— Non è il momento — bisbigliò lui di rimando. — I poveri comunque non hanno diritto al voto.

Emily emise un brontolio di irritazione.

— In qualsiasi strada!

— Che cosa ci dite dei parchi? — gridò un uomo grasso con un grembiule da venditore ambulante. — Anche là possiamo passeggiare al sicuro?

Ci fu uno scoppio di risa tra la folla e qualcuno fischiò.

— Non ora! — disse Uttley fissandolo l'uomo. — Non ora, amico mio. Ma tu potresti farlo... se la polizia facesse il suo dovere!

Ci fu qualche sporadico grido di approvazione.

— Volete le pattuglie nel parco? — chiese Jack ad alta voce.

— Buona idea, signor Radley — rispose Uttley, indicandolo con il dito per attirare su di lui l'attenzione di tutti. — Perché non lo avete detto nel vostro ultimo comizio? Non l'avete detto, lo so... neppure una parola!

Tutti si girarono a fissare Jack.

Jack esaminò le facce che si erano voltate a guardarlo.

— Volete le pattuglie di polizia nel parco? — chiese lui con aria innocente.

— Certo! — gridò un paio di loro, ma la maggior parte rimase in silenzio. Nessuno li contrastò.

— Che cosa dovrebbero fare? — continuò Jack. — Fermarvi... chiedervi che cosa state facendo? Chi state seguendo?

Ci fu un rombo di dinieghi.

— Perquisirvi per scoprire se avete armi addosso? — continuò. — Prendere nota del vostro nome e indirizzo?

— E come evitare che siate aggrediti, derubati o assassinati? — chiese Uttley. La folla lanciò un urlo di approvazione e ci fu un breve scoppio di risate.

— Oh. Non avevo pensato a questo — disse Jack, ancora con innocenza. — Dovete essere favorevoli, naturalmente. E così quando arriverà qualcuno, loro dovranno avvicinarsi abbastanza da poter prevenire ogni colpo improvviso o scatto in avanti. E se la persona dovesse risultare essere semplicemente un conoscente... — Si fermò tra alcuni mormorii di rabbia e facce infiammate. — Oh no... questo non dovrebbe accadere... perché noi sappiamo se era un conoscente quello che ha ucciso il Capitano Winthrop e il signor Arledge. Di chiunque si tratti, i poliziotti farebbero meglio a restare abbastanza vicini da poter intervenire se dovesse sembrare necessario.

— Non siate assurdo — incominciò Uttley, ma era stato sommerso da fischi e risate.

— Non volevate impiegare uno spaventoso numero di poliziotti? — chiese Jack. — In realtà, all'incirca uno per ogni persona che desidera fare una passeggiata. Forse dovremmo chiamare la stazione di polizia e chiedere una scorta. Sarebbe terribilmente costoso. Le tasse raddoppierebbero o triplicherebbero.

Ci furono urla di disapprovazione e di derisione, e un uomo rise fragorosamente.

— Questo è ridicolo! — gridò Uttley sopra la confusione. — Avete reso tutto assurdo. Ci sono strade migliori da percorrere.

— Allora, ditecele — lo invitò Jack, allargando le braccia.

— Sì — gridò la folla, guardandosi l'un con l'altro. — Avanti... ditecele!

Uttley si sforzò di farlo, ma apparve evidente che aveva pensato soltanto in termini generali, e quando gli venne chiesta una soluzione specifica, lui non riuscì a trovarla. La folla fischiò e rumoreggiò e Jack non ebbe bisogno di aiuto per stroncare il rivale. Infine, con la faccia rossa e infuriata, Uttley se la prese con lui.

— Che cosa fareste di meglio, Radley? Dateci la vostra risposta.

Come fosse un solo individuo la folla si girò a guardare Jack, gli occhi penetranti, colmi di scherno, come se volessero spogliarlo.

— Io accuso gli irlandesi! — gridò una donna, la faccia rossa dall'ira. — Ecco chi è stato... vedrete!

— Sciocchezze! — la contraddisse un uomo dai capelli neri con disprezzo. — Sono gli ebrei!

— Impiccateli! — gridò un uomo in verde, alzando il braccio. — Li impiccassero tutti!

— Deportateli! — gridò qualcun altro. — Portateli in Ostralia. Non dovevano mai liberarli dalla deportazione... ecco dove fosse lo sbaglio.

— Non si può far niente finché non li si prende — osservò Jack. — Io dico che la polizia deve diventare più professionale, con agenti che siano addestrati a fare quel lavoro, non signori che parlano in modo forbito e indossano begli abiti ma non riescono a prendere un ladro neppure se li chiudono in una stanza con lui.

— Sì! Sì, questo è giusto! — gridò qualcuno. Una donna magra vestita di grigio agitò la mano in segno di approvazione. Un uomo robusto, con baffi incerati, fischiò e disse con parole beffarde: — Che cosa c'hai contro i signori? Sei un anarchico, eh? Sei uno di quelli che vogliono far fuori la regina, vero?

— Certamente no — ribatté Jack, riuscendo con fatica a mantenersi calmo. — Io sono un leale suddito di Sua Maestà. E mi piacciono i signori... alcuni dei miei migliori amici sono gentiluomini. Anzi, io stesso lo sono.

Echeggiarono fragorose risate.

— Ma io non sono un poliziotto — continuò. — Non ne ho le capacità... e lo so. Neppure la maggior parte degli altri gentiluomini le ha.

— Neanche i nostri poliziotti ce le hanno, proprio per niente! — gridò il venditore di torte. — Sennò perché c'è il Carnefice di Hyde Park? Perché non lo prendessero?

— Lo faranno! — gridò Jack impulsivamente. — C'è un poliziotto di grande professionalità che si occupa del caso, e se il ministro degli Interni gli desse un aiuto invece di ostacolarlo, lui lo prenderebbe il Carnefice! — Non appena ebbe detto queste parole Emily capì che se n'era già pentito, ma ormai gli erano uscite.

La folla rumoreggiò scettica, e un paio di persone si girarono a guardare Uttley.

— Il Sovrintendente Pitt — disse Uttley con un sorriso di scherno. — Il figlio di un guardacaccia. So perché il signor Radley ha una tale fiducia in lui... sono cognati. Sapete qualcosa di cui il pubblico è all'oscuro, Radley? Qualcosa di segreto forse? Che cosa sta facendo la polizia? Che cosa sta facendo Pitt?

Ora la folla guardava Jack con sospetto e con aria minacciosa. L'umore era di nuovo cambiato.

— So che è un brillante poliziotto, che lavora più sodo di quanto un uomo possa fare — gridò Jack di rimando. — E se non sarà ostacolato dai poteri del ministro degli Interni e dal governo, che cerca di proteggere i suoi, allora il Carnefice lo troverà.

Serpeggiò un basso brusio di collera e di nuovo l'umore cambiò direzione e la rabbia si rivolse contro Uttley.

— Sì — disse un uomo grasso a voce alta. — Dateci una vera polizia, non dei maledetti elegantoni in abiti di lusso che non vogliono neppure sporcarsi le mani.

— È vero — aggiunse la donna delle bibite alla menta. — Liberiamoci di quelli là che proteggono la loro gente. Il Carnefice non può essere un povero pazzo. Forse è uno dei loro elegantoni che ci ha qualcosa di personale contro gli altri signori.

— Forse fossero pervertiti che prendessero le donne e che hanno d'accordo con i loro protettori per fare cose veramente disgustose.

Uttley aprì la bocca per negarlo, poi vide le loro facce e cambiò idea.

— È la nostra polizia, e questa è la nostra città — disse finalmente Jack. — Sosteniamoli e loro prenderanno quel mostro... chiunque sia: gentiluomo o pazzo... o entrambi.

Dalla folla si levò un applauso, e a uno a uno incominciarono ad allontanarsi.

Uttley saltò giù dai gradini della carrozza sui quali era rimasto in piedi e si diresse verso Jack ed Emily, gli occhi duri stretti a fessura, i muscoli della mascella contratti. — Risate a buon mercato — disse tra i denti. — Mezza dozzina di uomini che possono votare... forse. Il resto sono rifiuti.

— Se non fossero utili, che cosa ci fareste qui? — chiese Emily senza riflettere.

Uttley la guardò torvo. — Di questi problemi, signora, voi non sapete nulla. — Guardò Jack fissamente, senza batter ciglio. — Ma fate pure, Radley. Sapete chi sta con me... e chi con voi. — Le sue labbra si socchiusero in un lieve sorriso. — Avete fatto un grosso errore l'ultima volta, e si ritorcerà contro di voi. Vi siete fatto dei nemici. Sarà sufficiente... vedrete. — Detto questo, si voltò, ritornò alla sua carrozza e vi salì con un solo balzo. Gridò qualcosa al cocchiere e senza esitazione i cavalli si mossero mentre la frusta fischiava sulle loro schiene.

— Intende dire l'Inner Circle, vero? — disse Emily con un brivido come se il sole fosse scomparso, sebbene ci fosse la stessa luce di un momento prima. — Può fare davvero molta differenza?

— Non lo so — rispose Jack sinceramente. — Ma se è così, è un giorno molto nero per l'Inghilterra.

Charlotte si trovava in cucina dopo che Pitt era uscito per andare al lavoro. Daniel e Jemima si stavano preparando per andare a scuola, e Gracie stava rigovernando.

Daniel, di cinque anni, tossiva esageratamente, e poiché nessuno gli prestava attenzione, essendo Charlotte occupata con i capelli di Jemima, che aveva sette anni, lui si procurò un altro attacco.

— Daniel ha la tosse — disse Jemima per andargli in aiuto.

— Sì, ce l'ho — confermò Daniel immediatamente, e si fece venire una crisi parossistica per dimostrarlo.

— Non farlo più, altrimenti ti verrà il mal di gola — disse Charlotte con indifferenza.

— Ce l'ho — ribatté lui, annuendo con la testa, gli occhi fissi in quelli di lei, brillanti e chiari.

Charlotte gli sorrise. — Sì, mio caro, e ne deduco che hai anche aritmetica oggi, vero?

Era troppo piccolo per aver imparato a mentire bene.

— Non credo di stare abbastanza bene per l'aritmetica — disse candidamente. Il sole che entrava dalle finestre illuminò i suoi capelli splendenti, che avevano gli stessi bagliori ramati di quelli di lei.

— Ti sentirai meglio — gli disse allegramente.

La faccia di lui si rabbuiò.

— Ma se invece — continuò Charlotte, finendo di acconciare i capelli di Jemima e legandoli con un nastro — stai realmente male, allora è meglio che tu stia a casa...

— Sì! — disse lui con entusiasmo.

— A letto — concluse lei. — Domattina vedremo se starai abbastanza bene per alzarti. Gracie può prepararti del brodo di anguilla, e forse una farinata di avena molto liquida.

Il viso di Daniel si riempì di sgomento.

— Quindi potrai riprendere con la tua aritmetica quando starai di nuovo bene — aggiunse Charlotte in tono insensibile. — Jemima ti aiuterà.

— Sì, lo farò — intervenne Jemima. — Io so fare le addizioni.

— Penso che forse starò meglio — disse Daniel lentamente, rivolgendo a Jemima un'occhiata fredda. — Terrò duro.

Charlotte gli rivolse un sorriso radioso e gli diede un buffetto sul capo, sentendo i morbidi capelli sotto le dita.

— Lo immaginavo che sarebbe andata così.

Quando furono usciti e Gracie ebbe finito di lavare i piatti, Charlotte si accinse a svolgere i lavori domestici. C'erano vari indumenti che dovevano essere lavati con cura, soprattutto una camicia di Pitt che aveva un paio di macchioline di sangue poiché si era tagliato radendosi. Bisognava stendervi sopra della pasta d'amido, e lasciarla asciugare prima di spazzolarla via. Una forte soluzione di alcol e canfora avrebbe tolto la macchia d'olio sulla manica della sua giacca. Per l'unto era meglio il cloroformio. Avrebbe dovuto accertarsi con che cosa si era sporcata.

E il pizzo nero del vestito che aveva indossato per la funzione di commemorazione sembrava un po' sciupato, e doveva rinfrescarlo prima di riporlo. Avrebbe usato alcol e borace. Non aveva voglia di mandare a prendere dal macellaio il fiele di manzo da mettere nell'acqua calda, come le era stato consigliato per ottenere risultati migliori. C'erano anche le piume da arricciare, dal momento che le aveva rovinate usando l'arricciacapelli. Era molto meglio farlo con il manico d'avorio di un coltello. Era un lavoro noioso, ma necessario se voleva continuare a farsi prestare dai parenti abiti di alta moda e costosi. E naturalmente non avrebbe dovuto dimenticare i guanti di pelle nera che andavano strofinati con una fetta d'arancio, e poi con olio salato.

— Gracie — chiamò, poi si rese conto che Gracie non l'ascoltava. — Gracie!

— Sì, signora — Gracie, che stava fissando la credenza, si girò lentamente, la faccia imporporata.

