cupamente, odiando se stesso per essere costretto a dire quelle parole. — Sappiamo che vostro marito vi picchiava...
La sua testa fece uno scatto verso l'alto, il suo viso pallido inorridì. — Oh, no, no! — disse involontariamente. — È stato... incidentalmente... lui... è stata colpa mia. Se fossi meno maldestra, meno stupida... io l'ho provocato con... — le parole le morirono sulle labbra, mentre fissava Bart.
Victor guardò Mina, gli occhi vuoti e duri, aspettando.
— Non è colpa tua! — disse Bart tra i denti. — Non m'importa un accidente di quanto siate stupido o insistente o polemico! Niente giustifica...
— Bart! — la voce di Mina si alzò quasi in un grido, le mani volarono verso la bocca. — Vi sbagliate! Vi sbagliate! Non era niente! Lui non intendeva farmi del male. L'avete del tutto frainteso. Oakley non era... crudele! Era l'whisky. Appena lui...
Victor guardò il terrore di Mina, e Bart, la faccia bianca e straziata dall'indecisione.
— Non è fare del male? — chiese molto gentilmente.
— No, no, Victor caro, finiva tutto molto in fretta — lo assicurò. — Bart è solo un po'... — esitò — protettivo verso di me.
— Questo non è vero! — La voce di Victor era bassa, quasi soffocata. — Ti ha fatto del male... è spaventoso! Si vede dalla tua faccia! Tu avevi terrore di lui, e lui non ha fatto altro che farti sentire sempre piena di vergogna, e inutile...
— No! No, questo non è vero. Lui non intendeva farlo! E io sto benissimo, ve lo assicuro.
— Perché quel maiale è morto! — sibilò Bart. Stava per aggiungere qualcos'altro, ma non andò avanti. Mina scoppiò in lacrime sprofondando nel sofà con le spalle piegate, scossa da violenti singhiozzi. Bart avanzò a lunghi passi quasi travolgendo Victor lungo il cammino, e prese Pitt con violenza per il braccio, spingendolo verso la porta. Victor rimase immobile.
Nel vestibolo Pitt non protestò, e qualche momento dopo, quando sentì le dita di Bart che gli stringevano il braccio allentarsi un po', prese a camminare lungo il marciapiede verso l'arteria principale. Era una serata chiara, e c'era ancora luce. Non si aspettava che tutto accadesse così in fretta.
Trascorse circa un quarto d'ora a sorseggiare un bicchiere di sidro in un pub, poi continuò la sua strada mentre il velo di nubi si faceva sempre più fitto e la luce del giorno andava smorzandosi. Da qualche tempo era certo di essere seguito. Dapprima fu soltanto una sensazione, la consapevolezza di un suono che echeggiava all'unisono con i suoi passi, arrestandosi quando si fermava lui, riprendendo quando lui si rimetteva a camminare.
Quando raggiunse Marylebone Road era buio, e Pitt fece uno sforzo per non aumentare la velocità. Era una strana, irritante sensazione, e molto sgradevole. Se le sue supposizioni erano esatte, per quanto vaghe fossero, costruite su impressioni e poche tracce tangibili di prove decisive, dietro di lui doveva esserci il Carnefice, che lo guardava, si avvicinava, aspettando il momento opportuno. Doveva avere l'arma con sé. Doveva averla presa da un luogo nascosto e aver lasciato la casa, affrettandosi per raggiungerlo.
A dispetto della sua decisione di apparire naturale, non poteva fare a meno di affrettare il passo. Udì il rapido, irregolare ticchettio, il ticchettio dei propri stivali sul marciapiede, e dietro di lui, ora più vicino, l'eco dei passi, rapido e leggero, del suo inseguitore.
Marylebone Road svoltava in Euston Road. Un landò lo oltrepassò, i fanali gialli della carrozza, gli zoccoli dei cavalli che battevano sui ciottoli. Adesso stava camminando più in fretta che poteva, pur senza correre. Intanto veniva avanti il lampionaio, che piegava il suo lungo bastone su ogni lucignolo e l'uno dopo l'altro faceva scaturire alla vita una fila di brillanti globi isolati, tra i quali si allungavano zone di oscurità che nascondevano i passanti, persone che tornavano a casa, stanche per la giornata o in attesa della sera. Vide l'alta sagoma di un cappello a cilindro contro la luce mentre un uomo lo superava con passo veloce.
La stazione di Euston era soltanto a un centinaio di metri davanti a lui. Si sentiva addosso il sudore freddo della paura, e respirava con affanno anche se non si era ancora messo a correre.
I passi gli si erano avvicinati.
Non osò un confronto là in quel punto. Finché non fosse stato realmente aggredito, non aveva prove. Tutto il suo tiranneggiare Mina non avrebbe raggiunto alcuno scopo.
Svoltò dentro l'ingresso della stazione ferroviaria. Era tardi e non c'era molta gente in giro. L'aria fresca della sera dopo la giornata calda si era tramutata in nebbia. In mezzo al frastuono dei treni e allo sbattere delle porte, ai fischi e allo sbuffare delle locomotive, al sibilo del vapore, non poteva più udire i passi dietro di sé.
Sulla pensilina si girò. C'era un facchino; un vecchio signore con una borsa diplomatica, una donna con i capelli che apparivano neri nella luce tenue, e uno scialle intorno alle spalle; un giovane nella penombra, che sembrava aspettasse qualcuno. Stava arrivando un'altra donna, che si guardava attorno con ansia.
Pitt percorse la pensilina, poi si girò e si mise a correre verso il ponte che attraversava i binari. Si arrampicò; i gradini erano scivolosi. Udì i suoi stivali risuonare contro i bordi di metallo di ogni rampa. Nuvole di vapore fluttuavano verso l'alto raccogliendosi in nebbia e in pioggerella. Le luci della banchina erano una confusione di informi, scintillanti globi, che nuotavano nella sera incipiente e nella grigia pioggia delle luci anteriori del treno e del vapore che esso eruttava.
C'era ancora troppo rumore perché fosse possibile udire i passi di qualcuno, persino i propri. Non riusciva neppure a vedere la pensilina.
Improvvisamente avvertì un movimento, un senso di violento pericolo, un odio così bruciante che era come un pizzicore sulla nuca.
Si voltò.
Victor Garrick era a un metro da lui, la luce proveniente dal basso che gli nascondeva la faccia cinerea, gli occhi infuocati e i capelli biondi, quasi scintillanti d'argento. Sopra di lui, stretta nella mano destra, c'era una sciabola della Marina, sollevata per colpire, con la lama che scintillava.
— Vi state dando troppo da fare! — singhiozzò, le labbra tirate indietro sui denti, la faccia distorta da un tormentoso dolore interiore. — Siete proprio come gli altri! — gridò al di sopra del rombo. — Voi ferite la gente! La fate sentire a disagio e spaventata e piena di vergogna, e non vi permetterò di farle nient'altro! — Sferzò l'aria con la corta sciabola e Pitt si spostò di lato, appena in tempo per evitare un fendente alla spalla. Sarebbe stato un colpo terribile, che come minimo gli avrebbe mozzato un braccio.
Pitt indietreggiò rapidamente mentre Victor lo oltrepassava e gli girava intorno.
— Non potete cavarvela! — Victor gridò. Il respiro gli sibilava attraverso i denti e le lacrime gli scorrevano lungo il viso. — Perché mi ingannate? — Il grido gli uscì come un suono terribile, spaventoso, e sembrava che non guardasse Pitt, ma un punto dietro di lui. — Bugiardi! Bugiardi! Continuate a dire che non fa male... ma io lo so che lo fa! Fa male finché tutto il corpo comincia a dolere, e giacete sveglio tutta la notte, raggomitolato, ferito, pieno di vergogna, pensando che è tutta colpa vostra e aspettando la prossima volta! Io ho paura! Niente ha senso! Voi non avete fatto che mentirmi! — La sua voce era un grido e di nuovo la corta sciabola fendette l'aria. — Anche voi avete paura! Ho visto la vostra faccia, e le ammaccature e il sangue! Posso sentire l'odore della vostra infelicità. Posso continuare a sentirne il sapore in bocca! Non vi lascerò proseguire! Vi fermerò! — Di nuovo sferzò selvaggiamente l'aria con la lama.
Pitt indietreggiò disperatamente. Non osava servirsi del bastone; quella lama l'avrebbe tagliato in due lasciandolo senza difese.
Era tutto molto semplice ora: il prepotente Winthrop, che aveva colpito Mina; il bigliettaio dell'omnibus, che aveva danneggiato senza pietà l'amato violoncello; l'arrogante Scarborough, che aveva licenziato la cameriera e minacciato di rovinarla; si trattava sempre di ammaccature e di donne indifese. Doveva aver aggredito Bailey mentre questi stava indagando nei pressi della casa di Bart all'epoca degli assassinii, e spaventato Mina. Lei era ossessionata dal terrore che Bart fosse colpevole, per lo meno della morte di Winthrop.
— Ma perché avete ucciso Arledge? — gridò con voce rauca.
Dietro di loro un treno eruttò vapore e lanciò un fischio.
Victor lo guardò con occhi vuoti.
— Perché avete ucciso Arledge? — gridò di nuovo Pitt. — Lui non è stato prepotente con nessuno!
