Guardò la figura sventurata di Carvell di fronte a sé. Che cosa era successo? Quale torrente di emozioni si era riversato in lui, sconvolgendolo fino a spingerlo a uccidere l'uomo che amava? Poteva essere stato soltanto un moto di gelosia, perché quella relazione era finita, o perché quell'Arledge aveva trovato qualcun altro.

Perché prima Winthrop? Winthrop doveva essere stato l'altro uomo. In qualche modo il bigliettaio dell'omnibus l'aveva saputo, non quella notte, ma in un altro momento. E naturalmente il beffardo Scarborough sapeva troppo. Cercò di immaginare la scena in cui il maggiordomo affrontava il padrone riferendogli ciò che sapeva, impettito e rigido nella sua livrea, le magnifiche gambe infilate nelle calze di seta, i bottoni e i galloni scintillanti, le labbra incurvate. Non aveva avuto neppure il sospetto che il suo padrone avrebbe ucciso anche lui.

Ma questo era stupido. Aveva già ucciso altre tre persone. Come poteva Scarborough essere stato così ciecamente fiducioso da girare la schiena a un uomo che aveva appena minacciato, sapendo che aveva già ucciso tre volte? Poteva esserci stata una lotta. Scarborough doveva pesare la metà di Carvell, ed era almeno quindici centimetri più alto. Qualsiasi tipo di lotta l'avrebbe vinta facilmente. Pitt avrebbe dovuto chiedere al medico legale se c'erano ferite sul corpo di Scarborough, una pugnalata al cuore o qualcosa del genere.

Al suo posto Tellman si sarebbe già mosso. Avrebbe incominciato con le domande o avrebbe cercato il posto in cui poteva essere avvenuto il fatto? Oppure il mezzo di trasporto nel quale Carvell aveva trasportato il corpo inerte del maggiordomo fino all'abbeveratoio nel parco? Oppure l'arma? Probabilmente aveva conservato l'arma fin dall'inizio. Pericoloso. Confidava molto nel nascondiglio, oppure nel fatto che non sarebbe mai stata cercata nel posto giusto? Oppure pensava che se fosse stata trovata, lui non vi sarebbe stato implicato?

— Signor Carvell?

Carvell stava seduto immobile.

— Signor Carvell?

— Sì?

— Quando avete visto Scarborough vivo l'ultima volta?

— Non Io so. — Carvell alzò la faccia. — All'ora di cena? Dovreste chiedere agli altri servitori. Dovrebbero averlo visto dopo che l'ho visto io.

— Ha chiuso bene la casa la notte scorsa?

— Veramente non lo so, sovrintendente. Ieri ero al servizio funebre di Aidan. Pensate che potesse importarmi di chi avrebbe chiuso la casa? Potrebbe essere rimasta aperta tutta la notte, per quel che ne so io.

— Da quanto tempo era al vostro servizio Scarborough?

— Cinque anni... no, sei.

— Eravate soddisfatto di lui?

Carvell lo guardò perplesso. — Era bravo nel suo lavoro, se è questo che volete dire. Se volete sapere se mi piaceva come persona, assolutamente no. Era una creatura ripugnante, ma dirigeva la casa in modo eccellente. — Fissò Pitt quasi senza vederlo. — Non ho mai avuto guai domestici di alcun genere — disse cupamente. — I pasti erano puntuali, ben cucinati, e i conti di casa erano in perfetto ordine. Se c'è mai stato qualche problema, io non ne sono mai venuto a conoscenza. Ho amici che continuano a lamentarsi ora di una cosa ora dell'altra. Io non ne ho mai avuto occasione. Se a volte mi guardava con aria beffarda, non me ne curavo. — La sua bocca si piegò in un sorriso di autoironia. — Era magnifico nell'organizzare le feste. Sapeva cavarsela con pranzi o ricevimenti di qualsiasi tipo o importanza. Non ho mai dovuto occuparmi di nulla personalmente.

Una cameriera attraversò il pianerottolo sopra di loro, ma Carvell non sembrò neppure accorgersi di lei, né del tramestio che in quel momento arrivava da dietro la porta della sala da biliardo, in fondo all'atrio.

— Mi bastava semplicemente dire: "Scarborough, desidero invitare dieci persone a cena martedì prossimo" continuò. — "Provvederò", e lo faceva, forniva un menu elegante a un costo molto contenuto. Assumeva personale extra se era necessario, e nessuno di loro era mai impertinente, pigro o disonesto. Sì, era un demonio che trattava tutti dall'alto in basso, ma professionalmente era talmente perfetto che si passava sopra i suoi difetti. Non so come trovarne uno che lo sostituisca.

Pitt non parlò.

Carvell deglutì e fece un leggero schiocco con la lingua che terminò in un singhiozzo.

— O forse mi impiccheranno e allora non dovrò preoccuparmene.

— Avete ucciso Scarborough? — chiese Pitt con gentilezza.

— No, certo — rispose Carvell tranquillo. — E prima che voi me lo chiediate, non ho la minima idea di chi sia stato né del perché.

Era terribilmente infelice e spaventato. Pitt lo interrogò per un'altra decina di minuti, ma non scoprì nulla che già non sapesse dell'uomo. Lo lasciò accasciato sul divano nell'atrio e andò a vedere che cosa aveva scoperto Tellman.

Lo trovò negli alloggi dei domestici, una zona della casa angusta a paragone di quella in cui si trovava prima, ma arredata in modo molto confortevole e in cui aleggiava un piacevole profumo di lavanda e di cera d'api. Il profumo del pranzo che cuoceva gli ricordò all'improvviso che aveva fame. Il servitore dalla faccia pallida era in piedi sull'attenti. Una domestica era in lacrime, con il piumino in una mano, la scopa appoggiata contro la parete. La governante sedeva rigida su una sedia dallo schienale di legno, le chiavi alla cintola, le dita sporche di inchiostro, che probabilmente proveniva dal libro mastro della casa, la faccia di chi avesse appena trovato qualcosa di innominabile nel piatto. La sguattera e la cuoca erano assenti. La sguattera della cucina era di fronte a Tellman, sulla manica una macchia di fuliggine nera proveniente dalla stufa, l'espressione lacrimosa e ostinata.

Tellman si girò a guardare Pitt. Sembrava che l'interrogatorio cui aveva sottoposto la domestica non fosse approdato a nulla.

— Che cosa avete saputo? — chiese Pitt tranquillamente.

Tellman si diresse verso di lui. — Pochissimo — disse, con aria sorpresa. — Dopo il ricevimento, il personale ha trascorso buona parte del pomeriggio a riordinare. I valletti e le cameriere assunti per l'occasione sono stati pagati e congedati. Una di quelle domestiche era già stata licenziata per comportamento sconveniente, non so che cosa abbia fatto. Nessuno sembra sapere esattamente che cosa. Carvell ha passato il pomeriggio fuori di qui, il personale non sa dove, ma il valletto pensa che se ne stesse semplicemente solo e afflitto per conto suo.

— Afflitto? — disse in fretta Pitt.

Tellman lo guardò senza comprendere.

— Il valletto sapeva che Carvell nutriva un profondo sentimento per Arledge? — chiese Pitt senza fiato, ma con voce acuta.

Tellman scosse la testa. — Oh, no, non credo. Sembra che lui consideri ogni morte come una faccenda molto cupa, che ha bisogno di uno spazio in cui rifugiarsi.

— Oh, che cosa sa di Scarborough?

— Ha trascorso il pomeriggio nella dispensa, e a controllare le riserve in cantina — rispose Tellman, tirando Pitt un po' discosto dalla servitù, che li fissava con aria d'attesa. — La cena è stata una cosa leggera, quasi una colazione fredda. Carvell ha letto in biblioteca per un po', poi si è ritirato presto. La servitù è stata lasciata libera intorno alle otto. Scarborough ha chiuso alle dieci e nessuno l'ha più visto dopo di allora. — La faccia di Tellman era inflessibile nella sua convinzione, gli occhi scuri infossati senza espressione, la bocca che formava una linea dura. — Nessuno ha suonato il campanello, altrimenti il resto della servitù l'avrebbe udito. Squilla in cucina e qui dentro. — Si girò e mostrò il tabellone con tutti i campanelli, che indicavano le varie stanze. La porta d'ingresso era chiaramente visibile.

— E nessuna effrazione, suppongo — disse Pitt, in tono affermativo.

— No, signore, nessuna. Tutte le finestre e le porte erano perfettamente chiuse... — Tellman si fermò.

— Sì? — disse Pitt seccamente. — Eccetto?

Tellman fece una smorfia. — Eccetto le porte-finestre in sala da pranzo. La cameriera pensa che fossero aperte quando è entrata qui questa mattina. Per lo meno, non aperte, ma neppure chiuse con i chiavistelli. Carvell probabilmente è uscito da quella parte, e quando è rientrato, ha dimenticato di mettere il catenaccio.

— Qualcuno sarà stato — ammise Pitt. — È più probabile che sia stato Scarborough a uscire da quella parte, vivo e di sua spontanea volontà.

La faccia di Tellman mostrò incredulità, e disprezzo per l'indecisione di Pitt. — Per quale ragione? — La sua derisione era evidente. — Non ditemi che pensate che il maggiordomo di notte raggiungesse il parco per incontrare una donna. Pensavo che avessimo abbandonato l'idea che ciò abbia a che fare con le prostitute. Sapevamo che era una sciocchezza quando l'ha detto il vicecapo della polizia! Non è uno squilibrato con l'ossessione della fornicazione, è un assassino perfettamente sano che è stato tradito in amore e che era talmente sconvolto da volersi vendicare... e quindi uccidere chiunque fosse al corrente della cosa e lo minacciasse!

Pitt non fece obiezioni.

— State ancora pensando a Mitchell? — continuò Tellman. — Non ha senso. Forse aveva una ragione per uccidere Winthrop, ma non gli altri; e certamente non il maggiordomo. Perché diavolo Mitchell dovrebbe avere a che fare con il maggiordomo di Carvell?

— L'unica ragione per la quale qualcuno ha ucciso Scarborough è perché lui sapeva qualcosa — rispose Pitt. — Ma no, non riesco a vedervi alcun collegamento con Mitchell.

— Allora arresterete Carvell?

— Avete già perquisito la casa?

— No, naturalmente non l'ho fatto. Ho frugato nella dispensa di Scarborough e sono stato di sopra nella sua camera. Là non c'è niente, ma non mi aspettavo niente.

— Documenti?

Tellman sembrò sorpreso. — Documenti? Che genere di documenti?

— Ricevute di denaro — rispose Pitt. — Se stava ricattando Carvell, dovrebbe esserci qualcosa che lo dimostra.

— Riguardo ad Arledge? Forse lui ha provato a farlo soltanto dopo l'assassinio, e ha ricevuto la somma la notte scorsa.

— Perché avrebbe dovuto aspettare così a lungo? Erano passati giorni dall'uccisione di Arledge.

— Non ho trovato niente, ma non ho avuto il tempo di leggere tutte le lettere e le carte. Ho interrogato la cuoca sulla sua accetta per la carne, e ho cercato un'ascia nel capanno in giardino. Non ce n'erano. Comprano la legna per accendere il fuoco già tagliata.

— Che cosa ne è stato dell'accetta?

— Non saprei dirlo. — Tellman liquidò la domanda con il suo solito tono. — La cuoca dice che è esattamente dove lei l'ha lasciata. Ha cambiato colore, ma penso che stesse dicendo la verità. Sembra una donna docile, che non grida e non si indigna. Una persona di buon senso. — Si strinse nelle spalle. — Non so che cosa abbia fatto dell'arma. Penso che la troveremo quando faremo venire qui una squadra di uomini. La mia opinione, signore, è che Carvell crollerà quando l'avremo chiuso in una cella e si renderà conto che non può più liberarsi dell'accetta. Sarà preso dal panico e ci dirà i particolari che non sappiamo.

— È possibile — disse Pitt, ma senza convinzione, lo si capiva dal tono della voce.

Tellman aveva un'espressione acida. Non gli andava giù il comportamento di Pitt e non fece nessuno sforzo per nasconderlo.

— Ora una ragione ce l'abbiamo! Non conosciamo ancora tutti i particolari, ma è solo questione di tempo. Anche se non possiamo incolparlo per il bigliettaio, possiamo fermarlo per Arledge e Scarborough. — Si girò e si allontanò di un passo. — Devo mandare a chiamare un carro, oppure possiamo portarlo con una carrozza? Non credo che ci darà noie. Di nessun genere.

— Sì — ammise Pitt riluttante. — Portatelo con una carrozza. — Stava per aggiungere di non sottoporlo ad oltraggi non necessari, poi si rese conto di come questo fosse stupido, dal momento che era impossibile influenzare il comportamento di Tellman.

— Voi non venite? — chiese Tellman sorpreso, gli occhi già colmi di derisione per il fatto che Pitt non volesse farlo personalmente.

— Lo dichiarerò in arresto — disse Pitt. — Voi conducetelo alla stazione di polizia. Voglio restare qui a vedere che cos'altro riesco a trovare.

Carvell non si mostrò sorpreso quando li vide tornare. Era ancora seduto nell'atrio dove l'avevano lasciato, e aveva un aspetto pallido e malato. Alzò la testa quando riconobbe il passo di Pitt. Non disse nulla, ma la domanda era chiara nel suo sguardo.

— Jerome Carvell. — Pitt sentì di odiare il suono della propria voce mentre pronunciava le formule consuete. Il cambiamento di tono, l'improvvisa formalità presagiva che sarebbe stato detto qualcosa di spiacevole, e la faccia di Carvell improvvisamente assunse un'aria incredula, quasi oppressa, mentre tutta la sua paura diventava realtà. — Vi dichiaro in arresto per l'assassinio di Albert Scarborough.

— Io non l'ho ucciso — disse Carvell pacatamente, senza la speranza di essere creduto. Si alzò in piedi e tese le mani. Guardò Pitt. — Neppure gli altri.