— Che cosa succede? — chiese Charlotte.

— Niente, signora — si affrettò a dire Gracie.

— Bene. Allora scalda i ferri e io comincerò con il merletto. Penso che tu possa occuparti delle camicie del padrone ed eliminare quelle macchioline di sangue... tu sai come.

— Sì, signora. — E Gracie cominciò obbedientemente a tirar fuori i ferri da stiro e li posò sulla piastra della cucina a gas.

Charlotte salì a prendere le piume e, al ritorno, tirò fuori un coltello dal manico d'avorio. Ne aveva soltanto due, un coltello da burro troppo piccolo, e un coltello per le torte che andava proprio bene.

— Signora? — cominciò Gracie.

— Sì?

— Uh... oh... no, non ha importanza. — E spruzzò un'abbondante quantità di alcool per incominciare il suo lavoro.

Charlotte si mise ad arricciare le piume con molta attenzione, poi si rese conto che Gracie aveva messo l'alcol sulle macchie di sangue e non su quelle di grasso, e per di più aveva dimenticato la canfora.

— Gracie! Che cosa ti succede questa mattina? C'è qualcosa che non va. Dimmi che cos'è prima di fare qualche disastro!

Le guance di Gracie s'imporporarono e gli occhi le si riempirono di paura, mentre il viso si irrigidiva. Non riusciva a trovare le parole.

Charlotte a sua volta fu percorsa da un brivido di paura. Era molto affezionata a Gracie, forse non se n'era mai accorta fino a quel momento.

— Che cosa c'è? — chiese con voce più acuta di quanto volesse. — Stai male?

— No! — Gracie si morse il labbro. — So del signore che nel parco va dietro alle ragazze. — Deglutì con forza. — Ho andata là a parlare con una delle loro puttane un giorno. — I suoi occhi erano colmi d'infelicità. Stava mentendo, almeno in parte, e ne soffriva. — E lei mi ha detto che c'era un signore che gli piaceva picchiare le donne, picchiarle proprio di brutto, ferirle gravemente. Io avrei pensato che poteva essere il Capitano Winthrop. Lei ha detto che era grosso. E poteva essere che sarebbe un protettore che gli ha fatto quello. E l'altro signore lo conosceva. Potesse averlo visto, o qualcosa del genere, e così è perché lui l'ha fatto ancora.

Per un momento Charlotte riuscì soltanto a pensare che la teoria di Gracie era verosimile, e il suo morale salì alle stelle.

— Potrebbe essere — si affrettò ad ammettere. — Potrebbe essere benissimo!

Gracie fece un pallido sorriso.

Poi Charlotte fu colpita dall'altro aspetto della questione.

— Gracie! Sei andata fuori di nuovo a indagare! Non è vero?

Gracie abbassò gli occhi e fissò il pavimento in un infelice silenzio, aspettando che arrivasse lo schiaffo.

— Tu sei andata nel parco di notte per trovare una di quelle donne, è così?

Gracie non lo negò.

— Stupida bambina! — esplose Charlotte. — Non ti rendi conto di quello che ti sarebbe potuto accadere?

— Loro possono punire severamente il padrone se lui non prenderebbe il Carnefice. — Gracie continuò a rimanere con gli occhi bassi.

Charlotte si allarmò al pensiero che quello che diceva Gracie era vero, e poi si sentì in colpa per essersi assentata da casa troppe volte.

— Dovrei picchiarti per aver corso un rischio simile — disse furiosamente, deglutendo con forza. — E lo farò, lo giuro, se oserai rifare una cosa del genere! E come diavolo potrò raccontare al padrone quello che sai senza dirgli come l'hai scoperto? Puoi rispondere a questo?

Gracie fece di no con la testa.

— Dovrò pensare invece a qualcosa di molto più intelligente.

Gracie annuì.

— Non startene là a dimenare la testa e basta. È meglio che cerchi di pensare anche. E togli quelle macchie di grasso dalla manica mentre lo fai. Sarebbe meglio che almeno gli riordinassimo gli abiti.

— Sì, signora! — Gracie sollevò la testa e le rivolse un sorrisino.

Charlotte le sorrise di rimando. Era sua intenzione rivolgerle un bel sorriso, ma il suo finì per essere semplicemente un profondo sospiro.

Charlotte trascorse il pomeriggio nella nuova casa. Ogni giorno sembrava capitare qualche nuovo disastro o esserci qualche nuova grossa decisione da prendere. Il capomastro aveva un'espressione perennemente ansiosa e scuoteva la testa dubbioso, mordendosi il labbro, prima che lei finisse di formulare la sua nuova richiesta.

Comunque, con l'aiuto dell'ottimo catalogo di Young & Marten, per mercanti costruttori e fornitori, lei fu in grado di controbattere la maggior parte delle sue affermazioni in modo molto puntiglioso, e a poco a poco cominciò a guadagnarsi il suo rispetto.

Il principale problema era che lei era in corsa contro il tempo. La casa di Bloomsbury era stata venduta e avrebbero dovuto lasciarla entro quattro settimane, e la nuova casa non era ancora pronta per trasferirvisi. La maggior parte dei lavori più grossi era stata fatta. Le istruzioni della zia Vespasia erano state seguite alla lettera, e finalmente c'era una cornice di gesso immacolata dove prima si trovava quella vecchia. C'era anche un nuovo rosone sul soffitto, ma mancavano completamente intonaci e tappezzerie, e il problema dei tappeti non era ancora stato risolto. Per ogni stanza c'erano mille decisioni da prendere.

Quando aveva parlato con Emily pensava di sapere esattamente quale colore desiderasse in ciascuna stanza, ma quando arrivò il momento di acquistare la carta da parati e la pittura, non ne era più sicura. E se doveva essere sincera, non riusciva più a concentrarsi sulla questione. Non poteva ignorare i titoli dei giornali e il tono degli articoli che criticavano la polizia in generale... e l'uomo che era incaricato del caso di Hyde Park in particolare. Era una cosa enormemente ingiusta. Su Pitt si erano riversati gli effetti devastanti degli assassinii di Whitechapel e degli attentati dei Feniani e di una dozzina di altri problemi. C'era anche un malcontento generale nei confronti della classe politica; la povertà dilagante, le idee anarchiche provenienti dall'Europa e i contrasti interni rendevano instabile il trono, su cui peraltro sedeva una regina vecchia e acida che si era chiusa in un lutto perpetuo, e un erede che sprecava tempo e denaro con le carte, le corse dei cavalli e le donne. I cadaveri senza testa ad Hyde Park erano semplicemente il catalizzatore che raccoglieva la rabbia e la paura generali.

Tutto questo poteva aiutare a sgravarsi la coscienza, ma non doveva assolutamente essere usato come alibi. Thomas era troppo fresco di promozione. Mìcah Drummond avrebbe dovuto capirlo; lui era un gentiluomo, un membro dell'Inner Circle, finché non se ne era staccato, con tutti i rischi che questa decisione comportava, e un amico personale di tutti i suoi pari e superiori. Thomas non era nessuna di queste cose, non lo sarebbe mai stato. Avrebbe dovuto guadagnarsi ogni grado della sua carriera... ed essere sottoposto continuamente a verifiche.

Charlotte si guardò intorno nella stanza, la mente che si rifiutava di concentrarsi. Sarebbe stata davvero una buona idea dipingerla di verde? O sarebbe stato un colore troppo freddo? A chi avrebbe potuto chiedere un parere? Caroline era occupata con Joshua, e comunque Charlotte non desiderava vederla e occuparsi anche di quel problema.

Emily era indaffarata con Jack e la battaglia politica era ormai vicina.

Pitt stava lavorando così duramente che era difficile vederlo per più di qualche minuto finché non tornava a casa la sera, affamato ed esausto. Quella sera lei avrebbe dovuto fare un'eccezione, comunque si sentisse suo marito, per comunicargli ciò che Gracie aveva scoperto, quando avesse deciso il modo in cui farlo. Ma certamente non era il caso che lo affliggesse con i problemi domestici... ammesso che avesse una vaga idea di quale colore andasse bene in una stanza. Nel corso della loro vita matrimoniale lui aveva amato o detestato una stanza, senza mai esprimere osservazioni al riguardo.

Poi le ritornò alla mente un brano di una conversazione svoltasi durante la funzione in memoria di Oakley Winthrop. Charlotte aveva discusso di arredamento con la vedova, Mina. Non avrebbe voluto farlo, ma le era sembrato che alla signora Winthrop facesse piacere e, a giudicare dalle sue osservazioni, la vedova era un'esperta. Avrebbe chiesto l'opinione di Mina. Sarebbe servito a due scopi, quello relativamente insignificante di decidere se la carta della stanza dovesse essere verde o no, e quello molto più importante, e più urgente, di aiutare forse Thomas. Con la scoperta di Gracie era diventato ancora più urgente che riuscissero a sapere qualcosa di più sul capitano, e se possibile sulle sue abitudini.

Non ebbe bisogno di riflettere sulla decisione. Ormai l'aveva presa. Il suo abito non era adatto per recarsi in visita, ma sarebbe stata una perdita di tempo tornare a Bloomsbury a cambiarsi, per poi dover prendere l'omnibus per raggiungere Curzon Street. Sarebbe stato stravagante salire su una carrozza a nolo. Si lavò almeno la faccia e si aggiustò rapidamente i capelli prima di uscire nel sole e camminare a passo veloce fino alla più vicina fermata dell'omnibus.

Non aveva pensato a quanto potesse sembrare impertinente ciò che stava facendo finché non arrivò sulla soglia della casa del defunto Capitano Winthrop, dove osservò le imposte chiuse e i drappi scuri sulla porta: solo allora si chiese che cosa diavolo avrebbe detto.

— Sì, signora — disse la cameriera con una voce che era poco più che un bisbiglio.

— Buongiorno — rispose Charlotte, conscia che il suo viso era diventato improvvisamente paonazzo. — La signora Winthrop è stata così gentile da darmi un ottimo consiglio alcuni giorni fa. Ora mi trovo nella dolorosa necessità di saperne di più e mi chiedevo se potesse dedicarmi qualche minuto del suo tempo. Capirò senz'altro se ritiene che il momento non è adatto. Sono dispiaciuta di averle fatto visita senza prima informarla. La sua gentilezza mi ha fatto dimenticare le buone maniere.

— Vado a chiedercelo, signora — disse la cameriera con aria dubbiosa. — Ma sono sicura che non posso dire se lei vuole, datosi che la casa è in lutto.

— Certo — ammise Charlotte.

— Chi devo dire che ha venuto, signora?

— Oh... la signora Pitt. Ci siamo incontrate alla funzione in memoria del Capitano Winthrop. Ero con Lady Vespasia Cumming-Gould.

— Sì, signora. Glielo dico, se non ci dispiacerebbe aspettare qui. — E lasciò Charlotte in piedi nell'atrio mentre correva via a piccoli passi.

Non fu la cameriera a tornare, ma la stessa Mina, con indosso quello che sembrava essere lo stesso vestito nero con il collo alto e i polsini a punte di pizzo. Era alta come Charlotte ma molto più snella, simile a una bambina, con la pelle chiara e il collo di un'incredibile fragilità. Sembrava stanca, gli occhi pesti, come se nel segreto della propria stanza le forze l'avessero abbandonata, ma la sua faccia s'illuminò di piacere alla vista di Charlotte.

— Come sono felice di vedervi — disse immediatamente. — Non avete idea di quanto sia malinconico sedere qui un giorno dopo l'altro, senza nessuno che venga a trovarmi se non per porgermi le sue condoglianze, e d'altra parte non è decoroso che io esca. — Sorrise brevemente, tra l'imbarazzo e la vergogna, cercando la comprensione di Charlotte. — Forse non dovrei neppure pensare a queste cose, sentirmi sola voglio dire, ma il dolore non trova conforto nella solitudine di una casa in lutto.

— Certo che no — annuì Charlotte percorsa da un'ondata di simpatia e di sollievo. — Vorrei che la società permettesse alle persone di affrontare una perdita nel modo che a loro è più consono, ma dubito che lo permetterà mai.

— Oh, sarebbe un miracolo — si affrettò a dire Mina. — Non pretendo niente di così... così incredibilmente impossibile. Ma sono felicissima che siate venuta a trovarmi. Prego, entrate in salotto. — Si girò a metà, pronta a far strada. — Là splende il sole, e io mi rifiuto di chiudere le imposte... a meno che non venga a farmi visita mìa suocera. Ma questo non è probabile.

— Ne sarò felicissima. Sarà certo una stanza deliziosa — osservò Charlotte, seguendola attraverso il vestibolo e lungo un corridoio. Notò che Mina camminava molto eretta, come se fosse troppo indolenzita per chinarsi. — È proprio su una questione del genere che vorrei sentire il vostro parere.