Victor si era piegato un po' sulle ginocchia per rimettersi in equilibrio, una mano sulla ringhiera, l'altra stretta intorno alla sciabola.
Pitt si spostò di nuovo di lato, proprio in direzione della lama. — Che cosa ha fatto Arledge?
Per un momento Victor apparve sorpreso. La sua faccia mostrò un'improvvisa confusione. La rabbia svanì e lui rimase immobile.
— Non sono stato io.
— Sì che siete stato voi. Gli avete tagliato la testa e lo avete lasciato nel chiosco dell'orchestra. Non vi ricordate?
— No, non sono stato io! — La voce di Victor era un urlo stridulo al di sopra del sibilo e del frastuono dei treni. Si protese in avanti, agitando la lama, il peso che lo trascinava. Pitt balzò di lato e poi verso di lui, afferrandolo per le spalle, mentre la mano di Victor, contratta sull'elsa, si abbatté sul suo braccio con tale violenza che lui lasciò cadere il bastone e lo udì sbattere contro il ponte.
Pitt si lasciò sfuggire un grido di dolore e di paura, ma fu coperto dal fischio del treno. Il vapore cominciò a fluttuare intorno a loro. Lui caricò in avanti, a testa bassa, e afferrò Victor per il petto. Tutto il peso del giovane era su un solo piede mentre si tendeva per colpire di nuovo. Perse l'equilibrio e cadde all'indietro. La ringhiera lo colpì nel mezzo della schiena e il peso della sciabola lo trascinò ancora oltre. Il piede scivolò sul metallo umido del ponte.
Pitt si precipitò appresso a lui, cercando di afferrargli il braccio, ma gli scivolò dalle mani. Victor sollevò le gambe, colpendo Pitt e facendogli perdere l'equilibrio.
Con un grido di sorpresa, e poi di improvviso terrore, Victor si spostò verso l'esterno e scomparve nelle luci anteriori di un treno in arrivo.
Il rumore dell'impatto si perse nel rombo della locomotiva e nel fischio lacerante. Per uno sconvolgente secondo la faccia pallida del macchinista rimase impressa nella mente di Pitt, e poi tutto fu finito. Fra avvinghiato alla ringhiera con le mani che gli tremavano, il corpo gelato e la mente illuminata da un'acre, improvvisa consapevolezza, e da un'innegabile pietà.
Victor se n'era andato. La sua rabbia e il suo dolore erano irraggiungibili ormai.
Poi mentre il vapore si diradava e lui si girava, vide un'altra figura dietro di lui. Stava avanzando, appoggiandosi alla ringhiera e aggrappandovisi come una persona cieca nel buio, la faccia cinerea.
La fissò con orrore. Improvvisamente era tutto chiaro. Era a lei che Victor gridava, non a Pitt. Quella spaventosa emozione era diretta a lei, e in essa tutto il terrore e il dolore del passato.
— Non lo sapevo! — Le sue parole erano cariche di strazio. — Non l'ho mai saputo fino a stasera, lo giuro!
— No — rispose lui, così sopraffatto dalla pietà che la sua voce era soltanto un sussurro.
— È stato suo padre, capite — continuò lei, disperata perché temeva che lui non potesse capire. — Mi picchiava. Non era un uomo perverso, soltanto non riusciva a controllare la sua ira. Mi ero sempre imposta di dire a Victor che tutto andava bene, che non stavo male. Pensavo che fosse la cosa giusta da fare! — La confusione e la disperazione superavano persino il dolore per quello che era accaduto. — Pensavo di doverlo proteggere. Pensavo che le cose sarebbero andate meglio, capite? Non volevo che lui odiasse suo padre, e Samuel non era cattivo... soltanto... — Era pervasa dall'ansia di farsi capire. I suoi occhi cercarono la faccia di lui, desiderava che le credesse. — Ci amava, a modo suo, lo sapevo. Me lo diceva così... spesso. Era colpa mia se era così arrabbiato. Se fossi stata...
— È finita — disse Pitt, andando verso di lei. Non poteva più sopportare tutto questo. Sotto di loro il treno si era fermato, il vapore ondeggiava nell'aria, e c'erano uomini che correvano lungo la banchina e gridavano. Lei non doveva vedere. Qualcuno doveva portarla via. Qualcuno doveva cercare di alleviare il terribile dolore che c'era dentro di lei. — Venite. — La prese per un braccio e la trascinò verso i gradini. — Non c'è nient'altro qui, ormai.
La stessa mattina Charlotte, dopo la prima colazione, era andata direttamente da Emily. Si misero a sorseggiare una limonata, sedute in giardino. Era una mite giornata di sole. E a parte questo, avevano deciso di sedersi fuori per essere lontano dalla servitù. La situazione era disperata. Dovevano elaborare dei piani che era meglio che non fossero uditi. Jack avrebbe disapprovato decisamente, lui aveva le mani legate, date le nuove responsabilità. Ma a parte il desiderio di giungere alla soluzione del caso, la cosa più urgente da farsi era difendere Pitt.
— Come diavolo si fa a scoprire l'identità dell'amante di qualcuno? — chiese disperatamente Charlotte, sorseggiando la sua limonata. — Non possiamo seguirla.
— Non avrebbe senso — osservò Emily. — E comunque richiederebbe troppo tempo. Potrebbero passare giorni prima che si vedano di nuovo. Dobbiamo fare qualcosa di più rapido.
— Ma se lei non lo incontrasse? — disse Charlotte disperata.
— Allora dobbiamo costringerla a farlo! — Emily non aveva assolutamente perso la sua intraprendenza. Quell'inaspettata vittoria l'aveva riempita di fiducia. — Dobbiamo mandarle una lettera, o qualcosa del genere. Un invito, facendo in modo che sembri venire da lui.
— Si accorgerà che non è la sua calligrafia — obiettò Charlotte. — E poi, gli innamorati di solito hanno un modo speciale di comunicare tra loro, un vezzeggiativo o un nome affettuoso o qualcosa del genere.
Emily la guardò corrugando la fronte.
— A parte questo — continuò Charlotte — anche se lei rispondesse, non sapremmo comunque chi è lui.
— Non essere così disfattista — disse Emily con un filo di asprezza. — Dovremmo fare in modo che lei vada da lui, e allora verremmo a sapere chi è.
— E anche lui verrebbe a sapere chi siamo noi — finì Charlotte per lei. — Scoprirebbero che sta succedendo qualcosa di molto strano. Potrebbe sembrare soltanto la più volgare delle curiosità. Potremmo fare più danno che bene. — Rimise sul tavolo il bicchiere della limonata. — Non dimenticare che scoprire chi è lui non è che l'inizio. Avere un ammiratore non è un delitto, anzi se sei discreta, non è neppure considerato una colpa
Emily la guardò accigliata. — Vuoi risolvere questa faccenda o no?
Charlotte non si curò di risponderle.
— Non penso che Dulcie si tradirà — disse pensierosa, riprendendo la sua limonata. Era davvero deliziosa e molto rinfrescante. — Ma lui potrebbe farlo.
— Ma noi non sappiamo chi è — ribatté Emily. — Per prima cosa dobbiamo conoscerlo, dobbiamo metterci sulle sue tracce... tramite lei.
— Non sono certa che sia del tutto vero.
Emily aggrottò le sopracciglia improvvisamente molto concentrata. — Hai qualche idea?
— Forse. Proviamo a esaminare quali doti potrebbe avere
— Per essere un amante? — Emily sembrava incredula. — Non essere assurda. Deve essere virile... questo è tutto. Qualsiasi altra cosa è solo questione di gusti.
— Come sei semplicistica — disse Charlotte in tono acido. — Intendo dire che dovrebbe spiegare il motivo per cui Aidan Arledge è stato assassinato ora, invece che prima, o più tardi, o, meglio ancora, mai! La maggior parte della gente che ha un amante non uccide il coniuge. Perché questa volta è accaduto, e perché proprio adesso?
Emily rimase in silenzio per parecchi minuti, sbocconcellando sovrappensiero un pezzo di dolce prima di rispondere.
— Le circostanze sono cambiate — rispose lei finalmente. — Questa è la sola cosa che può avere senso.
— Sì, lo ammetto, ma in che modo? — Anche Charlotte prese una fetta di torta.
— Qualcuno l'ha scoperta? No, questo vorrebbe dire che hanno ucciso colui che li ha scoperti, se lui, o lei, minacciava un ricatto. L'ha scoperta il marito, e lei stava per essere esposta al pubblico ludibrio? O addirittura stava per essere ripudiata per adulterio?
— Quando lui aveva una relazione d'amore con Jerome Carvell? Difficile!
— Lei lo ha scoperto con Jerome Carvell e lo ha ucciso in un accesso di disgusto — azzardò Emily.
— Thomas pensa che lei non conoscesse Jerome Carvell — disse Charlotte. — Sospettava che lui avesse un amante, ma pensava che si trattasse di una donna, come avrebbe fatto qualsiasi altra moglie.
— Ma Thomas pensa che lei sia una vedova addolorata — rispose Emily con una smorfia. — Non sa che anche lei ha un amante.
Charlotte ammise di essere d'accordo standosene in silenzio. L'opinione di Pitt su Dulcie era una cosa su cui non desiderava soffermarsi.