Pitt non poteva dire nulla. Voleva credergli, e una piccola parte di lui gli credeva, ma l'evidenza non poteva più essere ignorata.

— L'ispettore Tellman vi porterà alla stazione di polizia. Non c'è bisogno delle manette.

— Vi ringrazio — disse Carvell quasi sottovoce, e con aria obbediente, le spalle curve, la faccia bianca, attraversò il vestibolo insieme a Tellman e varcò la soglia della porta d'ingresso. Non tentò di fuggire, né tantomeno di liberarsi della stretta di Tellman. Ogni sentimento, persino la vita stessa, sembrava averlo abbandonato, come se un colpo lungamente atteso e inevitabile fosse infine calato su di lui.

Pitt salì le scale fino alla camera del maggiordomo e la perquisì meticolosamente; non trovò niente di più di quello che aveva trovato Tellman. Ridiscese e perlustrò tutta la casa, le stanze principali di ricevimento e il corridoio della servitù, la dispensa del maggiordomo, il salotto della governante e la cucina, la lavanderia, il retrocucina e la cantina dei vini, e non trovò nulla di interessante. Infine continuò verso i pollai e le stalle dove i valletti gli avevano detto che Carvell teneva un cavallo e un calessino a due posti che usava qualche volta nei pomeriggi estivi, guidandolo personalmente con abilità e piacere. Il cavallo era accudito dal ragazzo che si occupava degli stivali, il quale amava assentarsi dalla casa con qualsiasi pretesto, e a dire il vero c'erano ben poche paia di stivali con le quali lui potesse impiegare il proprio tempo. Lo aiutava anche il giardiniere quando c'era poco da fare fuori, e il fango invernale rendeva necessarie una pulitura e una lucidatura in più.

— Sì, signore? — disse con aria indaffarata quando Pitt gli si avvicinò, la preoccupazione dipinta sulla larga faccia bonaria.

— Posso dare un'occhiata alla vostra stalla e al riparo delle carrozze? — chiese Pitt, per pura formalità. Non avrebbe accettato un rifiuto.

— Sì, signore, se volete. — Il ragazzo lo guardò sorpreso. — Ma manca mica niente, signore. C'è là il calesse, e tutti i finimenti, eh.

— Comunque, preferisco dare un'occhiata. — Pitt lo seguì verso la porta della stalla. Era passato molto tempo da quando era stato a contatto con i cavalli. Il caldo odore degli animali, il cortile a lastroni sotto i piedi, l'odore di cuoio e di lucido gli riportarono ricordi lontani della tenuta dove era cresciuto, le stalle e il locale per la ferratura al di là di esse, e poi la sensazione di avere un cavallo sotto di sé, la sua potenza e la sua velocità che si fondevano con la propria volontà, la capacità e il piacere di essere tutt'uno con l'animale. E poi il lavoro che seguiva, la strigliatura e la pulizia, il riporre tutto, i muscoli doloranti e l'euforia, e poi la pace. Sembrava che fosse trascorsa un'eternità. Dulcie Arledge avrebbe capito, con il suo amore per i cavalli, le lunghe cacce, la stanchezza dei muscoli, il dolore che era un mezzo piacere.

Con aria assente, diede alcune pacche sul collo dell'animale. Il ragazzo era proprio dietro di lui.

— Lo avete strigliato questa mattina? — gli chiese Pitt, guardando gli zoccoli del cavallo e vedendo alcuni schizzi di fango su di essi, l'erba secca appiccicata ai peli dei garretti.

— No, signore. Con quello che ci è successo al signor Scarborough, sapete, e nessuno che sa che cosa ci è capitato, tutta la cucina è in agitazione.

— L'avete strigliato ieri sera?

— Oh, sì, signore! Splendeva come un penny nuovo, splendeva! Sembrava proprio che ci avesse un mantello reale. Vero, Sam? — disse, dando affettuose pacche all'animale e ricevendo un leggero colpetto con il muso in risposta.

Pitt indicò il fango.

— Be', questo non c'era ieri sera! — disse il ragazzo con indignazione. — Non c'era proprio! — La sua faccia impallidì e i suoi occhi si spalancarono. — Volete dire che l'hanno portato fuori? Di notte, eh?

— Sembra — rispose Pitt, esaminando tutt'intorno il pavimento della stalla per assicurarsi che non ci fosse fango all'interno e che il cavallo potesse essersi sporcato senza uscire, ma era pulitissimo. Anche se era il ragazzo addetto agli stivali, era uno stalliere diligente. — Diamo un'occhiata al calesse. — Si girò verso la rimessa delle carrozze. Il ragazzo gli si era messo alle calcagna.

Aprì la porta della rimessa e vide un bel calesse appoggiato al muro, le stanghe che scintillavano sotto la luce del sole, la vernice senza macchie. Si girò verso il ragazzo. — Guardatelo attentamente. Guardate i finimenti. Sono proprio come li avete lasciati?

Ci fu un lungo silenzio mentre il ragazzo osservava accuratamente ogni cosa, ogni pezzo di cuoio o di ottone, senza toccare nulla. Finalmente emise un profondo sospiro e affrontò Pitt.

— Non potessi essere sicuro, 'gnore. Sembra proprio lui, ma non sono certo per le cinghie là in alto. I finimenti avevano quell'aria lì, ma non penso che le briglie vicine sarebbero avvoltolate in quella maniera. Non potrei giurarci, accidenti!

Pitt non disse nulla ma si sporse oltre i bordi del calesse e lo scrutò all'interno. Era pulito e lucido, le porte bloccate, i sedili sgombri.

— L'hanno adoperato, signore? — chiese il ragazzo da dietro le sue spalle.

— No, da quel che posso vedere — rispose Pitt, senza capire se si sentisse sollevato o deluso. Tirò indietro il catenaccio dello sportello e lo aprì. Lo spalancò sui cardini ben oliati. Abbassò gli occhi sul gradino e vide un filo di tessuto impigliato nella vite che tratteneva il fianco. Si chinò per afferrarlo tra il pollice e l'indice e lo sollevò con delicatezza. Lo espose alla luce. Era lungo, chiaro, attorcigliato come un cavatappi.

— Che roba è? — chiese il ragazzo, gli occhi fissi su di esso.

— Non lo so ancora — rispose Pitt, ma non era vero. Era quasi sicuro che fosse il filo di una calza della livrea del valletto. — Vi ringrazio — aggiunse. — Guardo se c'è qualcos'altro. Il signor Scarborough usava questo calesse, che voi sappiate?

— No, signore. Il signor Scarborough stava dentro in casa, signore. Il signor Carvell lo guidava solo lui, e se mandava qualcuno per una commissione, mandava io.

— Indossate sempre la livrea?

La faccia del ragazzo s'illuminò in un sorriso. — Che cosa, me! No, signore. Al signor Scarborough ci veniva un attacco di rabbia se c'avessi avuto un'idea del genere. Mi avesse rimesso subito a posto, mi avesse.

— Niente calze?

— No! Perché? — Guardò di nuovo il filo, improvvisamente serio. — È delle calze di qualcuno?

— Probabilmente. — Pitt non avrebbe voluto che lui lo scoprisse, ma ormai era troppo tardi, e non c'era altro da fare. Non avrebbe dimostrato nulla se Scarborough avesse usato il calesse personalmente. Pose il filo in un pezzo di carta e poi se lo mise in tasca. Non avrebbe voluto chiedere al ragazzo di non far parola della cosa con il resto della servitù, ma dovette farlo.

— Oh, no, signore — rispose il ragazzo solennemente, indietreggiando, poi seguì Pitt, che perquisì il resto del calesse e la rimessa delle carrozze prima di ritornare alla porta sul retro, inspiegabilmente stanco, come se gli si fossero prosciugate le energie.

Pitt non tornò a Bow Street. Era arrabbiato, senza una particolare ragione, e riluttante ad andare a leggere la formale accusa nei confronti di Carvell. Farnsworth avrebbe trasudato soddisfazione e ciò riempiva Pitt di amarezza. Non provava affatto senso di vittoria. Era una tragedia di tali proporzioni che tutto quello che riusciva a valutarne era la cupezza e il dolore. Quando chiudeva gli occhi poteva vedere la dolcezza di Dulcie, il viso intelligente, e il suo terribile sconvolgimento quando le aveva detto che il marito amava un altro uomo. Avrebbe accettato che avesse avuto una relazione con un'altra persona, ma che questa fosse stata un uomo aveva quasi spezzato il suo cuore.

Eppure, per quanto la deprecasse nel suo intimo, una parte di lui non accettava ancora che si trattasse di Carvell.

Diede al vetturino l'indirizzo di Nigel Uttley. Non sarebbe servito a nulla, ma desiderava dire a Uttley che sapeva che era stato lui ad aggredire Jack. Avrebbe provato una profonda soddisfazione nello spaventare l'uomo, e non vedeva come ciò avrebbe potuto danneggiare Jack. Qualunque cosa Uttley fosse in grado di fare in quel senso, l'avrebbe fatto comunque, senza curarsi di Pitt.

Arrivò fin là per scoprire che Uttley era fuori, cosa che lo fece infuriare, ma non ne fu sorpreso. Si era ormai molto vicini alle elezioni. Avrebbe potuto benissimo rimanere fuori tutto il giorno.

— Non saprei dirlo, signore — rispose freddamente il valletto. — È possibile che torni prima di cena. Se desiderate aspettarlo, accomodatevi nella sala d'attesa.

Pitt esitò solo un momento, poi accettò. Avrebbe aspettato esattamente mezz'ora. Se Uttley non fosse arrivato nel frattempo, avrebbe lasciato il suo biglietto con un messaggio misterioso, e la speranza che ciò avrebbe gravemente turbato Uttley.

Per più di quaranta minuti passeggiò su e giù per la stanza arredata in modo elegante ma sobrio, sorprendentemente confortevole nella sua semplicità. Poi udì la voce di Uttley nel vestibolo, resa acuta dalla sorpresa.

— Pitt? Proprio adesso? Quel povero diavolo non sa più cosa fare, eh? Non so che cosa pensa che possa farci io. Mio Dio, ci saranno dei cambiamenti alla polizia quando sarò eletto. Scusami, Weldon. Ci metterò soltanto qualche minuto. — I suoi passi risuonarono rapidi sul pavimento di marmo, poi aprì la porta della sala d'attesa e si fermò poco oltre la soglia, alto, le spalle quadrate, in completo chiaro e stivali lucidi. Lanciò un'occhiata distratta e boriosa. — Buongiorno, sovrintendente. Che cosa posso fare per voi questa volta? — La sua espressione era colma di divertimento.

— Buongiorno, signor Uttley — rispose Pitt. — Sono venuto a dirvi che sappiamo chi ha aggredito i signori Radley l'altra sera, sebbene la ragione precisa non sia chiara. — Inarcò le sopracciglia. — Sembrava una cosa così insensata.

— Avrei detto che tutti quei delitti erano piuttosto insensati — rispose Uttley, appoggiandosi contro lo stipite della porta e sorridendo. — Ma è stato cortese da parte vostra venire a dirmi che avete risolto il caso. — Guardò Pitt, esitò un momento, poi continuò: — Alla fine era il Carnefice, o un ladro comune?

— Né l'uno né l'altro — disse Pitt, con la stessa calma. — Era un politico opportunista che sperava di approfittare delle attuali tragedie allo scopo di essere eletto. Non penso che intendesse realmente uccidere Radley...

Uttley impallidì. Era ancora appoggiato contro lo stipite, ma ora la sua posa era calcolata e il suo corpo rigido.

— Davvero? — Deglutì, gli occhi fissi sulla faccia di Pitt. — Alludete a qualcuno che voleva liberarsi di Radley? Spaventarlo perché rinunciasse alla sua candidatura?

— No, assolutamente no. — Pitt sostenne il suo sguardo. — Penso che volesse far apparire assurda la posizione di Radley a favore della polizia e metterlo in ridicolo presso il pubblico.

Uttley non parlò.

— Il che non è poi così facile come sembra — continuò Pitt. — Perché farebbe arrabbiare un gran numero di persone che hanno molto potere.

Uttley deglutì, con la gola che si chiudeva. Le sue mani si contrassero lungo i fianchi.

— In certi ambienti — aggiunse Pitt con un sorriso. — Persone più influenti di quanto si possa supporre.

— Intendete dire... — Uttley si arrestò di colpo.

— Sì, è quel che voglio dire — ammise Pitt.

Utrley si schiarì la gola. — Che cosa... che cosa farete al riguardo? Immagino... che non abbiate prove, altrimenti arrestereste quel tizio, non è vero? Dopotutto, si tratta di un reato... no?

— Non so se il signor Radley vorrà sporgere denuncia o no — disse Pitt sbrigativamente. — Questo spetta a lui. Dato che non ha denunciato la cosa ufficialmente, può darsi che pensi che ciò si ritorcerà contro lo stesso colpevole, in modo tale che sarà fatta giustizia senza che lui intervenga.

— Ma voi? — chiese Uttley, facendo un passo avanti. — Che cosa farete voi? Voi... non avete detto se avete prove o no. — Guardò Pitt molto attentamente.

— No, io non l'ho detto, eh? — ammise Pitt.

Uttley stava incominciando a riprendere fiducia. Le sue spalle si raddrizzarono un poco.

— Le sue mi sembrano solo congetture, sovrintendente — disse, ficcandosi le mani in tasca. — Immagino che è quello che vi piacerebbe che fosse. Il vicecapo della polizia avrebbe meno critiche da fare... alle vostre prestazioni.

Pitt sorrise. — Oh, il signor Farnsworth in effetti ha avuto espressioni molto dure al riguardo — ammise. — Era furioso.

Uttley s'irrigidì.

— Ma penso piuttosto che gli piacerebbe trattare la cosa a modo suo — continuò Pitt con superficialità. — Ecco perché non mi preoccupo di farne un caso. La prova c'è. Non penso del resto che il signor Farnsworth avrebbe accettato solo la mia parola. Dopo tutto, è così incredibilmente... sciocca! Non è vero?

Uttley si costrinse a sorridere debolmente, ma non trovò niente da ribattere.