— Davvero? — Non appena furono entrate nella stanza Mina le indicò una sedia, che era davvero molto piacevole, e in quel momento era illuminata dal sole pomeridiano. — Prego, ditemi in che modo posso esservi utile. Gradite una tazza di tè, mentre parliamo?

— Oh, lo accetterò con piacere — annui Charlotte, sia perché non c'era niente di meglio di una bevanda dopo la corsa in omnibus, sia perché le permetteva di rimanere più a lungo senza dover cercare una scusa.

Mina suonò il campanello con entusiasmo e ordinò tè, tramezzini, pasticcini; poi, quando la cameriera se ne fu andata, si mise comoda in modo da offrire a Charlotte tutta la sua attenzione. Sedette sull'orlo della sedia, le mani piegate in grembo, seminascoste dal pizzo, ma il suo viso era pieno di interesse.

Charlotte era conscia della tragedia che aveva colpito la casa, dell'innaturale silenzio, della tensione di Mina abilmente celata dalla sua compostezza. Tuttavia, spiegò che stava cambiando casa, ed elencò tutte le cose che doveva ancora fare prima che fosse finita. — Non riesco assolutamente a decidere se la tappezzeria verde renderebbe la stanza troppo fredda — terminò.

— Che cosa dice vostro marito? — s'informò Mina.

— Oh, niente. Non gliel'ho chiesto — rispose Charlotte. — Non credo che saprebbe dare un giudizio prima che la cosa sia fatta, ma soltanto in seguito e se il risultato non fosse buono. Sebbene penso che non saprebbe neppure per quale motivo potrebbe non piacergli.

Mina alzò leggermente le spalle. — Mio marito aveva opinioni molto precise. Dovevo stare molto attenta se decidevo di cambiare qualcosa. — Il senso di colpa le si dipinse sul viso, che d'improvviso e sorprendentemente si riempì di dolore. — Temo che il mio gusto qualche volta apparisse volgare.

— Oh, no di sicuro — si affrettò a dire Charlotte. — Forse lui intendeva dire soltanto che il suo gusto non è molto tradizionale. Ci sono uomini che odiano i cambiamenti, indipendentemente dal fatto che in realtà portino a un miglioramento.

— Voi siete molto gentile, ma io sono sicura che devo aver commesso degli errori. Avevo fatto tappezzare di nuovo la sala della prima colazione mentre lui era in mare. Non avrei dovuto farlo senza chiederglielo. Si è molto irritato quando è tornato a casa e l'ha vista.

— Era molto diversa? — s'informò Charlotte, incerta se dovesse insistere su un argomento che sembrava tanto doloroso. Ricordare una lite, forse irrisolta, quando l'altra persona non è più al mondo e non ci si può riconciliare doveva essere dolorosamente triste. Charlotte avrebbe voluto essere di conforto, ma non aveva idea di cosa dire.

— Oh, sì... temo di sì. — Mina continuò tranquillamente, i ricordi riaffioravano alla sua mente, e c'era piacere nella sua voce nonostante il tremolio prodotto dal dolore. — Avevo fatto dipingere tutto in un giallo caldo. Sembrava che la stanza fosse piena di sole. Mi piaceva molto.

— Doveva essere davvero deliziosa — disse Charlotte sinceramente. — Ma voi parlate come se non fosse più così. Ha insistito perché cambiaste il colore?

— Sì. — Mina si girò per un momento, distogliendo la faccia. — Disse che era volgare, tutti i toni e le sfumature nello stesso colore, a parte il mobilio, naturalmente. Quello era rimasto di mogano. Ma in realtà... — si morse il labbro come se anche ora ci fosse bisogno di scuse o di spiegazioni... — non è ancora stato fatto. Oakley chiuse la porta a chiave e disse che non avremmo dovuto usare la stanza fino a quando non fosse tornata come prima. Vi piacerebbe vederla?

— Oh, certo! — Charlotte si alzò in piedi di colpo. — Mi piacerebbe moltissimo. — Lo desiderava sia per la curiosità di vedere come poteva essere una stanza simile, sia per scoprire che cosa Oakley Winthrop avesse ritenuto così offensivo da giustificare una lite con la moglie, che sembrava non essere stata risolta.

Mina la condusse fuori del salotto sul retro, ripercorsero il corridoio e uscirono nel vestibolo principale dirigendosi verso l'estremità opposta. La porta della sala della prima colazione in quel momento non era chiusa a chiave e Mina la spinse per aprirla e poi rimase indietro.

Charlotte fece capolino dietro di lei occhieggiando in una delle più incantevoli stanze che avesse mai visto. Come aveva detto Mina, sembrava piena di sole, ma quello che più colpiva era la sensazione di spaziosità e di delicatezza, una semplicità riposante e tuttavia molto accogliente.

— Oh, voi possedete un grande talento — disse Charlotte spontaneamente. — È molto bella! — Si girò per guardare Mina, ancora in piedi sulla soglia, ma la sua faccia in quel momento era colma di meraviglia.

— Davvero? — disse, incredula, e subito dopo la contentezza si fece strada sul suo viso. — Lo pensate veramente?

— Ma certo — le rispose Charlotte. — Sarei ben felice di avere una stanza del genere. Se questa è di vostra creazione, allora voi avete grandi qualità. Sono così contenta di avervi conosciuto proprio quando tutta la mia casa è ancora da arredare, perché, se me ne darete il permesso, farò fare certamente anch'io una stanza gialla. Posso? Vorrei che lo consideraste un complimento e non un'impertinenza.

Mina era radiosa di gioia come una bambina che avesse ottenuto un dono inaspettato.

— Dovrei essere molto lusingata, signora Pitt. Per favore non pensate neppure per un momento che io ne fossi preoccupata. È solo che mi avete detto una cosa bellissima. — Indietreggiò dalla soglia in una sorta di eccitazione, e si girò di colpo senza accorgersi della cameriera che attraversava il vestibolo dietro di lei. Charlotte l'avvertì, ma era troppo tardi. La mano di Mina urtò la teiera. La cameriera gridò e lasciò andare tutto e il vassoio andò a sbattere sul pavimento. La cameriera lanciò un altro grido e si tirò il grembiule sulla faccia, mentre Mina urlò di dolore.

Charlotte si rese conto immediatamente di quello che era successo dalla macchia scura sul polso di Mina, dove si era rovesciato il tè bollente.

— Presto! — Charlotte la afferrò senza né spiegazioni né scuse. — Dov'è la cucina?

— Là. — Mina guardò alla sua sinistra, la faccia irrigidita dal dolore.

La cameriera stava ancora gridando, ma nessuno le badò.

Charlotte spinse Mina verso il corridoio, poi le venne un'idea di gran lunga migliore. C'era un grande vaso pieno di gigli sul tavolo del vestibolo. Si girò e trascinò Mina verso di esso, poi appena lo raggiunse afferrò i fiori e li gettò sul tavolo e infilò la mano di Mina nel vaso pieno di acqua fredda.

— Ah! — esclamò Mina sorpresa, il dolore che le si dipingeva sul viso. — Oh... come è meraviglioso.

Charlotte le sorrise, poi guardò la cameriera.

— Smettetela — le ordinò con decisione. — Nessuno vi ha rimproverato. È stato un incidente. Ora non restate lì immobile, fate qualcosa di utile. Andate in cucina e mandate intanto qualcuno a pulire questo disordine, e voi tornate con una borsa del ghiaccio, un pezzo di tela strizzata nell'acqua fredda e una soluzione di bicarbonato di sodio, e un'altra pezzuola pulita e asciutta. Su, presto!

— Sì, signora. Subito, signora — disse la ragazza, fissando Charlotte con la faccia rigata di lacrime e senza muoversi.

— Vai, Gwynneth — la sollecitò Mina. — Fai quel che ti è stato detto.

Charlotte tirò fuori dal vaso di fiori la mano di Mina mentre la cameriera scompariva.

— È meglio che andiamo alla luce per vedere che cos'è successo. — Camminò con Mina verso il candeliere centrale, lo accese nonostante il sole, poiché le tende erano tirate. Senza chiedere permesso, slacciò i bottoni dei lunghi polsini di Mina e spostò indietro il tessuto nero.

— Oh! — ansimò Mina.

Anche Charlotte emise un profondo respiro, non per la scottatura rossa che si aspettava di vedere, ma per l'ematoma giallo-rosso, che lasciava intravvedere segni di dita sulla pelle. C'era anche un'infiammazione, conseguenza di una bruciatura, ma non così seria come temeva, e non c'erano vesciche.

Mina era assolutamente immobile, paralizzata dall'orrore.

Charlotte guardò in su e incontrò il suo sguardo.

Le guance di Mina erano color porpora e i suoi occhi colmi di disperata vergogna, e poi oppressi dalla colpa.

— Avete bisogno di aiuto? — chiese Charlotte con semplicità. Una dozzina di domande le passarono per la mente, nessuna che potesse formulare: le chiacchiere di Gracie nel parco, l'aria protettiva di Burt Mitchell e la sua rabbia, e la paura negli occhi di Mina.

— Aiuto? ... No... no. È tutto... — Si fermò.

— Siete sicura? — Charlotte trovava penoso chiedere se era stato il Capitano Winthrop a malmenarla, e se Burt lo sapesse... e quando l'avesse saputo, prima della morte di Winthrop, o dopo?

— Sì. — Mina deglutì e inspirò, distogliendo lo sguardo. — Sto benissimo, vi ringrazio. Ora mi duole pochissimo, infatti.

Charlotte non sapeva se alludeva alla scottatura o alla contusione. Avrebbe voluto guardare l'altro polso per vedere se era nelle stesse condizioni, e inoltre scostarle il foulard nero che aveva intorno alla gola, guardarle le spalle e la schiena. Era per quello che camminava così rigidamente? Ma non c'era modo di poterlo fare senza essere imperdonabilmente invadente e spezzare quel tenue legame di amicizia che aveva costruito.

— Non credete di dover consultare un dottore? — chiese con preoccupazione.

Mina si portò l'altra mano alla gola e scosse la testa mentre incontrava di nuovo gli occhi di Charlotte. — Oh no. Penso... penso che guarirà molto presto, grazie. — Sorrise debolmente. — Il vostro intervento tempestivo mi ha salvato. Vi sono davvero molto grata.

— Se io non fossi venuta qui a vedere la vostra bella stanza non sarebbe successo — ribatté Charlotte, continuando la finzione. — Non credete che dovreste sedervi per un po' e forse prendere una tisana? Avete avuto un'esperienza spiacevole.

— Sì... sì, questa sarebbe un'idea eccellente — ammise Mina. — Spero che vogliate rimanere ancora. Ritengo di essere stata una padrona di casa piuttosto goffa.

— Mi piacerebbe molto — accettò immediatamente Charlotte.

Erano sulla soglia del salotto sul retro quando la porta d'ingresso si aprì ed entrò Burt Mitchell. Lanciò un'occhiata, prima a Mina, notando il suo polso con il polsino nero slacciato e penzolante, poi a Charlotte, il viso improvvisamente irrigidito dall'ansia. Stranamente, non disse nulla.

— La signora Pitt è venuta a farmi vista, Bart — disse Mina rompendo l'improvviso silenzio. — Non è stata gentile?

— Buongiorno, signora Pitt. — Gli occhi azzurri di Bart erano grandi e diretti, e perlustrarono il viso di Charlotte. Poi ritornarono a Mina.

— Mi sono scottata — disse Mina molto lentamente, come se gli dovesse una spiegazione. — La signora Pitt mi è stata molto d'aiuto, con sollecitudine...

In quel momento, a ulteriore sostegno, riapparve Gwynneth con le salviette. Alzò gli occhi su Charlotte.

Mina tese il braccio che cominciava ad arrossarsi di nuovo nei punti in cui non era deturpato dalla contusione.

— Permettetemi di aiutarvi. — Bart lasciò cadere il bastone e il cappello sul divano e si fece avanti, afferrando la salvietta bagnata e posandola sulla scottatura mentre Charlotte vi legava intorno una pezzuola asciutta. Le mani di lui erano scure per l'abbronzatura, sottili e forti, ma Bart prese il braccio della sorella come se fosse così fragile da spezzarsi alla minima pressione.

— Vi ringrazio, signora Pitt — lui disse infine, quando Charlotte terminò di fasciarla. — Penso che forse, a causa di questo sgradevole incidente, la signora Winthrop dovrebbe distendersi per un po'. Lei non è forte...

— Non è nulla — incominciò Mina, poi si fermò, la faccia piena di paura. Diede un'occhiata a Bart, poi a Charlotte. — Non ho ancora offerto il tè alla signora Pitt — disse impotente, aggrappandosi a un trascurabile problema di etichetta quando era così evidente che qualcosa di un'enormità opprimente le riempiva la mente. — Era il tè che ho versato.

— Offrirò io alla signora Pitt il tè, mia cara — rispose Bart, fissandola con uno sguardo penetrante. — Tu vai a distenderti per un po'. Ti riuscirà più facile tenere il bendaggio sul braccio se lo poserai su un cuscino. Se insisterai a voler prendere il tè in salotto rischierai di farlo cadere.