— Amo Thomas alla follia — continuò Emily — ma lui non sempre sa giudicare le donne. Pochissimi uomini lo sanno fare — aggiunse con gentilezza. — Be', potrebbe esserci qualcos'altro. Forse l'amante stava per lasciarla, perché lei non poteva sposarlo, e lei doveva rendersi libera per impedirgli di abbandonarla per sempre.
— E forse lui doveva sposare qualcun'altra — disse Emily con crescente ansia. — Questo restringe automaticamente il campo. Non ci sono molti gentiluomini dell'età di Dulcie Arledge non ancora sposati e rispettabili.
Poteva non essere della sua età, ma quello era un argomento che nessuno di loro desiderava prendere in considerazione.
— Pensi che lui intendesse davvero lasciarla? — Charlotte aveva qualche dubbio.
— No. Allora va bene, se lui non stava per rendersi indisponibile, forse è diventato improvvisamente disponibile! Mentre prima non c'era la possibilità che lei fosse libera, perché lui non lo era, ora lui lo è, così anche lei ha fatto in modo di essere libera.
— Questo può avere senso — ammise Charlotte. — Sì, in realtà, sembra abbastanza plausibile. Oppure, può essere qualcuno che lei ha incontrato soltanto di recente.
— Anche questo. E potrebbe trattarsi di Bart Mitchell, il fratello di Mina Winthrop.
— Thomas lo sospettava, penso, ma non per quella ragione.
— Per quale ragione?
— A proposito di Mina.
— Che cosa aveva a che fare Arledge con Mina?
Charlotte spiegò il poco che sapeva.
Emily liquidò la cosa. — Oppure anche qualcuno come Landon Hurlwood, che è rimasto vedovo da poco. Lui è di colpo disponibile, mentre prima non lo era. Adesso è davvero molto appetibile. — La sua voce era vibrante di entusiasmo. — Non posso biasimare nessuna donna che sia un po' innamorata di lui. E immagino che se lui ti facesse la corte, sarebbe molto facile perdere un po' il senso delle proporzioni.
— Colpire tuo marito alla testa e poi decapitarlo e lasciarlo nel parco non è una bagatella — si affrettò a dire Charlotte. C'era, comunque, anche un filo di entusiasmo in lei, ed Emily trascurò le parole in favore del tono.
— Dunque lui può avere le caratteristiche adatte, non è vero? — Emily si chinò in avanti, i gomiti sul tavolo di ferro battuto.
— Sì — ammise Charlotte con crescente convinzione. — Sembra proprio la persona giusta. Ma immagino che debbano essercene molte altre. Come si fa a decidere che è lui?
— Dobbiamo farlo? — Emily la guardò imbarazzata. — Sai bene che è quasi certamente la risposta giusta!
— Certo che lo so. Ma abbiamo bisogno di dimostrarlo per essere sicure. Poi dobbiamo sapere se ha ucciso Aidan Arledge e, naturalmente, se Dulcie lo sa.
— Oh. — Family si lasciò sfuggire un lungo sospiro. — Be', la faccenda si fa interessante. Come si può fare? Soprattutto perché Thomas non sembra disposto a...
— Lui non ha mai pensato a Dulcie — disse Charlotte, mordendosi un labbro e sentendosi attraversare di nuovo da una fitta di gelosia.
— Forse lei era convinta che lui non l'avrebbe mai presa in considerazione.
Questa volta fu Charlotte a lanciarle un'occhiata esasperata.
— Sì, immagino che sia così — ribadì Emily. — Non è affatto ingenua. Mi dispiace. Che cosa dovremmo fare?
— Dobbiamo esserne sicure. — Charlotte parlava più a se stessa che a Emily. Riprese a pensare per qualche istante. — Dobbiamo provocare una reazione — disse finalmente.
— In chi? Dulcie? Come potrebbe esserci d'aiuto? Non lo tradirà mai.
— Non in Dulcie, in lui!
— Ma non sappiamo chi è. Non è detto che sia Landon Hurlwood. Potrebbe essere anche Bart Mitchell, o non so quanti altri!
— Be', incominciamo con Bart Mitchell e Landon Hurlwood. — Charlotte si morse il labbro. — Anche se devo confessare che non so bene come procedere.
Emily rimase a pensare per un momento, poi la sua faccia s'illuminò in un sorriso.
— Lo so io. Evidentemente la faccenda è segreta, e se avesse qualcosa a che fare con la morte di Aidan Arledge, saranno disperati all'idea di doverla mantenere tale a lungo. Si può solo verificare se si sono innamorati quando lei è rimasta vedova. Se tu o io li incontrassimo, in società naturalmente, così sembrerebbe molto casuale — si chinò in avanti —, e facessimo qualche osservazione, con l'aria di sapere, allora rimarrebbero talmente sconcertati che sapremmo immediatamente se abbiamo di fronte la persona giusta.
Charlotte aprì la bocca per protestare che non poteva assolutamente fare una cosa simile, ma la sua voce si spense mentre ricordava la situazione disperata di Pitt, la sua destituzione, e ancora di più quello che avrebbe significato la perdita della casa, quello che avrebbe detto la madre, la maligna soddisfazione che avrebbe provato la nonna, ma soprattutto, il dolore dello stesso Pitt.
— Sì — disse, senza la minima idea di come avrebbe potuto mettere in atto la cosa. — Sì, questa è un'ottima idea. Faremo meglio a incominciare immediatamente. Io mi occuperò di Bart Mitchell, perché posso incontrarlo da Mina. Tu devi sondare il signor Hurlwood. — Si alzò in piedi. — Come lo troverai non ne ho idea, ma questo è affar tuo. — E dopo aver abbracciato Emily, senza aspettare di udire se c'erano scuse o scappatoie, fuggì via attraverso la porta-finestra e raggiunse il vestibolo e la strada.
Arrivò a casa di Mina nel giro di un'ora, molto prima di Pitt, e fu accolta con il piacere e con quella specie di tranquillità che di solito esiste solo in una buona amicizia. In un'occasione normale si sarebbe sentita in colpa a sfruttare in tal modo un sentimento così generoso, ma quel giorno nella sua mente non c'era spazio per nulla al di fuori della necessità.
— Come sono felice di vedervi, signora Pitt — disse Mina con entusiasmo. — Com'è la vostra nuova casa, vi trovate a vostro agio ora?
— Certo, vi ringrazio — rispose Charlotte vedendo con immenso sollievo Bart Mitchell dietro di lei. — Mi piace moltissimo. Buongiorno, signor Mitchell.
— Buongiorno, signora Pitt — rispose lui, senza preoccuparsi di nascondere la sua sorpresa. Fece un passo avanti.
— Per favore, non andatevene per colpa mia — disse lei un po' troppo in fretta. — Mi dispiacerebbe molto. — Subito dopo si sarebbe presa a calci per essersi comportata tanto precipitosamente. Si sentiva ridicola. D'altra parte, se lui se ne fosse andato, il suo viaggio sarebbe stato inutile, e non c'era tempo da perdere. Al massimo dopo qualche giorno Pitt sarebbe stato escluso dal caso per sempre.
— Be'... io... — Sembrava incerto. Non era la reazione che si sarebbe aspettato.
Poi a Charlotte venne un'idea pazza, disperata e assurda, ma non c'era posto per la dignità in quel momento. Era a Thomas che doveva pensare.
Non le fu difficile fingere di arrossire. Infatti si sentiva piuttosto stupida. Abbassò gli occhi modestamente, come per nascondere i suoi sentimenti, e poi li alzò improvvisamente su di lui come aveva visto fare da innumerevoli donne. Emily l'avrebbe fatto con un effetto sconvolgente. In quanto a lei, aveva cercato di farlo alcune volte in gioventù, e aveva prodotto una certa impressione.
Bart sembrò ancora più stupefatto, ma non se ne andò; sedette invece sul sofà, come se intendesse rimanere a lungo.
Per l'amor del Cielo. Era possibile che fosse stato attratto da lei? Oppure era soltanto lusingato?
Mina stava dicendo qualcosa e Charlotte non aveva udito una sola parola. Doveva prestare attenzione, altrimenti avrebbe finito con l'aggravare la situazione mostrandosi ancora più idiota.
— Come siete gentile — mormorò, sperando che la frase si adattasse alla circostanza.
Mina suonò il campanello e, non appena comparve la cameriera, ordinò una limonata fresca. Doveva averle chiesto questo.
Charlotte si spremette le meningi per trovare un intelligente argomento di conversazione. Non sapeva niente dei pettegolezzi che circolavano in società, non aveva né i mezzi né l'inclinazione per seguirli; le discussioni politiche non erano adatte alle donne; non s'interessava di moda. Non desiderava affrontare apertamente l'argomento del Carnefice. Non andava a teatro da mesi, e neppure a concerti.
— Come va il vostro braccio? Spero che la scottatura sia guarita — disse per riempire il silenzio.
— Sì, certo — rispose Mina, inarcando le sopracciglia come se non se lo fosse aspettato. — Molto più rapidamente di quanto avessi potuto pensare. Credo che il vostro tempestivo intervento mi abbia risparmiato un infinito disagio.
Charlotte emise un sospiro di sollievo. — So che l'acqua fredda lenisce molti mali, anche se il più delle volte non costituisce una cura. Ma nel caso delle scottature, rende alla fine tutto più facile, e non rimane altro che qualche segno. Siete d'accordo, signor Mitchell?
