— Soltanto in parte. Lei era in un tale stato di angoscia che non era del tutto coerente.
— E la parte che avete udito?
— Oh... insisteva che era colpa sua, che lei aveva provocato tutto quello che era successo per pura stupidità, e che lui in realtà non avrebbe dovuto essere così arrabbiato, che non era un fatto insolito, o qualcosa del genere. Mi dispiace, sono davvero a disagio per aver udito tutto questo.
— Avete visto il signor Mitchell in compagnia del signor Arledge? — insistette Pitt. — Qual era il suo atteggiamento?
— No... no, non l'ho visto. — Lismore scosse la testa. — Da quanto riesco a ricordare, Aidan doveva essersene andato a dirigere la seconda parte del concerto quando ho visto Mitchell condurre la signora Winthrop verso la porta d'ingresso e, suppongo, lasciare l'appartamento. Sembrava che avessero risolto qualunque controversia ci fosse stata fino ad allora. Sembrava che lui l'avesse convinta di aver ragione, e lei appariva contenta di questo.
— Vi ringrazio. Mi siete stato di grandissimo aiuto. — Pitt si alzò in piedi con la mente che gli turbinava. — Vi ringrazio di avermi dedicato il vostro tempo e la vostra franchezza. — Si girò verso la porta. — Buongiorno, Sir James.
— Buongiorno, sovrintendente — disse Lismore con un'aria confusa e un'evidente curiosità.
Emily si era divertita alla festa, nonostante si fosse trattato di una faccenda del tutto politica. C'erano molti aspetti di quella campagna di cui lei non si curava minimamente. Parlare per le strade era qualche volta divertente, altre volte più stancante, scoraggiante o addirittura pericoloso. Aiutare Jack a scrivere articoli o discorsi per persone particolari era un lavoro noioso, e l'aveva iniziato soltanto perché era leale verso di lui e desiderava che il marito combattesse con tutti i vantaggi che lei potesse dargli, anche se era una battaglia che Jack aveva scarse probabilità di vincere.
Eppure negli ultimi giorni le cose erano cambiate notevolmente. Tutto era incominciato con segnali molto sfumati, un cambiamento di tono di uno dei principali articolisti del Times, un'indagine sui motivi per cui Uttley aveva criticato la polizia, persino il suggerimento che forse la lealtà di Jack Radley non fosse fuori luogo in quel momento. Si era sollevata un'ondata di patriottismo.
Ma quella serata era stata divertente. Emily aveva danzato e chiacchierato, in apparenza con aria ingenua, ma in realtà con la più raffinata arte immaginabile. Aveva adulato e riso, era stata divertente e, un paio di volte, quando lo richiedeva il momento, si era rivelata astuta nelle osservazioni e politicamente accorta, con sorpresa e delizia di parecchi dignitosi uomini influenti di mezz'età. Insomma tutto l'avvenimento era stato un clamoroso successo.
Quando lei e Jack si congedarono, Emily era al settimo cielo, e uscì al braccio del marito per percorrere il breve tratto di strada fino ad Ashworth House nella sera di una tarda, fragrante primavera. La luna era alta come una lanterna d'argento sopra gli alberi, e l'aria profumava dei fiori che si aprivano di notte. Le luci delle carrozze, dai cavalli scalpitanti, li oltrepassavano e li lasciavano nel buio tra un palo della luce e l'altro, come avviluppati dalla dolcezza della notte.
Jack canticchiava sottovoce e camminava ondeggiando leggermente. Non era il risultato di troppe coppe di vino, semplicemente dell'euforia e di un profondo senso di benessere.
Emily sorrise senza accorgersene e si mise a canterellare all'unisono con lui.
Svoltarono l'angolo dell'ampio viale ben illuminato infilando una strada più quieta, dove gli alberi che spuntavano al di sopra dei muri dei giardini oscuravano le lampade sui loro pali svettanti.
Improvvisamente Jack lanciò un grido e urtò contro di lei, cogliendola di sorpresa e gettandola di lato nel rigagnolo prima di cadere a sua volta in avanti sulle mani, salvandosi solo all'ultimo momento dal ferirsi il viso contro il marciapiede.
Emily lanciò un grido di allarme e di stupore. Poi si tramutò in un urlo di autentica paura. C'era una figura scura che incombeva su Jack, la testa coperta e quindi irriconoscibile, e qualcosa che si sollevava nella sua mano con un'enorme lama affilata.
Lei urlò con tutta la forza dei suoi polmoni.
Jack era disteso bocconi in modo scomposto sul marciapiedi e la figura torreggiava su di lui.
Emily non aveva armi, niente con cui difendere Jack o se stessa, anche se non si curava minimamente di sé.
La figura alzò le braccia in aria.
Jack rotolò sulla schiena e spinse in fuori le gambe, scalciando forte. Un piede colpì l'assalitore proprio sopra la caviglia, facendogli perdere l'equilibrio. Oscillò all'indietro.
Emily urlò ancora e ancora. Per l'amor di Dio, qualcuno doveva pur sentirla!
L'assalitore aveva ripreso la propria posizione, cominciando ad avanzare.
Jack non si era ancora rialzato.
L'assalitore sollevò la grande lama.
Jack si lanciò in avanti carponi e caricò, colpendo l'assalitore nello stomaco con la testa. L'uomo trattenne il respiro, soffocò e indietreggiò verso il muro, sbattendovi contro con le spalle. Si udì il rumore dell'arma che cadeva a terra.
Jack si riscosse e si tirò in piedi.
In fondo al marciapiede stava arrivando qualcuno, che gridava, e si udivano passi pesanti sulle pietre.
L'assalitore fuggì, zoppicando manifestamente, ma con sorprendente velocità, finché non ebbe girato l'angolo e fu inghiottito dalle tenebre.
Un signore anziano in abito da sera giunse correndo lungo il marciapiede.
— Oh Dio! Oh santo Cielo! — ansimò. — Che cosa diavolo...! Signora! Signore... siete ferito? Eccomi! — S'inginocchiò accanto a Jack, che era di nuovo crollato sul marciapiede, dopo aver perso l'equilibrio per l'impeto della sua carica. — Signore! Siete ferito? Chi era quello? Ladri? Siete stati derubati?
— No, no, non penso. — Jack rispose a entrambe le domande contemporaneamente. Poi con l'aiuto dell'uomo si rimise di nuovo in piedi e si volse verso Emily.
— Signora? — chiese l'uomo con premura. — Siete ferita? Vi ha fatto...?
— No... no, sono incolume — si affrettò a dire Emily. — Vi ringrazio per essere arrivato così tempestivamente, signore, e con tale disturbo. Ho paura che se voi non foste...
— Saremmo stati davvero derubati — la interruppe Jack. Un altro uomo arrivò correndo e si fermò di colpo.
— Che cosa sta succedendo? — chiese. — Chi è ferito? Va tutto bene, signora? Erano quegli uomini... — Guardò Jack, poi il suo soccorritore. — Oh... siete sicura?
— Sì, grazie, signore — lo rassicurò Emily ansimando. — Mio marito è stato aggredito... ma ha respinto l'uomo, e grazie al tempestivo arrivo di questo signore l'assalitore è fuggito.
— Sì, grazie a Dio. Non so a che punto è arrivato il nostro paese. — La voce dell'uomo era soffocata dall'emozione. — Ce ne sono dimostrazioni ovunque. Volete venire a casa mia? È a soli cento metri da qui, e i miei domestici saranno felici di offrirvi un ristoro...
— No, vi ringrazio — disse Jack un po' tremante. — La nostra casa è altrettanto vicina. Ma è molto cortese da parte vostra.
— Siete davvero sicuro? Anche voi, signora?
— Davvero. Vi ringrazio. — Jack prese Emily per il braccio. Lei sentì che tremava.
— Sì, grazie — fu subito d'accordo. — E stato molto gentile da parte vostra accorrere. Molto probabilmente ci avete salvato da una terribile esperienza.
— Se voi siete tranquilla... Be', come desiderate, naturalmente. Buonanotte, signore, buonanotte signora.
Jack ed Emily li ringraziarono di nuovo e si affrettarono ad allontanarsi, i piedi pesanti sul marciapiede, ansiosi di fuggire.
— Non era un rapinatore — disse Emily con voce rauca.
— Lo so — rispose Jack, il respiro bloccato in gola. — Stava cercando di uccidermi!
— Aveva una scure — continuò Emily. — Jack... era il Carnefice! Era il Carnefice di Hyde Park!
8
La mattina seguente la paura di Emily si era trasformata in rabbia furiosa. Era ancora scossa mentre sedeva alla tavola della prima colazione davanti a Jack, che era arrivato camminando rigidamente, e che, mentre lei gli stava davanti, appariva pallidissimo.
— Che cosa farai a questo riguardo? — chiese lei. — È mostruoso. Un membro del Parlamento aggredito per strada da un pazzo omicida!
Lui sedette con cautela, come se ogni contorsione o sussulto potesse causargli dolore. — Io non sono un membro del Parlamento — disse lentamente, la fronte corrugata come se cercasse le parole. — E non c'è alcuna ragione perché io debba essere dispensato...
— Certo che c'è — riprese lei. — Tu non hai niente a che fare con il Capitano Winthrop o con il signor Arledge, o con il bigliettaio dell'omnibus, e non ci trovavamo neppure a Hyde Park.
— È proprio quello che stavo pensando. — Jack fissò il piatto. Oltre la porta ci fu un rumore di passi, come se uno dei domestici attraversasse il vestibolo.
— Che cosa intendi dire? — chiese Emily. — Non dimostri molto buon senso! Hai mandato a chiamare la polizia? Continuo a pensare che avresti dovuto mandare a chiamarli stanotte. So che non hanno preso nessuno finora, ma dovrebbero essere informati il più presto possibile.
— Voglio pensarci... — Prima che potesse completare la sua frase, la cameriera entrò con il tè e il pane tostato per Emily, e chiese a Jack che cosa preferisse, se pesce affumicato, uova, salsicce, bacon e patate, o una braciola. Lui la ringraziò e scelse il pesce.
— Pensare? A che cosa? — chiese Emily non appena la cameriera se ne fu andata. — Il Carnefice ti ha aggredito, caspita! Che cosa c'è da pensare? — Si sporse attraverso la tavola, scrutandolo. — Jack? Stai male? Sei ferito?
Lui fece una smorfia beffarda, ma il suo divertimento era solo una finta.
— No, certo che no. Sono un po' ammaccato, tutto qui.
— Sei sicuro?
— Sì, sono sicuro. — Sorrise, ma la sua faccia era ancora molto pallida. — Voglio pensarci prima di decidere che cosa fare...
— Non capisco che cosa tu intenda dire, che cosa tu voglia fare! Devi raccontare tutto alla polizia... preferibilmente a Thomas. Deve sapere. — Si appoggiò al gomito, fissandolo.
— Thomas, certo — ammise lui. — Ma non ci penso affatto.
— Non capisco. Perché non ci pensi affatto? Non è certo una cosa privata essere aggredito per la strada! — Versò il tè per tutti e due con aria assorta e gli passò il suo.
— Penso che sarebbe meglio se non ne facessi parola — rispose lui, accettando il tè e prendendo una fetta di pane tostato.
— Che cosa? Che cosa diavolo intendi dire? — La sua voce si alzò di tono per l'incredulità. — Nessuno ti biasimerà per questo! Anzi sarà proprio il contrario, ti tributeranno la loro simpatia.
— Forse sì — disse pensieroso. — Anche se ci potrebbe essere chi si chiederà se avessi un segreto collegamento con gli uomini assassinati, e non c'è dubbio che le speculazioni abbonderebbero. I miei nemici sarebbero...
— Non puoi serbare il silenzio soltanto perché potrebbero parlare male di te! — disse in fretta. — I tuoi oppositori lo faranno comunque. Non puoi sottrarti a questo.
— Non ci avevo pensato — ammise lui. — Mi preoccupavo per Thomas.
— Ma questo potrebbe aiutarlo — protestò lei in tono ragionevole. — Più informazioni riceve, più probabilità ha di trovare il Carnefice.
La cameriera tornò con il pesce, chiese se c'erano altri ordini, e quando le fu detto di no, si congedò.
— Non sono certo che fosse il Carnefice — disse Jack non appena si fu chiusa la porta.
Emily era stupefatta. — Che cosa vuoi dire? Io l'ho visto. Aveva una scure! Jack... io l'ho visto!
— Questo lo so — disse lui gentilmente. — Hai visto un uomo con una scure, ma questo non significa che sia il Carnefice. Come hai detto giustamente, non ho alcun collegamento con Winthrop o con Arledge o con il bigliettaio dell'omnibus, né ero nei pressi del parco. — Prese un boccone di pesce. — E lui mi ha aggredito mentre ero in compagnia di qualcun altro. Non è il comportamento tipico del Carnefice.