— Penso... che tu abbia ragione — ammise lei con riluttanza, ma continuava a restare. Guardava Bart, e poi Charlotte con una profonda ansia sul viso.

— Non volete chiamare un dottore? — chiese Charlotte.

— No... no. — Bart scosse la testa con decisione. — Sono sicuro che non sarà necessario. Sembra che voi l'abbiate curata molto bene. — Lei ostentò un sorriso, meraviglioso e improvviso come il sole d'aprile. — Adesso se Mina si distenderà per un po', sarò molto felice di offrirvi il tè, signora Pitt. Per favore, accomodatevi in salotto.

Non c'era altra alternativa che obbedire a quell'invito, mentre Mina, con altrettanta sottomissione, saliva le scale.

Charlotte seguì Bart nella stanza sul retro e sedette dove le veniva indicato. Sembrava che Gwynneth avesse già preparato l'occorrente per il tè, o per qualsiasi altra cosa facesse sempre a quell'ora della giornata, ma passarono alcuni momenti prima che riapparisse tenendo con cura in equilibrio un vassoio; dopo averlo posato sul tavolo, accennò un inchino, indietreggiando con più fretta che grazia.

Dopo aver versato e offerto il tè, Bart si chinò e guardò Charlotte con intelligenti occhi scrutatori.

— È insolitamente gentile venire a far visita a qualcuno che è in lutto, signora Pitt — osservò.

Lei si era aspettata che dicesse qualcosa del genere.

— Anch'io ho portato il lutto, signor Mitchell — rispose gentilmente. — E mi è stato molto difficile sopportarlo, anche se avevo mia madre e mia sorella in casa a quell'epoca. Desideravo disperatamente di poter fare una conversazione che non fosse in toni sussurrati e che non avesse niente a che vedere con la morte. — Sorseggiò il tè. — Naturalmente non potevo sapere se la signora Winthrop desiderasse la stessa cosa, ma mi è parso molto naturale offrirgliene l'opportunità, se lei avesse desiderato coglierla.

— Mi sorprendete — disse lui con franchezza. La sua espressione era affascinata, ma non distoglieva gli occhi dal suo viso. — Mina era devota a Oakley. Penso che ci siano persone che non si rendono conto di quale coraggio ci voglia per mantenersi esteriormente calmi per la gente.

Fino a che punto mentiva? Lei non aveva dubbi che lui avesse visto almeno qualcuna di quelle contusioni. Quante altre ce n'erano? Lui lo immaginava, o lo sapeva con certezza?

— Ciascuno di noi ha il proprio modo di affrontare il dolore. — Gli sorrise di rimando, sussurrando appena le parole per la tensione. — Per alcuni di noi ritornare alla normalità è utile. La signora Winthrop mi ha mostrato la splendida sala per la prima colazione, che io ho trovato deliziosa. Penso che sia una delle più belle che abbia mai visto.

La sua faccia s'irrigidì.

— Oh, sì. Mina ha un notevole talento per il colore e la bellezza. — La osservava attentamente, scrutando la sua reazione, chiedendosi perché avesse affrontato quell'argomento per prima cosa.

— Sono sicura che il Capitano Winthrop avrebbe capito quanto fosse incantevole una volta che ci si fosse abituato — continuò lei guardandolo con aria sincera. Tra loro c'erano, taciuti ma quasi palpabili, le spaventose contusioni, l'umiliazione e l'imbarazzo di Mina. Che cosa gli aveva detto? E, cosa ancora più importante, quando? Prima della morte di Winthrop... o dopo?

Lui fece per parlare, e poi cambiò idea.

— In quanto a me, sto per traslocare — disse Charlotte per riempire il silenzio. — È una delle cose più spossanti che abbia mai fatto. L'impegno che richiede sembra non finire mai.

— Il vostro capomastro non vi è d'aiuto? — chiese lui, continuando a fissarla. La conversazione non aveva senso ed entrambi lo sapevano, ma dovevano parlare di qualcosa. Quali pensieri gli attraversavano la mente?

Lei sorrise. — Naturalmente. Ma lui lascia a me i problemi delle decorazioni interne. Proprio in questo momento sono indecisa tra un colore che ritengo mi piaccia, e un altro che potrebbe rivelarsi più pratico.

— Un dilemma — ammise lui. — Qual è la vostra decisione?

Ci fu un altro silenzio tra loro. Era ridicolo, sembrava che la sua domanda alludesse a qualcosa di più che a una banale questione di colore, come se si stesse chiedendo che cosa lei intendesse fare riguardo alle contusioni... ritornare sul problema, o ignorarlo.

Charlotte rifletté per parecchi minuti prima di rispondere. Poi fissò i suoi occhi in quelli penetranti di lui.

— Penso che dovrò consultare mio marito — rispose infine.

La faccia di lui era priva di espressione.

— Immagino che avrei dovuto aspettarmelo — disse pacatamente.

Fu colta da una miriade di emozioni contrastanti: rabbia contro Oakley Winthrop perché sembrava essere stato un prepotente e, se Gracie aveva ragione, anche un sadico; pietà per Mina perché prima l'aveva sopportato, e ora doveva vivere nel terrore, nel caso fosse stato Bart a ucciderlo, che questi venisse scoperto; paura per Bart, e, mentre stava seduta di fronte a lui, anche paura per se stessa.

Il silenzio era diventato opprimente.

— Dato che è anche casa sua, è il meno che possa fare — disse lei ipocritamente.

Una smorfia lievemente divertita gli si dipinse sulle labbra.

— Desumo dalla vostra scelta di parole che vi atterreste alla sua decisione per pura necessità, signora Pitt.

— Sì... credo che sia così.

— Siete una donna di notevole caparbietà... e forse coraggiosa.

Lei si alzò in piedi, accennando a un sorriso.

— Qualità dal fascino piuttosto dubbio — disse con leggerezza. — Ma voi siete stato davvero gentile, signor Mitchell, e generoso nella vostra ospitalità, specialmente in tali penose circostanze. Vi ringrazio.

Lui si alzò con un solo movimento e s'inchinò lievemente.

— Grazie a voi per l'amicizia che dimostrate a sorella... tanto premurosa quanto piena di considerazione in questo particolare momento.

— Spero di rivederla presto — replicò lei vagamente, e chinò la testa in un cenno di saluto. Lui la guardò dirigersi alla porta, che la cameriera aveva aperto, e prendere il mantello; Charlotte s'incamminò rapida lungo Curzon Street, verso la fermata dell'omnibus, la mente che brulicava di domande.

Pitt tardava a rincasare, e Charlotte lo aspettava con ansia. Gracie era andata a letto e Daniel e Jemima si erano addormentati da un pezzo. L'impazienza la consumava tanto da non potesi sedere a far nulla di utile. Doveva rammendare degli indumenti che giacevano nella scatola del cucito intatti. C'erano alcune lettere da scrivere.

Invece lavoricchiava in cucina, raccogliendo questo e spingendo da parte quello, pulendo di malavoglia la stufa, svuotando un secchio per riempirne un altro, finché lasciò cadere il barattolo del tè rovesciandone il contenuto sul pavimento. Non c'era nessuno a vedere mentre si affrettava ad ammucchiarlo con la scopa e a rimetterlo dentro il contenitore. Il pavimento era perfettamente pulito e comunque sarebbe stato sterilizzato dall'acqua.

Quando finalmente udì la chiave girare nella toppa, si lisciò le gonne per la decima volta, si scostò i capelli dagli occhi, e corse giù nel vestibolo ad accoglierlo.

La prima reazione di lui fu di allarme, preoccupato che ci fosse qualcosa che non andava; poi quando vide che sorrideva, la strinse a sé per alcuni minuti finché lei lo allontanò dolcemente.

— Thomas, ho scoperto qualcosa di veramente importante oggi.

— Riguardo alla casa? — Cercò di apparire interessato, ma lei udì la noia nella sua voce.

— No... la casa non è così importante — disse accantonando l'argomento con un gesto. — Sono andata a trovare Mina Winthrop... in realtà per la tappezzeria della sala da pranzo.

— Che cosa? — Era incredulo. — Che cosa diavolo intendi dire? Che sciocchezzai

— Per il colore da scegliere — disse lei con impazienza, guidandolo verso la cucina. — Non per altro.

Lui era confuso. — Come potrebbe sapere lei quale colore dovresti scegliere?

— È molto abile in questo genere di cose.

— Come lo sai? — Sedette al tavolo di cucina. — Ci sono foglie di tè sul pavimento qui.

— Devo averne rovesciato un po' — disse Charlotte senza darvi importanza. — Ho conversato con lei durante la funzione in memoria di Oakley Winthrop. Oggi sono andata a trovarla... Ti prego di ascoltarmi, Thomas. È importante.

— Sto ascoltando. Potresti mettere il bollitore sul fuoco intanto? Sono ore che non prendo una tazza di tè.

— È già su. Sto preparando il tè. Hai anche fame?

— No, penso di essere troppo stanco per mangiare.

Lei prese un catino d'acqua, mettendovi qualcosa che lui non vide, e lo posò sul pavimento davanti a lui. — I piedi — disse con aria assente.

— Non ho camminato tanto da stancarmi — rispose lui con un sorriso. — Te lo sei dimenticato? Sono un sovrintendente ora. — Si chinò in avanti e si slacciò gli stivali, togliendoseli con immenso piacete.

— I piedi di un sovrintendente non si scaldano negli stivali?

Lui sorrise e mise i piedi con cautela nell'acqua fredda. — Che cosa c'è dentro?

— I sali di Epsom, come sempre. La signora Winthrop era stata picchiata. E comunque Oakley Winthrop può essere stato un sadico che amava picchiare le donne. Intendo dire le prostitute... quel genere di cose.

— Che cosa? — Alzò gli occhi guardandola con attenzione. — Come lo sai? Te l'ha detto lei?

— No, naturalmente no. Si è versata l'acqua calda sul polso, e io le ho slacciato i polsini per vedere cosa si fosse fatta. È tutto color porpora e verde per le contusioni.

— Un incidente...

— No, non si tratta di questo. C'erano segni di dita. E sono quasi sicura che sul collo aveva altri ematomi, e chi sa che cos'altro sul resto del corpo. Ecco perché indossa polsini lunghi e colletti alti: per nascondere le ecchimosi.

— Tu questo non lo sai.

— Sì che lo so! E c'è dell'altro. Sono quasi sicura che lo sa anche Bart Mitchell.

— Come fai a saperlo?

— Perché le ho parlato e l'ho osservata. Era terribilmente a disagio, e imbarazzata, e non mi ha detto cosa le era successo. Avrebbe dovuto farlo, se fosse stato un incidente. È stato suo marito, Thomas. Il buon Onorevole Capitano Oakley Winthrop picchiava la moglie.

— Che cosa ti rende così sicura che Mitchell lo sappia?

— Perché lui ha visto le contusioni, e non ha detto nulla, naturalmente. Se non l'avesse saputo, sarebbe rimasto inorridito e le avrebbe chiesto che cosa fosse successo!

— Forse è stato lui a picchiarla?

— Perché avrebbe dovuto farlo? E comunque lei ha paura per lui, Thomas, ne sono sicura. Ha il terrore che sia stato lui a uccidere Winthrop.

— Vuoi dire che non ne sei sicura — corresse lui. — La gente dice sempre che è sicura quando intende dire che la pensa a quel modo, ma non ne è sicura. L'acqua bolle.

— E allora?— rispose indicando il bollitore. — Thomas, Mina ha paura che Bart abbia ucciso Oakley Winthrop per il modo in cui lui l'ha trattata.

— Capisco — disse pensieroso. — E come sai dell'uomo che ha picchiato le prostitute nel parco? Non te l'ha detto di certo Mina Winthrop, vero?

— Certo che no.

— Sto aspettando.

Lei respirò profondamente. — Thomas, per favore, non arrabbiarti... l'ha fatto perché aveva paura per te. Se tu non la perdoni, e le dici qualcosa, io non potrò perdonare te.

— Perdonarmi per che cosa? — chiese inarcando le sopracciglia.

— Per non averla perdonata, naturalmente!

— Chi? Si tratta di Emily?

— Forse farei meglio a non dirlo. — Non aveva neppure pensato di incolpare Emily, ma era un'ottima idea. Emily non era sotto la responsabilità di Thomas.

— Comunque, sa qualcosa? — chiese guardingo. — Almeno dimmi la verità su questo.

— E andata nel parco di notte, e una delle prostitute le ha parlato. Voglio dire, hanno fatto conversazione... naturalmente...

— Naturalmente — ammise lui secco. — Jack lo sa? Dubito che questo lo aiuti nella sua campagna elettorale.

— Oh no. E tu non devi dirglielo!

— Non ci penso neppure.

— Prometti?

— Prometto. — Sorrise, sebbene non si divertisse affatto.