— Mi sento in dovere di esserlo, signora Pitt — ribatté lui con un sorriso. — Sebbene io abbia poca dimestichezza con le scottature domestiche.
— Ne avete con altri tipi scottature, forse? — continuò lei con più disperazione di quanto il leggero tremito della sua voce tradisse.
Il sorriso di lui si allargò. — Oh, sì. Ho curato quasi per caso delle scottature da sole con l'acqua fredda.
— Scottature da sole? Che cosa interessante. — Gli diede un'occhiata piena di trasporto come se quello fosse il più affascinante argomento immaginabile. Lui aveva gli occhi di un azzurro eccezionale.
Bart distolse lo sguardo con discrezione e cominciò a raccontarle dei suoi viaggi in Africa, di come fosse stato ustionato dal sole e poi, dopo essere caduto da cavallo mentre attraversava un largo fiume in piena, di come avesse sentito ben presto un vero sollievo al dolore e alla debolezza che aveva cominciato a sentire come effetto di quell'ondata di calore. Era una storia interessante e lui la raccontò con umorismo e vivacità. Lei non dovette fingere di provare interesse.
La cameriera portò la limonata, che era deliziosa, e Charlotte continuò a fargli domande sulle sue esperienze, alle quali lui rispose con spontaneità. Mina sedeva dritta sul sofà, le mani ripiegate in grembo, un lieve sorriso sulle labbra, completamente a suo agio.
Ma il tempo stava scivolando via. Charlotte non aveva compiuto alcun passo decisivo che potesse dimostrare la sua convinzione. Se Bart Mitchell era l'amante di Dulcie, stava mascherando i suoi sentimenti con consumata abilità. E poi, più lei approfondiva la sua conoscenza, più si convinceva che per lui la cosa sarebbe stata naturale e facile. Non avrebbe tradito la donna che amava, né intenzionalmente né inconsapevolmente né per mancanza di autocontrollo.
Si sentì sempre più sciocca a ogni momento che passava. Pregò il cielo che Emily se la stesse cavando meglio. Doveva buttarsi a qualunque costo. Doveva almeno provare!
— Da quanto tempo siete tornato dall'Africa, signor Mitchell? — chiese con occhi spalancati. In realtà non era così difficile civettare con lui quanto poteva sembrare. Conoscendolo meglio, si stava rivelando una persona molto simpatica, e di bell'aspetto.
— Dall'autunno dell'anno scorso, signora Pitt — rispose lui.
— Oh... poco tempo. — Le parole le uscirono involontariamente. Deglutì, sperando che il disappunto non suonasse così chiaro alle orecchie di lui come alle proprie. Tuttavia, forse non ci voleva troppo tempo per innamorarsi... ad alcune persone. Neppure a lei stessa probabilmente ci sarebbe voluto più tempo. E Bart Mitchell non sembrava un uomo che avesse bisogno di mezzo anno per impegnare i propri sentimenti. — Vi state godendo la vita di società di Londra, oppure vi sembra molto noiosa, dopo tutte le vostre avventure? — Era una domanda stupida. Non meritava che una risposta educata. — Oh... vi domando perdono! — Si affrettò a dire. — Come potreste dire diversamente? Ma, per favore, rispondetemi sinceramente a questo: se vi manca la sensazione del pericolo e qualcosa di nuovo ogni giorno. — Parlava troppo in fretta, eppure sembrava incapace di moderarsi. — La continua sfida alla vostra immaginazione e al vostro coraggio, la vostra abilità nel sopportare le avversità, e il dover trovare un modo per cavarvela di fronte alla scarsità di mezzi o ai danni subiti.
— Mia cara signora Pitt. — Le sorrise mostrando un divertimento che sembrava molto genuino. — Vi assicuro, non avevo intenzione di darvi una risposta che fosse semplicemente educata. Non vi considero una donna che trascorre il suo tempo in chiacchiere oziose. Infatti, penso che ci sia uno scopo nella maggior parte di ciò che fate.
Si sentì ardere la faccia. Era molto più vicino alla realtà di quanto, a Dio piacendo, lui avesse idea!
— Oh — lei disse con imbarazzo. — Io... ehm...
— Per rispondere alla vostra domanda — continuò lui — naturalmente mi manca una grande quantità di cose dell'Africa, e a volte Londra sembra insopportabilmente noiosa, ma ci sono anche momenti in cui io mi vedo attorno i giardini verdeggianti e la freschezza dei fiori primaverili, splendidi edifici, e mi rendo conto di quanta vita e civiltà ci siano dietro, di quanta bellezza e creatività, e mi sento entusiasta di trovarmi qui.
Lei tenne gli occhi bassi. — Dovrete tornare in Africa, signor Mitchell?
— Un giorno, credo — rispose lui con noncuranza.
— Ma non avete progetti immediati? — Trattenne il respiro aspettando la sua risposta.
— Nessuno — disse con un'inflessione divertita nella voce.
— Naturalmente — disse lei in tono molto gentile — la signora Arledge ne sarà contenta. Ma voi ben difficilmente l'avreste lasciata. — Alzò gli occhi di colpo per cogliere la sua espressione.
Non vi era il minimo senso di colpa, solo un profondo smarrimento.
— Prego? — disse lui, corrugando un po' la fronte.
Non si era mai sentita così profondamente stupida in vita sua. Aveva civettato senza ritegno con un uomo del tutto rispettabile, e gli aveva fatto pensare di avere il cervello completamente vuoto, e ora non riusciva a pensare a nessun modo elegante per cavarsela.
— Oh... — Si agitò disperatamente. — Ho paura di essermi espressa molto male. Penso di aver interpretato erroneamente qualcosa che mi è stato detto. Vi prego di perdonarmi. — Non osava guardarlo, e si era dimenticata della presenza di Mina.
Ma lui non intendeva lasciargliela passare così facilmente.
— La signora Arledge? — chiese.
— Sì... io... — le parole le morirono sulle labbra. Non trovava assolutamente nulla che potesse spiegare la sua osservazione.
— Sembra una donna di grande dignità — continuò lui. — Ma non è una persona con la quale io abbia niente di più che una brevissima e formale conoscenza. Infatti penso che la messa di Requiem per suo marito sia stata l'unica occasione nella quale l'ho incontrata. Voi la conoscete bene?
— No! Io... io avevo avuto l'impressione che foste... ma deve essere stato qualcun altro. Credo di non aver ascoltato attentamente, e di aver capito male o di essermi sbagliata. Sono spiacente. — Per lo meno lo sembrava e incontrò i suoi occhi. — Per favore, dimenticate quello che ho detto. È stato molto stupido da parte mia.
— Certo, se lo desiderate.
— Gradite altra limonata? — offrì Mina, parlando per la prima volta da quando era stato sollevato l'argomento dell'Africa. Era rimasta ad ascoltare con attenzione e piacere, ma non li aveva interrotti. Sollevò quindi il bricco d'argento con aria invitante.
— No, vi ringrazio. Siete molto gentile, ma devo andare. — Charlotte si alzò in piedi con più fretta che grazia. Non vedeva l'ora di fuggire. — Non voglio prolungare una visita così piacevole. Vi ringrazio molto di avermi ricevuto in modo così generoso mentre io vi ho fatto visita senza preavviso o invito. In realtà desideravo solo dirvi che il vostro consiglio ha riscosso molto successo, e vi sono veramente obbligata.
— È stata ben poca cosa — disse Mina con un cenno della mano. — Sono felice se vi siamo risultati simpatici.
— Forse... tra un po', sarete così gentili da invitarmi? — le chiese Charlotte, porgendole uno dei suoi biglietti stampati da poco con sopra il nuovo indirizzo. Soltanto dopo che Mina l'ebbe preso si ricordò che con tutta probabilità lei e Pitt non sarebbero più stati là. A meno che non fossero così fortunati da risolvere il caso.
— Forse vorrete invitarci voi, signora Pitt? — chiese Bart con un sorriso che non nascondeva un genuino desiderio.
— Vi ringrazio — accettò lei, augurandosi di non mettere mai più piede in quel posto. — Non ne vedo l'ora!
Volò fuori nel vestibolo e attraversò la porta mentre la cameriera gliel'apriva, e camminò con una fretta indecorosa lungo la strada verso l'arteria principale e il primo omnibus che riuscì a trovare.
Emily, da parte sua, non si fece prendere dall'ansia per trovare Landon Hurlwood. Le occorse un po' più di inventiva per scoprire dove potesse essere. Una volta che l'ebbe saputo, indossò un abito di alta moda, di mussolina bianca con un ramoscello di fiori blu sulla spalla, con le maniche larghe, e un meraviglioso cappello con la calotta alta e una piuma di struzzo sul bordo dell'ala, e chiamò la sua carrozza.
Occorreva essere molto puntuali per incontrarlo. Infatti dovette far sostare la carrozza, causando un ingorgo, per circa quindici minuti, prima di vederlo lasciare il suo ufficio in Whitehall e dirigersi verso Trafalgar Square. Fortunatamente c'era uno splendido tempo primaverile, e la giornata era ideale per passeggiare.
Scese senza l'aiuto dell'esterrefatto cocchiere, e si mise a inseguire la sua preda.