— Lui non comportamenti tipici! — disse Emily con veemenza, ignorando il cibo.
Lui la guardò molto seriamente. — Lo dirò a Thomas, naturalmente, ma non credo di doverlo dire alla polizia locale. Non posso pensare a quello che direbbero i giornali dopo un'altra aggressione. Giocherebbe a favore di Uttley.
— Oh. — Lei si appoggiò allo schienale della sedia, la rabbia sfumata di colpo. — Sì, certo, non ci avevo pensato. Non dobbiamo fornirgli assolutamente nulla. Lo userebbe come un'altra arma, non è vero?
— Manderò un messaggio a Thomas. — Jack lasciò il resto della colazione e si alzò, spingendo indietro la sedia.
Il maggiordomo entrò dietro di lui, con un pacco di giornali sotto il braccio. Sembrava molto cupo.
— Li guarderò dopo. — Jack fece per oltrepassarlo. — Devo andare a scrivere un biglietto al sovrintendente Pitt.
— Penso che sarà già al corrente della vostra disavventura, signore — disse il maggiordomo gravemente.
— Non è possibile — rispose Jack, continuando a camminare verso la porta. — Non ho detto niente all'uomo che è venuto a soccorrerci eccetto che non abitavo lontano da lì. Era troppo buio perché lui potesse riconoscermi, anche se si fosse preoccupato di dirlo a qualcuno, il che non dovrebbe essere.
Il maggiordomo si schiarì la gola e depose i giornali sull'orlo del tavolo. — Mi dispiace dirlo, signore, ma vi sbagliate su di lui. La notizia appare a grossi titoli su parecchi giornali questa mattina, ma soprattutto sul Times. Il signor Uttley ha scritto un pezzo molto critico sulla forza di polizia, mi dispiace.
— Che cosa? — Jack tornò indietro e afferrò il giornale in cima alla pila tenendolo alto mentre lo fissava con orrore. — Questo è assurdo. Come ha potuto saperlo in tempo Uttley per scrivere tutto ciò? Come può avercela fatta?
— Sono certo di non saperlo, signore. Desiderate mandare un biglietto al sovrintendente, signore?
— Sì... no. — Jack si sedette di nuovo pesantemente, facendo scricchiolare le gambe della sedia sul pavimento di legno lucidato. — È orribile.
Prima che Emily potesse ribattere, bussarono alla porta e la cameriera aprì. — C'è il sovrintendente Pitt che desidera vedervi, signore. Devo dirgli che siete in casa, signore?
— Sì. Sì, certo che ci sono — disse Jack furioso. — Porta una tazza e dell'altro tè. E dell'altro pesce, se lo desidera.
— Sì, signore.
Pitt entrò quasi nello stesso momento in cui lei si ritirava. Appariva stanco e profondamente preoccupato.
— State bene? — disse in fretta, guardando ora l'uno ora l'altra. — Che cosa è successo? Perché, in nome del diavolo, non me l'avete detto la notte scorsa?
Emily deglutì a fatica e distolse lo sguardo.
— Siediti. — Jack indicò una terza sedia non lontana dal tavolo. — Sta arrivando altro tè. Vuoi qualcosa da mangiare? Pesce affumicato? Uova?
— No, ti ringrazio — disse Pitt rifiutando l'offerta in blocco, ma accettò di sedersi.
Jack continuò a parlare. — Non te l'ho detto perché non l'ho detto a nessuno la notte scorsa — spiegò. — Siamo venuti direttamente a casa e ci siamo coricati. Nessuno lo sa all'infuori dei domestici. — Sorrise con sarcasmo. — A loro non lo si può tenere nascosto, specialmente quando uno è coperto di ammaccature e zoppica come il demonio. Ti stavo mandando un biglietto proprio adesso, quando Jenkins è entrato con i giornali e mi ha detto che c'era tutto sulle prime pagine. Che io sia dannato se so come è potuto accadere.
— Che cosa è successo? — chiese Pitt stancamente.
Jack raccontò gli avvenimenti della sera precedente per esteso e con particolari molto precisi, e senza essere interrotto da Emily, dal momento in cui lui e Emily avevano lasciato il ricevimento fino a quando avevano raggiunto la loro casa e chiuso la porta d'ingresso.
La cameriera aveva portato un'altra tazza ed Emily aveva versato il tè, che Pitt sorseggiò mentre ascoltava. Infine la depose sul tavolo e guardò Jack con le sopracciglia inarcate.
— Sei sicuro di non aver dimenticato niente?
Jack guardò Emily.
— Niente — rispose lei. — Questo è esattamente ciò che è avvenuto.
— Chi era l'uomo che è venuto in vostro aiuto? — chiese Pitt guardando ora l'uno ora l'altra.
— Non lo so — si affrettò a dire Emily. — Non ho chiesto il suo nome, né lui ha saputo il mio.
— Lo riconoscereste se lo incontraste di nuovo?
— È probabile. — Questa volta fu Jack a rispondere. — Non ne sono certo. La via era illuminata pochissimo e io ero notevolmente scosso. Aggiungi che non era vestito come la gente che s'incontra di solito.
— Che cosa indossava?
— Abito da sera bianco e nero. — Jack si strinse nelle spalle. — lo non avevo il soprabito perché la serata era tiepida. — Lanciò un'occhiata a Emily. — Emily portava un abito verde scuro, ma aveva un mantello, del tipo con il cappuccio, che si era tirata sulla testa.
— Avrebbe potuto riconoscerti? — le chiese Pitt pensieroso.
Emily scosse la testa. — Non l'ho mai incontrato prima, per quanto mi ricordi. Comunque, perché avrebbe dovuto riconoscermi? Io non bazzico in Parlamento. — Scosse la testa con maggior veemenza. — No, no, io sono rimasta in terra per un po' di tempo, e mentre lui stava aiutando Jack, mi sono alzata, ma la mia faccia era rivolta verso Jack. Non credo di aver mai guardato direttamente l'uomo.
Pitt era pensieroso. — Allora come ha saputo che eri là? Sei proprio sicuro che non ci fosse nessun altro?
— È arrivato un altro uomo mentre stavamo andandocene — rispose Jack. — Ma tutto quello che gli abbiamo detto è stato che eravamo incolumi.
— C'erano altre persone che si stavano avvicinando — aggiunse Emily. — Io avevo gridato più forte che potevo. Immagino di aver attratto l'attenzione di parecchia gente... certamente lo speravo. Ho fatto del mio meglio.
— Ma ero a quasi due chilometri da Hyde Park — osservò Jack. — E non so nulla di Winthrop o di Arledge. Perché proprio io?
— Non lo so. — Pitt appariva del tutto scoraggiato ed Emily era così preoccupata per lui che per un momento dimenticò la propria rabbia.
— Jack pensa che non possa essere stato il Carnefice — disse lei gravemente. — Aveva un'accetta, comunque, perché l'ho vista molto chiaramente. Pensi che possa avere qualcosa a che fare con la politica?
Pitt la fissò.
Lei si sentì imbarazzata. Forse era una domanda stupida.
Pitt si alzò in piedi e li ringraziò per il tè.
— Voglio scoprire come Uttley l'ha saputo — disse accigliato. — Le cose non quadrano.
Si aspettava di avere qualche difficoltà a trovare Nigel Uttley, considerando che la campagna politica era in pieno svolgimento, ma in realtà la cosa risultò molto facile. Uttley si trovava a casa sua proprio oltre Manchester Square e ricevette Pitt senza esitare, decidendo di accoglierlo nell'atrio anziché di invitarlo in biblioteca o nello studio.
— Buongiorno, sovrintendente — disse in tono vivace, sorridendo e mettendosi le mani in tasca. — Che cosa posso fare per voi? Mi dispiace ma ho saputo dell'aggressione della notte scorsa soltanto per sentito dire e penso di non potervi dire niente di più di quanto possiate scoprire da solo.
— Buongiorno, signor Uttley — disse Pitt risoluto. — Può darsi che sia così. Comunque, mi piacerebbe conoscere direttamente da voi i fatti che avete riportato sul Times e che sembra vi siano familiari.
Uttley inarcò le sopracciglia. — Avverto una certa nota di sarcasmo nel vostro tono, sovrintendente. — Sorrise mentre parlava e si dondolava lentamente sugli avampiedi. Il vestibolo era fastoso, molto classico, con un fregio romano sulle pareti appena sotto il soffitto. La porta d'ingresso era rimasta spalancata e il sole vi entrava a fiotti. Un giovane stava fuori sui gradini, e sembrava attendere che Uttley si accorgesse di lui.
Pitt avrebbe voluto discutere la questione in privato, ma Uttley sembrava aver deciso di no. Pareva che volesse ricavarne il maggior vantaggio possibile.
Pitt ignorò l'allusione beffarda. — Come siete venuto a conoscenza di ciò, signor Uttley?
— Come? — Uttley sembrava divertito. — L'agente del posto me l'ha riferito. Perché? Sicuramente questo non ha importanza, sovrintendente.
Pitt era furioso. Quale irresponsabile agente aveva parlato a un civile del caso? Averne parlato con qualcuno era già abbastanza grave, ma aver scelto un politico che aveva costruito il suo programma sulle accuse di incompetenza nei confronti della polizia era una mancanza di lealtà e di senso del dovere al di là di ogni scusante.
— Come si chiamava, signor Uttley?
— Chi? L'agente? — Uttley aveva spalancato gli occhi. — Non ne ho idea. Non gliel'ho chiesto. Davvero, sovrintendente, non state perdendo il vostro tempo sulla cosa sbagliata? Forse lui non doveva confidarsi con me, ma è possibile che anche lui come la gente comune sia preoccupato per la violenza che ci circonda. — Incurvò le spalle e affondò ancora di più le mani nelle tasche. La sua voce era alta e molto chiara quando continuò. — Non credo che ve ne rendiate conto, sovrintendente, intendo dire di quanto sia preoccupata la gente. Le donne hanno il terrore di uscire e molte sono talmente preoccupate per i loro mariti e i loro padri, che li pregano di non uscire di casa al calare della sera. I parchi vengono evitati. Anche i teatri si lamentano che presto falliranno perché nessuno vuole tornare a casa al buio.
C'erano molte risposte che Pitt avrebbe potuto dare, ma nessuna di esse poteva controbattere il fatto che la paura era reale, per quanto esagerata. Si respirava panico nelle strade, l'aveva sentito lui stesso.
— Sono conscio di questo, signor Uttley — rispose nel modo più civile che poté. Non era stato quel che aveva fatto notare Uttley a rinfocolare la sua rabbia, ma il piacere che brillava negli occhi dell'uomo. — Stiamo facendo tutto ciò che è in nostro potere per catturare l'assassino.
— Be', evidentemente questo non è abbastanza — disse Uttley con occhi penetranti.
Fuori sui gradini, a un primo giovane se n'era unito un secondo.
— Che cosa vi ha detto l'agente, signor Uttley? — Pitt cercò di trattenere la collera perché non trasparisse dalla sua voce, ma con scarso successo.
— Che Radley è stato aggredito da un uomo con un'accetta che cercava di ucciderlo — rispose Uttley, guardando al di là di Pitt l'uomo sulla scala. — Sarò da voi tra un momento, signori! — Tornò a fissare Pitt, il sorriso sulle labbra che si allargava. — Davvero, sovrintendente, è questo il meglio che riuscite a fare? Certamente un uomo del vostro rango può trovare qualcosa di più utile da fare che chiedere a me informazioni di seconda mano, il che mi induce a pensare che intendiate punire il vostro povero sottoposto per avermi detto quello che forse volevate tenere segreto. I giovani all'esterno si avvicinarono.
— Certamente, se lo troverò, signor Uttley — ribatté Pitt tra i denti — dovrò riprenderlo per aver parlato con voi anziché con me. Questa è stata una negligenza che richiede una buona dose di spiegazioni!
— Non l'ha detto a voi? — Uttley era stupefatto. — Santo cielo! — La sua faccia si riempì di sorpresa, e poi di divertimento, così aperto da essere al limite della derisione. — Volete dire che siete qui per scoprire i fatti, perché la vostra stessa forza di polizia non ve li ha raccontati? Mio Dio! La vostra incompetenza supera ogni immaginazione. Se pensate che io vi abbia criticato finora, mio caro uomo, vi assicuro che ho appena incominciato.
— No, signor Uttley, non sono qui per scoprire i fatti — rispose Pitt con disprezzo. — Io ho quelli riferitimi dal signor Radley, che per di più mi ha assicurato di non aver fornito nessun nome e di non aver chiamato la polizia.