— Pensavo che fosse meglio che lo sapeste — concluse Pitt, tornando a sorridergli. — La prossima volta che scrivete un articolo, sono certo che vi sforzerete di essere più giusto. — Detto questo, mise le mani in tasca. — Buongiorno, signor Uttley. — Lo oltrepassò e uscì fuori nel sole.

Pitt arrivò a casa svuotato di ogni euforia. La soddisfazione di aver sbaragliato Uttley era svanita, e tutto ciò cui riusciva a pensare era la faccia sconvolta e piena di disperazione di Carvell. Anche con gli occhi chiusi poteva vedere le sue spalle curve mentre usciva accanto a Tellman e i capelli leggermente irti dietro sulla testa alla luce del sole, mentre scendeva i gradini.

Per una volta Charlotte era a casa. Era stata assente così spesso negli ultimi mesi, a organizzare ora una cosa ora l'altra per la nuova casa, che lui si aspettava ormai di trovare la casa silenziosa e solamente un messaggio sul tavolo di cucina. Invece, c'era un allegro trambusto, il sibilo del bollitore, le pentole che borbottavano e il tintinnio delle porcellane e il fruscio delle gonne. Quando spinse la porta della cucina, trovò la stanza illuminata dall'ultimo sole e piena dell'aroma del pane fresco, della biancheria pulita sullo scaffale che pendeva dall'alto soffitto, del vapore del bollitore, e di un leggero aroma di pietanze cotte in forno.

Gracie stava finendo di riordinare dopo la cena dei bambini: tolse gli ultimi piatti dalla tavola e li mise sulla credenza prima di rivolgergli un frettoloso inchino e scappare al piano di sopra. In un fugace pensiero gli capitò di chiedersi il perché, ma Jemima gli si gettò addosso con grida di gioia, chiedendogli di ascoltare il racconto della sua giornata. Daniel faceva smorfie e lo tirava per la manica per mostrargli un aquilone di carta che aveva fabbricato.

Charlotte si asciugò le mani nel grembiule e gli andò subito incontro, raccogliendo i capelli sulla nuca con le forcine, e quindi sorridendo mentre lo baciava. Per parecchi minuti fu occupato a concedere a tutti l'attenzione che si aspettavano, poi Daniel e Jemima se ne andarono, soddisfatti, e li lasciarono soli.

— Sembri molto stanco — disse Charlotte, guardandolo attentamente. — Che cosa è successo?

Era contento di non dover trovare un modo per interrompere i suoi resoconti sulla casa e sui suoi successi e sconfitte allo scopo di catturare la sua attenzione e dirglielo. Troppo spesso aveva dovuto attirare la sua attenzione perché lei lo ascoltasse, tanto da non provare più alcun senso di liberazione quando riusciva a parlarle.

— Ho arrestato Jerome Carvell — rispose. Sapeva che mentre lo guardava in faccia lei vi avrebbe letto ogni sua emozione. Lo conosceva abbastanza da capire ciò che gli faceva piacere e ciò che non gli dava alcun senso di vittoria.

— Perché? — chiese.

Non era la reazione che si sarebbe aspettato, ma era giusta. Le raccontò tutto ciò che era accaduto durante il giorno, compresa la sua visita a Uttley. Lei ascoltò in silenzio, ma verso la fine sorrise.

— Non sei sicuro che sia stato Carvell, vero? — disse infine.

— La mia mente mi dice che è stato lui, almeno per quanto riguarda Scarborough, anche se non per gli altri. Era certamente il suo calesse quello che è stato usato per portarlo dalla casa al parco, e lui aveva un'ottima ragione se l'uomo lo ricattava.

— Ma? — lei chiese.

— Ma trovo così difficile pensare che abbia ucciso Arledge. Non posso fare a meno di credere che lo amava.

— È possibile che abbia ucciso Scarborough ma non Arledge? — chiese lei.

— No. L'unica ragione potrebbe essere che Scarborough fosse a conoscenza di qualcosa che lo avrebbe danneggiato. La relazione in se stessa non sembra sufficiente dopo tutto questo tempo. Doveva saperlo già da prima. E i servitori che tradiscono le confidenze sulle vite private dei loro padroni non trovano un'altra sistemazione. Avrebbe dovuto ricavare così tanto dal suo ricatto da viverci per il resto della vita. No... questo... — Cadde il silenzio. Non c'era proprio più niente da dire.

Lei finì di cucinare il pranzo e mangiarono in un silenzio complice. Lui salì per vedere i bambini, e lesse una brevissima storia prima di augurare loro la buonanotte, poi tornò giù di nuovo e sedette in salotto. Pensò che, nonostante il piacere di trasferirsi in una casa più grande, una bella casa con un giardino che si sarebbe goduto con immenso piacere, se mai ne avesse avuto il tempo, c'era ancora così tanta felicità lì in quella casa, piena di ricordi, che nel lasciarla avrebbe avuto parecchi rimpianti e provato un senso di lacerazione.

Charlotte sedette sul pavimento accanto a lui, abbandonando il cucito, persa nei suoi pensieri; ma il calore della sua vicinanza gli dava un tale senso di pace che infine si addormentò sulla poltrona, e lei dovette svegliarlo per farlo andare a letto.

Il mezzogiorno seguente Bailey entrò nella stazione di Bow Street con l'aria preoccupata e senza fiato, la lunga faccia arrossata e negli occhi uno strano miscuglio di ansia e di determinazione.

Pitt era di sotto con Tellman e le Grange, che discutevano gli ultimi particolari relativi alle prove.

— Dovete continuare a cercare l'arma, o almeno...

— Potrebbe averla gettata da qualche parte — osservò Tellman.

— Nel fiume — aggiunse le Grange con un'occhiata d'intesa a Pitt. — Non riusciremo mai a trovarla. Potrebbe essere ormai completamente coperta dal fango. C'è la piena, lo sapete?

— Naturalmente lo so che c'è la piena! — disse Pitt. — Se non mi aveste interrotto, avrei aggiunto: o almeno il luogo in cui è stato ucciso. Questo non può averlo gettato via.

— Ha ucciso Scarborough proprio dove è stato trovato — ribatté Tellman, senza badare a Bailey, che spostava il peso da un piede all'altro con impazienza.

— E Arledge? — insistette Pitt. — Dove l'ha ucciso e come l'ha trasportato fino al chiosco dell'orchestra?

— In un barroccio, o qualcosa del genere — rispose le Grange, tentando di essere d'aiuto.

— Il barroccio di chi? — insistette Pitt. — Non il suo. L'avete esaminato: niente sangue da nessuna parte. Neppure quello del custode del parco. Voi l'avete esaminato.

— Non lo so — ammise Tellman riluttante. — Ma lo troveremo.

— Bene! Perché in caso contrario darete alla difesa un'ottima arma per sollevare dubbi. Niente barroccio, niente luogo del delitto, niente arma e niente prova di un movente.

— Una lite, la gelosia. Il suo calesse è stato usato per trasportare Scarborough, e il suo cavallo per tirarlo — ribatté Tellman. — Per non parlare del fatto che Scarborough era il suo maggiordomo.

— Non datelo per scontato — ordinò Pitt. — Non avete ancora finito.

Bailey non poté contenersi più a lungo.

— Non ha fatto fuori il bigliettaio! — sbottò. — Era al concerto, proprio come ha detto!

Tellman lo guardò torvo.

— Ho trovato uno che l'aveva visto — disse Bailey con aria di sfida. — Non c'è proprio da sbagliarsi. Era vicino a lui, come io sono vicino a voi, e lo conosceva benissimo.

— Chi è? — chiese Tellman, con voce incerta.

— Il direttore della Coutts Bank — disse Bailey con profonda soddisfazione. — Quelli sono i banchieri della famiglia reale, sono.

La faccia di Tellman si fece scura. — Forse il bigliettaio è stato fatto fuori da qualcun altro — disse con irritazione. — Non possiamo sapere se si è messo d'accordo con qualcuno.

— Sì — ammise le Grange. — Forse non potiamo fare collegamenti perché non ce n'è nessuno. Potesse essere solo una vendetta personale per qualche cosa, e chiunque l'ha fatta è sembrato che era lo stesso.

— Forse sono tutti diversi — disse Pitt con sarcasmo. — Ma ne dubito. No, non sembra che Carvell sia il Carnefice. Vi ringrazio, Bailey. Un ottimo lavoro.

Bailey arrossì di piacere. — Grazie a voi, signore.

— Non lo lascerete andare, vero? — chiese le Grange con gli occhi sgranati, dimenticando il "signore".

Tellman fece un breve sogghigno, ma la sua rabbia non sembrava diretta in particolare verso Pitt.

— Certo che lo farò — rispose Pitt. — Un buon avvocato ci costringerebbe a farlo comunque. Ci sono troppe altre spiegazioni possibili.

— Erano il suo calesse e il suo cavallo — disse Tellman cupamente. — È maledettamente chiaro che lui c'entra in qualche modo.

— Scarborough potrebbe benissimo averlo guidato lui stesso — rispose Pitt. Poi, mentre la faccia di Tellman esprimeva molto chiaramente la sua completa incredulità, aggiunse: — Un avvocato potrebbe farlo notare, e una giuria potrebbe benissimo considerarlo un ragionevole dubbio. Non è impossibile rubare un calesse dalla rimessa, specialmente se si è d'accordo con il maggiordomo, che poteva averne le chiavi. Carvell non ha uno stalliere.

— Oh, davvero? — disse Tellman incredulo. — Che cosa avrebbe dovuto farne? Usarlo soltanto per farsi un giretto di mezzanotte dopo una lunga giornata passata a dare ordini alla servitù?

— Forse aveva un'amica — suggerì Pitt. — Bella e appariscente, adatta da portare su un bel calesse. Molto meglio che su un omnibus, e più economico di una carrozza, oltre al fatto che gli consentiva maggior libertà. Una romantica passeggiata nel parco, forse?

— Con il Carnefice in giro?

— O forse intendeva prender su una prostituta?

Tellman gli lanciò un'occhiata maligna. — Ritorniamo di nuovo a questo? Pensavo che avessimo lasciato perdere.

— È vero — ammise Pitt. — Intendevo soltanto dire che qualsiasi avvocato che si guadagni il proprio onorario potrebbe intentare una causa per questo.

Tellman si girò verso Bailey e le Grange.

— Allora sarà meglio che ricominciate tutto da capo, eh. Dio solo sa da dove, e con che cosa!

— Scoprendo dove è stato ucciso Arledge — gli rispose Pitt.

Tellman imprecò a lungo e violentemente, e senza mai ripetersi.

Anche Pitt ricominciò da capo. Era da molto che non pensava a Oakley Winthrop e non concentrava i suoi sforzi sulla morte di Winthrop, invece che su quella di Arledge. Quell'omicidio era stato il punto di partenza, forse quello su cui si era imperniato tutto il resto. Chi aveva ucciso Winthrop, perché, e perché a quell'ora? Chi aveva incontrato Oakley nel parco quella notte in cui era salito su una barca da diporto in compagnia? Avrebbe dovuto rivolgere maggiore attenzione a questo. Era quella la chiave.

Aveva fatto una cosa davvero assurda. Non poteva essere stato altro che qualcuno che conosceva, qualcuno di cui non aveva paura. Ma anche in questo caso, perché? Quale ragione avrebbe potuto avere una persona, addirittura un amico, per compiere tale assurda azione nel cuore della notte?

Bart Mitchell?

Oppure Bart e Mina?

Discese dalla vettura a nolo e attraversò il marciapiedi fino alla porta d'ingresso dei Winthrop, dove suonò il campanello. Quasi immediatamente gli fu aperto dalla cameriera.

— Buongiorno. — Le tese il suo biglietto. — Volete cortesemente chiedere alla signora Winthrop se le posso parlare? È una questione della massima importanza.

Lei prese il biglietto e ritornò solo qualche minuto dopo per condurlo al salotto sul retro, dove Mina era in piedi accanto alla finestra intenta a fissare il giardino. Era vestita di un verde cupo così scuro che sembrava quasi nero se non fosse stato per lo sfavillio che emanava nei punti in cui batteva la luce del sole. L'abito le donava meravigliosamente, perché si adattava alla sua pelle chiara e al lungo collo slanciato. I suoi morbidi capelli erano raccolti sul capo. Sorrideva, e improvvisamente Pitt poté vedere in lei la ragazza che doveva essere stata vent'anni prima.

Bart Mitchell era in piedi accanto al caminetto e guardava Pitt con vivaci occhi azzurri, l'espressione guardinga.

— Buongiorno, sovrintendente — disse Mina con calore, andando verso di lui. — C'è qualcos'altro ch'io dovrei dirvi? Sono certa di non sapere che cosa. Ci ho pensato e ripensato, ma niente sembra significare qualcosa.

— Non è di vostro marito che sono venuto a parlare, signora Winthrop — ribatté Pitt. Lanciò un'occhiata a Bart Mitchell e gli rivolse un cenno di saluto, poi ritornò a guardare Mina. — Era sul signor Arledge che desideravo farvi qualche domanda.

Lei lo guardò stupita.

— Sul signor Arledge!

— Sì, signora. Penso che lo conosceste.

— Io... non dico che lo conoscessi. Io... — Sembrava confusa, e lanciò un'occhiata al fratello.

— Perché lo chiedete, sovrintendente? — Bart avanzò nel mezzo della stanza. — Certamente non penserete che la signora Winthrop abbia avuto a che fare con la sua morte? Sarebbe assurdo.

— Sto cercando informazioni, signor Mitchell — rispose Pitt con un piccolo gesto di cortesia verso Mina. — Un'osservazione, una parola, oppure una sensazione che soltanto ora sembri rilevante.

— Mi scusi — disse Bart rigidamente e senza indietreggiare. — Ma perché pensate che Mina sappia qualcosa a proposito della morte di Arledge? L'ha incontrato solo molto formalmente mentre assisteva a uno o due concerti. Non si tratta di un'amicizia personale, che le consenta di conoscere il genere di particolari di cui avete bisogno.