— Grazie. — Charlotte si girò e preparò il tè, lasciandolo un momento in infusione, poi gliene versò una tazza fumante e gliela portò. Lo osservò con circospezione mentre toglieva i piedi dall'acqua e gli diede l'asciugamano caldo.

— Grazie — disse lui dopo parecchi momenti.

— Per il tè — disse lei gravemente — o per l'asciugamano?

— Per l'informazione. Povera Mina.

— Che cosa farai?

— Berrò il mio tè e andrò a letto. Non posso pensarci tutta la notte.

— Mi dispiace. Avrei dovuto aspettare.

Lui si alzò e la baciò, e per qualche tempo dimenticò Mina Winthrop e i suoi guai.

All'alba della mattina successiva, Billy Sowerbutts stava guidando lentamente il suo carro lungo Knightsbridge verso Hyde Park Corner quando fu costretto a fermarsi perché il traffico era molto intenso. Era contrariato; in realtà, ripensandoci, si lasciò invadere dalla collera. Che senso aveva alzarsi presto, pur sentendosi così male da dover stare a letto e dormire, se doveva poi passare la metà di quella maledetta mattinata a sedere immobile come il monumento di Nelson perché un idiota davanti si era fermato e bloccava tutti quanti?

La gente aveva cominciato a gridare e a imprecare. Il cavallo di qualcuno si era impennato e indietreggiava, e due carri si erano scontrati, incastrandosi con le ruote.

Questo era davvero il colmo. Billy Sowerbutts legò le redini del suo animale alla barra e saltò giù. Passò tutti gli altri per raggiungere il veicolo danneggiato, un calessino, che, cosa strana, non aveva alcun animale tra le stanghe, come se qualcuno l'avesse spinto là a mano e poi abbandonato, lasciandolo di traverso, la parte posteriore abbastanza spostata verso la strada da bloccare il traffico.

— Idiota! — disse aspramente. — Chi è quel pazzo che lascia un calesse in un posto come questo. Cavolo! Che cosa diavolo è questa storia? Questo non è il posto per farsi una dormita! — Girò intorno alla figura reclinata che ciondolava all'indietro tra pile di vecchi abiti. — Svegliati, maledetto idiota. Tirati via da qui. Occupi tutta la strada! — Si chinò in avanti e scosse la spalla dell'uomo e sentì la mano bagnata. La tirò via e alla luce vide le sue dita scurite da qualcosa. Poi si chinò di nuovo e scrutò l'uomo più da vicino. Era senza testa.

— Gesù, Giuseppe e Maria! — disse, e cadde sopra le stanghe.

6

Pitt sedeva alla sua scrivania fissando Tellman. Si sentiva stordito, come se avesse ricevuto un colpo reale e la carne gli dolesse per la recente contusione.

— Knightsbridge, proprio fuori del parco — ripeté Tellman. — Senza testa, naturalmente. — La sua faccia allungata non mostrava intimo trionfo o senso di superiorità, quella mattina. — È ancora là fuori, signor Pitt, e non siamo più vicini a quel porco di quanto non lo fossimo all'inizio.

— Chi era? — chiese Pitt lentamente. — Non sappiamo nient'altro?

— Soltanto questo. — Tellman fece una smorfia. — Era un bigliettaio di omnibus.

Pitt era stupefatto. — Un bigliettaio di omnibus! Non un signore?

— Decisamente no. Soltanto un comunissimo, rispettabilissimo bigliettaio di omnibus — ripeté Tellman. — Di ritorno a casa dopo la sua ultima corsa... cioè, non proprio lungo la via di casa: questa è la cosa strana. — Fissò Pitt. — Abita vicino al capolinea, che è in periferia sulla strada di Shepherd's Bush. Questo è ciò che ha detto la società degli omnibus.

— Allora che cosa ci faceva a Knightsbridge vicino al parco? — chiese Pitt con naturalezza. — È là che è stato ucciso?

Il ricordo di conversazioni passate attraversò la faccia di Tellman: l'insistenza di Pitt, e poi il proprio insuccesso nello scoprire dove fosse stato ucciso Arledge.

— No... almeno non sembra — rispose. — Non è possibile tagliare la testa a un uomo senza lasciare fiumi di sangue, e ce n'era molto poco nel calesse in cui si trovava.

— Calesse? Quale calesse? — chiese Pitt.

— Un comune calesse, eccetto il fatto che non aveva cavallo — rispose Tellman.

— Che cosa intendete dire con un calesse senza cavallo? — La voce di Pitt stava salendo di tono suo malgrado. — O è un veicolo da trascinare o è un carretto da spingere!

— Intendo dire che il cavallo non c'era — disse Tellman irritato. — Nessuno l'ha ancora trovato.

— Il Carnefice l'ha lasciato libero?

— Sembra.

— Che altro? — Pitt si appoggiò all'indietro, ma nessuna posizione gli risultava comoda quel giorno. — Avete il bandolo della matassa, presumo, poiché sapete chi era e dove viveva. È stato prima colpito? Immagino che non possedesse nulla di valore che potessero rubargli.

— Sì, è stato prima colpito, poi la testa gli è stata tagliata con un colpo preciso. Un lavoro migliore di quello fatto ad Arledge, povero diavolo. Stava tornando a casa dal lavoro, indossava ancora l'uniforme, e aveva in tasca tre monete da sei pence, il che doveva essere tutto il suo avere, e un orologio del valore di circa cinque sterline. Ma perché qualcuno avrebbe preso di mira un bigliettaio di omnibus per derubarlo?

— Nessuno l'avrebbe fatto — ammise Pitt con aria infelice. — Siete già stato dalla famiglia?

La bocca di Tellman s'irrigidì. — Sono appena le otto e mezzo. — Omise il "signore". — Le Grange ci sta andando, proprio per informarla. Non riesco a capire come la cosa potrà essere d'aiuto. — S'infilò le mani nelle tasche e rimase davanti alla scrivania, fissando Pitt. — Abbiamo un altro pazzo. Sembra che attacchi chiunque, quando gli prende un accesso di follia. Non c'è nessun senso. Proverò di nuovo a Bedlam. Forse hanno rifiutato qualcuno, oppure hanno lasciato ritornare a casa un maniaco per un po' di tempo... — Ma nei suoi scuri occhi scialbi non c'era alcuna speranza che portasse a qualcosa. Poi improvvisamente l'emozione riapparve, fredda e violenta. — Qualcuno lo conosce! — disse con passione. — Tutta Londra è rosa dal sospetto, la gente si scaglia contro le ombre, nessuno si fida più dei suoi simili... ma qualcuno lo conosce. Qualcuno continua a vedere la sua faccia, e sa che lui non è a posto. Qualcuno ha visto un'arma, oppure è al corrente della sua esistenza... ci devono essere arrivati!

Pitt si accigliò, ignorando lo sfogo. Sapeva che era vero, aveva visto la paura negli occhi, aveva udito il tono acuto delle voci, la sfiducia e il biasimo. — Questo calesse, da dove è venuto? Di chi è? — Si mise a sedere.

Tellman parve preso un po' alla sprovvista, ma lo nascose subito.

— Non lo so ancora, signore. Non c'è molto dentro, non presenta segni facilmente identificabili.

— Sarà bene che v'informiate al più presto se era suo, sebbene non riesca a figurarmi un bigliettaio di omnibus che torna a casa in calesse — disse Pitt, pensieroso. — Il che solleva il problema del perché fosse là dentro.

— Sarebbe troppo sperare che appartenga al nostro squilibrato. — Tellman contrasse le labbra. — Vola troppo alto per lasciarsi intrappolare!

Pitt si abbandonò di nuovo contro lo schienale della sedia. Senza riflettere, chiese a Tellman di sedersi. — Ciò solleva la domanda del perché usare un calesse — continuò. — Supponiamo che sia stato rubato, se non appartiene a nessuno dei due. A che cosa gli serviva un veicolo?

— A trasportare il corpo — rispose Tellman. — Il che significa che può averlo ucciso da qualche altra parte... come Arledge.

— Sì, ma più probabilmente in un luogo che l'avrebbe in qualche modo tradito oppure... oppure in un luogo in cui non sarebbe stato conveniente lasciarlo — disse Pitt, pensando a voce alta.

— Intendete dire in un luogo in cui sarebbe stato trovato troppo presto, forse?

— È possibile. Dove ha lasciato l'ultimo omnibus questo bigliettaio?

— Alla stazione di Shepherd's Bush, in Silgate Lane.

— Piuttosto lontano da Hyde Park — osservò Pitt. — È là che abitava?

— A quattrocento metri di distanza.

— Be', certamente non aveva bisogno di un calesse per quattrocento metri. Vedete se qualcuno ha rubato un calesse in quella zona. Non dovrebbe volerci molto tempo.

Tellman si preparò al problema successivo, appoggiandosi un po' indietro sulla sedia.

— Non so ancora dove sia stato ucciso, ma deve essere accaduto da qualche parte là intorno. A meno che quello abbia colpito il poveretto sulla testa e l'abbia portato altrove in calesse, così da poter fare il lavoro in pace. Infatti non è così facile tagliare la testa a un uomo. Ci vuole una certa libertà d'azione e un bel po' di forza. — Scosse la testa con aria infelice. — Non è stato fatto nel calesse. Potrebbe averlo portato altrove e, dopo averlo tirato fuori, avergli tagliato la testa, per poi rimetterla insieme al corpo nel calesse e guidare fino a Hyde Park. Ma perché? Non ha alcun senso, sotto qualsiasi profilo si esamini la faccenda.

— Allora c'è qualcosa che non sappiamo ancora — ragionò Pitt. — Scoprite che cos'è, Tellman.

— Sì, signore. — Tellman si alzò in piedi, poi esitò.

Pitt stava per chiedergli che cosa volesse, poi cambiò idea.

— Sapete — disse Tellman lentamente — io non so ancora se si tratta di un pazzo o no. Persino un pazzo può avere una specie di logica nello scegliere una persona... un posto, un lavoro, o un aspetto... qualcosa che lo scateni. E non si tratta dello stesso posto, lo sappiamo. Non sembrano avere niente in comune. — Pitt si appoggiò un po' indietro sulla sedia. — I primi due forse, sebbene Winthrop fosse un uomo robusto, mentre Arledge era molto magro, e probabilmente di dieci o quindici anni più vecchio. Ma il bigliettaio dell'omnibus era un tipo un po' calvo, con spalle larghe e un pancione. E indossava ancora l'uniforme di bigliettaio, così tutti avrebbero saputo che non era un signore. In realtà, non si poteva scambiarlo per altro che per ciò che era. — Si accigliò irritato. — Perché qualcuno avrebbe voluto uccidere un bigliettaio di omnibus?

— Non lo so — confessò Pitt. — A meno che non avesse qualcosa a che fare con gli assassinii. Ma, come potesse saperlo il nostro pazzo, va oltre la mia comprensione.

— Ricatto? — suggerì Tellman.

— In che senso? — Pitt si piegò di nuovo indietro sulla sedia. — Anche se avesse visto uno degli omicidi, come poteva sapere chi era il pazzo, o dove trovarlo?

— Forse lo sapeva — disse Tellman lentamente, con gli occhi sbarrati. — Forse il nostro pazzo è qualcuno che lui avrebbe riconosciuto... qualcuno che tutti avrebbero riconosciuto!

Pitt si raddrizzò un po' sulla sedia. — Qualcuno famoso?

— Ciò spiegherebbe perché ha dovuto uccidere un bigliettaio di omnibus! — La voce di Tellman era ferma e dura, la sua faccia brillava di soddisfazione.

— E gli altri? — chiese Pitt. — Winthrop e Arledge?

— C'è un collegamento — disse Tellman cocciutamente. — Non so quale sia... ma esiste. Da qualche parte nella sua mente buia c'è un filo che lega quei due!

— Che io sia dannato se so che cos'è — confessò Pitt.

— Lo scoprirò — disse Tellman a denti stretti. — E vedrò quel bastardo penzolare da una corda. — Pitt si astenne da ogni commento.

La tempesta scoppiò dopo i giornali del mezzogiorno. Il Carnefice di Hyde Park era in prima pagina su ogni edizione e dagli articoli trapelava una chiara nota di panico. Era passata da poco l'una quando la porta di Pitt si spalancò ed entrò il vicecapo della polizia Farnsworth. Il pallore della sua faccia bianca era interrotto solo da due macchie di colore sulle guance.