— Signor Hurlwood! — esclamò con aria felice quando si trovò a una decina di metri. — Che piacere vedervi!
Lui la guardò stupito. Evidentemente, il suo pensiero era rivolto a qualche faccenda di governo e di amministrazione che aveva appena discusso, o che voleva proporre di discutere la volta successiva. I convenevoli mondani non erano previsti a quell'ora del pomeriggio, nel cuore della City.
— Buon pomeriggio... signora Radley — disse con sorpresa. Sollevò il cappello e si fermò, spostandosi un po' di lato per permettere il passaggio ad altri. — Come state?
Lei sorrise in modo incantevole. — In ottima salute, vi ringrazio. Che deliziosa giornata, vero? Ci si sente illimitatamente ottimisti con un tempo del genere.
— Davvero — ammise lui affabilmente. — Avete proprio ragione. È stata una bella vittoria, e più dolce proprio perché inaspettata, almeno per alcuni.
— Oh, sì! Mi dispiace di non averci creduto neppure io all'inizio. Avrei dovuto avere più fiducia, vero?
Lui sorrise. — Da quanto dimostrano gli avvenimenti, sì, ma penso che sia molto più saggio cominciare con la modestia, e rallegrarsi in seguito, piuttosto che viceversa.
— Oh, certo. Sono dispiaciuta per il povero signor Uttley che non ha accettato molto bene la sconfitta. Si deve imparare a essere prudenti, non siete d'accordo? Controllare le proprie emozioni rappresenta una gran parte del successo nella vita pubblica, penso. — Lo disse in tono interrogativo, guardandolo con grandi occhi, del tutto innocenti.
— Credo che abbiate ragione — disse lui lentamente, piuttosto incerto su ciò a cui lei si riferisse oltre che a Uttley, tuttavia consapevole che intendeva fare più di una semplice osservazione.
— Quello che si viene a sapere se non ci si è comportati con la più grande discrezione è un'altra faccenda. — Piegò la testa con un sorrisino di intesa. — Relazioni amorose che sono... molto riservate.
Lui sembrava un po' a disagio, ma Emily non sapeva se il suo fosse senso di colpa o semplice imbarazzo per un'osservazione piuttosto di cattivo gusto.
— Penso che la signora Arledge stia sopportando molto bene una perdita tanto spaventosa, non vi sembra? — continuò. — Non poteva accadere in un momento più difficile. Ma io sono certa che le sarete di grandissimo conforto, e sarete la personificazione del buon senso e della discrezione.
Lui arrossì violentemente e la mano sul pomo del bastone si contrasse. La sua voce era un po' rauca quando rispose.
— Sì... certo. Si fa quel che si può. — Era un'osservazione priva di significato, e lo sapevano entrambi. I suoi occhi furenti, pieni di disagio le diedero la risposta che cercava. Un'ammissione a parole era superflua.
— Non vi trattengo, signor Hurlwood — disse con grazia. — Sono sicura che avete importanti faccende di cui occuparvi, e siete già stato tanto cortese. Vi auguro una buona giornata. È stato un gran piacere incontrarvi. — E con un sorriso affascinante, tutta innocenza e moine, scivolò via e riattraversò la strada verso la carrozza in attesa e il valletto convinto che non fosse il caso di meravigliarsi per quello che stava facendo la sua padrona.
— Che cosa facciamo ora? — si affrettò a dire Emily, corrugando lievemente la fronte. Lei e Charlotte erano sedute nel salottino di Emily ad Ashworth House. Era un posto migliore che non il salotto sul retro, perché sebbene Jack si trovasse alla Camera dei Comuni, era possibile che potesse tornare, e quella era una conversazione che sarebbe stato meglio che non udisse, neppure in parte.
A sua volta, Charlotte aveva lasciato detto che non sapeva a che ora sarebbe tornata, e quindi diede istruzioni a Gracie perché facesse cenare i bambini e li mettesse a letto, e informasse il padrone, se fosse tornato, che la padrona si trovava in visita a Emily e che avrebbe potuto rimanervi anche per la notte. Di solito non lo faceva, ma non poteva farne a meno. Naturalmente la differenza era che Charlotte aveva raccontato le ragioni a Gracie, mentre Emily non voleva affatto che i domestici ne sapessero alcunché. Erano tutti molto impressionati dalla vittoria di Jack, ed era possibile che volessero dargli dimostrazione della loro lealtà rivelando il suo segreto.
— Dobbiamo trovare delle prove, se ce ne sono — replicò Charlotte.
— Ci deve essere un legame, no?
— Soltanto se l'ha fatto uno di loro. Se sono innocenti, non c'è.
Emily agitò la mano. — Non pensiamoci neppure. Come pensi che sia accaduto? Voglio dire, come potrebbe averlo fatto lei, se è stata lei?
Charlotte rifletté per parecchi minuti.
— Be', non è molto difficile colpire qualcuno sulla testa, se questi si fida di te e non si aspetta una cosa del genere. Mostrandosi gentile nei suoi confronti...
— Lo si può attirare dove si vuole. — Emily afferrò il bandolo della matassa. — Un uomo fatto, anche se mingherlino, sarebbe terribilmente difficile da trasportare una volta che abbia perso i sensi. Come diavolo è riuscita lei a metterlo nel chiosco dell'orchestra nel parco?
— Una cosa alla volta — la rimproverò Charlotte. — Restiamo a quando l'abbiamo colpito sulla testa.
— Be', partiamo da qui. Che cosa stai aspettando?
— Di portarlo nel posto giusto, naturalmente. Occorre un piano. Deve essere anche il momento giusto. Non vogliamo che rimanga in giro per ore.
— Perché no? — chiese subito Emily. — Ha importanza?
— Certo che ne ha! C'è la servitù. Come puoi spiegare ai tuoi...
— D'accordo — la interruppe Emily. — Sì, capisco. Allora deve avvenire dopo che la servitù si è ritirata, o in un posto in cui loro non andranno. Che cosa ne dici del giardino? Dopo che è sceso il buio, è certo che il giardiniere non ci stia lavorando. Una serra o un ripostiglio per i vasi?
— Ottimo — convenne Charlotte. — Come lo si persuade ad andare nella serra al buio?
— Per mostrargli qualcosa...
— Qualcosa come se si fosse udito un rumore?
— Manderesti il domestico — rispose Emily.
— Oh, sì, certo. Io non ho un domestico.
— Tu non hai neppure una serra.
Charlotte sospirò di rimpianto per un breve attimo. Se fossero stati in grado di conservare la nuova casa, avrebbe potuto averne una. Con il tempo avrebbe anche potuto assumere un domestico. Ma tutto questo non aveva importanza in quel momento.
— Allora lo si attira nella serra — ragionò — dicendo che c'è qualcosa di speciale da vedere. Un fiore che sboccia di notte e che ha un profumo particolare.
— Si parla di fiori con un marito che si vuole uccidere? — chiese Emily con una smorfia.
— Allora qualcos'altro. Non so... qualcosa di sbagliato che ha fatto il giardiniere? Qualcosa di stravagante di cui si ha bisogno di parlare con un uomo, oppure il suo permesso di licenziarlo e di assumere qualcun altro?
— D'accordo. Lo porti nella serra, lo fai chinare su qualsiasi cosa ci sia da guardare, e lo colpisci sulla testa nel modo più violento che ti riesce con qualsiasi cosa ti venga in mano. Del resto nella serra ci saranno un mucchio di attrezzi che si possono usare. E poi?
— Lo lasci là — pensò Charlotte a voce alta. — Fino a notte fonda, quando puoi ritornare, per portare via la sua testa...
— Impacchettata in modo conveniente — la interruppe Charlotte.
— Impacchettata?
— Con qualcosa che non lasci passare il sangue!
— Oh. — Charlotte arricciò il naso con disgusto, ma si rese conto che era un'osservazione estremamente pratica. — Sì, certo. Doveva essere qualcosa che lei aveva preparato, o anche qualcosa che fosse impermeabile e che si sarebbe potuto lavare.
— Per esempio... che cosa? Da che cosa si può lavare il sangue senza lasciare macchie?
— Tela impermeabile? — chiese Emily dubbiosa. — Ma perché lei avrebbe dovuto possedere della tela impermeabile? Non è il genere di cose che uno tiene in casa. Io non possiedo nulla di neppure lontanamente simile.
— Era del giardiniere? — pensò Charlotte a voce alta. — E poi lei avrebbe potuto passare per un giardiniere attraversando il parco. — La sua voce si alzò eccitata mentre le tornava la memoria. — Ed è stato visto un giardiniere nel parco, che spingeva una carriola! Emily! Forse quello era l'assassino.... che spingeva il corpo di Aidan Arledge dalla sua casa fino al chiosco dell'orchestra.
— Allora era Dulcie, o Landon Hurlwood? — chiese Emily.
— Non ha importanza! — rispose Charlotte concitata. — Se era Hurlwood, non può averlo fatto senza che lei lo sapesse. Lei è colpevole in entrambi i casi. Arledge deve essere stato ucciso nella serra e trasportato nel parco con la carriola!
— Allora dobbiamo dimostrarlo — disse Emily alzandosi. — Saperlo non serve se non lo si dimostra.