Pitt lo ignorò e guardò Mina.

— Avete conosciuto il signor Arledge, signora?

— Be'... — Lei esitò. — L'ho incontrato un paio di volte. Sono molto appassionata di musica, sapete.

— Sì, ne sono convinto — ammise Pitt. — Ma è certo che dovevate conoscerlo un po' più personalmente, signora Winthrop. Voi non eravate una semplice ascoltatrice.

Il mento di Bart si sollevò e i suoi occhi si fecero penetranti.

— Che cosa state insinuando, sovrintendente? Normalmente una domanda del genere sarebbe inoffensiva, ma dato che state investigando sul motivo per cui è stato ucciso, le vostre osservazioni assumono un tono molto diverso. Il rapporto di mia sorella con il signor Arledge era molto superficiale, e non c'era nulla di sconveniente in esso.

— Certamente no, Bart — disse Mina guardinga e con un tono di scusa nella voce. — Non so che cosa stia pensando il sovrintendente. Non c'è motivo per pensare altrimenti. — Tornò a girarsi verso Pitt. — Qualche parola di convenienza, tutto qui, ve l'assicuro. Se mi fossi resa conto di qualcosa che potesse aiutarvi, non pensate che vi avrei mandato immediatamente un messaggio? Dopotutto, è stato ucciso dallo stesso uomo che ha assassinato mio marito!

— Mina! — si affrettò a dire Bart. — È chiaro che non è questo il problema. Non è questo il pensiero del sovrintendente. Lui suppone che, per qualche oscura ragione, tu possa sapere più di quanto abbia detto.

— Nient'affatto, signor Mitchell — ribatté Pitt aspramente, ma non del tutto sincero. — Potrebbe esserci un collegamento del quale la signora Winthrop non si rende affatto conto. Come voi avete fatto notare, ci deve essere una connessione di qualche tipo.

Bart lo guardò con occhi notevolmente ostili e circospetti.

— Signora Winthrop? — continuò Pitt.

Lei lo fissò con aria innocente e non disse nulla.

Fu costretto a essere più specifico. — Voi siete stata vista in uno stato di profonda angoscia a un ricevimento dopo un concerto, e il signor Arledge ha trascorso un certo tempo a confortarvi. Davate l'impressione di avere fiducia in lui.

— Oh. — Le mancò il respiro, poi guardò Bart, gli occhi colmi di paura e di vergogna.

Lui si fece avanti per mettersi al suo fianco.

— Chiunque vi abbia riferito questo, sovrintendente, l'ha fatto dimostrando pochissimo buon gusto — disse rigidamente. — Si trattava di una piccola bega familiare, come capita a tutti noi di tanto in tanto, e non ha nulla a che fare con le ragioni per le quali il signor Arledge è stato ucciso. Per l'amor del Cielo, via, come potrebbe... — esitò soltanto un secondo — ...la morte di un cucciolo essere collegata con un pazzo venuto da Dio sa dove a tagliare la testa alla gente a Hyde Park? È assurdo. Se non avete indizi migliori per dargli la caccia, non c'è da meravigliarsi che lo sciagurato sia ancora in circolazione!

Mina deglutì. — Sei ingiusto, Bart. Il sovrintendente non poteva sapere che le cose stavano... come... come hai detto tu. Sapeva soltanto che ero angustiata e che il signor Arledge mi ha confortato. Avrebbe potuto essere una cosa importante. — Sorrise a Pitt con imbarazzo. — Sono spiacente che questo non vi sia d'aiuto. Ho paura che dovrete cercare da qualche altra parte. Il signor Arledge si era mostrato gentile con me solo perché la musica mi aveva colmato di commozione. Non ho dubbi che l'avrebbe fatto per chiunque. Questo è il massimo a cui si è spinta la nostra conoscenza, temo. Non mi ha detto niente che adesso potrebbe gettare una luce sulla sua morte. In realtà non riesco neppure a ricordare che cosa abbia detto. Erano discorsi generici.

Esitò come se stesse per aggiungere dell'altro, poi guardò nervosamente il fratello.

— Voi conoscevate il signor Arledge, signore? — chiese Pitt all'improvviso.

— No! — disse Mina immediatamente, poi arrossì per la sua prontezza. — Oh! Sono spiacente, sono stata molto brusca. Intendevo dire semplicemente che... che... Bart è tornato solo da poco dall'estero.

— Quando, signora, esattamente?

Lei impallidì. — Io... io non ricordo... con precisione. Un po' di tempo fa.

— Prima dell'incidente al vostro polso? — chiese lui.

Per un momento ci fu un silenzio assoluto. I rintocchi dell'orologio sul tavolo accanto alla finestra sembrarono bacchette che si spezzassero con un forte rumore.

— Quello è avvenuto soltanto l'altro giorno — disse Bart seccamente. — Un incidente con una teiera. Una cameriera maldestra che non ha visto dove andava. — I suoi occhi azzurri si posarono su Pitt con rabbia e sfida. — Lo saprete di certo, sovrintendente.

— Mi riferivo alle ecchimosi, signor Mitchell — rispose Pitt senza scomporsi.

— Quelle sono state anche colpa mia! — si affrettò a dire Mina. — Anzi è stato proprio così. Io... io — Si girò per affrontare Pitt, distogliendo lo sguardo dal fratello. Tutta la sicurezza l'aveva abbandonata. Aveva l'aria spaventata e colpevole. — Mi sono comportata da stupida, sovrintendente, e mio marito mi ha tenuto stretta per... per evitarmi di cadere. Avevo già perduto il mio punto d'appoggio e... e così...

Bart era scosso da una commozione che riusciva a fatica a dominare, eppure non osava rivelarla. Sembrava sul punto di esplodere, e la sua faccia era incupita dalla collera.

— E così la sua forza... il mio peso... — Mina balbettava. — È stato tutto molto stupido... e tutto per causa mia.

— Non è stata colpa tua! — Bart alla fine perse il controllo; la sua voce era tremula e bassa. — Devi smetterla di biasimare te stessa per... — Si arrestò e lanciò uno sguardo torvo a Pitt, con entrambe le mani intorno alle spalle di Mina, tenendola come se pensasse che sarebbe caduta se l'avesse lasciata andare. — Sovrintendente, davvero tutto questo non ha proprio niente a che fare con la vostra inchiesta. È accaduto molto tempo prima della morte del signor Arledge e non ha alcun rapporto con essa. Temo che nessuno di noi due abbia avuto alcun rapporto personale con lui, e anche se vorremmo farlo, non possiamo aiutarvi. Buongiorno, signore.

— Capisco. — Pitt non gli credeva, e tanto meno credeva a Mina, ma non poteva fare nient'altro senza prove. Era convinto che Oakley Winthrop avesse percosso Mina frequentemente, e con violenza, e lei avesse il terrore che, quando Bart si era accorto del fatto, avesse ucciso Winthrop, o che Pitt lo pensasse. — Vi ringrazio di avermi dedicato il vostro tempo, signora Winthrop — disse Pitt educatamente. — Signor Mitchell. — E con un cenno del capo, ma senza fingere di accettare le loro parole come verità, si scusò e prese congedo.

10

Giunse finalmente il giorno del trasloco. Essendo il Carnefice ancora in libertà e il mistero su di lui più profondo che mai, Pitt non era in grado di trovare più di un paio d'ore per dare un aiuto. Naturalmente aveva assunto alcuni uomini per imballare e trasportare il mobilio, e Charlotte aveva trascorso tutto il giorno precedente ad avvolgere bicchieri, tazze e piatti in vecchi giornali e a sistemarli con cura nelle casse. Tutta la biancheria era stata impacchettata, comprese le lenzuola; i tappeti erano stati trasportati al mattino, e a quel punto ogni cosa era partita dalla vecchia abitazione di Bloomsbury con destinazione la nuova casa, che avevano appena finito di tinteggiare. Le mattonelle intorno ai caminetti erano state sostituite, tutti i becchi a gas erano stati riparati e rimessi in funzione, i paralumi erano interi, i parafuochi aggiustati o sostituiti, e la carta da parati e l'intonaco erano nuovi fiammanti.

Ormai alle prese con la nuova realtà, i bambini si erano resi conto di che cosa significasse esattamente cambiare casa. Un intero nuovo mondo li attendeva promettente di emozioni, esperienze, forse avventure. Quando era salito al piano superiore per la prima volta, Daniel si era messo a correre su e giù pieno di esuberanza, senza realmente sapere perché, e le sue domande non finivano mai. La sua vivacità non si lasciava scoraggiare dal fatto che la maggior parte di esse rimanessero senza risposta.

Jemima era più tranquilla. Avendo due anni di più, le ci era voluto meno tempo per rendersi conto che accettare il nuovo significava inevitabilmente abbandonare il vecchio, e per immaginare il dolore e l'incertezza che ciò comportava. Si abbandonava a esplosioni di entusiasmo e di curiosità, poi a lunghi silenzi mentre si aggirava per i luoghi familiari, rattristata perché ora apparivano nudi e già privi di cortine, di quadri o di mobili. Quando furono arrotolati i tappeti, si sentì come se fosse stato tolto il pavimento stesso, e trascorse parecchi minuti sull'orlo delle lacrime mentre Gracie la sgridava e la abbracciava, e le dava una serie di istruzioni su come mostrarsi utile, nessuna delle quali la bambina era in grado di eseguire.

Comunque, alle dieci e mezzo, Gracie e i due bambini salirono con Pitt nella carrozza, tutti pigiati molto scomodamente. Non c'era modo di farvi stare anche Charlotte, a parte il fatto che loro dovevano andar via prima per aprire la casa ed essere pronti a ricevere i loro averi quando sarebbero arrivati. Charlotte, d'altra parte, dovette attendere fin quando l'ultimo oggetto fu imballato e si assicurò per ben tre volte che niente fosse stato lasciato indietro, dimenticato, o perduto, prima di chiudere la porta a scatto per l'ultima volta.

Quando tutto fu sistemato e lei ebbe dato agli operai del trasloco ancora una volta il nuovo indirizzo, prese tra le braccia i suoi due migliori cuscini ricamati a mano su seta, che erano troppo belli per fidarsi a consegnarli agli uomini e troppo grandi per metterli nelle casse. Li avvolse in un vecchio lenzuolo, chiuse ancora una volta la porta d'ingresso, ed esitò sul gradino, guardandosi intorno.

Poi riprese il controllo di sé e percorse il sentiero verso il cancello. Non c'era tempo per pensare né alla felicità di cui aveva goduto là dentro, né ai rimpianti. I ricordi non si possono lasciare alle spalle. Sono parte di noi, si portano nel cuore.

Varcò il cancello, lo chiuse e si diresse lungo il marciapiede verso la fermata dell'omnibus, reggendo i cuscini avvolti nel lenzuolo. Sembravano quasi fagotti del bucato e fu contenta che non passasse nessuno che conosceva.

L'omnibus arrivò dopo cinque minuti e lei con sollievo vi salì, reggendo i cuscini.

— Mi dispiace, signorina, non potesse portarli qui — disse il bigliettaio bruscamente, con la faccia rotonda colma di disprezzo. Rimase immobile davanti a lei, il mento in fuori, i bottoni di ottone che scintillavano, un'espressione di rigida autorità.

Charlotte lo fissò, colta di sorpresa.

— Voi dovrebbe scendere! — ordinò. — Non ci fosse neanche posto per i passeggeri paganti se lascerei che tutte le lavandaie di Bloomsbury salirebbero con...

— Non è un fagotto della biancheria — disse Charlotte indignata. — Sono cuscini.

— Non me ne importa di che cosa sono — ribatté il bigliettaio con un sogghigno. — Per quello che m'interesserebbe potesse essere anche la camicia da notte della regina. Non potete trasportarli qua. Non c'è spazio. Adesso fate la brava ragazza e scendete, così tutti riprendiamo la nostra corsa.

— Sto facendo il trasloco della casa! — disse Charlotte disperata. — Mio marito e i bambini sono andati avanti. Devo raggiungerli.

— Sarà così, ma voi non lo dovesse fare sul mio omnibus... non con quella borsa piena di biancheria! Che cosa credete che sia questo, un furgone? — Indicò con il dito il marciapiede. — Adesso scendete, prima che chiamo la polizia e vi faccio mettere in guardina per aver causato disordine.

Nell'omnibus si fece avanti qualcuno, un anziano signore con i baffi e con un bastone da passeggio nero in mano.

— Lasciate entrare quella poveretta — disse al bigliettaio. — Sono sicuro che lo spazio c'è, se lei tiene il fagotto sulle ginocchia.

— Sedetevi, signore, e non ci mettete il naso in cose che non vi riguardano — gli ordinò il bigliettaio. — Sono io che mi dovrei occupare di questo.

— Ma... — riprese l'anziano signore.

— Sedetevi, stupido vecchio rimbambito — gridò una donna dall'interno. — Non immischiatevi! Sa lui quello che fa. Santo Cielo, non potete prendere su gente che si porta dietro il bucato. Che cos'altro si deve vedere!

— Ha detto che non si tratta di bucato... — L'uomo fu interrotto bruscamente dal bigliettaio.

— Andate a sedervi, signore, o faccio scendere a terra anche voi. Non ci ho tempo da perdere, sapete! — Si girò di nuovo verso Charlotte. — Ora sentite un po', signorina, o scendete da sola, o chiamo gli sbirri e vi denuncio per disturbo della quiete pubblica.

Charlotte era troppo infuriata per parlare. Si lasciò sfuggire un ansito di rabbia e scese dalla piattaforma sul marciapiede. Quando le venne in mente di ringraziare il vecchio signore che aveva cercato di aiutarla, era troppo tardi: l'omnibus aveva fatto un balzo in avanti, facendogli perdere l'equilibrio fino a farlo cadere contro il bigliettaio e il signore dovette rialzarsi da solo. Il conducente lanciò un altro urlo ai cavalli e fece guizzare la frusta per aria sopra il loro dorso finché acquistarono velocità, lasciando Charlotte sola sul bordo del marciapiede con i suoi cuscini, e una collera terribile.