— Che cosa diavolo state facendo al riguardo, Pitt? — chiese. — Questo folle si scatena per tutta Londra uccidendo gente a non finire. Tre cadaveri senza testa, e voi non avete ancora la più vaga idea di chi sia o di nient'altro che lo riguardi. — Si chinò sulla scrivania verso Pitt, guardandolo di sottecchi. — Voi fate apparire l'intera forza di polizia un ammasso di stupidi incompetenti. È venuto di nuovo nel mio ufficio Lord Winthrop, povero diavolo, a chiedermi che cosa abbiamo fatto per trovare l'uomo che ha assassinato suo figlio. E io non avevo niente da dirgli. Niente! Ho dovuto starmene là come uno stupido a scusarmi. Tutti ne parlano... per la strada, nei club, nelle case, nei teatri, negli uffici, cantano persino canzoncine nei music-hall, a quanto mi hanno detto. Siamo diventati degli zimbelli, Pitt. — Le sue mani si chiudevano e si aprivano per la tensione. — Io mi fidavo di voi, e voi mi avete deluso. Mi sono fidato della parola di Drummond sul fatto che eravate l'uomo adatto per questo lavoro, ma a quanto pare è superiore alle vostre forze. Voi non ne siete all'altezza!

Pitt non era in grado di difendersi. Gli stessi dubbi avevano cominciato a venire anche a lui, sebbene non riuscisse a pensare che cosa avrebbe potuto fare un altro al suo posto, tanto meno un uomo come Drummond, che non era mai stato un agente di polizia. E neppure Farnsworth, a dire il vero, lo era mai stato.

— Se desiderate affidare il caso a qualcun altro, signore, allora fareste meglio a farlo — disse freddamente. — Gli comunicherò tutte le informazioni che abbiamo raccolto finora, e gli indizi che intendiamo seguire.

Farnsworth sembrò preso alla sprovvista. Probabilmente non era la risposta che si aspettava.

— Non siate ridicolo, su. Non potete certo sottrarvi alle vostre responsabilità! — disse in tono irritato, facendo un passo indietro. — Che informazioni avete? Sembra, da quanto dice il vostro ispettore, che siano maledettamente scarse.

Erano scarse, ma a Pitt diede fastidio che Tellman ne avesse discusso con il vicecapo della polizia. Anche se Farnsworth glielo aveva chiesto, Tellman avrebbe dovuto consultarsi con Pitt. Pensò con amarezza che non poteva aspettarsi lealtà neppure dal più alto in grado dei suoi uomini. Anche questo era un fallimento.

— Winthrop è stato ucciso in una barca, il che indica che non aveva paura del suo assassino. — Incominciò a elencare i pochi fatti che avevano. — È stato colpito da dietro, poi gli è stata tagliata la testa mentre era riverso sul bordo, intorno a mezzanotte. Anche Arledge è stato prima colpito, ma è stato ucciso in un luogo diverso dal chiosco dell'orchestra in cui è stato trovato. Potrebbe aver conosciuto o meno chi l'ha ucciso, ma è significativo che il cadavere sia stato rimosso. Se riusciamo a scoprirlo, il luogo in cui è stato ucciso può dirci un mucchio di cose. Ho una mezza dozzina di agenti che indagano.

— Buon Dio, su, non può essere lontano — esplose Farnsworth. — Quanta strada può fare un pazzo per trasportare un cadavere senza testa nel cuore di Londra, per quanto in piena notte? Con che cosa avrebbe potuto farlo? Carro, calesse, dorso di cavallo? Usate la testa, su!

— Non c'erano segni di zoccoli o tracce di carri da nessuna parte vicino al chiosco dell'orchestra — disse Pitt seccamente. — Abbiamo esaminato il terreno tutt'intorno, e non c'era niente di insolito da nessuna parte.

Farnsworth si allontanò di tre passi, poi si girò.

— Be', qualcosa c'era, per l'amor del Cielo! Non l'avrà portato in spalla.

— Niente di insolito — ribatté Pitt lentamente, i pensieri che correvano. — Chi dice che non sia stato trasportato dentro qualche mezzo che percorreva normalmente quella strada?

— Di che genere? — domandò Farnsworth.

— L'attrezzatura del giardiniere... — disse Pitt lentamente.

— Che cosa? Una falciatrice da prato. — L'espressione di Farnsworth era colma di derisione.

— Oppure una carriola. — Pitt ricordò che le Grange aveva detto qualcosa su un uomo con una carriola. — Sì — continuò con slancio crescente. — Un testimone ha visto una carriola. Potrebbe essere stata quella. — Sedette un po' più dritto mentre diceva questo. — Non può essere stato ucciso molto lontano. Non si può portare in giro un cadavere in una carriola per le strade...

— Allora scopritelo — ordinò Farnsworth. — Che altro? Che cosa avete da dire su quello sfortunato bigliettaio di omnibus di questa mattina? Che cosa ha a che fare con gli altri due? Che cosa stava facendo nel parco?

— Non sappiamo se fosse nel parco.

— È ovvio che era nel parco, su. Perché mai è stato ucciso? Dove è stato visto vivo per l'ultima volta?

— Al capolinea dell'omnibus, in Shepherd's Bush.

— Shepherd's Bush? — La voce di Farnsworth si alzò di quasi un'ottava. — Che dista chilometri da Hyde Park.

— Il che solleva il problema del perché il Carnefice l'abbia riportato nel parco per lasciarlo lì — disse Pitt.

— Perché la sua pazzia ha qualcosa a che fare con il parco, naturalmente — rispose Farnsworth tra i denti, quasi sul punto di esaurire la pazienza. — L'avrà colpito fino a fargli perdere i sensi quando lo ha trovato, e l'ha portato nel parco per tagliargli la testa. È ovvio.

— Se non l'ha trovato nel parco, perché ucciderlo? — chiese Pitt con calma, incontrando lo sguardo di Farnsworth.

— Non lo so — rispose Farnsworth rabbiosamente, voltandosi. — Per l'amor di Dio, su, è il vostro lavoro scoprirlo, e lo state facendo con dannata lentezza. — Si guardò indietro, con un'espressione più controllata. — L'opinione pubblica ha il diritto di aspettarsi di più da voi, Pitt, e anch'io. Ho ascoltato il consiglio di Drummond di promuovervi, andando contro il mio istinto, e posso dire che mi sembra di aver commesso un errore.

Afferrò il giornale che aveva posato sulla scrivania. — Avete visto questo? Guardate! — Lo spiegò per mostrare una grande vignetta che rappresentava due piccoli poliziotti con le mani in tasca e lo sguardo rivolto verso terra, mentre la gigantesca figura di un uomo mascherato con una scure da carnefice torreggiava su una Londra terrorizzata.

Non c'era niente da dire. Farnsworth non aveva idee migliori, se non quella di fargli osservazioni inutili. Lui le conosceva già, ed era in parte per questo che si arrabbiava. Inoltre si sentiva impotente, ed era sottoposto a pressioni politiche. Quel fallimento poteva mettere fine alle sue speranze di carriera. I suoi superiori non erano interessati né alle le scuse, né ai ragionamenti. Giudicavano soltanto dai risultati. Rispondevano al pubblico, e il pubblico era un padrone incostante e spaventato, che dimenticava in fretta, perdonava molto poco, e capiva solo quello che voleva capire.

Sbatté il giornale sulla scrivania

— Datevi una mossa, Pitt. Mi aspetto di sentire qualcosa di definitivo entro domani. — Si girò e uscì, lasciando la porta spalancata.

Non appena i passi di Farnsworth si furono smorzati giù per le scale, il viso di Bailey fece capolino alla porta, pallido e con un'aria di scusa.

— Che cosa c'è? — disse Pitt alzando gli occhi.

Bailey fece una smorfia. — Non badate a quello là — disse in tono esitante. — Voi non potesse fare di meglio, e noi tutti lo sapessimo.

— Grazie, Bailey — disse Pitt sinceramente. — Ma noi dobbiamo fare di meglio se vogliamo catturare quell'... essere.

Bailey rabbrividì leggermente. — Penserebbe che è pazzo, signor Pitt, oppure è una questione privata? Quello che non capisco è perché quel poveraccio di misero bigliettaio di omnibus. I signori si può capire. Potessero aver fatto qualcosa.

Pitt sorrise suo malgrado.

— Non lo so, ma dobbiamo scoprirlo. — Si alzò in piedi. — Vorrei sapere, tanto per cominciare, che cosa aprono le chiavi di Arledge.

— Sì, signore. Lo dico al signor Tellman, 'gnore, oppure no... perché davvero non so dove volete arrivare. — Spalancò gli occhi. — Non potessi dire di ricordare quello che avete detto.

— Allora se non lo ripeto, voi non volete saperlo, vero? — disse Pitt con un sorriso.

— No, signore, non lo volessi — ammise Bailey felice.

Pitt prese i due mazzi di chiavi e uscì per recarsi in Mount Street. Chiamò una vettura di piazza si immerse nei suoi pensieri mentre il cocchiere si faceva strada attraverso il traffico, fermandosi e ripartendo, gridando incoraggiamenti e insulti. Dulcie Arledge lo ricevette con cortesia, e se era sorpresa di vederlo, lo nascose con quella specie di delicatezza che ci si aspettava da lei.

— Buongiorno, signor Pitt. — Non si alzò dal sofà su cui era seduta. Era ancora vestita completamente di nero, ma era graziosamente snella nell'abito alla moda, con piccoli sbuffi sulle spalle.

Aveva appuntato una deliziosa spilla da lutto in giaietto e perle all'altezza della gola e portava un anello da lutto infilato nella mano snella. Il suo viso era composto e riusciva a sorridere. — C'è qualcos'altro in cui possa esservi d'aiuto? Ho sentito che c'è stato un altro morto. È vero?

— Sì, signora. Ne sono dispiaciuto.

— Oh, cielo. Com'è spaventoso. — Deglutì dolorosamente. — Chi... chi era?

— Un bigliettaio di omnibus, signora.

Era stupefatta. — Un bigliettaio di omnibus? Ma... ma perché qualcuno avrebbe... voglio dire... — Volse lo sguardo come se fosse imbarazzata per la sua confusione. — Oh Dio. Non so quello che dico. È stato di nuovo a Hyde Park?

Non sopportava di doverglielo dire. Gli sembrava un colpo troppo forte per una donna di così grande coraggio e sensibilità.

— Poco fuori — rispose gentilmente. — Almeno quello è il punto in cui è stato trovato. Non sappiamo dove sia stato ucciso.

Alzò gli occhi verso di lui, occhi scuri e turbati. — Prego, sedetevi, sovrintendente. Ditemi che cosa posso fare per aiutarvi. Non riesco a pensare a nessun concepibile collegamento tra mio marito e un bigliettaio di omnibus. Mi sono tormentata a pensare se Aidan abbia mai menzionato il Capitano Winthrop, ma non sono riuscita a pensare a niente che potesse essere utile. Conosceva un mucchio di persone, la maggior parte delle quali io non ho mai incontrato.

— Che avevano a che fare con la sua musica? — chiese lui, accettando l'invito a sedersi.

— Infatti. Era davvero molto dotato, e molto richiesto. — Gli occhi le si riempirono di lacrime. — Era un uomo ammirevole, sovrintendente. Non è soltanto a me che manca.

Pitt non sapeva che cosa dire. Pianti, svenimenti, isterismo erano imbarazzanti e lasciavano impotenti, ma quel tranquillo, dignitoso dolore che era soltanto commovente in qualche modo lo faceva sentire ancora più inadeguato.

Lei doveva aver notato la sua costernazione.

— Sono così spiacente — si scusò. — Vi ho messo in una situazione impossibile. Che cosa potete dire? Non avrei dovuto lasciare che i miei sentimenti avessero la meglio. — Congiunse le mani. — In che altro modo potrei aiutarvi?

Lui estrasse le chiavi dalla tasca e gliele porse. Lei le prese e guardò il primo mazzo, e poi il secondo con il viso accigliato.

— Ci sono le nostre chiavi di casa — disse, mettendo da parte il primo mazzo. — Una è della porta d'ingresso. Rincasava tardi in determinate occasioni e non avrebbe mai permesso che la servitù stesse in piedi per lui. — Sorrise desolatamente, guardando Pitt. — Quelle piccole sono dei cassetti della scrivania e così via. Penso che questa sia della cantina. Certe volte voleva scendere lui, forse per prendere personalmente una bottiglia di vino senza dover chiedere a Horton. — Si rivolse al secondo mazzo, una ruga tra le sopracciglia. Tenne i due mazzi l'uno accanto all'altro. — Non sono uguali, vero?

— No, signora — ammise, eppure vide passare nei suoi occhi lo stesso pensiero che aveva avuto lui. Sembravano un altro mazzo di chiavi di casa.

Gliele riconsegnò. — Mi dispiace. Non vi sono di alcun aiuto.

— Certo che lo siete — si affrettò a rassicurarla Pitt. — La vostra sincerità è impagabile. Poche persone avrebbero il coraggio che avete voi in tali spaventose circostanze, senza contare la lucidità con la quale mi fornite dettagli pratici. Mi addolora dovervi coinvolgere in tutto questo. — Lo pensava in tutta franchezza.

Gli sorrise, e il suo viso si riempì di calore.