— Noi non lo sappiamo. È soltanto una supposizione — osservò Charlotte, alzandosi in piedi anche lei. — Dobbiamo dimostrarla a noi stesse prima di tutto. Dovremo andare là... trovare il posto. Ci dovrebbero essere ancora macchie di sangue, se sapremo dove guardare.
— Be', sarà difficile che lei ci conduca a fare un giro per la serra, se è là che ha tagliato la testa al marito, non ti sembra? — ribatté Emily.
— No, certo che no. — Charlotte respirò a fondo e si lasciò cadere sulla sedia. — Dovremo andare di notte a sua insaputa.
— Introdurci in casa? — Emily era incredula, la sua voce si alzò in una nota acuta. Poi, appena l'orrore fu svanito dal suo viso, uno sguardo pieno di audacia e di entusiasmo lo sostituì. — Noi due sole? Dovremo andare stanotte. Non c'è tempo da perdere.
Charlotte deglutì. — Sì, stanotte. Dovremo... dovremo andare da qui, il più presto possibile... be', intorno alla mezzanotte, penso. — Guardò Emily con espressione interrogativa.
— Mezzanotte è ancora troppo presto — disse Emily. — Potrebbe essere ancora alzata a quell'ora. Io a volte lo sono.
— Tu non sei in lutto. Lei non deve andare a cene o a danzare.
— Non dovremmo uscire prima dell'una.
— Oh... be', io non oso tornare a casa. Thomas vorrebbe...
— No certo — ammise Emily. — Non potremo partire da qui. Questo è chiaro. Anche a Jack avrei difficoltà a spiegarlo. Gli prenderebbe un attacco di collera! Dovremo andarcene da qui e aspettare da qualche parte fino all'una.
— Dove? Come dovremo vestirci? Dobbiamo metterci qualcosa di pratico. Non dovremo fare un'effrazione nel vero senso della parola. Tutto quello di cui avremo bisogno dovrebbe trovarsi nella serra o nel ripostiglio del giardiniere. Ma ci servirà una specie di lampada. Vorrei avere una torcia da poliziotto.
— Non abbiamo tempo — disse Emily con rimpianto. — Porterò un fanale da carrozza, quello potrebbe andare.
— E come ci arriveremo? Non possiamo certo aspettarci che il tuo cocchiere ci porti.
— Dovremo farci portare da qualcuno qui vicino. È semplice. Conosco qualcuno proprio dietro l'angolo. Dirò che devo fare una visita.
— All'una del mattino e vestita da ladro — esclamò Charlotte con una risatina involontaria.
— Oh... sì. — Emily si morse il labbro. — Be', forse no. Dirò che quel qualcuno sta male. Sotto indosserò un abito adatto per l'occasione e sopra metterò un ampio scialle. Tu dovrai fare lo stesso. — E prima che Charlotte potesse protestare, aggiunse: — Ti troverò qualcosa da mettere. Ci faremo prestare gli abiti da una delle mie cameriere. Loro indossano stoffe semplici, dai colori scuri. Andrà benissimo. Vieni. Abbiamo un mucchio di cose da fare. — Lanciò a Charlotte un'occhiata impaurita e di tremante eccitazione.
Con il cuore in gola, Charlotte la seguì.
All'una e cinque, Charlotte ed Emily, vestite con abiti di tessuto scuro e con scialli avvolti intorno alla testa (Emily soprattutto per nascondere il pallido splendore dei suoi capelli), strisciarono lungo il marciapiede verso il cancello del giardino di Dulcie Arledge. Il fanale della carrozza non era acceso; i lampioni della strada erano sufficienti, e comunque le due donne desideravano disperatamente non essere notate.
— È il prossimo — sussurrò Charlotte. — Ho un coltello e uno spiedo nel caso ci fosse da aprire una serratura.
— Uno spiedo? — chiese Emily.
— Uno spiedo da cucina. — Sai... quelli che si usano per provare se le cose sono cotte.
— No, non lo so. Io non cucino. Sei capace di usarlo?
— Certo che sono capace. Tutto quello che c'è da fare è ficcarlo dentro.
— E la porta si apre? — disse Emily con sorpresa.
— No, certo che no, stupida! Per sapere se la carne o il dolce sono cotti.
Emily ridacchiò, e davanti a lei Charlotte ebbe un piccolo singulto di eccitazione, e rise a sua volta.
Quando ebbero raggiunto il cancello, era infatti chiuso con il chiavistello, ed Emily fu costretta ad accendere il fanale e a reggerlo, con la schiena rivolta a Charlotte e gli occhi colmi di paura che scrutavano la strada, mentre Charlotte faceva girare lo spiedo con cautela e infine riusciva ad aprire senza molta fatica il catenaccio. Emily spense immediatamente il fanale, e insieme fecero scattare la serratura, tolsero la catena e aprirono la porta.
Scivolarono dentro con un sospiro di sollievo e accostarono di nuovo il cancello, avendo cura di portarsi via la catena e il lucchetto, nel caso qualcuno dovesse accorgersi che era aperto.
Charlotte si guardò intorno. C'era molto buio. Il muro era alto abbastanza da bloccare quasi tutta la luce che proveniva dai lampioni della strada, e il cielo era troppo coperto per permettere alla luce pallida della luna di effondere poco più che una debole luminescenza.
— Non vedo niente — sussurrò Emily. — Non riusciremo a trovare neppure la serra, figuriamoci le macchie di sangue.
— La serra possiamo trovarla — rispose Charlotte. — Riaccenderemo il fanale quando saremo dentro.
— Pensi davvero che ci sia qualcuno sveglio a quest'ora?
— È meglio non rischiare. Saremmo scoperte prima di poter trovare qualcosa, e come diavolo potremmo spiegare la nostra presenza?
Il ragionamento fece ammutolire Emily. Il pensiero che potessero essere scoperte era troppo spaventoso anche da sfiorare. Non sarebbero riuscite a trovare alcuna scusa.
Con Charlotte in testa, s'inoltrarono lungo uno stretto sentiero di ciottoli, scivoloso per il muschio e la rugiada, Emily aggrappata alla gonna di Charlotte per non perdersi nell'oscurità. Se fosse successo e poi si fossero trovate faccia a faccia nel buio, sarebbe stato sufficiente per far saltare loro i nervi. Un urlo, per quanto involontario, avrebbe svegliato il vicinato.
L'enorme mole della casa si ergeva alla loro sinistra, nera contro le nubi pallide, e davanti a loro c'era una linea interrotta di tetti e l'orlo seghettato di un tetto più basso, con un elegante pinnacolo che terminava con un dito aguzzo rivolto verso l'alto.
— La serra? — chiese Emily a bassa voce.
— Un vivaio — rispose Charlotte.
— Come lo sai?
— Il pinnacolo — le sussurrò a sua volta Charlotte. — Non c'è un pinnacolo sulla serra. Deve essere là dietro, girato l'angolo.
— Sei sicura che ne hanno una?
— Devono averla. Ogni casa di queste dimensioni ha una serra o un ripostiglio per i vasi. La serra sarebbe meglio.
— Perché?
— Più facile attirarvi lui. Come potresti attirare tuo marito nel rispostiglio dei vasi nel cuore della notte?
Emily ridacchiò nervosamente. — Non essere ridicola. In un vivaio, forse. Un romantico appuntamento? Ti metti la tua più bella vestaglia e ti sdilinquisci tra i gigli?
— Difficile. Se sei sposata da vent'anni... e lui del resto preferisce gli uomini. Dannazione! — Quest'ultima imprecazione fu aggiunta quando Charlotte inciampò e sbatté il piede contro una grossa pietra decorativa.
— Che cos'è? — chiese Emily.
— Una pietra. Tutto bene. — E con prudenza riprese ad avanzare lentamente.
Per cinque minuti nessuna di loro parlò. Nel frattempo girarono attorno al vivaio e strisciarono lungo la terrazza aperta verso una massa in ombra davanti a loro.
— Questa deve essere la serra — disse Emily speranzosa.
— Oppure un chiosco estivo — aggiunse Charlotte. — Forse potrebbe andare altrettanto bene. — Oh, no, certo che no. In un chiosco non c'è niente che possa coprirsi di macchie.
— Non vedo nessun vetro — disse Emily con una nota di disperazione.
— Non vedo niente del tutto! — rispose Charlotte.
— Se ci fosse il vetro che dovrebbe esserci dovremmo vedere uno scintillio! — sibilò Emily. — Non è così buio!
Charlotte si fermò e si guardò intorno lentamente, ed Emily, non essendosene accorta, andò a sbattere contro di lei.
— Dimmelo! — sbraitò. — Non fermarti senza dirmelo.
— Mi dispiace. Guarda! C'è uno scintillio. C'è un vetro lassù. Quella deve essere la serra. — E senza aspettare alcun commento, cambiò direzione. In pochi momenti furono davanti a un piccolo edificio dove indistinte lastre di vetro riflettevano l'incostante chiarore lunare in un disegno acquoso come raso opaco.
— È chiusa a chiave? — chiese Emily.
Charlotte posò la mano sulla porta e la provò. Si aprì immediatamente con uno sgradevole stridio di cardini non oliati.
Emily riprese a respirare.
— Il fanale! — ordinò.