— Dove diavolo sei stata? — chiese Pitt fissandola quando finalmente arrivò, accaldata, in disordine, i capelli che le ricadevano sulle spalle e le guance ancora accese dalla rabbia, i pugni stretti sui cuscini.

— Sono stata a cercare una vettura a nolo — rispose con veemenza. — Quell'imbecille zelante piccolo... maiale non ha voluto lasciarmi salire sull'omnibus!

— Come! — Pitt era confuso. — Di che cosa stai parlando? C'è tutto. Gli uomini hanno già scaricato circa la metà della roba.

— Quell'impertinente, presuntuoso, arrogante rospetto non ha voluto lasciarmi salire con i cuscini... — continuò lei con furia.

— Perché? — Lui si accigliò. Riusciva a vedere che era fuori di sé dalla rabbia, ma non ne capiva la ragione. — Che cosa vuoi dire? Che non era un omnibus regolare?

— Certo che era un omnibus regolare! — gridò. — Quel prepotente, borioso piccolo idiota pensava che i cuscini fossero un fagotto di biancheria e non ha voluto lasciarmi salire! Ha addirittura minacciato di chiamare la polizia e di denunciarmi per disturbo della quiete pubblica!

La bocca di Pitt si piegò e i suoi occhi brillarono, ma dopo un momento di completo silenzio, dal momento che l'espressione fiammeggiante di lei non gli permetteva di mostrarsi divertito, si ricompose per mostrare un'adeguata partecipazione.

— Mi dispiace. Dammi i cuscini. — Tese le mani.

Lei glieli affidò. — Dove sono gli uomini adesso?

— Sono andati al pub all'angolo a far colazione. Torneranno tra mezz'ora circa per scaricare il resto. Gracie è in cucina. — Si guardò intorno nel salotto in cui si trovavano. — È veramente molto bello. Hai fatto uno splendido lavoro.

— Non prendermi in giro — disse lei aspramente. Ma le venne da sorridere, tirò su con il naso e si guardò intorno. Aveva ragione. Era davvero molto bello. — Dove sono i bambini?

— In giardino. L'ultima volta che li ho visti, Daniel era sopra l'albero di albicocche e Jemima stava parlando con un porcospino.

— Bene. — Sorrise suo malgrado. — Pensi che sarà di loro gradimento?

La sua espressione rispondeva alla domanda di lei senza che ci fosse bisogno di parole.

— Hai visto la stanza verde di sopra? Quella sarà la nostra camera da letto. Ecco, adesso ti faccio vedere.

Lui stava per dire che in realtà non aveva tempo, ma cambiò idea. Non appena furono al piano superiore, fu contento di averlo fatto. Lontana dalla fretta e dall'agitazione delle strade la stanza ispirava pace. Il vento faceva frusciare le foglie e la luce formava disegni luminosi sulle pareti. Non c'era altro suono. Si trovò a sorridere, e a guardare Charlotte, che era in attesa di un suo giudizio. — Sì — disse con assoluta onestà. — Non ho mai visto una stanza più bella in vita mia.

Il giorno delle elezioni era ventoso, interrotto da improvvisi scrosci d'acqua e schiarite di sole splendente. Jack uscì subito dopo la prima colazione, ed Emily non se la sentì di rimanere in casa da sola, agitata com'era, anche se sapeva che sarebbe stata di poco aiuto, e che in quel momento neppure il sostegno morale sarebbe stato sufficiente per allentare la tensione.

Anche Nigel Uttley era uscito presto. Sorrideva fiducioso, chiacchierando con amici e sostenitori; ma, guardandolo con attenzione, si poteva notare che qualcosa dell'antica spavalderia se n'era andato e che di tanto in tanto traspariva una vena di ansia.

Pochi alla volta, i votanti entravano nel seggio elettorale e gettavano la pallina nell'urna. Uscivano senza guardare nessuno e si affrettavano ad allontanarsi.

La mattina trascorreva lentamente. Emily si spostava da un luogo all'altro con Jack, cercando di pensare a qualcosa di incoraggiante da dirgli, senza tuttavia alimentare illusioni che avrebbero potuto svanire facilmente. Eppure, mentre guardava gli uomini andare e venire, udiva brandelli delle loro conversazioni, e non poteva fare a meno di sperare che lui vincesse.

E non c'era altra alternativa che vincere o perdere. L'indomani o Jack sarebbe stato un membro del Parlamento, con tutte le opportunità e responsabilità, il lavoro, le possibilità di fama che gli sarebbero state offerte, o sarebbe stato il perdente, senza una posizione, senza una professione. Ci sarebbe stato un Uttley sorridente, fiducioso, vincitore. Lei avrebbe dovuto cercare di confortare Jack, di aiutarlo a credere in se stesso, di trovare qualcosa per cui guardare avanti, qualche altra causa per cui faticare.

Poco dopo le due era emotivamente esaurita, e aveva ancora davanti l'intero pomeriggio. Alle cinque stava cominciando a credere che Jack potesse davvero vincere. Il suo animo veniva dapprima eccitato dalla speranza, per poi precipitare nella disperazione.

Quando chiusero le cabine elettorali, lei era esausta, in disordine, e con i piedi così gonfi come mai ricordava di averli avuti. Emily e Jack rincasarono in silenzio, seduti vicini in una carrozza. Non si erano detti una parola. Non sapevano cosa dirsi, ora che la battaglia era finita, e li aspettava soltanto la notizia della vittoria o della sconfitta.

A casa cenarono tardi, troppo tesi per goderne. Emily non avrebbe potuto dire in seguito che cosa avesse mangiato, se non che ricordava il rosa di un salmone sul piatto, ma se fosse stato lesso o affumicato non avrebbe saputo dirlo. Lanciava occhiate alla pendola sul caminetto, chiedendosi quando sarebbero terminati gli scrutini e avrebbero saputo.

— Pensi...? — incominciò lei, proprio mentre anche Jack aveva aperto la bocca per parlare.

— Scusami — si affrettò a dire lui. — Che cosa stavi dicendo?

— Niente! Non aveva importanza! E tu?

— Niente neanch'io, soltanto che potrebbe volerci parecchio tempo. Tu non devi...

Lei lo gelò con un'occhiata.

— D'accordo — disse lui scusandosi. — Pensavo solo...

— Be', non farlo. È ridicolo. Naturalmente aspetterò fino a quando non sarà conteggiato l'ultimo voto e sapremo.

Lui si alzò da tavola. Erano le nove e un quarto.

— Be', andiamo almeno ad aspettare in salotto, dove possiamo metterci comodi.

Lei acconsentì con un sorriso e lo seguì nel vestibolo. Quasi nello stesso momento in cui uscivano dalla sala da pranzo, Harry, il valletto più giovane, apparve nell'arco sotto le scale, i capelli biondi in disordine, la faccia arrossata.

— Stanno ancora contandole, signore! — disse senza fiato. — Sono appena tornato dalla sala; penso che ne abbiano già scrutinate la maggior parte, ma le pile mi sembrano uguali. Potesse vincere, signore! Jenkins dice che vincete voi!

— Grazie, Harry — disse Jack, con voce quasi piatta. — Ma penso che forse Jenkins parla più per lealtà che per convinzione.

— Oh, no, signore — disse Harry con insolita sicurezza. — Tutta la servitù del palazzo pensa che vincete voi. Quella del signor Uttley non lo ritiene abbastanza intelligente come lui pensa di essere. La cuoca dice che ha esagerato questa volta. E che lui non è neanche sposato, il che, dice la signora Edges, in società lo rende molto ricercato dalle ricche signore con figlie, ma non si fidano di lui proprio come se fosse un uomo con famiglia, capite? — Le sue guance erano scarlatte per lo sforzo e l'eccitazione, e stava ben ritto, con le spalle indietro.

— Grazie — disse Jack con aria grave. — Spero che non sarete troppo delusi se non vinco.

— Oh, nossignore — disse Harry allegramente. — Ma vincete certo! — Si girò e tornò attraverso la porta foderata di panno verde alle stanze della servitù.

— Oh, Dio — sospirò Jack, riprendendo a camminare verso il salotto. — L'hanno presa troppo sul serio.

— L'abbiamo fatto tutti — ammise Emily, varcando la soglia dopo che lui le aveva aperto la porta. — Ma ha ben poco valore lottare per qualcosa se non la si desidera abbastanza da preoccuparsi se si vince o si perde.

Lui chiuse la porta e si sedettero entrambi, l'uno accanto all'altra, e cercarono di pensare a qualcos'altro di cui parlare mentre i minuti scorrevano via e la lancetta delle ore, sulla faccia dorata della pendola, strisciava verso le dieci, e poi verso le undici.

Stava facendosi molto tardi. Avrebbero già dovuto sapere qualcosa. Tutti e due erano acutamente consci di questo, e cercavano di non dire nulla. La loro conversazione diventava sempre più casuale e sporadica.

Finalmente alle undici e venti la porta si spalancò e apparve Jenkins, con la faccia arrossata e la lingua che inciampava sulle parole per un'emozione troppo forte.

— S-signore... signor Radley. Sono alla verifica, signore! Hanno quasi finito. La carrozza è pronta e James vi c-condurrà al municipio. Signora...

Jack scattò in piedi e fece un passo avanti prima di pensare di girarsi per aiutare Emily, ma lei si era già alzata. Le gambe indebolite dalla tensione, era soltanto un metro dietro di lui.

— Grazie — disse Jack con molta minor calma di quanto avrebbe desiderato. — Sì, vi ringrazio. Andremo. — Porse la mano a Emily, poi si affrettò verso la porta d'ingresso senza preoccuparsi di prendere il mantello.

Viaggiarono in silenzio nella carrozza, sporgendosi tutti e due in avanti come se potessero vedere qualcosa, sebbene non ci fosse nulla se non i cerchi dei lampioni davanti a loro e le luci in movimento delle carrozze che si affrettavano in quella che sembrava la notte più tumultuosa.

Scesero davanti al municipio dove era stato fatto lo spoglio e con il cuore che batteva forte salirono i gradini e varcarono la soglia dell'edificio. Immediatamente cadde il silenzio su almeno metà della gente riunita. Le facce si girarono, ci fu un brusio di eccitazione. Soltanto gli scrutinatori rimasero a testa china, le dita che volavano a sfogliare le schede, le pile che crescevano davanti a loro.

— Terza volta! — sibilò un ometto con un'insopportabile tensione nella voce.

Emily afferrò il braccio di Jack con una tale stretta che lui trasalì, ma lei non lo lasciò.

All'estremità opposta della sala Nigel Uttley aveva lo sguardo torvo, la faccia pallida e tesa. Si era sempre aspettato di vincere, ma non aveva previsto quella conclusione. Pensava di ottenere una vittoria facile. I suoi sostenitori erano radunati in gruppetti, stretti l'uno all'altro, e di tanto in tanto volgevano occhiate ansiose ai tavoli e alle pile di fogli.

Anche i sostenitori di Jack stavano per conto loro, ma a dire il vero non avevano mai creduto di poter vincere, e ora la possibilità c'era ed era reale. Il dado era tratto, ed essi avrebbero conosciuto il verdetto da un momento all'altro.

Emily si guardò intorno per vedere quante persone c'erano, e mentre il suo sguardo si spostava da un gruppo all'altro, vide lo scintillio di un caschetto di capelli di un argento brillante.

— Zia Vespasia! — esclamò con stupore e piacere. — Guarda, Jack! — Lo tirò violentemente per la manica. — C'è la prozia Vespasia!

Lui si girò sorpreso, e poi il suo viso si illuminò di un sorriso di intensa gioia. Si diresse verso di lei, facendosi largo tra la gente.

— Zia Vespasia! Come sono contento che siate venuta!

Lei si girò e lo esaminò con calma, gli occhi divertiti, ma c'era un rossore di eccitazione sulle sue guance.

— Certo che sono venuta — esclamò lei. — Non avrai pensato che mi sarei persa una simile occasione.

— Be', è... tardi — replicò lui con improvviso imbarazzo. — E potrei... non vincere.

— Certo che potresti non... — convenne lei. — Ma in ogni caso ti sei battuto molto bene. Lui saprà di aver dovuto lottare. — Alzò un poco il mento e ci fu un lampo combattivo nei suoi occhi.

Jack stava per aggiungere qualcosa quando ci fu un improvviso silenzio in tutto il salone e tutti si girarono per guardare il presidente del seggio alzarsi in piedi.

Seguì un intervallo che tolse il respiro, mentre lui snocciolava il formale preambolo, soffermandosi per assaporare tutta la drammaticità del momento e il proprio potere. Poi annunciò che, con un margine di dodici voti, il membro del Parlamento per la circoscrizione elettorale sarebbe stato John Henry Augustus Radley.

Emily si lasciò sfuggire un gridolino di sollievo.

Jack sussultò e poi emise un lungo sospiro.

Nigel Uttley rimase immobile con le labbra contratte e l'aria incredula.

— Congratulazioni, mio caro. — Zia Vespasia si girò verso Jack e, tendendo le braccia con affetto, lo baciò sulla guancia. — Te la caverai brillantemente.

Lui arrossì con imbarazzata felicità, troppo emozionato per parlare.

La festa per celebrare la vittoria fu organizzata la sera successiva. Fu una cosa piuttosto affrettata poiché Emily non l'aveva preparata con la sua solita cura. Non aveva osato pensare che sarebbe stata necessaria. Naturalmente erano stati invitati tutti quelli che avevano offerto il loro aiuto durante la campagna, in compagnia delle loro mogli, e tutti quelli che avevano sostenuto la sua causa. Ovviamente era inclusa la famiglia, che era in realtà la famiglia di Emily. Charlotte e Pitt accettarono immediatamente. Arrivò un delizioso biglietto di congratulazioni da Caroline, ma nessun accenno a una sua eventuale partecipazione.