— Voi siete molto generoso, sovrintendente. Anche se qualcuno non è stato comprensivo come voi, parlare di Aidan, e dell'intera tragedia, non è difficile quanto potreste pensare. Questo pensiero non abbandona mai la mia mente, e poter essere franchi è una cosa che dà sollievo. — Fece un piccolo gesto di impaziente deplorazione. — La gente vuole essere gentile, ma preferisce parlare d'altro, continuando a evitare l'argomento, quando tutti sappiamo che non stiamo pensando che a questo, qualunque cosa possiamo dire.

Capiva benissimo quel che la vedova intendeva dire, l'aveva visto innumerevoli volte prima di allora: l'imbarazzo, gli occhi che si distoglievano, l'esitazione, poi improvvisamente i discorsi senza senso, irrilevanti.

— Prego, chiedetemi qualunque cosa desiderate — lo invitò lei.

— Vi ringrazio. Dal momento che è possibile che il signor Arledge conoscesse davvero chi l'ha ucciso, oppure che avesse con lui un qualsiasi collegamento, per quanto casuale o vago, mi piacerebbe conoscere i suoi movimenti nell'ultima settimana della sua vita.

— È una buona idea — approvò lei immediatamente. — Sono sicura di potervi aiutare in questo. Posso portarvi la sua agenda degli appuntamenti di lavoro. L'ho tenuta perché mi ripromettevo di guardare ciò che stava facendo, e perché naturalmente avrei dovuto scrivere un gran numero di lettere. — Alzò leggermente le spalle e fece una piccola smorfia contrariata. — Penso che tutti abbiano letto la notizia sui giornali, o ne abbiano sentito parlare, ma non è la stessa cosa.

— Ne sarei ben lieto. — Non l'aveva chiesto prima perché gli impegni professionali di Arledge sembravano talmente lontani da un assassinio violento compiuto da un pazzo.

— Certo. — Lei si alzò e Pitt fece altrettanto, quasi senza pensarci, e sembrò un gesto naturale di cortesia nei suoi riguardi.

Andò verso un piccolo scrittoio di noce intarsiato e lo aprì, prendendo in mano un libro rilegato in pelle verde scura. Glielo porse.

Lui lo prese e alla pagina in cui si apriva naturalmente vide le annotazioni relative al giorno della morte di Arledge. C'era un accenno a una prova nel pomeriggio e nient'altro. Alzò gli occhi e incontrò quelli di Dulcie.

— Aveva soltanto un appuntamento quel giorno? — chiese.

— Temo di non saperlo — rispose lei. — C'è annotato solo un appunto, ma qualche volta, in realtà molto spesso, gli capitava di uscire spinto da un impulso improvviso. In questa agenda annotava soltanto gli appuntamenti di lavoro.

— Capisco. — Girò le pagine della settimana precedente, e incominciò a leggere di lì in avanti. Prove, concerti e impegni per colazioni e pranzi, per incontrare persone collegate con i suoi progetti futuri, erano tutti scritti con una grafia chiara e ferma in lettere maiuscole oppure in un corsivo molto leggibile. Era una scrittura elegante, anche se non fiorita. — Se posso prenderla, cercherò ricavarne qualcosa.

— Certo che potete — disse lei premurosamente. — Posso darvi i nomi di alcune persone con cui lavorava regolarmente. Sir James Lismore, per esempio; e Roderick Alberd. Loro dovrebbero conoscerne molti altri, ne sono certa. — Si alzò in piedi di nuovo e girò dietro lo scrittoio. — Ho il loro indirizzo qui da qualche parte. Lady Lismore è un'amica di lunga data. Sono certa che vi sarà di grande aiuto.

— Vi ringrazio — accettò lui, incerto se la cosa si sarebbe rivelata utile, e diviso tra il desiderio di conoscere meglio Aidan Arledge e il timore di arrivare a scoprire che manteneva un'amante. Sarebbe stato un fardello spaventoso da portare per quella donna, superiore alla perdita stessa. In quel momento decise che se non fosse stato rilevante per la soluzione del caso avrebbe mantenuto il silenzio, ignorando la cosa come se non fosse mai avvenuta. Si sarebbe limitato a restituirle le chiavi e le avrebbe mentito, dicendo che non era riuscito a trovare la porta che aprivano.

La ringraziò di nuovo, indugiò di fronte a lei nella stanza tranquilla cercando di pensare a qualcos'altro da dirle, per offrirle conforto o speranza, ma non gli venne in mente nulla. Lei sorrise e lo congedò.

— Mi direte... che cosa avrete scoperto, vero, sovrintendente? — disse quando lui fu quasi alla porta.

— Se troverò qualcosa che porti allo scioglimento del mistero, ve lo dirò certamente — promise, e prima che lei potesse decidere se quella era la risposta che desiderava, lui seguì la cameriera che gli indicava l'uscita.

Incominciò con i nomi che lei gli aveva dato. Roderick Alberd si rivelò un personaggio eccentrico, con capelli fluenti e favoriti simili a quelli che portava il defunto Franz Liszt; nello studio in cui ricevette Pitt dominava un grande pianoforte. Alberd indossava una giacca di velluto color vino e un'ampia cravatta a fiocco. Quando parlò la sua voce si rivelò stridula e incredibilmente alta.

— Oh, addolorato, sovrintendente — disse con un ampio gesto. — In realtà, desolato. Che modo del tutto insensato di morire. — Si girò per fissare Pitt con occhi azzurri sorprendentemente intelligenti. — Questo è il genere di cose che dovrebbe succedere a scapestrati e spacconi, uomini violenti senza gusto né cultura, non a un uomo come Aidan Arledge. Non c'era niente di rozzo e di rapace nella sua natura. È un affronto alla civiltà stessa. Che cosa state facendo per lui? — Socchiuse gli occhi. — Perché siete qui?

— Sto cercando di sapere dove è andato e chi ha visto negli ultimi giorni... — incominciò Pitt, ma fu interrotto.

Alberd alzò le mani. — Dio del cielo, per quale ragione? Pensate che quel pazzo lo conoscesse personalmente?

— Penso che le loro strade possano essersi incrociate — ammise Pitt. — Non credo che lui abbia scelto completamente a caso. Potete aiutarmi? Il vostro nome mi è stato dato dalla sua vedova.

— Ah sì, povera anima. Be'... — Alberd si sedette sullo sgabello del pianoforte e piegò le dita, facendo schioccare le nocche. Le sue mani erano straordinariamente grandi, con lunghe dita a spatola. Pitt si accorse di guardarle con aria rapita. Se qualcuno fosse stato strangolato, quelle mani, con la loro potenza, avrebbero ossessionato i suoi sogni.

Pitt aspettò.

— È stato ucciso martedì, se ricordo bene. Trovato mercoledì mattina, vero? — incominciò Alberd, poi senza attendere una risposta, continuò. — Be', io l'ho visto lunedì. A metà pomeriggio. Abbiamo discusso di un concerto per il mese prossimo. Dovrò trovare un altro direttore adesso. Confesso che non l'avrei mai pensato. — Si fece schioccare di nuovo le dita. — Quando se n'è andato, ha detto che si sarebbe recato a far visita a un amico, ho dimenticato chi. Uno che non aveva niente a che fare con me, uno che non conoscevo... non uno dell'ambiente della musica, credo.

— Se voi riusciste a ricordare...

— Santo cielo, sovrintendente, non penserete certo...? No, vi assicuro, era un amico di lunga data. Credo un amico intimo. — Guardò Pitt con aria divertita.

— Che cos'altro potete dirmi del suo lavoro, chi altro potrebbe conoscere i suoi movimenti di quella settimana, signor Alberd?

— Oh, lasciatemi pensare... — Rifletté per qualche momento, fissando il pavimento, poi finalmente fornì a Pitt un elenco dei suoi impegni in quel periodo, e di tutte le occasioni in cui la sua strada si era incrociata con quella di Aidan Arledge, oppure di occasioni, luoghi e cerimonie in cui sapeva che Arledge sarebbe stato presente. Quando ebbe finito, ne risultò un quadro sorprendentemente completo.

— Vi ringrazio. — Pitt si scusò e prese congedo animato da nuove speranze.

Fece visita anche a Lady Lismore, e dietro suo suggerimento, a parecchi altri. Tre giorni dopo sapeva dove Aidan Arledge aveva trascorso la maggior parte dell'ultima settimana della sua vita, e che visitava regolarmente parecchi luoghi. Alcuni nomi ricorrevano di continuo. Decise di interrogarli tutti.

Nel frattempo ritornava sempre a Bow Street, spesso la sera tardi, per sapere che cosa avesse scoperto Tellman.

— Non so dove sia stato ucciso Arledge — ammise questi con acredine, guardando Pitt con aria irritata. — Ho mandato gli uomini a frugare in lungo e in largo nel parco, e per un raggio di un chilometro e mezzo in ogni direzione, a ogni agente di ronda è stato detto di tenere gli occhi aperti. Niente!

— Che cosa dite di Yeats, il bigliettaio di omnibus? — Pitt alzò gli occhi guardandolo senza speranza.

— Neppure lui so dove è stato ucciso. — Tellman sedette di sghembo sulla sedia. — Ma ci sono uno o due posti probabili a Shepherd's Bush. Almeno sappiamo da dove viene il calesse. Un uomo di nome Arburthnot ha riferito che gli è stato rubato davanti a casa in Silgrave Road.

— Immagino che abbiate perlustrato tutta la zona intorno per trovare il luogo dell'assassinio? — chiese Pitt.

Tellman lo paralizzò con un'occhiata. — Certo che l'abbiamo fatto. Uno dei più probabili era il binario di raccordo della ferrovia proprio in fondo alla Silgrave Road. Il terreno è così imbevuto d'olio e coperto di cenere e altro, che è difficile dire se ci fosse sangue o no.

— Nessuno ha visto Yeats dopo che ha lasciato l'omnibus?

Tellman fece segno di no con la testa.

— Nessuno che l'abbia detto. Il conducente l'ha visto scendere, gli ha augurato la buona notte, e ha detto che Yeats ha preso per la Silgrave Road. Abita in Osman Gardens, quattro o cinque strade più in là.

— Nessun altro è sceso dall'omnibus in quel momento?

— Mezza dozzina di persone. — Tellman fece una smorfia. — Dice che lui non ne ricorda nessuna perché è rimasto con la schiena voltata per tutta la corsa, e alla fine tutto quello a cui riusciva a pensare era di andare a casa e mettere i piedi in un catino di sali di Epsom.

— Che cosa si sa dei passeggeri abituali? — chiese Pitt. — Avranno notato se c'era qualcuno di insolito? Che cosa dicono?

— Sono riuscito a trovarne solo uno — disse Tellman con aria tetra. — Non è l'orario adatto per una persona che lavora, o che vada in qualche posto per affari o per divertimento. È troppo tardi per i teatri. Comunque, chi andrebbe ai teatri della City da Shepherd's Bush in omnibus?

Pitt stava perdendo la pazienza. — Che cosa ha detto il passeggero abituale? Non avete scoperto niente, diamine?

— Per quanto riusciva a ricordare, c'erano sei o sette persone sull'omnibus quando è arrivato a Shepherd's Bush. Almeno quattro erano uomini, uno giovane, tre più anziani, e per quanto ricordasse, piuttosto corpulenti. Non riesce a ricordarne neppure uno. Era stanco e aveva mal di testa. — Tellman sollevò il mento e la sua faccia allungata era tesa. — E voi che cosa avete saputo... signore? Qualcosa che possa esserci di aiuto?

— Penso che Arledge avesse un'amante, e mi auguro di scoprirlo entro un giorno o due — rispose Pitt, piuttosto temerariamente.

— Ah... — Era difficile capire dal sussulto di Tellman se fosse interessato o meno. — Potrebbe spiegare la morte di Arledge, se la signora era sposata, ma perché Winthrop? O aveva un'amante anche lui?

— Non lo saprò finché non l'avrò trovata — rispose Pitt, alzandosi e dirigendosi verso la finestra. — E prima che voi me lo chiediate, non so che cosa avesse a che fare Yeats con loro, a meno che in qualche modo sapesse qualcosa e fosse un ricattatore. — Sotto di lui nella strada si era fermata una carrozza a nolo, dalla quale scese con difficoltà un uomo corpulento. Un monello con in mano una scopa non si diede la pena di nascondere il suo divertimento.

Tellman inarcò le sopracciglia. — La signora vivrebbe a Shepherd's Bush? — chiese con sarcasmo.

— Del resto, neppure l'ipotesi di un pazzo che uccide senza nessuno disegno avrebbe senso — ribatté Pitt.

— Quello ha qualcosa a che fare con il parco — asserì Tellman con decisione. — Altrimenti perché ha trasportato Yeats per tutta la strada del ritorno in un calesse? Sarebbe stato molto più sicuro lasciarlo semplicemente a Shepherd's Bush. Perché metterlo nel calesse, tanto per cominciare?

— Forse non voleva lasciarlo dov'era — suggerì Pitt, allontanandosi dalla finestra e sedendosi sul bordo della scrivania. — Forse lo ha riportato a Hyde Park perché è là che vive il nostro assassino.