Non appena furono dentro, Charlotte l'afferrò ed Emily lo accese di nuovo. Nel suo caldo alone l'interno della serra balzò ai loro occhi. Era una piccola stanza attrezzata per far fiorire precocemente fiori e ortaggi. Sui banconi erano disposti vassoi di lattuga e di tageti, ranuncoli e semine di consolida maggiore. In un altro scaffale c'erano parecchi gerani nei vasi.
— Il pavimento! — sussurrò Emily con voce acuta. — Non badiamo agli scaffali.
Charlotte abbassò il fanale verso l'assito sul quale posavano i piedi.
— Non riesco a vedere niente — disse Emily con acuto disappunto. — Mi sembra maledettamente piena di roba. Spostalo un po'. — L'ultima istruzione riguardava il fanale.
Charlotte si spostò un po' più avanti, reggendo il fanale con cura. L'angolo della sua gonna urtò un vaso di fiori e lo fece cadere con un tonfo sordo.
— Ah! — Emily trattenne il respiro con un grido soffocato.
— Ssst! — Charlotte riprese a spostare la luce. Poi la vide: una lunga macchia scura sul pavimento vicino alla parete opposta. — Oh...
Emily si chinò e la scrutò. — Potrebbe essere qualsiasi cosa — disse con profonda delusione. — Guarda. — Sopra c'era uno scaffale con vari barattoli e bottiglie che contenevano ogni tipo di concimi e misture di fertilizzanti, creosoto, e veleni per vespe.
— Probabilmente è creosoto — disse Charlotte cautamente. — Ma non necessariamente. Se io avessi sparso sangue dappertutto lo avrei mascherato aggiungendo qualcosa come questo. Presto, passami quella paletta.
— Che cosa vorresti fare?
— Scavare.
Per parecchi minuti Charlotte grattò la dura terra, raccogliendo con cura il terreno imbevuto di creosoto e mettendo a nudo un successivo strato il cui odore, quando lo sollevò cautamente fino al naso, era molto diverso. Non era acuto o pungente; era stantio e un po' dolciastro.
— Sangue? — disse Emily con un'esitazione nella voce.
— Credo di sì. — Lentamente Charlotte si rimise in piedi, la faccia pallida. — Ora dobbiamo cercare di trovare la carriola. Andiamo. È probabilmente fuori da qualche parte in questo periodo dell'anno.
Con molta cautela, il fanale tenuto basso e semicoperto da uno scialle, uscirono dalla serra in punta di piedi, chiudendosi la porta alle spalle, e tornarono nel giardino.
— Dovresti tenere la luce più alta — disse Emily con ansia. — Altrimenti non la vedremo mai.
Charlotte la sollevò obbediente.
— Dove si può tenere una carriola? — disse pensierosa, la voce così bassa che Emily fece fatica a udirla. — E le tele impermeabili? Mi chiedo dove siano.
— Forse le ha bruciate? — suggerì Emily. — Io l'avrei fatto.
— Soltanto se avessi un inceneritore, ma i domestici potrebbero accorgersene. La tela cerata manda un odore terribile. Comunque non credo che siano sue. Probabilmente appartengono al giardiniere. Lui le avrà dimenticate. No, lei deve averle lavate accuratamente e rimesse al loro posto. Ci deve essere un capanno da qualche parte, per vanghe e forconi e roba del genere. — Si girò intorno lentamente, tenendo la lampada più alta.
— Eccolo! — disse Emily, eccitata, proprio nello stesso momento in cui lo vide Charlotte. — Abbassa il fanale! Qualcuno può vederlo! Su, presto!
Rapidamente ma facendo attenzione, così da non incespicare o andare a sbattere contro qualcosa, si spostarono verso il capanno, che per fortuna non era chiuso a chiave. Una volta dentro posarono il fanale sul banco, sebbene non fosse assolutamente necessario. La carriola apparve subito lì davanti, e le tele cerate erano appese a un gancio sopra di essa.
Emily si lasciò sfuggire un gridolino di paura, e Charlotte rabbrividì per un improvviso senso di orrore, sapendo ciò che avrebbe visto. Con molta cautela, e il cuore che le batteva con tale violenza che sembrava scuoterle tutto il corpo, allungò la mano e fece scorrere le dita sulla superficie di legno della carriola.
— È umida? — chiese Emily.
— No, ovviamente no — ribatté Charlotte. — Ma ci sono molte macchie. Penso che siano anch'esse di creosoto. — Si spostò verso le tele cerate e avvicinò ad esse il fanale — C'è qualcosa qui nelle cuciture. Sono sicura che è sangue.
— Allora andiamo via! — sussurrò Emily prendendola per un braccio. — Abbiamo visto abbastanza! Andiamo via prima che qualcuno ci scopra!
Soddisfatta, Charlotte si voltò e tornò sui suoi passi, facendo impigliare lo scialle nel manico della carriola e tirando con violenza per l'improvvisa paura.
Fuori, stavano per spegnere la luce e per ritornare indietro, facendo lo stesso percorso, quando videro un'altra luce a circa dieci metri da loro, nel giardino.
Rimasero agghiacciate.
— Chi va là? — chiese una forte voce maschile. — Ferma, o sarà peggio per voi!
— Oh, Dio — gemette Emily. — È la polizia!
— Diremo che cosa abbiamo trovato! — disse Charlotte con vigore, ma le tremavano le gambe e il suo stomaco era piuttosto sottosopra. Per qualche istante i piedi non le obbedirono.
Emily cercò di parlare, ma non riuscì a emettere alcun suono coerente.
L'agente le aveva quasi raggiunte. La sua mantellina e i bottoni splendenti erano ben visibili. Lui reggeva la torcia e le fissava incredulo.
— Be', allora, che cosa abbiamo qui? Due cameriere che escono a rubare la lattuga, eh?
— No di certo — disse Charlotte con tutta la dignità alla quale riuscì a fare appello, che era però molto scarsa. — Noi siamo...
Emily si riprese di colpo e le assestò un potente calcio. Charlotte urlò e imprecò involontariamente.
— Ma senti! — disse l'agente con calma. — Non ci fosse bisogno di usare un linguaggio volgare, signorina. Chi siete e che cosa ci fate qui? Devo portarvi in guardina. Voi non abiterebbe qui. Conosco tutta la servitù della signora Arledge, e voi non siete una di loro, o due di loro dovevo dire.
Non c'era modo di sistemare la questione.
— No, non lo siamo! — disse Charlotte, trovando finalmente la voce. — Mio marito è il sovrintendente Thomas Pitt, della stazione di polizia di Bow Street. E questa è la mia... la mia cameriera. — Non c'era bisogno di coinvolgere Emily, almeno non ancora. Le sembrò di udire il sospiro di sollievo di Emily.
— Suvvia, signorina, ecco una stupida storia che non vi conduce da nessuna parte — osservò l'agente con una certa sorpresa.
— Questo è il teatro di un assassinio! — disse Charlotte con impeto. — Ci sono macchie di sangue in quella serra, e se non chiamerete il sovrintendente Pitt, non potrete accampare nessuna scusa poi!
— Sarebbe a casa nel suo letto — disse l'agente con fermezza.
— Certo che lo è. Abita al numero dodici, Gordon Square, Bloomsbury. Mandate a chiamarlo! — ordinò Charlotte imperiosamente. — E c'è un telefono.
— Be', io non so se...
Fu salvato da ulteriori discussioni o scuse da una luce che si accese in casa, mentre si apriva la porta del retrocucina.
— Che cosa sta succedendo? — gridò perentoriamente una voce d'uomo. — Chi c'è?
— La polizia, signore — rispose l'agente, in tono confidenziale. — Agente Woodrow, signore. Ho stato appena beccato due ladre nel giardino.
— Noi non siamo ladre — sibilò Charlotte.
— Voi statevi calma! — L'agente Woodrow cominciava a sentirsi a disagio; si trovava in una situazione assurda. — Non c'è bisogno di preoccuparsi, signore. È tutto sotto controllo, dite alla signora Arledge di non turbarsi. Ci provvedo io.
— Le cose non stanno affatto così — disse Charlotte con improvvisa disperazione. — Noi non siamo ladre. Mandate immediatamente a chiamare il sovrintendente Pitt. — Deglutì. Doveva essere allora o mai più. Era in gioco tutto, la carriera di Pitt, la loro casa. — Questo è il... il teatro di un assassinio!
— Assassinio? — Il maggiordomo, ancora in camicia da notte, uscì finalmente sulla soglia, la lanterna immobile in mano. — Chi è morto?
— Il signor Arledge, stupido! — disse Charlotte esasperata. — È stato ucciso nella serra, e trasportato al parco su una carriola. Adesso mandate a chiamare la polizia. Avete uno dei nuovi apparecchi telefonici?
— Sì, signora.
— Allora usatelo. Chiamate Bloomsbury uno-due-sette e troverete il sovrintendente Pitt.
— Be', un momento... — incominciò Woodrow, ma il maggiordomo si era già voltato ed era tornato in casa dalla porta sul retro. Un ordine preciso era meglio che starsene in camicia da notte sui gradini al freddo, a discutere con un agente. Conosceva il nome di Pitt, e la signora l'aveva ricevuto in casa. Avrebbe chiarito quella spaventosa situazione.
— Voi non dovesse fare questa cosa! — esclamò Woodrow, furibondo.