Ebbe inizio non appena la gente arrivò, senza fiato ed eccitata per la vittoria. Si alzarono le voci, le facce s'imporporarono, e tutti si misero a parlare contemporaneamente, pieni di idee e di speranze di cambiamenti.

— Sono soltanto uno dei nuovi membri — disse Jack, cercando di apparire modesto e di riportare le cose nella giusta prospettiva. — Non è un cambiamento di governo.

— Naturalmente — ammise Emily, in piedi vicinissima a lui e del tutto incapace di nascondere il suo sorriso splendente. — Ma è un inizio. È un cambiamento di corrente. Uttley è furioso.

— Lo è moltissimo, certo — confermò allegramente una donna grassa, tenendo in equilibrio sulla mano il suo bicchiere di champagne, le enormi increspature di merletto sulle spalle e le maniche che venivano stropicciate da tutti quelli che passavano. — Bertie dice che, a dispetto di quello che dicono i giornali, è stato colto di sorpresa. Credeva veramente di vincere.

Bertie, che prestava scarsa attenzione, si girò verso Jack con un'espressione seria sulla faccia benevola.

— Infatti, vecchio mio, è davvero contrariato. — Affondò i denti in un pasticcino. — Vi siete fatto un pericoloso nemico. Mi preoccupererei molto, se fossi in voi.

Per un momento la loro conversazione fu coperta dal brusio delle chiacchiere, dal tintinnio dei bicchieri, dal fruscio delle stoffe e dallo strisciare delle suole di cuoio sul pavimento.

— Oh, davvero, mio caro? — disse sua moglie non appena riuscì a farsi udire. — Avrà certo considerato la possibilità di perdere, no? Nessuno entra in una competizione senza sapere che qualcuno deve perdere.

— Uttley non immaginava che sarebbe stato lui. — Bertie si chinò verso di loro, assumendo un'aria ancora più grave. — E non si tratta semplicemente di aver perso un seggio che lui pensava fosse già suo, ma addirittura il proprio nome. Ha perso anche una grande quantità di cose, così ho sentito dire.

Sua moglie era confusa. — Quali altre cose? Di che cosa stai parlando? Spiegati, mio caro. Dici cose senza senso.

Bertie non si curò di lei e tenne gli occhi su Jack.

— Ci sono molte cose che non capisco, forze di potere all'opera, se capite quel che voglio dire. — Bertie per una volta ignorò il suo bicchiere scintillante. — Si sentono voci, se si è nel posto giusto nel momento giusto. Ci sono persone... — esitò lanciando un'occhiata a Emily, poi si volse di nuovo verso Jack. — Persone che stanno dietro la gente che si conosce...

Jack non disse nulla.

— Forze di potere? — chiese Emily, poi desiderò di non averlo detto. Come donna, si pensava che lei non dovesse sapere nulla di cose del genere, ancora meno che intuisse ciò che lui intendeva dire.

— Sciocchezze — disse vivacemente la moglie di Bertie. — Ha perso perché la gente preferiva Jack. È così semplice! In realtà, state creando segreti dove non ce ne sono.

— La gente che ha votato evidentemente preferiva Jack — disse Bertie pazientemente, sorseggiando di nuovo dal suo bicchiere. — Ma tra loro non c'era nessuno di quelli del club di Uttley che gli hanno votato contro. — Guardò Jack in modo eloquente al di sopra della testa di sua moglie. — Fai attenzione, vecchio mio, questo è tutto. C'è qualcosa che sta crescendo molto più di quanto appaia a prima vista. E quelli che hanno il vero potere non sono sempre quelli che si pensa.

Jack annuì, la faccia grave, ma il sorriso non si cancellò dalle sue labbra. — Ora prendete dell'altro champagne. Voi certamente lo meritate più di qualsiasi altro.

Quando tutti furono salutati, ringraziati e furono accettate le loro congratulazioni e fatti i brindisi, Emily finalmente si fece strada verso Charlotte.

— Come stai? — chiese tranquillamente. — Non ho ancora avuto il tempo di chiederti come è andato il trasloco. È comoda la nuova casa? So che è bella. — Diede un'occhiata di ammirazione al vestito verde scuro di Charlotte. Evidenziava le spalle, secondo la nuova moda, era ornato di un raffinato getto di piume e appariva molto adatto all'occasione. — Hai già messo tutto in ordine? — E prima che Charlotte potesse rispondere, la sua espressione cambiò. — Che cosa si sa del Carnefice? È vero che Thomas ha arrestato qualcuno e poi ha dovuto rilasciarlo? Oppure è un voce inconsistente?

— No, è vero — rispose Charlotte, anche lei a bassa voce, spostandosi un po' per girare la schiena a un gruppo di eccitati festaioli accanto a lei. — Dopo l'assassinio del maggiordomo, ha arrestato Carvell, ma uno dei suoi uomini ha scoperto che Carvell poteva dimostrare dove si trovava quando è stato ucciso il bigliettaio dell'omnibus, così ha dovuto lasciarlo andare.

Emily sembrava sorpresa. — Che cosa l'ha indotto a pensare che fosse stato Carvell? Intendo dire fino al punto di arrestarlo, questa volta? Quel maggiordomo era un porco. — Pronunciò la parola con insolita cattiveria. — Doveva avere un bel numero di nemici. Se io avessi avuto a che fare con lui, sarei stata a mia volta messa a dura prova.

— Non esagerare — disse Charlotte liquidando la frase con un gesto. — Era piuttosto autoritario, e aveva un brutto ghigno sulla faccia.

— Ha licenziato quella ragazza perché cantava — protestò Emily con autentica collera. — È stato brutale. Si è servito della sua autorità per umiliare altra gente, e questo non ha scusanti. Era un bullo. Non avrei voluto che gli tagliassero la testa, ma visto che è accaduto, non posso dire di provare per lui il più piccolo dolore.

Pitt le aveva raggiunte portando un piatto di pasticcini e di stuzzichini per Charlotte. Aveva captato con chiarezza l'ultima osservazione. La sua faccia s'illuminò di ironia e divertimento.

— Non ti avevo ancora messa tra i sospetti — disse tranquillamente. Poi la sua espressione divenne seria. — Congratulazioni, Emily. Sono felice per tutti e due. Spero che sia l'inizio di una splendida carriera.

Uno scoppio di risate risuonò per la stanza, e qualcuno si mise ad applaudire rumorosamente.

— Oh, lo sarà di certo — disse Emily con maggiore determinazione che convinzione. — Chi sospetti? — continuò senza fare alcuna pausa. — Pensi che il bigliettaio dell'omnibus possa avere qualcosa a che fare con tutto questo?

— E chi può averlo ucciso? — Pitt inarcò le sopracciglia. — Perché?

Emily si strinse nelle spalle magre. — Non lo so.

Charlotte tolse il piatto a Pitt. — Forse era un odioso piccolo maiale, come quello che mi ha fatto scendere dall'omnibus l'altro giorno — disse improvvisamente velenosa. — Se qualcuno gli tagliasse la testa, non proverei un gran dispiacere.

Emily la guardò incuriosita, con un'espressione sconcertata. — Che cosa stai dicendo?

— Oh! — Charlotte fece una smorfia, incerta se raccontarlo o no a Emily, e si rese conto che il solo modo di trattare l'argomento era con leggerezza. — Il miserabile piccolo... — Non riusciva a trovare una parola di biasimo appropriata. La rabbia ribolliva ancora dentro di lei, il ricordo era reso bruciante dall'umiliazione.

Emily aspettava, persino Pitt la guardava con un improvviso interesse negli occhi, come se la storia avesse assunto una nuova importanza.

— Essere viscido — disse Charlotte con le labbra tirate. — Non voleva lasciarmi salire sull'omnibus perché avevo un fagotto di cuscini avvolti in un lenzuolo. Pensava che fosse biancheria!

Emily scoppiò in una risatina. — Mi dispiace — si scusò allegramente. — Ma io veramente... — Il resto andò perduto mentre ridacchiava divertita, figurandosi la scena.

Charlotte non riusciva a passarci sopra. — Era così arrogante — disse, ancora piena di indignazione. — Avrei dato non so che cosa per poterlo umiliare in qualche modo. — Si riscosse. — È stato così brutale con un uomo che era a bordo e aveva cercato di aiutarmi. Riesci a immaginartelo? — Lanciò un'occhiata a Pitt, e vide dalla sua faccia che era perduto nei propri pensieri. — Non mi stai affatto ascoltando! Pensi che sia ridicola!

Un valletto offrì loro un vassoio di salatini e ne presero uno ciascuna.

— No — disse Pitt lentamente. — Penso che sia probabilmente il genere di reazione che avrebbe molta gente. E tu hai fatto quello che fa la maggior parte della gente...

— Io non ho fatto niente — protestò lei. — Ora vorrei aver fatto qualcosa, ma non saprei che cosa.

— Esattamente — ammise lui. — Sei arrivata a casa fumante di rabbia, ma non hai fatto niente.

Emily lo stava ascoltando con curiosità.

— Il bigliettaio dell'omnibus... — disse Charlotte lentamente, cominciando a comprendere. — Oh, no... questo è assurdo! Nessuno taglia... — Si arrestò.

Una grossa signora li urtò passando, con le maniche che sfioravano i pasticcini. Qualcuno scoppiò a ridere.

— Probabilmente no. — Pitt corrugò la fronte. — No, forse è un'idea stupida. Non sto cavandone niente. Deve esserci un'altra ragione, qualcosa di personale. — Si volse verso Emily. — Ma questa è la vostra festa. Parliamo di voi e della vostra vittoria. Quando occuperà il suo seggio Jack? Quale sarà il suo primo discorso da neoeletto, l'ha deciso? Credo che non farà molta fatica a scriverlo, se riguarderà ancora la polizia!

Emily fece una smorfia, ma rise, e la conversazione si spostò sulla politica, sul futuro, e sulle convinzioni e le speranze di Jack.

Era passata più di un'ora quando Charlotte rimase sola con Pitt per alcuni momenti, e poté riprendere il discorso del Carnefice. Nonostante provasse un'autentica gioia per Jack ed Emily, si era resa conto proprio allora di quanto fosse seria la situazione di Pitt e la sua recente promozione ora era in grave pericolo.

— Che cosa farai ora? — chiese a bassa voce, in modo che la donna magra dalla gonna a quadri e dalla voce eccitata che si trovava a un metro di distanza non potesse udirla. Poi, mentre Pitt rispondeva con un'espressione mesta, continuò. — Se non può essere Carvell, chi può essere?

— Non lo so. Probabilmente Bart Mitchell. Lui sicuramente aveva tutte le ragioni per uccidere Winthrop, e forse anche Arledge, se ha preso un abbaglio riguardo le sue attenzioni per Mina. Ma non riesco a pensare a nessun movente per il bigliettaio o Scarborough, a meno che sapessero qualcosa... Deve essere un uomo molto violento. Le sue esperienze in Africa, la vita libera e la morte... — le sue parole si spensero, lasciando l'idea incompiuta.

— Non lo crederai sul serio, vero? — disse lei con una smorfia.

— In realtà sembra che le cose non siano chiare — ribatté lui. Fece un cenno a un conoscente e continuò a parlare. — Del resto non abbiamo indagato sui suoi passati spostamenti, né sulla data esatta del suo ritorno dall'Africa. Probabilmente lui non conosceva Winthrop, se non da poco. Evidentemente Mina si vergognava disperatamente e ha fatto tutto il possibile per nasconderglielo. Sembrava quasi convinta che fosse tutta colpa sua. — Corrugò la fronte, la voce gli si abbassò in un tono duro, rabbioso. — Mi è già capitato di vedere donne percosse. Sembra che tutte biasimino se stesse. Anni fa, quand'ero un agente, ricordo che venivo chiamato a intervenire nelle liti, e trovavo donne ferite, e ancora convinte di essere loro le colpevoli e non gli uomini. Avevano perduto ogni speranza, ogni valore o fiducia in se stesse, perfino ogni brandello di dignità. Di solito era il bere... il whisky il più delle volte.

Lei lo fissò, e le si spalancarono davanti visioni di un mondo inimmaginabile e terribile. Ricordò l'opprimente vergogna di Mina, la sua diffidenza, e come fosse rifiorita dopo la morte di Winthrop. Alla fine sembrava così evidente, la sola cosa incredibile era che le cose avessero impiegato così tanto tempo a raggiungere il loro tragico culmine.

— Ma questo non spiega assolutamente perché abbia ucciso Arledge — continuò Pitt ancora più pensieroso. — A meno che Mina non sapesse che lui aveva ucciso Winthrop e in un modo o nell'altro avesse rivelato il fatto ad Arledge... senza volerlo, naturalmente.

— Questo potrebbe avere un senso — si affrettò a dire Charlotte. — Sì, potrebbe essere successo questo. Ma allora perché il bigliettaio e il maggiordomo? Oppure il maggiordomo ha tentato di ricattare Carvell, pensando che lui avesse ucciso Arledge, e così Carvell lo ha assassinato per metterlo a tacere perché non poteva dimostrare la propria innocenza.

Pitt sorrise. — Un po' stiracchiato — disse lui mestamente. — Ma ho lasciato il povero Bailey a indagare sull'alibi di Carvell; pare che fosse a un concerto. Voglio più prove di quello che abbiamo, qualcosa di assolutamente incontestabile.

— Hai dei dubbi?

— Non lo so. — Sembrava stanco e confuso. — Una parte di me ne ha. Il mio cervello, immagino.

Un gruppo di persone eccitate accanto a loro alzò i bicchieri per un brindisi. Una donna con un abito di merletto color pesca era così esuberante che la sua voce divenne stridula.

— Ma il tuo cuore no? — chiese Charlotte pacatamente, guardando Pitt.

Lui sorrise. — È un po' assurdo pensare con il cuore. Dovrei privilegiare l'istinto... che è probabilmente soltanto una serie di ricordi sotto la superficie di reminiscenze che formano i giudizi per i quali non riusciamo a trovare immediatamente una ragione.