— Non ha chiamato la polizia? — La faccia di Uttley si rabbuiò e lui apparve confuso. — Che cosa intendete dire? È stato aggredito per la strada e c'è mancato poco che non lo uccidessero. Certo che ha chiamato la polizia.
— È stato aggredito. — Anche Pitt adesso alzava la voce. — Ma questa mattina era in perfetta salute, e io ho saputo da Radley che ha respinto l'assalitore quasi immediatamente, riportando soltanto qualche ammaccatura.
— È questo che dice? — L'espressione di Uttley si mutò di nuovo in derisione. — Com'è stato coraggioso... e leale nella sua piuttosto eccentrica posizione di difensore della polizia.
— Non è la verità? — s'informò Pitt, con voce improvvisamente dolce.
— Era stato aggredito dal Carnefice di Hyde Park, ho sentito — disse Uttley, non più tanto beffardamente. — Certo, qualsiasi uomo dotato di un briciolo di senso di responsabilità l'avrebbe riferito immediatamente alla polizia, sia che fosse stato ferito o meno.
— L'ha riferito a me — rispose Pitt, distorcendo considerevolmente la verità... nella sostanza, se non nello spirito.
Uttley si strinse nelle spalle con una smorfia, e si girò per andarsene. — Be', allora presumo che sappiate tutto quello che c'era da sapere. Questo rende dunque sgradevolmente evidente che mi state interrogando soltanto allo scopo di perseguire quel povero agente, non è vero?
— Se il poliziotto si trovava sulla scena del delitto, è importante che gli parli — ribatté Pitt, acquistando fiducia a ogni secondo. — Poiché Radley è stato subito lasciato libero dal suo assalitore, e si è fermato soltanto a rassicurare il suo soccorritore che era incolume, è possibile che l'agente possa aver trovato qualcosa di interessante, per esempio l'accetta.
Uttley lo guardò sorpreso, poi si ricompose rapidamente.
— Allora fareste meglio ad andare a cercarlo. Non dovrebbe essere difficile per un funzionario della vostra esperienza scoprire dove si trovava uno dei vostri uomini. — Rise sguaiatamente. — Questa è una farsa! Gilbert e Sullivan potrebbero scrivere una divertente ballata su questa storia, sovrintendente, ancora più divertente di quella dei Pirates. Aspettate solo che i giornali apprendano che il sovrintendente incaricato del caso è occupato a rastrellare Londra per cercare uno dei suoi agenti. Immagino che i vignettisti conosceranno un periodo di grande popolarità. Che regalo!
— Sembrate pensare che potrei avere difficoltà, signor Uttley — disse Pitt, parlando con altrettanta chiarezza e incisività di Uttley. — Non credete che sia sufficiente recarsi alla stazione di polizia di zona e chiedere chi era in servizio quella sera?
— Io non ne ho idea — rispose Uttley, ma c'era un leggero rossore sulle sue guance e i suoi occhi non incontrarono quelli di Pitt con la sfacciataggine di prima. Sprofondò ancora più le mani nelle tasche e girò i tacchi. — E adesso, se non c'è nient'altro che posso fare per voi, ho una grande quantità di lavoro che mi aspetta. Sono spiacente di non potervi aiutare, mentre sembra che ne abbiate tanto bisogno.
— Voi mi avete aiutato moltissimo — ribatté Pitt. Poi aggiunse con un tocco da maestro: — In realtà, sembra che mi abbiate risolto ogni cosa. Buongiorno, signore. — Oltrepassò la porta d'ingresso e sfiorò i due giovani sui gradini, toccandosi il cappello cortesemente. — Buongiorno, signori.
I due si girarono a osservarlo mentre scendeva la scala per raggiungere il marciapiede, poi si guardarono l'un con l'altro con gli occhi sbarrati.
Pitt intendeva andare direttamente alla stazione di polizia da dove venivano tutti gli agenti di pattuglia; ma prima di arrivarvi, mentre per attraversare un'arteria di grande traffico passava tra il carretto di un pescivendolo e un carro carico di patate e cavoli, fu avvicinato da un uomo molto grasso con i capelli brizzolati che gli ricadevano a riccioli sopra il colletto. I suoi occhi verdi erano a forma di palla nella faccia gonfia. Era vestito piuttosto elegantemente, con una catena da orologio d'oro che gli attraversava l'ampio stomaco. Accanto a lui c'era un altro uomo, che gli arrivava a malapena al gomito, la figura massiccia deforme, la faccia aguzza dall'espressione maligna, le labbra aperte che mostravano denti aguzzi e macchiati.
— Buongiorno, George — disse Pitt all'uomo grasso. Spostò lo sguardo da George il Grasso al suo compagno. — Buongiorno, Georgie.
— Ah, signor Pitt — disse George il Grasso con voce bassa e aspra, stranamente triste e sussurrante. — Ci avete lasciato nei guai, signore, ecco quello che avete fatto. Il parco non è più sicuro per i signori. È terribilmente dura per gli affari, signore. Terribilmente dura.
— Non mi sembra giusto che ce l'abbiate con noi, signor Pitt — aggiunse Georgie il Piccolo con una voce che era l'orribile parodia di quella del compagno, lo stesso respiro smorzato, ma con un sibilo che la rendeva più rauca ed enormemente più sgradevole. — Noi non ci piace questo. Ci fa buttar via un sacco di soldi, signor Pitt.
— Se sapessi chi è il Carnefice, vi assicuro che l'avrei arrestato — rispose Pitt nel tono più piatto che poté. — Stiamo facendo il possibile per trovarlo.
— Non abbastanza, signor Pitt — disse Georgie il Piccolo, facendo una smorfia. — Non si può proprio dirlo.
— Ci abbiamo un mucchio di signori che sarebbero troppo spaventati per spassarsela, signor Pitt — aggiunse George il Grasso, battendo sul suolo il suo bastone dal manico d'argento. — Non sono mica contenti, quelli là.
— Allora fareste meglio a scoprire chi è il Carnefice — ribatté Pitt. — Voi avete più occhi e più orecchi di me nel parco.
— Noi non sapessimo gnente — disse lamentosamente George il Grasso. — Non penserebbe che ce lo avessimo già detto, un giorno o l'altro? Credete che stassimo in questa strada in mezzo ai carri a rimproverarvi, signor Pitt? Noi abbiamo un gran sacco di cose da fare per conto nostro. Non è gente dei nostri. Se pensavate che questo avrebbe a che fare con il lavoro, vi sbagliate.
— Scemo! — disse Georgie il Piccolo con aria malvagia. — Cretino! Pensavate che ci piacesse andare avanti con questo genere di cose? Se uno dei nostri comincerebbe a tagliare la testa della gente, noi lo prendessimo a bastonate e lo gettassimo nel fiume. Noi possiamo insegnare ai tipi strambi una lezione proprio su loro medesimi e che non gli fa più mettere il naso nelle cose degli altri, oltre che non toccare i signori. Non fa bene agli affari, e questo è stupido! — Palpò qualcosa sul fianco della gamba, invisibile sotto il soprabito. Pitt era certo che fosse un coltello. L'ometto si leccò le labbra con la lingua appuntita e fissò Pitt senza batter ciglio.
— È vero quel che dicesse Georgie, signor Pitt — sussurrò George il Grasso, ansimando e sibilando. — Non è dei nostri. È roba che avesse a che fare con i signori, mettetevi in testa le mie parole.
— Un pazzo che viene da qualche... — incominciò Pitt.
George il Grasso scosse la testa. — Voi lo sapete proprio bene, signor Pitt. Mi meraviglio di voi. Perdesse tempo. Nel parco non vive nessun matto, questo lo sappiamo tutti e due.
Georgie il Piccolo spostò il peso da un piede all'altro. Una fila di carri e carretti stava passando nella strada proprio davanti ai due uomini.
Pitt non ribatté. Non aveva mai pensato che si trattasse di un pazzo comune.
— Faceste meglio a trovarlo, signor Pitt — disse di nuovo George il Grasso, scuotendo la testa e facendo sobbalzare i riccioli sul colletto di astrakan. — Se no cominciamo a incarognirci, Georgie il Piccolo e io.
— Dovrei essere io ad arrabbiarmi — disse Pitt aspramente. — Ma se siete davvero seccati, è meglio che vi diate da fare anche voi.
Georgie il Piccolo lo guardò velenosamente. George il Grasso sorrise, ma non c'era né allegria né divertimento in lui.
— Questo è lavoro vostro, signor Pitt — disse in tono mellifluo. — A noi ci piacerebbe tanto se voi ve ne occuperebbe. — Senza dire altro, girò sui tacchi e un attimo dopo era scomparso in mezzo ai carri. Georgie il Piccolo diede un'ultima occhiata a Pitt, gli occhi colmi di malvagità, poi trotterellò dietro il compagno. Fu costretto a camminare in fretta per raggiungerlo, e questo lo fece infuriare.
Pitt continuò per la sua strada senza dare eccessiva importanza a tutto ciò, ma era un'indicazione dell'umore della gente che persino George il Grasso sentisse la morsa della paura per i propri affari.
Alla stazione di polizia trovò poca collaborazione. L'ispettore con cui parlò era un uomo alto e magro, con una faccia ascetica e lugubre, e un'aria di lacerante dignità.
— Noi non ne sappiamo niente — disse infastidito. — Sembra incredibile, il fatto non ci è stato riferito. So soltanto quel poco che ho letto sui giornali.
— Non vi è stato riferito? — Pitt era sorpreso. — Questo è il posto di polizia giusto?
— Sì, lo è. — L'ispettore sospirò. — Ho interrogato tutti i miei uomini. Volevo sapere personalmente chi era quell'idiota irresponsabile che aveva parlato con Uttley della cosa, ma nessuno era di pattuglia in quella zona. E io ho controllato, quindi non c'è bisogno che voi vi chiediate se i miei uomini stanno dicendo la verità o se qualcuno sta cercando di mentire per qualche suo scopo o se si tratta di uno stupido errore. Ciascun uomo può dimostrare dove si trovava. Uttley non ha contattato nessuno di noi.
— È molto strano — disse Pitt pensieroso. Non dubitava dell'uomo, né pensava che i suoi agenti stessero mentendo; sarebbe stato troppo facile controllare, e l'uomo che avesse compiuto un'azione così stupida avrebbe perso l'impiego.
— È una situazione maledettamente imbarazzante — disse brusco l'ispettore. — Posso soltanto supporre che deve essersi trattato di una delle persone che sono accorse in aiuto. Neppure Radley può averlo detto ai giornali. Lui almeno sembra essere dalla nostra parte. È quasi il solo. Avete visto le notizie, signore?
— Sì... sì, questo è quello che ho saputo, a parte il fatto che Radley è mio cognato.
Le folte sopracciglia dell'ispettore si inarcarono. — Non avrebbe dovuto riferirlo?
— A me sì, perché l'uomo aveva un'accetta, ma non a voi. Voleva evitarci la pubblicità di un'altra aggressione.
— Ci fa sembrare molto stupidi, non è vero? — disse l'ispettore severamente. — Siamo arrivati a una situazione davvero triste se un membro del Parlamento dà la scalata al potere sull'onda dell'avversione della gente per la polizia. — Fece una smorfia. — Non sembra una strana coincidenza che il Carnefice abbia aggredito il rivale di Uttley alle elezioni?
— Altroché — rispose Pitt. — Vi ringrazio per avermi dedicato il vostro tempo, ispettore. Penso che andrò a trovare questi signori che hanno soccorso Radley, per vedere che cosa possono raccontare a loro volta.
— Lasciate perdere. Non hanno visto quell'uomo spaventoso — disse l'ispettore con aria lugubre. — Del resto, pensate che ne valga la pena?
— Oh sì... sì, potrebbe.
— Assolutamente no, signore — disse il signor Milburn, meravigliato. — Sarebbe un'imperdonabile libertà, signore. Perché, in nome del Cielo, avrei dovuto fare una cosa del genere?
— Potrebbe essere stato perché l'avete ritenuto un vostro dovere civico — rispose Pitt in tono adulatorio. — Oppure è possibile che vi siate lasciato sfuggire qualcosa nell'eccitazione del momento.
Il signor Milburn sedeva rigido, le spalle quadrate.