Tellman aprì la bocca per ribattere, poi cambiò idea. — Forse. L'amante di Arledge e suo marito, immagino. Forse è una donna di dubbia moralità, ed era anche l'amante di Winthrop. Ma sicuramente non quella del piccolo bigliettaio grasso. — La sua faccia allungata si scompose in un sorriso duro. — Mi piacerebbe conoscere quella donna.

Pitt si alzò. — Allora farò meglio a continuare a cercarla. Voi scoprite dove sono stati uccisi Yeats e Arledge.

— Sì, signore. — E continuando a sorridere tra sé, Tellman si alzò e andò verso la porta.

Ma ci vollero altri due giorni di coscienzioso lavoro, di insignificanti conversazioni, incontri e visite, discorsi appena accennati e occhiate, perché Pitt rintracciasse una dozzina circa di conoscenze di Arledge e incominciasse a scartarle come sospette. Era ormai scoraggiato. Tutti avevano un alibi, e i loro rapporti erano al di sopra di ogni dubbio.

Stanco, con i piedi doloranti e scoraggiato, Pitt si presentò alla porta di un rispettabilissimo uomo d'affari che aveva finanziato con dei fondi la piccola orchestra che Aidan Arledge aveva frequentemente diretto. Forse il signor Jerome Carvell aveva una bella moglie?

La porta fu aperta da un maggiordomo alto, con un lungo naso ricurvo e sulla bocca una smorfia arrogante.

— Buona sera, signore. — Guardò Pitt dall'alto in basso con aria interrogativa. Sembrava incerto di fronte a ciò che stava vedendo. La stanchezza e l'autorevolezza nell'espressione di Pitt contrastavano con il trasandato abbandono dei suoi abiti e la polvere che ricopriva i suoi stivali.

— Buonasera — rispose Pitt, cercando nelle tasche il biglietto da visita e porgendoglielo. — Mi scuso di presentarmi così tardi, e non annunciato, ma la questione è piuttosto urgente. Posso parlare con il signore o la signora Carvell?

— Chiedo al signor Carvell se desidera vedervi, signore — rispose il maggiordomo.

— Vorrei parlare anche con la signora Carvell — insistette Pitt.

— Impossibile, signore.

— È importante.

Le sopracciglia del maggiordomo si inarcarono. — La signora Carvell non esiste, signore.

— Oh. — Pitt, per una ragione inspiegabile, si sentì deluso. Anche se il signor Carvell era così un buon amico di Arledge come lui era stato indotto a credere, e lo conosceva personalmente, non si sarebbe tradito con la polizia.

— Desiderate vedere il signor Carvell, signore? — Il maggiordomo sembrava un po' impaziente.

— Sì, per favore — rispose Pitt, più irritato che speranzoso.

— Allora se volete accomodarvi da questa parte, signore, mi informerò se è possibile. — Girandosi, il maggiordomo gli fece strada verso uno studiolo, molto grazioso, rivestito di legno e con le pareti occupate da scaffali di libri con rilegature in pelle che sembravano insolitamente molto letti, catalogati a seconda dell'argomento, non dell'aspetto.

Pitt fu lasciato solo per quasi cinque minuti, durante i quali osservò i titoli e notò alcune aree di interesse come l'esplorazione, i classici, l'entomologia, l'architettura medioevale e la coltivazione delle rose. Poi la porta si aprì e vide un uomo sui quarantacinque anni, con capelli biondicci che incominciavano a diventare grigi alle tempie e un viso che denotava carattere e una straordinaria intelligenza. Non lo si sarebbe potuto dire bello... aveva la pelle segnata da una passata malattia, forse il vaiolo, e i denti tutt'altro che diritti... eppure emanava una tale serenità e sensibilità che Pitt si trovò a provare per lui un'immediata simpatia.

— Signor Carvell?

— Sì? — Carvell assunse un'aria ansiosa. — Sovrintendente Pitt? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non mi sono reso conto di niente...

— Dubito che ci sia qualcosa, signore — rispose Pitt sinceramente. — Sono venuto a trovarvi con la speranza che possiate fornirmi qualche notizia che mi possa aiutare...

— Oh Dio. In che cosa? — Carvell avanzò e fece cenno a Pitt di sedersi con aria assente. Si accoccolò su una delle altre poltroncine. — Non penso di sapere nulla che possa essere pur lontanamente utile per la polizia. Io sono un uomo d'affari. Non m'intendo di delitti. Qualcuno si è appropriato di ingenti somme di denaro?

Sembrava così trasparente e innocente che Pitt fu quasi sul punto di abbandonare completamente l'interrogatorio. Fu solo la necessità di spiegare la sua presenza che lo spinse a continuare.

— Non per quanto ne so io, signor Carvell. Si tratta di un collegamento con la morte del signor Aidan Arledge. Credo... — Si fermò. La faccia di Carvell era diventata pallidissima e lui sembrava così profondamente addolorato che Pitt provò pena per lui. Sembrava che avesse difficoltà a respirare. Pitt era stato sul punto di dire: "Credo che voi lo conosceste"; ma una tale osservazione in quel momento sarebbe stata assurda. — Posso portarvi un bicchier d'acqua? — si offrì, alzandosi in piedi. — O di brandy? — Si guardò intorno alla ricerca di una caraffa o di un mobiletto bar.

— No... no... mi scuso — balbettò Carvell. — Io... io... — Si interruppe non sapendo che cosa dire. Non c'era una spiegazione ragionevole. Sbatté le palpebre diverse volte.

Finalmente Pitt vide la caraffa. Sembrava contenere del Madera, ma sarebbe stato meglio che niente. Non vide bicchieri, così afferrò l'intero contenitore e lo portò alle labbra di Carvell.

— Veramente... io... — Carvell balbettava, poi inghiottì un lungo sorso e si appoggiò all'indietro, respirando con difficoltà. Sulla sua faccia tornò un po' di colore, così Pitt depose la caraffa sul tavolo vicino a lui e tornò alla propria sedia. — Vi ringrazio — disse Carvell pieno di infelicità. — Mi scuso davvero. Non... non riesco a capire che cosa mi sia accaduto... — Ma il dolore sulla sua faccia rese tragicamente evidente che cosa lo aveva privato del suo abituale sangue freddo.

— Non è necessaria alcuna scusa — disse Pitt sentendo dentro di sé una strana, sorda pietà. — Sono io che dovrei chiedere scusa. Sono stato davvero insensibile a introdurre l'argomento in modo tanto brusco. Immagino che voi foste molto affezionato al signor Arledge.

— Sì, sì, eravamo amici da molti anni. In realtà dalla gioventù. È stato un modo così... terribile di morire. — La sua voce era rauca per le emozioni che vi si affollavano.

— Certo — ammise Pitt. — Ma penso di potervi assicurare che lui non se n'è accorto. Un colpo improvviso, e ha perduto conoscenza. È terribile soltanto per quelli di noi che ora conoscono tutti i particolari.

— Siete molto premuroso. Vorrei... — Carvell s'interruppe bruscamente. — Non so che cosa potrei dirvi, sovrintendente. — Guardò Pitt con aria seria. — Io non so assolutamente nulla. E ho naturalmente frugato nella mia mente per vedere se c'era qualcosa che avrei potuto fare per prevenirlo, per prevedere una tale... una tale abominevole cosa, ma non ho trovato nulla. È come se mi fosse piombato addosso un fulmine. Non c'era — atteggiò le labbra alla vaga caricatura di un sorriso — la più piccola nube all'orizzonte. Quel giorno tutto era come al solito, tutti i piaceri che si possono dare per scontati, il sole, la terra che trabocca di tutto ciò che la vita offre, ovunque giovani pieni di speranze e di ambizioni, vecchi pieni di ricordi, di buon cibo, di buon vino, di buone compagnie, libri bellissimi e musica squisita. — Sospirò. — Il mondo segue il suo corso. Poi improvvisamente... — I suoi occhi si riempirono di lacrime e lui si girò, con pudore, sbattendo le palpebre per coprire il suo imbarazzo.

Pitt provava un'acuta pietà per il suo dolore.

— Ne siamo tutti molto scossi — disse pacatamente. — E molto spaventati. Ecco perché sono costretto a introdurmi in casa della gente in questo modo. Ogni aiuto che voi potete offrire, anche minimo, può aiutarci a catturare colui che ha commesso questo crimine. Conoscevate il Capitano Winthrop? Il signor Arledge vi ha mai parlato di lui? — Stava aggirando la vera domanda, e lo sapeva, ma voleva dare a Carvell il tempo di ricomporsi. Già nel momento in cui parlava, sapeva che il suo era un errore tattico. Tellman non avrebbe avuto esitazioni.

— Il Capitano Winthrop? — Carvell lo guardò confuso. — Oh, sì, il primo uomo che è stato... ucciso. No. No, non posso dire di aver sentito parlare di lui precedentemente. Oh... aspettate un momento. Sì, ho sentito fare il suo nome da un certo Bartholomew Mitchell, che ho incontrato qualche volta. Per una questione di affari. A dire il vero, credo che il nome fosse quello della signora Winthrop. La signora Winthrop è sua sorella, penso.

— Posso chiedervi di che tipo di affari?

— Lui curava parte degli interessi di lei. Non posso credere che questo possa avere alcun collegamento.

— No, non penso che ne abbia affatto. Quando è stata l'ultima volta che avete visto il signor Arledge?

Di nuovo il suo viso impallidì. — La sera precedente al giorno in cui è morto, sovrintendente. Abbiamo cenato insieme dopo un concerto. Era tardi e lui sapeva che la sua famiglia doveva ritirarsi...

— Capisco. — Pitt tirò fuori il mazzo di chiavi dalla tasca e glielo mostrò. Stava per chiedere se Carvell ne sapesse qualcosa, quando l'espressione della sua faccia rese la domanda inutile.

— Dove... — incominciò lui, poi scese il silenzio, mentre fissava impotente Pitt.

— Sono delle porte di questa casa, signor Carvell? — chiese Pitt.

Carvell deglutì. — Sì — disse con voce rauca.

Pitt scelse la più lunga. — La porta d'ingresso?

— Quella sul retro — corresse. — ... sembra.

— Naturalmente. E queste? — Mostrò le altre due.

Carvell non disse nulla.

— Per favore, signore. Non sarebbe molto dignitoso se dovessi chiedere un mandato e provare tutte le porte e le credenze e i cassetti della casa.

Carvell impallidì ancora di più e apparve disperatamente infelice.

— Voi... voi dovete... esaminare le sue... le sue cose? — balbettò.

— Che cosa teneva qui? — chiese Pitt con doloroso imbarazzo. Era grossolanamente importuno, eppure non poteva permettersi di farne a meno.

— Effetti personali. — Carvell parlava a scatti, come se avesse voluto strappare ogni oggetto dalla sua memoria. — Un po' di biancheria pulita, un abito da sera, gemelli per i polsini, bottoncini per i colletti. Niente che non potreste usare anche voi, sovrintendente.

— Una spazzola per capelli dal dorso d'argento?

— Sì... penso di sì.

— Capisco.

— Davvero? Io lo amavo, sovrintendente. Non so se potete capire quel che significa. Per tutta la mia vita io... — Chinò la testa e si coprì la faccia con le mani. — Che importanza ha? Pensavo che sarebbe stato un sollievo dividere questo dolore con qualcuno. Almeno posso ammettere di soffrire per la sua perdita. — La sua voce s'incrinò per il dolore. — Dovevo tenerlo segreto, fingere che fosse un semplice amico, che m'importasse di lui solo sotto questo aspetto. Avete idea di che cosa significhi perdere la persona che amate di più al mondo, e doversi comportare come se fosse un semplice conoscente? Ce l'avete? — Alzò gli occhi di colpo, la faccia rigata dalle lacrime, il dolore completamente a nudo.

— No — disse Pitt sinceramente. — Sarebbe inopportuno da parte mia dire che capisco quanto soffriate. Ma posso immaginare che sia un dolore insopportabilmente profondo. Vi porgo le mie condoglianze, per quello che possono valere.

— Valgono molto, sovrintendente. È importante trovare almeno una persona che vi capisca.

— La signora Arledge sapeva di... di voi?

Carvell lo guardò sorpreso.

— Santo cielo, no!

— Ne siete sicuro?

Lui scosse la testa con veemenza. — Aidan ne era certo. Del resto io non l'ho mai incontrata, eccetto che per qualche istante a un concerto, proprio per caso. Non desideravo... Potete capire?

— Certo. — Pitt riusciva soltanto a immaginare i sentimenti di gelosia, di colpa e di paura che potevano essersi scatenati nella sua mente.

— Davvero? — disse Carvell con un filo di amarezza.

Sembrava disperato. Pitt era acutamente conscio del suo isolamento. Non c'era nessuno a confortarlo per il suo dolore, nessuno che se ne rendesse neppure conto.