— Molto logico — ammise lei. — Ma questo porta alla stessa conclusione. Tu non credi che sia stato lui a farlo, ma non puoi esserne certo. Emily dice che il maggiordomo, Scarborough, era un vero maiale. Ha licenziato quella povera cameriera soltanto perché stava cantando. La ragazza era fuori di sé. E ciò che non si può scusare è il fatto che lui sapesse quanto le sarebbe costato perdere quel lavoro. E se non fosse stata in grado di trovarne un altro senza referenze? E se fosse morta di fame? — La sua voce si stava alzando sempre di più, insieme alla sua indignazione.

Pitt le mise una mano sul braccio. — Emily non ha detto che le avrebbe offerto un posto come cameriera o qualcosa di simile?

— Sì, ma questo è il punto. — Era troppo indignata per rimanere calma. — Scarborough non poteva saperlo. E se non ci fosse stata Emily, la ragazza sarebbe rimasta senza lavoro. L'uomo è stato un vero maiale.

Pitt corrugò la fronte, la faccia tormentata dai pensieri. — L'ha fatto in pubblico?

Lei fu costretta ad allontanarsi da un gruppo di persone che ridevano e chiacchieravano.

— No... be', più o meno — rispose lei. — Si trovavano vicino all'angolo in cui era seduto Victor Garrick con il suo violoncello, che aspettava di suonare.

— Oh. Sì, hai ragione — convenne lui. — L'uomo era malvagio e ingiusto. Ciò nonostante è impensabile che abbia pensato a un ricatto...

Furono interrotti da Emily in un turbinio di seta verde mela ricamata con perline.

— La mamma non è ancora venuta — disse con ansia. — Pensi che non verrà? È davvero molto scortese da parte sua. Sembra che non pensi ad altri che a se stessa in questi giorni. Ero così sicura che sarebbe venuta almeno in questa occasione, dopo che Jack ha vinto. — Agitò la mano per rifiutare lo champagne, e il valletto si allontanò.

— C'è ancora tempo — disse Pitt, ma con un sorriso ironico, e poca convinzione nella voce.

Emily gli lanciò una lunga occhiata ma non disse nulla.

Pitt si scusò e andò a parlare con Landon Hurlwood, che era stato un sostenitore della causa di Jack ed era venuto a dare il suo contributo ai festeggiamenti. Sembrava a suo agio e rilassato, e si spostava da un gruppo all'altro, carico di vitalità e di ottimismo per il futuro. Sotto il lampadario, la luce splendeva sui suoi capelli colore del peltro.

— Ci è stato di grande aiuto — disse Emily, vedendolo salutare Pitt con evidente piacere. — Un uomo simpatico. È la prima volta che lo vedo felice da quando è morta sua moglie, povera creatura. È stata ammalata a lungo, sai. In realtà, non avrei mai immaginato che fosse così ammalata. Era una di quelle persone che se ne fanno una tale ossessione, sembrava che non parlasse d'altro. Adesso pare che mi sia sbagliata, perché è morta di tubercolosi, e io mi sento spaventosamente in colpa.

— Dovresti proprio esserlo — convenne Charlotte.

Emily le lanciò un'occhiata penetrante. — Non avrei mai immaginato che tu potessi essere d'accordo con me! Morta o no, è sempre stata una donna insopportabile.

— Sembra che lui l'amasse, e forse non era così noiosa prima di ammalarsi — osservò Charlotte.

— Tu sei sempre di opinione contraria alla mia — criticò Emily, poi di colpo ritornò seria. — Sei preoccupata per Thomas. Certo non possono aspettarsi che lui risolva ogni delitto. Ci sono limiti che nessuno può superare.

— Certo. — Anche Charlotte assunse un'aria grave. — Ma loro non la pensano così. E io non sono stata di alcuna utilità questa volta. — Il suo viso s'irrigidì. — Non so più da dove incominciare a indagare. Cerco di pensare a chi potrebbe averlo fatto, se non è stato Carvell.

— Anch'io — ammise Emily, abbassando la voce. — Soprattutto, cerco di immaginare il perché. Posso solo dire che la follia non c'entra minimamente.

Discussioni e conversazioni furono interrotte da uno scompiglio all'ingresso della stanza, mentre la gente si scostava per permettere il passaggio di un'anziana signora in nero, che si appoggiava pesantemente a un bastone.

— Nonna! — esclamò Emily, sorpresa. Guardò subito dietro di lei, aspettandosi di vedere Caroline, ma non c'era nessuno all'infuori di un valletto in livrea che reggeva il mantello di qualcuno.

Tutt'e due si affrettarono ad accogliere la vecchia signora, che appariva splendida in un abito di antica foggia con un busto stretto e un corsetto abbondantemente decorato con perline di giaietto. Indossava orecchini neri lucenti e nell'espressione del suo viso soltanto la curiosità riusciva a mitigare un profondo malumore.

— Come sono felice di vederti, nonna — disse Emily, con il più grande entusiasmo che riuscì a fingere. — Sono contenta che tu sia stata in grado di venire.

— Certo che sono venuta — disse immediatamente la vecchia signora. — Devo vedere che cosa diavolo farai ora! Un membro del Parlamento. — Sbuffò. — Non so se essere contenta o no. Non sono del tutto certa che la politica sia un'occupazione adatta a gente rispettabile. — Guardò la folla riunita nella stanza, osservando i gioielli, i lampi di luce sui bicchieri di champagne, lo scintillio dei vassoi d'argento e i numerosi valletti in livrea. — Piuttosto fastoso, eh? Imporsi all'attenzione non è un comportamento da gentiluomo.

— E da chi dovremmo essere governati? — chiese Emily, due macchie rosa sulle guance. — Da uomini che non sono gentiluomini?

— Questo non c'entra — disse la vecchia signora, mettendo da parte la logica. — I veri gentiluomini della classe di chi sale al governo per diritto naturale non devono andare in cerca di voti. Hanno seggi nella Camera dei Lord fin dalla nascita, come è giusto. Starsene sui palchi agli angoli delle strade a chiedere alla gente di votare per te è un'altra questione, e in realtà piuttosto volgare, se vuoi saperlo.

Emily aprì la bocca, poi la richiuse.

— Tu sei un po' all'antica, nonna — disse Charlotte rapidamente. — Disraeli è stato eletto, e la Regina l'ha approvato.

— Anche Gladstone è stato eletto, e lei non lo approvava! — sbottò la vecchia signora con evidente piacere.

— Il che dimostra che essere eletti non ha niente a che fare con quel che dici — rispose Charlotte. — Disraeli era anche molto intelligente.

— E volgare — disse l'anziana donna, fissando Charlotte, con occhi scintillanti. — Indossava panciotti spaventosi e parlava troppo, e troppo spesso. Nessuna raffinatezza. L'ho incontrato una volta, sapete. No, non lo sapete, vero?

— No.

— Come ho detto. Volgare. Non sapeva mai mettere freno alla lingua. Pensava di essere divertente.

— E non lo era?

— Be'... sì, immagino. Ma questo che cosa c'entra?

Charlotte lanciò un'occhiata a Emily, ed entrambe lasciarono cadere l'argomento.

— Dov'è la mamma? — chiese Charlotte, desiderando subito dopo di non averlo detto.

Le sopracciglia della nonna s'inarcarono. — Buon Dio, ragazza, come posso saperlo io? A sgambettare bizzarramente da qualche parte, non c'è dubbio. È del tutto impazzita. — Osservò il turbinio di colori e di chiacchiere attorno a lei, le donne con le gonne strette e spalle larghe ornate di svolazzi, di gale, di fronzoli o di piume, le teste con i capelli raccolti in chignon, ornamenti di diamanti e perle, pennacchi, spilloni, tiare e fiori. — Chi diavolo è tutta quella gente? — chiese a Emily. — Non conosco nessuno. Faresti meglio a presentarmi. Ti dirò chi desidero conoscere.

Corrugò la fronte. — E poi dov'è quel tuo marito? Perché non si trova accanto a te? Ho sempre detto che non sarebbe venuto alcun bene dallo sposare un uomo che ti è venuto dietro solo per denaro. — Squadrò Emily dalla testa ai piedi con un sorriso sarcastico. — Non è che tu sia granché come ereditiera; allora sarebbe stato molto diverso. Tuo padre ti avrebbe procurato qualcuno di adatto a te, con una buona famiglia alle spalle. Questo Jack Radley, invece, nessuno l'ha mai sentito nominare.

— Be', lo sentiranno adesso, signora Ellison. — Jack comparve nel suo campo visivo, con un'aria straordinariamente affascinante e sorridendo come se fosse contento di vederla.

Lei ebbe la grazia di arrossire e borbottò qualcosa di incomprensibile. Poi guardò Charlotte con aria truce. — Potevi dirmi che si trovava là, stupida! — sibilò.

— Non sapevo che avresti detto cose tanto offensive, altrimenti l'avrei fatto — sussurrò Charlotte in risposta.

— Che cosa? Non mormorare, ragazza. Non posso sentirti. Per l'amor del Cielo, parla chiaramente. Tua madre ha speso un mucchio di soldi per insegnarti dizione e comportamento quando eri piccola. Avrebbe dovuto tenerselo, quel denaro. — E poi sorrise a Jack. — Congratulazioni, giovanotto. Ho sentito che avete vinto qualcosa.

— Vi ringrazio. — S'inchinò, offrendole il braccio. — Posso presentarvi alcune persone interessanti che sicuramente vi piacerebbe incontrare?

— Potete — accettò lei a testa alta. Senza guardarsi indietro, scostò la gonna e prese il largo, lasciando sole Emily e Charlotte.

— Se qualcuno le tagliasse la testa, proverei comprensione per lui — disse Emily sottovoce.

— Non credo che lo farei incarcerare — aggiunse Charlotte. Poi lentamente girò la faccia verso Emily proprio mentre lo stesso pensiero si rifletteva negli occhi di lei.

— Pensi davvero... — incominciò Emily. — No — disse, rispondendosi da sola, ma senza convinzione. — Immagini che ci sia qualcuno che sa di chi si tratta? Qualcuno che avrebbe protetto...

— Non lo so — ribatté lentamente Charlotte. — Immagino che se si trattasse di qualcuno che ami... un marito o un padre? — Una confusione di brutti e orribili pensieri riempì la sua mente. — Ma come potresti sopportare il pensiero che una persona che ami possa aver fatto cose del genere? Non sarebbe semplicemente una sua colpa, ti sentiresti come se facesse parte di te. Non potresti separartene, come se le sue azioni o la sua natura non ti toccassero in alcun modo. Se avesse commesso queste cose, certo avrebbe lasciato il buon senso per la pazzia, e sarebbe come se anche tu ne fossi stata colpita.

— No, non lo sarebbe! — la contraddisse Emily. — Tu non potresti biasimare...

— Non sarebbe giusto — continuò Charlotte, interrompendola — ma è questo che proveresti. Non ti sentivi imbarazzata quando i tuoi amici facevano commenti sulla mamma che era stata vista con Joshua?

— Sì, ma questo è... — Emily si interruppe, con una nuova consapevolezza sul viso. — Sì, naturalmente — si affrettò a dire. — E certo è ben poca cosa in confronto a questo. Capisco quello che vuoi dire. Uno si sentirebbe come se vi avesse contribuito, anche se per pura ignoranza, a qualcosa di terribilmente, orrendamente sbagliato. Farebbe di tutto per non credervi fino all'ultimo, indiscutibile fatto. — La sua faccia si contrasse per la pietà. — Com'è raccapricciante.

— Immagino come possa pensarla Mina — disse Charlotte lentamente. — Forse sta proteggendo il fratello, soprattutto se lui ha ucciso Winthrop per proteggere lei.

— Non riesco a immaginare nessun altro — stava pensando Emily a voce alta. — Carvell non ha una moglie, e nessuno conosce il bigliettaio dell'omnibus.

— Pensi che la signora Arledge possa sapere qualcosa? — chiese Charlotte in tono dubbioso, quasi odiando se stessa per aver parlato male di Dulcie, anche se la sua era soltanto una supposizione. Pitt l'ammirava così apertamente, e con ottime ragioni. Sembrava meschino associare il suo nome a un'ipotesi del genere.

— Qualcosa di simile? — chiese Emily. — Dubito che abbia la più pallida idea di chi ha ucciso Arledge, altrimenti l'avrebbe detto a Thomas, per fare luce sulle cose e tenere la polizia fuori della sua casa. Così potrebbe continuare la sua vita in modo riservato.

Charlotte la fissò. — Che cosa intendi dire con "in modo riservato"? Sembra quasi che tu pensi che abbia qualcosa da nascondere.

— Oh, Charlotte, a volte sei ottusa — disse Emily con un sorriso paziente. — Dulcie ha un ammiratore, o forse più di uno. Non hai visto?

Charlotte fu colta completamente di sorpresa.

— No! Chi è? Sei sicura? Come l'hai scoperto?

— Non so chi sia, ma so che esiste. È evidente. — Emily scosse un poco la testa. — Non l'hai guardata? Intendo guardata veramente?

— A che proposito?

— Oh, per l'amor del Cielo, Charlotte! — esclamò Emily esasperata. — A proposito del modo in cui si veste, i piccoli tocchi, la raffinata spilla da lutto, il merletto, il modo perfetto in cui il suo abito le fascia vita e le maniche alla moda che arrivano proprio all'altezza delle spalle. E usa un profumo meraviglioso. Cammina come se sapesse che la gente la guarda. E anche quando non parla con nessuno c'è un... — si strinse nelle spalle — ... una specie di calma intorno a lei, come se sapesse qualcosa di speciale e di segreto, e di molto delizioso. Davvero, Charlotte, se tu non riconosci una donna innamorata quando ne vedi una, sei una frana come investigatrice. In realtà, anche come donna sei straordinariamente poco intelligente.

— Pensavo che fosse... — Charlotte protestò.

— Che cosa?

— Non so... coraggio!

Emily sorrise e fece un cenno a un conoscente che aveva sostenuto la campagna in favore di Jack, poi si affrettò a continuare. — Non dubito che lei abbia anche coraggio, ma questo non dà a nessuno quella particolare soddisfazione interiore, non ti fa sorridere senza ragione, e guardarti allo specchio, e apparire sempre ben agghindata, proprio nell'eventualità di incontrare lui.