— Il solo momento di eccitazione, signore, è stato il momento dell'aggressione a quel povero signore. E anche alla signora, per l'amor del Cielo! Proprio nel bel mezzo di una zona signorile come questa. La gente non è sicura da nessuna parte in questi giorni. — Il signor Milburn scosse la testa, poi s'infilò le dita tra i capelli. — Non so davvero che cosa stia succedendo. Non desidero apparire critico, signore, ma la polizia dovrebbe essere in grado di fare di meglio. Viviamo nella più grande città del mondo, e molti direbbero nella più civile, eppure camminiamo per le nostre strade con addosso la paura degli anarchici e dei pazzi. Non è davvero una bella cosa, signore!
— Mi dispiace — disse Pitt sinceramente. — Ma non c'è niente di quanto potremmo fare che non stiamo già facendo.
— Lo credo, lo credo. — Milburn annuì e sembrava un po' imbarazzato. — La paura non fa certo uscire il meglio da noi. Forse ho parlato con troppo impeto. Posso esserle d'aiuto in qualche modo?
— Non avete riconosciuto nessuno, signore? — chiese Pitt.
— Amico mio, io non ho neppure visto l'aggressione. Ero nella mia camera da letto in procinto di coricarmi quando ho udito le urla della bella signora. Sono corso giù immediatamente e sono uscito in strada per vedere se potevo offrire aiuto.
— Questo è ammirevole — disse Pitt con sincerità. — E posso dirlo, molto coraggioso.
Milburn arrossì leggermente.
— Vi ringrazio, signore, vi ringrazio. Devo ammettere di non aver neppure pensato al pericolo che correvo in quel momento, altrimenti avrei riflettuto sulla questione. Ma non posso saperlo. No, non posso aiutarvi minimamente a questo riguardo, mi dispiace.
— In realtà, signore, intendevo sapere se avete riconosciuto la signora e il signore che sono stati vittime dell'aggressione?
— No, signore, non li ho riconosciuti. Tutto si è svolto all'improvviso e al buio. E, devo confessarlo, solitamente porto gli occhiali. Naturalmente in quel caso non li avevo. Il signore sembrava essere molto giovane. Certamente si muoveva con molta agilità. E robusto, sì, decisamente robusto. Non saprei dire nient'altro. — Trasse un profondo respiro e guardò Pitt con aria tranquilla. — In quanto alla signora, aveva certamente molto spirito e polmoni assai robusti, ma in realtà non ho osservato nient'altro oltre a questo, neppure se era bionda o bruna, avvenente o brutta. Sono dispiaciuto, signore, sembra che non possa essere utile in alcun modo. Comincio a capire le vostre difficoltà.
— Al contrario, signor Milburn — rispose Pitt. — Voi mi avete dato un grande aiuto. Infatti penso che mi abbiate risolto l'intero problema. Grazie, signore, buona giornata. — E Pitt si congedò lasciando Milburn a bocca aperta, all'inutile ricerca di qualcosa di appropriato da dire.
Ma in Bow Street l'accoglienza fu del tutto diversa. Nell'ufficio di Pitt c'era Giles Farnsworth, che stava misurando a grandi passi la stanza. Si girò di colpo non appena udì la mano di Pitt sulla porta e si trovò di fronte al sovrintendente che entrava, con un giornale in mano.
— Immagino che l'abbiate letto — disse furiosamente. — Come lo spiegate? Che cosa state facendo per risolvere il caso? — Agitò il quotidiano in aria. — Adesso un potenziale membro del Parlamento è stato aggredito nel cuore di Mayfair! Sapete finalmente qualcosa di questo Carnefice, Pitt? Una maledetta cosa qualsiasi?
— So che quello non era il Carnefice — rispose Pitt con voce calma e precisa.
— Non era il Carnefice? — disse Farnsworth incredulo. — Mi state dicendo che abbiamo due pazzi omicidi che corrono su e giù per Londra roteando mannaie sulla testa della gente?
— No, abbiamo un pazzo e un opportunista che si approfitta della situazione.
— Che cosa? Che cosa state dicendo? — chiese Farnsworth. — Che specie di vantaggio potrebbe ricavare un uomo sano di mente da questo incubo?
— Politico! — ribatté Pitt concisamente.
— Politico? — Farnsworth spalancò gli occhi e rimase perfettamente immobile. — State dicendo quello che penso, Pitt? Mio Dio, se avanzate questa accusa, vi conviene avere ragione. E sarebbe meglio che foste in grado di dimostrarlo.
— Non ho prove sufficienti per accusarlo — rispose Pitt, attraversando la stanza e dirigendosi verso la sua scrivania. — Ma sono convinto che sia stato lui ad aggredire il signore e la signora Radley la notte scorsa.
Farnsworth lo fissò, dimentico del giornale. — Ne siete convinto, Pitt? È la vostra parola, Pitt?
— È la mia parola — rispose Pitt lentamente.
— Come lo sapete? Non l'avrà ammesso lui?
— No, naturalmente no. Ma è stato lui a scriverlo sui giornali. Mi ha detto che l'ha saputo da un agente in servizio, ma non c'era nessun agente, non l'ha saputo neppure dall'uomo che è arrivato in soccorso del signor Radley, perché questi non conosceva l'identità di Radley.
— Allora — disse pensieroso Farnsworth — quell'uomo è completamente pazzo. — Poi tralasciò la questione e guardò Pitt con un rigurgito di ansia. — Che cosa sappiamo del vero Carnefice? Tutta la città è sotto una cappa di terrore. Ci sono state interrogazioni alla Camera dei Comuni, il ministro dell'Interno era molto imbarazzato. Sua Maestà ha espresso la sua preoccupazione. È angustiata e l'ha fatto sapere. — Improvvisamente la sua voce si alzò, rauca e furiosa, la paura che montava come un maroso. — Per l'amor di Dio, Pitt, che cosa vi succede, diamine? Ci deve essere qualcosa che potete fare per trovare prove sufficienti per arrestarlo!
— State parlando di nuovo di Carvell, signore? — chiese Pitt con cautela.
— Certo che sto parlando di Carvell — sbottò Farnsworth. — L'uomo aveva il movente, i mezzi e l'opportunità. Voi avete il potere necessario per far pressione su di lui fino a spingerlo a confessare. Usatelo!
— Non ho niente... — incominciò Pitt, ma Farnsworth lo interruppe con impazienza.
— Oh, per l'amor di Dio! — agitò la mano in aria. — Tellman ha ragione, voi siete troppo sensibile. Questo non è il momento né il posto per lasciar spazio ai vostri scrupoli di coscienza, Pitt. — Si sporse attraverso la scrivania, posandovi la mano e fissando Pitt dritto negli occhi. — Voi avete obblighi, doveri verso i vostri superiori e verso il corpo di polizia. Voi dovete essere al di sopra di cose del genere. Sono per gli inferiori di grado, se volete, non per chi ha una carica importante. Affrontate le vostre responsabilità, Pitt... o date le dimissioni!
— Non posso arrestare Carvell — disse Pitt con voce calma. — E mi rifiuto di perseguire l'uomo per quella che io ritengo essere la sua vita privata.
— Maledizione, Pitt! — Farnsworth sbatté il pugno sulla scrivania. — Quell'uomo aveva una relazione amorosa illecita con la vittima di un assassinio. Non può dimostrare dove si trovasse né allora né quando è stato ucciso Winthrop. Arledge poteva aver conosciuto Winthrop...
— Come sapete questo? — lo interruppe Pitt.
Farnsworth lo guardò incredulo. — Conosceva la signora Winthrop. Non è un grande sforzo da questo a pensare che conoscesse lo stesso Winthrop. E se Carvell era un uomo geloso, allora la conclusione è ovvia.
— Ve l'ha detto Tellman?
— Certo che me l'ha detto Tellman! Che importanza ha per voi? Perché esitate?
— Potrebbe essere stato Bartholomew Mitchell.
Ora Farnsworth era confuso.
— Mitchell? Il cognato di Winthrop? Perché, per l'amor del Cielo? Che cosa aveva a che fare con Arledge?
— Winthrop picchiava sua moglie — rispose Pitt. — Mitchell lo sapeva. Arledge l'aveva visto con la signora Winthrop in un momento in cui lei era gravemente angosciata per qualcosa.
— E il bigliettaio dell'omnibus? — incalzò Farnsworth, ignorando la questione di Winthrop e delle percosse. — Che cosa si sa di lui? Non ditemi che aveva qualcosa a che fare con questo melodramma domestico?
— Non ne ho idea. A dire il vero non abbiamo idea neppure di quel che abbia a che fare con Carvell — obiettò Pitt.
Farnsworth si morse il labbro. — Ricatto — disse acido. — È la sola risposta. Per qualche ragione era nel parco e ha visto uno degli omicidi. Io continuo a pensare che sia Carvell. Tenetelo d'occhio, Pitt. Torchiatelo finché non vi dirà la verità. Otterrete la confessione, se è colpevole.
Bussarono alla porta prima che Pitt potesse replicare e, senza aspettare risposta, Tellman l'aprì ed entrò.
— Oh — disse con sorpresa, come se non sapesse che Farnsworth era là dentro. — Scusatemi, signore. — Guardò Pitt. — Pensavo che avreste voluto sapere, signor Pitt. Gli agenti hanno indagato in tutti i luoghi in cui si trovava Carvell all'epoca degli assassinii.
— Sì? — disse Pitt aspramente, con un tuffo allo stomaco.
Farnsworth fissò Tellman, gli occhi sbarrati.
— Non hanno trovato nessuno che lo avesse visto — spiegò Tellman. — Né per il capitano Winthrop né per Arledge. Non so che cos'altro possiamo cercare.
— Questo è sufficiente — disse in tono deciso Farnsworth. — Arrestatelo per l'assassinio di Arledge. Gli altri due non contano per l'accusa. Una volta che sarà in buone mani, gli si scioglierà la lingua.
Pitt prese fiato per parlare, ma Tellman gli tolse la parola.
— Non sappiamo nulla di Yeats, signore — si affrettò a dire, guardando Farnsworth. — Potrebbe avere un alibi che può dimostrare, quando è accaduto quest'omicidio.
— Be', che cosa dice lui? — domandò Farnsworth con irritazione.
— Che era a un concerto, e noi stiamo ancora indagando su questo — rispose Tellman, gli occhi spalancati, l'espressione innocente. — Faremmo la figura degli stupidi se lo arrestassimo, e poi trovassimo qualcuno che dice di averlo visto a teatro a dieci chilometri da lì, che so, a mezzanotte.
— A che ora è stato ucciso Yeats?
— Probabilmente tra la mezzanotte e le dodici e mezzo — rispose Pitt.
— Probabilmente? — ripeté Farnsworth con voce aspra. — Come può essere così sicuro il medico legale? Forse era più tardi. Forse è stato un paio d'ore dopo. Il che avrebbe dato a Carvell tutto il tempo per prendere una carrozza a nolo fino a Shepherd's Bush. — Guardò prima Tellman poi Pitt, con aria trionfante.
Tellman lo fissò senza imbarazzo.
— Non avrebbe importanza, signore. È difficile che Yeats sia stato colpito nei pressi del capolinea degli omnibus di Shepherd's Bush un paio d'ore dopo essere sceso dalla vettura. Si è diretto verso casa, il guidatore l'ha detto. E poiché ci vuole soltanto un quarto d'ora circa di buon passo, questo consente di stabilire abbastanza precisamente il momento della sua morte.
Le labbra di Farnsworth s'irrigidirono. — Allora fareste meglio a continuare a indagare su chi altro c'era a quel concerto — disse. — Se l'uomo era là, qualcuno deve averlo visto! Si tratta di una persona nota. Non sedeva in una sala da solo. Per l'amor di Dio, su, siete un investigatore. Ci deve essere un modo di dimostrare se c'era o non c'era. Che cosa si sa dell'intervallo? Ha preso qualcosa da bere? Deve aver parlato con qualcuno. I concerti sono occasioni mondane oltre che musicali.
— Lui dice di non averlo fatto — rispose Tellman. — Era appena stato ucciso Arledge, e non se la sentiva di parlare con nessuno. Era andato solo per la musica, perché gli suscitava ricordi di lui. È entrato senza parlare con nessuno ed è uscito allo stesso modo.
— Allora arrestatelo — ripeté Farnsworth. — È il nostro uomo.
— Che cosa succederebbe se si scoprisse che si trattava del signor Mitchell, signore? — disse Tellman francamente. — Sembra che anche lui avesse buoni motivi, e neppure Mitchell può dimostrare dove fosse, se non per la testimonianza della signora Winthrop, e questa non conta molto.
Farnsworth si girò verso la porta.
— Be', sarebbe meglio fare qualcosa, e presto. — Ignorò Tellman e affrontò Pitt. — Altrimenti dovrete essere sostituito da qualcuno che si mostri più efficiente. Il pubblico ha il diritto di aspettarsi qualcosa di meglio. Il ministro degli Interni ha mostrato un interesse personale per il caso, e anche Sua Maestà è preoccupata. La fine della settimana, Pitt... non di più.