Una luce si accese sulle scale al piano superiore della casa.
— Guardate che cosa siete state a causare! — continuò. — Avete alzato quella povera signora Arledge. Come se non ha dovuto sopportare abbastanza, tutta la faccenda con la morte del marito e tutto il resto.
Charlotte lo ignorò stringendosi addosso lo scialle. Adesso che non erano più assorbite da ciò che stavano facendo, cominciavano a sentire freddo.
Emily tremava accanto a lei. Non voleva neppure pensare a quello che avrebbe potuto dire Jack quando sarebbe venuto a sapere il fatto. C'era solo la fragile speranza che la bugia di Charlotte potesse reggere.
Le cose peggiorarono con l'aumentare delle luci nella casa e il rumore di passi attraverso la cucina, e dopo un altro momento, la stessa Dulcie Arledge apparve sulla soglia del retrocucina, con indosso uno splendido scialle color azzurro cielo e con i capelli bruni che le ricadevano delicatamente sulle spalle.
— Che cosa sta succedendo qui? — chiese con educata sorpresa. — Avete trovato degli intrusi, agente? Ho sentito bene?
— È così, signora. — Woodrow fece qualche passo avanti, tirandosi dietro Charlotte ed Emily.
Emily si fece piccola piccola, ma certamente Dulcie non l'avrebbe riconosciuta in quella tenuta, all'incerta luce della lampada.
— Donne? — disse Dulcie incredula. — Sembrano donne.
— Sono donne, signora — convenne Woodrow. — In cerca di ortaggi, probabilmente. Non state a preoccuparvi, signora. Le portassi dentro e, al massimo, non dovete fare altro che confermare l'accusa contro di loro. Adesso andiamo. — Trascinò Charlotte molto meno gentilmente di prima. Sembrava che la pazienza l'avesse abbandonato e che avesse cambiato idea. La tranquilla autorità di Dulcie era bastata a dissipare ogni dubbio.
— Charlotte! — Nella voce di Emily il panico cresceva. — Pensa a qualcosa! Non solo sarà rovinato Thomas, ma anche Jack!
A mali estremi, estremi rimedi. Charlotte aprì la bocca e lasciò uscire un urlo da rompere i timpani.
— Dio! — L'agente Woodrow fece un balzo e lasciò cadere la torcia. Questa rotolò al suolo senza rompersi, finendo quasi contro il bordo di pietra del sentiero. Charlotte gridò di nuovo e fu ricompensata dalle urla che le risposero nella casa e da altri rumori.
— Che cosa ti è venuto in mente? — sibilò Emily furiosa.
— Testimoni — rispose Charlotte, e gridò di nuovo.
Woodrow imprecò con veemenza e si tuffò per raccogliere la torcia.
— Per l'amor del Cielo, smettetela! — ordinò Dulcie. — Disturberete tutto il vicinato. Che cosa diavolo vi succede? Calmatevi immediatamente!
Emily esitò, ormai sul punto di scappare via e abbandonare tutto.
Charlotte si diresse verso Dulcie e si arrestò nell'alone di luce che proveniva dalla porta sul retro, proprio mentre Landon Hurlwood, i capelli arruffati, la camicia da notte che spuntava da sopra e da sotto la veste da camera, appariva dietro Dulcie, con la faccia allarmata.
— Ti senti male? — le chiese, la voce rauca per l'ansia. Lei rabbrividì, mentre il sangue le si ritirava dal viso, lasciandola improvvisamente cinerea.
Hurlwood guardò davanti a lei verso Charlotte, ma non la riconobbe. Allora si girò verso l'agente. — Che cosa succede? Che cos'è tutta questa faccenda? C'è qualcosa di grave?
— Non c'è nessuno che starebbe male, signore — disse Woodrow, per la prima volta con voce incerta. Riconosceva uno scandalo quando ne vedeva uno, ma scoprirlo nella casa della signora Arledge distrusse completamente la sua imperturbabilità. — Questa donna — indicò Charlotte — questa donna si ha messo a urlare, ma nessuno l'avesse toccava, ce lo giuro.
Hurlwood la scrutò, e vide una giovane donna vestita da cameriera e con i capelli spettinati e la pelle macchiata di creosoto e di polvere. Allora i suoi occhi si spostarono verso Emily, che in quel momento si trovava anche lei sotto la luce.
— Signora Radley... — Poi impallidì, rendendosi conto finalmente di quello che Dulcie aveva visto fin dall'inizio.
— Non riesco a immaginare, signora Radley, che cosa vi abbia spinto a irrompere nel mio giardino nel cuore della notte — disse Dulcie, con voce fredda, tremante. — Ma non c'è nulla che possa fare per aiutarvi. Penso che siate pazza. Forse lo sforzo del parto, e poi la campagna politica, hanno minato la vostra salute. Vostro marito...
— Sta arrivando la polizia — la interruppe con fermezza Charlotte.
— La polizia è già qui! — puntualizzò Dulcie.
— Intendo dire il sovrintendente Pitt. — Charlotte si scostò i capelli dagli occhi. — Noi abbiamo trovato il luogo in cui è stato ucciso il signor Arledge. C'è ancora del sangue sul terreno, nonostante il creosoto che vi avete versato sopra. E anche la carriola con la quale lo avete trascinato fino al parco, dopo avergli tagliato la testa.
Dulcie aprì la bocca per protestare, ma la sua voce si spense in un rantolo.
Dietro di lei, Landon Hurlwood era così pallido che i suoi occhi sembravano buchi incavati nel suo teschio.
— E le tele cerate — continuò Charlotte implacabile. — Che avete usato per proteggervi dal sangue.
— Che stupidaggine! — disse Woodrow con un sussulto strangolato. — Perché la signora Arledge dovesse fare una cosa tanto spaventosa? È malvagità la vostra.
— Per essere libera di sposare il signor Hurlwood, ora che è morta anche sua moglie; per sottrarsi a un matrimonio finito e vendicarsi di venti anni di tradimenti — disse Charlotte, la voce stranamente piatta nel terribile silenzio. — Si è servita dei delitti del Carnefice per ucciderlo e trovare la soluzione ai suoi problemi.
Woodrow si girò verso Dulcie. Landon Hurlwood si era allontanato di un passo da lei, con una nuova, terribile consapevolezza dipinta sul viso, simile alla conoscenza della morte.
Dulcie lanciò a Charlotte un'occhiata di odio così intensa che Emily indietreggiò, e Charlotte sentì un brivido gelido scorrerle lungo il corpo. Allora Dulcie si girò verso Hurlwood.
— Landon! — si lasciò sfuggire un solo grido, poi vide la sua espressione - l'orrore, il senso di colpa che lo colpivano in modo lacerante, e la repulsione - e seppe che tutto era perduto.
Era impossibile dire quello che Dulcie avrebbe fatto subito dopo, perché il cancello del giardino si era spalancato senza che l'avessero udito e Pitt si trovava spettinato e semisvestito a neppure un metro da loro.
Dulcie si girò verso di lui, aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
Sulla faccia di Pitt era dipinta una profonda delusione, simile al dolore di un risveglio da un dolce e piacevole sogno a un'amara realtà. Poi Charlotte, che lo fissava, vide l'ammirazione e la tenerezza sbiadire finché ne rimase soltanto un doloroso residuo, quel briciolo di pietà che non lo lasciava mai, per chiunque o per qualunque ferita o colpa. E mentre una lama di gelo le attraversava il corpo, lasciandola tremante, si rese conto di come Thomas fosse rimasto profondamente colpito da Dulcie, e di come lei a sua volta fosse stata sul punto di perdere una parte di lui che non avrebbe mai potuto riconquistare.
— Agente, portate la signora Arledge alla stazione di Bow Street. È in arresto per l'assassinio di Aidan Arledge — disse lui con voce tranquilla.
Woodrow deglutì. — Sì, signore. Sì, signore! — E si fece avanti per obbedire.
Landon Hurlwood era impietrito, come un uomo che si fosse lasciato dietro le spalle il mondo dei rapporti comuni e delle meschine questioni della vita.
Pitt si girò verso Charlotte ed Emily.
— Tuo marito si prenderà cura di te — disse a Emily. — Tu, grazie a Dio, non hai il mio problema. — Si volse verso Charlotte. — Voi avete delle spiegazioni da darmi, signora. Siete colpevole di effrazione e di violazione di domicilio!
— Sei stato tu a scoprirla. — Charlotte trascurò completamente le sue parole. — Ti reintegreranno nella tua posizione finalmente?
Per alcuni secondi lui lottò virilmente per mostrarsi in collera, e perse. Nonostante i suoi sforzi, la sua faccia si aprì in un sorriso di sollievo. — Sì. Oggi ho anche preso il Carnefice.
— Ci sei riuscito? — Non si curò neppure di chi fosse o perché l'avesse fatto. Si lanciò in avanti e si gettò tra le sue braccia. — Tu sei eccezionale! Ho sempre saputo che sei eccezionale!
Lui la tenne più stretta che poté e le baciò la guancia, i capelli, gli occhi, e poi la bocca. Poi tese l'altro braccio e strinse anche Emily.
— Lo dirai a Jack? — chiese Emily con una vocina tremula.
— No — disse Pitt con una risata soffocata. — Ma lo farai tu!
FINE