Charlotte la fissò. — Come hai fatto a notare tutte queste cose? Io l'ho vista solo al Requiem.

— Non c'è bisogno di osservare a lungo per notarlo. A che cosa stavi pensando se non te ne sei accorta?

Charlotte arrossì al ricordo di quelle che erano state le sue sensazioni. — Mi chiedo se ha importanza — disse lei cambiando argomento.

— Certamente non ha importanza — rispose Emily, poi si fermò. — Di che cosa stai parlando? Che cosa ha importanza?

— Sapere chi è lui, naturalmente! — Fece un lungo sospiro. — Emily, pensi... voglio dire...

— Sì — disse Emily immediatamente, senza accorgersi di un uomo anziano che stava cercando di attirare la sua attenzione. L'uomo lasciò perdere e si allontanò. — Dobbiamo scoprirlo — continuò lei. — Non so come, ma dobbiamo scoprire chi è.

— Pensi che possa essere Bart Mitchell? È forse questo il collegamento che sta cercando Thomas?

— Domani mattina dobbiamo incominciare — promise Emily. — Devo pensare a come fare, e devi farlo anche tu.

Furono interrotte, prima che potessero giungere a un'inutile conclusione, dall'arrivo di Caroline e Joshua, entrambi vestiti in modo molto formale e con l'aria eccitata e felice.

— Oh, grazie a Dio — disse Emily con immenso sollievo. — Pensavo che ormai non sarebbe più arrivata. — Si fece avanti per ricevere la madre, e Charlotte la seguì immediatamente.

— Congratulazioni, mia cara — disse Caroline piena di vita, baciando Emily sulla guancia. — Sono felice per te. Sono sicura che Jack sarà magnifico, e avrà senz'altro molto da fare. Dov'è?

— Là in fondo, sta parlando con Sir Arnold Maybury — rispose Emily. Trovò Joshua affascinante, il viso espressivo con il naso leggermente aquilino e un sorriso ironico. — Sono contenta che siate venuto anche voi. Jack ne sarà molto felice.

— Certo che è venuto anche lui — disse Caroline con uno strano sorrisino. Poi si girò e alzò gli occhi su Joshua, rossa in viso e improvvisamente imbarazzata.

Questa volta fu Charlotte ad accorgersene.

— Mamma? — disse Charlotte lentamente. — Che cosa intendi dire?

Emily la guardò corrugando la fronte. Sembrava una domanda stupida. Stava per fare un'osservazione impaziente, poi si rese conto che aveva trascurato una sfumatura, qualcosa di molto più importante delle parole. Aspettò, girandosi verso Joshua, poi verso Caroline.

Caroline trasse un respiro profondo e non guardò né l'una né l'altra delle sue figlie.

— Joshua e io ci siamo appena sposati — rispose con molta calma, in un bisbiglio.

Emily sembrava colpita da un fulmine.

Charlotte aprì la bocca per dire qualcosa per congratularsi, ma si accorse che la gola le doleva e i suoi occhi erano ridicolmente colmi di lacrime.

Joshua mise il braccio attorno a Caroline. Stava ancora sorridendo, ma c'era una certa forza nei suoi occhi, e un avvertimento.

Jack ritornò con la nonna ancora al braccio, un bicchiere di champagne in mano. Capì che stava succedendo qualcosa di emotivamente intenso. Si voltò verso Joshua.

— Congratulazioni — disse Joshua pacatamente, tendendo la mano e stringendo quella di Jack. — È una bella vittoria, e mi aspetto che giovi a tutti noi. Vi auguro una lunga carriera piena di successi. — Sorrise. — Per il nostro bene e per il vostro.

— Vi ringrazio. — Jack lasciò andare la mano e la allungò per prendere un bicchiere dal vassoio di un valletto che passava. Lo sollevò in alto. — Al futuro.

Anche la nonna portò il bicchiere alle labbra.

— Al futuro di tutti — aggiunse Emily, guardando Jack. — Anche quello della mamma e di Joshua. Dobbiamo anche far loro le nostre congratulazioni e augurare loro ogni felicità.

Gli occhi di Jack si spalancarono.

— Si sono appena sposati — aggiunse Emily.

La nonna, che stava bevendo un sorso di champagne, fu sul punto di soffocare e se ne sputò una parte sul vestito. I suoi occhi neri erano furiosi, la faccia rossa per lo shock e l'indignazione. Comunque le era impossibile apparire austera mentre gocciolava copiosamente. Emily allungò la mano per prendere il fazzoletto da taschino di Jack e, asciugandola, non fece che peggiorare le cose. La nonna allora prese la sola via d'uscita che le si apriva davanti e si abbandonò senza sensi sul pavimento, quasi trascinando Jack con sé.

Immediatamente fu al centro dell'attenzione. Nessuno guardò più Joshua e Caroline, e neppure Jack. La gente accorse da tutti i gruppi vicini.

— Oh, Dio! Povera signora — disse un uomo, sconvolto alla vista della nonna in un mucchietto sul pavimento. — Dobbiamo aiutarla. Venite! I sali!

— Si è fatta male? — chiese qualcuno con ansia. — Dovreste mandare a chiamare un dottore.

— Sono certa che non è necessario — la rassicurò Emily. — Basterà che le bruci una piuma sotto il naso. — Cercò un valletto perché le procurasse il rimedio.

— Povera creatura. — La donna guardò la figura immobile con grande pietà. — Sentirsi male in pubblico, e così lontano dalla propria casa.

— Non sta male — ribatté Emily.

— È ubriaca — aggiunse Charlotte con improvvisa, imperdonabile malignità. Era furiosa per l'enorme egoismo della vecchia, che non aveva permesso a Caroline di essere al centro dell'attenzione, proprio in quel momento così importante. Abbassò lo sguardo e vide la vecchia signora digrignare ì denti per la rabbia, e provò un'acuta soddisfazione.

— Oh! — La simpatia dell'altra signora svanì, e si allontanò di un paio di passi, con il viso completamente alterato dalla repulsione.

— Faresti meglio a portarla fuori — aggiunse Charlotte rivolta a Jack. — Uno dei valletti ti aiuterà. Mettila da qualche parte finché si riprenderà, e poi qualcuno l'accompagnerà a casa.

— Non io — disse con fermezza Caroline. — Del resto io non vado a casa. Questa è la mia prima notte di nozze.

— Naturalmente non tu — convenne subito Charlotte, poi si volse verso Emily.

— Oh, no! — Emily si tirò indietro, la faccia atterrita.

Il valletto tornò con una piuma già accesa, e la porse a Emily. Lei, dopo averlo ringraziato, la prese con soddisfazione, l'avvicinò al naso della nonna e ve la tenne sotto. La nonna inspirò, tossendo violentemente, ma si ostinò a rimanere sul pavimento con gli occhi chiusi.

Jack e il valletto si chinarono per raccogliere la forma scomposta della vecchia signora. Era estremamente poco maneggevole. Era piccola e massiccia, e pesava enormemente. Ci volle tutta la loro forza per tirarla su, con le gonne in ordine, ed ebbe inizio il suo trasporto attraverso la folla verso la soglia. Anche in quello stato, mentre oltrepassava Charlotte, riuscì a colpirla con i piedi e ad assestarle un rapidissimo calcio al gomito.

— Non starà sotto lo stesso tetto con me quando tornerò a casa — disse Caroline con voce chiara. — Ha giurato che non sarebbe mai rimasta con me se avessi disonorato me stessa e mi fossi resa ridicola. — Guardò Emily. — Mi dispiace, mia cara, ma penso che sarai tu a doverle offrire una casa. Charlotte non ha spazio.

— Anche se l'avessi — ribatté Charlotte — considerato che lei non voleva vivere con un attore, certamente non vorrà vivere con un poliziotto. Grazie a Dio!

— Vedo che vincere le elezioni è un'arma a doppio taglio — disse Emily cupamente. — Spero che Ashworth House sia abbastanza grande perché lei ci si perda... per la maggior parte del tempo. Oh, mamma! Ti auguro ogni felicità... ma dovevi proprio farmi questo?

Sammy Cates era felice di alzarsi presto. Le prime ore del giorno erano limpide e piene di promesse, e spesso altrettanto piene di solitudine. Non era che lui non sopportasse la gente, ma godeva della propria compagnia, e il suo divertimento preferito era lasciar vagare la mente in qualsiasi sogno o fantasia. La notte precedente era stato al music-hall. Marie Lloyd, vestita in modo molto stravagante, aveva cantato canzoni meravigliose. Sorrideva ancora al loro ricordo.

Camminava con passo strascicato lungo la tranquilla via nella quale abitava in due stanze con la moglie, i bambini e il suocero, e che era discosta dalla strada principale, già piena del traffico di carri e barrocci che andavano al mercato o consegnavano le merci di buon mattino alle grandi case più vicine al parco. Passava per quella strada ogni mattina, e molte persone gli rivolsero la parola o lo salutarono con la mano. Lui rispondeva con un cenno o ricambiava il saluto, la mente ancora rivolta alla sera precedente.

Camminava svelto, perché doveva trovarsi al cancello del parco in tempo per assicurarsi che tutto andasse bene, che non ci fossero immondizie, né cose in disordine, che potessero offendere l'occhio. E poi avrebbe cominciato a svolgere i suoi compiti della giornata. Spazzare, strappare le erbacce, potare non era un lavoro particolarmente piacevole in se stesso, ma non era neppure faticoso. E poterlo fare e quell'ora, senza sole, in perfetta solitudine, lo faceva sorridere mentre attraversava Park Lane per varcare i cancelli.

Era una giornata limpida, ma la rugiada brillava sull'erba e le foglie erano umide nel sottobosco. Ecco là. Una persona disordinata aveva lasciato una bottiglia sul sentiero. Che cosa sconsiderata. Avrebbe potuto rompersi e allora ci sarebbero state schegge di vetro dappertutto. Non sapevano quale danno avrebbe potuto fare? Soprattutto ai bambini.

Si diresse verso di essa e si chinò per raccoglierla.

Fu proprio mentre si piegava a quel modo che vide il piede che sporgeva dai cespugli, e poi la gamba, e la suola dell'altra scarpa che giaceva con una diversa angolazione.

Lasciò cadere la bottiglia e si inoltrò tra i cespugli. Deglutì a fatica. Molto probabilmente era qualcuno che aveva bevuto troppo, ma poi c'era sempre l'altra possibilità. Fin da quando era stato trovato il primo cadavere, aveva avuto paura di quella possibilità, ma non si era mai veramente aspettato che accadesse.

Con fare guardingo, il cuore che batteva violentemente e la bocca asciutta, afferrò le gambe per le caviglie e tirò.

L'uomo indossava pantaloni scuri, blu o neri, ma erano inzuppati di rugiada ed era difficile distinguerlo. Poi il suo corpo incominciò a emergere, e Sammy rimase così inorridito che lo lasciò cadere e indietreggiò barcollando. Era un poliziotto! L'uniforme e i bottoni d'argento erano inconfondibili.

— Oh, Dio! — gemette, quello non era un ubriaco. Era di nuovo opera del Carnefice. — Oh, Dio! — singhiozzò. Forse non avrebbe dovuto spostarlo.

Fece qualche passo all'indietro e inciampò nella bottiglia, trovandosi di colpo seduto sul terreno pietroso, il che gli fece uscire quel poco di fiato che gli era rimasto.

Guardò di nuovo lo spaventoso oggetto. Sì, era decisamente uno sbirro. Poteva vedere lo scintillio dei bottoni che gli salivano fino al collo.

A carponi, strisciò fino al corpo, e senza sapere esattamente che cosa avrebbe fatto, incominciò a tirarlo di nuovo. Emerse lentamente dagli arbusti, la cintura, il petto, il collo... la testa! La testa! Era intero!

Sammy cadde all'indietro, le mani che tremavano, lo stomaco in subbuglio. Che stupido! Non avrebbe dovuto lasciare che l'immaginazione gli giocasse quello scherzo. Il Carnefice, proprio! Pensare che uno sbirro non potesse essere ubriaco come qualsiasi altro!

Si alzò e poi si chinò sull'uomo per vedere quanto fosse ubriaco. Aveva la faccia terribilmente pallida, in realtà aveva la pelle quasi bianca. Come se fosse morto!

— Oh, Dio! — disse di nuovo, questa volta con un basso lamento. Con riluttanza toccò la guancia dell'uomo con il dorso della mano. Era fredda. Sentì che lo stomaco gli si stringeva per la nausea. Slacciò il colletto dell'uomo e gli fece scivolare sotto la mano, sotto gli indumenti. La carne era calda! Era vivo! Sì... volesse Dio che fosse vivo!

Studiò la sua faccia per qualche momento, ma non riuscì a vedere nessun palpito sulle palpebre. Se respirava, il respiro era troppo leggero perché si vedesse.

Non c'era nient'altro da fare che andare a chiedere aiuto. L'uomo aveva bisogno di un dottore. Si alzò in piedi e cominciò a camminare in fretta, poi cambiò idea e si mise a correre.

— Che cosa? — dalla sua scrivania Pitt guardò Tellman di fronte a lui, la faccia cupa, e già un perverso lampo di vittoria negli occhi.

— Bailey — ripeté Tellman. — Uno dei custodi del parco lo ha trovato questa mattina, intorno alle sei. Colpito in testa e abbandonato sotto i cespugli. — I suoi occhi incontrarono quelli di Pitt con fermezza.

Pitt si sentì male. Era un misto angoscioso di pietà e di colpa.

— È stato ferito gravemente? — chiese con le labbra asciutte.

— Difficile dirlo — rispose Tellman. — È ancora privo di sensi. Potrebbe non essere nulla.

— Be', dove è stato ferito? — Pitt udì la propria voce, ruvida e con una nota di panico difficile da mascherare, che lo chiedeva.

— Sembra soltanto sulla testa — rispose Tellman.