Non appena se ne fu andato, Pitt guardò Tellman con curiosità.
Tellman mostrò una certa indifferenza.
— Loro pretendono — disse con noncuranza. — Peccato che non pensino a qualche suggerimento utile. Che io sia maledetto se so che cos'altro fare. Abbiamo due agenti che cercano di scoprire tutto quello che possono sul dannato bigliettaio di omnibus. È talmente comune che può essere scambiato con diecimila altri ometti normali e nessuno saprebbe scoprire la minima differenza tra loro. Pomposo, claudicante, viveva con la moglie e due cani, maniaco dei piccioni, beveva birra al Fox and Grapes al venerdì sera, giocava male a domino, ma era piuttosto bravo ai giochi delle freccette. Perché qualcuno avrebbe dovuto assassinare un uomo come quello?
— Perché ha visto qualcosa che non doveva — rispose con semplicità Pitt.
— Ma era sul suo omnibus quando Winthrop e Arledge sono morti — rispose Tellman esasperato. — E la sua corsa non passava vicino al parco. E anche se Arledge è stato ucciso da qualche altra parte, noi sappiamo esattamente dove è stato ucciso Winthrop.
— Allora mettiamo anche qualcuno a indagare sul posto in cui è stato ucciso Arledge — disse Pitt senza speranza. — Cercate in tutta la zona intorno alla casa di Carvell. Vedete se potete trovare una scusa per far visita a Mitchell, e perquisite di nuovo anche tutta la casa.
— Sì, signore. Che cosa farete voi? — Per una volta rivolse questa domanda senza insolenza.
— Vado ad assistere alla funzione di Requiem per Aidan Arledge.
Non fu necessario chiedere a Charlotte di accompagnare Pitt, prima alla funzione di Requiem, e poi al ricevimento che sarebbe seguito. La nuova casa era quasi completata e c'era ancora una decina di piccole cose cui provvedere: appendere le tende, fissare le assi del pavimento che scricchiolavano, sostituire un rubinetto dell'acqua, applicare le piastrelle in cucina e nella dispensa, e qualcos'altro. Tuttavia, erano tutte inezie se paragonate con l'opportunità di incontrare, probabilmente, tutti i principali protagonisti delle tragedie sulle quali Pitt stava investigando.
Arrivarono volutamente in anticipo, vestiti sobriamente come tutti gli altri partecipanti alla funzione. In realtà Pitt aveva trascorso come al solito un mucchio di tempo davanti allo specchio. Avevano fatto tardi, ma aveva anche permesso a Charlotte di risistemargli il colletto, la cravatta e la giacca finché erano stati di suo gradimento. Charlotte a sua volta indossava lo stesso vestito nero che aveva alla cerimonia funebre per il Capitano Winthrop, ma con un cappellino molto diverso, questa volta con la calotta alta e l'ala più stretta, molto di moda in quel periodo, se non addirittura sulla moda stessa. Era un dono della prozia Vespasia.
Erano appena scesi dalla vettura a nolo e avevano girato l'angolo, perché nessuno li vedesse arrivare senza una carrozza personale, quando incontrarono Jack ed Emily, anche loro in anticipo. Jack era elegante come al solito, anche se camminava ancora un po' rigido. Charlotte aveva saputo dell'incidente dai giornali, da Pitt, e dalla stessa Emily, alla quale aveva naturalmente fatto una breve visita subito dopo averne avuto notizia.
Emily era affascinante nell'abito di seta nera ricoperto di merletto, le maniche larghe e le spalle piatte. Mostrò approvazione quando vide il cappellino di Charlotte, e qualcosa di simile alla sorpresa si dipinse sul suo viso.
— Sono così contenta che tu sia qui — disse immediatamente, facendosi avanti per stare accanto a Charlotte, e senza dirle nulla del cappello. — Mi sento terribilmente in colpa. Non abbiamo fatto nulla per aiutare Thomas, e se devo essere sincera, non vi abbiamo neppure provato. Quello che dicono i giornali è molto ingiusto, ma del resto la giustizia non ha mai avuto a che fare con queste cose. Sai chi sono? — Indicò il gruppo accanto a loro per spiegare il significato dell'ultima domanda.
— Naturalmente no — rispose Charlotte sottovoce. — Ma lei sembra Mina Winthrop. E quello è suo fratello, Bart Mitchell. Thomas. — Si guardò intorno per trovare Pitt. — Come mai sono qui anche loro? È solo per simpatia, suppongo. Lei sembra molto triste.
— Lo conosceva — ribatté Pitt, riaccostandosi al proprio gruppo e salutando Emily.
— Lo conosceva? — Charlotte era stupefatta. — Non me l'hai detto!
— L'ho saputo solo da poco...
— Come mai? Perché lo conosceva? — si affrettò a chiedere. — Potrebbe essere stato...? Oh, no, naturalmente non potrebbe...
— Oh, guarda quella povera anima — Emily la interruppe mentre passava Jeremy Carvell a pochi metri da loro. — Il poveretto sembra sgomento. — E in realtà lo era; aveva la faccia molto pallida, gli occhi orlati di rosso come se fosse rimasto alzato per metà della notte a sforzarli per vedere qualcosa che, una volta scorta, l'aveva scosso fin nell'intimo. Camminava con aria infastidita, facendosi strada tra la gente senza incontrare gli occhi di nessuno. Parlava solo per ricevere le condoglianze della gente.
— Sembra profondamente turbato — disse Charlotte, sottovoce. — Pover'uomo. Mi chiedo se sa qualcosa, oppure se è solamente addolorato!
— Forse entrambe le cose — rispose Emily, senza guardare la schiena di Carvell mentre lui scompariva, ma Mina Winthrop. Mina era vestita di nero perché era in lutto, naturalmente, oltre che per l'occasione, ma con accessori e gioielli di perle, e nessun velo sul viso. Aveva la pelle chiara, leggermente arrossata, e si guardava intorno con interesse. Suo fratello le stava accanto, e Charlotte ebbe l'impressione che lui facesse attenzione che lei non si spostasse dal suo fianco, così come si fa con un bimbetto che può correre pericoli se lo si perde di vista, o smarrirsi se lo si lascia vagare in giro. Anche a lei era capitato di stare accanto ai suoi figli nello stesso modo, parlando con qualcuno, mentre metà della sua mente era concentrata sulla loro presenza.
Si girò verso Pitt. — Thomas...
— Sì?
— Bart Mitchell è un indiziato?
— Perché?
— Perché il Capitano Winthrop l'ha picchiata, naturalmente. Voglio dire, che cosa sappiamo di Aidan Arledge? Potrebbe anch'egli aver fatto qualcosa per ferire Mina.
— Lei era angosciata quando si sono incontrati. È possibile.
— Che cosa c'entra il bigliettaio dell'omnibus?
— Non ne ho idea. Non sembra esserci nessun collegamento con lui, chiunque egli sia.
— Ha visto qualcosa — disse Emily riflettendo.
— La sua corsa non passava dalle parti di Hyde Park.
— Oh.
Stava arrivando altra gente, tra cui un uomo di aspetto molto distinto. Era di mezza età, con una bella testa folta di capelli brizzolati sulle tempie, e baffi sottili. Era vestito elegantemente con un completo all'ultima moda e camicia di seta. Camminava con le spalle erette e con una disinvoltura che gli attirava gli sguardi della gente. Doveva essere abituato a una simile attenzione, perché non sembrava causargli nessun disagio, anzi pareva non esserne neppure conscio.
— Chi è? — chiese Charlotte con curiosità. — È un membro del gabinetto o qualcosa del genere?
— Non lo conosco. — Pitt scosse la testa.
Emily soffocò una risatina con la mano guantata di nero.
— Non essere ridicolo. E Sullivan.
— Chi è Sullivan? — chiese Charlotte bruscamente.
— Sir Arthur Sullivan! — sibilò Emily. — Gilbert e Sullivan.
— Oh! Oh! Capisco. Sì, certo. Arledge era un compositore e un direttore d'orchestra, non è vero? Mi domando se Gilbert verrà.
— Oh, no — si affrettò a rispondere Emily. — Se sa che Sir Arthur è qui, non verrà. Hanno litigato, lo sai.
— Hanno litigato? — Charlotte era sorpresa e delusa. — Non lo sapevo. Come diavolo hanno fatto allora a scrivere quelle splendide opere insieme?
— Non lo so. Forse non lo fanno più.
Charlotte si sentì irragionevolmente delusa. Ricordava ancora il tono e l'entusiasmo, l'irrefrenabile gaiezza e la melodia delle rare serate che aveva trascorso al Savoy Opera. Ora che Pitt era stato promosso e potevano cominciare a permettersi più spesso tali uscite, non ci sarebbero più state.
Il suo disappunto venne meno quando si accorse, con estremo interesse, della rapidità con cui il gruppo accanto alla porta della chiesa si allargava. Le persone si spostavano, si spingevano, senza averne l'intenzione, si giravano a guardare.
— Eccolo! — disse Emily, senza nascondere il proprio piacere.
— Chi? Gilbert? — le sussurrò Charlotte.
— Sì, certo. W.S. Gilbert — rispose Emily con eccitazione.
— Avevano litigato seriamente? — Charlotte stava a guardare mentre Gilbert si avvicinava con decisione al punto in cui Sir Arthur Sullivan stava in piedi in cima alla scala davanti alla porta della chiesa, apparentemente incurante dei nuovi arrivi. — A che proposito?
— Non lo so. Questo è tutto quello che ho sentito. — Emily afferrò il braccio di Charlotte e si avvicinò ai gradini della chiesa. — Penso che sia il momento di entrare. Sarebbe ineducato lasciare la gente ad aspettare, non pensi? E sarebbe ridicolo, dopo essere venuti qui in anticipo, entrare in chiesa in ritardo.
Charlotte accettò senza obiezioni.
In cima alla scala Sir Arthur Sullivan si accorse di una notevole agitazione tra la folla e si girò scorgendo W.S. Gilbert a pochi metri da lui, che stava salendo le scale a passo fermo, parlando con quelli che gli stavano di fianco con calore, mentre questi sembravano ascoltare con tale assoluta attenzione che non guardavano né rallentavano il passo finché non furono sul punto di scontrarsi l'un con l'altro.
Sir Arthur tenne duro, continuando la sua conversazione come se fosse la cosa più importante di questo mondo.
Gilbert fu costretto a fermarsi sull'ultimo gradino.
— Signore, state ostruendo il passaggio — disse sonoramente, la voce udibile da tutta la gente lì riunita.
Calò il silenzio. Uno per volta si girarono a guardare. Qualcuno si schiarì nervosamente la gola. Qualcun altro ridacchiò ma smise immediatamente.
Sir Arthur interruppe la sua conversazione con un uomo corpulento dai capelli bianchi, e molto lentamente si girò verso Gilbert.
— Vi state rivolgendo a me, signore?
Gilbert si guardò intorno attentamente per vedere se c'era qualcun altro lungo il suo cammino, poi affrontò di nuovo Sir Arthur.
— Voi avete l'incredibile capacità di capire ciò che è ovvio. Vedo che avete ridotto la questione all'essenziale in un impeto di perspicacia. Mi sto rivolgendo a voi, signore. State bloccando l'ingresso alla chiesa. Volete essere così gentile da lasciare spazio?
— Non potreste aspettare il vostro turno, signore, come una persona civile? — Le sopracciglia di Sir Arthur si inarcarono in un'espressione di sdegno. — Dovete proprio disturbare tutta la gente e farla spostare in modo da poter passare nel momento che più vi aggrada?
— Mi piacciono gli uomini orgogliosi, signore, ma per riguardo a se stessi oltre che all'intera società non devono sconfinare nel ridicolo — rispose Gilbert.
Sir Arthur arrossì violentemente. Lo scambio di battute gli aveva ormai reso impossibile farsi da parte senza perdere la faccia. Rimase esattamente dov'era, proprio sul cammino di Gilbert.
Fu Lady Lismore a salvare la situazione. Emerse dall'ombra del portale della chiesa e si rivolse a Sir Arthur.
— Scusatemi se vi interrompo, Sir Arthur, ma vi sarei molto grata se voleste aiutarci. Dobbiamo suonare una musica adatta all'occasione, e io non mi fido completamente del violoncellista.
Sir Arthur appariva irritato, come se in quel momento avesse avuto la risposta giusta sulla punta della lingua, ma la seguì abbastanza premurosamente. — Naturalmente, Lady Lismore. Tutto l'aiuto che posso offrire...
Gilbert sorrise tra sé e lanciò un'occhiata di traverso verso la gente che ascoltava. Ma non era completamente soddisfatto mentre varcava le porte della chiesa e spariva nell'ombra dell'interno buio.
Charlotte emise un profondo sospiro.
— "Con una stecca sbilenca e un panno poco teso, e palle da biliardo ellittiche" — disse Emily allegramente — "il mio obiettivo è davvero sublime, dovrei farcela in tempo..."
— Ssst! — Charlotte corrugò la fronte. — Non puoi entrare in chiesa per un servizio funebre cantando Il Mikado!
Emily fece silenzio di colpo, almeno finché non fu loro indicato un banco più arretrato di quanto avrebbero desiderato. Pitt e Jack erano da qualche parte alla loro sinistra, Pitt nascosto nell'ombra profonda dei pilastri.
— C'è un mucchio di gente — disse Emily non appena si furono sedute. — Immagino che sia perché è stato assassinato. Scommetto che una buona metà di loro è venuta per pura curiosità.
— Proprio come te — osservò Charlotte.
— Non essere maligna. Sai che la campagna sta andando molto bene. Comincio a pensare che Jack abbia qualche possibilità di essere eletto.
— Bene. Ora stai tranquilla. Siamo in chiesa.
— La funzione non è ancora cominciata — ribatté Emily. — Zia Vespasia ha detto che sarebbe venuta, ma io non la vedo. E tu?
— No, ma non ho notato nessun altro che conosco.
— Hai visto la mamma ultimamente?
— No, sono stata troppo occupata con la casa.
Emily chinò la testa come se fosse immersa in profonda preghiera o riflessione.
— Sta peggiorando — sussurrò sul libro di preghiere. — È rimasta fuori sul fiume fino all'alba l'altra notte.
— Come lo sai?
— L'ho vista.
— Dunque eri fuori anche tu.
— La cosa è ben diversa! — Emily era indignata. — Molto diversa. A dire il vero, qualche volta mi sembri ottusa.
— No, non lo sono. Penso soltanto che è inutile sconvolgersi per questo. Non puoi fermarla.
— Se l'ho vista io, allora sa il cielo che cos'altro ha fatto!
La donna nel banco davanti si girò e fissò Emily con aria truce, facendosi vento con il programma della funzione.
— Vi sentite poco bene? — disse poi in tono bisbetico. — Forse dovreste prendere un po' d'aria prima che cominci il servizio.
— Come siete piena di riguardo — rispose Emily con un sorriso mielato. — Ma se dovessi andarmene, dubito che ritroverei il mio posto, e poi la mia povera sorella dovrebbe rimanere seduta tutta sola.
Charlotte si coprì la faccia con le mani per nascondere la sua risata e lasciò che la donna pensasse che fosse per il dolore.
La donna si rigirò accigliata.
La musica dell'organo aumentò d'intensità e poi improvvisamente cadde il silenzio. Il vicario cominciò a parlare.
Charlotte ed Emily si sforzarono di apparire in lutto.
Il ricevimento che seguì fu una faccenda molto diversa. La carrozza di Emily depose i quattro sul marciapiede di Green Street, davanti alla casa di Jerome Carvell, poi si allontanò per permettere alle carrozze chiuse di arrivare e ai loro passeggeri di scendere a loro volta.
Emily si appoggiò al braccio di Jack e salì i gradini fino alla porta, dove un alto, rigido maggiordomo con zigomi alti e gambe ben tornite esaminò l'invito di Jack.
— Buongiorno, signor Radley, signora Radley. Vi prego di entrare. — Si volse a Pitt. — Buongiorno, signore? — La sua espressione era impercettibilmente cambiata; non era facile dire in che cosa fosse diversa, ma il rispetto se n'era andato, i suoi occhi erano arroganti e privi di interesse.
— Il signore e la signora Pitt — ribatté Pitt con altrettanto gelo.
— Infatti, signore.
Charlotte sentì che lo stomaco le si contraeva. Soffriva per Pitt di fronte all'arroganza del maggiordomo, ma era terribilmente spaventata che lui reagisse in qualche modo e per risposta ricevesse altro disprezzo. Si costrinse a sorridere come se non avesse percepito nulla all'infuori della normale cortesia.
Pitt alzò un po' di più la testa, ma prima che potesse replicare il maggiordomo parlò di nuovo.
— Mi dispiace, signore, ma questo non è il momento adatto per vedere il signor Carvell. Come potete notare, questa è un'occasione sociale di una certa gravità, e tristezza.
Charlotte raccolse il fiato per ribattere.
— Io non devo vedere il signor Carvell — disse Pitt in tono educato — ma la signora Arledge. Lei mi aspetta e sarei dispiaciuto se pensasse che ho rifiutato il suo invito.
— Oh. — Il maggiordomo era stato chiaramente preso in contropiede. — Capisco, signore. Certo. Se volete avere la cortesia di entrare...
— Vi ringrazio. — Pitt aggiunse ai suoi ringraziamenti un lievissimo tocco di sarcasmo e, dando il braccio a Charlotte, la condusse dentro il salone del ricevimento, dove era già riunito un folto gruppo.
La tavola era allestita con ogni genere di prelibatezze e Carvell doveva aver assunto del personale in più per l'occasione, perché Chralotte vide almeno una mezza dozzina di cameriere e di valletti in livrea ritti in piedi, pronti a soddisfare i desideri di chiunque.
Sulla soglia della stanza seguente c'era un gruppetto di uomini in piedi che, mentre lei e Pitt entravano, si voltarono. Uno di loro fece un passo avanti, il viso intelligente colmo di un misto di dolore, di apprensione e di speranza. Charlotte non ebbe bisogno di chiedere a Pitt se si trattasse di Carvell: la forza dei sentimenti che traspariva da lui poteva soltanto appartenere all'uomo che Pitt aveva descritto. Era lo stesso uomo che aveva visto al servizio funebre, e il cui dolore l'aveva tanto commossa.
Pitt le diede un'occhiata, si rese conto della sua intuizione e sorrise prima di andare verso Carvell.
— Buongiorno, sovrintendente — disse Carvell con gli occhi che scrutavano la faccia di Pitt. — C'è qualcosa... — Vide dagli occhi di Pitt che non c'era niente. — Oh, sono spiacente. Come sono stato indelicato. Vi prego di perdonarmi. Dovrei dirvi quanto siete stato buono a venire, oppure è un'osservazione ingenua? — Sembrava non essersi accorto che Charlotte era con Pitt. Stranamente, lei non si sentì in nessun modo trascurata. Visto da vicino, era più brutto, le borse sotto gli occhi erano evidenti, eppure era più pieno di vita. Pur conoscendo il suo rapporto con Arledge, e quanto doveva aver ferito Dulcie, e nonostante la possibilità molto realistica che fosse colpevole di assassinio, si trovò stranamente ad approvare il suo comportamento. Forse era per la profondità e la sincerità dei suoi sentimenti, di cui non si poteva dubitare.
— Non c'è la minima novità — rispose Pitt sinceramente. — Sono venuto perché la signora Arledge mi ha invitato, e sono grato che mi sia stato permesso di tributare i miei rispetti a un uomo che credo che avrei ammirato molto, se avessi avuto l'opportunità di conoscerlo.
Carvell si morse il labbro e deglutì. — Siete molto gentile, sovrintendente. Nessuno avrebbe potuto dirlo con maggiore tatto, dicendo tuttavia la pura verità. Voi non avete saputo nient'altro, e il vostro dovere vi porta qui, così come la vostra naturale inclinazione. Capisco.
— Non posso dire che non ci sia altro — obiettò Pitt. — Ma il poco che c'è non porta a nessuna conclusione. Signor Carvell, posso presentarvi mia moglie?
— Oh! — Carvell fu colto completamente di sorpresa. — Oh, mi dispiace, signora. Vi chiedo scusa per la mia imperdonabile scortesia. Avevo pensato... in realtà, non so bene che cosa avessi pensato. Perdonatemi. — Fece un leggero inchino. — Buongiorno, signora.
Non fece nessun movimento verso di lei.
— Buongiorno, signor Carvell — disse lei con un sorriso. — Vi prego di accettare le mie condoglianze per la vostra perdita. È incredibilmente amaro perdere uno degli amici più cari.
Lui la fissò con la sorpresa negli occhi, seguì un momento di imbarazzo, e alla fine un calore spontaneo.
— Come siete gentile! — Erano parole molto formali, eppure lui sapeva che significato avessero.
Prima che potessero chiudere l'argomento e cercare un soggetto di conversazione più facile, ci fu un tramestio sulla soglia dietro di loro, un mormorio, uno strisciare e un frusciare di tessuti, come di persone che si muovessero contro altre. E quando Pitt e Charlotte si girarono, videro una donna sola entrare nella stanza, vestita con un abito grazioso e femminile ornato di gioielli da lutto squisitamente discreti, con merletti ai polsi e alla gola. Non era una donna imponente, e neppure di una bellezza appariscente, ma attirava un'attenzione immediata. Aveva i lineamenti ben proporzionati, la bocca lievemente ricurva. Il delicato colore della sua pelle era intatto, e i suoi capelli non erano acconciati meno graziosamente; soltanto gli occhi azzurri tradivano la stanchezza e l'ansia.
Charlotte sentì Pitt irrigidirsi e si voltò a guardarlo. C'era ammirazione sul suo viso, e una profonda gentilezza che non gli vedeva da molto tempo, che non aveva mostrato neppure per Jerome Carvell. Non c'era bisogno che Pitt le dicesse che quella era Dulcie Arledge.
Dulcie si guardò intorno per la stanza per un momento, gli occhi che si posavano su una persona, poi su un'altra. Non si soffermarono su Mina Winthrop; sembrava che non l'avesse riconosciuta né, a quanto pareva, Bart Mitchell in piedi accanto a lei. Sorrise a Sir James Lismore e a Roderick Alberd. Parecchi altri si erano guadagnati un leggero movimento del suo capo e l'ombra di un sorriso. I suoi occhi scivolarono sull'aggraziata figura di Landon Hurlwood, leggermente più alto di quelli che lo circondavano, ma lui non diede segno di riconoscerla.
Victor Garrick era seduto in un angolo con il suo violoncello tra le braccia, aspettando il momento in cui gli avrebbero chiesto di suonare. I suoi capelli biondi splendevano nella luce che proveniva dal becco a gas sopra di lui, e c'era un'espressione di pace sul suo viso, come se stesse sognando qualcosa di remoto e di assolutamente piacevole.
Dulcie chinò la testa verso di lui, e il piacere attenuò il dolore per un breve momento, e poi lo sguardo ritornò distante.
Gli occhi di Dulcie si fermarono infine su Pitt, e un delicato sorriso le incurvò le labbra. Avanzò, con un cenno di saluto, scambiando qualche parola qui e là, finché fu solo a pochi centimetri da lui.
Pitt rimase in attesa e Charlotte non parlò. Era sorpresa dalla profondità di sentimenti che scopriva in Pitt per la perdita subita da Dulcie e la spaventosa ferita nella dignità che doveva aver sofferto, ma anche dal riguardo che lui mostrava per lei, e che rivelava una tenerezza e un rispetto che sarebbero sopravvissuti anche dopo che il caso fosse stato chiuso.
Charlotte lo ammirava per questo. Non avrebbe voluto che fosse incapace di tali emozioni; eppure la cosa le procurava un fremito di disagio, la consapevolezza che non avrebbero dovuto lavorare insieme a quel caso, il senso di colpa per le numerose volte in cui lei era stata assente quando lui era tornato a casa stanco e preoccupato, confuso e bisognoso di parlare. Era stata così occupata dai suoi progetti per abbellire la nuova casa, e per farlo con un costo accettabile, che nella sua mente non c'era stato spazio che per poche altre cose. Ora aveva avvertito un moto di gelosia, leggero, ma inequivocabile.
— Buongiorno, sovrintendente — disse Dulcie, sorridendo a Pitt. Ci fu un'evidente esitazione mentre si girava verso Charlotte. — Dovete essere la signora Pitt. Come state? È stato gentile da parte vostra venire. Davvero molto gentile.
Charlotte dovette lottare per conservare la dolcezza nel suo sorriso e per pensare a qualcosa di altrettanto carino da replicare. Il minimo errore sarebbe stato percepito e capito. Era sufficiente guardare Dulcie negli occhi per capire che nulla poteva sfuggirle.
— Vi ringrazio, signora Arledge. Spero che la mia non sia un'intrusione.
— No, di certo. Per favore non pensatelo neppure per un secondo. — Dulcie si girò verso Carvell. Charlotte trattenne il respiro. Poi improvvisamente si rese conto che naturalmente Dulcie non aveva idea che lui fosse qualcosa di più di un amico addolorato, così generoso da prestare la sua casa per l'occasione. Riprese a respirare ringraziando silenziosamente il cielo.
— Vi ringrazio, signor Carvell — disse Dulcie con un leggero cenno del capo. — La vostra generosa ospitalità ha completamente trasformato quella che per me avrebbe potuto essere una situazione quasi insopportabile. Vi assicuro che lo apprezzo più di quanto possiate immaginare.
La faccia di Carvell s'imporporò violentemente e lui rimase immobile come se fosse stato inchiodato sul posto. Charlotte riusciva soltanto a immaginare vagamente la tempesta di emozioni che doveva imperversare dentro di lui mentre stava di fronte alla moglie di Arledge. Aprì la bocca per parlare, e gli mancò la voce.
Pitt era rimasto a sua volta paralizzato.
Dulcie se ne stava in attesa.
Certamente Carvell aveva paura di dire qualcosa che potesse tradirlo. Ogni secondo che passava doveva certamente imprimersi nella mente di lei. Qualcuno doveva pur essere. La scelta non era vasta.
Pitt emise un sospiro acuto.
Quel suono sembrò risospingere Carvell verso la realtà.
— Sono contento di esservi stato utile — disse lui, imbarazzato. — Sembra una cosa talmente... modesta. Non abbastanza... assolutamente non abbastanza...
— Mi è stato di grande aiuto — lo interruppe Charlotte, incapace di sopportare più a lungo la tensione. — Il solo fatto di non doversi preoccupare di cose pratiche, e di essere liberi di andarsene quando non si può più sopportare la compagnia e si preferisce la solitudine, è un grande dono.
Dulcie la guardò. — Come siete sensibile, signora Pitt — osservò. — Naturalmente avete ragione. Il vostro è un grande dono, signor Carvell. Per favore, non permettete alla vostra modestia di minimizzarlo.
— Vi ringrazio... vi ringrazio — lui disse di nuovo, facendo un passo indietro. — Se volete scusarmi, signora, vorrei assicurarmi che Scarborough sia pronto a servire quando gli sarà richiesto. — E, girandosi, scappò via a cercare il maggiordomo.
Dulcie sorrise a Pitt.
— Non capisco perché sia così timido. Che strano uomo. Ma è stato molto gentile, e sicuramente è questo che importa.
Ogni conversazione privata fu interrotta di colpo da varie persone che si avvicinarono per porgere a Dulcie le loro condoglianze e per dire quanto era stato bello il servizio funebre, come avessero apprezzato la musica.
— Sì, il giovane Garrick è molto dotato — ammise Dulcie. — Suona con più sentimento di chiunque altro io ricordi. Naturalmente io non sono abbastanza dotata da giudicare le sue capacità tecniche, ma sembrano molto buone.
— Oh, sì — ammise Sir James Lismore, annuendo, e lanciò un'occhiata attraverso la stanza a Victor, ancora seduto con il violoncello e intento a parlare con Mina Winthrop. — È un peccato che non si ritenga adatto a farne una professione — continuò. — Ma è molto giovane, e può ancora cambiare idea. Potrebbe fare molta strada, penso. — Si voltò verso Dulcie. — Aidan certamente aveva un'ottima opinione di lui.
— Chi è la signora insieme a lui? — chiese lei con curiosità.
Lui si girò. — Oh, quella è la signora Winthrop. Non la conoscete?
— Non riesco a ricordarmi se ci siamo incontrate. Povera donna. Abbiamo molto in comune, temo. Devo porgerle le mie condoglianze. — Fece un sorriso dolce-amaro. — Le mie saranno particolarmente sentite, temo.
Ma prima che potesse completare il suo discorso, furono avvicinati da altri ospiti, e lei fu costretta a mormorare cortesi parole di assenso e di ringraziamento per parecchi altri minuti. Charlotte e Pitt si scusarono e si spostarono per ascoltare e guardare con discrezione, da una certa distanza, le facce degli altri invitati.
Osservarono Lord e Lady Winthrop in piedi fianco a fianco, che parlavano con aria grave a un signore anziano con occhiali senza montatura sul naso.
— Sono molto deluso dalla polizia — stava dicendo Lord Winthrop con evidente dispiacere. — Avevo pensato, considerata la reputazione di mio figlio, e il servizio che ha reso al paese, che avrebbero fatto più di qualche sforzo per catturare il pazzo che ha commesso un simile crimine!
— Ignobile — convenne l'anziano gentiluomo. — Davvero ignobile. Ci si possono aspettare cose del genere nei ceti più bassi, ma quando incominciano a coinvolgere la vita di persone rispettabili, addirittura onorevoli, il paese è in un triste stato. Immagino che abbiate parlato con il ministro degli Interni!
— Certo, — si affrettò a dire Lord Winthrop. — Più di una volta! Ho scritto al Primo ministro.
— E non ha avuto nessuna risposta — disse con ferocia Lady Winthrop.
— Questo non è vero, mia cara — la corresse il marito, ma prima che lui potesse continuare, lei lo interruppe di nuovo.
— Cose insignificanti — disse lei. — Tutto quello che ha fatto è stato dimostrare che ha letto le tue lettere. Questa non è una risposta! Non ti ha specificato che cosa si sta facendo al riguardo.
L'anziano signore con gli occhiali fece tintinnare i denti e borbottò qualcosa di incomprensibile.
Pitt sorrise. Almeno il Primo ministro non doveva essere uno che parlava a vanvera.
Furono serviti i rinfreschi. Valletti e cameriere si aggiravano tra gli ospiti con vassoi di bicchieri di vino e prelibatezze. Per tutto il tempo, l'altero maggiordomo, Scarborough, sorvegliò la situazione e vide che tutto era perfetto fin nei minimi particolari.
Charlotte si allontanò da Pitt e incominciò a osservare da sola quanto più poté. Parlò alcuni minuti con Mina Winthrop, che fu felice di vederla, e con Thora Garrick, che a quanto pareva aveva deciso di accompagnare Mina, forse per ascoltare Victor suonare.
— Come sono contenta di vedervi, signora Pitt — disse Mina con un sorriso piuttosto incerto. — Ricordate la signora Garrick, vero?
— Certo — si affrettò a dire Charlotte. — Come state, signora Garrick?
— Molto bene, grazie — rispose Thora con un sorriso.
— Ho udito vostro figlio suonare — continuò Charlotte. — È enormemente dotato.
— Grazie — rispose lei con un sorriso compiaciuto.
— Come procede la vostra casa? — chiese Mina.
— È davvero quasi finita — rispose Charlotte. — Ho una stanza gialla, grazie alla vostra brillante creatività.
Mina arrossì di piacere.
— Come va il vostro braccio? — chiese Charlotte nel modo più disinvolto che riuscì a trovare e tuttavia esprimendo preoccupazione.
— Oh, non è niente — si affrettò a rispondere Mina. — Non mi fa assolutamente più male. Penso che sia stupido fare caso ai piccoli incidenti. Io... io veramente l'ho provato su di me...
Thora guardò Charlotte con gli occhi sgranati colmi di incredulità, poi Mina, il cui disagio era evidente. Charlotte intuì i loro pensieri.
— Pensavo che si trattasse di una brutta scottatura — disse gentilmente. — Il tè era bollente. Ammiro la vostra forza d'animo, ma...
Mina si rilassò così visibilmente che il colore le ritornò sulla faccia e la tensione di tutto il suo corpo sembrò allentarsi.
Thora inspirò con improvviso sollievo.
— Ma non vorrei pensare che vi giudichiate troppo indulgente verso voi stessa per aver ammesso che era un dolore molto acuto — terminò Charlotte. — Non credo che dobbiate imporvi un atteggiamento così coraggioso. — Poi cambiò argomento, e parlarono di porcellana, e della linea più elegante per quanto riguardava orologi e specchi.
Ma dopo essersi congedata, Charlotte continuò a meditare sul fatto che Thora Garrick sapeva delle contusioni di Mina, e presumibilmente della loro causa, e tuttavia non aveva mostrato né eccessiva pietà, né rabbia, né paura che Mina o Bart Mitchell fossero coinvolti nella morte di Winthrop. Alla prima opportunità avrebbe comunicato questa sua scoperta a Pitt.
A Victor Garrick era stato chiesto di suonare ancora, e l'aveva fatto con così squisita malinconia, che l'acclamante approvazione da parte del pubblico aveva dimostrato un amore e una comprensione della musica più profondi di quelli a cui lui sembrava abituato.
Quasi tre quarti d'ora dopo Charlotte fu raggiunta da Emily infuriatissima.
— Quell'uomo è un vero porco! — disse Emily trattenendo la rabbia che le faceva tremare la voce e le infiammava le guance.
— Chi? — Charlotte era stupita e divertita. — Chi diavolo si è comportato in modo così spaventoso da indurti a dire una parola come quella? Pensavo che tu fossi di gran lunga troppo signora per...
— Non è divertente — disse Emily tra i denti. — Mi piacerebbe vederlo in mezzo alla strada, a chiedere la carità con un piattino in mano!
— Chiedere la carità con un piattino in mano. Di chi diavolo stai parlando? Di chi?
— Quel maiale arrogante di quel maggiordomo Scarsdale, o come diavolo si chiama — rispose Emily, con una smorfia. — Ho trovato una delle cameriere che piangeva da strappare il cuore poco fa. Lui l'aveva sorpresa a cantare e l'ha licenziata... perché questo è un ricevimento funebre. Lei non conosceva quel pover'uomo. Perché avrebbe dovuto capire la differenza tra Victor Garrick che suonava il violoncello e lei che cantava una canzone triste? Ho una mezza idea di dirlo al signor Carvell e di chiedergli di fare qualcosa al riguardo. Reintegrare al suo posto la ragazza e mettere alla porta quell'uomo malvagio.
— Non puoi — protestò Charlotte. — Lui non licenzierà il suo maggiordomo per una cameriera che è stata punita. — Ma anche mentre diceva questo, la sua mente era affollata da altri pensieri. La faccia di Jerome Carvell, colma di dolore e di disperazione, le riempiva la vista e l'immaginazione. Davvero lui non avrebbe permesso che qualcuno dei suoi servitori trattasse la gente in quel modo?
Oppure era troppo vulnerabile nei confronti di un domestico che viveva nella sua casa e che lo conosceva bene?
— Charlotte? — disse Emily lentamente. — Che cosa c'è?
— Un pensiero — rispose Charlotte. — Forse niente. Ma tu non puoi parlare a Scarborough. Non devi aiutare la cameriera.
— Perché no? Certo che posso.
— No, credimi. Ci sono delle ragioni.
— Che ragioni?
— Buone ragioni, che riguardano il signor Carvell. Per favore.
— Allora la assumerò io — disse Emily decisa. — Avresti dovuto vederla, Charlotte. Non posso permettere che accadano queste cose.
Charlotte stava per rispondere quando si avvicinò Dulcie Arledge, sorridendo, la faccia stanca, le spalle ancora erette, il sorriso fisso.
— Povera creatura — disse dolcemente Charlotte quasi sottovoce a Emily, lo sguardo fisso su Dulcie.
— Penso che se la cavi meglio di quanto farei io se mi trovassi nelle stesse circostanze — ribatté Emily, ma c'era un'ambiguità, un'esitazione nella sua voce che Charlotte non capiva. Comunque era troppo tardi per chiederle che cosa intendesse dire. Dulcie era quasi vicino a loro.
— È stata una funzione molto commovente — disse gentilmente Charlotte.
— Vi ringrazio, signora Pitt — assentì Dulcie.
Emily aggiunse la sua osservazione personale, e prima che Dulcie potesse continuare con un'altra frase di convenienza, furono raggiunte da Lady Lismore e da Landon Hurlwood.
— Dulcie, mia cara — incominciò Lady Lismore con un caldo sorriso — conoscete il signor Landon Hurlwood? Ammirava moltissimo il lavoro di Aidan, ed è venuto a porgervi i suoi rispetti. — Si volse verso Hurlwood.
— No — disse Hurlwood.
— Sì — disse Dulcie esattamente nello stesso momento.
Hurlwood arrossì.
— Sono spiacente — si affrettò a dire. — Naturalmente conosco la signora Arledge. Intendevo dire semplicemente che la nostra conoscenza è piuttosto lontana. Come state, signora Arledge, Sono lusingato che vi ricordiate di me. Devono essere stati in molti ad ammirare il lavoro di vostro marito.
— Buongiorno, signor Hurlwood — rispose lei, levando verso di lui i grandi occhi azzurri. — Siete stato molto gentile a venire. Vi sono grata di aver ammirato l'opera di mio marito. Sono certa che il suo nome continuerà a vivere, e forse darà piacere e incoraggiamento negli anni futuri.
— Non ho dubbi. — Lui s'inchinò leggermente, cercando il suo viso con un'espressione molto preoccupata. — Sarebbe sconveniente se vi dicessi quanto ammiro la vostra dignità di fronte a una simile perdita, signora Arledge?
Il viso di Dulcie s'imporporò e lei abbassò gli occhi.
— Vi ringrazio, signor Hurlwood, sebbene io tema che mi lusinghiate. È molto generoso da parte vostra.
— Nient'affatto — si affrettò a dire Lady Lismore. — Non è altro che la verità. Sono sicura che desiderate ritirarvi dopo tutte queste emozioni. Vorrei avere il privilegio di rimanere qui ad accomiatare la gente, se vi fa piacere.
Dulcie trasse un profondo respiro, senza più guardare Hurlwood.
— Lo apprezzerei moltissimo, mia cara, se non vi arreca disturbo — acconsentì.
— Posso accompagnarvi alla vostra carrozza? — Hurlwood le offrì il braccio.
Lei esitò per parecchi istanti, il viso tirato dalla stanchezza, poi con un guizzo nervoso della lingua attraverso le labbra rifiutò gentilmente e si avviò da sola fino alla porta. Scarborough la raggiunse per aprirgliela, seguendola fuori per prendere il suo mantello dal valletto e chiamare la carrozza.
— Una persona eccezionale — disse Lady Lismore con sentimento.
Gli occhi di Hurlwood erano fissi sulla soglia attraverso la quale lei era scomparsa. C'era un leggero colore sulle sue guance. — Davvero — fece eco. — Veramente eccezionale.
9
Lady Amanda Kilbride stava cavalcando da sola, di mattino presto, verso Rotten Row. Aveva litigato con il marito la sera prima e desiderava che lui, alzandosi, non la trovasse. Naturalmente non avrebbe mai pensato di lasciarlo per sempre. Questo era fuori discussione, ma voleva che lui si preoccupasse. Sarebbe stato in ansia se lei avesse fatto qualcosa di stupido, anche solo per la possibilità che lei mettesse in atto la sua promessa di scappare via e di avere una storia d'amore con il primo uomo decente che gliel'avesse chiesto.
Anche nella fredda, pallida luce del mattino fu costretta ad ammettere che non c'erano affatto uomini decenti, o che potessero indurre delle signore sposate ad avere una storia clandestina. La probabilità che ciò potesse accadere tra il momento della minaccia, fatta intorno alle nove, e quello in cui si era ritirata e aveva chiuso la porta della camera da letto, un po' prima di mezzanotte, le apparve in realtà molto remota.
Tuttavia, lui doveva crederlo!
Arrivò in fondo al Row e vide la sua superficie ghiaiosa allargarsi davanti a lei sotto gli alberi. Una bella galoppata era proprio quello di cui aveva bisogno. Si chinò un po' e diede un buffetto al cavallo, accompagnandolo con una frase d'incoraggiamento. Le orecchie dell'animale si rizzarono al cambiamento di tono. Per tutta la mattina lo aveva deliziato con il racconto delle ingiustizie che aveva subito. Ora lo mandò al trotto, e poi al piccolo galoppo.
Cavalcava bene e lo sapeva. Ad aumentare il piacere di quella passeggiata contribuivano la chiara luce primaverile, le lunghe ombre attraverso il Row e lo splendore della rugiada sull'erba del parco. Era difficile che ci fosse qualcun altro in giro, neppure sul Knightsbridge, che potesse vederla oltre il limitare del parco; c'era soltanto un occasionale festaiolo ritardatario che tornava a casa, o qualcuno che si era alzato molto presto come lei, per godere la fredda, pura luce del sole e la solitudine.
Arrivata in fondo, si girò e tornò indietro al galoppo verso Hyde Park Corner, sentendo il vento sulla faccia e cominciando finalmente a sorridere.
A tre quarti del sentiero rallentò al passo. Sapeva che non era bene che il cavallo bevesse all'abbeveratoio mentre era ancora accaldato, e poi lei desiderava intensamente rinfrescarsi la faccia. Scese da cavallo abbandonando le redini e fece un paio di passi verso l'abbeveratoio. Si chinò con aria assente, la mente ancora rivolta all'offesa arrecatale dal marito, poi immerse le mani nell'acqua, girò la testa e guardò.
L'acqua era rosso scuro.
Si ritrasse di colpo con un grido di repulsione. Tutto l'abbeveratoio era velato di un liquido scuro, troppo scuro per essere acqua. C'era anche qualcos'altro dentro, qualcosa di grosso che lei non poté distinguere a causa dell'acqua torbida.
— Oh, ma guarda! — esclamò furiosa. — Questo è troppo! Chi può aver fatto una cosa così stupida? Ora è sudicia! — Fece qualche passo indietro, e fu solo dopo essersi raddrizzata che vide lo strano oggetto all'altra estremità dell'abbeveratoio. Aveva un aspetto così insolito che gli si avvicinò.
Per un istante rimase senza respiro non potendo quasi credere ai propri occhi. Poi, quando la sua mente incredula si convinse che la cosa era veramente quello che sembrava, scivolò con un tuffo nell'abbeveratoio, a faccia in giù.
L'acqua fredda quasi la per soffocò e, nello sforzo di riprendere fiato, si tirò su di nuovo, respirando affannosamente e boccheggiando; tutta la parte superiore del suo corpo era inzuppata, e ora completamente gelata. Era troppo inorridita anche per gridare, ma si accovacciò in silenzio, tremando violentemente.
Ci fu un rumore di zoccoli dietro di lei, uno sparpagliarsi di ciottoli e si levò la voce di un uomo.
— Ehi, signora, state bene? Siete caduta? Posso...? — Si arrestò di colpo dopo aver visto l'oggetto. — Oh, mio Dio! — Gli mancò il fiato e riprese a respirare con un attacco di tosse soffocante.
— Il resto è la dentro. — Amanda fece un debole gesto verso l'abbeveratoio, dove ora un ginocchio coperto da una livrea emergeva dall'acqua insanguinata.
Tellman abbassò lo sguardo su Pitt, seduto sulla sua sedia, con un'espressione dura e spietata nella faccia allungata.
— Sì? — chiese Pitt, sentendosi mancare.
— Ce n'è stato un altro — disse Tellman, fissandolo di nuovo senza nessuna esitazione. — L'ha fatto di nuovo. Questa volta dovrò arrestarlo.
— Lui...?
— C'è un altro cadavere senza testa nel parco.
Pitt si sentiva sempre peggio. — Chi è?
— Albert Scarborough, il maggiordomo di Carvell. — Un'ombra di malumore passò sulla faccia di Tellman. — Lady Kilbride lo ha trovato nell'abbeveratoio dei cavalli. Anzi, per essere più precisi, il corpo senza la testa — si corresse. — La testa era al di là dell'abbeveratoio.
— L'abbeveratoio dei cavalli dove?
— Rotten Row, un centinaio di metri da Hyde Park Corner.
Pitt cercò di scacciare l'orrore dalla sua mente e di concentrarla sugli indizi del caso. — Un po' distante da Green Street — osservò. — Nessuna idea di come sia arrivato là?
— Non ancora. Era un tizio grande e grosso, quindi non c'è la possibilità che Carvell l'abbia trasportato. Può essere arrivato fin là camminando con le sue gambe.
Pitt sgranò gli occhi. — Una passeggiata notturna con un suo dipendente? Non sembra il genere di persona con cui uno fa una piacevole passeggiata. E poi nessuno passeggia per il parco in queste notti, dal momento che il vicecapo della polizia fa di tutto per raccomandarlo.
— Allora lui non passeggiava da quelle parti — corresse Tellman con una smorfia. — Carvell l'ha ucciso in casa sua e l'ha portato là con un mezzo di trasporto. Potrebbe essere stata anche la sua stessa carrozza. Volete arrestarlo, o devo farlo io?
Pitt si alzò in piedi, le membra improvvisamente stanche, come se il suo corpo pesasse enormemente. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato che ci fosse una fine al mistero, se non fosse stato per l'orrore e la tragedia di quell'epilogo; ma non provava alcun senso di sollievo.
— Andrò io. — Si diresse verso l'attaccapanni e prese il cappello, anche se era una bella mattina. — Forse è meglio che veniate con me.
— Sì, signore.
Non erano ancora le nove quando Pitt e Tellman si presentarono davanti alla porta della casa di Green Street. Pitt suonò il campanello, ma ci vollero parecchi minuti prima che qualcuno arrivasse.
— Sì, signore? — Un valletto con i capelli biondi in disordine lo guardò con ansia.
— Vorrei parlare con il signor Carvell, se non vi dispiace — disse Pitt, ma la sua voce era un ordine, non una richiesta.
Il valletto era sorpreso. — Mi dispiace, signore, non so se il signor Carvell si è già alzato — disse scusandosi. — Potete ripassare intorno alle dieci?
Tellman fece per parlare, ma Pitt lo precedette.
— Sono spiacente di non poter aspettare. La questione è della massima gravità. Volete dirgli che il sovrintendente Pitt e l'ispettore Tellman sono qui e chiedono di vederlo immediatamente?
Il valletto impallidì. Aprì la bocca come per dire qualcosa, poi cambiò idea e si girò senza ricordarsi di dir loro di aspettare, oppure di condurli in un luogo più adatto del vestibolo.
Nel giro di pochi minuti comparve Carvell in vestaglia, i capelli irti, la faccia pallida e impaurita.
— Che cosa è successo, sovrintendente? — chiese a Pitt, ignorando Tellman. — C'è qualcosa che non va? Che cosa vi porta qui a quest'ora?
Di nuovo Pitt avvertì dentro di sé un moto di riluttanza e la consueta pietà.
— Mi dispiace, signor Carvell, ma vi chiediamo il permesso di perquisire il vostro appartamento e di rivolgere alcune domande al vostro personale. So che sarà sgradevole per voi, ma è necessario.
— Perché? — Carvell era diventato estremamente ansioso, apriva e chiudeva le mani lungo i fianchi e aveva il viso color cenere. — Che cos'è accaduto? Per l'amor di Dio, ditemi che cos'è successo. C'è... c'è stato un altro...?
— Sì. Il vostro maggiordomo, Albert Scarborough. — Pitt fu costretto a fare un balzo in avanti per sorreggere Carvell che barcollava. Lo prese per il gomito e lo fece indietreggiare fino a un bel divano di quercia a poco più di un metro da lui. — Sarà meglio che vi sediate. — Si girò verso il valletto che se ne stava in piedi impotente. — Portate un bicchierino di brandy al vostro padrone — ordinò. Poi, visto che il giovane se ne stava immobile come se fosse inchiodato in terra, con gli occhi sbarrati aggiunse: — Muovetevi!
— Sì... sì, signore. — E il disgraziato giovane corse fuori della sala e scomparve, chiamando la governante con voce tremante.
Pitt guardò Tellman.
— Cominciate la perquisizione.
Tellman aspettava soltanto l'ordine. Se ne andò in fretta, con la faccia tetra.
Pitt guardò Carvell, che aveva l'aspetto di una persona ammalata.
— Pensate che sia stato io? — chiese Carvell rauco. — Posso leggervelo in viso, sovrintendente. Perché? Perché, in nome di Dio, avrei dovuto uccidere il mio maggiordomo?
— Temo che la risposta a questo sia sfortunatamente ovvia, signore. Grazie alla sua posizione era a conoscenza del vostro legame con il signor Arledge, e del vostro possibile coinvolgimento nella sua morte. Se era così, è probabile che abbiate sentito l'impellente necessità, per la vostra sicurezza, di liberarvi di lui.
Carvell cercò di parlare, ma non vi riuscì. Fissò Pitt per lunghi, spaventosi secondi, poi, senza più speranza, affondò la testa tra le mani.
Pitt sentì di essere stato brutale. La voce di Tellman gli rimbombava nella testa, l'accusa di Farnsworth che lui si fosse sottratto alle sue responsabilità, il giudizio dei suoi superiori, che avevano creduto in lui e l'avevano promosso, quello dei suoi inferiori, da cui si era aspettato lealtà, quello del pubblico. La gente aveva il diritto di pensare di poter avere la miglior forza di polizia che ci potesse essere e che lui avrebbe dovuto lasciare da parte simpatie e antipatie, scrupoli personali di coscienza o pietà. Aveva accettato quel lavoro, con gli onori e le ricompense. Sottrarsi a ciò che si esigeva da lui era un tradimento.